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GIAN GABRIELE BORKMAN


Enrico Ibsen

Gian Gabriele Borkman

DRAMMA IN QUATTRO ATTI

Versione autorizzata di Mario Buzzi

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1900.


PROPRIETÀ LETTERARIA

Chi intende valersi di questa traduzione per la recita, deve assolutamente ottenerne il permesso dal D.r Mario Buzzi, Via Cassa di Risparmio, 1, Trieste.

Tip. Fratelli Treves.


[1]

PERSONAGGI:

L’azione si svolge, durante una sera d’inverno, nella villa della famiglia Rentheim, poco lungi dalla Capitale.

[3]

ATTO PRIMO.

Camera della signora Borkman. Porta aperta nel fondo, che riesce sulla veranda: a traverso le invetriate della veranda si scorge il giardino coperto di neve. Alla parete di destra, porta che dà sulla strada: più avanti un’antica stufa di ferro, in cui crepita un buon fuoco. Nel fondo a sinistra piccolo uscio: più in qua finestra con pesanti cortinaggi. Fra l’uscio e la finestra un sofà ed un tavolino con tappeto: sul tavolino lampada accesa con paralume. Seggiolone addossato alla stufa. Al di fuori, sotto l’incerto bagliore del crepuscolo, la neve cade a piccoli fiocchi.

SCENA PRIMA. La Signora Borkman sola; poi la Cameriera; poi Ella Rentheim.

(La signora Borkman, una donna attempata, dai capelli incanutiti e dall’aspetto freddo e grave, è seduta sul sofà e sta lavorando d’uncinetto: le sue mani sono affusolate e diafane. È vestita di un abito di seta nera, fuori di moda ed alquanto usato: sulle spalle porta uno scialle di lana. All’alzarsi della tela la signora Borkman tralascia di lavorare e se ne sta immobile e meditabonda. Si ode il tintinnìo dei sonagli di una slitta, che arriva.)

Sig.ª Bork. (dopo di essere stata in ascolto, esclama quasi involontariamente, ma raggiante di gioia:) Erardo! Finalmente! (S’alza e guarda fuori della finestra: ma poi, delusa, ritorna al tavolino e riprende il lavoro. Poco dopo dalla porta di destra entra la Cameriera con un vassoio.)

[4]

Sig.ª Bork. (impaziente). Dunque il signor Erardo non è ancora arrivato?

Cam. No, signora. C’è però di fuori una signora....

Sig.ª Bork. (mettendo da parte il lavoro). Sarà la signora Wilton....

Cam. (avvicinandosi alla signora Borkman). No, è una signora che non conosco.

Sig.ª Bork. (indicando il biglietto di visita sul vassoio). Datemi quel biglietto.... (dopo aver dato un’occhiata al biglietto, s’alza fissando la cameriera) Ma siete proprio certa che il biglietto è per me?

Cam. Sì, è per la signora, o almeno così mi parve d’aver sentito....

Sig.ª Bork. E quella signora vi ha detto che voleva parlare con me?

Cam. Sì, con lei, signora.

Sig.ª Bork. Ebbene, fatela entrare.

(La cameriera va ad aprire — Ella Rentheim entra. Ella Rentheim è molto somigliante alla sorella: il suo aspetto però è di persona sofferente, quantunque i lineamenti del volto rivelino ancora le tracce di una splendida bellezza. I capelli folti ed ondulati sono completamente bianchi. Porta cappellino e veste un abito di velluto nero ed un mantello foderato di pelliccia. Le due sorelle si guardano vicendevolmente con sguardo indagatore; tutte e due sembrano dapprima perplesse di rompere il silenzio.)

Ella Rent. (ferma accanto alla porta). Sei meravigliata di vedermi qui, Gunilde?

Sig.ª Bork. (immobile, in piedi fra il sofà ed il tavolino, sfiorando il tappeto con le punte delle dita). Non ti pare d’aver sbagliato strada? Dovresti pur sapere che il fattore abita dall’altra parte della casa.

Ella. Oggi non ho da parlare col fattore.

Sig.ª Bork. Hai forse da parlare con me?

Ella. Sì. Ho da parlare con te.

Sig.ª Bork. (movendole incontro). Allora.... prendi posto.

Ella. No, grazie; posso starmene bene anche in piedi.

Sig.ª Bork. Fa come meglio ti aggrada. Ma levati almeno il mantello.

Ella (sbottonando il mantello). Infatti in questa stanza fa un po’ troppo caldo....

[5]

Sig.ª Bork. Soffro tanto freddo!

Ella (fissando la sorella ed appoggiando un braccio sul seggiolone). Gunilde, sono ormai trascorsi quasi otto anni dall’ultima volta che ci siamo viste.

Sig.ª Bork. (fredda). Sì, otto anni dall’ultima volta che abbiamo parlato insieme.

Ella. Hai ragione: dall’ultima volta che abbiamo parlato insieme — giacchè nel frattempo avesti più d’una volta occasione di vedermi.... ogni anno, quando venivo qui, dal fattore.

Sig.ª Bork. Credo due o tre volte, tutt’al più.

Ella. Anche io ti vidi un paio di volte, alla sfuggita.... là, alla finestra.

Sig.ª Bork. È possibile; m’avrai visto rincantucciata dietro le cortine. Che buona vista la tua! (ruvida e pungente) Ma l’ultima volta che ci parlammo fu proprio qui, in questa stanza....

Ella (interrompendo). Lo so, Gunilde!

Sig.ª Bork. Una settimana prima.... prima che egli venisse fuori....

Ella (facendo qualche passo per la stanza). Non tocchiamo quell’argomento!

Sig.ª Bork. (con voce sommessa, ma energica). Una settimana prima che egli.... il direttore di Banca, venisse rimesso in libertà.

Ella (c. s.). Sì — è vero! Mi ricordo benissimo di ogni particolare! Ma è così angoscioso, di non poter pensare a quei ricordi così tristi.... oh!

Sig.ª Bork. E con tutto ciò non è dato liberarsi di quei pensieri, che continuano a girare e rigirare incessantemente nella fantasia! (con impeto, battendo le mani) No, non lo comprendo! Dovessi vivere ancora cent’anni, non lo potrei comprendere! Non posso comprendere come una simile disgrazia.... una disgrazia tanto terribile abbia potuto piombare sur una famiglia! E pensa.... sulla nostra famiglia! Una famiglia tanto rispettabile quanto la nostra! Chi avrebbe mai potuto soltanto pensare che proprio la nostra famiglia dovesse venirne travolta!

Ella. Oh Gunilde.... molte, molte altre famiglie furono colpite da quella disgrazia.

Sig.ª Bork. Sì, hai ragione; ma di quelle famiglie non [6] mi do tanto pensiero, perchè per loro la catastrofe si ridusse unicamente alla perdita di qualche centinaio di corone.... o di qualche centinaio di banconote.... Ma per noi....! Per me! Per il mio povero Erardo! Per il mio povero bambino — perchè in allora Erardo era ancora bambino! (sempre più eccitata) L’onta, di cui fummo coperti noi due innocenti! E poi la vergogna! Quell’odiosa, quell’orribile vergogna! E per giunta: rovinati completamente!

Ella (con diffidenza). Dimmi, Gunilde.... come sopporta le conseguenze del suo fallo?

Sig.ª Bork. Chi? Erardo?

Ella. No.... lui. Rispondimi!

Sig.ª Bork. Credi forse ch’io gli domandi....?

Ella. Oh, ma non occorre domandare....

Sig.ª Bork. (guardandola meravigliata). Spero bene che non vorrai credere che io viva con lui! Trovarmi con lui? Vederlo?

Ella. Neppur vederlo!

Sig.ª Bork. Vedere un uomo, che dovette scontare cinque lunghi anni di carcere? (nascondendosi il viso fra le mani) Oh quale onta! (alzandosi) Se poi penso di quale aureola fosse a suo tempo circonfuso il nome di Gian Gabriele Borkman!... No, no, no.... non voglio più vederlo.... mai più.

Ella (fissandola per qualche tempo). Gunilde, tu hai un cuore ben duro!

Sig.ª Bork. Verso di lui — sì.

Ella. Al postutto egli resta sempre tuo marito.

Sig.ª Bork. Ma non fu forse lui, che in tribunale, durante il suo processo, incolpò me di essere stata la causa, che lo aveva trascinato al precipizio, la causa della rovina, rinfacciandomi di avere sprecato migliaia di corone?

Ella (esitante). Che non ci fosso un po’ di verità in quelle sue confessioni?

Sig.ª Bork. No, egli voleva che tutti sprecassero con quella leggerezza....

Ella. Lo so, lo so: ed appunto per questo motivo avresti dovuto mettergli a tempo un freno. Oh quanto bene gli avresti procurato mettendogli un freno!

[7]

Sig.ª Bork. E doveva io sapere che non era suo il denaro.... sì, il denaro che egli mi lasciava sprecare? E quanto e come ne sprecò lui! Dieci volte più di me.

Ella (con calma) Forse il posto coperto da Borkman avrà portato con sè tutto quello spreco o almeno una buona parte.

Sig.ª Bork. (ironica). Certo: ci fu un tempo, in cui si andava sempre ripetendo che la famiglia del direttore Borkman doveva figurare. Ed egli sapeva “figurare„ e splendidamente. Quando sdraiato nel suo tiro a quattro passava davanti alla casa, pareva come se passasse un re: egli rispondeva ai saluti della gente proprio come un monarca. La gente pronunciava il suo nome come il nome di un re: “Gian Gabriele!„ “Gian Gabriele!„ Tutti sapevano di quanta grandezza fossero circonvolti quei due nomi!

Ella (risoluta e con calore). Allora egli era infatti una grandezza.

Sig.ª Bork. Sì, apparentemente. Mai, però, mai egli mi fece conoscere, neppure con una sola parola, quali fossero le sue condizioni finanziarie; nè mai m’indicò la provenienza di tutto quel denaro.

Ella. Oh no.... anche gli altri non avrebbero potuto supporlo.

Sig.ª Bork. Verso gli altri non lo avrei tenuto responsabile; ma verso di me era suo dovere di dire la verità. E la verità non me la disse mai! Menzogne, menzogne, ecco il suo sistema; e m’ingannò sfrontatamente.

Ella (interrompendola). Scaccia dalla testa una simile idea, Gunilde! Borkman non ti ha ingannata — non ha mentito; forse egli credette più opportuno di sottacerti il vero stato delle cose.

Sig.ª Bork. Fa pure questione di parole, se così t’aggrada: il risultato rimane sempre l’identico.... Poi sopravvenne la catastrofe e tutto andò in rovina. Anche tutta l’aureola!

Ella (sopra pensiero). Sì, tutto andò in rovina.... per lui.... ed anche per gli altri.

Sig.ª Bork. (alzandosi minacciosa). Ella.... devo però [8] osservarti, che non mi do ancora per vinta! Oh io saprò bene ancora procurarmi una soddisfazione! Puoi esserne certa!

Ella (con ansia). Vuoi procurarti una soddisfazione? Non ti comprendo....

Sig.ª Bork. Voglio procurarmi una soddisfazione per riabilitare il nome, che andò perduto coll’onore e coll’agiatezza! Voglio avere una soddisfazione per la mia vita trascorsa sì miseramente, comprendi! Sappi che tengo in mio potere un uomo.... un uomo, che deve lavare l’onta del direttore.

Ella. Ma Gunilde! Gunilde!

Sig.ª Bork. (sempre più accalorandosi). Pensa che esiste una mano vendicatrice, la mano di un uomo, che deve riparare a tutto il male che mi fece suo padre!

Ella. Erardo — dunque!

Sig.ª Bork. Sì, Erardo.... il mio diletto figliuolo! Oh egli saprà certamente rialzare le sorti della casa, della famiglia, del nostro nome. Erardo ricostruirà tutto quello che è ancora possibile di rifare.... e forse anche qualche cosa di più.

Ella. E come credi che ciò potrà mai avvenire?

Sig.ª Bork. Avvenga quello che si voglia.... io non lo so. Ma è fuori di dubbio che tutto ciò debba accadere — un giorno o l’altro, (tentando di leggere negli occhi di Ella) E a te, Ella.... non passò mai per la mente una simile idea, allorquando Erardo era ancora bambino?

Ella. Non lo saprei....

Sig.ª Bork. Da senno? E perchè conducesti con te, via di qui, il piccolo Erardo, quando la bufera scoppiò.... sopra questa casa?

Ella. In allora tu non avresti potuto occuparti di Erardo, Gunilde.

Sig.ª Bork. Ah, sì, è vero, è vero. E poi suo padre aveva un motivo ben giustificabile per non poter occuparsi di suo figlio.... era così ben guardato là, dove si trovava....

Ella. Gunilde! Come parli!

Sig.ª Bork. (con tono invelenito). E pensare che ti adattasti ad assumere l’educazione del figlio.... del figlio di un Gian Gabriele, e che lo trattasti come se fosse [9] stato tuo!... Portarmi via il bambino?... andar con lui lontano di qui?... tenerlo tanti anni in casa tua, dove egli trascorse quasi tutta la sua infanzia?... (guardandola con diffidenza) Ma, Ella, spiegami il perchè di tutte queste tue premure verso Erardo? Dimmi perchè lo tenesti tanto tempo sotto la tua vigilanza?

Ella. A poco a poco, Erardo incominciò a volermi tanto bene....

Sig.ª Bork. Più che a me.... sua madre!

Ella (pronta). Non lo so.... e poi Erardo era allora di gracile complessione.

Sig.ª Bork. Gracile? Erardo!

Ella. Almeno mi fece l’impressione.... quella volta. Oltre a ciò, non devi dimenticarti che la temperatura di laggiù, alla costa, è molto più mite di quella di questa regione.

Sig.ª Bork. (sorridendo amaramente). Davvero? più mite? (interrompendosi) Sì, sì, tu hai fatto del bene, molto, ad Erardo. (cambiando tono) Del resto era facile per te, Ella, che ne avevi i mezzi, (sorridendo) La sorte ti fu propizia, Ella! Arrivasti ancora in tempo a salvare tutto il tuo patrimonio!

Ella (compunta). Eppure io non feci neppure un passo per riacquistare il mio denaro.... te l’assicuro. Non potevo supporre — e lo rilevai soltanto molto più tardi — che tutte quelle carte, che erano depositate a mio nome alla Banca.... fossero state risparmiate....

Sig.ª Bork. Bene; bene: io già non me ne intendo di questi affari. Ti ripeto soltanto che fosti molto fortunata. (con sguardo scrutatore) Ma dimmi quale era la tua intenzione, quando, in vece mia, ti decidesti di educare Erardo?

Ella (fissando la sorella). Quale fosse la mia intenzione?

Sig.ª Bork. Avrai avuto pure una intenzione! Mi spiego: cosa volevi fare di Erardo?

Ella (con calma). Volevo facilitargli il cómpito di diventare l’uomo più felice di questo mondo.

Sig.ª Bork. (con sprezzo). Bah! I disgraziati della nostra specie hanno ben altro da fare che di pensare alla felicità!

[10]

Ella. Intenderesti dire....?

Sig.ª Bork. (con gravità). Tutti i pensieri di Erardo dovono essere rivolti tanto in alto, tendere ad un punto sì eccelso, che nessun uomo del paese possa più scorgere l’ombra, in cui suo padre ha voluto gettare me.... e mio figlio.

Ella (indagando). Dimmi, Gunilde: Erardo si è proprio prefissa questa méta per la sua vita....?

Sig.ª Bork. (meravigliata). Oso sperarlo!

Ella. .... o questa méta, alla quale vorresti vederlo indirizzato, non è che un semplice desiderio da parte tua?

Sig.ª Bork. (freddamente). Io ed Erardo abbiamo avuto sempre le stesse aspirazioni.

Ella (accorata; lentamente). Puoi adunque contare in tal modo su tuo figlio, Gunilde?

Sig.ª Bork. (con aria di trionfo). Sì.... grazie a Dio. Puoi esserne convinta!

Ella. Allora, ad onta di tutte le tue disgrazie, devi pur sentirti felice.

Sig.ª Bork. Infatti.... o almeno sotto questo rapporto. — Ma poi, ad ogni istante, rivive il ricordo di quell’altra storia.... e allora nella mia anima si scatena la bufera.

Ella (cambiando tono). Dimmi.... dimmi adunque.... perchè sono venuta qui proprio per questo....

Sig.ª Bork. Ebbene parla! Spiegati!

Ella. Vorrei parlarti di un affare.... ma prima dimmi un po’.... Erardo non abita qui, con voi....?

Sig.ª Bork. (freddamente). Erardo non può abitare qui, con me. Egli devo tenere la sua abitazione in città....

Ella. Lo so da una sua lettera....

Sig.ª Bork. Erardo deve rimanere in città per finire i suoi studi: però egli viene a trovarmi qui ogni sera.

Ella. Allora forse lo potrò vedere qui da te? Sta bene: approfitterò dell’occasione per dirgli qualche cosa.

Sig.ª Bork. Oggi non è ancora venuto, però non può tardare più oltre.

Ella. Eppure, Gunilde.... a quest’ora Erardo deve [11] essere già venuto: sento rimbombare i suoi passi sopra di noi.

Sig.ª Bork. (con uno sguardo fugace). Qui sopra — nel salotto?

Ella. Sì. Ho sentito il rumore dei suoi passi durante tutto il tempo che abbiamo parlato.

Sig.ª Bork. (volgendo altrove gli occhi). Non sono i passi di Erardo, Ella!

Ella (meravigliata). Non è Erardo? (con aria di presentimento) Ma chi è dunque che cammina nel salotto del primo piano?

Sig.ª Bork. Il direttore di Banca.

Ella (con un filo di voce, quasi come se provasse dolore). Gian Gabriele! Gian Gabriele Borkman!

Sig.ª Bork. Passeggia su e giù — da mattina a sera; tutti i giorni — sempre così.

Ella. Mi si raccontò infatti....

Sig.ª Bork. Lo credo. La gente parla qualche volta di noi....

Ella. Lo seppi da Erardo, che in una delle sue lettere mi raccontò che suo padre conduceva una vita solitaria, nel salotto del primo piano. Egli mi scrisse altresì che tu avevi fissato il tuo appartamento al pianterreno.

Sig.ª Bork. Sì, Ella: tiriamo innanzi in questo modo dal giorno in cui lo rimisero in libertà e me lo rimandarono a casa. Pensa, sono già otto lunghi, otto eterni anni, che conduciamo questa vita!

Ella. Non avrei però mai creduto che si dovesse prender per buona moneta tutto ciò che Erardo mi scrisse sul vostro metodo di vita. Mi pareva impossibile....

Sig.ª Bork. (affermando col capo). Tutto verità! D’altronde non poteva essere altrimenti.

Ella (fissandola). Quale orribile vita è la vostra, Gunilde!

Sig.ª Bork. Tormentosa più che orribile.... ed ormai quasi insopportabile.

Ella. Lo comprendo benissimo.

Sig.ª Bork. Sento sempre il rumore dei suoi passi: da mattina a sera.... e come echeggiano qui abbasso!

[12]

Ella. Echeggiano forte, è vero.

Sig.ª Bork. Qualche volta mi sembra che i suoi passi sieno simili a quelli di un lupo ammalato, rinchiuso nel salotto come in una enorme gabbia. (stando per un momento in ascolto) Ascolta, ascolta.... su e giù.... il lupo si muove su e giù....

Ella (con precauzione). E non potrebbe mutarsi questa situazione, Gunilde?

Sig.ª Bork. (pronta). Egli non ha mai fatto nemmeno un passo verso di me.

Ella. E non potresti tu fare il primo?

Sig.ª Bork. (stizzita). Io? dopo quel delitto, che egli commise contro di me!... Grazie tante! Che il lupo resti pure nel salotto, dove potrà muoversi a suo talento.

Ella. Il caldo si fa sempre più sentire in questa stanza. Se permetti, vorrei mettermi un po’ in libertà.

Sig.ª Bork. Te lo dissi già prima....

(Ella Rentheim depone il mantello ed il cappellino sopra una sedia accanto alla porta d’ingresso.)

Ella. E non accado mai che tu l’incontri fuori di casa?

Sig.ª Bork. (con riso amaro). Intendi di dire: in qualche famiglia di conoscenti?

Ella. No, quando egli esce di casa per pigliare una boccata d’aria fresca — laggiù nel bosco o....

Sig.ª Bork. Il direttore non esce mai di casa.

Ella. Nemmeno verso sera?

Sig.ª Bork. Mai.

Ella (scossa). Non può fare uno sforzo?

Sig.ª Bork. Pare di no. Il suo vecchio pastrano ed il suo cappello a cencio sono appesi in quell’armadio incassato nel muro.... vicino al portone.... te ne rammenti?

Ella (quasi fra sè). L’armadio in cui da bambine abbiamo giuocato tante volte....

Sig.ª Bork. (affermando col capo). Qualche volta — verso sera — lo sento scendere dal salotto.... come se volesse vestirsi ed andar fuori. Ma di solito egli si ferma già a mezza scala.... e ritorna nel salotto dove ricomincia la sua passeggiata.

[13]

Ella. (con voce sommessa). E non viene mai a trovarlo qualcuno dei suoi vecchi amici?

Sig.ª Bork. Egli non ha nessun vecchio amico.

Ella. Eppure.... una volta egli aveva molti amici.

Sig.ª Bork. Ehm! egli seppe rompere quelle amicizie in un modo veramente ammirabile. Gian Gabriele finì col diventare per gli amici.... un amico troppo prezioso.

Ella. Hai ragione, Gunilde.

Sig.ª Bork. (impetuosamente). Del resto devo confessare che fu vile, indegno, abominevole da parte dei suoi amici di dare tanta importanza a quelle insignificanti perdite, che dovettero subire per causa sua. Alla fine non perdettero che un po’ di denaro: più in là niente.

Ella (senza darle ascolto). Sicchè egli vive lassù nel salotto, solo, tutto in balìa di sè stesso.

Sig.ª Bork. Probabilmente: mi hanno raccontato però che qualche volta lo viene a trovare un vecchio impiegato, uno scrivano.

Ella. Sarà sicuramente un certo signor Foldal. So che questo signore e Borkman sono amici d’infanzia.

Sig.ª Bork. È possibile: io però non lo conosco. Questo signor Foldal non faceva parte del nostro circolo.... del nostro circolo d’una volta.

Ella. E adesso egli viene a tener compagnia a Borkman?

Sig.ª Bork. Il signor Foldal forse non avrà una numerosa cerchia di amici: naturalmente il suo impiego non gli permette di andare da lui che sull’imbrunire.

Ella. Questo signor Foldal fu anche uno di quelli, che ci rimisero del denaro all’epoca del fallimento della Banca.

Sig.ª Bork. (schermendosi). Mi sembra, infatti, di ricordarmi che il poveretto perdette in quell’occasione un po’ di denaro. Però la sua perdita sarà stata ben poca cosa....

Ella (facendo un po’ risaltare le parole). Vi perdette tutto il suo patrimonio.

Sig.ª Bork. (sorridendo). Sì, tutto il suo patrimonio.... [14] è vero; ma la sua sostanza era tanto insignificante, che non vale la pena di spendervi altro parole.

Ella. E Foldal non spese neppure una parola su quell’argomento.... durante il dibattimento.

Sig.ª Bork. Posso però assicurarti che Erardo indennizzò generosamente il signor Foldal della bagatella che il pover uomo perdette alla Banca.

Ella (stupefatta). Erardo! Ma come mai gli fu possibile d’indennizzarlo?

Sig.ª Bork. Erardo si prese cura della figlia minore del signor Foldal. Ora grazie agli sforzi di Erardo essa ha un’educazione, che le permetterà di farsi fra breve una posizione indipendente e più che discreta. Capirai che ciò vale molto di più di quello che avrebbe potuto fare per lei suo padre.

Ella. È vero — tanto più che il vecchio Foldal deve trovarsi in condizioni finanziarie poco floride.

Sig.ª Bork. Nota poi che Erardo si occupò a tal segno della educazione della ragazza, da farle apprendere anche un po’ di musica. E la ragazza fece tali progressi, che ora può andare.... da lui.... qui sopra, nel salotto, e può suonargli qualche pezzo.

Ella. Dunque egli è ancor sempre tanto appassionato per la musica?

Sig.ª Bork. Certo. C’è sopra il pianoforte, che tu ci mandasti.... quando egli era aspettato qui....

Ella. Sicchè è proprio su quel pianoforte che ora suona la ragazza?

Sig.ª Bork. Sì, — la ragazza viene qualche sera a fargli un po’ di musica. — E tutto ciò lo si deve ad Erardo.

Ella. Ma dimmi: la giovane Foldal deve fare ogni volta quel lungo tratto di strada per venir qui e per poi ritornare in città?

Sig.ª Bork. Non è necessario. Erardo le ha procurato un’occupazione presso una giovane signora, che sta qui nella vicinanza: la signora Wilton....

Ella (impressionata). La signora Wilton!

Sig.ª Bork. Una signora molto ricca, che tu non conosci.

Ella. Ne conosco il nome. La signora Fanny Wilton.... hai detto?

[15]

Sig.ª Bork. Sì.

Ella. Erardo me ne parlò sovente nelle sue lettere. E questa signora Wilton abita ora qui vicino a voi?

Sig.ª Bork. Ha preso a pigione una villa non lungi dalla nostra: devi sapere che la signora Wilton ha abbandonato la città soltanto da poco tempo.

Ella (esitante). Si vocifera che la signora Wilton viva separata dal marito.

Sig.ª Bork. Credo che il marito sia morto da parecchi anni.

Ella. È vero: ma in ogni caso il divorzio ci fu.... il marito si fece separare da lei....

Sig.ª Bork. Il marito la abbandonò: ecco la sola verità. In tutta quella faccenda la signora Wilton non ebbe ombra di colpa.

Ella. Sei in una certa intimità con lei, Gunilde?

Sig.ª Bork. Così, così. Come ti dicevo, la signora Wilton abita qui vicino e qualche volta mi viene a visitare.

Ella. Ti è anche simpatica?

Sig.ª Bork. Oh è tanto intelligente! Ha un modo di giudicare le cose tanto esatto; tanto chiaro!

Ella. E sa giudicare bene anche gli uomini?

Sig.ª Bork. Sì, soprattutto gli uomini. Su Erardo, per esempio, la signora Wilton ha fatto addirittura uno studio speciale — uno studio profondo, fino nell’anima. Ed è perciò che egli la porta ai sette cieli.... il che è ben naturale.

Ella (indagando). Sicchè lei è in maggiore intimità con Erardo che con te?

Sig.ª Bork. Erardo ebbe maggior occasione di incontrarla in città.... ancor prima che la signora Wilton si fosse decisa di venire ad abitare in campagna.

Ella (sopra pensiero). Ah dunque quella signora si è alla fine decisa di venire ad abitare vicino a voi....

Sig.ª Bork. (guardandola con sdegno). Che cosa intendi di dire con queste parole?

Ella (tentando di eludere la domanda). Dio buono! Volevo dire....

Sig.ª Bork. Quelle parole sulle tue labbra mi parvero strane, Ella! Tu volevi certamente alludere a qualche cosa.

[16]

Ella (fissandola con uno sguardo energico). Infatti, Gunilde, io volevo dirti qualche cosa.

Sig.ª Bork. Dunque parla!

Ella. Anzitutto devo farti osservare che io tengo un certo diritto su Erardo, o almeno così mi pare.... Forse me lo negherai?

Sig.ª Bork. (volgendo lo sguardo verso la parete). Dio me ne guardi bene! Tutto il denaro che sborsasti per la sua educazione....

Ella. Oh non è per il denaro, Gunilde! È perchè io porto affetto a tuo figlio....

Sig.ª Bork. (ironica). A mio figlio? Sarebbe mai possibile? Tu? Ad onta di tutto quello che è avvenuto?

Ella. È possibile, sì.... e ad onta di quanto è avvenuto. È proprio così. Nutro un vivo affetto per Erardo: l’amo come potrei amare un uomo.... ora, alla mia età.

Sig.ª Bork. È possibile; ma....

Ella. È perciò, vedi, che m’affanno e mi torturo quando penso che esiste qualche pericolo per lui.

Sig.ª Bork. Qualche pericolo per Erardo? Ma quale è mai questo pericolo? Chi glielo minaccia?

Ella. In prima linea tu.... sì, tu.... a tuo modo....

Sig.ª Bork. (con impeto). Io!

Ella. .... sì; in secondo luogo quella signora Wilton.... almeno lo suppongo.

Sig.ª Bork. (dopo averla guardata per qualche tempo). Come lo giudichi male! Il mio Erardo! Mio figlio! Erardo, che ha da compiere una grande missione!

Ella (con isprezzo). Quale missione?

Sig.ª Bork. (sdegnata). E me lo domandi con quell’aria di sprezzo!

Ella. Ma credi forse che un giovanotto dell’età di Erardo.... credi forse che un giovane sano ed allegro abbia voglia di sacrificarsi per.... quella tal missione!

Sig.ª Bork. (con intima convinzione). Erardo la compierà! Ne sono certa.

Ella (scuotendo il capo). Gunilde, tu stessa non ne sei certa e non vi presti nemmeno fede.

Sig.ª Bork. Non prestarvi fede? Io?

[17]

Ella. I tuoi sono sogni e nulla più; senonchè, — lo comprendo bene — senza quei sogni, la tua vita precipiterebbe senza dubbio nella disperazione.

Sig.ª Bork. È vero; ciò costituirebbe per me una vita di disperazione! (con violenza) Dimmi, Ella! Vedresti tu di buon occhio una simile soluzione?

Ella (alzando il capo in alto). Sì: la vedrò di buon occhio.... se non saprai far di meglio che imporre un giogo ad Erardo.

Sig.ª Bork. Dunque tu vuoi intrometterti fra noi due! Fra madre e figlio! Tu!

Ella. Io voglio liberarlo dalle tue mani.... dal tuo giogo.... dalla tua tirannide.

Sig.ª Bork. (con aria di trionfo). Non vi riescirai. Erardo rimase in tuo potere.... sino ai quindici anni. Ora me lo sono riacquistato io — comprendi!

Ella. Oh io saprò riprendertelo! (a voce bassa) D’altronde noi due, Gunilde, abbiamo lottato un’altra volta per un uomo.... ed all’ultimo sangue.

Sig.ª Bork. (con aria di tripudio). Sì, ma in allora fui io la vincitrice.

Ella (ironica). Persisti ancora nel credere che quella vittoria fosse per te proprio una conquista?

Sig.ª Bork. (cupa). No; purtroppo.

Ella. Anche dalla lotta, che ora stiamo per impegnare, non potrai aspettarti una vittoria.

Sig.ª Bork. Ma non sarà per me una vittoria il poter conservare l’autorità materna sopra Erardo?

Ella. No, perchè tu vuoi conservare sopra tuo figlio soltanto una specie di tirannia!

Sig.ª Bork. E tu, invece, a che tendi? quali sono le tue intenzioni?

Ella (con calore). Io voglio far mio il suo carattere così affettuoso.... la sua anima.... tutto il suo cuore...!

Sig.ª Bork. Non vi riescirai mai!

Ella (fissandola). Hai preso dunque tutte le precauzioni per difendere il potere che vanti su Erardo?

Sig.ª Bork. (sorridendo). Sì: mi sono permessa di prendere tutte le precauzioni immaginabili. — Ma dalle lettere, che ti scriveva Erardo, non traspariva proprio nulla di tutto questo cambiamento subentrato nel frattempo?

[18]

Ella (affermando lentamente col capo). Sì. A poco a poco il tuo io s’era infiltrato in tutti i suoi scritti.

Sig.ª Bork. (pungente). Per arrivare a questo risultato adoperai tutti gli ott’anni.... da quando lo riebbi.... sai.

Ella (frenandosi). E cosa dicesti a Erardo sul conto mio? Si potrebbe saperlo?

Sig.ª Bork. Sì — certo!

Ella. Dillo adunque!

Sig.ª Bork. Io non gli dissi che la verità!

Ella. Quale verità?

Sig.ª Bork. Io gli ripetevo sempre e poi sempre di ricordarsi con gratitudine che dovevamo unicamente a te l’attuale nostra posizione, la nostra esistenza.

Ella. E poi? Continua....

Sig.ª Bork. T’assicuro — lo so per esperienza — tali ricordi non si cancellano nè si dimenticano mai....

Ella. Ma tutto questo Erardo lo sapeva ancor prima di ritornare a casa sua.

Sig.ª Bork. Quando egli ritornò qui, da me, Erardo supponeva ancora che tutte le tue cure e tutte le tue premure verso di lui non fossero che il frutto di un cuor d’oro, (con sguardo raggiante di gioia) Ora non lo crede più, Ella!

Ella. Ed a che cosa crede adesso?

Sig.ª Bork. Ora crede alla realtà dei fatti. Un giorno gli domandai come potesse spiegarsi che la zia Ella non venisse mai a trovarci....

Ella (interrompendola). Oh Erardo ne sapeva già prima il motivo!

Sig.ª Bork. Ora però lo sa meglio. Tu avevi trasfuso in lui la convinzione che ciò accadeva per un riguardo verso di me.... e verso l’uomo di quassù — del salotto....

Ella. È vero: fu proprio così.

Sig.ª Bork. Ma di quella convinzione non è rimasta ora in Erardo nemmeno una traccia.

Ella. E come mai potesti supplire a quella sua convinzione?

Sig.ª Borke. Ora egli crede alla realtà: egli crede che tu ti vergogni di noi.... che tu ci disprezzi. — Non [19] corrisponde tutto ciò alla realtà? Ci fu un’epoca, in cui accarezzasti il progetto di staccare Erardo completamente da me? Rifletti un po’, Ella — te ne rammenti?

Ella (cercando di scansare la domanda). Fu all’epoca, in cui lo scandalo aveva raggiunto la sua più scabrosa fase — quando l’affare era stato già deferito al Tribunale.... Ormai ho mutato pensiero.

Sig.ª Bork. Però, anche se ciò fosse vero, il tuo desiderio non ne guadagnerebbe gran cosa. Pensa alla missione di Erardo! Che succederebbe della sua missione? No.... no. Sono io che ho bisogno di lui.... non tu.

Ella (freddamente, ma insoluta). È quello che vedremo! Sappi intanto che mi sono decisa di rimanere qui.

Sig.ª Bork. (trasalendo). Qui — nella villa?

Ella. Sì — qui.

Sig.ª Bork. Qui — da noi? Per questa notte?

Ella. Voglio chiudere i miei giorni in questa villa, se così sta scritto nel mio destino!

Sig.ª Bork. (calmandosi). È giusto, Ella.... d’altronde la villa è tua.

Ella. Ma che!...

Sig.ª Bork. Tutto quello che vedi qui appartiene a te. È tua la sedia che occupo: è tuo il letto sul quale passo tante notti insonni, agitate.... sì, anche tutto ciò che ci viene giornalmente servito a tavola, lo dobbiamo esclusivamente a te.

Ella. Infatti non è possibile altrimenti. Borkman non può più posseder nulla: in caso contrario potrebbe venir qui qualcuno dei suoi creditori e portargli via tutto.

Sig.ª Bork. Oh lo so bene! La nostra posizione è tale che per campare dobbiamo accontentarci di dipendere dalla tua carità e dalla tua misericordia.

Ella (freddamente). Gunilde! Non posso proibirti di interpretare in tal senso l’attuale stato delle cose.

Sig.ª Bork. No, non lo puoi.... E dimmi, quando ho da principiare a sgomberare?

Ella (fissandola). Pensi di sloggiare?

Sig.ª Bork. (agitata) Sì, voglio sloggiare: perchè non [20] crederai già che io sia disposta di vivere con te, nella stessa villa, sotto lo stesso tetto! No — piuttosto all’ospedale o sulla strada!

Ella. Bene. Allora acconsenti che Erardo parta con me....

Sig.ª Bork. Erardo! Mio figlio! Mio figlio!

Ella. Se l’acconsenti, parto subito.

Sig.ª Bork. (dopo aver riflettuto per un istante). Lascio ad Erardo la scelta fra noi due.

Ella (con dubbio). La scelta ad Erardo?... e l’osi, Gunilde?

Sig.ª Bork. (ridendo forte). Se l’oso? Lasciar libera la scelta fra sua madre e te, ad Erardo? Sì, l’oso.

Ella (ascoltando). È arrivato qualcuno! Mi pare di sentire rumore di passi....

Sig.ª Bork. Sarà Erardo!

(Bussano alla porta d’ingresso, che s’apre. La signora Wilton, in abito di visita e mantello, entra nella stanza: la segue la cameriera, come se volesse scusarsi di non essere arrivata in tempo per annunziare la visita.)

SCENA II. La Signora Borkman, Ella Rentheim, la Signora Wilton, la Cameriera; poi Erardo Borkman.

(La signora Wilton, una figura di rara bellezza, è sulla trentina: ha splendidi capelli castano-oscuri; le sue labbra, rosse e fresche, sono atteggiate a sorriso.)

Sig.ª Wil. Buona sera, mia cara signora Borkman.

Sig.ª Bork. (un po’ brusca). Buona sera, signora Wilton. (alla cameriera, additando la lampada che trovasi nella veranda) Portate fuori quella lampada od accendetela. (la cameriera eseguisce e parte)

Sig.ª Wil. (accorgendosi della presenza di Ella Rentheim). Le domando scusa, signora Borkman.... credevo che la signora fosse sola....

[21]

Sig.ª Bork. Non si faccia riguardi! (presentando Ella Rentheim) Mia sorella, arrivata or ora.

(Erardo Borkman, un giovanotto elegantemente vestito, dall’aspetto gaio, entra frettolosamente dalla porta d’ingresso.)

Erardo (sull’uscio, raggiante di gioia). È possibile! La zia Ella da noi? (correndo incontro alla zia ed afferrandola per le mani) Zia! Zia! Tu qui?

Ella (gettandogli le braccia al collo). Erardo! Il mio caro e buon Erardo! Oh come ti sei fatto grande! Quale gioia di poterti rivedere!

Sig.ª Bork. (brusca). Erardo!... Non ti comprendo.... perchè hai ritardato?

Sig.ª Wil. (pronta). Erardo.... il signor Borkman mi ha accompagnato qui da lei....

Sig.ª Bork. (scrutando Erardo con lo sguardo). Ah, è così, Erardo! Invece di venire prima da tua madre....

Erardo. Fui un momento dalla signora Wilton.... per prendere la piccola Frida.

Sig.ª Bork. E dov’è la signorina Foldal?

Sig.ª Wil. Aspetta nell’anticamera.

Erardo (per l’uscio aperto). Vada pur sopra, Frida.

(Pausa. Ella Rentheim sta osservando Erardo, che sembra impacciato ed impaziente; ad un tratto il di lui viso assume un’espressione pensierosa.)

(La cameriera entra con la lampada accesa, che depone nella veranda: poi esce e chiude la porta.)

Sig.ª Bork. (con affettata galanteria). Dunque, signora Wilton.... se vuole passare la serata in nostra compagnia.... allora....

Sig.ª Wil. La ringrazio infinitamente, signora Borkman: ma non era questa la mia intenzione. Siamo stati invitati altrove: siamo attesi dall’avvocato Hinkel....

Sig.ª Bork. (fissando la signora Wilton). Sono invitati? Chi?

Sig.ª Wil. (sorridendo). Veramente, non ci sono invitata che io. I signori Hinkel, però, mi incaricarono.... se lo avessi incontrato per combinazione.... d’invitare anche il giovane signor Borkman.

Sig.ª Bork. Ciò che avvenne, mi pare....

Sig.ª Wil. Sì — per una fortunata combinazione: venendo da me.... per la piccola Frida....

[22]

Sig.ª Bork. (seccamente). Non sapevo che mio figlio conoscesse quella famiglia.... la famiglia dell’avvocato Hinkel.

Erardo (stizzito). Infatti non la conosco. (un po’ impaziente) Del resto, mamma, tu conosci meglio di me le famiglie che sono solito di praticare, e quelle, con le quali non mi trovo in relazione!

Sig.ª Wil. Ma che! È tanto facile di entrare in relazione con quella famiglia! In casa Hinkel convengono sempre molti giovanotti allegri e simpatici, ed uno sciame di belle ragazze.

Sig.ª Bork. (con calore). Conoscendo a fondo mio figlio, dovrei arguire che in quella società egli non dovrebbe trovarsi molto bene.

Sig.ª Wil. Ma, signora Borkman, al postutto anche suo figlio è giovane.

Sig.ª Bork. È giovane, sì, grazie al Cielo. Sarebbe infatti triste....

Erardo (mal reprimendo la sua impazienza). Sì, sì, buona mamma.... è naturale che io non andrò questa sera dai signori Hinkel. Resterò qui con te e con la zia Ella.

Sig.ª Bork. Lo sapevo bene, Erardo mio....

Ella. No, no, Erardo, tu non devi trattenerti qui per cagion mia....

Erardo. Ma no, cara zia: non parliamone più — sia come non detto! (guardando la signora Wilton — con aria d’imbarazzo) Come si fa ora? Siamo ancora in tempo? La signora Wilton ha già aderito all’invito.... a nome mio.

Sig.ª Wil. (ilare). Baie! Siamo ancora in tempo. Quando mi troverò in quei salotti tanto brillanti e tanto simpatici.... sola, senza compagnia.... non dubiti.... presenterò le dovute scuse.... a nome suo.

Erardo (sempre con imbarazzo). Se fossimo ancora in tempo....

Sig.ª Wil. (spensieratamente). Ho accettato tante volte degli inviti per poi rifiutarli.... a nome mio. E vorrebbe lasciare la zia, che è arrivata da poco? Uh, monsieur Erardo.... non sarebbe un comportarsi da bravo figliolo!

Sig.ª Bork. (tocca). Da bravo figliolo?

[23]

Sig.ª Wil. Via, signora Borkman, mi correggo: volevo dire, da bravo figlio adottivo.

Ella. Ben detto; così mi piace.

Sig.ª Wil. Ad ogni modo parmi si debba portare più gratitudine ad una brava madre adottiva che alla propria madre.

Sig.ª Bork. Lo dice per esperienza?

Sig.ª Wil. Ah.... ho conosciuto tanto poco mia madre. Se però avessi avuto anch’io una madre adottiva tanto buona.... forse non sarei cresciuta così.... così indisciplinata.... come mi chiama il mondo. (verso Erardo) Dunque, signor studente, adesso si resta a casa con la mamma e con la zia.... a prendere il tè! (verso le due signore) Buona sera, signora Borkman! Signorina, addio.

(La signora Borkman ed Ella Rentheim la salutano col capo: la signora Wilton s’avvia all’uscio.)

Erardo (tenendole dietro). Posso accompagnarla — per un breve tratto?

Sig.ª Wil. (sull’uscio, opponendosi). No, non glielo permetto — neppure un passo di più: sono tanto abituata di fare da sola la mia strada. (guardandolo fissamente e tentennando il capo) Ora però, signor studente, si guardi bene.... si guardi bene — glielo ripeto!

Erardo. Di che?

Sig.ª Wil. Andando adesso via da questa casa, per la mia strada.... sola, senza compagnia.... voglio provare la mia forza ipnotica su lei.

Erardo (ridendo). Dunque vuole provare la sua forza ipnotica ancora una volta su me?

Sig.ª Wil. (in tono semiserio). Stia bene in guardia! Andando ora via da qui, ripeterò fra me e me, con tutte le forze della mia volontà: Erardo Borkman — signor studente Borkman.... prenda il cappello!

Erardo. E lo studente prenderà il cappello? Crede?

Sig.ª Wil. (ridendo). Oh se lo credo! Egli prenderà subito il suo cappello. Poi io dirò: Erardo Borkman, da bravo, infili il soprabito! E prenda le soprascarpe di gomma! Non se le dimentichi, sa! E mi segua! Suvvia — m’obbedisca! Da bravo!

[24]

Erardo (con ilarità forzata). Non ne dubiti.... obbedirò!

Sig.ª Wil. (con l’indice teso). Sempre così obbediente!... Buona notte! (ride, saluta le signore e chiude dietro a sè la porta)

SCENA III. La Signora Borkman, Ella Rentheim, Erardo Borkman.

Sig.ª Bork. È poi vero che la signora Wilton possa esercitare sugli altri una forza ipnotica?

Erardo. Neppure per sogno! Come puoi prestar fede ad un simile scherzo? La signora Wilton scherzava.... ecco tutto. (interrompendola) Ora non parliamo più della signora Wilton.

(Erardo obbliga la zia di prender posto sul seggiolone accanto la stufa.)

Erardo (accanto alla zia e fissandola). Come ti sei decisa di fare questo lungo viaggio, zia Ella? E per sopra più con questo freddo!

Ella. Vi fui costretta, Erardo.

Erardo. Davvero? E perchè?

Ella. Ho dovuto decidermi a venir in città per consultarmi una buona volta coi medici.

Erardo. Brava zia!

Ella (sorridendo). Ne sei contento?

Erardo. Certo; godo che finalmente ti sia decisa a venire in città.

Sig.ª Bork. (alzandosi dal sofà; fredda). Ella, sei ammalata?

Ella (guardandola con severità). Lo sai bene che sono ammalata.

Sig.ª Bork. So infatti che da parecchi anni sei un po’ sofferente....

Erardo. Già all’epoca del mio soggiorno in casa tua, ti raccomandai più d’una volta di consultare qualche medico.

Ella. Non ho nessuna fiducia nei medici del mio [25] paese: e poi in quell’epoca la malattia non aveva ancora raggiunto la fase attuale.

Erardo. E adesso?

Ella. Adesso è subentrato un peggioramento.

Erardo. Fortunatamente non ci sarà pericolo?

Ella. È questione di opinioni.

Erardo (premuroso). Ma ora non ritornerai a casa, non ci lascerai tanto presto?

Ella. No, no; ora voglio rimanere qui.

Erardo. Probabilmente ti fermerai in città, dove ci sono parecchi medici di grido?

Ella. Partendo da casa avevo anche io quest’intenzione....

Erardo. Procura di trovarti un buon alloggio.... una pensione tranquilla e comoda.

Ella. Stamane ho preso alloggio all’antico albergo, dove ero solita prender stanza anche negli anni passati....

Erardo. Ti troverai ottimamente in quell’albergo?

Ella. Ottimamente; però penso di non rimanervi a lungo.

Erardo. Ed il motivo?

Ella. Dacchè mi trovo in questa casa ho cambiato idea.

Erardo (con meraviglia). Hai cambiato idea?

Sig.ª Bork. (tutt’intenta nel suo lavoro, senza alzare gli occhi). Tua zia vuol prendere dimora nella sua villa, Erardo.

Erardo (guardando ora la madre, ora la zia). Qui? Da noi? Nella sua villa?... È vero, zia?

Ella. È questa la decisione che ho preso poco fa.

Sig.ª Bork. (come sopra). Spero bene che non avrai dimenticato che in questa villa tutto è di proprietà di tua zia.

Ella. Ormai ho stabilito di rimanere qui, Erardo; almeno per il momento e sino a nuova deliberazione. Mi farò accomodare un appartamento nell’edifizio abitato dal fattore.

Erardo. Ottima idea! Quelle stanze sono sempre pronte per te. (con improvvisa vivacità) Ora che ci penso, zia.... tu sarai stanca del viaggio?

Ella. Sì, sono un po’ stanca.

[26]

Erardo. Perciò sarebbe bene che ti coricassi per tempo.

Ella (sorridendogli). Lo farò.

Erardo (premuroso). Continueremo le nostre chiacchiere domattina.... o un altro giorno. Parleremo di quello che più t’aggradirà: di cose vecchie e di nuove.... E la mamma sarà pure con noi.... Ti pare?

Sig.ª Bork. (interrompendolo ed alzandosi dal sofà). Erardo.... comprendo bene che tu vuoi congedarti da me!

Erardo (scrollando le spalle). Che dici?

Sig.ª Bork. Dico che tu hai vivissimo desiderio di andare dall’.... dall’avvocato Hinkel!

Erardo (sopra pensiero). Infatti vorrei.... (ritornando in sè) Ti parrebbe forse miglior cosa se io rimanessi piuttosto a casa per intrattenere la zia Ella fino ad ora tarda?... Pensa che la zia è ammalata!

Sig.ª Bork. Vuoi dunque andare in casa Hinkel?

Erardo. Sì, mamma.... mi pare che sarebbe bene di approfittare di quell’invito. Che ne pensi, zia?

Ella. Penso che nelle tue azioni sei completamente libero, Erardo.

Sig.ª Bork. (avvicinandosi minacciosa ad Ella). Tu vuoi adunque portarmelo via!

Ella (alzandosi). Oh se lo potessi, Gunilde!

(Al di sopra, nel salotto, si odono gli accordi di un pianoforte.)

Erardo (stizzito). Questo poi non lo posso sopportare. (cercando intorno con gli occhi) Dov’è il mio cappello? (ad Ella) Zia, conosci il pezzo di musica, che si sta suonando qui sopra?

Ella. No — non lo conosco, Erardo.

Erardo. È la danse macabre — la danza macabra. Non conosci, zia, la danza dei morti?

Ella (con sorriso melanconico). Non ancora.

Erardo. .... Mamma.... te ne supplico.... lasciami uscire.

Sig.ª Bork. (guardandolo con uno sguardo severo). Vuoi dunque lasciare tua madre?

Erardo. Ritornerò più tardi.... domani.

Sig.ª Bork. (in preda a violenta agitazione). Vuoi tu dunque lasciarmi per andare da quel signore, per andare da.... no, no; non voglio nemmeno pensarvi!

[27]

Erardo. Mamma — nei salotti splendidamente illuminati di quel signore, non si vedono che facce allegre e raggianti di giovinezza.... vi si fa della buona musica....

Sig.ª Bork. (indicando il salotto superiore). Anche là sopra si fa della musica, Erardo.

Erardo. Ed è proprio la musica.... la musica di là sopra che mi obbliga ad uscire di casa.

Ella. Vorresti forse proibire a tuo padre di obbliare, per un momento, sè stesso!

Erardo. Oh no! Vorrei anzi che quell’obblio avesse su lui un’efficacia ben più duratura. Ma quella musica io non la posso soffrire.

Sig.ª Bork. (con aria d’ammonizione). Sii forte, Erardo mio! Sii forte! Non dimenticarti che t’incombe una grande missione.

Erardo. Mamma.... non sciorinarmi tanti paroloni! Non sono nato per fare il missionario! Addio, buona zia! Addio, mamma! (esce in fretta)

SCENA IV. La Signora Borkman e Ella Rentheim.

Sig.ª Bork. (dopo breve pausa). Ella, tu lo attirerai ancor una volta nelle tue reti!

Ella. Potessi almeno crederlo!

Sig.ª Bork. Ma, vedrai, lo dominerai soltanto per poco tempo.

Ella. Perchè tu mi opporrai degli ostacoli, nevvero?

Sig.ª Bork. Io o lei.... quell’altra.

Ella. Fra le due — meglio lei che te.

Sig.ª Bork. (affermando lentamente col capo). Ti comprendo. E lo dico anch’io: meglio lei che me.

Ella. Anche se ciò dovesse condurlo....?

Sig.ª Bork. Avvenga quello che ha da avvenire!

Ella (prende il mantello ed il cappellino). È la prima volta, in questo mondo, che andiamo d’accordo — noi, le due gemelle! — Buona notte, Gunilde. (fuori per l’uscio d’ingresso)

[28]

(Il pianoforte diffonde sempre più forte e più distinta la sua voce.)

Sig.ª Bork. (rimane per un momento immobile: poi stringendosi nelle spalle e come accasciata dal dolore mormora:) Il lupo ùlula di nuovo! Il lupo ammalato! (Pausa. — Gettandosi quindi a terra e singhiozzando, mormora con voce dolorosa:) Erardo, Erardo.... non abbandonarmi! Ritorna e vieni a soccorrere tua madre! Perchè non posso sopportare più a lungo questa vita.

FINE DELL’ATTO PRIMO.

[29]

ATTO SECONDO.

L’antico salotto di ricevimento nulla villa Rentheim. Le pareti sono coperte di antichi gobelins sbiaditi e rappresentanti scene pastorali e di caccia. Alla parete sinistra, porta a due battenti: più avanti un pianoforte. Nell’angolo a sinistra, in fondo, una porta senza incorniciatura, con cortine. Addossata nel mezzo della parete di destra una grande scrivania di quercia intagliata con molti libri e carte. Più avanti, a destra, un sofà, un tavolo e sedie. Tutto l’ammobiliamento è in istile empire. Sulla scrivania e sul tavolo, lampade accese.

SCENA PRIMA. Borkman e Frida Foldal.

(Gian Gabriele Borkman è in piedi, vicino al pianoforte, con le mani sul dorso e sta ascoltando Frida Foldal, che suona le ultime note della “Danse Macabre„.)

(Borkman è un uomo sui sessant’anni, di media statura, di robusta complessione. Ha l’aspetto grave ed il profilo fine; occhi penetranti; barba e capelli grigi, ricciuti. Veste un abito nero, fuori di moda; al collo una cravatta bianca. — Frida Foldal è una leggiadra fanciulla sui quindici anni; il viso pallido porta tracce di stanchezza. Veste un abito di color chiaro con poche guarnizioni.)

(Il pezzo di musica è ormai finito. — Pausa.)

Bork. Indovini un po’ dove ho sentito per la prima volta questo pezzo di musica?

Frida. Non lo saprei....

[30]

Bork. Giù — nelle miniere.

Frida (sorpresa). Davvero? Nelle miniere?

Bork. Lei sa bene che io sono figlio di minatori! O forse non le era noto questo particolare della mia nascita?

Frida. No, signor Borkman.

Bork. Sì, sono figlio di minatori. Qualche volta mio padre mi conduceva giù, nelle miniere. — E nelle miniere il metallo fa sentire la sua voce.

Frida. Il metallo può adunque anche cantare?

Bork. (affermando col capo). Sì, esso fa sentire la sua voce quando viene staccato dalla roccia. I colpi dei martelli che lo staccano.... sono la squilla della mezzanotte che echeggia laggiù nelle viscere della terra e che lo rende libero. Ed è perciò che il metallo, ebbro di gioia, canta.... a suo modo sì.... ma canta.

Frida. E perchè canta, signor Borkman?

Bork. Perchè vuol vedere la luce del giorno e perchè vuol rendere servigi all’umanità.

(Passeggia su e giù per il salotto, con le mani sempre sul dorso.)

Frida (rimane seduta ancora per qualche istante, poi, data un occhiata sul suo orologio, s’alza). Scusi, signor Borkman.... ma ora devo andarmene.

Bork. (fermandosi dinanzi a lei). Vuole già andare?

Frida (riponendo il pezzo nel suo portamusica). Lo devo; sono invitata altrove stasera.

Bork. In qualche riunione famigliare?

Frida. Precisamente.

Bork. E pensa anche di prodursi in quella riunione?

Frida (mordendosi le labbra). No: ho da suonarvi soltanto un po’ di musica da ballo.

Bork. Soltanto un po’ di musica da ballo?

Frida. Sì; dopo la cena, i padroni di casa vogliono che gli invitati facciano qualche giro di valzer.

Bork. (guardandola per qualche tempo). E suona lei volontieri la musica da ballo — nelle famiglie?

Frida (infilando il mantello). Sì, se mi mandano a chiamare.... c’è sempre da guadagnare qualche inezia.

Bork. (scrutandola). E pensa al guadagno anche quando sta suonando quella musica?

[31]

Frida. No; penso invece quanto meglio sarebbe se anch’io potessi prender parte alle danze.

Bork. (affermando col capo). Ecco proprio quello che mi interessava di sapere. (camminando — con inquietudine) È verissimo: il non poter prendere parte alle danze deve essere qualche cosa di penoso! (si ferma) Lei, però, Frida, può facilmente trovare un compenso per quel suo desiderio irrealizzabile!

Frida. In qual modo?

Bork. Con tutta quella musica che lei ha nell’anima, mentre tutte quelle coppie danzanti non ne hanno nemmeno la decima parte!

Frida (con un sorriso evasivo). Veramente io non so se questo sia proprio il mio caso!

Bork. (coll’indice teso in atto di farle un’ammonizione). Spero bene che non sarà tanto pazza da mettere in dubbio la sua fama di buona pianista!

Frida. Ma se nessuno s’accorge di queste mie qualità....!

Bork. Basta che le conosca lei. — E dove va a suonare stasera?

Frida. Dall’avvocato Hinkel.

Bork. (con sguardo sdegnato). Da Hinkel, ha detto?

Frida. Sì.

Bork. (con riso sardonico). E quell’uomo dà ricevimenti a casa sua? Oh come mai può colui adescare della gente nei suoi salotti?

Frida. Eppure la signora Wilton mi assicurò che ai ricevimenti di casa Hinkel intervengono molte persone.

Bork. (con impeto). Ma che razza di persone? Mi può nominarne qualcuna?

Frida (un po’ timidamente). No; non so dirle nemmeno un nome. Aspetti, aspetti.... ora mi ricordo.... mi hanno assicurato che anche il giovane signor Borkman andrà questa sera in quella casa.

Bork. (sorpreso). Erardo? Mio figlio?

Frida. Sì, vi sarà anche lui stasera.

Bork. E come lo sa?

Frida. Me lo disse lo stesso signor Erardo, circa un’ora fa.

Bork. Dunque oggi mio figlio è venuto qui fuori?

[32]

Frida. Sì, ha passato tutto il pomeriggio in casa della signora Wilton.

Bork. (con sguardo indagatore). E non saprebbe dirmi se egli sia stato anche quaggiù e se abbia parlato con qualcheduno?

Frida. Sì: il signor Erardo fece una breve visita alla signora.

Bork. (con amarezza). Aha.... già me lo avevo immaginato.

Frida. Credo però che oggi sia venuta a trovare la signora Borkman anche una signora sconosciuta.

Bork. Davvero? Già.... già: la Signora deve pure ricevere di quando in quando qualche persona.

Frida. Se vedo più tardi il signorino ho da dirgli di passare qui sopra da lei?

Bork. (bruscamente). Non gli dica niente! Glielo proibisco! Chi vuole parlare con me lo deve fare spontaneamente. Io non sono avvezzo di pregare nessuno.

Frida. Non gli dirò nulla, stia pur certo. — Buona notte, signor Borkman.

Bork. (camminando per la stanza e quasi borbottando). Buona notte.

Frida. Per abbreviare il cammino potrei forse uscire per la scala a chiocciola?

Bork. Faccia come crede. — Buona notte.

Frida. Buona notte, signor Borkman. (via per l’uscio di fondo)

SCENA II. Borkman, poi Guglielmo Foldal.

(Borkman, rimasto solo, s’avvia pensieroso verso il pianoforte, come se volesse chiuderlo: poco dopo però s’arresta. Dopo d’aver girato e rigirato gli occhi nel vuoto, incomincia a camminare — con aria d’impazienza e d’inquietudine — su e giù fra lo spazio che corre dal pianoforte all’angolo destro in fondo. Alla fine s’avvicina alla scrivania: sta per un momento [33] in ascolto verso la direzione della porta a sinistra: poi si guarda in uno specchietto e s’accomoda la cravatta.)

(Bussano alla porta di sinistra. Borkman, che ha inteso, lancia un’occhiata furtiva alla porta: non risponde. Si bussa di nuovo e più forte.)

Bork. (vicino alla scrivania, con la mano sinistra appoggiata sul tappeto e con la destra nello sparato del vestito). Avanti!

(Guglielmo Foldal entra con aria di soggezione: è un uomo dall’aspetto macilento e dal portamento curvo; ha gli occhi azzurri e miti; i capelli lunghi e grigi gli coprono il bavero del soprabito. Ha sotto il braccio un portafoglio; in mano un cappello a cencio. Porta, rialzati sulla fronte, un paio d’occhiali orlati di corno.)

Bork. (cambiando posizione e guardando Foldal con un’aria ambigua, fra la disillusione e la soddisfazione). Ah sei tu, Foldal!

Foldal. Sono io. Buona sera, Gian Gabriele.

Bork. (guardandolo con sguardo severo). Mi pare che arrivi un po’ tardi.

Fol. Che vuoi, per venire da te c’è da fare un bel pezzo di strada, specialmente per un uomo che, come me, è costretto di andare a piedi!

Bork. Perchè andare sempre a piedi, Foldal? Il tramvay non è poi tanto lontano da casa tua.

Fol. D’altronde l’andar a piedi è più igienico: e poi ci risparmio dieci centesimi. — A proposito, è già stata da te la Frida? Ti ha fatto della musica?

Bork. È andata via in questo momento. Non vi siete incontrati?

Fol. No: non la vedo da parecchio tempo.... dal giorno in cui è entrata in casa della signora Wilton.

Bork. (sedendosi sul sofà ed indicando una sedia a Foldal). Siediti, Guglielmo.

Fol. (sedendosi). Grazie. (con aria melanconica) Non puoi immaginarti quanto increscioso mi riesca di dover viver solo, senza aver Frida vicino a me!

Bork. Diavolo! E gli altri tuoi figlioli?

Fol. Sì: quei cinque marmocchi!... Frida però era la [34] sola che mi comprendesse un pochino. (tentennando il capo, con tono triste) Gli altri non mi comprendono affatto.

Bork. (guardando dinanzi a sè con sguardo fosco e battendo le dita sulla scrivania). Sì, così vanno le cose: è una maledizione che gravita sempre su noi, gli uomini eletti. La massa e la maggioranza — formate esclusivamente da uomini dozzinali — non ci comprendono, buon Guglielmo.

Fol. (con rassegnazione). Io non esigo per ora dai miei figli dell’intelligenza: questa si matura con un po’ di pazienza e coll’andar del tempo.... (con voce piagnucolosa) Oh ma c’è un’altra cosa, ben più amara!

Bork. (scosso). Più amara?

Fol. Sì, Gian Gabriele. Prima di uscire di casa.... assistetti ad una certa scenata.

Bork. Vorresti dire?

Fol. (prorompendo). A casa.... mi sprezzano.... capisci!

Bork. (trasalendo). Come? Ti sprezzano!

Fol. (asciugandosi le lagrime). Me n’ero accorto da parecchio tempo: ma appena oggi ne ebbi la prova....

Bork. (dopo breve pausa). Fosti ben infelice nella scelta, quando prendesti moglie.

Fol. Oh allora non si poteva più parlare di una scelta. Del resto.... si prende tanto volentieri moglie, quando gli anni incominciano a pesare. E poi allora ero ridotto a sì mal partito....

Bork. (alzandosi adirato). Dovrebbe essere questa forse un’allusione a me? Vorresti forse rinfacciarmi....?

Fol. (con angoscia). Dio me ne liberi; Gian Gabriele....

Bork. Sì, tu alludi in questo momento alla rovina che travolse la Banca....!

Fol. (tentando di calmarlo). Ma io per quell’affare non ho mai gettato su te la colpa! Per l’amor del Cielo!

Bork. (si mette nuovamente a sedere e mormora:) Sta bene!

Fol. Non credere già che io mi lagni di mia moglie. La povera donna non è molto educata, ne convengo: ma sì può sempre sopportarla.... no; sono i bambini.... capisci....

[35]

Bork. Oh, lo sapevo bene!

Fol. Poichè i bambini.... hanno un’educazione più completa; e credono perciò di poter vantare maggiori esigenze.

Bork. (mostrando interesse alle parole di Foldal). E perchè mai ti sprezzano quelle birbe?

Fol. (scrollando le spalle). Sai bene.... la mia carriera si ridusse a ben poca cosa.... ne sono d’accordo....

Bork. (avvicinandoglisi e prendendolo per un braccio). E sanno quei marmocchi che tu, nella tua giovinezza, hai scritto una tragedia?

Fol. Oh se lo sanno! Sembra però che non ne siano rimasti troppo soddisfatti.

Bork. Allora i tuoi figli non hanno nemmeno un’ombra d’intelligenza. La tua tragedia è un lavoro ben fatto: te lo dico io!

Fol. (con viso raggiante). Non è vero che c’è del buono in quel mio lavoro, Gian Gabriele? Ah, se potessi far rappresentare la mia tragedia in qualche teatro! (apre frettolosamente il portafoglio e ne estrae alcuni fogli) Eccola! Ora ti mostrerò i punti dove ho creduto opportuno di introdurre qualche modificazione....

Bork. Ne hai con te il copione?

Fol. Sì, l’ho portato qui con me. — È passato tanto tempo dall’ultima volta che te la lessi! — E poi ho pensato che la lettura di due o tre atti potrebbe procurarti un po’ di distrazione....

Bork. (alzandosi e tentennando il capo). No; non oggi; sarà per un’altra volta.

Fol. Bene, come t’aggrada.

(Borkman cammina su e giù per la stanza. Foldal ripone il manoscritto nel portafoglio.)

Bork. (fermandosi davanti a Foldal). Quello che mi andavi dicendo poc’anzi è giusto.... la tua carriera si ridusse a ben poca cosa. Però senti, Guglielmo.... quando sarà scoccata l’ora della mia redenzione.... ti prometto....

Fol. (in procinto di alzarsi). Ah quanto te ne sono grato....!

Bork. (con un cenno di mano). No, resta al tuo posto. (poi animandosi sempre più) Quando sarà suonata [36] l’ora della mia redenzione.... quando si capirà di non poter fare senza di me.... e verranno qui, nel salotto.... tutti sommessi.... a pregarmi, a supplicarmi di riprendere la direzione della nuova Banca.... di quella Banca, che hanno fondato e che non sono capaci di reggere! (avvicinandosi alla scrivania e battendosi il petto) Voglio aspettarli, voglio riceverli proprio in questo salotto! E quali comenti per il paese quando si saranno divulgate le condizioni imposte da Gian Gabriele Borkman nel.... (interrompendosi bruscamente e fissando Foldal) Ma che? Perchè mi guardi con quello sguardo diffidente? Dubiti forse che abbiano da venire? lo dovranno.... sì, dovranno venire da me, un giorno o l’altro! Eh!

Fol. Lo credo, oh se lo credo, Gian Gabriele!

Bork. (sedendosi sul sofà). Io nutro una fede forte, incrollabile.... sono convinto che verranno. Se non ne avessi la certezza.... da parecchio tempo mi sarei cacciato una palla nel cervello.

Fol. (atterrito). Per l’amor del Cielo!

Bork. (con aria di trionfo). Essi verranno! sì, verranno! Fa attenzione! — Io li attendo qui ogni giorno, ogni ora. E come vedi mi tengo sempre pronto per riceverli.

Fol. (singhiozzando). Venissero presto!

Bork. (con inquietudine). Hai ragione; il tempo passa; passano gli anni.... no.... no.... è meglio non pensarvi! (fissandolo) Talvolta però provo una certa impressione....

Fol. Quale?

Bork. Mi pare di provare l’identica impressione che avrebbe provato Napoleone il Grande se fosse stato ferito e storpiato nella sua prima battaglia campale.

Fol. (appoggiando una mano sul portafoglio). Anch’io provo un’impressione consimile.

Bork. Sì, ma in proporzione ridotta.

Fol. (calmo). Il mio piccolo mondo poetico ha un grande valore per me, Gian Gabriele.

Bork. (con irruenza). Io che avrei potuto accumulare tanti milioni! E tutte quelle miniere, che avrebbero dovuto formare il mio dominio! Miniere ancora inesplorate e stendentisi all’infinito! Cascate d’acqua! [37] Cave di marmo! Nuove vie commerciali e nuove linee di navigazione abbraccianti il mondo intero! E tutti questi progetti io li avrei potuti mandare ad effetto con le mie sole forze!

Fol. Lo so; non esisteva difficoltà che tu non l’avessi sormontata.

Bork. (stringendosi le mani). Ed ora devo razzolare qui come un uccellaccio con l’ali monche e devo sopportare che gli altri usurpino il mio posto.... e che mi derubino.... pezzo per pezzo!

Fol. Anche io mi trovo nelle stesse acque!

Bork. (senza prestargli attenzione). Oh, si sono già vedute molte di questo cose!... Ed ero là, vicino alla méta; oh se avessi avuto otto, soli otto giorni per rimettere tutto al suo posto! Tutti i depositi di denaro sarebbero stati surrogati con dei nuovi: tutti i valori che io aveva adoperato con un’audacia senza pari, sarebbero ritornati nei loro forzieri, ai loro antichi posti. Mancava un’inezia per mettere in attività tutte quelle colossali società per azioni: e nessuno vi avrebbe rimesso un centesimo....

Fol. È vero; fosti tanto vicino alla tua méta....

Bork. (invelenito). Sorse allora il tradimento e fui preso alle spalle! Proprio alla vigilia della vittoria decisiva. (fissando Foldal) Dimmi un po’: sai tu quale sia il più infame delitto che possa commettere un uomo?

Fol. No: quale?

Bork. Nè l’omicidio, nè la rapina; e neanche lo spergiuro o lo scasso notturno — giacchè tutti questi delitti vengono commessi per lo più contro uomini che sono odiati dai malfattori o che sono indifferenti alla maggioranza della gente....

Fol. Il delitto più infame è adunque....

Bork. (facendo spiccare le parole). Se.... se un amico abusa della fiducia del proprio amico.

Fol. (un po’ pensieroso). Sì, però.... ascolta....

Bork. (stizzito). Che volevi tu dire? Lo so, lo so! Ma non era questo il caso! Le persone che avevano depositato alla Banca il loro denaro avrebbero ricevuto di ritorno tutto il loro avere.... fino all’ultimo centesimo!... No, caro Foldal.... il delitto più infame [38] che possa venir commesso da un uomo è quello di abusare delle lettere del proprio amico.... divulgando ai quattro venti tutte quello confidenze che gli sono state affidate a quattr’occhi dall’amico — a fil di voce ed in una stanza vuota, oscura e chiusa a chiave. Un uomo che si serve di simili mezzi, è corroso sino al midollo delle ossa dalla morale professata da tutti i farabutti di questo mondo. Ed io ebbi un tale amico! E fu quest’amico che mi mandò in rovina!

Fol. Mi pare di conoscere questo tuo amico!

Bork. Io gli confidai tutti i miei affari, anche i più inconcludenti: ma al momento opportuno egli scaricò su me tutte lo armi che io stesso gli avevo messo fra le mani.

Fol. Non ho mai potuto comprendere perchè egli.... Del resto a quel tempo corse la voce....

Bork. Ebbene? Dimmela! Non mi pervenne all’orecchio nemmeno una sillaba.... giacchè, poco dopo, fui posto in.... in isolamento. Dunque che si divulgò in allora sul conto mio?

Fol. Si sparse la voce che saresti diventato ministro.

Bork. Infatti mi si offerse anche un portafoglio, che io però rifiutai.

Fol. Tu non gli eri adunque d’ostacolo!

Bork. Egli mi tradì per un altro motivo.

Fol. Allora non comprendo più nulla....

Bork. Oh a te posso raccontare tutto, Foldal!

Fol. Spiegati!

Bork. Ci fu di mezzo.... un affare.... un affare in cui erano involte delle donne....

Fol. Un intrigo di donne, Gian Gabriele?

Bork. (interrompendolo). Sì.... ma non vale la pena di parlare più oltre di quella vecchia ed insulsa storia. — Però se io non divenni ministro, non lo divenne neppur lui.

Fol. Egli salì però molto in alto.

Bork. Ed io discesi molto in basso.

Fol. Tragedia davvero tremenda....

Bork. (affermando col capo). Tanto tremenda, quanto la tua, mi pare.

[39]

Fol. (schermendosi). Sì; per lo meno altrettanto tremenda.

Bork. (ridendo a fior di labbra). Esaminandola da un altro punto di vista, quella tragedia ha però anche un po’ della commedia.

Fol. Della commedia?

Bork. Sì, giudicandola almeno dalla piega che sembra aver preso in questo momento. Mi spiego....

Fol. Sì, sì.

Bork. Venendo qui da me, non t’incontrasti con Frida — è vero?

Fol. No.

Bork. Ebbene, mentre noi stiamo chiacchierando in questo salotto, la tua Frida suona musica da ballo in casa dell’amico.... di quello che mi tradì e mi mandò in rovina.

Fol. Non ne avevo il più lontano sospetto!

Bork. Eppure è così! Tua figlia, dopo d’aver preso i suoi pezzi di musica, si congedò da me per andare da quel.... signore.

Fol. (cercando di scusare la figlia). Non devi dimenticare che la povera piccina....

Bork. E chi credi che sia anche andato a quella festa ed ascolti ora la musica che suona la tua Frida?

Fol. Non lo saprei....

Bork. Mio figlio!

Fol. Tuo figlio?

Bork. Sì: che ne dici, Guglielmo? Uno dei ballerini di questa sera è anche Erardo.... Ora non avevo io ragione, dicendoti poc’anzi che tutta quella tragedia ha anche un po’ della commedia?

Fol. Probabilmente tuo figlio non sarò a giorno dell’accaduto....

Bork. Di che?

Fol. Egli sarà — senza dubbio — all’oscuro del modo con cui.... quel signore....

Bork. Nominalo pure — ormai quel nome non mi fa andare più in collera!

Fol. Eppure io persisto nel credere che tuo figlio non conosce nemmeno una fase di quella fosca storia.

Bork. (pestando sulla tavola e con voce cupa). Oh se [40] la conosco!... la conosce com’è vero che in questo momento mi trovo qui con te!

Fol. È mai possibile che tuo figlio frequenti quella casa?

Bork. (tentennando il capo). Forse mio figlio potrà vedere le cose da un punto di vista diverso dal mio... È probabile anche che Erardo si sia a quest’ora schierato dalla parte dei miei nemici! Lo giurerei! Crederà anche lui, come tutti gli altri, che l’avvocato Hinkel col tradirmi non abbia fatto che semplicemente il proprio dovere.

Fol. Per amor di Dio! E chi mai dovrebbe averlo trasformato in tal modo?

Bork. Chi? E me lo domandi ancora? Ma non ti rammenti più le persone che si presero cura della sua educazione? Dapprima sua zia.... che se lo portò via quando Erardo aveva sei o sette anni.... poi sua madre.

Fol. Mi pare che tu sia ingiusto verso quelle due donne.

Bork. (trasalendo). Io non sono mai ingiusto con nessuno! Ti faccio osservare che tutte e due lo aizzarono contro di me!

Fol. (come accondiscendendo). Può essere che tu abbia ragione.

Bork. (con amarezza). Ah queste donne! Come ci amareggiano la vita! Come ci fanno girare e rigirare! E ci rovinano tutto il nostro destino.... tutti i nostri trionfi!

Fol. Non tutte le donne, Borkman!

Bork. Non tutte? Sta bene! Nominami allora una — una sola donna, che valga qualcosa.

Fol. Ecco il nodo! Le poche donne che conosco io non valgono nulla.

Bork. (ironico). Che importa allora che esistano tali donne.... se poi non si conoscono!

Fol. (accalorandosi). Se importa, Gian Gabriele? È un pensiero così splendido, così importante: là fuori, lungi, lungi da noi.... esiste ancora la vera donna.

Bork. (con impazienza). Cessa una buona volta con questi tuoi sogni di poeta!

Fol. (colpito profondamente). Ah chiami sogni di [41] poeta ciò che costituisce la mia più sacra convinzione?

Bork. (con asprezza). Sì, sogni di poeta! Ed è per questi tuoi sogni che non hai mai fatto carriera nel mondo. Mandali una buona volta al diavolo! Solo in tal caso potrei aiutarti.... a salire in alto.

Fol. (in preda ad un’interna agitazione). Tu questo non lo puoi più!

Bork. Lo potrò, quando sarò giunto nuovamente al potere.

Fol. Ci dovrà correre molta acqua per la china....

Bork. (con impeto). Non credi che ritornerò ancora una volta al potere? Rispondimi, subito!

Fol. Non so proprio cosa risponderti!

Bork. (alzandosi grave e freddo ed indicando la porta). Allora non ho più bisogno di te.

Fol. (alzandosi rapidamente). Non hai più bisogno di me?

Bork. Se non credi che il mio destino debba ancora mutarsi....

Fol. Alla fine non posso credere a ciò che cozza col buon senso! — Anzitutto dovresti esserti riabilitato....

Bork. Prosegui! Prosegui!

Fol. Ti premetto che non mi è mai riuscito di dare i miei esami: ma da quel poco che mi ricordo dei miei studî....

Bork. (affrettato). La credi un’impossibilità?

Fol. Non conosco un precedente che possa far sperare....

Bork. Ciò non è necessario per gli uomini superiori!

Fol. La legge però non si occupa degli uomini superiori.

Bork. (negando col capo). Tu non sei poeta, Guglielmo!

Fol. (stringendosi le mani). Parli sul serio?

Bork. (senza rispondergli alla domanda). Noi due sprechiamo miseramente il nostro tempo.... è meglio che tu non venga più da me.

Fol. Vuoi adunque che ci lasciamo?

Bork. (senza guardarlo). Non ho più bisogno di te.

Fol. (calmo e mettendosi sotto il braccio il portafoglio). È possibile.

[42]

Bork. Dunque tu, durante tutto questo tempo, non hai fatto altro che ingannarmi.

Fol. Gian Gabriele, io non ti ho mai ingannato.

Bork. Non m’ingannasti tu, adunque, coll’insinuarmi fede, fiducia, speranza?

Fol. Non t’ingannai fino a che tu credesti nella mia vocazione: fino a che tu avesti fede in me, io pure l’ebbi in te.

Bork. Dunque ci siamo ingannati reciprocamente. Abbiamo ingannato.... noi stessi.

Fol. Alla fin dei conti l’amicizia non è questa, Gian Gabriele?

Bork. (con riso amaro). Sì, l’inganno.... è l’amicizia. Hai ragione: ne ho fatto già un’altra volta l’esperienza.

Fol. (fissandolo). Dunque, secondo te, io non possiedo nemmeno un’ombra di vocazione poetica.... E me lo dicesti con tanta indifferenza!

Bork. (in tuono più mite). Non sono competente in fatto di poesia.

Fol. Più di quello che tu stesso lo credi.

Bork. Io?

Fol. Sì, tu. Talvolta.... sorsero anche a me dei dubbî.... un terribile dubbio.... l’aver speso tutta la mia vita per un’illusione!

Bork. Ma se nascono dei dubbî anche a te, allora anche la tua fede è ben poco salda!

Fol. Ed è perciò che trovavo un conforto venendo a casa tua e facendo assegnamento su te, che eri pieno di fede. (prendendo il cappello) Ora però mi sei diventato uno sconosciuto.

Bork. Altrettanto da parte mia.

Fol. Buona notte, Gian Gabriele.

Bork. Buona notte, Foldal. (Foldal via a sinistra)

[43]

SCENA III. Borkman, poi Ella Rentheim.

(Borkman resta per alcuni momenti vicino alla porta che è stata chiusa da Foldal; fa un movimento come se volesse richiamarlo; poi, pentito, incomincia a passeggiare su e giù per la stanza, con le mani sul dorso. Dopo qualche tempo s’avvicina e s’arresta al tavolo davanti al sofà e spegne la lampada. Il salotto è immerso nella semi-oscurità.)

(Dopo una breve pausa bussano in fondo, a sinistra.)

Bork. (dal tavolo si volge e domanda a voce alta:) Chi è là?

(Nessuno risponde: bussano di nuovo.)

Bork. (immobile). Chi è là? avanti!

(Ella Rentheim con una candela in mano entra: veste come nel primo atto; ha sulle spalle il mantello, che è sbottonato.)

Bork. (guardandola). Chi è lei? Che vuole da me?

Ella (chiude dietro a sè la porta e si avvicina). Sono io, Borkman. (depone la candela sul pianoforte e resta immobile.)

Bork. (come colpito dal fulmine, la contempla con gli occhi fissi, e mormora a fil di voce:) Ella? Ella Rentheim? È proprio lei?

Ella. Sì, sono la tua Ella, come mi chiamavi un giorno.... allora.... molti, molti anni fa.

Bork. (come sopra). Sì, sì.... Ella.... ora ti riconosco!

Ella. Mi riconosci adunque?

Bork. Sì, ora incomincio....

Ella. Gli anni non fecero tanti complimenti con me.... siamo arrivati all’autunno.... come mi trovi?

Bork. (forzato). Ti sei un po’ cambiata. A prima vista....

Ella. Ora non mi scendono più sulle spalle, in brune [44] anella, quei capelli che tu, in altri tempi, ti compiacevi di accarezzare con le dita!

Bork. (rapidamente). È vero! Ora me ne accorgo, Ella! Non hai più l’acconciatura d’una volta.

Ella (con riso amaro). Proprio così: è l’acconciatura che cambia....

Bork. (cambiando discorso). Non sapevo ch’eri venuta qui fuori.

Ella. Sono arrivata da poco.

Bork. E perchè sei venuta in questa stagione?... in inverno?

Ella. Te lo dirò.

Bork. Vuoi qualche cosa da me?

Ella. Sì, anche da te. Prima di parlarti di un certo argomento, dovrei ritornare col pensiero nel passato e rivolgerlo su cose avvenute.

Bork. Sei stanca, Ella?

Ella. Sì; sono stanca.

Bork. Non vuoi accomodarti? Là.... là sul sofà?

Ella. Grazie: ho infatti bisogno di sedermi. (Si siede sull’angolo anteriore del sofà: Borkman, immobile accanto il tavolino e con le mani sul dorso, la fissa. Breve pausa.)

Ella. Sono passati molti anni — Borkman — dall’ultima volta in cui ci siamo trovati soli — così a quattr’occhi!

Bork. (cupo). Sono passati molti anni! E fu nel frattempo che si svolse tutta quella terribile storia!

Ella. Da quella volta è trascorsa una vita d’uomo! Una vita perduta!

Bork. (sdegnato). Perduta!

Ella. Sì, perduta: e per ambidue!

Bork. (freddamente). Eppure io non credo che la mia vita sia già a quest’ora una vita perduta!

Ella. Ma la mia?

Bork. Lo devi ascrivere a tua colpa, Ella.

Ella (con un movimento di dispetto). E sei tu che me lo dici?

Bork. Sì, io: Ella, tu avresti potuto raggiungere la tua felicità anche senza di me!

Ella. Lo credi?

Bork. Purchè tu l’avessi voluto.

[45]

Ella (con amarezza). Se ben mi ricordo, fu un altro uomo che mi chiese la mano....

Bork. Tu gliela rifiutasti.

Ella. Sì; gliela rifiutai!

Bork. E non gli rifiutasti la mano un’unica volta! Per anni ed anni....

Ella (ironica). .... Per anni ed anni respinsi da me la felicità.... è così che intendevi dire?

Bork. Avresti potuto vivere molto felice anche con lui.... in tal caso io sarei stato salvo!

Ella. Tu?

Bork. Sì, tu mi avresti salvato, Ella!

Ella. Spiegati: in che modo?

Bork. Egli si cacciò in testa che io fossi la vera ed unica causa di tutti quei tuoi rifiuti. — E se ne vendicò: fu una facile vendetta per lui, che aveva nelle mani tutte quelle mie lettere, piene di confessioni. Se ne servì a dovere.... ed allora per me fu questione finita.... almeno per il momento. E di tutto ciò fu tua la colpa, Ella!

Ella. Ah, Borkman, rifletti un po’.... proseguendo di questo passo, finirò col diventare io — io sola la causa di quanto è accaduto!

Bork. È questione di modo di vedere! So benissimo quanto io debba a te: all’incanto di questa possessione, fosti tu che ne facesti l’acquisto; poi la mettesti completamente a mia disposizione.... e a disposizione di tua sorella. Prendesti con te Erardo: ti curasti di lui sotto ogni rapporto....

Ella. .... Fino a che mi fu concesso.

Bork. .... fino a che ti fu concesso da tua sorella — volevi dire. Io non mi immischiai mai in tutte queste faccende domestiche.... Ah, sì.... dunque stavo per dire.... io sono perfettamente a cognizione di tutti i tuoi sagrifizi sostenuti per me e per tua sorella. Tu potevi anche farlo, Ella: non dimenticarti, però, che devi a me se fosti in grado di farlo.

Ella (mossa a sdegno). In tal caso t’inganni.... Borkman.... e molto! Fu l’interna voce del mio cuore, fu il caldo affetto per Erardo.... ed anche per te.... che mi consigliarono di agire in quel modo.

Bork. (interrompendola). Cara Ella, lasciamo da parte [46] gli affetti e le passioni consimili: ciò che volevo dirti, era con altre parole: se agisti a quel modo, fui io a procurartene la possibilità.

Ella (ridendo). La possibilità.... ah, ah.... la possibilità!

Bork. (riscaldandosi). Sì, proprio la possibilità! Alla vigilia della battaglia decisiva — quando non potei più salvare nè parenti nè amici; quando dovetti ricorrere a quei milioni che erano stati affidati a me.... e vi misi anche la mano sopra.... io salvai tutto quello che era tuo — sì, tutto il tuo patrimonio.... quantunque avessi potuto trafugarlo ed impiegarlo.... come feci col resto.

Ella (con calma, fredda). È vero, Borkman.

Bork. Lo vedi! E perciò quando vennero da me e mi condussero via.... trovarono intatto, nei forzieri della Banca, tutto il tuo patrimonio.

Ella (fissandolo). Ci ho pensato tante volte su questo fatto.... ma veramente perchè risparmiasti il mio patrimonio? proprio ed unicamente il mio?

Bork. Perchè?

Ella. Sì, perchè?

Bork. Credi forse che lo feci per avere qualche cosa di riserva.... per il caso che la faccenda dovesse prendere una cattiva piega?

Ella. No.... a quell’epoca non avresti potuto pensare a quel modo!

Bork. Mai, e poi mai! Ero tanto sicuro della mia vittoria....

Ella. Ed allora perchè....?

Bork. (scrollando le spalle). Dio buono, Ella.... non è poi tanto facile ricordarsi di cose di vent’anni fa. Mi ricordo solamente che, passeggiando solo ed architettando nella solitudine tutte quelle immense imprese che volevo mandare ad effetto, mi pareva di provare le sensazioni che, secondo me, dovrebbero agitarsi nella mente di un aeronauta. Nelle notti in cui non potevo prender sonno, mi pareva di dover gonfiare un enorme pallone e di essere in procinto di slanciarmi con esso sopra un oceano malsicuro, irto di pericoli.

Ella (sorridendo). Tu, che non dubitasti mai della vittoria?

[47]

Bork. (con impazienza). Sì, Ella: gli uomini sono tutti fatti così. Credono e dubitano nel medesimo tempo. (come fra sè e sè) Fu quella la causa per cui non volli prendere te ed il tuo patrimonio nel pallone.

Ella (trepidante). E perchè? Ti domando il perchè?

Bork. (senza guardarla). In un viaggio così ardito non si suole mai prendere nella navicella il più prezioso dei beni.

Ella. Ma tu avevi nella navicella il più prezioso dei tuoi beni: la tua vita avvenire....

Bork. La vita non è sempre il più prezioso dei beni.

Ella (trattenendo il respiro). Eri anche allora dello stesso avviso?

Bork. Sì: ero dello stesso avviso.

Ella. Che fossi stata in allora io il più prezioso dei tuoi beni?

Bork. Sì, per quanto ne ho memoria.

Ella. Eppure allora erano passati molti anni dall’epoca in cui mi abbandonasti per sposare.... un’altra donna.

Bork. Averti abbandonata? Io? Capirai che ci devono essere state delle ragioni ben superiori.... sì, ben alte ragioni, che mi costrinsero a fare quel passo. Senza l’appoggio di quel tale, io non avrei potuto andare avanti.

Ella (frenandosi). Avermi abbandonata.... per delle ragioni ben superiori!

Bork. Io non potei fare a meno del suo appoggio, e come prezzo egli mi chiese la tua mano.

Ella. E tu gli pagasti il prezzo.... l’intero prezzo; senza contrattarlo!

Bork. Non mi rimaneva altro scampo: o vincere o soccombere.

Ella (con voce tremante e fissandolo). Secondo quanto mi dicesti or ora, io ero adunque in quell’epoca il più prezioso dei tuoi beni?

Bork. Sì, ed anche più tardi.... per molti e molti anni.

Ella. Ciò nulla meno tu allora mi vendesti; e trattasti con un altro uomo per il diritto del tuo amore. Vendesti il tuo affetto per un.... un posto di direttore di Banca.

Bork. (cupo, col capo chino). Fu dura necessità, Ella!

[48]

Ella (alzandosi dal sofà; con voce selvaggia e tremante). Traditore!

Bork. (atterrito, ma trattenendosi). Questa parola mi fu scagliata un’altra volta.

Ella. Non creder già ch’io voglia alludere all’infrazione del codice da parte tua: no, non ti fo alcun carico sul modo con cui impiegasti tutte le obbligazioni, tutte le azioni.... tutti quelli effetti di Banca, no! Ah se mi fosse stato concesso di essere vicino a te nel momento del tuo tracollo....!

Bork. (con grande interesse). In tal caso, Ella....?

Ella. Avrei teco diviso con gioia i colpi del destino crudele — t’assicuro: t’avrei reso meno insopportabile l’onta, l’annichilamento.... tutto!

Bork. L’avresti voluto? o l’avresti potuto?

Ella. L’avrei voluto e potuto. A quell’epoca io ero ancora all’oscuro di quel tuo terribile, immane delitto....

Bork. A quale delitto alludi tu ora?

Ella. Alludo a quel delitto, per il quale non esiste perdono.

Bork. (con lo sguardo fisso su lei). Ella, tu deliri!

Ella (avvicinandosi a Borkman). Sei un assassino! Hai commesso il grande peccato mortale.

Bork. (indietreggiando verso il pianoforte). Ella, tu deliri!

Ella. Tu hai spento in me la fiamma dell’amore! (avvicinandoglisi ancor più) Mi comprendi? La Bibbia parla di un peccato misterioso, per il quale non esiste perdono. Prima d’oggi quelle parole della Bibbia mi erano oscure: ora le comprendo. Quel peccato capitale, senza perdono.... è il peccato che si commette spegnendo in una creatura umana la fiamma del suo amore!

Bork. Io — secondo te — avrei dunque commesso quel delitto?

Ella. Sì, tu l’hai commesso, Borkman! Fino ad oggi ho vissuto all’oscuro di tutto ciò. Ma questa sera mi è caduto il velo dagli occhi. Fino ad oggi io credevo che tu mi avessi posposta a Gunilde.... per incostanza d’affetto da parte tua e per crudeli raggiri da parte sua. E per questo motivo credo di averti [49] una volta anche un po’ disprezzato.... Ma ora! dopo questa tua confessione! Tu hai abbandonato me — la donna del tuo cuore; tu hai venduto il più prezioso dei tuoi beni per ricavare un lucro! Ecco il duplice assassinio, che hai commesso! L’assassinio della tua anima e l’assassinio della mia!

Bork. (freddo e calmo). Oh come si riafferma ancora una volta la tua natura selvaggia ed indomabile, Ella! Tu ti compiaci naturalmente di osservare le cose dal tuo punto di vista. Lo comprendo! Sei donna, Ella! A mio modo di vedere tu non ti occupi che unicamente de’ tuoi casi; tu credi che al mondo non esistano altre dolorose vicende all’infuori delle tue!

Ella. È proprio così, Borkman.

Bork. Dunque è soltanto della piaga del tuo cuore che ti dai pensiero?

Ella. Penso soltanto a quella — soltanto a quella! Hai ragione!

Bork. Non devi però dimenticarti, anzitutto, che io sono uomo, Ella. Come donna tu mi eri certamente il più prezioso dei beni. Ma una donna può surrogarsi con un’altra.... se così vuole il destino....

Ella (sorridendo). Arrivasti a questa conclusione con lo sposare Gunilde?

Bork. No: anche il cómpito che m’ero creato per questa vita contribuì a rendermi tutto ciò sopportabile. Io volevo avere fra le mie mani tutte le sorgenti del potere: volevo avere sotto il mio giogo tutti i tesori del suolo, dei monti, dei boschi, del mare per render contenti e felici migliaia e migliaia di uomini.

Ella (come assorta nei ricordi). Lo so: oh quante volte abbiamo parlato insieme di tutti questi tuoi progetti.... sull’imbrunire....

Bork. Con te lo potevo fare, Ella.

Ella. Ed io scherzavo su tutti quei tuoi progetti e ti domandavo se tu volessi svegliare gli spiriti sonnecchianti dell’oro.

Bork. (affermando col capo). Mi ricordo di quella espressione. (lentamente) Gli spiriti sonnecchianti dell’oro!

[50]

Ella. Tu però non scherzavi, perchè a quella domanda mi rispondesti: Sì, Ella, io voglio svegliarli!

Bork. È vero. In quel tempo io ero appena ai primi passi della mia carriera. Tutto dipendeva da quell’uomo: egli poteva e voleva procurarmi la direzione della Banca.... purchè io d’altro canto....

Ella. Purchè tu dal canto tuo rinunciassi alla donna che tu amavi tanto.... e che amava te alla follia.

Bork. Io conoscevo quanto grande fosse il suo affetto per te. Ma quell’uomo mi pose per condizione....

Ella. E tu l’accettasti anche!

Bork. (con impeto). L’accettai, sì, è vero! Quella brama di dominare era in me tanto forte! Dovetti accettare quella sua condizione: ed egli mi aiutò a salire su quelle vette affascinanti! Ed io salii sempre più in alto — d’anno in anno sempre più in alto....

Ella. Ed io sparii dal tuo cuore.

Bork. Ma poi egli mi precipitò nell’abisso.... e per te, Ella.

Ella (dopo aver meditato per qualche tempo). Borkman.... non pare anche a te che su tutto quel nostro amore abbia pesato una maledizione?

Bork. (fissandola). Una maledizione?

Ella. Sì, una maledizione: non pare anche a te?

Bork. (inquieto). Forse! Ma il motivo....? (con irruenza) Ah Ella.... io non capisco proprio chi abbia ragione — io o tu?

Ella. Sei stato tu che hai commesso quell’orribile peccato, e che hai distrutto tutta la mia felicità!

Bork. (con angoscia). Oh non dirlo, Ella!

Ella. Sì; tu hai troncato tutta la felicità d’una donna. Dal giorno in cui la tua immagine incominciò a dileguarsi dal mio cuore, la mia vita si oscurò come se fosse stata immersa in un eclisse solare. In tutti questi anni trascorsi ho sentito manifestarsi in me un’avversione.... e da ultimo mi fu impossibile di amare una qualche creatura: non uomini, non bestie, non fiori — soltanto lui, lui....

Bork. Chi?

Ella. Erardo!

Bork. Erardo....?

[51]

Ella. Sì, Erardo — tuo figlio, Borkman.

Bork. E gli portasti proprio tanto affetto?

Ella. E perchè me lo presi a casa mia? perchè mai lo trattenni vicino a me tanto tempo.... sino a che mi fu possibile? Perchè?

Bork. Così.... per misericordia — come per il resto.

Ella (con viva agitazione interna). Per misericordia! Aha! aha! Ma non sai che io non ho provato più misericordia.... dal giorno in cui mi abbandonasti! Non potevo più provare misericordia! Quando capitava nella mia cucina qualche povero piccino affamato, e tutto tremante e con le lagrime agli occhi domandava qualche cosa per isfamarsi, incaricavo la cuoca di dargli da mangiare. Non sentivo mai in me il desiderio di chiamare il poverino nella mia stanza, per poi riscaldarlo vicino ad un buon fuoco, e per provare un senso di compiacenza nel vederlo scacciare lungi da sè la fame. E pensare che nella mia giovinezza ero tanto misericordiosa! Fosti tu a far sorgere un vasto deserto in me.... ed anche fuori di me.

Bork. Anche su Erardo?

Ella. No, quel deserto non si estende su tuo figlio; esso si estende su tutto ciò che si muove ed ha vita. Tu hai rapito alla mia vita le gioie e la felicità di una madre; anche le lagrime e le cure di una madre. E questa fu per me la più penosa dello perdite.

Bork. Lo credi, Ella?

Ella. Chi lo sa? Forse quelle cure e quelle lagrime avrebbero potuto apportarmi grandissimo conforto. (animandosi sempre più) Allora però mi fu impossibile di trovare un altro conforto per la perdita fatta! Fu per questo motivo che condussi Erardo con me! Mi assicurai il suo cuoricino tanto caldo, tanto promettente.... fino al giorno.... ah!

Bork. Fino ai giorno?

Ella. .... in cui sua madre — volevo dire l’autrice dei suoi giorni — me lo portò via.

Bork. Il distacco — o prima o tardi — doveva avvenire: Erardo doveva venire in città per continuare i suoi studi.

Ella (stirando le mani). Ma io non posso più sopportare [52] questa solitudine.... questo deserto.... non posso sopportare la perdita del cuore di tuo figlio!

Bork. (con lo sguardo pieno d’odio). ..... Hm,.... Ella, tu non hai perduto il suo cuore — no..... Non si perde tanto facilmente un cuore.... qui, al pianterreno.

Ella. Ho perduto Erardo qui, sì, qui. E fu lei che me lo portò via.... o forse un’altra donna. Tutto ciò risulta abbastanza evidentemente dalle lettere che egli mi scrive qualche volta.

Bork. Tu sei venuta adunque qui per riprenderlo?

Ella. Sì, purchè sia possibile....

Bork. È possibile, se proprio lo vuoi: il primo e maggior diritto su Erardo spetta a te.

Ella. Diritto! E si può parlare in questo caso di diritto? Se egli non viene via con me spontaneamente.... non posso avere il suo cuore, che devo averei Io devo avere tutto, tutto il cuore del mio figliolo!

Bork. Non dimenticarti che Erardo ha già venti anni suonati; non potresti far quindi duraturo assegnamento su tutto, tutto il suo cuore.... per usare le stesse tue parole.

Ella (con un amaro sorriso). Non è necessario che egli resti molto tempo con me.

Bork. No? Credevo che tu esigessi di trattenere Erardo sino ai tuoi ultimi giorni.

Ella. Questa è infatti la mia intenzione.... per ciò che riguarda i miei ultimi giorni, non ci vorrà molto tempo....

Bork. (con sorpresa). Che dici....?

Ella. Ti sarà noto che negli ultimi anni fui sempre sofferente?

Bork. Tu sofferente?

Ella. Non lo sapevi?

Bork. No.... veramente.... no....

Ella (guardandolo con aria di stupore). Non ti ha mai parlato Erardo delle mie sofferenze?

Bork. Ora non posso proprio ricordarmene....

Ella. Forse Erardo non t’avrà mai parlato di me?

Bork. Sì, sì: egli mi parlò di te.... almeno mi pare. Del resto io lo vedo ben di rado; anzi quasi mai. [53] C’è qui giù, al pianterreno, una persona che lo tiene lontano da me.... lontano da me, intendi?

Ella. Ne sei certo, Borkman?

Bork. Oh se lo sono! (cambiando tono) Dunque sei stata sofferente, Ella?

Ella. Sì: nell’autunno scorso il male s’aggravò tanto da costringermi a venir qui per consultare i medici della città, che hanno più esperienza dei nostri.

Bork. Li hai già consultati?

Ella. Sì: stamane.

Bork. E ti dissero?

Ella. Mi convinsero pienamente di quello che avevo presentito io stessa da molto tempo....

Bork. Ebbene?

Ella (rassegnata e calma). La mia malattia mi condurrà al sepolcro, Borkman.

Bork. Non prestarci fede, Ella!

Ella. La mia malattia è di quelle per le quali non valgono rimedi. I medici non ne conoscono uno: devono accontentarsi di seguire il corso del male; non lo possono arrestare: tutt’al più possono procurare qualche sollievo — il che è già una bella fortuna.

Bork. Ad onta della tua malattia, tu vivrai ancora molto a lungo.... vedrai....

Ella. I medici m’hanno assicurato che molto probabilmente avrei potuto tirare avanti ancora tutto l’inverno.

Bork. (sopra pensiero). L’inverno.... è tanto lungo.

Ella (sommessamente). Sì — abbastanza lungo.

Bork. (premuroso, come se volesse cambiare discorso). E come mai fu possibile che tu ti ammalassi così gravemente? Conducevi sempre un regime di vita così regolato.... così igienico.... come mai....?

Ella (fissandolo). I medici sostengono che la causa del mio male sia stata una commozione d’animo d’antica data.

Bork. (montando in collera). Una commozione d’animo! Comprendo la tua allusione!

Ella (in preda ad un’agitazione interna sempre più crescente). Del resto ormai è troppo tardi di voler rintracciarne la causa! Io però devo avere ancora [54] una volta — prima di morire — il mio unico figliolo! È così triste di dover abbandonare tutto ciò che palpita di vita su questa terra.... il sole, l’aria, la luce.... senza lasciare a questo mondo almeno una persona, che possa qualche volta ricordarsi di me.... e pensare a me con affetto e con rimpianto.... come un figlio pensa alla madre morta.

Bork. (dopo breve pausa). Porta pur via Erardo, Ella.... purchè tu possa riuscirvi.

Ella (con calore). Vi acconsenti? Lo puoi?

Bork. (cupo). Sì: ma non è un gran sagrifizio il mio, perchè io già da molto tempo non ho più nessun potere su mio figlio!

Ella. Grazie, grazie per il tuo sacrifizio! — Ora ho da volgerti un’altra preghiera, Borkman.... anzi, secondo me, una grande preghiera.

Bork. Parla!

Ella. Troverai puerile.... forse incomprensibile....

Bork. Parla dunque!

Ella. Dopo la mia morte resterà un patrimonio non indifferente....

Bork. Sì, un patrimonio rilevante.

Ella. Ebbene, è mia intenzione di lasciare il mio patrimonio ad Erardo.

Bork. Dal momento che non hai altri parenti più prossimi....

Ella (con anima). Infatti non ho altri parenti più prossimi....

Bork. Non ci sono più superstiti della tua famiglia, è vero: tu sei l’ultima Rentheim.

Ella (affermando lentamente col capo). L’ultima! Ora se io muoio.... sparirà con la mia morte anche il nome dei Rentheim. E vedi, anche questo pensiero mi è tanto angoscioso! Di me non resterà più nulla in questo mondo.... neppure il mio nome....

Bork. (interrompendola). Aha,.... ora ti comprendo!

Ella (con passione). Fa che il mio nome non muoia con me! Fa che Erardo porti anche il nome dei Rentheim.

Bork. (guardandola con stizza). Comprendo le tue mire. Tu vuoi liberare mio figlio dal nome che porta suo padre: ecco la tua intenzione!

[55]

Ella. No — non è vero! Io avrei portato quel nome in tua compagnia con tanto entusiasmo, con tanta fierezza! Ma per una madre, che si trova sull’orlo della fossa.... credimi, Borkman, il nome è un legame ben più forte di quello che tu possa immaginare!

Bork. (freddo, ma con fierezza). Sta bene, Ella: io sarò l’unico uomo che porterà ancora il nome dei Borkman.

Ella (stringendogli le mani). Grazie, grazie! Ora abbiamo saldato la nostra partita! Sì, sì — lascia che te lo dica! Tu hai fatto un’onorevole ammenda — per quanto stava nelle tue forze! Morta me, vivrà un Erardo Rentheim!

(La porta in fondo, a sinistra, si apre: apparisce la signora Borkman con lo sciallo sulla testa.)

SCENA IV. Borkman, Ella Rentheim, la Signora Borkman.

Sig.ª Bork. (in preda a vivissima eccitazione). Erardo npn porterà mai quel nome!

Ella (indietreggiando). Gunilde!

Bork. (in atto minaccioso). Non tollero che nessuno entri in camera mia.

Sig.ª Bork. (entrando nella stanza). Mi sono presa la libertà....

Bork. (andando incontro a sua moglie). Che vuoi da me?

Sig.ª Bork. Voglio lottare e combattere per te; — voglio difenderti dagli spiriti maligni.

Ella. Gli spiriti più maligni albergano in te, Gunilde!

Sig.ª Bork. (in tuono aspro). Su questo argomento — non una parola di più! (in atto di minaccia, col braccio teso — ad Ella) Una cosa però voglio sin d’ora imprimerti bene nella mente: Erardo porterà sempre il nome di suo padre! Lo porterà a testa alta e lo circonderà di nuovo splendore! Ed io sola ho da essere la madre di Erardo Borkman! Io sola! E nessun’altra donna! (via e chiude la porta)

[56]

SCENA V. Borkman ed Ella Rentheim.

Ella (scossa). Borkman.... In questa burrasca sarà Erardo quegli che risentirà i più dannosi effetti. È d’uopo che si venga ad una spiegazione fra te e Gunilde! Andiamo quindi subito da lei.... Scendiamo!

Bork. (fissandola). Io andare da lei? Eh?

Ella. Sì, tu con me.

Bork. (agitando il capo). Tua sorella è inflessibile, Ella — inflessibile come il metallo che un giorno io volli estrarre dallo miniere.

Ella. Ritenta ora la prova!

Bork. (resta immobile, senza rispondere, come se fosse indeciso)

FINE DELL’ATTO SECONDO.

[57]

ATTO TERZO.

Camera della signora Borkman, come nell’atto primo. La lampada, sul tavolo accanto al sofà, arde tuttora. La veranda è immersa nell’oscurità.

SCENA PRIMA. La Signora Borkman, poi la Cameriera, poi Ella Rentheim e Gian Gabriele Borkman.

(La signora Borkman, con lo sciallo sulla testa, entra in preda a vivissima agitazione per l’uscio d’ingresso e va alla finestra, dove solleva per un momento le cortine. Poi s’avvicina alla stufa e vi si siede acanto. Quindi s’alza e tira il cordone del campanello. Rimane per qualche tempo in attesa, accanto al sofà. Non comparisce nessuno. Tira una seconda volta e più forte il cordone.)

(Dopo breve pausa entra la Cameriera dalla porta di destra: ha gli occhi ancor gravi disonno e gli abiti in disordine — come se aveste dovuto vestirsi in tutta fretta.)

Sig.ª Bork. (con impazienza). Dove siete stata tanto tempo, Lena? Ho già suonato due volte.

Cam. Ho udito suonare tutte le due volte, signora.

Sig.ª Bork. E perchè non siete venuta subito?

Cam. (brontolando). Ho dovuto pur vestirmi per venire qui!

Sig.ª Bork. Bene: mettetevi ancora un po’ in ordine, e poi uscite e andate a chiamare mio figlio.

[58]

Cam. (con stupore). Ho da andare a chiamare il signorino?

Sig.ª Bork. Sì: e ditegli che venga subito; chè ho da parlargli.

Cam. (facendo il viso arcigno). E non sarebbe meglio di svegliare il cocchiere del fattore?

Sig.ª Bork. E perchè?

Cam. Per attaccare la slitta. Stanotte la neve cade a turbini....

Sig.ª Bork. Non importa. Fate però presto! Del resto non ci sono che pochi passi!

Cam. Pochi passi?

Sig.ª Bork. Non sapete adunque dove si trovi la villa dell’avvocato Hinkel?

Cam. (pungente). Ah, è nella villa dell’avvocato Hinkel che si trova a quest’ora il nostro signorino?

Sig.ª Bork. (stizzita). E dov’altro mai potrebbe egli trovarsi a quest’ora?

Cam. (sorridendo). Il signorino potrebbe trovarsi nella casa, che è solito frequentare tutti i giorni....

Sig.ª Bork. In casa di chi?

Cam. In casa della signora Wilton!

Sig.ª Bork. Non è abitudine di mio figlio di andare ogni giorno in casa della signora Wilton!

Cam. (a voce bassa). Dicono che ci vada tutti i giorni.

Sig.ª Bork. Tutte chiacchiere, Lena! Andate ora dal signor Hinkel e domandate del signorino!

Cam. (alzando in alto la testa). Bene; ora me ne vado: (Mentre s’avvia all’uscio d’ingresso, compariscono Ella Rentheim e Borkman.)

Sig.ª Bork. (indietreggiando di un passo). Cosa vorrebbe mai significare questa visita?

Cam. (atterrita e stringendosi istintivamente le mani). Gesù!

Sig.ª Bork. (susurrando alla Cameriera). Ditegli che venga subito!

Cam. (piano). Va bene, signora.

(Ella Rentheim e Borkman entrano nella stanza. La Cameriera esce, chiudendo dietro a sè la porta. Breve pausa.)

Sig.ª Bork. (come se fosse riuscita a padroneggiarsi completamente; ad Ella). Che vuole egli mai da me?

[59]

Ella. Borkman vuole tentare di venire ad una spiegazione con te.

Sig.ª Bork. Finora egli non l’ha mai fatto!

Ella. Ed ora lo vuole!

Sig.ª Bork. L’ultima volta, che siamo stati l’uno di fronte all’altro, fu al Tribunale.... quando venni citata per deporre....

Bork. (inoltrandosi). Ed oggi sono io, che ho da deporre.

Sig.ª Bork. (guardandolo). Tu?

Bork. Sì; ma non sul mio fallo, che oramai lo conosce tutto il mondo....

Sig.ª Bork. (sospirando; con amarezza). È vero: tutto il mondo conosce oramai il tuo fallo.

Bork. Il mondo però ignora il motivo, per cui io commisi quell’errore: ignora il movente, per cui io fui costretto a farlo, perohò io era.... Gian Gabriele Borkman.... e non un altro. È su questo punto che voglio fare ora le mie deposizioni.

Sig.ª Bork. (scrollando il capo). Le tue deposizioni non servono a nulla. D’altronde anche la scusa d’aver agito sotto l’altrui impulso non assolve mai nessun colpevole.

Bork. Essa può assolverlo davanti ai suoi proprî occhi.

Sig.ª Bork. (con un movimento di mano, come se volesse schermirsi). Lasciamo quest’argomento! Ho pensato e ripensato tante volte su quella tua triste storia!

Bork. L’ho fatto anch’io. In quei lunghi, eterni cinque anni, trascorsi al cellulare.... ed altrove.... ebbi più d’una volta l’occasione ed il tempo di farlo: ed ancor più forse negli otto anni, passati lassù nel salotto. Mi sono ricostruita tutta la situazione giuridica della mia storia — per esaminarla con gli stessi miei occhi. L’ho studiata una volta, e poi ancor un’altra.... e così via. Mi sono eretto successivamente accusatore, difensore, giudice di me stesso: ed in tutti quelli uffici conservai sempre la più rigida imparzialità.... sì — posso ripeterlo — fui più imparziale di qualsiasi altra persona. Passeggiando lassù — nel salotto — ho esaminato tutte le [60] mie azioni sino nel loro più piccolo dettaglio. Le ho esaminate prima da una parte e poi dall’altra, sempre imparzialmente, sempre scrupolosamente.... come l’avrebbe fatto un avvocato avversario. Ed il risultato di tutte quelle indagini, di tutto quelle analisi.... fu sempre l’identico: mi convinsi sempre più che la persona più terribilmente colpita dal mio fallo.... fui io stesso.

Sig.ª Bork. E non ne fui colpita anche io? non ne fu colpito anche tuo figlio?

Bork. Sì, anche voi due: quando parlo di me, parlo implicitamente anche di voi due.

Sig.ª Bork. E tutte quelle centinaia di porsone, che, secondo l’opinione pubblica, furono rovinate dal tuo fallo?

Bork. (accalorandosi). Arrivai al potere! Sorse allora in me quell’impulso indomabile! M’apparvero allora per tutto il paese e nelle profondità delle miniere quei milioni incatenati e mi chiamarono, gridandomi di liberarli dalle loro catene! Ma nessun altro uomo potè udire la loro voce! Fui io solo!

Sig.ª Bork. Sì, tu solo hai udito quella voce.... per coprire d’infamia il nome dei Borkman!

Bork. Avrei voluto vedere come avrebbe agito un altro uomo se — come fu il caso mio — fosse giunto al potere!

Sig.ª Bork. Nessun uomo avrebbe fatto quello che tu osasti di fare!

Bork. Forse nessun altro l’avrebbe fatto, perchè nessun altro possedeva la mia capacità! E se anche l’avessero fatto, non l’avrebbero mai conseguito coi miei mezzi.... ciò che avrebbe dato all’affare un’impronta del tutto diversa.... In poche parole: io mi sono assolto da me stesso.

Ella (con tuono dolce, supplichevole). Puoi ripetere ciò con intima convinzione, Borkman?

Bork. (affermando col capo). Sì — io stesso mi sono assolto da quell’accusa. Ma ora sorge la grave, la terribile accusa, che mi sono scagliato con le mie mani!

Sig.ª Bork. Quale accusa?

Bork. Ho sprecato otto anni preziosi della mia esistenza [61] passeggiando su e giù per il salotto! Ebbene — nello stesso giorno, in cui mi rimisero a piede libero, in quello stesso giorno io avrei dovuto entrare nel mondo della realtà — della realtà, che è immutabile e senza sogni! Avrei dovuto ricominciare la strada: ricominciarla dal basso.... per slanciarmi un’altra volta in alto — molto più in alto di prima — ad onta di tutti i fatti accaduti.

Sig.ª Bork. Ah — persuaditi, la tua vita non si sarebbe punto mutata col mutar di strada!

Bork. (scrollando il capo e fissando la moglie come per spiegarle qualche cosa). Non può accadere nulla di nuovo: ma quello che è accaduto.... non si ripete più. È il nostro occhio quello che trasforma le situazioni; e l’occhio trasformatore fa apparire le cose veochie sotto forme nuove. (interrompendosi) Ma tu già non comprendi queste parole.

Sig.ª Bork. (secca). No, non le comprendo.

Bork. Ecco la mia maledizione: non aver mai trovato un’anima umana, che mi potesse comprendere!

Ella (fissando Borkman). Mai, Borkman?

Bork. Forse una, una sola.... ma molti, molti anni fa.... quando mi pareva di non aver bisogno di venire compreso da nessuno. Più tardi, però, io non trovai nè ebbi mai al fianco mio una persona prudente, che fosse pronta ad ogni istante di chiamarmi.... di svegliarmi come con un rintocco mattutino di campana.... di spronarmi ad un lavoro nuovo, ad un lavoro più attivo.... ad imprimermi nella mente che io fino allora non avevo fatto nulla di duraturo.

Sig.ª Bork. (con riso ironico). Ah bisognava adunque che qualcuno te lo imprimesse nella mente?

Bork. (con collera). Ah, quando sento che tutto il mondo è d’accordo nel dichiararmi in faccia, che Gian Gabriele Borkman è un uomo irremissibilmente perduto, allora parmi per un momento di dover anch’io prestar fede all’opinione pubblica. (alzando in alto il capo) Ma poi la mia coscienza prende nuovamente il sopravvento: ed è la mia coscienza che mi assolve!

Sig.ª Bork. (guardando Borkman con severità). E perchè [62] non sei venuto mai da me per cercare la persona che ti comprendesse?

Bork. E se anche fossi venuto.... l’avrei forse trovata?

Sig.ª Bork. (con un gesto ripulsivo di mano). Tu, in vita tua, non hai avuto che un’unica mira: te stesso!

Bork. (con fierezza). Mi stette a cuore la forza!

Sig.ª Bork. Sì — la forza!

Bork. .... la forza di poter rendere immensamente felici tutti gli uomini!

Sig.ª Bork. Eppure ci fu un momento, in cui tu avresti potuto rendermi felice: perchè non ne approfittasti?

Bork. (come se volesse sottrarsi allo sguardo della moglie). Qualcuno deve pur venire inghiottito.... in un naufragio.

Sig.ª Bork. E tuo figlio? Hai forse sfruttato il tuo potere in suo favore.... ti sei forse adoperato mai in vita tua per renderlo felice?

Bork. Mio figlio? Io non lo conosco!

Sig.ª Bork. Hai ragione. Tu non lo conosci!

Bork. (con asprezza). Questo non è che il risultato delle cure di sua madre.

Sig.ª Bork. (guardandolo con un’aria di superiorità). Oh tu ignori le mie cure?

Bork. Le sai tu sola?

Sig.ª Bork. Sì: io sola.

Bork. Parla adunque!

Sig.ª Bork. Le mie cure furono rivolte alla tua memoria.

Bork. (con un riso secco). Alla mia memoria? È strano! Parli di me, come se io fossi già morto!

Sig.ª Bork. (facendo risaltare le parole). Tu sei già morto!

Bork. (lentamente). Forse hai ragione. (brusco) No, no: non sono ancor morto! Sono stato all’orlo della fossa, è vero: ma ora mi sono risvegliato! Ora mi sento guarito! La vita s’agita ancora davanti ai miei occhi: ed io la vedo quella vita ancora iridescente, che palpita e che m’attende.... La vedrai anche tu....

Sig.ª Bork. (coll’indice teso). Non sognare mai più di poter vivere ancora una volta! Accontentati della tua posizione attuale!

[63]

Ella (trasalendo). Gunilde, Gunilde.... come puoi tu mai....!

Sig.ª Bork. (senza darle ascolto). Voglio erigere un monumento sulla tua fossa.

Bork. La colonna infame.... eh?

Sig.ª Bork. (con un’agitazione ognor più crescente). No, il tuo monumento non sarà nè di granito nè di bronzo: sul monumento, che io intendo di erigerti, non verrà inciso nessun epitaffio ironico. Una fitta boscaglia di alberi e di cespugli si estenderà sul sepolcro della tua vita e ne coprirà tutte le macchie. Gian Gabriele Borkman scomparirà dagli occhi degli uomini, avvolto dall’oblio.

Bork. (con voce rauca; ironico). Sarà una bell’opera di carità la tua!

Sig.ª Bork. In quell’opera di misericordia io non sarò sola: avrò un compagno di collaborazione in un uomo, che io mi sono assunta il còmpito di educare e che s’è imposto di spendere la sua vita per una missione. Questo mio collaboratore, conducendo un’esistenza, ispirata a principî puri, santi e sublimi, cancellerà dalla memoria degli uomini tutti i ricordi della tua vita tenebrosa.

Bork. (minaccioso). Vuoi forse alludere ad Erardo?

Sig.ª Bork. (fissandolo negli occhi). Sì, ad Erardo. — Tu devi rinunziare a tutti i diritti che vanti su lui.... come pena per tutte le tue colpe.

Bork. (con lo sguardo rivolto ad Ella). Come pena per la più grave delle mie colpe!

Sig.ª Bork. Per il fallo, che hai commesso verso un’altra persona? Oh pensa piuttosto al peccato di cui ti sei reso reo verso di me! (con aria di trionfo, guardando ora Borkman, ora Ella) Oh il mio Erardo non ascolterà le vostre parole! Io lo chiamerò in mio aiuto ed egli non me lo negherà! Erardo vuol restare con me — con me sola e con nessun altro.... (s’arresta come per ascoltare se giungesse qualcuno; quindi esclama:) Oh sento i suoi passi! Egli è qui — egli viene qui. Erardo!

(Erardo Borkman entra dall’uscio d’ingresso: ha il soprabito e porta il cappello in testa.)

[64]

SCENA II. La Signora Borkman, Ella Rentheim, Gian Gabriele Borkman ed Erardo.

Erardo (pallido e con affanno). Ma, mamma.... cos’è successo....! (si accorge del padre, che è rimasto alla porta della veranda; trasalisce e si leva il cappello)

Erardo (dopo una breve pausa). Ebbene, mamma, che vuoi da me? Cosa è mai accaduto qui?

Sig.ª Bork. (stendendo le braccia verso Erardo). Voglio vederti, Erardo mio! Voglio averti qui vicino a me.... e sempre!

Erardo (borbottando). Vicino a te?... E sempre? Non ti comprendo!

Sig.ª Bork. Voglio averti vicino a me, sì, vicino a me, poichè qui c’è qualcuno, che vuole separarti da tua madre!

Erardo (indietreggiando di qualche passo). Tu non lo ignori adunque, mamma!

Sig.ª Bork. No, non l’ignoro. E lo sai tu pure?

Erardo (guardando meravigliato la signora Borkman). E me lo domandi?... Lo so.... naturalmente.

Sig.ª Bork. Che brutto giuoco! Perchè me l’hai fatto così di nascosto! Erardo! Erardo!

Erardo (frettoloso). Mamma, dimmi, cosa sei venuta a sapere?

Sig.ª Bork. Sono venuta a sapere tutto: so che tua zia è venuta qui per portarmi via mio figlio!

Erardo. Zia Ella?

Ella. Erardo, ascolta prima le mie parole!

Sig.ª Bork. (proseguendo). Tua zia vuole che io ti ceda a lei: vuol divenire tua madre. Tu diverrai suo figlio.... non sarai più mio. Diventerai l’erede di tutto il suo patrimonio.... cambierai nome.... assumerai il suo!

Erardo. Ma, zia, è possibile tutto ciò?

Ella. Sì, è proprio così!

[65]

Erardo. Fino ad ora io non ne avevo nemmeno la più lontana idea! Ma perchè, zia, vuoi che io ritorni a casa tua?

Ella. Perchè in questa casa sento di perderti.

Sig.ª Bork. (con asprezza). Sì, tu lo perdi per colpa mia.... il che è ben naturale....

Ella (con aria supplichevole ad Erardo). Erardo, io non posso perderti ora! Tu sai che tua zia è una donna, che vive sola, tutta sola.... che è moribonda....

Erardo. Moribonda....?

Ella. Sì: moribonda. Vuoi restare con me sino all’ultimo guizzo della mia pupilla? Vuoi consacrarti tutto a me? Vuoi diventare mio figlio....?

Sig.ª Bork. (interrompendola). Ed abbandonare tua madre e riuunziare alla tua missione? Lo vuoi, Erardo?

Erardo (commosso, con trasporto). Zia Ella.... tu sei stata sempre tanto affettuosa verso di me! In casa tua ho assaporato tutte le dolcezze della felicità, che accompagnano l’infanzia....

Sig.ª Bork. Erardo! Erardo!

Ella. Continua! le tuo parole mi fanno tanto bene!

Erardo. .... ma adesso non posso più sacrificarmi per te. Mi è impossibile di diventare tuo figlio....

Sig.ª Bork. (con aria di trionfo). Oh lo sapevo bene! Ella, tu non lo riconquisti più! non lo riconquisti più!

Ella (triste). Lo vedo. Egli è nelle tue mani.

Sig.ª Bork. Sì... Erardo è e resterà nelle mie mani! Non è vero — Erardo — noi abbiamo da percorrere insieme ancora un buon tratto di strada?

Erardo (in lotta con sè stesso). Mamma.... è meglio che io ti confessi....

Sig.ª Bork. (con inquietudine). Ebbene?

Erardo. Mamma, la strada, che avremo da percorrere insieme, sarà breve.

Sig.ª Bork. (come colpita da un fulmine). Spiegati!

Erardo (facendosi animo). Buon Dio.... Mamma, sono giovane! Mi pare che se dovessi respirare ancora più a lungo l’aria di questa casa ne soffocherei....

Sig.ª Bork. Erardo!

Erardo. Sì, è proprio così!

Ella. Vieni allora con me, Erardo!

[66]

Erardo. Ah, zia Ella, persuaditi! La tua casa è un ambiente diverso da questo, è vero, ma non è migliore.... almeno per me. Anche nel nostro giardino — come nel tuo — olezzano le rose e la lavanda.... ma anche a casa tua si respira lo stesso odore di rinchiuso, che si espande fra questi muri!

Sig.ª Bork. (trasalisce, ma poi padroneggiandosi). Senti odore di rinchiuso accanto a tua madre?

Erardo (con sempre più crescente impazienza). Sì, non conosco una parola più adatta. Tutte queste preoccupazioni morbose.... tutte queste idee sublimi.... o come le volete chiamare.... m’hanno reso insopportabile la vita.

Sig.ª Bork. (con profonda gravità). Ti sei dimenticata la missione, alla quale ti chiama la tua vita, Erardo?

Erardo (impaziente). Sarebbe meglio che tu dicessi: la missione, alla quale mi chiami tu! Sì, finora tu — tu sola sei stata la mia volontà! Io non ne ho mai potuto avere una propria! Ma ora questo giogo mi riesce troppo gravoso, troppo opprimente! Sono giovane! Ricordatelo, mamma. (con uno sguardo mite e pieno di riguardo a Borkman) Non posso sacrificare la mia vita per le colpe di qualche altra persona! Fosse pure.... non so chi!

Sig.ª Bork. (con ansia ognor crescente). Chi ti ha trasformato mai in questo modo, Erardo?

Erardo (risentito). Chi? E non potrei essere stato io stesso....?

Sig.ª Bork. No, no, no! Tu sei capitato sotto l’influenza di qualche altra persona: non subisci più l’influenza di tua madre, e nemmeno l’influenza di tua.... tua madre adottiva.

Erardo (con fierezza forzata). Mamma, ormai non mi muovo più che sotto la mia sola influenza e di mia propria volontà.

Bork. (avvicinandosi ad Erardo). Forse in questo momento è finalmente arrivata la mia ora!

Erardo (con affettata premura, come se parlasse ad uno straniero). Lei diceva?... Babbo, tu dicevi....?

Sig.ª Bork. (ironica). Sarei anch’io desiderosa di saperlo....!

Bork. (senza darle ascolto). Ascoltami, Erardo: vuoi [67] tu andare con tuo padre? Un uomo, caduto in disgrazia, non può mai venir redento dalla condotta morale di un altro. Questi sono sogni, semplici sogni, fiabe che ti furono raccontate.... qui nel tanfo di questa stanza. Se anche tu conducessi una vita casta come quella di tutti i Santi.... io non ne avvantaggerei minimamente.

Erardo (con affettato rispetto). Parole piene di verità, babbo, le tue!

Bork. Sì, parole vere: nè un maggior utile io ritrarrei anche se volessi consumare la mia vita fra le penitenze e fra le flagellazioni, in tutti questi anni.... ho tentato di illudermi con sogni e con speranze, che non fanno per me: ora bando ai sogni!

Erardo (inchinandosi leggermente). Lei vuol dunque.... babbo, tu vuoi dunque....?

Bork. Voglio risorgere con le mie proprie forze. Voglio incominciare da capo. Il passato lo si può dimonticare soltanto col presente e col futuro: lo si può dimenticare col lavoro — col lavoro febbrile, che già nella mia giovinezza mi sembrò essere lo scopo dolla vita umana. Ma ora voglio salire mille volte più in alto di prima. Erardo, vuoi tu venire con me? Vuoi aiutarmi in questa vita nuova?

Sig.ª Bork. (in atto minaccioso). Erardo! Non farlo!

Ella (con ardore). Acconsenti, acconsenti! Aiuta tuo padre, Erardo!

Sig.ª Bork. Questo è dunque il tuo consiglio? Tu.... la solitaria.... la moribonda!

Ella. Di me non mi do più pensiero!

Sig.ª Bork. Purchè io non lo riconquisti....

Ella. È vero, Gunilde!

Bork. Dunque, Erardo, acconsenti?

Erardo (come se si trovasse in una penosa situazione). Babbo.... ora non lo posso. È semplicemente impossibile!

Bork. Ma quali sono adunque i tuoi progetti?

Erardo (animandosi). Sono giovane ed anche io voglio vivore una volta! Voglio vivere questa mia vita!...

Ella. E non vorresti tu sacrificarti per qualche mese, rischiarando con un raggio di sole una povera vita, che volge al suo tramonto?

[68]

Erardo. Zia, anche so lo volessi, non lo potrei.

Ella. Nemmeno per una persona, che t’ama tanto svisceratamente....?

Erardo. Per la vita mia.... zia.... non lo posso!

Sig.ª Bork. (guardandolo negli occhi). E nemmeno tua madre potrebbe più trattenerti?

Erardo. Mamma, io ti vorrò sempre bene; ma non posso più continuare a vivere solamente per te. Questo non si chiamerebbe più vita.

Bork. Vieni dunque e stringiti al fianco mio. Vivere vuol dir lavorare, Erardo. Vieni: entriamo ora nella vita e lavoriamo insieme!

Erardo (con trasporto). Ma io non voglio lavorare! Sono giovane! E prima d’ora non ho mai sentito questa mia giovinezza! Sento adesso pulsarmi calda per le vene la vita! Non voglio lavorare! Ma vivere, vivere, vivere!

Sig.ª Bork. (trepidante). E per quale soopo vuoi tu vivere, Erardo?

Erardo (con occhi di gioia). Per essere felice, mamma!

Sig.ª Bork. E dove vuoi trovare questa felicità?

Erardo. L’ho già trovata.

Sig.ª Bork. (gridando). Erardo!

Erardo (si precipita alla porta, l’apre e chiama). Fanny, Fanny.... ora puoi entrare! Entra.

(La signora Fanny Wilton, in mantello, comparisce sull’uscio.)

SCENA III. La Signora Borkman, Ella Rentheim, Gian Gabriele Borkman, Erardo Borkman e la Signora Wilton.

Sig.ª Bork. (con le mani alzate). Signora Wilton!

Sig.ª Wil. (titubante; interrogando Erardo con lo sguardo). È permesso....?

Erardo. Sì, ora puoi venire. Ho raccontato tutto.

(La signora Wilton entra nella stanza; Erardo chiude l’uscio. La signora Wilton saluta Borkman con fare [69] misurato: Borkman risponde al saluto con un inchino. — Breve pausa.)

Sig.ª Wil. Dunque la grande parola è stata pronunciata. E m’immagino che io entri in questa stanza come una persona, che abbia arrecato un grave colpo alla casa Borkman.

Sig.ª Bork. (fissandola in viso; lentamente). Lei ha distrutto quanto rimaneva dell’uomo, per il quale io potevo ancora vivere. (con irruenza) Ciò nulla meno.... è impossibile, sì: è impossibile....

Sig.ª Wil. Comprendo che tutto ciò debba parerle addirittura impossibile, signora Borkman.

Sig.ª Bork. Lei stessa dovrebbe dire, che tutto ciò è impossibile....

Sig.ª Wil. Anzi io dovrei dire, che tutto ciò è un assurdo. Ma così deve essere e basta!

Sig.ª Bork. (ad Erardo). Il tuo modo d’agire è poco serio, Erardo!

Erardo. Ecco la mia felicità, mamma! Tutta la mia felicità, l’immensa mia felicità. Non saprei altro dirti.

Sig.ª Bork. (alla signora Wilton, stringendosi le mani). È stata dunque lei a sedurre mio figlio, ad ammaliarlo!

Sig.ª Wil. (con fierezza, con la testa alta). No, non sono stata io!

Sig.ª Bork. Non ne sarebbe capace?

Sig.ª Wil. No! Io non ho sedotto nè ammaliato suo figlio. Erardo mi si è offerto spontaneamente. Ed io spontaneamente gli sono andata incontro — a mezza strada!

Sig.ª Bork. (guardando la signora Wilton da capo a piedi, con uno sguardo sprezzante). Spontaneamente? Lo credo bene!

Sig.ª Wil. (padroneggiandosi). Signora Borkman.... vi sono nella vita umana delle forze, che Lei sembra di non conoscere affatto.

Sig.ª Bork. Quali forze?

Sig.ª Wil. Le forze, che offrono a due esseri la possibilità di annodare — o presto o tardi — le loro esistenze in un legame indissolubile....

Sig.ª Bork. (ironica). Credevo che la signora Wilton fosse già indissolubilmente legata ad un altro uomo!

[70]

Sig.ª Wil. (secca). Quell’uomo m’ha abbandonata.

Sig.ª Bork. Si dice però che egli sia ancora vivo!

Sig.ª Wil. Per me egli è come se fosse morto.

Erardo (energico). Sì, mamma, per Fanny quell’uomo è come se fosse morto. E poi tutto ciò è affatto indifferente!

Sig.ª Bork. (con uno sguardo severo). Tu conosci adunque i rapporti della signora Wilton con quel signore?

Erardo. Li conosco tutti e minuziosamente.

Sig.ª Bork. E tutto ciò ti è indifferente?

Erardo (schermendosi con baldanza). Ti ripeto che voglio godere la felicità! Sono giovane. E voglio vivere, vivere, vivere!

Sig.ª Bork. Sì, Erardo, tu sei giovane.... forse troppo giovane!

Sig.ª Wil. (con gravità). Signora Borkman — creda a me — io non ho taciuto nulla ad Erardo. Gli ho raccontato francamente tutte le vicende della mia vita, gli ho ripetuto continuamente che ho sett’anni più di lui....

Erardo (interrompendola). Ma che! Fanny.... lo sapevo ancor prima....

Sig.ª Wil. .... ma tutto fu inutile.... tutto.

Sig.ª Bork. Tutto? Davvero? Ma allora perchè non metterlo alla porta? perchè non proibirgli di venire in casa? Ecco ciò che lei avrebbe dovuto fare!

Sig.ª Wil. (con voce ottusa). Non mi fu possibile, signora Borkman!

Sig.ª Bork. E perchè no?

Sig.ª Wil. Perchè trovai in Erardo — in lui solo.... la mia felicità....!

Sig.ª Bork. (con fare sprezzante). Ehm! La felicità.... la felicità....!

Sig.ª Wil. Prima d’ora in’era ignoto che cosa significasse: “essere felice„. Capirà poi che non potevo lasciarmi sfuggire questa felicità, soltanto perchè mi era apparsa un po’ tardi.

Sig.ª Bork. E credo lei che questa sua felicità sarà perenne?

Erardo (interrompendola). Perenne o no.... mamma, ciò è indifferente!

[71]

Sig.ª Bork. (con rabbia). Povero illuso! Ma non vedi tu dove ti potrà condurre il passo che stai per fare?

Erardo. Non mi curo dell’avvenire! Poco m’importa del domani! Mi basta di poter vivere una volta!

Sig.ª Bork. (con dolore). E questo chiami tu vivere, Erardo?

Erardo. Ma non vedi quanto è bella la mia Fanny!

Sig.ª Bork. (stringendosi convulsivamente le mani). E sono io che deve sopportare quest’immensa vergogna!

Bork. (dal fondo — ironico). Ma che, Gunilde.... ormai sei già abituata a sopportare simili onte!

Ella (supplichevole). Borkman!

Erardo (c. s.). Babbo!

Sig.ª Bork. E pensare che dovrò sforzarmi di veder ogni giorno mio figlio in compagnia di una.... di una....!

Erardo (brusco). Non temere, mamma! Non mi vedrai più! Ancora poche ore....

Sig.ª Wil. (con tuono reciso). Siamo di partenza, signora Borkman.

Sig.ª Bork. Dunque parte anche lei! Insieme ad Erardo?

Sig.ª Wil. (affermando col capo). Parto per il Mezzogiorno: vado all’estero in compagnia di una giovane signorina. Ed Erardo m’accompagna in quel viaggio....

Sig.ª Bork. Dunque mio figlio parte con lei e con una giovane signorina?

Sig.ª Wil. Sì, con la signorina Frida Foldal, che mi avevo presa in casa. Voglio che all’estero essa si perfezioni nella musica.

Sig.ª Bork. Dunque la signora conduce con sè anche Frida?

Sig.ª Wil. Naturalmente, non posso mandarla sola in un paese tanto lontano.

Sig.ª Bork. (con un sorriso forzato). E che ne pensi tu, Erardo?

Erardo (imbarazzato; scrollando le spalle). Mamma.... se Fanny la vuole proprio assolutamente.... allora....

Sig.ª Bork. (con freddezza). E si può sapere quando le loro signorie pensano di partire?

[72]

Sig.ª Wil. Partiremo subito — questa notte istessa. La mia slitta ci attende in istrada.... davanti la villa Hinkel.

Sig.ª Bork. (guardando la signora Wilton da capo a piedi). Ah.... fu dunque in casa Hinkel — al ricevimento di stasera....?

Sig.ª Wil. (ridendo). In casa Hinkel non eravamo che io ed Erardo — e naturalmente anche la signorina Frida.

Sig.ª Bork. E dov’è ora Frida?

Sig.ª Wil. Ci aspetta nella slitta.

Erardo (con imbarazzo penoso). Mamma.... capirai! Volevo risparmiare questa visita.... a te ed a tutti gli altri....

Sig.ª Bork. (mortificata). Volevi dunque partire senza nemmeno dare un addio a tua madre?

Erardo. Reputavo miglior partito.... per tutti noi.... Tutt’era già bello e pronto: erano già pronte le valigie.... quando mi facesti chiamare.... (stendendole la mano) Ora, addio, mamma!

Sig.ª Bork. (respingendolo). Non toccarmi!

Erardo (calmo). Sono queste le tue ultime parole?

Sig.ª Bork. (con asprezza). Sì, le mie ultime parole.

Erardo (ad Ella). Addio, zia Ella!

Ella (stringendogli le mani). Addio, Erardo! Godi la vita! E sii felice, felice.... finchè lo potrai.

Erardo. Grazie, grazie — buona zia! (inchinandosi davanti a Borkman) Addio, babbo! (piano alla signora Wilton) Cerchiamo di andar via da questa casa più presto che sia possibile!

Sig.ª Wil. (piano). Sì, andiamo!

Sig.ª Bork. (con un sorriso malizioso). Signora Wilton.... crede opportuno di condurre seco la giovane ragazza?

Sig.ª Wil. (con un sorriso fra il serio e l’ironico). Gli uomini sono così poco costanti, signora Borkman — ed anche le donne. Quando Erardo si sarà annoiato di me — ed io di lui — sarà pur bene per ambidue di tener in pronto per Erardo una persona che possa sostituirmi.

Sig.ª Bork. E lei....?

Sig.ª Wil. Quanto a me, saprò già cosa fare.... Buona [73] sera a tutti! (Saluta ed esce per la porta d’ingresso. Erardo resta un momento indeciso sul da farsi, poi s’avvia all’uscio e corre dietro alla signora Wilton.)

SCENA IV. La Signora Borkman, Ella Rentheim, Gian Gabriele Borkman.

Sig.ª Bork. (a mani giunte). Senza più figlio!

Bork. (come se avesse preso una risoluzione). Anche io voglio uscire di qui.... fuori, fuori nella bufera. Datemi subito il mio cappello! Il mio soprabito! (avviandosi frettolosamente all’uscio)

Ella (atterrita vuol trattenere Borkman). Gian Gabriele, dove vuoi andare?

Bork. Fuori, fuori: nella bufera della vita.... Lasciami.... Ella.... lasciami!

Ella (trattenendolo a viva forza). No, non te lo permetto! Tu sei ammalato! Lo vedo!

Bork. (svincolandosi dalle mani di Ella Rentheim). Lasciami, ti dico! (via per l’uscio d’ingresso)

SCENA V. La Signora Borkman ed Ella Rentheim.

Ella (sull’uscio). Aiutami a trattenerlo, Gunilde!

Sig.ª Bork. (immobile nel mezzo della stanza; con freddezza). Io non trattengo più nessun uomo! Vadano pure via tutti: l’uno o l’altro.... mi è indifferente! Vadano via — lungi, lungi da me.... quanto più loro aggrada. (all’improvviso con un grido straziante) Erardo mio, non partire! (Si precipita con le mani tese verso l’uscio — Ella Rentheim la sorregge.)

FINE DELL’ATTO TERZO.

[74]

ATTO QUARTO.

Spianata al fianco della villa Rentheim. A destra un angolo della casa con piccola gradinata di pietra, che mette al portone. In fondo erto pendìo, coperto di abeti carichi di neve. A sinistra piccola boscaglia. Notte oscura: un pallido chiarore lunare squarcia di tratto in tratto le nuvole, che corrono per il cielo. La neve, caduta di fresco, è dappertutto.

SCENA PRIMA. Gian Gabriele Borkman, la Signora Borkman, Ella Rentheim.

(Borkman, la signora Borkman ed Ella Rentheim stanno immobili sul gradino del portone. Borkman, affranto, è appoggiato al muro: porta un vecchio pastrano ed un cappello grigio a cencio; in mano un grosso randello. Ella Rentheim ha il mantello sul braccio. La signora Borkman coi capelli in disordine ha uno sciallo sulle spalle.)

Ella (sbarrando la strada alla signora Borkman). Non corrergli dietro, Gunilde!

Sig.ª Bork. (agitata — affannosamente). Lasciami, lasciami! Erardo non deve partire, non deve abbandonarmi!

Ella. È tutto inutile: ormai non puoi più raggiungerlo.

Sig.ª Bork. Lasciami, Ella; voglio ancora tentare.... griderò il suo nome, là sulla strada; egli sentirà la voce di sua madre!

Ella. Erardo non può più sentire la tua voce! A quest’ora egli si troverà già sdraiato nella slitta....!

[75]

Sig.ª Bork. No, no.... è impossibile che egli si trovi già nella slitta!

Ella. Persuaditi! Erardo a quest’ora si trova già nella slitta.

Sig.ª Bork. (con accento disperato). S’egli si trova nella slitta.... oh allora anche quella donna è con lui.... lei!

Bork. (con un amaro sorriso). In tal caso egli non potrà sentire la voce di sua madre!

Sig.ª Bork. No.... non potrà sentirla! (stando in ascolto) Silenzio! Quale rumore?

Ella (pure in ascolto). Mi sembra lo squillar di sonagli.

Sig.ª Bork. (con un grido represso). È la loro slitta!

Ella. .... o forse un’altra....

Sig.ª Bork. No, no; è proprio la slitta della signora Wilton! La riconosco al tintinnio dei sonagli d’argento! Ascolta! A momenti passerà proprio qui davanti a noi.... osserva laggiù — verso quella discesa....

Ella (premurosamente). Gunilde, se vuoi chiamare Erardo, approfitta del momento! Forse egli può ancora.... (il rumor dei sonagli si fa sempre più distinto) — Presto, presto, Gunilde! La slitta passa in questo momento proprio sotto i nostri occhi! Chiamalo!

Sig.ª Bork. (per un momento titubante; poi trasalisce: quindi con freddezza). No; non voglio chiamarlo! Erardo Borkman passi pure davanti ai miei occhi! Vada pure lontano, lontano.... incontro a ciò che egli chiama felicità e vita! (I sonagli non s’odono più).

Ella (dopo una pausa). Non odo più i sonagli!

Sig.ª Bork. Mi fecero l’impressione di una campana funebre.

Bork. (con un riso represso). Ah, ah.... quella campana non ha suonato certamente per me!

Sig.ª Bork. È suonata invece l’ultima ora per me e per l’uomo che mi ha abbandonata.

Ella (pensierosa). Chissà che il tintinnio di quelle sonagliere non sia l’inno inaugurale della felicità e della vita di Erardo, Gunilde!

[76]

Sig.ª Bork. (trasalendo e guardandola con asprezza). Credi tu che quell’inno sarà duraturo?

Ella. Sì — almeno per qualche tempo.

Sig.ª Bork. E gli àuguri tu felicità e vita... anche in compagnia di quella donna?

Ella (con ardore affettuoso). Sì, e di tutto cuore — con tutta l’anima mia!

Sig.ª Bork. (con freddezza). L’amore deve ardere nel tuo cuore ben più vivido che nel mio.

Ella. Forse è il sagrifizio d’amore, che fa ardere nel mio cuore quella fiamma.

Sig.ª Bork. (guardando Ella). Ella! Se è così.... fra breve, anche nel mio cuore brucerà una fiamma eguale alla tua. (entra nella casa)

SCENA II. Gian Gabriele Borkman, Ella Rentheim, poi Guglielmo Foldal.

Ella (sta immobile per qualche tempo; poi guarda Borkman con preoccupazione; quindi ponendogli dolcemente le mani sulle spalle). Vieni, Gianni! Ritiriamoci in casa!

Bork. (scosso). Io?

Ella. Sì. L’aria invernale è penetrante e tu non la puoi sopportare — lo vedo. Vieni, ritiriamoci in casa, dove l’aria è riscaldata.

Bork. (sdegnato). Nel salotto — eh?

Ella. Sarebbe meglio nella stanza di Gunilde....

Bork. (trasalendo). Per Iddio non metto più piede in quella casa.

Ella. E dove vuoi andare, Gianni? Così a tarda notte?

Bork. (coprendosi col cappello). Prima di tutto voglio andare a vedere tutti i miei tesori nascosti.

Ella (guardandolo con ansia). Gianni.... non ti comprendo!

Bork. (con sarcasmo). Oh quei tesori non sono cose rubate! Non temere, Ella! (pausa — indicando con [77] la mano un punto poco distante) Osserva! Chi è quell’uomo, che viene da quella parte?

(Guglielmo Foldal entra da destra; ha un vecchio pastrano, coperto di neve, ed un ombrellone. Le falde del suo cappello sono tirate all’ingiù. Cammina penosamente, zoppicando col piede sinistro.)

Bork. Guglielmo! Vieni ora da me.... di nuovo?

Fol. (guardando Borkman). Dio mio.... tu sulla scaletta, qui fuori! Gian Gabriele? (saluta) E c’è anche la signora?

Bork. (secco). No: non è la signora.

Fol. Domando perdono. Ho perduto i miei occhiali nella neve. — Ma tu, che non metti mai il piede fuori di casa...?

Bork. (prorompendo in un’allegrezza sfrenata). Capirai, che è tempo ormai ch’io mi muova di nuovo all’aria aperto. Ho passato quasi tre anni nel carcere preventivo, cinque anni nel cellulare, ott’anni nel salotto....

Ella (preoccupata). Borkman.... ti prego...!

Fol. Sì, sì....

Bork. Ora però rispondimi: che vuoi da me?

Fol. (che si è fermato al primo gradino della scaletta). Volevo venire a casa tua, Gian Gabriele. Sentivo in me come un dovere di venire a trovarti nel salotto.... già, nel salotto....

Bork. Anche dopo d’averti messo alla porta?

Fol. Ciò m’è indifferente.

Bork. Ti sei fatto male al piede? Tu zoppichi!

Fol. Sì.... pensa!.... sono stato rovesciato....

Bork. Come? Rovesciato?

Fol. Sì: sono stato rovesciato da una slitta....

Bork. Oh! oh!

Fol. .... da una slitta tirata da due cavalli, che volavano giù per la discesa di quella strada. Non fui in tempo di scansarla.... e....

Ella. .... e ne fu travolto?

Fol. .... sì, signora — cioè — signorina. Mi urtarono e fui rovesciato nella neve; perdetti il mio paio d’occhiali e spezzai l’ombrello.... (toccandosi il ginocchio) e mi feci anche un po’ di male alla gamba.

Bork. (con riso mal represso). Ma tu sicuramente ignori chi ci fosse in quella slitta, Foldal?

[78]

Fol. E come potevo guardarvi dentro? Era una slitta chiusa, con le tendine abbassate.... ed il cocchiere, vedendomi cadere, invece di fermare i cavalli tirò innanzi. — Del resto m’importava sino ad un certo punto.... (interrompendosi) Ah sono tanto contento adesso.... sai?

Bork. Contento?

Fol. Sì: veramente non saprei proprio come chiamare il senso che m’invade ora.... sì: contentezza — non ne trovo un vocabolo migliore. — È accaduto qualche cosa di meraviglioso! Ed è perciò che non potevo far altro.... che dovevo venire qui per dividere e godere con te la mia gioia.

Bork. (brusco). Quale gioia?

Ella. Borkman, rientra prima in casa col tuo amico.

Bork. (con asprezza). Te l’ho già detto che non voglio più entrare in quella casa?

Ella. Ma non hai sentito poc’anzi: il signor Foldal è stato travolto....

Bork. Ma che! tutti dobbiamo venir travolti un giorno o l’altro.... in questo mondo. Però bisogna anche rialzarsi e tirar avanti come se non fosse accaduto nulla.

Fol. Quanto è giusta la tua osservazione, Gian Gabriele! Del resto posso raccontarti in poche parole, anche qui all’aperto, quello che mi preme di comunicarti!

Bork. (in tono più mite). Fammi questo favore! Guglielmo!

Fol. Ora attenzione! Immaginati un po’.... ritornando via da te trovo — a casa mia — una lettera.... una lettera di.... Sapresti indovinarne l’autrice?

Bork. Forse la tua piccola Frida?

Fol. Benissimo! Hai colto subito nel segno! Sì, una lettera lunga — abbastanza lunga, che era stata portata a casa mia da un servitore. — Indovina ora il motivo per cui Frida mi scrisse quella lettera?

Bork. Probabilmente per prender congedo dai suoi genitori? È così?

Fol. Benissimo! è meraviglioso come tu le indovini tutte, Gian Gabriele! In quella lettera mia figlia mi partecipa che la signora Wilton, la quale s’è interessata [79] moltissimo di lei, vuole ora condurla con sè all’estero, per darle un’educazione musicale più perfetta. La signora Wilton si è già assicurata l’opera di un bravo maestro, che deve partire con loro.... per istruire Frida.... giacchè l’educazione della mia Frida è purtroppo ancora un po’ deficiente in qualche punto.

Bork. (sforzandosi di nascondere un riso sempre più crescente). Sì, sì, Guglielmo — comprendo perfettamente tutto ciò!

Fol. (continuando con calore). E pensa! Frida venne a conoscenza del viaggio progettato appena stasera — in quella casa.... mi comprendi! — Approfittò di quel po’ di tempo, che le restava, per scrivermi la lettera — una lettera affettuosa, scritta col cuore.... e scritta tanto correttamente.... sai! Ed in tutta la lettera non c’è nemmeno una frase di disprezzo verso suo padre. E poi quel suo pensiero tanto gentile.... di mandarci i saluti per lettera.... prima di partire!... (ride) Ma Frida sembra d’aver fatto i conti senza l’oste!

Bork. (con uno sguardo scrutatore). Vorresti dire?

Fol. Mia figlia m’ha scritto pure che sarebbe partita domattina — molto per tempo....

Bork. Domattina? Ti ha proprio scritto che sarebbe partita domattina?

Fol. (ride e si frega le mani). Sì. Però io sono più furbo di quello che lo si creda! Vado subito dalla signora Wilton....

Bork. A quest’ora?

Fol. Non è poi tanto tardi. Se fosse già chiuso il portone, suonerò senz’altro, perchè voglio e devo vedere mia figlia prima della partenza. Dunque buona notte. (fa per andarsene)

Bork. Ascoltami, povero Foldal.... puoi risparmiarti quella strada faticosa!

Fol. Vuoi alludere alla mia gamba...?

Bork. Sì; oltre a ciò debbo osservarti che stanotte tu non potrai entrare in casa della signora Wilton.

Fol. Ma che! Suonerò fino a che qualcheduno mi verrà ad aprire. Capirai che voglio e devo vedere la mia Frida!

[80]

Ella. Signor Foldal, la sua Frida è già partita.

Fol. (esterrefatto). La mia Frida è già partita! Lo sa di certo? Chi glielo disse?

Bork. Lo abbiamo saputo dal suo futuro maestro.

Fol. Davvero? E chi è mai costui?

Bork. Uno studente: un certo Erardo Borkman.

Fol. (con gli occhi scintillanti di gioia). Tuo figlio, Gian Gabriele! È mai possibile?

Bork. Sì, la signora Wilton gli ha affidato l’incarico di educare la tua piccola Frida.

Fol. Dio sia lodato! Ma allora mia figlia si trova in ottime mani! Sei certo che sono già partiti?

Bork. Sì: sono partiti con quella slitta, che ti travolse sulla strada.

Fol. (battendo le mani). La mia Frida si trovava adunque in quella splendida slitta!

Bork. Sì, Foldal.... tua figlia siede ora su cuscini soffici e morbidi.... e così pure lo studente Borkman. Ehm.... hai ammirato anche i sonagli d’argento?

Fol. Come! Sonagli d’argento, hai detto? Sonagli d’argento? Erano proprio d’argento?

Bork. Sì: erano d’argento, come dello stesso metallo erano pure tutti i fregi della slitta!

Fol. (commosso). È strano come possa cambiarsi la fortuna d’un uomo! Il mio.... il mio estro poetico si è trasformato in Frida in un estro musicale! Non sono stato dunque un poeta buono a nulla! Frida va ora in quel mondo vasto, in quel mondo lontano, di cui ho tante volte sognato! La mia piccola Frida può ora rinchiudersi in una slitta dai sonagli d’argento....

Bork. .... e travolgere suo padre....

Fol. Ciò mi è indifferente.... dal momento che mia figlia.... Dunque sono arrivato troppo in ritardo. Bene: ora ritorno a casa per consolare mia moglie, che piange in cucina.

Bork. Piange?

Fol. (ride). Sì, pensa.... quando la lasciai, i suoi occhi erano in lagrime.

Bork. Tu però ridi, Guglielmo!

Fol. Io rido! Naturalmente! La povera donna non [81] ne capisce nulla. Ma ora me ne vado.... Il tramway non è poi tanto distante dalla tua casa.... Addio, Gian Gabriele! Buona notte, signorina! (saluta ed esce zoppicando nella stessa direzione, dalla quale è venuto)

SCENA III. Gian Gabriele Borkman, Ella Rentheim, poi la Cameriera.

Bork. (immobile per un momento; quindi quasi fra sè). Addio, Foldal! Non è la prima volta in vita tua che fosti travolto, vecchio amico!

Ella (guardando Borkman — con ansia repressa). Sei così pallido, Gianni....

Bork. È l’efletto dell’aria di quella prigione, là sopra.

Ella. Non ti ho mai veduto tanto pallido.

Bork. .... perchè non hai mai veduto la faccia di un carcerato, scappato dalla prigione.

Ella. Vieni, Gianni.... rincasiamo!

Bork. Finiscila con quello tue parole tentatrici. Te l’ho già detto....

Ella. E se io ti supplicassi? Per il tuo meglio....

(La Cameriera comparisce sul portone.)

Cam. Dovranno scusarmi; la signora m’ha dato l’ordine di chiudere il portone.

Bork. (piano ad Ella). Lo senti! Ora vogliono chiudermi di nuovo!

Ella (alla Cameriera). Il signor Direttore non si sente bene. Vuol respirare ancora qualche boccata d’aria fresca.

Cam. La signora però m’ha detto....

Ella. Chiuderò il portone io stessa. Lasciate pur là la chiave....

Cam. Va bene. (rientra in casa)

[82]

SCENA IV. Gian Gabriele Borkman ed Ella Rentheim.

Bork. (sta per qualche istante in ascolto: quindi scostandosi dalla casa). Ora sono fuori di quei muri, Ella! Le pareti di quella casa non mi vedranno mai più!

Ella. (avvicinandosi a Borkman). Gianni, anche in casa tua godi piena libertà: puoi andare e venire a tuo piacere.

Bork. (lentamente — con orrore). Mai più sotto quel tetto! Si sta tanto bene qui fuori, di notte. Se ritornassi nel salotto.... il soffitto e le pareti mi stringerebbero, mi soffocherebbero.... mi schiaccerebbero come una mosca.

Ella. E dove vuoi mai andare a quest’ora?

Bork. Lontano.... sempre avanti. Voglio tentare di riconquistare un’altra volta la libertà, la vita e gli uomini. — Ella, vuoi tu venire con me?

Ella. Io? adesso?

Bork. Sì, subito.

Ella. Ma dove?

Bork. Più lontano che sia possibile.

Ella. Rifletti un po’.... in questa fredda ed umida notte d’inverno....

Bork. (con voce rauca) Oh oh.... la signorina si prende cura della sua salute, eh?... già, già: la signorina è un po’ sofferente!

Ella. È della tua salute, non della mia, che mi prendo cura!

Bork. Ah ah ah! Ti dai pensiero della salute di un morto? C’è da ridere! (s’accinge a partire)

Ella (trattenendolo). Dicesti or ora di essere...?

Bork. Un morto. Hai dimenticato il consiglio, che mi suggerì Gunilde: di accontentarmi di vivere in quel mondo, in cui ho vissuto fino ad oggi?

[83]

Ella (getta via il mantello — risoluta). Io vengo con te, Gianni!

Bork. Sì, Ella: noi siamo due creature indissolubili — (s’inoltra) seguimi!

(Borkman ed Ella sono giunti alla boscaglia di sinistra, che scomparisce a poco a poco. Scompariscono pure la casa e tutto il paesaggio di fondo, che si trasforma gradatamente, prendendo un carattere sempre più selvaggio.)

Voce di Ella (dal bosco — a destra). Gianni, dove andiamo? Temo di smarrire il sentiero!

Voce di Bork. (c. s.). Segui le mie orme impresse sulla neve.

Voce di Ella. Ma perchè salire tanto in alto?

Voce di Bork. (più da vicino). Là, su quel sentiero serpeggiante!

Voce di Ella. Ah! non posso più continuare....

Bork. (nel bosco a destra). Avanti, Ella! Non ci sono più che pochi passi per arrivare alla spianata. Molti anni fa c’era un sedile.... qui....

Ella (comparendo fra gli alberi). Te ne ricordi ancora?

Bork. Potrai riposarti su quel sedile.

(Borkman ed Ella Rentheim sono giunti su un poggio, che s’eleva nel mezzo del bosco. Dietro il poggio un precipizio: a sinistra un esteso paesaggio con fjordi e con numerose catene di monti. Sul poggio a sinistra un abete sfrondato: accanto all’albero un sedile. Il poggio è tutto coperto di neve.)

(Borkman ed Ella s’avanzano faticosamente sulla neve.)

Bork. (sull’orlo del precipizio). Vieni qui, Ella. Guarda....

Ella (avvicinandosi a Borkman). Cosa vuoi mostrarmi, Gianni?

Bork. (mostrando colla mano). Guarda come libero ed infinito s’estendo sotto i nostri sguardi il paese.... lontano.... lontano....?

Ella. Quante volte, seduti su questo sedile, abbiamo rivolto i nostri sguardi ancora più lontano!

Bork. Era il paese dei sogni quello, a cui rivolgevamo allora i nostri sguardi!

Ella (affermando col capo; con voce dolorosa). Era il [84] paese dei sogni della nostra vita! Ed ora il paese è tutto coperto di neve, e l’antico albero è isterilito!

Bork. (senza darle ascolto). Vedi tu il fumo, che sale da quei grandi piroscafi, che galleggiano laggiù sul mare?

Ella. No.

Bork. Io lo vedo. — Partono e ritornano, creando commerci per tutto il mondo, ed apportando la luce e la vita dell’anima in migliaia di case. Ed io sognai una volta di mandare ad effetto tali progetti.

Ella (mite). Fu un sogno!

Bork. Sì, fu un sogno! (in ascolto) E laggiù sulle sponde del fiume.... le vedi? Tutte quelle fabbriche in attività! Le mie fabbriche! Tutte le fabbriche, che avrei voluto costruire da me, con le mie sole forze! Ascolta il rumore della loro attività! Lavorano anche di notte: dunque lavorano giorno e notte! Ascolta, ascolta! Come fremono gli ingranaggi! Osserva! Come scintillano i cilindri nella loro pazza corsa! Non ne odi il rumore, Ella?

Ella. No.

Bork. Io l’odo.

Ella (con pena). Credo che t’inganni, Gianni!

Bork. (sempre più animandosi). Tutto ciò.... sai.... non è che il muro di cinta del regno!

Ella. Del regno? Di quale regno?

Bork. Del mio regno — naturalmente — del regno, che ero già sul punto di conquistare allora.... quando mi colse la morte.

Ella (atterrita, con voce fioca). Ah Gianni, Gianni!

Bork. Ed ora esso giace.... senza re, senza padroni.... preda agli assalti ed ai saccheggi degli assassini.... Ella! Vedi tu quelle catene lontane di monti, che s’ergono l’una dietro l’altra e che s’incielano come tante torri? È là il mio regno eterno, il mio regno senza confini....

Ella. Ah Gianni! Ma da quel regno si effonde una brezza di ghiaccio!

Bork. Quella brezza giunge a me come il soffio della vita: m’accarezza il volto come se fosse un saluto degli spiriti di sotterra. Ed io li vedo quei milioni [85] incatenati; vedo i filoni dei metalli, che stendono verso di me le loro braccia innumerevoli e contorte come i rami d’una foresta. Sorsero davanti a me come ombre viventi.... in quella notte, in cui, con la lanterna in mano, entrai nella cella della Banca. Voi volevate liberarvi dai vostri gioghi! Ed io tentai di farlo — ma invano! Il tesoro piombò nuovamente nelle viscere della terra.... (con le mani tese) Ma qui — nella quiete della notte — voglio sussurrarvi una confessione: Io vi amo, o spiriti, che dormite un sonno di morte apparente nelle profondità e nelle tenebre della terra! Io vi amo, o tesori avidi di vita.... in tutto il vostro splendore, in tutta la vostra grandezza! Io vi amo! vi amo! vi amo!

Ella (con agitazione dapprima repressa, poi sempre più crescente). Sì, il tuo amore palpita ancora sempre forte laggiù nelle tenebre della terra; laggiù esso ha sempre palpitato. Ma qui, nella luce del giorno.... m’intendi.... tu avevi un cuore di donna, che palpitava sempre caldo per te. Tu hai distrutto quel cuore! Ma che? Tu hai commesso un’azione dieci volte più orribile! Hai venduto quel cuore.... per.... per....

Bork. (tremante, come se per le vene gli corresse un brivido). .... per il regno.... per il potere.... per la grandezza.... eh?

Ella. Sì; te l’ho già detto stasera: tu hai spento la fiamma d’amore nella donna che t’amava e che tu pure amavi.... o almeno per quanto lo potevi. (col braccio teso) Ed è perciò che io ti predico: Gian Gabriele Borkman, tu non otterrai mai il premio da te richiesto per quell’assassinio; tu non farai mai l’entrata trionfale nel tuo regno freddo, nel tuo regno tenebroso.

Bork. (s’appressa vacillante al sedile, poi vi cade sopra di peso). Temo che la tua profezia s’avveri!

Ella (avvicinandosi). Gianni, tu non devi temere quella profezia: è quello che di meglio ti potrebbe ancora toccare!

Bork. (alzandosi e mettendosi le mani al petto). Ah! (spossato) Ora mi ha lasciato!

Ella (scuotendolo). Gianni, cosa dici!

[86]

Bork. (rovesciandosi sulla spalliera del sedile). Una mano di ghiaccio mi ha stretto il cuore.

Ella. Gianni! Hai sentito una stretta di quella mano di ghiaccio?

Bork. (borbottando). No.... non era una mano di ghiaccio.... era una mano di ferro! (cade rovescioni sul sedile)

Ella (levandosi il mantello e stendendolo sul corpo di Borkman). Resta pur tranquillo su questo sedile! Io corro a chiamare qualcuno per soccorrerti. (s’avvia verso destra, ma dopo alcuni passi si ferma, ritorna accanto a Borkman e gli tocca il polso e le tempie)

Ella (calma, ma con risolutezza). No. Per te è meglio così; è meglio così per te, Gian Gabriele Borkman. (Avviluppa ancor più accuratamente nel mantello il corpo di Borkman; quindi si siede sulla neve, vicino al banco. — Breve pausa. — La signora Borkman, avvolta in un mantello, comparisce fra gli alberi di destra: la precede la Cameriera con una lanterna accesa.)

SCENA ULTIMA. Gian Gabriele Borkman, Ella Rentheim, la Signora Borkman e la Cameriera.

Cam. (avvicinando la lanterna al suolo). Sì, sì.... signora.... vedo delle orme sulla neve....

Sig.ª Bork. (dopo di aver guardato intorno con uno sguardo indagatore). Ah essi sono là! Sì! Sono seduti su quel sedile! (chiama) Ella!

Ella (alzandosi) Vieni a cercar noi?

Sig.ª Bork. (con asprezza). Lo credo!

Ella (indicando il cadavere di Borkman). Gunilde, egli è là.

Sig.ª Bork. Dorme?

Ella (affermando col capo). Sì: dorme un sonno profondo, un sonno eterno.

Sig.ª Bork. (con irruenza). Ella! (padroneggiandosi, domanda calma:) E si è ucciso.... di sua mano?

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Ella. No.

Sig.ª Bork. (come alleggerita da un grave peso). Dunque, non si è ucciso di sua mano?

Ella. No. Fu una mano di ferro, che gli strinse il cuore.

Sig.ª Bork. (alla Cameriera). Chiamate della gente per aiutarci: andate dal fattore!

Cam. Va bene, signora. (a voce bassa) Gesù mio! Gesù mio! (via per il bosco di destra)

Sig.ª Bork. (dietro il sedile). Lo ha dunque ucciso l’aria notturna....?

Ella. È possibile.

Sig.ª Bork. .... lui, l’uomo robusto!

Ella (innanzi il sedile). Non lo vuoi vedere, Gunilde?

Sig.ª Bork. (schermendosi). No.... no.... no. (con voce calma) L’uomo, che è morto or ora, era figlio di minatori..... Ed è perciò che non potè sopportare l’aria rigida della notte.

Ella. Fu ucciso dal freddo, ti dico io!

Sig.ª Bork. (tentennando il capo). Dal freddo, dici? Oh il freddo l’aveva ucciso da lungo tempo!

Ella (affermando col capo). .... trasformando te e me in due ombre....

Sig.ª Bork. Hai ragione, Ella!

Ella (con riso doloroso). Un morto e due ombre.... ecco l’opera del freddo!

Sig.ª Bork. Sì: il freddo del cuore! — Ora possiamo stringerci la mano, Ella!

Ella. Sì, ora lo possiamo.

Sig.ª Bork. Noi, le due gemelle.... sopra l’uomo, che abbiamo amato ambedue.

Ella. Noi, le due ombre.... sopra lui — il morto! (La signora Borkman dietro il sedile ed Ella Rentheim sul davanti si stringono le mani.)

FINE DEL DRAMMA.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.

*** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK 77533 ***