Project Gutenberg's Guida pei monti della Brianza, by Ignazio Cantù

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Title: Guida pei monti della Brianza
       e per le terre circonvicine

Author: Ignazio Cantù

Release Date: July 21, 2018 [EBook #57561]

Language: Italian

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*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK GUIDA PEI MONTI DELLA BRIANZA ***




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GUIDA
PEI MONTI DELLA BRIANZA


GUIDA
PEI MONTI DELLA BRIANZA
E
PER LE TERRE CIRCONVICINE.

CON CARTA TOPOGRAFICA

MILANO
PRESSO SANTO BRAVETTA
contrada S. Margherita all'Angolo de' Due Muri N.º 1042

1837.


La presente edizione è sotto la salvaguardia della Notificazione governativa 21 Luglio 1818.



INDICE


ALLA
TERRA GENTILE
CHE DIEDE LA CULLA
A
MARCO D'OGGIONO RIPAMONTI E PARINI
IL GENIO
A
CAGNOLA E APPIANI
LA SCENA
DEL NOSTRO PIÙ CELEBRE ROMANZO
AD
ALESSANDRO MANZONI
LA TOMBA
A
ROMAGNOSI.

[5]

AI LETTORI.

Quando io stava raccogliendo i materiali delle Vicende della Brianza, che ora comparvero interamente in luce, nulla risparmiai perchè potessi avere quella maggiore esattezza, che fosse possibile in un lavoro per anco intentato, dove mi trovava senza guida veruna, come uom nuovo d'un paese, che si abbatta ad andarvi in un giorno in cui una levata di neve abbia sepolto campagne, praterie, giardini e la strada ch'egli è obbligato a segnare per la prima volta. Lui fortunato se può giungere felicemente alla sua meta! Tal era di me, fra un pelago di notizie, le quali ingombravano tutto il campo che io avea stabilito di percorrere, e fra cui io doveva, il [6] primo, aprire una callaja, un viottolo, quando non potessi schiudermi a dirittura una strada. Mi providi dunque di tutti quei soccorsi che giovassero a reggermi nella via pericolosa, ricorsi al consiglio di chi poteva essermi maestro, ebbi il favore di valevoli persone, e mi posi a tentare l'impresa. Ora poichè l'opera, comunque sia stata, è condotta al suo termine, fui da alcuni discreti ed amanti del meglio avvertito di alquante inesattezze, avvertimenti di cui feci tesoro, e credendoli utilissimi alla perfezione del mio lavoro, ed alla più esatta cognizione delle glorie avite della nostra patria.

Alcune mende io posi dunque nei brevissimi cenni che ti presento o Lettore nella Guida, di cui ardisco far un presente ai miei compatriotti, ed a quei cortesi, che tratti dalla vaghezza del nostro suolo, volessero conoscere dove sia il più degno da vedere, dove le glorie antiche, dove le bellezze moderne, dove possa di più la veduta, dove il terreno sia meglio atto alla coltura, dove non risponda ancora alla vigilanza del cultore, senza omettere le qualità delle terre e le altre notizie che ponno appartenere al geologo ed all'antiquario.

Lo stesso farò coi paesi che circondano la nostra Brianza, riserbandomi per quanto risguarda la Valsassina, ad un'esatta relazione [7] somministratami dal mio pregiato amico signor Ingegnere Giuseppe Arrigoni d'Introbbio, che assai meglio di me può conoscere a parte a parte la sua valle paterna, alla quale ha consacrato già alcuni studj, nojosi se non fossero sempre abbellite di tenere idee le fatiche sostenute per la terra natia.

Accogli dunque Lettore questo povero dono, e se scorgi qualche pregio in esso, riportane il merito alla bellezza del paese che lo ha inspirato; se lo trovi poi assai minore dell'aspettazione e dell'argomento danne pur colpa alla mia poca attitudine, non già a mancanza di buon volere, di fatiche, di studj, di spese se vuoi, di viaggi.

Intanto io auguro a chi s'appresta a visitare questa deliziosa terra, salute e ventura e mi stimerò fortunato quando appena appena potessi ottenere che egli leggendo questo volume, si ricordasse qualche volta di chi glielo donava nella speranza che non sarebbe affatto disaggradito.

IGNAZIO CANTÙ.

Milano 20 luglio 1837.

[9]

BREVI NOTIZIE STORICHE DELLA BRIANZA.

Non parmi sconveniente riportare alcuni brevi cenni storici dei paesi fra cui stiamo per fare una piacevole gita, cominciando dalle memorie più antiche, e discendendo fino ai nostri giorni, col compendiare quel che si dice con maggiore abbondanza ed ampiezza nelle Vicende della Brianza e dei paesi circonvicini.

La Brianza, il Piano d'Erba, il distretto di Cantù, il territorio di Lecco, le Valli Assîna e Sâssina furono abitate a immemorabile dagli Orobj, i quali, secondo la tradizione, fondarono la città di Barra sull'altura, che conservò poi sempre il nome di Monte Baro, in vicinanza di Lecco. Questi cedettero agli Umbri, nazione celtica, i quali vennero del pari sgombrati dagli Etruschi, che tagliando le [10] selve, incanalando le acque, promovendo l'agricoltura tolsero ai nostri paesi l'aspetto selvaggio fino allora conservato.

Circa quattro secoli avanti Cristo, i Galli guidati da Bolleveso, superarono gli Etruschi; si fermarono nelle nostre terre, scompartiti probabilmente in due regioni, a capo delle quali erano Brenna, nel distretto di Cantù, e Brenno in quello di Erba. Ma tutti questi popoli oltremontani dovettero piegarsi alle armi di Roma, che ridussero la Brianza a provincia romana e vi fondarono, secondo l'opinione d'alcuni, Liciniforo rispondente all'odierno Villincino. Da servi diventammo anche noi cittadini romani, dopo che aiutammo Giulio Cesare reduce dalle Gallie a portar le armi contro la sua città. Incredibile ambizione!

Sorto il cristianesimo rifulse tosto anche fra noi la luce della verità. Beverate, frazione di Brivio, diede in San Sempliciano il successore di Sant'Ambrogio nella sede metropolitana; Cassago fu il luogo ove Sant'Agostino stette preparandosi al battesimo. Alcune chiese nostre ricordano quei primi tempi e principalmente i battisteri di Galliano, di Mariano, di Barzanò, che durano tuttora, e quel d'Oggiono che fu ridotto ad uso di sagrestia.

[11]

Nelle invasioni settentrionali, Unni, Goti si contesero le nostre terre; i primi furono dai secondi respinti, ma poi anche questi vennero cacciati dai Greci per istanza del nostro San Dazio d'Agliate, vescovo milanese. Finalmente i Longobardi ci sottomisero, inalzando fra noi molti monumenti della loro dominazione i quali si additano ancora senza però che si abbiano validi argomenti per comprovare la verità di questa credenza.

Tali sarebbero la chiesa di San Pietro sul monte di Civate, il San Michele sul Montebaro, il prosciugamento delle paludi di Rovagnate, le torri di Carate e Perledo e il monastero di Cremella. A questi aggiungi, il più magnifico di tutti, la cattedrale di Monza.

Divenimmo poi francesi con Carlo Magno, italiani ancora con Berengario, finalmente tedeschi con Ottone I. di Germania. Questi periodi sono per la nostra storia affatto tenebrosi.

Ed eccoti ai tempi feudali, in cui la Brianza costituì la più gran parte del contado rurale della Martesana, di cui era capo Vimercate.

Altri contadi erano pure Lecco e il suo territorio, Limonta e Civenna, a capo del quale rimasero gli abati di Sant'Ambrogio [12] fino al 1796. Abbiamo statuti di questi due contadi, di quello della Martesana nessuno.

Altre autorità minori, col titolo di capitanati, furono erette da Landolfo arcivescovo milanese, uno a Carcano, l'altro a Pirovano e Missaglia, ed il terzo ad Incino di cui investì tre suoi fratelli. Capitanati erano Lomagna, Trezzo, Besana, Agliate, Mandello, Carimate, Mariano ed Asso.

Quando i Milanesi, sottomessi i nobili, si dichiararono in repubblica, i nostri avi, togliendone l'esempio, si affrancarono dai loro conti rurali, abbandonandosi alle violenze repubblicane, e scannandosi fratelli con fratelli. Miserabili ricordanze! Ma ben presto fummo di nuovo sudditi dei feudatarj milanesi, che continuarono ad opprimerci, fin quando furono essi alla loro volta domati da Federigo Barbarossa.

Durante le guerre tra i Milanesi e gli Alemanni, ai tempi di Federigo, noi fummo divisi di parte e di consiglio. Alcuni sull'esempio d'Algiso, abate di Civate, spalleggiarono il Barbarossa; altri, sostenendo i padroni dei nostri campi, combatterono pei Milanesi. Federigo, prevalendosi dell'ajuto dei primi, volle abbattere i secondi, e i Milanesi fecero lo stesso alla loro volta. Finalmente la battaglia [13] di Tassera o di Carcano o d'Orsenigo, come la chiamano, (9 agosto 1160) pose termine alle contese fra noi segnalando il totale trionfo dei Milanesi. Gli uomini d'Erba e d'Orsenigo, mentre il combattimento pendeva indeciso, recando un improvviso soccorso ai Milanesi diedero il tratto della bilancia in favore di questi, onde da quel momento Erba ed Orsenigo furono donate dai Milanesi del diritto di cittadinanza, ripetuto poi da Ottone Visconti, dagli Spagnuoli e dai Tedeschi.

Ma la pace fu breve. I Milanesi ristorate le fumanti ruine della loro patria, si lacerarono tosto con intestine discordie, che rimasero sopite dalla Pace di Lecco (1223), ma che furono poi rinfrescate da Ardigotto Marcellino, che mise a nuovo rumore la città (1224).

Noi imitando l'esempio de' Milanesi ci dichiarammo repubblica, eleggendo a podestà generale della Martesana Enrico da Cernusco, e subalterno Pietro Cano da Agliate. Ma questa condizione di cose durò poco tempo, poichè ristabilita la fazione de' patrizi non solo i due nominati podestà furono obbligati a salvarsi colla fuga, ma i Brianzuoli finirono col perdere i rettori, i capitani e perfino i confalonieri, non rimanendo loro che i consoli comunali.

[14]

In quel tempo, i più ricchi possidenti della nostra Brianza erano il monastero di Sant'Ambrogio, da cui dipendevano Limonta e Civenna; l'arciprete di Monza che godeva la giurisdizione feudale sulle terre d'Oggiono, Sirone, Cassago, Monticello, Casirago, Massajola, Sorino, Maresso, Torrigia, Tresella, Castelmarte, le corti di Bulciago, Calpuno, e Velate, Monguzzo, Cremella ed Osnago e moltissime altre; il monastero di San Dionigi che possedeva alcune terre in Barzanò, Verzago, Cuciago, Merate, Pescate e Sabbioncello.

Intanto dalla Valsassina usciva una nuova potenza, che doveva passare dalla pace d'un umile paesello, al fasto d'un dominio potente, contendere colle prime autorità italiane, dare più presto de' re, che de' capitani, i quali sarebbero poi scomparsi, parte trafitti, parte condannati alle durezze dell'esiglio e delle prigionie.

Pagano della Torre, nativo di Primaluna, fattosi benemerito de' Milanesi, dopo la battaglia di Cortenova (1237), fu da essi nominato protettore del popolo, contro l'arcivescovo Leone, detto volgarmente da Perego dal nome del suo paesello natale.

Pagano trionfò, ma a mezzo delle sue vittorie [15] cessò di vivere (6 giugno 1240) lasciando il protettorato a Martino degnissimo suo nipote, che proseguì le contese sanguinose coi nobili finchè la tregua di Parabiago (4 aprile 1257) sospese per qualche tempo lo scialacquo del sangue. Poco appresso l'arcivescovo Leone, infermatosi a Legnano, scese nella quiete della tomba, dopo la vita più tumultuosa ai 16 ottobre 1257.

A lui succedeva, come arcivescovo, Ottone Visconti, più uomo di guerra che di chiesa, il quale pieno d'ira contro i popolari milanesi si fece caporione dei patrizj di Milano e del contado, fra cui primeggiava Aliprando Confalonieri conte d'Agliate.

Le segrete antipatie si convertirono presto in formali contese. Sul Prato Pagano, spianata poco discosta da Como, Torriani e Viscontei vennero a sanguinosa giornata (1258), funestissima alla parte de' Visconti e de' Confalonieri, che dovettero ricercar salvezza sul territorio bergamasco.

E là si cacciarono al vergognoso partito di invocare l'ajuto d'Ezzellino, crudelissimo Signore di Padova, coll'appoggio del quale passata l'Adda, si disposero a stringere di assedio Milano. Trovarono però un esito tristo non meno che le loro intenzioni! I nobili [16] furono annientati ed Ezzellino ferito, tra Vimercate e Monza, finì una vita scandalosa e crudele in Soncino l'8 ottobre 1259.

Un bando pubblicato contro i patrizj superstiti rese la loro posizione ancor più disastrosa, tanto che di nuovo dovettero ritirarsi sulle terre bergamasche.

Poi, troppo confidenti nella loro unione, ardirono di nuovo valicare il fiume che separava le due repubbliche milanese e veneziana, e rinchiudersi nel castello di Tabiago, in numero di trecento. Ivi subito assediati da Uberto Pallavicino, podestà dei popolari milanesi, furono ridotti alle più desolanti miserie, alle più indegne umiliazioni, finalmente molti fatti prigionieri (1261).

Egual sorte toccavano gli altri che si erano gettati nel castello di Brivio, poi e questi e quelli salvi finchè visse Martino Torriano, (1262) dopo la sua morte furono in numero di 54 miseramente appiccati nel Broletto nuovo di Milano. Ma la fortuna, fino allora favorevole alla potenza torriana, si innimicò a loro sui campi di Desio, 20 gennajo 1277, quando Francesco ed Andreotto, figliuoli di Martino, rimasero trafitti, e i fratelli di costoro Napo, Lombardo ed Erecco perdettero la libertà e finirono la vita nelle miserie [17] delle prigioni, e gli altri due Cassone e Goffredo postisi in fuga mangiarono il duro pane dell'esiglio.

Allora ristorata la potenza de' Visconti, vennero richiamati dall'esiglio tutti i patrizj, e steso il catalogo delle famiglie nobili milanesi fra cui sono moltissime delle nostre terre.

Finchè però non fossero estinti del tutto i Torriani titubava la potenza d'Ottone Visconti. E dovette accorgersene quando l'esule Cassone (luglio 1278), rimesse insieme nuove soldatesche, sottomise i castelli di Cassano, Vaprio, Trezzo, Brivio, poi tutta la Brianza e il Piano d'Erba. Non giunse appena l'inaspettata notizia ad Ottone, che mandato un grosso esercito, diede motivo ad una sanguinosa baruffa sul ponte di Brivio, terminata col trionfo de' Torriani. Allora Cressone Crivelli, postosi di mezzo ai contendenti coll'autorità che non viene mai meno in un uomo di senno, di cuore e di zelo, indusse la pace, che fu segnata in Brivio, poi confermata in Marignano (1279).

Ma chi rispettava la pace in quei tempi calamitosi? Nuove contese tra i Visconti e i Torriani stancarono l'animo dei Lecchesi, che animati dai caldi parteggiatori della libertà, si alzarono a gridare la loro indipendenza. [18] Intempestivo desiderio che rese più infausta la nostra posizione, poichè Matteo Visconti, subentrato all'arcivescovo, mandò Zanasio Salimbeni ad assalire improvvisamente il borgo di Lecco, che fu sottomesso e dato in preda alle fiamme (1296).

Tornati così alla condizione di servi dei Milanesi, festeggiammo Guido Torriano, quando, cacciato Matteo Visconti in esiglio, si dichiarò capo della repubblica milanese; per lui combattemmo sotto le bandiere di Tignacca e Strazza Parravicino, potenti signori del Piano d'Erba; per lui sostenemmo l'assedio di Monza finchè tutto cedette alla imperiosa superiorità di Galeazzo Visconti. E quando contro costui fu bandita la crociata, noi Guelfi, ci unimmo alle armi pontificie, avemmo la peggio sulle rive dell'Adda, ma finalmente, cambiata la fortuna, cacciammo i Visconti da Cassano, Trezzo, Vaprio, Brivio ed anche Monza, (18 giugno 1324), ove però rientrarono ai 10 novembre dell'anno medesimo.

Durante queste tumultuose vicende i Grassi di Cantù ardirono dichiararsi liberi, e rinforzato il loro borgo con torri e con mura, proclamarono l'indipendenza. Ma, veduto il loro pericolo, si riposero in divozione de' Visconti, [19] appena questi cessarono d'aver a fronte la crociata. Venuti poi a contesa con Franchino Rusca signore di Como, per aver tentato di ribellargli la città, si misero in una dannosa spedizione, per cui perdettero 116 uomini trafitti nelle vie di Como, 54 furono mandati sulle forche (1333).

Salito a capo del governo milanese l'accorto Azzone Visconti ed inimicatosi coi Grassi, tolse a questi ogni podestà, quindi s'impadronì di Lecco, ove gettò il ponte sull'Adda, e finì col sottomettersi tutta la Martesana.

Subentratogli Bernabò, per rinforzare i suoi dominj, fabbricò i castelli di Desio e di Trezzo, compresse le ribellioni della Brianza che era insorta all'appressarsi d'una nuova crociata bandita da Giovanni XXII. nel 1373, vi commise molte crudeltà, nè finì d'opprimerci se non quando, per tradimento di Gian Galeazzo conte di Virtù, fu fatto prigioniero e cacciato a morire nel castello di Trezzo.

Allora tutte le famiglie briantee, che si erano ribellate contro il dominio de' Visconti, ebbero da Galeazzo la liberazione del bando e la grazia di ritornare al possedimento dei loro beni[1].

[20]

L'esempio delle discordie de' dominanti avea dato motivo alle discordie de' soggetti. Ghibellini e Guelfi, nomi scandalosi, senza confine, senza unità di pensiero, questi due nomi suonarono funestamente anche nei nostri paesi, dove nappe rosse e bianche distinsero le due parti contrarie. Dapprima queste contese erano suscitate da due o più famiglie prevalenti, dopo non furono che due accozzaglie di gente senza capo, senza rinomanza, che si diedero a fraterni umori, a spogliar chiese, casali, cascine, stalle, castelli, ardere biade e boschi, farsi a vicenda mille insulti e sprezzi, seme di vendetta e di sangue. Poveri tempi! povero senno di chi li rimpiange!

Tornarono però ancora i Guelfi a mettersi sotto l'ombra d'un nome famoso, che fu Pandolfo Malatesta, al quale cedettero il castello di Trezzo; e si posero a scorazzare per la Martesana e per la Pieve d'Incino, rubacchiando, ed ammazzando a tradimento. Ma per astuzia dei Colleoni il Malatesta fu scacciato da quel castello, e si pose in salvezza sul territorio bresciano: e restarono i due nomi a capo delle nostre fazioni di Colleoni e di Visconti.

La nostra storia da quel momento diviene più che mai interessante pei tumulti che vi [21] cagionarono i capitani di ventura. Assedj sostenuti e ribattuti, sangue sparso a tradimento, vittorie e sconfitte funeste ambedue, sono le vicende di quel disastroso periodo quando le terre nostre risuonavano del nome e delle prodezze di Carmagnola, di Gonzaga, di Bartolomeo Colleoni, di Gattamelata, di Francesco Sforza, che più avventuroso di tutti, divorato dall'ambizione di regno, piantò i suoi accampamenti nella Brianza e con un pugno d'uomini sfidò e vinse ad un tempo i Veneziani ed i Milanesi (1447-1450).

Nella villa del conte Giovanni Corio di Vimercate (3 marzo 1450) fu sottoscritto il trattato, che dichiarò lo Sforza legittimo successore dei Visconti. Sotto di lui fu scavato il naviglio della Martesana, colla direzione dell'ingegnere Bertola da Novate.

Poche sono le memorie della Brianza sotto i successori di Francesco Sforza, quando ne eccettui i molti uomini illustri che vi fiorirono e l'istituzione dei feudi di Desio, Mariano, Carate, Agliate, Giussano, Verano, Robiano, Sovico, San Giovanni di Baraggia, e Mulino di Peregallo.

Durante le contese degli ultimi Sforza e de' Francesi, vedemmo le galanterie di questo popolo avvezzare alla immodestia le nostre [22] fanciulle, introdotta fra noi la mollezza, ed anche la versatilità ed instabilità di quella nazione.

La battaglia di Pavia (25 febbraio 1525) tornò insieme col Milanese anche la Brianza in podestà di Francesco II. Sforza, sotto cui il castello di Monguzzo divenne il nido d'ogni ribalderia; poichè Gian Giacomo De-Medici, che per tradimento ne era divenuto castellano, si gittava ad ogni più nefanda perfidezza, rubando, ammazzando, imprigionando i signori da meno di lui, nè mettendoli in libertà se non dopo lo sborso di larghissimi compensi. Non v'è quasi terra della Brianza, che non abbia sentita una volta l'influenza di sì cattivo vicino.

Quanto diverso da Gian Giacomo De-Medici era il suo nipote Carlo Borromeo! Nome caro, come i più soavi titoli della parentela, della amicizia, della beneficenza.

A lui dobbiamo la riforma delle chiese e del clero, che passando attraverso al furiare di tanti bellicosi avvenimenti, aveva smarrita la moralità, la decenza, la cognizione de' proprj doveri. S. Carlo venuto più volte nella amena Brianza e salito fino ai più disastrosi casali della Valsassina e Vallassina quando colle carezze, quando colla severità, cercò [23] provvedere al tanti abusi introdotti nei ministri del Signore e venne poi, angelo consolatore, a visitarci, ad amministrarci i sagramenti e confortarci colle parole della fede, quando eravamo oppressi dal disastroso flagello della pestilenza (1576) che per la carità operosa del santo cardinale fu detta la peste di San Carlo.

E l'opere da lui cominciate e non ancora ridotte a termine furono proseguite dal suo cugino Federigo Borromeo, che assiduo non meno di lui volle più volte vedere questa diletta porzione del suo gregge, benchè molti pericoli minacciassero continuamente la sua vita. Ed ebbe anche egli al pari del cugino il dolore di vederci contristati di nuovo e quasi distrutti dal contagio del 1630, conosciuto volgarmente sotto la peste de' Promessi Sposi, tanta è la relazione fra questi due oggetti, che con mezzi diversi segnarono un'epoca famosa!

Col progredire della civiltà si diminuì lo scialacquo del sangue, e noi in tutto il secolo decimosesto non abbiamo di guerresco se non la sola spedizione del duca di Roano (1635) che, tentando sorprendere inaspettatamente il dominio milanese per parte del re di Francia, attraversata la Valsassina, era giunto in [24] vista di Lecco. I Brianzuoli all'improvviso minacciar del nemico, sorti in armi, sotto la condotta di Paolo Sormani feudatario di Missaglia, si ordinarono in un subito, e schierati presso il ponte di Lecco bastarono colla loro presenza ad atterrire di sì fatta maniera il Francese, che fece argomento pel suo meglio di riprendere la fatta via, accontentandosi di quanto poteva rubare nella sua precipitosa fuga.

Da questo avvenimento in fuori la storia nostra è pacifica, un ammasso di leggi, di gride, d'ordini oggi fatti, domani invecchiati, il dì dopo dimenticati, prepotenze di signorotti, scandalose civetterie, private vendette, ma nulla che richiami ad avvenimento di generale commovimento.

Ma per procurare questa bonaccia il dominio spagnuolo avea dovuto esaurire il suo tesoro, onde fu ben presto cacciato alla necessità di vendere tutte le giurisdizioni erariali, i dazj del pane, del vino, delle carni, l'imbottato e il diritto dell'impero misto. Da qui vennero i cinquantacinque feudi in cui fu scompartita nel secolo XVII. la Brianza, fra i quali primeggiava quello delle famiglie Crivelli, a cui venivano appresso per vastità gli altri dei [25] d'Adda, Carpani, Sfondrato, Secco-Borella e Sormani.

Cominciava invece il secolo XVIII. colla sanguinosissima battaglia di Cassano (1705), e terminava colle due non meno funeste di Lecco e di Verderio (1799), che bastano per dare un'infausta celebrità a quel secolo ed a quei paesi.

Il periodo di mezzo però fu tempo di pace e di utili istituzioni, grazie alle savie disposizioni di Carlo VI., di Maria Teresa e di Giuseppe II.

Allora avemmo il regolare scompartimento censuario delle terre, (il catasto), l'abolizione delle regalie, delle franchigie, degli asili, della tortura, e quasi della pena di morte; l'uguaglianza dei diritti ecclesiastici, e l'opera più grandiosa e più particolarmente utile per noi, il canale di Paderno, che rese praticabile la navigazione del lago di Como col mare Adriatico.

La storia politica del secolo presente è comune, tranne pochissime modificazioni, con quella di tutti gli altri paesi della Lombardia, ma a dar un colore particolare agli avvenimenti nostri furono eretti maestosi capolavori in genere di belle arti, fra cui basti ricordare la Rotonda d'Inverigo con cui il [26] defunto marchese Luigi Cagnola richiamava nel nostro suolo la magnificenza della greca nazione.

Questi fatti, di cui abbiamo qui presentato uno scheletro nudo, spolpato, sono accompagnati da assai altri meno clamorosi ma non meno importanti, e che servono a dare più vivamente alla storia nostra quella fisonomia particolare che la distingue da tutte le altre; ma per essi mandiamo alle nostre Vicende della Brianza.

UOMINI ILLUSTRI.

Riguardo agli uomini distinti per eminenza di merito e di fama, noi ci limiteremo a trascegliere dagli uomini illustri, che abbelliscono i due volumi delle Vicende, quei soli che primeggiano senza far parola dei molti viventi.

Vantiamo fra i pittori ed artisti Marco d'Oggiono, Giovanni Donato da Montorfano, Simone da Orsenigo, Costantino da Vaprio, Andrea Appiani, Vitale Sala, Giovanni Bellati e Carlantonio Tantardini.

Fra gli storici sia bastevole ricordare Giuseppe Ripamonti.

Fra gli uomini di lettere ed eruditi Pietro [27] Paolo Ormanico, Dionigi Parravicino, Andrea Alciati, Marc'antonio Majoraggio, Giovenale Sacchi, Stefano Ticozzi.

Fra i poeti Carlo Maggi, Giuseppe Parini, Francesca Manzoni.

Tutti nomi gloriosi che attestano la superiorità intellettuale di quegli svegliati brianzuoli che sorrisi da tanta bellezza si sentono accesi dal fuoco della poesia e dal sentimento del bello.

[29]

CENNI STATISTICI.

Gli scrittori, dissi anche altrove, non assegnarono alla Brianza precisi confini, nè sono questi determinati dall'uso comune, allargandoli e restringendoli quegli e questo a seconda del bisogno e di mille circostanze.

Noi, obbligati pure a segnare qualche spazio preciso a questo lavoro, abbiamo cercato di dilatarlo, il più che ci fu concesso, onde potessimo conciliargli maggiore interesse. Nè tutto comprendiamo sotto l'angusto titolo di Brianza, ma l'aggiunto di paesi circonvicini, pare che possa giustificare ogni ragionevole dilatamento.

Senza però spendere più parole su questo argomento credo necessario premettere alcune notizie statistiche e geologiche le quali possano rendere una conoscenza, il meno possibile imperfetta, del paese fra cui ci prepariamo a passare qualche giorno di delizia.

Il territorio che noi imprendiamo a percorrere è intercettato da innumerevoli colline, [30] altissime montagne, torrenti, gore, fiumicelli e fiumi.

Una catena di montagne, cominciando poco discosto da Monza, corre a settentrione presso Robbiate, Imbersago, Arlate, Brivio; piega poi a Rovagnate, a Monte; indi ritorna a Monza. La cresta più alta fra questa catena è il Montevecchia che si eleva, secondo Oriani, 1578 piedi al di sopra del livello del mare.

Una seconda catena più maestosa procede a Beverate, a Rovagnate, indi ad Oggiono e Valmadrera, dove termina col Montebaro retrocedendo, a seconda del fiume Adda, di nuovo sino a Beverate, donde staccasi un ramo secondario chiamato i monti di Galliano. La punta del Castello di Brianzuola, il monte Brianza, il già nominato Montebaro e il San Genesio elevano le loro cime al di sopra di tutte le altre vette[2].

[31]

Dalla Valmadrera si diparte una terza catena assai più maestosa delle due antecedenti, che procede fino ad Erba, donde continua per la Vallassina, mandando la falda orientale nel ramo del lago di Lecco. In essa primeggiano i Corni di Canzo ed il monte di San Primo.

La Valsassina è cinta da due catene che si disgiungono a Lecco per procedere in due linee ovali interrotte, che si riuniscono senza però combaciarsi vicino a Bellano. Il Moncódeno, la Grigna, il Pizzo dei tre signori sono le cime più elevate di questa catena.

FIUMI.

Fiume principale è l'Adda che nasce nel monte dell'Oro a piedi dello Stelvio, taglia la Valtellina, poi il Lario e sotto il ponte di Lecco riprende corso e figura di fiume, formando varj laghetti; indi quando navigabile, quando ingombra di sassi, procede fino a scaricarsi nel Po. Il suo corso è dal Ponte di Lecco allo sbocco metri 136,581 colla pendenza complessiva di 163 metri 352 mill.

Il Lambro nato nella Vallassina, presso Magreglio, discende stretto fino a Pontenuovo, donde ingrossato coll'emissario del lago di Pusiano, progredisce fino a Monza, s'interseca a Carsenzago col naviglio della Martesana, bagna Melegnano e le pianure di Sant'Angelo, indi si getta nel maggior fiume d'Italia non molto lontano da Cignolo.

[32]

Il Pioverna taglia tutta la Valsassina, riunendo in sè i molti scoli delle alture circostanti, quindi si va gettando nel lago di Como.

Altre acque minori sono la Molgora, il Séveso, la Bévera formati tutti da sorgenti, da scoli e ingrossati da acque piovane.

Fra i canali navigabili della Lombardia appartengono al nostro territorio il Naviglio di Paderno aperto per ordine di Maria Teresa che esce dall'Adda al sasso di Sammichele presso Paderno e rientra alla Rochetta; e il Naviglio di Martesana che esce dal fiume stesso sotto il castello di Trezzo, e porta le sue acque fino a Milano. Ambedue presentano le seguenti particolarità.

Naviglio Lungh. Largh. Pendenza Velocità
    m. m. mass. med. min. mas. m. m.
Paderno K. 1373 6.6 5.8 2,960 1,104 0,000 4,94 1,90 0,00
Martesana 2403 9.5 5.1 0,746 0,424 0,110 1,55 0,74 0,18

Un Klafter corrisponde approssimativamente a metri 1,896613.

LAGHI.

I laghi di Pescarenico, di Olginate, di Brivio, formati dai dilatamenti dell'Adda, d'Annone, di Pusiano, d'Alserio, che si pretende formassero già un sol bacino chiamato l'Eupili, unito per mezzo della Valmadrera col Lario; i piccoli laghetti di Montorfano, nel distretto di Cantù, di Segrino al lembo meridionale della Vallassina, del Sasso nella Valsassina, di Sartirana nel mezzo della Brianza.

[33]

PRODUZIONI.

Le terre della Brianza in generale sono fertilissime, ove eccettui i pochi terreni isteriliti dallo straboccamento dei fiumi, come quelli frapposti ai laghi di Pusiano e d'Annone, la brughiera di Cornate e qualche altro luogo. Ogni specie di grano, toltone il riso, canape, legumi, vini, fra cui godono vanto di primazia quelli di Montorobbio, di Montevecchia, di Porchera e Mariano, ogni guisa di fiori, nè vi mancano ulivi ed agrumi. Una delle più doviziose produzioni è il gelso, il cui allevamento è ora divenuto d'una prodigiosa universalità! I laghi fornendo molte specie di pesci, formano una nuova sorgente di guadagno per la popolazione.

Le terre somministrano altresì calce e tegole, pietre da fabbrica e da ornato, scarseggia in vece la legna principalmente da poichè sulle ruine di molti boschi furono condotti ridenti vigneti. Le piante più comuni sono l'olmo, il castano, il pioppo, la bettula e l'onizzo.

INDUSTRIA.

I terreni calcari e argillosi frequentissimi fra noi danno alimento a centinaja di fornaci; le fabbriche delle stoffe de' nastri, delle tele, de' merletti, de' cappelli di paglia, oltre i mestieri più consueti tengono occupata quella parte della popolazione che non è data all'agricoltura, al commercio, all'agiatezza. L allevamento [34] levamento de' bachi e la filatura delle sete è però l'argomento più importante dell'industria briantea. Nel territorio di Lecco la popolazione è principalmente messa in moto da innumerevoli fucine e magli del ferro, di cui si fanno considerevoli estrazioni nelle ferriere della Valsassina.

Ma il principale nerbo dell'industria briantea sta nella manifattura delle sete. Nella sola Brianza esistono i seguenti lanifici:

  Numero delle filande. Numero de' filatoj.
 
Distretto di Brivio 17 10
» Cantù 9 6
» Canzo 25 32
» Erba 31 37
» Introbbio 4 1
» Lecco 37 27
» Missaglia 10 7
» Oggiono 61 67
» Vimercate 38 51
» Verano 20 38

L'allevamento del bestiame domestico, parte principale tra il quale sono i buoi, le vacche, i cavalli ed i muli, è forse in Brianza più esteso che in qualunque parte della Lombardia poichè si contano:

Buoi 6270
Vacche 25383
Cavalli 2094
Muli 1646

[35]

Oltre a ciò, sui greppi della sola Valsassina pascolano 1667 pecore e 4895 capre, animale vietato nel resto del nostro territorio pei danni che arreca alle siepi ed ai germi delle piante.

EDUCAZIONE.

Dopo la legge che imponeva l'ordinamento dell'istruzione comunale, ogni comune fu provveduto d'una scuola elementare sorvegliata immediatamente dai singoli parrochi, e superiormente da un Ispettore distrettuale, dipendente dall'Ispettore provinciale. Ivi sono insegnati i primi elementi del leggere e dello scrivere, l'aritmetica mentale e scritta, il catechismo e la storia sacra.

Presentemente si contano nell'estensione del nostro territorio le seguenti scuole elementari:

  Maschi. Femmine.
 
Distretto di Vimercate 22 3
» Verano 19 1
» Missaglia 12
» Brivio 15 3
» Oggiono 23 3
» Lecco 21 4
» Introbbio 32 5
» Canzo 16
» Erba 21 1
» Cantù 17 3
 
     
  198 23

A Merate, a Vimercate, a Cassano esistono inoltre ginnasj convitti.

[36]

COMMERCIO E MANIFATTURE.

Sebbene non sia molto importante il commercio de' Brianzuoli, pure la loro attività è dimostrata anche dal gran numero de' mercati e delle fiere ove è gran consumo di commestibili, di tele, cotoni e minuterie. Sono mercati settimanali a

Mariano } al Martedì.
Merate }
Canzo } al Mercoledì.
Santa Maria Hoè }
Incino   al giovedì.
Oggiono } al Venerdì.
Santa Maria della Noce }
Vimercate }
Missaglia } al Sabbato.
Lecco }

Sono mercati annuali:

[37]

Tra le moltissime sagre sono riconosciute per fiere le seguenti:

COMPARTIMENTO ECCLESIASTICO.

Le dodici Pievi, tutte di rito ambrosiano e dipendenti dall'arcivescovo di Milano, che comprendevano l'antica Martesana, entrano nel territorio nostro coll'aggiunta di quelle di Lecco e Primaluna, e sono:

  Parrocchie soggette. Popolazione.
 
Asso 12 5,332
Brivio 13 13,264
Cantù 12 11,794
Carate 1 2,000
Desio 16 30,380
Incino 31 27,135
Lecco 13 14,600
Mariano 10 9,485
Missaglia 22 18,017
Oggiono 9 9,437
Olginate 7 9,118
Primaluna 15 10,370
Séveso 14 13,973
Vimercate 22 21,794

Le prebende parrocchiali sono in generale, quando ne eccettui Lomagna, provvedute d'un ricco beneficio. Quella del proposto di Missaglia non invidia all'appanaggio d'un piccolo vescovado.

[38]

COMPARTIMENTO TERRITORIALE.

Ora producendo lo stato territoriale d'ogni distretto avremo il quadro seguente unito al quale presenteremo il numero della popolazione e del bestiame grosso che si trova in ciascuno de' nostri distretti.

Distretto Com. Perticato Popolaz. Bestiame grosso
        Buoi Vac. Caval. Muli
Brivio 23 102,868 16,766 374 1967 213 131
Cantù 17 129,700 19,021 1319 2221 176 189
Canzo 20 134,882 11,553 519 2283 106 112
Erba 28 112,943 18,187 930 1491 197 263
Introbbio 27 376,746 12,387 5 5730 182 106
Lecco 21 198,123 17,981 413 3378 304 106
Missaglia 24 107,664 16,071 866 2243 227 151
Oggiono 27 133,473 22,267 683 2012 217 147
Verano 25 102,486 18,541 757 1448 231 234
Vimercate 27 180,880 25,839 374 2610 241 207
 
       
    1,589,765 178,613

Dal quale prospetto risulta la popolazione di 178,613 individui su pertiche 1,589,765. In tutti questi capi-luoghi del distretto risiede un commissario, tranne a Verano, che cede tale residente al vicino Carate.

Quanto poi allo scompartimento giudiziario abbiamo le preture che seguono, tutte residenti nei luoghi sottoindicati.

[39]

Sono rappresentati da consigli comunali i comuni di Cantù, Besana, Acquate, Valmadrera, Sormano, Mariano, Laorca, Carnago, Lecco, Abbadia, Vendrogno.

DILIGENZE, VETTURE E BATTELLI.

Partono le diligenze erariali da Milano per Coira e per Inspruck, percorrendo da Monza a Lecco lo stradale militare che taglia la Brianza e conservando l'ordine seguente:

Il velocifero da Milano a Lindau parte dalla capitale della Lombardia ogni martedì alle 5 antimer. giunge alle 6¾ a Monza, alle 8¼ a Carsaniga, alle 11 antim. a Lecco ed arriva a Lindau alle ore 10½ antim. del giovedì. Ritornando giunge a Lecco il mercoledì a 5 ore pomer., alle 8 a Carsaniga, alle 9¼ a Monza ed alle 11 a Milano.

Il velocifero per Inspruck parte da Milano ogni domenica alle ore 4 ant., alle 5½ passa per Monza, alle 7¼ per Carsaniga alle 9¾ per Lecco e giunge ad Inspruck al mercoledì alle 6¾ antim. Retrocedendo parte dalla capitale del Tirolo ogni lunedì alle 6 pom., alle 10½ ant. del mercoledì è a Lecco, alle 3¼ pom. a Carsaniga, alle 5 a Monza, alle 7¾ a Milano.

Vetture per la Brianza troverai di leggieri a Milano nell'albergo della Corona contrada San Raffaello; in Monza all'albergo del Falcone ed ai Merli. Le spese servendosi delle diligenze celeri sono:

[40]

          Esterno. Interno.
 
Da Milano a Monza, poste Aust. 1.75 2.—[3]
Carsaniga » » 3.— 3.50
Lecco » » 5.— 6.—
 
Da Lecco a Carsaniga » » 2.50 3.—
Monza » » 3.75 4.50
Milano » » 5.— 6.—

Prezzo corrispondente ad Austriache 1.60 per ogni posta, o centes. 20 per ogni miglio nel posto interno della diligenza.

Chi volesse poi venire da Milano in Brianza per mezzo del canale navigabile della Martesana avrà le seguenti occasioni immancabili.

    Passaggieri. Merci ogni 25 libbre.
Da Milano per Concesa tutti i venerdì a sera cent. 64 cent. 6
Vaprio tutti i giorni a sera » 60 » 6
Cassano tutti i giorni a sera » 51 » 5
 
Per Milano da Concesa tutti i lunedì a sera » 60 » 5
Vaprio tutti i giorni a sera, il martedì e giovedì a 2 ore di giorno » 55 » 5
Cassano tutti i giorni a sera, il lunedì, martedì, mercoledì e venerdì a 2 ore di giorno » 46 » 2

[41]

Nei viaggi a Milano queste barche corriere durante la notte non sono tirate da alcun cavallo, nel giorno sono trascinate da un cavallo che va di buon trotto dalle Fornaci a Milano. Nel ritorno sono sempre trascinate da due cavalli, che vanno d'un passo discreto.

Per agevolare poi in ogni modo i mezzi di comunicazione fra noi e la capitale del governo vi sono moltissime diligenze, staffette e messaggieri. Noi le riferiremo coi giorni e le ore delle loro partenze e dei loro arrivi, avvertendo che i due vocaboli partenza ed arrivi si riferiscono sempre a Milano.

Asso part. lunedì e venerdì alle ore 9 pom. — arrivo lunedì e venerdì alle ore 4 pom. messagiere.

Bellaggio part. lunedì e mercoledì alle 9 pom. diligenza — venerdì alle 6 pom. staffettaarrivo giovedì, venerdì e domenica alla mattina diligenza.

Bellano idem.

Canzo. Vedi Asso.

Carate part. mercoledì e sabbato a mezzodì — arrivo martedì e mercoledì alle 10 mattina messaggiere.

Cassano d'Adda part. mercoledì e domenica alle ore 3 pom. — arrivo lunedì, mercoledì, venerdì e sabbato alle 10 mattina staffetta.

Desio part. lunedì e venerdì alle 9 pom. — mercoledì e sabbato a mezzodì messagierearrivo [42] lunedì e venerdì alle 4 pom. messag. — martedì e venerdì alle 10 matt. staffetta.

Introbbio part. martedì e venerdì alle 6 pom. dilig.arrivo giovedì e domenica alla mattina diligenza — venerdì staffetta.

Lecco part. lunedì e mercoledì alle 9 pom. — venerdì alle 6 pom. — domenica alle 4 pom. dilig.arrivo martedì, giovedì e domenica alle 9 mattina dilig. — lunedì, mercoledì e venerdì alle 10 mattina staffetta.

Monza part. martedì, mercoledì, venerdì e sabbato a mezzodì messag. — martedì alle 6 pom. dilig. — venerdì alle 6 pom. e domenica alle 4 pom. staff.arrivo giovedì e domenica alle 9 mattina dilig. — martedì, mercoledì, venerdì e sabbato alle 10 mattina messag. — lunedì, mercoledì e venerdì alle 10 mattina staffetta.

Vallassina. Vedi Asso.

Vimercate part. mercoledì e sabbato a mezzodì — arrivo mercoledì e sabbato alle 10 mattina messaggiere.

Si trovano inoltre i seguenti vetturali, condottieri, pedoni, e cavallanti che arrivano e partono da Milano.

Arcore. — Cavallante che arriva e parte ogni martedì e venerdì. Ricapito in casa d'Adda sul corso di Porta Nuova, 1470.

Asso. — Diligenza nella contrada del Rovello in casa Andreani, 2303, la quale parte da Milano il martedì, il giovedì ed il sabbato; [43] ed arriva il lunedì, mercoledì e venerdì. — Vetturale, arriva il lunedì e venerdì, e parte il martedì e sabbato all'albergo della Torre di Londra nella contrada del Rovello, 2294.

Barzanò. — Cavallante al martedì e venerdì allo stallazzo Formenti sulla corsia del Broletto, 1749.

Besana, allo stallazzo della Ghiacciaja, in borgo di Santo Spirito, si trovano condottieri e pedoni al martedì e venerdì mattina che arrivano e partono, come pure allo stallazzo Biella, corsia del Broletto, 1753.

Brianza. — Vetture che arrivano e partono tutti i giorni all'albergo della Corona, contrada San Raffaello, 1009. — Cavallante al martedì e venerdì allo stallazzo dell'Annunciata sulla corsia del Broletto, 1710.

Brivio. — Cavallante al martedì e venerdì allo stallazzo del Cavalletto nella contrada del Palazzo di Giustizia, 558.

Cantù. — Vetturale e Cavallante, arrivano al martedì ed al venerdì, e partono al mercoledì ed al sabbato allo stallazzo del Cavalletto, contrada San Nazzaro Pietrasanta, 3220, ed alla Torre di Londra nella contrada del Rovello, 2294, al mercoledì e venerdì.

Canzo. — Corriere al martedì e venerdì allo stallazzo dell'Annunciata sulla corsia del Broletto, 1710.

Carate. — Cavallante al lunedì e giovedì allo stallazzo Formenti sulla corsia del Broletto, 1749.

[44]

Cassano d'Adda. — Corrieri e pedoni al martedì e venerdì in casa d'Adda sui corso di Porta Nuova, 1470; e all'osteria di San Paolo, sulla piazza dello stesso nome, 583, arrivi e partenze nello stesso giorno.

Costa Masnaga. — Cavallante al martedì e venerdì allo stallazzo Biella sulla corsia del Broletto, 1753.

Desio. — Cavallante al martedì e venerdì d'ogni settimana. Ricapito presso il signor Minola calzolajo in Cordusio, 2448.

Erba, Ponte e d'intorni. — Cavallante al martedì e venerdì in casa Carpani nella contrada di Brera, 1563; e allo stallazzo del Cavalletto nella contrada del Rovello, 2312.

Galbiate. — Cavallante al martedì e venerdì allo stallazzo dell'Annunciata sulla corsia del Broletto, 1710.

Inzago. — Vetturali e Condottieri di Cassano all'osteria di San Paolo, piazza dello stesso nome, 583.

Lambrugo. — Cavallante al lunedì e giovedì. Vedi Galbiate.

Lecco. — Condottiere, al martedì e venerdì. Vedi Galbiate. — Vetture che arrivano e partono giornalmente all'albergo della Corona nella contrada San Raffaello, 1009.

Meda. — Cavallante al lunedì, giovedì e sabbato. Vedi Galbiate.

Merate e contorni. — Cavallanti che arrivano e partono due volte la settimana. Ricapito [45] in casa d'Adda nella contrada del Gesù, 1280; ed in casa Belgiojoso, piazza dello stesso nome, 1722. — Vetture all'albergo della Corona contrada San Raffaello, 1009.

Missaglia. — Cavallante al martedì e venerdì, allo stallazzo Formenti sulla corsia del Broletto, 1747. Vedi Galbiate.

Monticello. — Vettura giornaliera all'albergo di San Michele nella contrada de' Pattari, 568.

Monza, parecchie volte tutti i giorni, all'albergo della Corona contrada San Raffaello 1009, arrivano e partono vetture per quella città e suoi dintorni. — Tutti i giorni, allo stallazzo del Cavallino, dicontro all'Ospital Maggiore, 5276.

Oggiono. — Corriere al martedì e venerdì. Ricapito allo stallazzo Biella sulla corsia del Broletto 1753. — Vetture al martedì e venerdì all'albergo della Corona contrada San Raffaello, 1009; ed allo stallazzo dell'Annunciata sulla corsia del Broletto, 1710.

Olginate e stradale. — Cavallante al martedì e venerdì. Vedi Galbiate.

Robbiate e d'intorni. Vedi Merate.

Seregno. — Cavallante al mercoledì e sabbato. Vedi Barzanò.

Vaprio. — Corriere, due volte alla settimana. Ricapito in casa Castelbarco nella contrada di Brera, 1556.

Viganò. — Cavallante al lunedì e venerdì. [46] Ricapito al Cavalletto nella contrada del Rovello, 2312.

Villalbese. — Cavallante al lunedì allo stallazzo Formenti sulla corsia del Broletto, 1749.

Villa Romanò. — Corriere al martedì e venerdì. Ricapito in casa De-Cristoforis sul corso di Porta Nuova, 1494.

Villavergano. — Cavallante al martedì e venerdì. Ricapito allo stallazzo Biella sulla corsia del Broletto, 1753.

Vimercate. — Vettura che arriva e parte tutti i giorni. Ricapito nel vicolo del Zenzuino, 528.

STRADE.

Lunghissimo sarebbe enumerare tutte le strade da cui è tagliata la Brianza, onde ci limiteremo ad accennarne le principali. La strada militare da Milano a Vienna, giunta a Monza, entra nei distretti di Vimercate, di Missaglia, di Brivio, d'Oggiono e di Lecco, indi procede sul lungo della sponda orientale del lago di Como. È un ramo di essa l'altra che si stacca da Monza, viene a Vimercate, Bernareggio, Imbersago, Brivio, e ad Airuno si unisce ancora colla strada militare. Un secondo ramo parte da Monza, va a Biassonno, Canonica, dove si divide in due rami secondarj, di cui quello più occidentale piega verso Albiate, la Costa d'Agliate, e il più orientale attraversa il ponte sul Lambro tra Canonica e il Gernetto, va a Lesmo, a [47] Casate Nuovo, Monticello, Barzanò, Dolzago ove si separa in forma d'un ipsilon, mandando le due linee sulle due sponde del lago d'Oggiono, le quali mettono poi capo nella strada provinciale da Lecco a Como. La quale ultima strada, partita da Lecco, cammina in una direzione tortuosa sotto Valmadrera, pel Piano d'Erba e finalmente decade nella valle ove giace la città del Lario. Queste strade che sono le primarie vengono intersecate da un numero infinito d'altre secondarie, destinate a congiungere paese con paese, ma sarebbe lungo, difficile e forse senza molto vantaggio l'andar tutte rammentandole.

La strada dell'Alzaja vuol essere nominata e per la lunghezza della sua linea e per la sua importanza. È questa una via rialzata, quando tagliata nella roccia, quando nascosta e corrente sul lembo d'un bosco, quando artificiosamente collocata su terra portata, che corre a seconda del naviglio della Martesana, del naviglio di Paderno e dell'Adda, non interrotta da Milano fino a Brivio ed è destinata a cavalli, che traggono le navi a ritroso del fiume, non potendosi in altra guisa rimontare contro la cadenza delle acque.

Anche la Valsassina e la Vallassina sono tagliate di mezzo da due strade faticose per chi è avvezzo alle orizzontali pianure della Lombardia. La prima cominciando a Lecco [48] va a sboccare, dopo aver percorsa tutta la valle, a Bellano; l'altra continuando la strada postale che viene da Monza, giunta ad Erba, entra nella Vallassina ed assecondando il corso del Lambro mette capo a Bellagio terra del lago di Como.

ABITI E COSTUMI.

I nostri signori e gli artigiani, presso a poco hanno una foggia di vestirsi quasi comune con tutta la Lombardia, i primi seguaci più o meno delle usanze che ci manda l'elegante Parigi, i secondi contenti per lo più al frustagno nei giorni di lavoro, al velluto od al grosso panno nei dì festivi.

La classe che si distingue ed ha una forma propria d'abiti sono i contadini, che discerni dagli altri di Lombardia ai calzoni curti, alla marsina di grossa lana o verde o marrone, colle falde abbreviate e quadrate, al cappello dalle larghe tese dalla testiera informata al capo. Il fattore, il sagrista, l'uomo importante ravvisi al largo nastro rosso onde s'allaccia le gambe sotto il confine dei calzoni corti; il ricco massajo, che passò coi suoi risparmj dalla condizione di servo a quella assai migliore di padrone senza perdere punto dell'antica economia, scerni alla lunga marsina, con ampie tasche, fedeli alle calze bianche, ai calzoni abbreviati, rimodernandosi solo un cotal poco nella forma e nella finezza del cappello, lontani però sempre dalle [49] consuetudini comandate dalla moda cittadinesca.

La contadina nella sostanza e nella forma degli abiti poco varia dalle contadine milanesi; ai dì feriali corsaletto e sottana di cotone, grembiule di tela; ai dì festivi corsaletto più sovente di velluto che di panno se inverno, di cotone se estate, di cotone la sottana, di cotone il grembiule. Al collo un vezzo di filigrana o coralli, in testa un'aureola di spilli d'argento, ricchissima nella giovine sposa del contadino benestante, e terminata sul confine delle orecchie in un agone pure d'argento infisso nelle treccie; sulla fronte i capelli con una piccola dirizzatura in due partiti, il più delle volte tirati dietro le orecchie, qualche altra composti in ricci. Questa generale eleganza delle donne brianzuole, è, secondo Gioja, uno dei primi elementi della nostra agiatezza, poichè i mariti raddoppiano la lena del lavoro per procacciare i mezzi di mantenere questa decente pulitezza.

SCRITTORI CHE PARLARONO INTORNO ALLA BRIANZA.

Redaelli Carlo: Notizie storiche della Brianza, del distretto di Lecco, della Valsassina e dei luoghi circonvicini. Milano, presso i Classici Italiani e Rusconi. Opera rimasta sospesa, fascicoli quattro in-8.º Lir. 4. Aust.

—— Dell'antico stato del lago di Pusiano. Milano, Destefanis, un vol. in-32.º Lir. 2. Aust.

[50]

Annoni Carlo: Memoria istorico-archeologica intorno al Piano d'Erba. Como, presso i Figli di Carl'Antonio Ostinelli, 1831, un volume in-8.º Aust. Lir. 3.

—— Monumenti e fatti politici e religiosi del Borgo di Canturio e sua Pieve raccolti ed illustrati. Milano, pel Dottor Giulio Ferrario, 1835, un grosso volume in-4.º di pag. 475 corredato di molti rami. Aust. Lir. 30.

Cantù Cesare: La Madonna d'Imbevera. — Racconto. — Milano, presso Truffi e C.º 1835, un volumetto in-16.º Aust. Lir. 2.30.

Cantù Cesare e Michele Sartorio: La Lombardia pittoresca. Milano, presso Ant. Fortunato Stella. Finora pubblicati fascicoli 17 ad Aust. Lir. 2. ciascuno.

Cantù Ignazio: Le Vicende della Brianza e dei paesi circonvicini. Milano presso Santo Bravetta, 1836-37. Opera completa in 6 fascicoli componenti due vol. in-8.º Aust. Lir. 9.

Amoretti Carlo: Viaggio da Milano ai tre laghi Maggiori, di Lugano e di Como e nei monti che li circondano. Milano, presso Silvestri, 1824. Aust. Lir. 4. Un volume soverchiamente conciso e manchevole nella parte che ci risguarda.

Bombognini Francesco: Antiquario della Diocesi di Milano, seconda edizione con correzioni ed aggiunte del Dottore Carlo Redaelli. Milano, 1828, in-8.º di pag. 321. Libro pregevole nella parte antica, inesatto e povero nella parte moderna.

[51]

N. N.: Un'ora nel Giardino di Desio. Milano, presso Giovanni Battista Bianchi, 1829.

Polidori Abate Luigi: Il Gernetto. Poemetto con note. Milano, dalla tipografia Pogliani, 1833, fuor di commercio.

N. N.: Di che possa intrattenersi il forastiere in Monza. Monza, dalla tipografia Corbetta, 1833.

Mezzotti Giovanni Antonio: L'Imp. R. Parco di Monza — Cenni. — Milano per Antonio Fontana, 1830, in-8.º di pag. 42.

—— Il Cronista Monzese: Anno I. Milano, tipografia Malatesta di Carlo Tinelli, 1837. Aust. Lir. 1.

Sartorio Michele: I Giardini d'Italia. Milano, presso la tipografia dei Classici Italiani: quattro volumetti pubblicati a guisa d'almanacco.

Tamassia Giovanni: Quadro statistico dei cantoni di Taceno e di Lecco. Milano, 1804.

[53]

CAPITOLO PRIMO. MONZA.

La cattedrale di San Giovanni. — Teodolinda regina dei Longobardi. — Il Tesoro. — Il Palazzo del comune. — Il Pretorio. — Bernardino Luini alla Pelucca. — Il Seminario. — Altri stabilimenti.

Per cominciare la nostra gita da qualche punto considerevole ci trasporteremo direttamente a Monza, antichissima città, illustre per vicine e lontane memorie, che furono raccolte dal Moriggia, dallo Zucchi e più largamente dal canonico Frisi[4].

Lasciando ad altri la cura di parlare di proposito di esse, noi staremo paghi a ripeterne quel tanto che torni bene al nostro lavoro.

La cattedrale che sorge nel cuore della città riconosce la sua edificazione dalla regina Teodolinda che, al dir di Paolo Warnefrido, la fece fabbricare «per sè, pel figliuolo, per la sua figlia e per tutti i Longobardi italiani, onde avessero San Giovanni avvocato presso Dio per tutti i Longobardi».

La devota fondatrice è ricordata in più luoghi del tempio. Sulla facciata vedi questa regina in atto di presentare a San Giovanni Battista una corona gemmata, nel bassorilievo a mezzaluna al di sopra [54] della porta maggiore d'ingresso, la vedi altresì sul pronao in un tondo, a cui risponde un altro raffigurante Adaloaldo suo figlio; ti appare ancora in un evangelio da lei donato alla chiesa monzese come ricorda l'appostavi iscrizione:

DE DONIS DEI OFFERIT THEODOLINDA REGINA
GLORIOSISSIMA SANCTO IOHANNI BAPTISTÆ IN BASILICA
QUAM IPSA FUNDAVIT IN MODICIA PROPE
PALATIUM SUUM[5].

Finalmente si crede che le ossa di lei unite a quelle del suo figlio riposino nell'urna vicina alla sagrestia poco discosta dai freschi che raffigurano le sue gesta.

La facciata, obbliqua al correre delle tre navate, è di liscio marmo, tagliata da sei filoni; fra i due di mezzo un finestrone rotondo, fiancheggiato da due altri di minore circuito; sulla porta maggiore una statua metallica del Precursore, sotto cui un terrazzino di marmo bianco sostenuto da due colonne di serpentino a cui servono di base due leoni.

La torre alta centotrentacinque braccia, detta volgarmente il Grandone di Monza, bellissimo lavoro di Pellegrino Pellegrini (cominciato nel 1592 terminato nel 1606), è una delle vedette più propizie per contemplare ad un volgere d'occhio le amenità della Brianza.

Nel secolo XIV. in cui il fervore religioso toccava l'auge della sua potenza, i Monzesi, bramosi di [55] allongare la loro cattedrale, vi aggiunsero due archi, riducendola così alla lunghezza di braccia 122, ed alla larghezza di 48, commettendone la facciata, il pulpito, il battistero allo svizzero Matteo Campioni, forse il migliore architetto italiano de' suoi tempi, di cui leggi l'epitafio nell'esterno della cappella del Santo Chiodo in questa medesima basilica, che dice:

HIC JACET ILLE MAGNUS EDIFICATOR DEVOTUS MAGISTER MATHEUS DE CAMPILIONO QUI NUNC HUJUS SACROSANTE ECCLESIE FATIEM EDIFICAVIT EVANGELICARIUM AC BAPTISTERIUM QUI OBIIT ANNO DOMINI MCCCLXXXXVI DIE XXIIII MENSIS MAII[6].

Fra le molte pitture, ond'è questa chiesa decorata nell'interno, sono d'Isidoro Bianchi i freschi sulla volta, del Montalto e di Giulio Cesare Procaccino i laterali all'altare maggiore, del Guercino da Cento il quadro della Visitazione, di Bernardino Luini quello di San Gerardo.

In un altare a sinistra del maggiore, è custodita la rinomata Corona ferrea, tutta d'oro puro, brillantata di ventidue pietre preziose, fatta a guisa di cerchio senza raggio, e divisa in sei pezzi, legati fra loro con versatili cerniere. È resa sacra da una lamina di ferro che la circonda nell'interno, e che, secondo un'antica credenza, è uno de' chiodi della Passione. Solevano di essa coronarsi gli antichi re [56] Longobardi e Italiani; se ne fregiò pure in Bologna Carlo V., ma dopo lui rimase inoperosa fino al 1805 in cui l'eroe del nostro secolo volle richiamarla all'antica destinazione ricevendola dalle mani dell'arcivescovo Caprara nel duomo di Milano, e ponendola da sè medesimo sul proprio capo.

Nella sagrestia è a vedersi il ricco tesoro, preziosi oggetti in argento ed oro, fra cui la rinomata chioccia coi pulcini, ed altre ricchezze largite a questa chiesa da magnifici sovrani. Tanto valore non potè sfuggire all'avidità dei repubblicani, quando nel 1796 rapirono le ricche suppellettili delle chiese, per trasportarle sulle rive della Senna, ma fortunatamente nel 1816 con solenne cerimonia fu dai Monzesi ricuperato.

Di moderno non ha la cattedrale che il pulpito disegnato dal profess. architetto Amati, uno degli illustri viventi che onorano questa loro patria, e l'altare disegnato dall'Appiani. Sotto l'atrio attiguo alla chiesa, entro una nicchia perpendicolare e difesa da un usciolo di legno è lo scheletro disseccato di quell'Estore Visconti, figliuolo naturale di Bernabò e Beltramola Grassi di Cantù, che avendo usurpato il dominio di Monza, valorosamente si sostenne contro Facino Cane, finchè un colpo di spingarda fiaccatogli lo stinco sinistro, il tolse di vita nel 1413. Quali sensi ti corrono al cuore ricordando le gesta gloriose d'un eroe in faccia al suo cadavere indolente!

Una storia di Monza, anche dopo quella del Frisi, sarebbe un campo quasi vergine ancora, quando uno volesse assumere la lunga fatica di minutamente esaminare [57] le molte carte e pergamene deposte nell'archivio dove troverebbe larga messe da raccogliere, giovevole anche alla storia generale del Milanese e dell'Italia. Colla cattedrale si raffronta assai bene per antichità il Palazzo del Comune sotto le cui due aguzze navate oggi l'erbajuolo, il pollajuolo ed il merciajo tengono i loro mercati. Pare che il tempo dell'erezione di questo antico edifizio paralellogrammo, che da Sire Raul e Morena, apologisti del Barbarossa, viene a questo imperatore attribuita, debbasi dedurre dall'iscrizione sovra la porta del Pretorio contiguo ad esso ove è detto:

✠ MCCLXXXXIII DE MENSE JUNII..... IN REGIMINE NOBILIS ET POTENTIS MILITIS DNI PETRI VICECOMITIS POTESTATIS BURGI DE MODOETIA FACTUM FUIT HOC OPUS[7].

Al di sopra di quelle due vôlte, nella loro lunghezza aperta da cinque archi, stendesi l'ampia sala ove si raccoglieva il consiglio comunale. La ringhiera, parte integrale di questi pubblici convegni, la quale appare più recente dell'edificio, mostra sulla sua spalletta due vipere, insegna della potenza viscontea, un cimiero, una luna crescente, ed in mezzo un'aquila che stringe fra gli artigli un cervo, simbolo delle miserabili contese guelfe e ghibelline.

La facciata settentrionale alla sua sommità si tramuta in una torre quadrata a cupola conica, su cui [58] era collocata la solita campana per radunare il popolo a consiglio. È volgare credenza che su questa torre sia stato collocato il terzo orologio a martello[8], poichè in un antico necrologio di Monza scritto in latino si legge: 1347 ultimo di marzo. Il savio uomo Leone Frisi custode della chiesa di Monza fece recar da Milano in detta chiesa di Monza un orologio fatto da maestro Giovanni, Maestro de' grandi Signori di Milano. Questi sarebbe Giovanni Dondi, quel medesimo che fabbricò l'orologio di San Gottardo, e che con lautissimo stipendio si trovava appunto ai servigj dei Visconti.

E la signora di Monza? Diventò personaggio troppo importante perchè uno voglia venire in questa città senza richiedere di questa Virginia Leyva, nipote d'Antonio De-Leyva, spagnuolo, principe d'Ascoli, buon soldato, ma cattivo nel resto, cui Manzoni mascherò sotto il pseudonimo di Geltrude. Condusse la sua stentata gioventù nel monastero delle Umiliate di Santa Margherita, presso il quale sorgeva il palazzo della famiglia Osio a cui apparteneva Gian Paolo, che sedusse la Virginia, trafugò una conversa e le due monache Ottavia Rizia e Benedetta Felicia che poi assassinò. La casa dell'Osio fu per ordine del senato nel 1608 ruinata dalle fondamenta e postavi una colonna infame su cui scolpita la sua sentenza. In appresso il luogo fu convertito in un giardino, che ora è unito al Collegio Bianconi.

[59]

Il Seminario, a cui si spiana dinanzi una piazza quadrilunga è disegno dell'architetto Giacomo Moraglia, nome notissimo ai Brianzuoli che ebbero eretti da lui tanti edificj sacri e profani, e del quale speriamo vedere tra poco condotto a termine anche il disegno della chiesa di San Gerardo, che dall'operosa carità d'alcuni devoti si sta innalzando al concittadino e patrono dei Monzesi, il quale nel secolo XIII. eresse in patria un ospitale e segnalò la sua indomabile umanità fra le miserie d'una micidiale pestilenza.

Abbiamo già nominato il quadro di Luini che rappresenta questo santo nella cattedrale; del medesimo pittore si credono pure due freschi uno nel Palazzo municipale, l'altro sulla porta della Casa d'industria. Il qual Bernardino Luini stette qualche tempo nell'ospitale ritiro della Pelucca, rimpiattato dalle indagini della Inquisizione, che lo voleva al suo tribunale. Poichè, mentre il pittore coloriva i misteri della Passione nella chiesa di San Giorgio in Palazzo a Milano, il proposto di questa, con cui non se la diceva troppo bene, salito sul ponte ove stava lavorando il pittore pose il piede sur un'assicella, che si scompose e gli cade di sotto, ed il sacerdote ne precipitò arrivando a terra colle cervella sfondolate. Ne fu dato carico a Bernardino, che vistosi in aria cattiva, stimò miglior partito cercar salvezza nella fuga, e travestito da mugnajo si ridusse nella villa dei Pelucchi, dove trovò protezione e sussidj, e dove in ricambio frescò le pareti e condusse probabilmente i dipinti nominati di sopra.

Ma l'oggetto onde il nome di Monza suona anche [60] in lontani paesi e trae maggior numero di visitatori è il Parco reale, che comprendendo quattordici mila pertiche di terreno è dei più vasti d'Italia. Noi diremo qualche cosa di esso, dopo aver fatto un breve giro nella principesca villa che vi è unita, grandioso lavoro di Piermarini.

CAPITOLO SECONDO. IL PARCO REALE.

Palazzo. — I freschi d'Appiani. — Il Parco. — Il Frutteto. — Cassina di San Lorenzo. — Marco Visconti. — I Forni. — Il Mirabellino. — La Faggianaja all'Ungherese. — Il Bosco bello. — Il Belvedere. — La Faggianaja all'Italiana.

Quando Andrea Appiani cominciava a dar luminose prove del suo ingegno fu chiamato a decorare di freschi la Sala rotonda che sta nel mezzo del magnifico palazzo vicereale. Il lavoro di alcuni anni fu coronato d'un pieno successo; il tema furono gli amori e l'apoteosi di Psiche.

Lo scompartimento è una medaglia grandiosa a figure quasi naturali, coronata di quattro lunette sulla volta stessa e di quattro superiormente alle porte.

In una, Psiche bellissima nelle sembianze, sfarzosa negli ornamenti, modesta negli atti, trae intorno a sè i popoli rapiti d'ammirazione. Nella seconda, la giovinetta contemplando immobile l'angeliche forme [61] d'Amore addormentato, lascia partire incautamente dalla sua lucerna quel raggio di luce funesta, che deve risvegliarlo. Nella terza, Psiche prostrata chiede da Proserpina, seduta su magnifico trono, il vaso della bellezza; che nella quarta dischiude improvvidamente, e trovato invece della bellezza il sonno, vinta da irresistibile forza, s'abbandona a dormire sull'erba. Amore sollecito la sveglia, toccandole l'omero sinistro colla freccia lieve lieve che non la punga. Oh chi non sente la mistica voce di quel tocco! Nelle altre ond'è adorna la vôlta vedi Venere, che punta di sdegno, giura vendicarsi del trionfo riportato da Psiche di sovrana bellezza; la Dea d'amore che riceve il vaso della bellezza dall'innocente fanciulla; Amore che dinanzi a Giove perora per l'amante e per sè; finalmente Mercurio che reca Psiche fra le eterne esultanze del cielo. Nella medaglia di mezzo la fortunata giovinetta è condotta da Amore dinanzi a Giove, a Giunone, a Diana ed a Pallade perchè riceva gli onori della divinazione.

Dir tutti i pregi di questo lavoro non sarebbe nè da me, nè della mole del mio lavoro, onde mi basti averne tocco l'argomento, lasciando che il contemplatore ne riveli il merito da sè medesimo.

E del palazzo reale ci basti l'aver accennato questi dipinti, a cui aggiungeremo la sua elegante facciata in ciascuno de' lati, il teatro e la cappella.

L'anno dopo che Napoleone avea assunta la corona di re d'Italia commise il disegno del vasto Parco che fu cominciato dal cavaliere Canonica e finito dall'ingegnere Tazzini.

Ad esso si entra, uscendo dal palazzo, pel cancello [62] che dà sulla via di Vedano, e prima sotto i filari dei roveri compare a manca il Frutteto, con cui fa un bizzarro contrasto la gotica torre della Cassina di San Fedele, illustre pel valore onde Marco Visconti respinse di là con cinquecento fanti i soldati più numerosi di Galeazzo Visconti. Eppure erano cugini! tristissimi tempi in cui l'ambizione aveva soffocato ogni senso di carità, di gratitudine, di parentela! La bastia qui appresso fu dallo stesso Marco distrutta, quando cinse Monza di nuove mura rinforzate presso Porta a Milano col castello entro cui erano i Forni «certe cameruccie disposte l'una sopra l'altra nei varj piani della rôcca, nelle quali si calava da un buco, che era nella vôlta: buje del tutto, col pavimento convesso e scabroso, così basse, così anguste che uno non si poteva recar diritto sulla persona se stava in piedi, non distendersi, ove si fosse voluto mettere a giacere, ma dovea starsene accoccolato o ravvolto, con tormento indicibile. Galeazzo medesimo avea fatto fabbricare quegli orridi luoghi per tormentarvi i prigionieri di stato e fu egli il primo a provarli, adempiendo in sè una predizione che era corsa nel tempo appunto che si stavano costruendo[9]».

Il cardinale Durini amico di tutti i dotti del suo tempo, dotto anch'egli, eresse nel 1776 il Mirabellino rialzato al sommo d'una collinetta donde può la vista assai lontano, poco disgiunta dal quale è la Faggianaja all'Ungherese, che al pari della Faggianaja all'Italiana è ricchissima di questo ghiotto augello.

[63]

Un viale che di là si dirama mette al Bosco Bello, del circuito all'incirca di quattro miglia, popolato di timide lepri. Proseguendo potrai ascendere al Belvedere della Costa, e confortarti d'una deliziosa veduta, non omettendo però di visitare la Cascata da Bertori, e il Serraglio de' cervi a cui mette un arco a sesto acuto adorno degli stemmi viscontei.

Del resto per ogni dove tu volga l'occhio ti sfolgoreggiano dinanzi bellezze sempre varie e sempre nuove.

E nel silenzio delle valli chete

Arresta il pellegrin verde laghetto

Non turbato da remo ovver da rete;

Sul cui tranquillo e riposato aspetto

La pianticella acquatica s'allegri

E mettendo a fior d'onda alcun fioretto,

E d'abbondante umor sempre rintegri

Le rigogliose fluttuanti foglie

Le capellute barbe e i germi integri.

CAPITOLO TERZO. DA MONZA A MERATE PER LA VIA MILITARE.

La Santa. — Arcore. — Velate. — Il Pozzo della Monaca. — Ville Giulini e d'Adda. — Usmate. — Oreno. — Vimercate. — Pirovana. — Lomagna. — Osnago. — Ronco. — Montevecchia. — Cernusco Lombardone. — Carsaniga. — Merate. — Robbiate. — Verderio. — Novate. — Sabbioncello. — San Rocco. — Subaglio. — Montebello.

Appena uscito dal borgo di San Gerardo avrai [64] a manca la cinta del Parco dalla quale non ti accomiaterai che dopo un miglio di viaggio, presso la Santa, lunga contrada ch'ebbe nome da una chiesa antichissima di Santa Anastasia.

Quale sorriso di variatissima scena ti si spiega dinanzi! casali, ville, giardini, floridi colli d'insensibile pendìo, bellezze create dalla natura e accresciute dall'arte, colti di prodiga ricompensa alle solerti fatiche del colono, che curvo sulla marra o sparso nei vigneti canta le canzoni del suo villaggio, alternandole colle vispe forosette dai fianchi baldanzosi, e ridenti nel volto di rosata bellezza! Oh non turbino quegli animi mai desiderio di mutamento! Oh sapessero le cure che accompagnano le ricchezze quanto meglio ravviserebbero le delizie della vita povera, ma contenta! Giuseppe Parini confrontando la serena fantasia, la ricchezza del cuore, i pochi bisogni e i pochi desiderj di questi contadini, col tumultuoso affannarsi di chi va in traccia di grandezze a cui presto deve dare un irrevocabile addio; confrontando la decenza delle spalle, la bella proporzione delle membra, il franco portar della persona, il viso rubicondo di queste villanelle, colla faccia interriata, cogli occhi lividi, coi corpicciuoli disseccati di molte cittadine; confrontando la vispa ubertà di questi campi colla neghittosa grettezza delle città, ripeteva:

Oh beato terreno

Del vago Eupili mio,

Ecco al fin nel tuo seno

M'accogli; e del natìo

Aere mi circondi;

E il petto avido inondi!

[65]

Già nel polmon capace

Urta sè stesso, e scende

Quest'etere vivace,

Che gli egri spirti accende,

le forze rintegra,

E l'animo rallegra;

Però ch'austro scortese

Qui suoi vapor non mena,

E guarda il bel paese

Alta di monti schiena,

Cui sormontar non vale

Borea con rigid'ale.

Nè qui giaccion paludi,

Che da lo impuro letto

Mandino a i capi ignudi

Nuvol di morbi infetto;

E il meriggio a' bei colli

Asciuga i dorsi molli.....

Io de' miei colli ameni

Nel bel clima innocente

Passerò i dì sereni

Tra la Beata gente,

Che di fatiche onusta,

È vegeta e robusta.

Qui con la mente sgombra,

Di pure linfe asterso,

Sotto ad una fresc'ombra

Celebrerò col verso

I villan vispi e sciolti,

Sparsi per li ricolti;

E i membri, non mai stanchi

Dietro al crescente pane;

E i baldanzosi fianchi

De le ardite villane;

E il bel volto giocondo

Fra il bruno e il rubicondo;

[66]

Dicendo: Oh fortunate

Genti, che in dolci tempre

Quest'aura respirate,

Rotta e purgata sempre

Da venti fuggitivi,

E da limpidi rivi!

A voi il timo e il croco,

E la menta selvaggia

L'aere per ogni loco

De' varj atomi irraggia,

Che con soavi e cari

Sensi pungon le nari.

Un rettifilo di via separa la Santa da Arcore terra lusinghiera pel ridente prospetto delle sue case, dove troverai un'antica chiesa ruinata[10], ed una nuova degna di visita, e i palazzi d'Adda e Giulini, due dei molti di cui vedrai prodigiosa ricchezza nelle terre di Brianza.

Ai quali Giulini toccò per eredità materna il principesco palazzo Belgiojoso del vicino Velate con sì estesi poderi, che li rendono i più facoltosi signori di quei contorni e d'un buon tratto di paese all'incirca.

In questo palazzo ti tornerà piacevole vedere i [67] freschi onde Vitale Sala abbelliva la sua natale Brianza, che doveva vantarlo fra i suoi primi ornamenti, ma perderlo quando aspettava la conferma delle grandi speranze concepite.

Gian Paolo Osio d'Usmate, quel desso che Manzoni condannò nei Promessi Sposi ad un'obbrobriosa celebranza sotto il nome d'Egidio, il seduttore dell'incauta Geltrude, gittò in un pozzo di Velate la monaca Benedetta Felicia Omati che avea trafugata dal convento di Santa Margherita di Monza, dopo averle fracassate le tempie con molte scalciate d'archibuso, onde, sebben cavata fuori, pochissimi giorni dopo ne morì. L'Osio caricato di questi e d'assai altri delitti fu messo al bando, confiscati i suoi beni, rasa dalle fondamenta la sua casa in Monza. Salvatosi presso un amico, sperando aver bene, vi trovò quel fine a cui riescono il più delle volte questi ribaldi; in luogo di protezione e salvezza ebbe dall'amico tradimento e morte.

Rimettendoti sulla strada postale di fronte a Velate avrai Usmate, patria di Guidotto, che fu console dei nobili milanesi nel 1100, quando questi per un trionfo della parte plebea avevano dovuto abbandonare la città portando nell'esiglio il feroce desiderio della vendetta e del sangue. Passando per di qui osserverai il palazzo Ali-Ponzoni col suo giardino, e il buon fresco della Vergine con San Giovanni Battista e Santa Margherita nella chiesa parrocchiale.

Se ti venisse vaghezza di uscire dalla via principale, giunto che tu sii ad Arcore, potresti piegare a destra e per una via tagliata attraverso a fertili campagne [68] recarti ad Oreno, indi a Vimercate, terra d'antica apparenza, ricchissima di memorie, feudo già dei De-Capitani, poi dei Secco-Borella, finalmente dei Trotti, per aver la contessa Giulia Borelli maritata Trotti riportata la vittoria contro il fisco e mantenuto l'imperio misto a favore del senatore Trotti suo figlio. Tanto ci è detto anche nella quasi inintelligibile iscrizione imbiancata sulla piazza della chiesa principale. Ogni ingresso nel borgo presenta un aspetto di passata grandezza, con segni evidenti d'antichità. La chiesa della Madonna, di architettura barocca, è grande, ricca e decorata d'un bel pallio d'argento cesellato; la chiesa di Santo Stefano del secolo XIII. mostra sulla sua tazza logori freschi di merito non comune, ed ai suoi fianchi una torre del 1261. Il palazzo e giardino De-Pedris ponno intrattenere per qualche mezz'ora piacevole il viaggiatore, che indarno però ricercherebbe qui il sorriso di molte altre terre briantee; non pendici di soave declino, non azzurri laghetti, non serie di palazzi, non continuo passaggio. Il suo collegio convitto, attraverso a varie vicende non sempre favorevoli, pervenne sino a noi e sussiste tuttora. Vimercate fu capo della Martesana nei tempi feudali, municipali e ducali; venuti gli Spagnuoli vi posero un vicario togato della Martesana che si eleggeva ogni tre anni, potendo però essere subito confermato. Francesco Sforza nel giardino di casa Corio, in Vimercate, dopo aver ridotta la città di Milano alle più strazianti miserie dell'assedio, per la smania di dominio, sottoscrisse ai 29 febbrajo 1450 i capitoli che lo dichiaravano successore dei Visconti. Nei tempi delle [69] contese popolari e patrizie qui si distinsero i Rustici ed i Melosi che, cercando il vantaggio privato, cagionavano la ruina della patria.

Uscendo dalla porta opposta a quella per cui entrasti eccoti sur un tratto di via spopolata d'uomini e di case, melanconica, che per lunghi rettifili e per successive svolte dopo due miglia e mezzo di cammino, lasciando a destra il solitario Carnate, ti ridurrà ancora ad Usmate ove siamo già pervenuti per altra strada più ampia, più allegra, più variata.

Ed ecco, poco dopo calati dalla scesa settentrionale, sorridere dappresso lagotica faccialta della Pirovana, che deve tutta la sua bellezza a don Cesare Gherghentini, il quale con singolare magnificenza, elevando case, costruendo giardini, grotte, vigneti, strade acclivi, trasportò tutto il tripudio della bellezza su questo sito prima boschivo ed inameno, e chi sa dove sarebbero riusciti i suoi abbellimenti, se morte immatura non avesse troncata la vita d'un uomo, che tolto il danaro all'oziosità degli scrigni lo versava nelle mani degli artisti, degli agricoltori.

Se ti prendesse voglia di scender dalla costa occidentale di questa amenissima collina riusciresti a Lomagna, ove nulla ti invita, se ne eccettui il palazzo dei marchesi Busca, che n'erano i feudatari e quello, meglio grandioso che vago, recentemente costrutto per la dimora del curato; di qui corre una strada comunale a Bernaga, Cassina Bracchi e Casate Nuovo ove giungeremo d'altra parte.

Più bello, più ridente, più frequentato è Osnago, a cui perverrai, proseguendo per la strada principale, lasciando a destra Ronco, Bernareggio e qualche [70] altro paesello o di poche attrattive, o di bellezze comuni. Vuoi un testimonio dell'antica magnificenza? entra nel palazzo Aresi-Lucini, già abitazione de' feudatarj di questa terra, a cui sta dinanzi una larga spianata quadrilunga; ami piuttosto ricrearti coll'aspetto dell'eleganza moderna? t'aggira per le sale, pei viali, pei boschetti, pei disordinati andirivieni del palazzo e del giardino ove il cavaliere don Paolo De-Capitani vice-presidente dell'Imp. R. Giunta del Censimento Lombardo-Veneto viene di frequente ad innebbriarsi d'un bel cielo, d'un'aria dolce, d'un clima temperato. La chiesa parrocchiale più elegante che il campanile, è abbellita di buonissimi quadri e d'un presbitero eseguito in noce sul disegno dell'illustre ornatista professore Giuseppe Moglia. Ma ti duole fra tanta amenità di vedere come la via ond'è tagliato il paesello, dopo superata la chiesa proceda verso tramontana, stretta, a gomiti, a sghimbescio e poi superato il palazzo Aresi d'improvviso si avvalli prima di correre di nuovo larga e piana. Ignoriamo il motivo di questo sconcio, l'unico che si trovi da Milano infino a Lecco, ma speriamo, che non potrà tardare un necessario miglioramento. Qui veniva frequentemente il santissimo poeta Passeroni nella casa ospitale dei Crippa, e dalle tante bellezze ond'era circondato, tolse forse qualcuna di quelle descrizioni che riboccano nel suo poema e nelle sue rime.

Succede ad Osnago Cernusco Lombardone collocato alle falde della piramidale Montevecchia cui discerni alle vette circostanti, all'albero che soverchia la chiesetta di San Bernardo posta sulla cima [71] più orientale. O viaggiatori visitate quel sito allorchè l'autunno invita a ristar della fatica, a preparar salute ed allegria per le melanconiche giornate del verno! Spingete l'occhio sui piani sottoposti! sui monti che vi coronano. Visitate quel luogo quando sparge di nuove bellezze le rinate campagne, e diffonde i soavi incensi de' fiori

Il tepido spirar delle prim'aure

Fecondatrici....

Nella pace di questa vetta l'illustre Gaetana Agnesi elevava la mente alla soluzione de' sublimi problemi onde facea meravigliare l'Europa, e poi, quando la gloria mondana si sfrondò per lei d'ogni sua lusinga, qui veniva a sentir più davvicino la presenza di quel Dio, che la riempiva di Lui, e nutriva in essa l'operosa carità onde volle segnalarsi negli ultimi anni a favore dell'umanità soffrente. Nella chiesa di San Bernardo si tengono, forse non bastevolmente conservati, due giovanili lavori d'Appiani. Le bellezze naturali vanno però di lungo intervallo dinanzi alle artificiali, e l'amenità de' suoi vigneti, d'onde si trae uno dei migliori vini di Lombardia, vince di lunga mano quella de' suoi giardini. Ma mentre il poeta e l'innamorato s'inspireranno alla vaghezza di quel colle, di quell'orizzonte, di quei prospetti, il geologo colle sue fredde indagini si chinerà ad osservare il terreno, e si recherà di preferenza nel bosco della Cascina Ostizza a vedere gli strati verticali della roccia di color grigio-turchino, carichi di mica, e scintillanti sotto la pressione dell'acciajo, frammisti di pietre marnose e d'un'argilla che tira al vermiglio per la [72] presenza del ferro idrato[11]. Troverà poi nella valle fra Montevecchia e Cernusco fondi torbosi, probabilmente deposito d'una palude rasciugata cogli scoli della Mòlgora, e del Curione.

Nel castello di Cernusco, onde restano pochi ruderi, Enrico da Cernusco ai tempi de' nostri municipj, podestà generale della Martesana, ristorò gli avanzi del brianteo esercito e si sostenne nel 1224, finchè cedendo alla superiorità degli avversarj milanesi dovette salvarsi nell'esiglio. Tutto il paese è decente, adorno di palazzetti e di giardini; l'architetto Moraglia eresse recentemente il bel campanile presso l'elegante e vasta chiesa di San Giovanni Battista ricostruita sulla prima metà del secolo passato. Questa fu una delle prime terre infette di peste nel 1630, e di qui fu da Giuseppe Bonfanti trasportata a Milano ove menò tanta strage.

Non è che un piacevole passeggio l'intervallo che disgiunge Cernusco dal piccolo casale di Carsaniga, seconda posta fra Milano e Lecco. Qui uscendo un cotal poco dalla via principale, arriverai a Merate, ove farai di trovarti in un martedì per recarti un'idea delle nostre villereccie unioni, della varietà elegante delle nostre contadine, dell'operosa faccenda di tanti compratori, venditori ch'erigono e distruggono botteghe a vento, banchetti posticci e trabacche.

Il collegio, un dì casa de' padri Somaschi, è vasto edificio, capace d'assai più giovanetti che non ne [73] contenga di presente; la torre rotonda di casa Prinetti gode uno dei più vistosi prospetti della Brianza; il principesco palazzo già Novati, ora Belgiojoso, con giardini e lunghi pineti, merita d'essere partitamente visitato; la parrocchiale di Sant'Ambrogio di recente ornata di freschi potrà parere a molti più presto elegante che devota, almeno a chi provò quanto sia più propizia alla meditazione una vôlta acuta, illuminata scarsamente da piccole finestre, o da vetriere colorate. In una cappella fatta erigere dai principi Belgiojoso, i Meratesi innalzarono un monumento di riconoscenza al vicario Andrea Vanalli, uno dei pochi che attesero alla poesia latina, sebbene nè dei più conosciuti, nè de' più fortunati, forse perchè lo distraevano di troppo le cure del suo importante ministero a cui si consacrò fino alla morte con zelo degnissimo d'imitazione. L'iscrizione appostavi dice:

ANDREÆ VANALLI OBLATO
QUI
LITERAS SCIENTIASQ. SACRAS. SCITISSIME PROFESSUS
SCRIPTOR ET IPSE PROSA VERSUQ. POLITIOR
DEIN CURIAM HANC GERENDAM NACTUS
VITAM CURIS OMNIGENIS EXHAUSTAM
ANNO MDCCCXXXIII ÆTATIS LXXIX CURIÆ XXXVII
SANCTIUS CLUSIT
PAUPERUM ET PATRIÆ PATER
TOTO CIRCUMFUSO PLORANTEQ. OPPIDO
ADCLAMATUS
ULTRONEO MERATENSES ÆRE
P. P.[12].

[74]

E poichè abbiamo stabilito di far qui la prima posa di questo viaggio, sarà bene che guadagniamo tempo, per visitare le molte ville onde siamo circondati.

Appena fuori di Merate s'innalza il Subaglio ruinoso palazzo in un'invidiabile posizione, a cui viene appresso San Rocco ove un'elevata croce fregiata dei simboli della Passione ti annunzia la devota semplicità dei cenobiti che facevano un tempo risuonare delle loro pietose melodie il silenzio di quella collina. Poco discosto è Montebello, delizia di casa Roma, che sorge a cavaliere della piccola valle di Sabbione, dove giardini, viali, ed ogni guisa d'eleganza accrescono le bellezze della natura; Sartirana ove scorgerai il vasto palazzo dei Calchi al labbro d'un laghetto limaccioso e melanconico, senza emissario apparente, che straripando allaga un canneto ed un fondo torboso. La Cassina Fra Martino, poco discosta da Sartirana ebbe nome da un Fra Martino De-Capitani di Vimercate cavaliere gerosolimitano che ne era proprietario nel secolo XVII.; essa nulla presenta delle molte delizie che ti verranno gustate nell'attigua Grugnana che ha voce d'essere il miglior punto di vista nei suoi contorni. Difatti da questa casa erra lo sguardo non solamente sulla cresta delle colline briantee e sulle pianure del Milanese, ma domina anche la sottoposta valle di Brivio, il lungo serpeggiamento [75] dell'Adda, gli angusti piani e le verdeggianti montagne e colline del Bergamasco. Da una finestra di quel palazzo provasi con quanta verità l'abate Passeroni ritraesse la Brianza quando diceva:

Ombrose valli, amene vigne e piante

Di frutti onusti e mille oggetti e mille

Allegri e vaghi scuopre l'occhio errante.

Sparse qua e là deliziose ville;

Eccelse torri, e bei palagi alteri

Rallegran le mie stupide pupille.

Piacevoli giardini, e bei verzieri

Tolgono tutto quel, che di lugubre,

E di mesto aver ponno i miei pensieri.

Ma quel, che più mi piace nello Insubre

Terreno, che s'accosta alla montagna,

È quel ciel di zaffiro, e sì salubre;

È quell'aria, che sana ogni magagna.

Che non avendo in sè nulla di crasso

Torpido non mi rende e non mi bagna.

Per altra strada si sale da Merate a Sabbioncello, a cui mette un'ascesa fiancheggiata da cappelle dipinte nel 1715, e sul sommo scorgesi ben conservato ancora il convento dei Riformati, eretto nel 1540 colle donazioni raccolte dalla confraternita degli scolari della Madonna di Sabbioncello e che fu soppresso definitivamente nel 1810 in cui venne in proprietà della famiglia Perego di Cicognola. Di lassù volgendo lo sguardo tra mezzodì ed occidente vedi il gotico prospetto della villa Bagatti-Valsecchi a Vizzate, e più in là Pagnano, che ha chiesa e campanile recenti.

Ma dai pacifici conventi e dalle deliziose ville ti tornerà egli discaro presentarti all'aspetto d'un campo [76] di battaglia? eppure non potrai evitarlo se ami vedere a parte a parte il terreno fra cui ti aggiri.

Il campo è a Verderio inferiore, ove avresti potuto recarti, anche da Osnago, piegando a destra oltrepassando la Canova, il Brugarolo, come è indicato da una croce innalberata sul lembo della strada colle dolorose parole:

AI MORTI DELLA BATTAGLIA DEL 28 APRILE 1799
ETERNA PACE

Il combattimento infierì tra i Francesi comandati dal generale Serrurier e gli Austro-Russi sotto la condotta del generale Wukassovich; durò poche ore, ma assai per bagnare di sangue il terreno della battaglia. Finì colla decisiva disfatta dei repubblicani, di cui non solo rimasero molti feriti; ma tutti i superstiti vi perdettero la libertà.

Poco dopo la funesta giornata il milanese conte Ambrogio Annoni, dipintore di quadri sacri, uno dei primi possidenti di Verderio, eresse questa affettuosa lapide a compiangere la morte d'un valoroso.

QUI GIACCIONO LE OSSA
DEL PRODE GIOVINE CAPITANO
SAMUELE SCHEDIUS
NOBILE UNGHERESE DI MODRA
CHE NELLA BATTAGLIA ARDENTE IN VERDERIO
AI 28 DI APRILE DEL 1799
FRA LE ARMATE AUSTRIACHE E LE FRANCESI
SEGNALÒ COL SUO SANGUE
LA PIENA VITTORIA DELLE PRIME
IL CONTE AMBROGIO ANNONI
FECE INNALZARE
ALLA MEMORIA DEL VALORE DI LUI
E DEI COMMILITONI
QUESTO MONUMENTO

[77]

Allato al campo di battaglia sorge il vasto palazzo Confalonieri, nelle cui muraglie s'additano ancora le palle del cannone; nella chiesa maggiore puoi vedere un San Carlo, quadro di Giovanni Pock, ed una Pietà del pittore milanese De-Giorgi.

Sulla strada che corre da Merate a Verderio la più grossa abitazione è Paderno collocato in un'amena ed aperta pianura. Qui presso comincia il sottoposto naviglio finito nel 1777 per ordine dell'operosa imperatrice Maria Teresa, lungo il quale ci riserbiamo a fare un'apposita scorserella. Nella sua chiesa sono de' buoni quadri.

Più ameno di Paderno è Robbiate, ai piedi della vitifera collina del Mont'Orobbio, d'onde si premono i vini più squisiti del Milanese. Una generale credenza suppone che tanto la collinetta, quanto il paesello alle falde, ricevessero vita e nome dagli Orobi, (abitatori de' monti) pretesi come i primi cultori del nostro paese. Onde il padre Guidone Ferrari disse di questo sito in una bella iscrizione:

HARUM ABORIGENES SEDUM
GRÆCI DIXERE OROBIOS
INDE COLLI ET CIRCUMJECTIS FINIBUS
NOMEN MANET[13].

Basilio Bertucci tradusse una popolare credenza in poesia colle forme predilette al principiare del secolo scorso là dove scrive nel Bacco in Brianza:

Ha di Brianza il monte

Colle eminente aprico,

[78]

In cui già per occulta

Istoria, e a pochi nota,

Visse in la prisca etate

Gente bibace, al Dio del vin divota,

Che a lui per poter fare

Sacrifizj divini

Inalzaro un altare,

E vi posero in fronte ARA DEO VINI

Onde al luogo si feo

Prima il nome ARA DEO,

Che in corrotto vocabolo appellato

Poi fu ARODIO, or AROBIO è chiamato.

Qui (o sia, che alla pietade

Di quella buona gente abbi voluto

Prestar il grato Dio premio dovuto,

O sia, che i rai del sole ivi raccoglia

Tutta quanta del monte

La vivace vinifera virtute)

Producon le beate

Viti a l'uman palato

Ambrosia sì soave

Che giurare ardirei

Che non invidia al nettar degli dèi.

Di là per Santa Maria del Piano e Novate, già feudo dei Pietrasanta, potrai ritornare a Merate, ove troverai desiderio di maggior proprietà negli alberghi.

[79]

CAPITOLO QUARTO. DA MERATE A BRIVIO PER LA VIA MILITARE.

Cicognola. — Calco. — Bevolco. — Il San Genesio. — Aizuro. — Biglio. — Galbusera. — Bagagera. — Mondònico. — Tegnone. — Porchera. — Il campo di Francesco Sforza. — Olgiate. — Brivio. — Inno alla Malinconia. — Arlate. — La Madonna del Bosco. — Imbersago. — San Marcellino. — Paderno. — La Val San Martino.

Una volta sempre nuovi disagj di via; istradicciuole selvaggie, affondate, sassose, perdute fra macchie, fra boscaglie e fra lande, dove dirupate, dove fangose per acquitrini o scabre, o rialzate, od avvallate, o a schiena di cammello isvogliavano dal viaggiare in questi luoghi. Oggi le cose camminano diverse. Uscito da Merate, e ripresa la via principale, giungi a Cicognola, recentemente avvivata dalla filanda Gallavresi, e di là per una strada sempre comoda e lisciata pervieni a Calco dopo un cammino di venti minuti a passo ordinario, che ti sono di subito ingannati dai tanti svariati oggetti che ti stanno dintorno.

Non ti accaderà di rado d'incontrare in questo tratto di strada qualche abbronzata contadina, che povera di modi, ma ingenua, schietta e riguardosa ti saluti con quella cortesia naturale che non ha ancora risentito l'artificio dell'educazione. State un'ora [80] in Brianza e conoscerete le sue abitatrici; di leggieri aprano l'anima ai teneri sensi d'un affetto innocente, ma in generale parlando sono dure, indomabili alla voce d'una meno che onesta lusinga. In una domenica d'estate quando terminarono gli uffici della chiesa le vedresti a vivacissimi crocchi, dove uscir dal villaggio e prendere il largo de' campi, o l'ascesa delle colline, dove entrare in un leggiero battello e fendere placidamente lo specchio dei loro laghetti; ad alcune scorgeresti sul volto la compiacenza dei vicini sponsali; negli atti, nei modi di altre ravviseresti l'ardore della tenerezza materna; scerneresti negli sguardi di molte quella muta corrispondenza d'affetti che non è ancor palesata dalle labbra, ma che è già indovinata dal cuore. Oh siedi qualche volta ad ascoltare le loro armoniose canzoni, senti le devote cantilene onde fanno risuonare il sacro ricinto che custodisce le ceneri dei loro avi! Attendi che il curato del villaggio si frammetta ai loro innocenti trastulli, e tu vedrai come il sacerdote, qui assai più che altrove, governi il cuore de' suoi parrocchiani; egli giudice, egli maestro, egli consigliere; e o s'interponga a comporre i domestici dissidj, o ravvii sul diritto sentiero qualche sviato, è ben raro che la sua eloquenza cada infeconda «quei pantaloni lunghi, dice talvolta, ti dan aria di bulo, dimettili — quei ricci, o ragazza, sono a pericolo della tua onestà, domani ch'io più non li veda» e il garzone e la ragazza per quanto affezionati a queste galanterie il più delle volte compaiono domani senza i ricci, senza i lunghi pantaloni. Tali osservazioni vi somiglieranno cose da poco, eppure, chi ben le esamini, ritraggono una parte dei nostri costumi.

[81]

Ora, tornando al viaggio, siamo arrivati a Pomè, terra che dalla nuova strada militare ebbe vita, mentre il vicinissimo Calco, donde un tempo non era lecito ad un galantuomo passare senza essere squadrato dai capelli ai piedi, fu abbandonato e perdette, starei per dire, ogni esistenza.

Dalla chiesa di questo paesello dipende quella di Bevolco, degnissima d'essere visitata come una di quelle che rimontano ai primi secoli del cristianesimo. Sussiste ancora d'antico tutto l'esterno del coro, il rimanente fu rimpicciolito e rimodernato. Una lapide collocata di fronte all'altare ricorda due nobili fratelli Oaldo e Soaldo trafitti, non si dice quando, da una medesima spada; un'altra lapide fu dalla ignoranza de' muratori spezzata e usata a far muro; nel giardino Cavallieri, ed in altri siti del paesello rimangono tuttora grosse muraglie; nel vicino piano della Molgora furono dissotterrate ossa umane. Tutto attesta qualche catastrofe dei secoli passati.

Abbiamo accennato nelle brevi notizie storiche premesse in questo volume come Francesco Sforza sul cadere del 1449, posti in Brianza i suoi accampamenti, osasse sfidare contemporaneamente le forze riunite e superiori de' Veneziani e de' Milanesi. Essendo qui appunto il luogo del combattimento gioverà farne conoscere, il più possibilmente in compendio, la posizione quale ci viene ricordata da Giovanni Simonetta nella Sforziade. Il monte che sorge maestosamente a manca e va a terminare in una punta acuminata è detto San Genesio da una chiesetta che sorge presso il suo vertice, dedicata a questo santo. Qua e là sul pendìo del monte [82] i piccoli casali d'Aizuro, Biglio, Vallicelli, Galbusera, Bagagera, poi Montespiazzo, Malnino, Ospedaletto e Casternago e più in giù Mondònico, patria d'un Martino da Mondònico, che pur fu esecutore d'infami imposizioni di Gian Giacomo De-Medici e finì poi coll'essere appiccato in colpa di traditore; donde poco è discosto Tegnone ove nacque Giuseppe Ripamonti. Più abbasso ancora Porchera, gruppo di case quanto commiserato per la sua infelice posizione, altrettanto celebrato per la bontà de' suoi vini. Su quel monte si erano riparati i Veneziani, ubbidienti al capitano Santangelo, e di là avevano cacciato Giovanni Sforza, quando col cognome, ma non col valore del fratello Francesco, avea tentato di rimoverli da quella formidabile posizione. Appena Francesco ebbe intesa di questa mal riuscita spedizione, diede incarico a Roberto Sanseverino ed Onofrio Rufaldo che si provassero a tentare l'ascesa del monte. Questa volta l'esito fu più felice; i due generali, lasciati a Calco il grosso de' soldati, con alcuni dei più spediti ed arrischiati, colto il silenzio della notte, guadagnarono l'erta e giunsero d'improvviso addosso ai Veneziani. Fu sanguinosa la mischia; i soldati di San Marco piantarono il gonfalone sul campanile della chiesa di San Genesio, e serratisi tutti in quella posizione imponente, poterono resistere ancora per qualche tempo, finchè, sprovvisti di cibo e di bevanda, furono cacciati alla necessità di calare a condizioni, bastevolmente decorose però d'aver non solamente salva la vita, ma anche la licenza di potersi ritirare pel ponte d'Olginate sul territorio della loro repubblica. Sanguinose vicende che speriamo [83] non saranno mai più rinnovate! Preghiamo che il cannone abbia per l'ultima volta a Verderio contristata la pace delle nostre colline.

Inni dal petto supplice

Alzerò spesso a i cieli,

Sì che lontan si volgano

I turbini crudeli;

E da noi lunge avvampi

L'aspro sdegno guerrier

Nè ci calpesti i campi

L'inimico destrier.

La ricordanza di questi sanguinosi avvenimenti non tolga che si contemplino a parte a parte le bellezze del sito, ed Olgiate che ti compare di fronte distinto alla lunga striscia del palazzo Sala, all'acclive erbito che gli sta dinanzi è il vicino Bùllero, e la fuga di monti che si succedono a monti, e la magnifica strada su cui percorri la quale tramutò le ripidissime rive di Calco in un quasi insensibile pendìo.

Giunti a Beverate ove la strada è tagliata da una secondaria che comincia all'Adda e va a confluire presso Erba, nella strada provinciale che mette da Lecco a Como prendiamo per ora quella a destra, che piega ad oriente, e per essa attraverso a vigneti e colti, degradando insensibilmente giungeremo a Vaccarezza casale soverchiato dalla montuosa Foppolovera (la vogliono detta così da un basso fondo già messo ad ulivi), indi colla strada ci rialzeremo alquanto per ricadere di nuovo in fino a Brivio.

Oh ch'io ti vegga mia patria diletta! a cui da undici anni diedi un addio che mi tenne quasi [84] sempre da te disgiunto! Allora non aveva che compiuto appena il secondo lustro, quella cara età in cui la vita è un sogno di letizie, di gioje, ignara di guai, di sospiri; che ravvisa dappertutto contentezza senza sapere che non v'ha fiore, il quale non cresca inaffiato di pianto, che non sorge mai sole il quale non rischiari una scena di lutto! Oggi ritorno a te, col corpo come sovente ritorno col desiderio; a te che incidesti nel mio cuore a note incancellabili la soave memoria dell'età prima, quando fanciullo coi fanciulli del mio villaggio, o scorrazzava su per la collina in traccia di fiori, o scendeva nel letto d'un torrente a far tesoro di pietruzze colorate, o fingeva battaglie intorno al mio castello usurpando i nomi dei guerrieri e dei campi di cui era ancor recente la ricordanza, o col leggiero battello spiccava arditamente dalla riva vogando sulle placide onde, o talora mi librava ad incauto nuoto. Quante volle palpitò per me il seno della madre! Ella tutta tenerezza a rivelar pericoli anche dove non erano; io tutta imprevidenza a non ravvisarli dove erano difatti.

Altrove ho già parlato di questa terra, largo quanto basti per poter ripetere il già detto senza provarmi a trovar nuove idee, nuove parole, nuove espressioni per esporre le medesime cose.

«In una bassa posizione, sulla destra dell'Adda, giace Brivio, che si presenta assai bene a chi lo contempla dagli opposti monti bergamaschi. Quivi l'Adda, dopo aver istagnato in un bacino, direi quasi circolare, ripiglia il suo corso rapidissimo e maestoso fra due rive, quando più, quando meno ristrette, sopra un letto molto declive e sassoso. Il castello [85] che sorge in riva del fiume presenta la forma d'un quadrilatero, rinfiancato agli angoli da torrioni un tempo maestosi, ora rovinati dal privato interesse.

«Antichità rispettata dal tempo è uno di quei monumenti, che, ricordando le vicende de' nostri maggiori, riempiono l'animo di spirito guerresco! L'interno della fortezza fu a' miei giorni rinnovato, nè più vi trovi che poche vestigia delle antiche scale segrete e de' sotterranei onde vuolsi già ripiena. Rammento ancora il ribrezzo, che io provava negli anni infantili, quando innoltratomi in quei fondi di torre, sentiva dirmi come vittime umane avessero gemuto laggiù, dove non penetrava che un raggio di luce per la doppia ferriata e spessa ramignata d'angusto pertugio. La mia immaginazione presentavami d'innanzi quegli infelici, stesi al suolo a guardare con avidità quel raggio di luce furtiva, senza il conforto della speranza, senza la voce d'un amico. Nel 1829 convertendosi una di quelle basse prigioni ad altro uso, fu trovata una lapide sepolcrale e savvi una croce, un'arma gentilizia ed in giro una leggenda, corrosa dal tempo, deposta sullo scheletro d'un soldato di gigantesca persona. Vicende umane! Sulle grigie mura di questo venerabile monumento oggi serpeggia l'edera, crescono i pomi e le viti, e pendono le reti del pescatore. Chi vi passa, sul far della sera, ne vede sicuro l'ombra che signoreggia il lago e dove un tempo si udivano gli aspri gridi di guerra, oggi la casalinga vergine desta i canti dell'amore e della religione. Se non che da un pajo d'anni ai placidi canti si frammischiano le flebili cantilene de' prigionieri che aggrappati alle ferriate delle loro camerette [86] guardano con invidia l'uomo libero, che passeggia sotto di essi e ricordano con melanconia tempi più felici[14]».

La chiesa coll'elegante suo campanile, le case parrocchiale e Piccinini, la vasta delizia, coll'ampio [87] giardino alla genovese del signor Enrico Carozzi, la Scalvata vistosa collinetta meritano essere visitati dopo il castello.

Errando su questa collina e mirando alla sottoposta patria Cesare Cantù cantava quest'inno

ALLA MELANCONIA.

Melanconia, dell'anima

Nube soave e cara.

Onde a soffrir s'impara

Dei casi all'alternar,

Me del tuo latte al pascolo

Traendo ancor fanciullo,

Dall'ilare trastullo

Volgevi al meditar.

Di tortorella il gemito,

L'aura che bacia il rio,

Il suon d'un mesto addio

Pareami il tuo sospir.

Fiori spargeva e lagrime

Degli avi miei sull'urna:

Col vol d'aura notturna

Io ti sentia venir.

Dove quell'ermo vertice

Lungi dal mondo tace,

Io chiesi, a te seguace,

Pensieri e libertà:

O dove il muschio e l'edera

Sul mio castello erranti,

L'ire, le laudi, i pianti

Copron d'un'altra età.

Spinto a lottar nel pelago,

Soffrii, compiansi, amai;

Ma de' tuoi miti rai

Sempre ebbi vago il cor:

[88]

Te dall'urbano turbine

Cercai, te in cupa stanza,

Fra sogni di speranza,

Nell'ansia del terror.

Con te fremei se l'empio

Franger il dritto io scôrsi:

Al pio calcato io porsi

Per te l'amica man.

Teco evocai d'Italia

Le ceneri eloquenti,

Cercando ai corsi eventi

Gli eventi che saran.

Giovin, ma stanco e naufrago

Riedo al paterno lido:

Teco all'ombria m'assido

Che me fanciul coprì:

Riedo col cuor dall'odio

Straziato e dal dispetto,

Ove a benigno affetto

Tu m'educavi un dì.

Melanconia, col placido

Spettacol di natura,

Le piaghe mie deh cura,

Rendi me stesso a me;

Tornami in pace agli uomini,

M'insegna obblio, perdono;

Di' che follia non sono

Onor, giustizia e fe.

Da Brivio è poco discosto Arlate, ove è ad osservare la cava della moléra, arenaria disposta a strati pressochè verticali colla direzione da sud-est a nord ovest, mista con arenaria schistosa e turchiniccia, carica di mica, con roccia grigiastra venata di spato calcareo. Questo sasso posto in un acido produce [89] sulle prime un vivo ribollimento, indi, quando la parte calcaria è distrutta, si riduce il resto facilmente in piccoli grani silicei. A ridosso della Moléra sorge il visitato santuario della Madonna del Bosco; una chiesa di forma ottangolare, del 1644 a mezza costa del monte velata dai castani, sotto a cui è una confessione (scurolo) del 1632, dove un'acqua di virtù prodigiose, e entrovi una ferriata, un bosco, una compagnia di pastori, di mandre ed agnelle intagliate in legno, un castano coi frutti fuor di stagione maturi, e suvvi la Vergine comparsa ad una povera madre che si tapina alla vista del suo amato bambino fatto preda del lupo! La fiera al cenno della gran Donna del cielo depone ubbidiente la preda e scompare. La riconoscenza di questa grazia diede poi motivo all'erezione dello scurolo e più tardi della chiesa, e perchè fosse pubblicamente attestato il prodigio venne scritta sulla grigia parete la povera iscrizione:

1617
DI MAGGIO IL NONO
L'ANNO DIECI SETTE
VIDDERO QUI MARIA
ANIME ELETTE

Gruccie, bende, voti e tavolette appese alle muraglie interne della chiesa e della confessione, cento nomi scritti sulle pareti fanno fede della divozione e dei continui pellegrinaggi a questo santuario a cui mette oggi una comoda salita fatta a spese del conte Cesare di Castelbarco, che succeduto per eredità nei possedimenti di casa Landriani, abbellì di recente [90] anche il vicino paesello d'Imbersago a sud-est di Arlate con un vasto parco, il quale appena cede a quell'altro suo di Vaprio. Qui più favorito della natura seppe racchiudervi una falda di monte ben diversa dei tanti mucchietti di talpa a cui si dà il pomposo titolo di montagnette in tanti altri giardini; fiumicelli di assai maggiore bellezza che certi neghittosi rigagnoli; la veduta d'un vasto fiume, d'una valle sottoposta, d'un'aspra montagna di fronte, d'un'altra più amena e più verdeggiante alle spalle. È piccolo, ma elegante anche l'oratorio a piedi del parco. Del castello d'Imbersago rimangono alcune vestigia a sinistra dell'oratorio di San Paolo, da cui un'ampia via declinante mette al porto dell'Adda, fatto costruire dai Landriani. Presso gli avanzi d'un antico forno di calce vedi ancora una roccia calcare compatta, di grana fina terrosa, grigio-turchina, venata di bianco spato calcareo, e attraversata da sottili strati di antracite. Varia dal calcario di Arlate in ciò che posta in un acido si scioglie senza lasciar veruna reliquia. È frammista di due carbonati calcario uno di colore oscuro, l'altro grigio, che sciolto nell'acido nitrico depone molta terra silicea. La parrocchiale di Imbersago è al montuoso San Marcellino che ha il titolo d'arcipretura, per una concessione del secolo scorso. La strada maggiore che procede sempre a sud-est ti guiderà a Paderno per facili declivi, ameni torniquets, e fra una sempre piacevole corona di collinette, mentre noi ripetendo la già fatta via ritorneremo alla nostra seconda stazione di Brivio.

Ora se non ti aggrava potresti passare il fiume, e far una scorserella a veder sulla via di Bergamo la [91] chiesetta di Cisano, la più antica della valle; e il convento di Pontida alle falde del monte Sambernardo, ed a bacio del monte Canto. Qui inutilmente ricercheresti un sasso, una parola che ricordino i clamorosi avvenimenti della Lega ivi tenuta dalle città lombarde nel 7 aprile 1166. Nella chiesa di San Giacomo di granitosa gotica a tre navate non passino innosservate le vecchie sculture ricordanti la memoria del beato Alberto di Pontida, il quale nel secolo X. fondò più monasteri di Cluniacesi, l'ultimo de' quali in patria dove, sordo alle lusinghe dell'ambizione, chiuse in pace gli ultimi suoi giorni. Caprino in posizione elevata e capo-luogo della Val di San Martino, sede del pretore, ha molti palazzi fra cui quello de' Sozzi, al quale va unito un vasto giardino. La sua bella chiesa è disegno di Pellegrino Tibaldi, ed al giovedì fa un discreto mercato di commestibili, mercerie ed anche granaglie. Questo paese possiede una ricca biblioteca. Il collegio di Celana posto a cavaliero di Caprino, fondato da San Carlo, è un vasto edificio che si va sempre aggrandendo e migliorando; da Sant'Antonio, si sale ad Opreno in Valmazza; San Paolo, San Gregorio sono montuosi casali amenissimi nell'autunno; al Pertugio visiterai le più vaste uccellande di questi contorni, proprietà del signor Pietro Sozzi di Caprino. A Villadadda, terra seminata a varj gruppi sulle falde del monte d'Odiago sorse di recente accanto alla vasta chiesa un elevato campanile secondo il disegno dell'illustre architetto ingegnere Giuseppe Bovara di Lecco. A Callusco terra famosa nelle discordie ghibelline, dove si vedono tuttora la casa e [92] l'armatura del capitano Bartolommeo Colleoni. Medolago a due miglia da questo paesello si pretende così chiamato perchè sorgesse nel mezzo d'un lago ora scomparso. Dietro esso succedono altri colli, altre terre.

CAPITOLO QUINTO. DA BRIVIO A LECCO.

Beverate. — Airuno. — La Rôcca. — Gherghentino. — Sua valle. — Suo torrente. — Olginate. — Carlate. — Somasca. — Vercurago. — Calolzio. — Maggianico. — Galbiate. — Montebaro. — Lecco. — Territorio.

La più grossa frazione di Brivio è Beverate patria di San Simpliciano, immediato successore di Sant'Ambrogio nell'episcopato milanese, antichissima badia di San Colombano, terricciuola tutta contadinesca, ora ravvivata da una fornace poco discosta che converte in tegole le buone argille ond'è qui molta ricchezza. A questo villaggio devi recarti per proseguire la tua strada verso Lecco, quando non voglia andar direttamente ad Airuno per una strada sulle prime montuosa poi piana, radente i casali di Bolona, Cartiglio e Canosse.

Airuno è una striscia di case tagliate da un torrente e che viene in parte a trovarsi sul monte della Rôcca, collina scoscesa, faticosa, sulla quale al lunedì dell'Angelo trovi un aspetto di festività, un soggiorno [93] di allegrezza campestre, una faccenda tra venditori e compratori, un'armonia d'inni religiosi frammisti a villereccie canzoni. Di lassù ti sarà caro vedere il bacino della Valgherghentino, che è un piano tutto a gelsi, a vigneti, a boschi ed a campagne, cui fanno cornice a tramontana e ad occidente le falde del San Genesio, e tagliato di mezzo da torrenti. Laggiù due poveri casali, Gherghentino che da nome alla valle, e Meglianico che viene a trovarsi proprio al piede del monte anzidetto. Questa vallea già feudo di Marcellino Airoldi, poi de' suoi discendenti, ha due uscite una dalla parte d'Airuno, l'altra più settentrionale, poco discosta da Olginate.

Da Airuno nulla ti arresta fino al ponte del Gherghentino, che si va magnificamente costruendo di pietra con quella sollecitudine onde a nostri giorni si eseguiscono anche le più ardite imprese. Prende nome questo torrente dalla valle d'onde proviene, ed è ricco di arenarie schistose di finissima grana d'un color bigio scuro; con isquamette di mica bianca e sottili strati di marna rossiccia e strati calcari anch'essi d'un colore piegante all'oscuro. Fra Gherghentino e il Mulinello lungo il letto di questo torrentaccio vedresti frequenti massi di serpentino, spaccati con mine, e distinti alla nerezza del loro colore, ma nessuno troverai dotato di polarità.

Alla base del monte che da Airuno procede sino a questo torrente potrà il geologo osservare le molte roccie calcaree, senza arenaria, compatte, di grana terrosa, di color azzurrognolo e d'odore argilloso.

Olginate ebbe vita ed eleganza dalla strada militare, che fece scomparire quelle tristissime vie che [94] lo rendevano fra i più disagevoli passi carrozzabili. La chiesa di Sant'Agata rialzata sul dosso del monte, la casa, la torre ed il giardino Testori non vogliono restare sotto silenzio.

Risponde ad Olginate il visitato santuario di San Girolamo Miani, elevato al di sopra di Somasca; una povera chiesa, a cui serve di parete orientale la brulla pendice sopra della quale appoggia anche l'altare. Un'altra chiesetta rotonda di recente costruzione, abbellita d'un quadro (la risurrezione di Cristo) del professore Mazzola, male si affratella con questa romantica e sterile situazione, colla ruvida scala guadagnata dai devoti a ginocchioni, colle reliquie del castellotto sulla vetta della rupe, colla grigia nudità de' monti cadenti a ridosso della valle.

È poco discosto, rialzato sulla falda del monte, Calolzio ove fu di recente costrutta una bella chiesa dall'ingegnere Giuseppe Bovara di Lecco ad una sola nave di venticinque braccia di larghezza con tre sfondi per ciascun lato che servono di cappelle e d'ingresso, ha la lunghezza di cinquantadue braccia e l'altezza di quaranta, compreso il cornicione sostenuto sopra mezze colonne corinzie, avente la volta con cassettoni ottagoni e rosoni a rilievo. A questa navata è unito il presbitero quadrato formato da sei colonne e due pilastri impostati ai muri, egualmente d'ordine corinzio, d'oncie ventisette di diametro e venti d'altezza, sopra il cui cornicione poggia la cupola a tutto sesto. L'ordine corinzio è quello che domina pure nell'interno.

A Maggianico l'amatore delle belle arti osserverà la palla d'altare divisa in otto scompartimenti, bellissimo [95] lavoro di Bernardino Luini. Rappresenta la Madonna col divin Pargoletto e il Padre Eterno. Quest'opera minata dal tempo venne di recente restaurata e collocata in un nuovo altare di marmo carrarese intagliato. Degno raffronto con essa è l'altra palla che vedesi nella stessa chiesa, squisitamente pennelleggiata da Gaudenzio Ferrario, a cui non sarebbe inutile un ristauramento di qualche abile artista.

Olginate nell'ecclesiastico dipendeva anticamente dal vicino Garlate a cui ti guiderà un'ampia strada diritta presso ad essere terminata. In questa terra oggi di nessuna considerazione fu già una Corte, e Lotario imperatore nel secolo X. dell'era nostra vi fondò un castello.

Da qui si ascende a Galbiate per una strada che corre acclive sulla costa del monte di Galliano notevole pei molti strati calcari della stessa natura di quei nominati dianzi, quasi perpendicolari nella direzione da nord-est a sud-ovest della grossezza da tre sino a cinque piedi.

Galbiate siede al sommo del monte, osserva ad occidente il lungo corso dell'Adda, i piani e i monti bergamaschi, ad oriente vagheggia i ceruli laghetti del Piano d'Erba e le incantevoli colline della Brianza. Ha una bella chiesa con campanile, sopra disegno dell'ingegnere Brioschi, veduto per la sua posizione in molla lontananza. Questa terra dipendente una volta dal feudatario della Pieve d'Oggiono comperò la sua emancipazione nel 17 giugno 1654 ed a memoria di questo riscatto rimane qui una lapide che dice:

[96]

LIBERTAS
QUÆ TOTO NON BENE VENDITUR AURO
LABORE LITE PRAETIO PARTA
GALBIATENSI VICINIÆ AC FINITIMIS OPPIDIS
REGIA CONCESSIONE FIRMATA TANDEM ARRISIT
FELIX DIES XVII JUNII ANNI MDCLIV
QUA INFEUDATIONIS AC OMNIS INFERIORIS JUDICII
EXCUSSO ONERE
POPULUS HIC SUB POTENTISS. REGIS. HISPANIARUM
VICARIA POTESTATE NEMPE MEDIOLANENSIS SENATUS
SE IMMEDIATE REDEGIT
TANTÆ EXEMPTIONIS MEMORIÆ
QUAM FRANCISCI GEORGII OTTOLINI
REGIÆ DUCALIS CAMERÆ NOTARII
AUTENTICA SCRIPTA PRIVATIM ASSERVANT
HUJUS LAPIDIS RETENTIVÆ CUSTODIÆ
PUBLICE RESIGNANTUR
DIE XVIII. SEPTEMBRIS ANNO MDLXXI[15].

Il convento dei Francescani posto sul Montebaro a settentrione di Galbiate, fu abolito nella generale soppressione del 1810. A Desiderio ultimo re dei [97] Longobardi si riferisce l'erezione d'una rôcca su questo monte e della chiesa di San Michele. Dai viali del monastero per un viottolo ronchioso a spina-pesce si ascende al monte delle crocette, così chiamato da tre croci piantate sulla sua vetta, d'onde l'orizzonte si allarga e diviene più maestoso. Di là potrai vedere i sottoposti laghetti d'Oggiono, d'Annone, indi il lago di Pusiano, cinti a settentrione dai monti della Vallassina, e più in là il comasco a cui fanno contorno i poggi di Varese, ai piedi delle Alpi. A manca corre il guardo fino alle feraci pianure dell'Olona seminate d'innumeri paeselli e borghi, ed a maggiore distanza il duomo della lombarda Capitale. Da una parte distingui per lungo tratto gli azzurri serpeggiamenti dell'Adda e tante vallette e tanti poggi e tante montagne del Bergamasco. È degnissimo di sentirsi in Galbiate l'eco polisillabo, il quale a chi grida d'in su la via risponde da una casa rimpetto fino a quindici ed anche più sillabe. Io l'intesi ripetere per intero i due versi

Che vuoi dirmi in tua favella

Peregrina rondinella?

Chi brama godere amenità di vista senza molto disagio di strada visiti le delizie Balabio e Sanchioli, come non ometta di vedere il molto ameno ritiro che si fabbricò il chiarissimo economista Barone Custodi, ov'è la ricca biblioteca di cui sarà ereditiera l'Ambrosiana.

Se da Garlate ami portarti direttamente a Lecco segui la via militare, passa per le Torrette ove la [98] moltiplicità delle fornaci sono animate dalla roccia calcarea del Montebaro, terrosa, di grana fina, di frattura concoidea, talvolta scagliosa e di colore cinereccio molto chiaro, frammista di selce piramica (pietra focaja) che ora si presenta sotto forma di vene d'uno a due pollici in grossezza, ora di nuclei, qualità che quel monte ha comune con tutta la catena di Galliano.

Ed eccoti arrivato al maestoso ponte fatto erigere da Azzone Visconti nel 1335 per congiungere meglio tutte le parti del suo dominio. Non avea esso in origine che otto arcate, ma l'arcivescovo Giovanni II. Visconti, per ovviare le soverchie piene del lago, fece dilatare l'alveo dell'Adda che qui ricomincia, e prolungare il ponte di due nuove arcate. Nè bastando ancora questo provvedimento, i Comaschi, come quelli che più risentivano delle innondazioni del lago, a tutte loro spese fecero un maggior allargamento al letto del fiume e per conseguenza aggiunsero un nuovo arco al ponte, per cui venne ad avere undici arcate. Le due più recenti che si attaccano alla riva occidentale del fiume furono rinovate nel 1799 per essere state tagliate dai Francesi che poterono in tal guisa arrestare i passi vittoriosi degli eserciti Austro-Russi. Più d'uno de' miei pochi lettori si ricorderà dell'angusta porta all'ingresso occidentale di questo ponte, che fu da pochi anni demolita come disagevole al passaggio.

Ed ecco far bella mostra Lecco, la più importante e considerevole terra del nostro territorio dopo Monza, posto al 41.° 51′ 7″ di latitudine e 41.° 71′ 50″ di longitudine. «Giace poco discosto dal ponte, alla [99] riva del lago, anzi viene in parte a trovarsi nel lago stesso, quando egli ingrossa: un gran borgo al giorno d'oggi e che s'incammina a diventar città» come dice Manzoni.

Nell'industria ha poche terre rivali; attivissimi edificj di seta; decentissimi alberghi (la Croce di Malta, il Leon d'oro, l'albergo Reale), più facili a trovarsi nelle città che in terre di campagna; depositi di ferramenta lavorate; la grandiosa fabbrica di cotoni dello Schmutz, bastano a mostrare la sua operosità. Lecco in un sabato d'autunno presenta riunito quanto di ricco, di vivace, di risplendente trovasi diffuso per tutte le terre della Brianza e pei luoghi all'intorno; grosse comitive di signori, verroni sorridenti di donzelle, di giovani, leggiere navicelle seminate con vago prospetto sulle azzurrine onde del lago; intanto fra i venditori e compratori un'operosa faccenda; una pressa di sbarcare e di imbarcare, un continuo andar e venire, e saltimbanchi e cerettani e cento altre cose siffatte.

Del resto nulla d'interessante per l'amatore delle belle arti; chiesapiccola, eccentrica e mal rispondente ai bisogni ed all'importanza del paese, non grandiosi palazzi, non gabinetti d'antichità; se non che ora va provvedendo anche a questa mancanza il distinto ingegnere Giuseppe Bovara che nella sua casa riunì molti oggetti di pittura, d'antiquaria e di mineralogia con cui fanno un vaghissimo contrasto i mirabili lavori in sóvero, che l'industrioso falegname Giacomo Anghileri (premiato anche dall'accademia di Brera nel 1824) eseguì sotto la direzione dello stesso ingegnere, e la maggior parte di [100] essi rappresentanti le famose reliquie dell'antichità che rimangono ancora nella capitale del mondo cristiano ad attestare la sua passata grandezza.

Poco è discosto Pescarenico, casale di pescatori, dove esiste tuttora il convento del padre Cristoforo che ricevette tanta celebrità nei Promessi Sposi. Un'isoletta tutta verdeggiante nell'interno e al di fuori tutta cinta di candido muro chiamasi pure Pescarenico.

Gli innumeri casali onde è seminato il territorio di Lecco, all'occhio di chi li guardi da lontano da qualche luogo che vi risponda di fronte, si confondono, formando una lunga striscia biancheggiante che degrada sfumando fin che viene ad unirsi coll'altra striscia segnata dalla configurazione prolungata di Lecco. Alessandro Manzoni, giovinetto venia in questo territorio a respirare quest'aria piena di vita, e quante volte col fervido desiderio della gioventù avrà sospirato al momento di poter trasfondere dal suo cuore le tenere affezioni ond'era tocco all'aspetto di quelle austere bellezze. Il tempo rispose al suo e più all'altrui desiderio, e la prima pagina dei Promessi Sposi fu appunto consacrata alla fedele dipintura di queste pacifiche terre montuose.

«Quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, viene quasi a un tratto a ristringersi e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia riviera di rincontro; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, [101] e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda ricomincia, per pigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lasciano l'acqua distendersi e allentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La riviera, formata dal deposito di tre grossi torrenti, scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di San Martino, l'altro con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare una sega: talchè non è chi, al primo vederlo, purchè sia di fronte, come per esempio dai bastioni di Milano che rispondono verso settentrione, non lo discerna tosto, con quel semplice indizio, in quella lunga e vasta giogaja, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune. Per un buon tratto la riviera sale con un pendìo lento e continuo; poi si dirompe in poggi e in valloncelli, in erte e in ispianate, secondo l'ossatura dei due monti e il lavoro dell'acque. Il lembo estremo interciso dalle foci de' torrenti è pressochè tutto ghiaia e ciottoloni; il resto, campi e vigneti, sparsi di terre, di ville, di casali; in qualche parte boschi, che si prolungano su per la montagna.... Dall'una all'altra di quelle terre, dalle alture alla riva, da un poggio all'altro, correvano e corrono tuttavia strade e stradette, ripide, acclivi, piane, tratto tratto affondate, sepolte fra due muri, donde, levando il guardo, non iscoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; tratto tratto elevate su aperti terrapieni, e da quivi la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre qualcosa nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o [102] quella parte campeggia o si scorcia, spunta o sparisce a vicenda. Dove un tratto, dove un altro, dove una lunga distesa di quel vasto e svariato specchio dell'acqua; di qua lago, chiuso all'estremità o piuttosto smarrito entro un gruppo, un andirivieni di montagne, e di mano in mano più espanso tra altri monti che si spiegano ad uno ad uno allo sguardo, e che l'acqua riflette capovolti, coi paesotti posti in sulle rive; di là braccio di fiume, poi lago, poi fiume ancora, che va a perdersi in lucido serpeggiamento pur fra i monti, che l'accompagnano, digradando via via, e perdendosi quasi anch'essi nell'orizzonte. Il luogo stesso da cui contemplate que' varj spettacoli, vi fa spettacolo da ogni banda, il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge al di sopra, d'intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili a ogni tratto di mano, aprendosi e contornandosi in gioghi ciò che v'era sembrato prima un sol giogo, e comparendo in vetta ciò che poco innanzi vi si rappresentava in sulla costa: e l'ameno, il domestico di quelle falde tempera gradevolmente il selvaggio, e orna vie più il magnifico dell'altre vedute».

E l'amarezza di quell'addio onde Lucia ignara del suo avvenire salutava le patrie alture, forse fu da lui provata quando si separò da esse nei giorni della fanciullezza.

«Addio, montagne sorgenti delle acque, ed erette al cielo; come ineguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più famigliati; torrenti, dei quali egli distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; [103] ville sparse e biancheggianti sul pendìo come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi cresciuto tra voi se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono in quel momento i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che un giorno tornerà dovizioso. Quanto più s'avanza nel piano, il suo occhio si ritrae fastidito e stanco da quella ampiezza uniforme; l'aere gli simiglia gravoso e senza vita; s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose, le case aggiunte a case, le vie che sboccano nelle vie pare che gli tolgano il respiro; e dinanzi agli edifizj ammirati dallo straniero, egli pensa con desiderio inquieto al camperello del suo paese, alla casuccia a cui egli ha già posti gli occhi addosso da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti».

Tenera effusione d'affetti, interprete d'un sentimento che io provai vivo nel cuore, ma che non avrei saputo lodevolmente, significare onde mi prevalsi dell'innarrivabili parole di Manzoni colla sconfortante certezza che il confronto di tante dovizie debba mostrar più vivamente la povertà delle mie idee e delle mie espressioni!

Fra tutti questi casali primeggia Castello dove sorge un antico seminario diocesano. Qui l'attività de' magli che domano il ferro nell'intervallo fra Castello e San Giovanni della Castagna fu espresso con molta verità da Ugo Foscolo quando nel suo inno alle Grazie diceva a Canova:

[104]

Come quando più gajo Euro provoca

Sull'alba il queto Lario e a quel susurro

Canta il nocchiero, allegransi i propinqui

Liuti e molle il flauto si duole

D'innamorati giovani e di Ninfe

Sulle gondole erranti; e dalle sponde

Risponde il pastorel colla sua piva.

Per entro i colli rintronano i corni

Terror del capriol, mentre in cadenza

Di Lecco il maglio, domator del bronzo,

Tuona dagli antri ardenti; stupefatto

Pende le reti il pescatore, ed ode.

La grotta di Laorca ha bellissime stalattiti e stalagmiti, che si presentano sotto vaghissime forme. Da essa usciva già un'acqua limpidissima che accresceva la strana bellezza del luogo, ma essendo nel 1805 rovinati due casolari che erano elevati sopra la caverna, l'acque rimasero d'allora fangose e nocive alle macchine che fanno aggirare ed alle erbe. Il tempietto vicino e il terrazzo che gli risponde sono dominati dal ciglio prominente d'una rupe, mirabile pei variatissimi scherzi prodotti dal filtramento delle acque pei fessi della montagna. La religione consacrò questa solitaria posizione, dicendola dimora un tempo di penitente romito. Poco discosta è la sorgente del Caldone le cui acque si proclamano per salubri, sebbene nulla contengano di minerale. Germagnedo poco di qui discosto, vogliono fosse la parrocchia del D. Abbondio dei Promessi Sposi, altri la collocano invece ad Acquate, presso cui da poco tempo vennero scoperti filoni di ferro spatico.

(Chi volesse visitare la confinante Valsassina veda il capitolo Una corsa per la Valsassina)

[105]

CAPITOLO QUINTO. IL RAMO DI LECCO.

La Maddalena — Le Caviate. — Gessima. — L'Abbadia. — Mandello. — Parè. — Onno. — Vassena. — Limonta. — Civenna. — Bellagio. — Olcio. — Fiume Latte. — L'Uga. — La Capriana. — Varenna. — Perledo. — Bologna. — Bellano.

Appiani chiamava il ramo di Lecco più pittoresco di quello di Como e quell'esimio pittore non usciva in sentenza nè falsa, nè esagerata. Una successione di tanti paeselli; il lago principalmente nella primavera e nell'autunno e anche nel verno quando

Limpido, azzurro in sull'aurora è il cielo

Da un vapor roseo, ove il sol nasce, tinto;

Bianchi di neve e di notturno gelo

Son valli e monti e il lido che n'è cinto:

Il lago sol che non ne soffre il velo

Bruno fra quel candor spicca distinto

E capovolti sotto l'onde quete

Rupi e capanne ed alberi ripete.

Sotto al candido incarco oppresse e dome

Vedi incurvarsi pei vicini clivi

E nondimanco verdeggiar le chiome

Degli allòr, de' cipressi e degli ulivi;

Grami augelletti che calâr, siccome

Fallì il cibo dai lor gioghi nativi,

Volan fra i rami e cader fanno al lieve

Tocco in minuta polvere la neve.

[106]

Quanti effetti di luce svariati, quanti greppi nudi, alternati con pascoli verdeggianti, e fornaci ardenti che rompono l'oscurità della notte, e l'andar e il redire d'innumere navicelle, e canti di pescatori, e zampogne di pastori, che valgono a lusingare talvolta anche le orecchie sazie de' frastuoni delle musiche cittadinesche!

E le due belle ottave qui riferite, che dipingono più che descrivano, le avrete già lette nell'Ulrico e Lida, il più recente lavoro di Tommaso Grossi, nome caro a tutti quelli che leggono i suoi soavissimi versi e ammirano le tante doti che abbelliscono il suo cuore.

Ma volendo, se ci basta il tempo, godere tanto pittoresco abbisognerà che ci rechiamo alla Maddalena, alle Caviate, rialzate sopra un ricco vigneto, alla Gessima, luogo ghiajoso che ebbe forse il nome dalle molte cave di gesso. Chi ha letto Paolo Giovio passando di qui si ricorderà di Lodovico Savelli, che sdrucciolato da questo scoglio, dopo essere stato cinque ore pendente e colle mani avinghiate ad un ramo, sotto il tormento del sole, a malgrado dei letti che si distesero nel sottoposto terreno, cadendo s'estinse prima d'arrivar al suolo.

Di là procedi alla Abbadia, così chiamata da un'antica badia di Benedettini, che fu poi cenobio dei Serviti, poi vieni a Mandello grossa abitazione collocata sur un istmo del lago adorno di piante e dominato ad oriente da moltissime montagne abbondanti di pascoli e di legna, spiccante contrapposto colla nuda spianata di San Giorgio. Di qui era originario il poeta Aurelio Bertola. Il palazzo [107] Airoldi, oggi Pini, era il secondo per magnificenza sul Lario (primo era il Gallio di Gravedona) avanti che sorgessero le principesche ville Sommariva, Melzi, Serbelloni ed Odescalchi. Dalla rupe che sorge a mezzodì di Mandello si cavano ferri e marmi, dei quali sono le otto colonne che ornano il tempio del Crocifisso di Como. Una miniera di piombo che dava il settanta per cento di metallo fu lasciata in abbandono per non essersi trovato il filone continuato, sorte comune colla pirite aurea che si estraeva sopra il casale di Masso, e che avea fatta sospettare l'esistenza d'un metallo più prezioso.

Sull'opposta riva del lago alle falde orientali dei Corni di Canzo vedi succedersi Parè in un seno del lago di faccia alla Maddalena, Onno di fronte a Mandello, ravvivato dalle sue fornaci di calce, belle a vedersi da chi voga pel lago nell'oscurità della notte. Fu patria del fuochista Gio. Battista Torre che rimase vittima della sua arditezza, e dell'idraulico Binda che nel 1727 eseguì le fontane nel giardino Litta di Lainate. Da qui una strada faticosa conduce nel centro della Vallassina.

Proseguendo viensi a Vassena povero casale che mira in faccia Olcio; poi succede Limonta «terricciuola presso che ascosa fra i castani, al guardo di chi spiccatosi dalla punta di Bellagio per navigare verso Lecco, la cerca a mezza costa in faccia a Lierna. Cominciando dall'ottavo secolo, fino agli ultimi tempi, che fur tolti i feudi in Lombardia, essa fu soggetta al monastero di Sant'Ambrogio di Milano; e l'abate fra gli altri titoli avea quello di conte di Limonta e di Civenna, terra più in alto al [108] lembo della Vallassina». Le cave del gesso al pelo dell'acqua e quelle di marmo nero sulla costa del monte alimentano l'attività dei Limontesi.

Più in su, tirando verso tramontana, dove la lingua di terra che separa i due rami del lago si termina a capo di montone, siede Bellagio, terra comasca di prodigioso prospetto, e prima di giungere a questa terra t'abbatti alla Villa Giulia dispendiosamente abbellita di fresco dal signor Venini con comoda ascesa che conduce alle due parrocchie di Bellagio, cavata nello scoglio a forza di scalpello e mine.

Sulla sponda orientale, superato Mandello, ti trovi ad Olcio, ricco di miniere di marmo nero di cui è una parte del duomo di Como; la strada qui si seppellisce per centoventi metri sotto tre lunghe gallerie; poi a Lierna, a' piedi d'una scogliera quasi innaccessibile, ma di tratto in tratto verdeggiante e cortese di vini vantati come utili a chi soffre di calcoli e di podagra, e che si prolunga sino a Fiume Latte, ove trabalzano per mille metri, quasi a perpendicolo, le acque raccolte dagli scoli del Moncódeno.

Succede quindi la grossa abitazione di Varenna, risorta a nuova vita per la strada militare. L'aria assai dolce vi lascia crescere spontanee anche esotiche piante. L'Uga poco discosta è una fonte sgorgante da un antro e protetta da un pergolato d'allori, a cui si affratellano le cascate artificiali della sottoposta deliziosa Capuana.

L'occhiadino, il bindellino, il marmo nero e la lumachella sono i minerali che più comunemente si cavano nelle sue vicinanze; Perledo posto in alto con antichissima torre una delle tante riferite dalla tradizione [109] alla regina Teodolinda, e Bologna rialzata sulle falde del Grignone sono le terre principali che la circondano. Dell'una e dell'altra nulla a dire, quando eccettui i due più grandi quadri del pittore Bellati, deposti nella parrocchiale di Perledo.

Procedendo sulla via militare talvolta sepolta sotto pittoresche gallerie vieni a Bellano, antica corte degli Arcivescovi di Milano, le cui mura furono diroccate da quel Gian Giacomo De-Medici che padroneggiava sul lago; ha una chiesa antica, opera d'Azzone e dell'arcivescovo Giovanni Visconti zio e nipote sui cui muri vedonsi ancora gli stemmi di questi e de' Torriani. È patria di Sigismondo Boldoni, poeta, medico e letterato de' pochi buoni del secolo XVII.; ma ben vanto maggiore ha d'aver dato i natali ad uno de' più splendidi ingegni, che onorino l'Italia, Tommaso Grossi. Non vuol tacersi la bella filanda dei Gavazzi, nè passarsi innosservato l'Orrido precipizio d'acqua maestoso.

Odi tu quel rimbombo? Inoltra e agli antri

D'onde rugge il fragor della novella

Meraviglia ti accosta. Oh! mira come

Dall'alpestre ciglion cerca il torrente

L'onda del lago, e giù per la scoscesa

China a gran salti furiando, l'aere

Fiocca di spruzzi e di muggiti assorda,

Pari all'ira de' tuoni. Orrendo è il loco

E dritto è ben se il vulgo Orrido il noma.

La strada prosegue per Dervio, Corenno e Colico d'onde corre pel lungo della Valtellina, soverchia lo Stelvio, taglia il Tirolo e perviene alla capitale dell'impero.

[110]

Sei stanco del cammino? siedi a respirare la mite aura del lago, corri collo sguardo su tanti prospetti svariati, vedi le onde incresparsi al

Montanino orezzo della sera

mira le navicelle pescatrici, odi gli armonici canti delle donzelle, che dimentiche per un istante dei guai della vita, intuonano soavi melodie. Oh quanto mi giunse dilettevole all'orecchio una tenera barcarola dell'autore delle Melodie italiche fatta canora sopra l'aria marinaresca degli Inglesi che un coro di fanciulle, agitando il lieve battello, commetteva alla vagante aria del lago.

IL VIAGGIO DELLA VITA.

1.

È la vita navicella

Che va su, va giù pel mar:

Ecco sorger la sua stella,

Sfavillare, tramontar.

Se quetata la tempesta

Una brezza soffierà

Ogni vela, presta, presta

Il buon tempo seguirà.

2.

Ma dei venti nella guerra

Non sia fiacco il nostro cor:

Salpa il Senno della terra

E ritorna vincitor.

Qual zavorra stiam pur tutti

Fermi al posto del destin:

E tra l'impeto dei flutti

Sarem salvi nel cammin.

[111]

3.

Però troppo non ti affida

Al sereno lusinghier,

Se al Presagio non ti guida

Della bussola, o nocchier.

Quando il nugolo rintrona

E prorompe l'aquilon

Teco è Dio, non abbandona

Chi sta vigile al timon.

4.

E se placida nel porto

La Speranza si posò,

E sull'áncora conforto

Dagli stenti ritrovò,

Ricolmati gli otricelli

Del liquor che fa gioir,

Beviam tutti, quai fratelli

Salutando l'avvenir.

CAPITOLO SESTO. DA MONZA A MONTICELLO.

Vedano. — Biassono. — Macherio. — Belvedere. — Gernetto. — Peregallo. — Lesmo. — Tregasio. — Corezzana. — Campo Fiorenzo. — Galgiana. — Rogolea. — Casate Nuovo. — Monticello. — Missaglia. — Misericordia. — Contra. — Maresso. — Castel Pirovano. — Viganò. — La costa della Biscia. — Casate Vecchio. — Besana. — Monte. — Montereggio.

Diverse, ma tutte deliziose, sono le strade che guidano da Monza nel centro dell'incantevole Brianza.

[112]

Ora giovi metterci su quella che scorge alla collinetta di Vedano d'onde dalla villa e dal giardino Litta l'occhio tira a settentrione sopra un ampio orizzonte, un cielo di zaffiro, una successione non interrotta di casali, di ville, di paeselli, di borghi.

A Vedano tiene appresso, non più discosto che due miglia, Biassono, già borgo insigne e murato, alla punta estrema verso tramontana dello stesso Parco, patria di quell'illustre arcivescovo Ansperto che sotto i Carlovingi salì a tanta autorità ed eresse l'atrio davanti alla chiesa di Sant'Ambrogio in Milano ed in patria un pio edificio ospitaliere.

Da Macherio, che gli succede, è poco discosta la villa di casa Verri, ove si deliziava il celebre storico ed economista milanese di questa famiglia, nel cui palazzo esiste un'iscrizione antica, voto di Petronio Vero Ercole, che dice:

HERCULI Publius
PETRONIUS
VERUS Votum Solvit Libens Merito.

Ma tutto vien meno quando, appena veduto il Belvedere di casa Taverna sulla riva del Lambro e reputato disegno di Pellegrino Pellegrini, volgarmente chiamato coll'aggiunto di Tibaldo dal nome paterno, e passato il fiume a Canonica pieghi a destra verso l'incantevole Gernetto elevato sopra un colle d'argilla rossa, che si propaga dalla vicina Brianza.

Ben potrebbero le fantasie di Grossi o d'Azeglio, ritrarre al vivo le singolari bellezze di questa giocondissima villa, ove S. E. il conte Giacomo Mellerio, uomo illustre nei fasti della beneficenza moderna, raccolse quanto di meglio potea rispondere [113] alle esigenze dell'agiatezza, al compimento dell'occhio, all'allettamento del cuore. Ma io nè sono, nè mi credo da tanto da provarmi a tutte trasfondere qui le cento bellezze, le peregrine venustà, il sorriso dei giardini, le maestose serre, i nomi delle straniere piante e de' fiori, le ricchissime famiglie delle rose, varie d'odore e di nome, le giapponesi camellie, la sensitiva mimosa, le piumate peonie, gli indiani ananas, la magnolia, la gaggia, il cedro, la melia, la lagerstremia, l'eucalitto, la principesca ampiezza delle sale, gli estesi piani, le amene vallette, gli erbiti, le artefatte fontane sprizzanti acqua perenne, i superbi arancieri, gli ombreggiati e serpeggianti passeggi che riescono al fiume, i rigagnoli con singolare splendidezza tirati da terre lontane, e gli argentei bacini, placido nido del pesce. Mi sia dunque lecito approfittare d'alcuni bei versi, che l'abate Pollidori dettava su così delizioso soggiorno, egli che sovente si trova di mezzo a queste maraviglie.

Rotta la roccia degli aspri macigni,

Oh quante marre, e per più lune, oh quante

Quivi braccia sudaro! onde s'aprisse

Questa in facil pendìo strada regale,

E quel che a destra sorge, aprico poggio

Il sen schiudesse a pellegrini tralci....

Laterizio lavor di man maestra

Quegli archi sono, che congiunti insieme

Di non comune onor v'ornan la vetta.

Sappi che loro in grembo occulta scorre

Linfa che, dono di montana valle[16],

[114]

Qua per lungo cammin arte conduce.

Tu la vedrai tra poco, in vario metro

Bella nei bei giardin di sè far mostra....

Ma pria l'ambito limitar t'accolga....

L'occhio intorno rivolgi, e ben sel merta

Bello il cortile di sue forme e bello

Il portico che a lui grandeggia innanzi.

Sacra tutela e primo al colle onore

Quinci si schiude la devota Edicola.

Creta foggiata dal Toscan La Robbia[17]

N'adorna il fronte. Ve' come si smalta

D'azzurro e bianco si ch'emula il marmo....

Seguace di Tizian, come ombra il corpo

Il veronese Bonifacio pinse

La posta in alto preziosa tela....

Nobil terrazzo di colonne adorno

Che del colle il ciglione ombrando abbella

Ecco per te si schiude. Oh qual diletto

In questa altezza ha il cor; quanto lo sguardo!...

Ricco per l'acque del Pusiano il Lambro

Con tortuoso giro in due lo parte

Ora lento scorrendo, ora tra sassi

Con non ingrato mormorio spumando....

Curvate ad arte le frondose viti

Tal ne ombreggian la via, che a mano a mano

Di un bel raggio solar l'ombra si lista,

Sostati; è questo il desiato sommo

D'onde tutta n'appar l'immensa valle

Cui fan l'Alpi corona e il Po confine.

Entra adunque al casin, che qui non lungi

Sorge sul colle, ed al riposo asilo

Di piumati soffà s'abbella e cinge....

[115]

All'occhio ed al pensier ti sia diletto

Opra ammirare di scalpel valente[18]....

Volgendo a manca, ove il pendìo digrada

Ver l'ampio bosco, che di mura e siepi.

Tutela a sua beltà, si cinge intorno....

Ve' come l'arte che natura imita

Ora declive praticel vi schiude,

Ora sacra al pensier ombra v'aduna.

Quasi spiral colà poggio s'innalza

Di variopinte Dhalie inghirlandato.

Qua si apre ondoso stagno, in cui la pioggia

Delle foglie piangenti incurva il salice.

Non tocchi mai dal verno in quella parte

Fan di lor chiome i resinosi pini

Ombrello al suol, tra lor difformi in questo

Con ricercato stil s'addensan gli alberi

Che qua venuti da stranieri lidi

V'alternano i color, le forme, gli usi.

Tortuoso sentiere or ti conduce

In luogo, onde vagare all'occhio è dato

Ver più remote piagge; ora in romita

Cella, che in cima d'un burrone ascoso

A dolce meditare invita l'alma.

Sono anche a vedersi un quadro di Palagi (Galeazzo Maria Sforza ammalato) a grandezze naturali, un altro di Diotti (Lodovico il Moro, cinto da Vinci, Corio, Bellincioni, Gaffurio, Bramante e Fra Pacioli); i quadri campestri più veri che brillanti del tedesco Peter, altri del Londonio, pittore buccolico; un gruppo dello scultore Fabris che tolse l'affettuoso tema dell'incontro d'Ettore con Andromaca alle porte [116] Scee, ed altri quadri di Migliara, Bisi, Gozzi, Mallerini romano, tutti concorrenti ad accrescere la magnificenza di questa delizia.

Mentre l'amante del bello si diporta fra le amenità del giardino, il botanico s'arresti a contemplare le esotiche produzioni, i moltissimi catti fra cui il mostruoso, così chiamato per la deformità delle sue parti; i palergonj del Capo di Buona Speranza; la rosa Paduli, che ricevette il nome della contessa Mariannina Della Somaglia, sposata Paduli, e che primeggia fra le molte rose thee, il melifluo rododendro arboreo, che come nel patrio suolo qui ogni anno produce i fiori stillanti dolcissimo liquore. Il dottor Giovanni Labus dettò la seguente epigrafe che scolpita nel mattone, ricorda l'architetto di questo luogo.

an. m. dccc. xx
ex prædIs iac. mellerI v. c.
figlina gernettiana
luca . somalea . architecto.

Negli anni scorsi qui s'accoglievano il numismatico De-Carli, il bibliofilo cavalier d'Elci, lo storico Rosmini, ed il filologo monsignor Mai; oggi vi si trovano sovente in bella unione il poeta Polidori, il filosofo Rosmini-Serbati, l'archelogo Labus i quali due ad utile delle scienze rivolgono la potenza del loro ingegno e la ricchezza delle loro cognizioni. Una straordinaria quantità di monete, rinvenute quasi al piede di una torre, avanzo de' tempi feudali, e le più di esse coniate sotto l'imperatore Anastasio (dal 495 al 518 dell'era cristiana) fece sospettare che vi [117] fossero state nascoste da qualche profugo riparatovi per poco riposate condizioni di tempi.

Nell'oratorio eseguito secondo il disegno del valente architetto dilettante, conte Giovanni Luca della Somaglia, Ciambellano di S. M. I. R. A., uomo versato in più guise di studj, sono due pietosi monumenti sepolcrali lavori di Canova, i quali attestano l'affezione che lega l'esimio possessore alle reliquie della sposa, contessa Elisabetta di Castelbarco, perduta d'anni 24, e del conte Giovanni Battista suo zio. Un altro monumento dell'illustre scalpello del cavalier Fabris è posto a ricordare Giovannina Mellerio, che morendo nel 17 anno dell'età sua, lasciò al genitore, già orbo di tre figli, un'inesauribile eredità di dolori, confortati però dall'idea che le virtù della defunta saranno ora coronate di quella gloria, che fa dimenticare tutte le caduche grandezze. Nella base di questo monumento si leggono i seguenti versi latini del canonico Schiassi di Bologna:

Tres primum gnati; rapta est dein optima conjux,

Filia nunc rapitur; quid mihi jam reliquum?

O utinam Deus et mihi vestra in sede recepto

Det, dulces animæ, visere vos iterum![19]

Per diversa direzione, ma per brevissima strada si va a Lesmo e Peregallo, due paeselli che ricordano le miserabili gare domestiche, onde in secoli meno [118] pacati si guerreggiava famiglia con famiglia. Rosa Peregalli, presa d'amore per Gian Guidotto De-Lesmi, non potendo per le scissure civili, onde si cercavano sempre a morte le loro due famiglie, appagare il voto più ardente del suo cuore, ricorse ad un frate che romitava a Santa Maria delle Selve. Da lui gli amanti ebbero benedetto il loro voto, ed ottennero che il buon romito riducesse la pace fra le discordie municipali. Brevissima gioja! Non andò molto, che Rosa ne morì, non senza gravi sospetti di veleno, e Guidotto fu trovato nel Bosco Bello morto e interizzito, con una larga ferita nel petto su cui ancora tenea compressa la mano in atto di ristagnare il sangue. Tragico avvenimento che ravvivò ancora le contese delle due case litiganti, e fece spargere ancora larga copia di sangue!

Nella villa di Lesmo, durante la peste del 1630, si riparavano Giambattista Maggi colla moglie Angiola Riva, cittadini milanesi, traendovi seco il neonato Carlo Maria che divenne poi buon poeta italiano e milanese, fu segretario del senato, e qui rimasero finchè il male cominciò a rallentarsi ed a permettere di nuovo il consorzio fra i pochi che erano rimasti in vita. Carlo Maria, fatto poi uomo, si deliziava dell'ameno soggiorno di questa terra avita, che riguarda sì dappresso le amenità della Brianza. Basilio Bertucci nel suo ditirambo il Bacco in Brianza, parlando dei buoni vini di questo villaggio canta:

Risciaqualo di poi col vin di Lesmo

Poi l'empi del medesmo;

Bevanda portentosa

Ambrosia armoniosa

[119]

Da cui trasse il suo vario

Sapere e la galante

Vena dolce e piccante

Dell'insubre senato il Segretario.

Poveri versi che diedero poi motivo ad altri assai più leggiadri, onde Francesco Redi nel suo Ditirambo, parlando del vino di Botte esce a dire

Se per sorte avverrà, che un dì l'assaggi

Dentro a' Lombardi suoi grassi cenacoli

Con la ciotola in man farà miracoli

Lo splendor di Milano il savio Maggi

. . . . . . . . . . . . . . . . .

E saria veramente un Capitano

Se tralasciando del suo Lesmo il vino

A trincar si mettesse il vin Toscano.

La posizione elevata e pendente dei terreni in questo luogo fece sì che le sorgenti delle acque sieno qui molto sotterranee e rese ancor più profonde dalle valli. Perciò volendosi scavare un pozzo a Lesmo si dovette andar sotterra più di 210 piedi prima di trovar le acque.

Da Lesmo continuando verso Monticello, e lasciando a manca Corezzana riesci a Campo Fiorenzo, ove il già lodato conte Mellerio ad utile del comune mantiene una scuola elementare. Vi fece in oltre erigere, secondo il disegno del signor conte Della-Somaglia, un elegante oratorio campestre con porta corinzia sulla facciata. Di qui mentre per agiata via ascendente t'incammini verso Casate Nuovo, puoi deviare alquanto per vedere la bella chiesa d'ordine corinzio onde fu decorata la terricciuola di Galgiana [120] della quale fece il disegno l'architetto Giacomo Moraglia.

Poverissima di memorie è Galgiana, onde non avendo potuto parlare di questa terra nelle Vicende della Brianza, qui riporterò l'unico fatto che di recente seppi di essa. Essendo corso poverissimo di riccolto e contristatissimo di guerre l'anno 1531, Girolamo Crippa, curato di Galgiana, provata l'insufficienza della sua prebenda, in caso di scarsa messe, a mantenere una parrocchia, la cedette ai Dominicani del vicino San Giacomo. Non tardarono i Galgianesi a stancarsi dell'amministrazione dei frati e si lagnarono di essi coll'arcivescovo perchè non volessero star paghi ai trenta soldi che avevano fin allora sborsato per la limosina funeraria. Un tale stato di reciproca malevolenza durò fino al 1582, quando quel San Carlo Borromeo, che fece da solo quanto avrebbero appena potuto molti altri insieme uniti, esaminate di proposito le ragioni dei Galgianesi, e non avendo potuto ottenere che i frati presentassero le loro, dichiarò dissoggettata quella parrocchia da ogni dipendenza dal convento di San Giacomo, non dando più luogo a' riclami che i frati voleano poi mettere in campo. — Qui puoi vedere la villa Pizzagalli, già d'Adda, con bel giardino ed un'ampia gradinata che avrebbe dovuto servire ad erigere la chiesa parrocchiale (1730) ove non fossero venute a distruggere questo progetto le contese fra il parroco e il marchese d'Adda.

Nella vicina Regolea era solito villeggiare il poeta Francesco Corio d'Abbiategrasso, che tornato in patria per confortarsi della noja di quelle interminabili [121] pianure, fece una fedele descrizione in versi milanesi d'alcune delle nostre ville.

Triuggio, terra a nord-est di Canonica, sulla via che mena ad Agliate, è luogo poco considerevole ed in poco fortunata posizione; a tramontana ha Tregasio dove anticamente era un convento di Benedettini fondato nel XII. secolo dalla famiglia Casati, e che a quel tempo era tributario alla Santa Sede di dodici denari. Di là per una comoda via, quasi sempre diritta, pervieni a Casate Nuovo, posto al piè di ridenti collinette, fra un circolo di ville e di eleganti case campestri che non desiderano se non maggior riunione. La famiglia Casati, di cui ci venne poc'anzi parlato, fondò anche a Povenzano un monastero di monache le quali nel 1569 furono trasferite a Milano per essere unite a quelle del Cappuccio. Essa possiede ancora il grandioso palazzo che è ad un tempo uno de' più magnifici della Brianza; edificio d'ordine romano, il cui ingresso fu levato dal palazzo imperiale di Vienna, con privato oratorio, dipinto dall'Alberti e fregiato d'un quadro del profess. Giuseppe Diotti. Era questa una delle molte villeggiature che accoglievano di frequente l'allegro poeta Ballestrieri, e che furono celebrate ne' suoi versi. Minore di splendidezza, ma ricompensata largamente di una migliore posizione è la villa Tealdi, che ti presenta sul suo ingresso le figure dei duchi Visconti Sforza, ed alcuni personaggi de' Promessi Sposi, frescati da Giuseppe Ronchi. Oh come ti sarà dolce diportarti sullo spazioso giardino, reso tanto vago e dalla natura e dall'arte. Di là passerai a vedere nell'interiore del palazzo molte incisioni de' migliori bullini francesi. [122] Poco discosta è la villa de' conti Lurani ragguardevole per grandiosità, ricchezze e felicità di prospettive, d'onde per una strada vicinale finita nel 1836 si giunge alla recente chiesa, che riesce a settentrione del paese intorno alla quale converrà che ci fermiamo a parlare di proposito, quanto almeno può uno che non sia artista, e che debba trascorrere fra tanti altri oggetti, tutti più o meno in diritto d'essere menzionati.

Ne diede il disegno il valente monzese architetto profess. Giuseppe Amati; fu principiata nel 1815 e proseguita con elemosine de' meglio stanti del paese e collo zelo del parroco Lazzaro Rossi. Offre nell'interno, tutto compreso, la lunghezza di braccia 54 sull'altezza di 48; con vôlta a pieno sesto, della larghezza di braccia 24 e sostenuta senza chiavi, tutta tagliata da cassettoni coi soliti rosoni ed altri ornamenti eseguiti dal pittore Cambiasio. Alla bellezza del disegno corrisponde pienamente quella degli interni adornamenti e i freschi del pittore Lavelli, sulle due estremità della vôlta maggiore, con medaglioni rappresentanti gli Evangelisti, il trionfo della Gloria di fronte al coro, la Madre di Dio, il San Giovanni Battista, i quattro Dottori della chiesa e l'apostolica Duodena tutti a colore; la vôlta del presbitero dipinta in cinque medaglie dallo stesso Lavelli a chiaro-oscuri raffiguranti il battesimo di Gesù Cristo, l'Adorazione de' Magi, la Trasfigurazione, la Cena in Emmaus, la discesa dello Spirito Santo. Più in là formano il fondo di sì belle pitture i rosoni dorati, ond'è adorna la tazza del coro. Non dimenticheremo l'organo de' fratelli Serazzi di Bergamo, molto armonioso, [123] e con grande estensione di suono. E per non ristare alla sola descrizione dell'interno usciamo a vedere il magnifico atrio sorretto da otto colonne joniche di pietra di Viggiù, a cui mette una larga gradinata a lastre obbligate, talune d'una rara lunghezza.

Poco dista di qui il convento di San Giacomo, già appartenente ai padri inquisitori delle Grazie di Milano, del quale non rimangono che pochissime memorie e scritte e tradizionali.

Vuoi tu mirare in compendio il più bel giardino di natura? sali a Monticello, dove nei giorni autunnali vedrai confusi ai corsaletti della contadinella gli sciamiti e le seriche vesti di molte cittadine, che sentono allargarsi il cuore agitato da questa aria piena di vita. Sorge Monticello al sommo d'un'insensibile collina, forse la più vaga della Brianza; guarda da tutti quattro i lati scene diverse, ma tutte meravigliose per chi non se le rese troppo comuni con un continuo ritrovarvisi frammezzo. E perchè potesse rappresentare quasi una città in iscorcio non vi furono dimenticati e i comodi d'un caffè e d'una giornaliera vettura, ai quali vorremmo vedere uniti migliori alberghi ove il visitatore potesse trovarsi con minore disagio. Ma questa poca cura degli alberghi è troppo generale in Brianza, dove invece una eccessiva quantità di bettole, di taverne, assorbe il più della popolazione e impedisce che si preparino osterie meno ineleganti, alloggi meno incomodi, letti meno disagiati. Non mi si faccia carico se lascio uscire questa specie di lagnanza; per me nella balsamica aria della mia Brianza, un tozzo di pane, un frutto, [124] un tetto da non rimanere di notte allo scoperto, un pagliariccio da distendermi, non mi danno di che invidiare alle saporite mense, alle marmoree pareti, alle seriche cortine dell'agiatezza; ma so pur che non tutti avranno con me comune questo sentimento; so di più d'uno che si astenne di vedere le meraviglie nostre per non patire i disagi d'un cattivo alloggio. Ma torniamo a Monticello ove ci aspetta l'elegantissimo palazzo che convertì in luogo di delizie, di studj, di domestica pace, i ruderi di quel castello che un tempo ardeva di tanto incendio di guerra, e che deve essere stato la prima volta ruinato nel 1274, ai tempi delle fraterne discordie. L'architetto Canonica trascelto a presentare il disegno di questo palazzo grandioso lo scompartì in due ale con magnifica facciata, ponendo nel mezzo un ampio salone, sostenuto da colonne, e rendendo tutto notevole per decenza, eleganza ed agiatezza. L'attuale proprietario signor conte Ambrogio Nava, coltissimo sostenitore delle belle arti, artista anch'egli, adornò questo campestre soggiorno con una serra di suo disegno, con lunghi cancelli che difendono, ma non tolgono ai passeggieri il vago aspetto dei giardini, dei fiori, e presentano sopra equidistanti pilastri i busti di Monti, Appiani, Romagnosi, Manzoni, Cagnola, Volta, Albertolli ed Oriani. L'altro grandioso edificio, onde è abbellita questa vaghissima terra, fu fabbricato dal defunto barone Cavaletti, ora di proprietà Calderara, e qui pure troverai al solito ampie sale, variati giardini e raccolte d'esotici fiori. E la chiesa di Sant'Agata? è piccola, informe, nulla presenta, che corrisponda alla magnificenza della sua [125] destinazione, alla bellezza della sua posizione, onde sarebbe pure a desiderarsi che non venisse meno lo zelo de' più ricchi e nobili possidenti di questa terra nel condurre ad effetto l'edificazione della progettata chiesa rotonda, con elegante atrio esterno tutto all'ingiro. Se questo nostro voto potesse rinfiancare tale pietosa intenzione, noi ci allargheremmo ben volontieri in incoraggiamenti, ma i terrieri di Monticello hanno ben più saldo argomento di riporre le loro speranze nella liberalità e religione di chi può somministrare i mezzi occorrenti, che non nelle parole per lo meno insufficienti d'un povero scrittore. Ma trascegliendo per questa nostra fermata il luogo di Monticello, spendiamo qualche ora piacevole nella visita delle terre circostanti.

Dal pendìo d'una collina ridente di vendemmia discendiamo a Torrevilla che è la più piccola parrocchia della diocesi milanese, non constando in tutto che di 140 anime. È bello il disegno della parrocchiale, e riceverà maggior vaghezza dal campanile, che vi si sta erigendo secondo il disegno del già nominato conte Ambrogio Nava. Fra gli avanzi dell'antica torre dei conti Raimondi, ora di proprietà Balsami furono trovate nell'aprile prossimo scorso due antiche urne di cerizzo, poca meraviglia per noi, che ad ogni tratto nei nostri paesi ne vediamo disseppellirsi. Fra i mille progetti che si fanno è anche un deviamento della strada da Lecco a Monza, facendola piegare da Torrevilla a Casirago attiguo a Monticello, e mandandola poi direttamente a Casate Nuovo per evitare l'ascesa dell'eminenza di Monticello.

[126]

Breve è l'intervallo che separa Missaglia da questa terra, alla quale si va per comoda via tirando verso oriente. Qui è il capo luogo del distretto, ma paese più grosso che bello, più ben situato, che costrutto. La chiesa è antica, come pure il campanile su cui vedi scolpite varie iscrizioni che ricordano la memoria dell'operoso parroco Giovanni Tettamanzi, il quale nulla risparmiò pel lustro di questa chiesa, durante il suo regime che finì colla sua vita nel 1605.

Alla Misericordia si tiene un fiorito mercato settimanale, presso l'antico convento fondatovi dal Beato Michele da Carcano.

Contra è luogo di delizia; Tignoso, antico castello, celebre durante l'assedio di Monza, 1323; Maresso, antica terra montuosa colla chiesa di San Faustino soggetta fino dal 1192 alla Santa Sede e che fu smembrata dalla chiesa di Missaglia per alcuni legati fatti a favore di essa dal cardinale Conti da Casate, 1270. Da qui un breve tragitto guida fra ridenti campagne al delizioso Osnago.

Da Missaglia camminando per un sentiero montuoso, dirigendosi verso Viganò, prima di giugnere a Castel Pirovano si trova uno scavo, di proprietà Cai, ricco d'arenaria, che tira alla natura d'un calcario compatto, di frattura scagliosa, d'un colore cinereccio, misto di minutissima mica e di vene di spato calcareo.

Coloro che dalla somiglianza d'un nome, cavano una conseguenza, sostengono che la denominazione del poco discosto Viganò deriva dall'adorazione che vi avesse Giano:

Al tempo degli Dei falsi e bugiardi.

[127]

Noi conosciamo troppo la debolezza di tali conghietture per poterle ammettere fra le storiche verità, onde lasciando quello che è per lo meno incertissimo veniamo al positivo. Girolamo Pirovano sul finire del secolo decimosettimo tenendo ad affitto alcuni fondi della chiesa di Viganò rinvenne in un boschetto una cava di arenaria, che doveva formare la ricchezza di questa terra. L'amministrazione della chiesa per incoraggiarlo gli regalò quel boschetto ed egli in ricambio regalò alla chiesa un confessionale tuttora esistente di sasso della sua moléra. A poca distanza del paese sul dorso d'una lene collina tutta ridente di piante, vedi un gruppo di casolari sostenuti con colonne d'ordine diverso, chiamati il Cantone dei Picozzi. Sotto di essi lavora incessantemente lo scalpello a lisciare, a domare gli informi sassi che si estraggono dalla vicina cava. Quest'arenaria o moléra di Viganò è formata di particelle le più di esse silicee, e di mica argentina legate da un cemento marnoso. In alcuni strati più profondi, detti cornettone, che sono la miglior pietra di costruzione, predomina il calcario e le parti sabbiose e micacee sono e più scarse e più tenui. La saponina, come la chiamano quei lavoratori, pel suo carattere saponaceo, serve di strato intermedio fra gli strati dell'arenaria; la marciura è un'altra arenaria frammista agli strati principali, pochissimo coerente che ebbe un tal nome da quegli scalpellini per la facilità di sfogliarsi; le marchesite, uno de' nomi che ti verranno ivi pure uditi, sono piriti di ferro di figura sferoidale, che talvolta sciogliendosi formano coll'arenaria un terriccio nero saturo di ferro solfato; udrai [128] pure chiamar nitro una fioritura bianca e salina che si vede in quelle cave nei tempi asciutti e ne' luoghi coperti.

Quest'arenaria è attissima alla fabbricazione; a Milano se ne fa grand'uso e il rinomato architetto Zanoja si servì di essa per erigere la porta Nuova di questa città. Si calcola a settanta mila lire annue la produzione netta di queste miniere.

Tutta l'ossatura del monte qui d'intorno è composta d'arenaria più o meno vicina alla natura di queste due; tale è quella di Pérego d'onde furono scavate le colonne che sostengono il portone dell'ufficio del Censo a Milano. Unita ad essa è pure l'arenaria bruna, laminare, ricchissima di mica, che fu esaminata minutamente dal chimico Broglia; altre arenarie sono alla Costa della Biscia presso Rovagnate; d'arenaria sono il letto e le sponde del torrente che scorre presso Santa Maria Hoè; onde parve ad alcuni probabile che lo scheletro della collina di Bernaga sia tutto costituito d'arenaria, da cui si dirama a' tre luoghi suddetti.

Chi da Monticello si volge ad occidente per una comodissima via declinante e fiorente di nuove bellezze, fatti pochi passi, perviene a Casate Vecchio, terra illustre d'antiche memorie, dove a' tempi di Filippo Maria Visconti si rifugiarono le famiglie, Quartironi ed Arrigoni della Valtaleggio avverse alla repubblica Veneta. I due Casati Vecchio e Nuovo furono nel 1692 infeudati ai marchesi Casati che ne tennero il possesso, fino a che furono soppressi i feudi in Lombardia. Merita essere veduta la villa Greppi, molto ampia e deliziosa con istranieri e varieggiati [129] giardini, decenti case rusticane, ampie cantine, ampie tinaje, torchi di recente forma con vite d'ottone, lunghi cancelli ferrei, busti di uomini grandi, e quanto può contribuire ad attestare il buon gusto e la magnificenza del suo proprietario. Qui, in tempi di minor lustro per questa delizia, soleva villeggiare il poeta milanese Balestrieri vagheggiando tante bellezze

E peu el Gernet là in faccia, e peu in sostanza

I caseggià de tutta la Brianza.

Eguale amenità di posizione ha Besana divisa in due frazioni inferiore e superiore. Qui è la delizia Dragoni, e qui nel 1834 fu ampliata l'antica chiesa di Santa Catterina, venendo ridotta a tre navate, la maggiore delle quali ha la larghezza di circa braccia 14 sopra 66 di lunghezza totale. Fu un danno alle giuste proporzioni della chiesa che il valentissimo architetto Moraglia, il quale ne diede il disegno, abbia dovuto valersi della vecchia in quel tutto che potè. Nulladimeno anch'ivi appare la stessa perizia d'architettura che scorgi nell'attiguo oratorio dei Santi Luigi e Carlo, disegnato dallo stesso Moraglia.

Non si lascino innosservati i giardini di casa Prinetti, ove è uno studiato disordine di ajuole, di vigne, di boschetti, di praticelli, di frutteti, di spalliere, di tempietti, di case, di pescaje; come pure le belle case Delfinoni e Zappa la qual ultima fu disegnata dalla mano stessa che disegnò l'oratorio anzidetto. È notevole Besana pei suoi setificii.

La costa che da qui corre fino a Monte gode incantevoli punti di veduta; è ridente di tutte le bellezze [130] dell'agricoltura, e tra il verde dominante mostra la bella abitazione campestre Mazzola con giardino di recente costruzione, Montereggio di proprietà Carnaghi, la villa Toffetti non ancor terminata, e il vistoso casino Lurani posto al sommo della costa.

Così stanchi ma non sazj di un lungo passeggiare ci riduciamo a sera alle care amenità di Monticello, ove troveremo ingenua schiettezza, universale cortesia, aria piena di vita, continuata variazione di scene sempre amene e sempre belle.

CAPITOLO SESTO. DA MONTICELLO AD OGGIONO.

Barzanò. — Cremella. — Cassago. — Il Baciolago. — Veduggio. — Bulciago. — Nibionno. — Sibrone. — Masnaga. — Barzago. — Crippa. — Madonna d'Imbevera. — Perego. — Rovagnate. — Cereda. — Monticello. — Santa Maria Hoè. — Campanone di Brianza. — Castelli di Brianza e di Nava. — Teodolinda. — Melodie briantee. — Caraverio. — Dolzago. — Sirone. — Molteno. — Ello. — Oggiono. — Imberido. — Sala. — Annone. — Lago.

Siamo nel centro della Brianza, nei luoghi de' più variati ed ameni prospetti. La terra che ci sorge dinnanzi e ci ravviva il desiderio di giungervi quanto più le siamo d'appresso è Barzanò, villaggio che [131] vanta una storia abbastanza antica, per non far credere come veri certi antichissimi avvenimenti che una popolare credenza vorrebbe ammettere, ma da rifiutarsi in un tempo in cui la filosofia della storia fece sì luminosi progressi, e richiama tutto all'esame della critica. Talvolta uno storico dei giorni nostri può parere ignaro d'alcune notizie; ma il fatto è che anche sapendole, ha creduto bene di ometterle, come quelle che non reggendo alla prova, avrebbero infarcito il suo libro di opinioni grossolane e lo avrebbero messo in derisione presso coloro che nella storia non vedono solamente un ammasso di avvenimenti, ma un'opera di filosofia[20].

Viene a trovarsi Barzanò alle falde e in parte sul pendìo d'un insensibile poggio, che vede assai davvicino verso oriente l'altra vitifera collina di Sirtori, la quale a schiena di cammello si allunga e procede fino al maestoso Sangenesio. Un piano circolare tutto popolato di casali, variato di laghi e di ben coltivate campagne, di casolari, di palazzetti, di chiese, vedi aprirsi a settentrione. La vista poi rialzandosi dal fondo della valle corre a ponente per vette sublimi di monti fino alle ghiacciaje della Savoja. Nell'interno del paese i ruderi d'un antico castello, ruinato nel 1222 dal demagogo Ardigotto Marcellino a capo d'una banda di militi milanesi, [132] potranno rammentare i tempi del feudalismo, ma giaciono muti come il cadavere d'un eroe. Non sarebbe improbabile che avesse servito di sede ai conti Sigifredo, Ugo e prete Berengario padre e figli, signori di questa terra, che poi ribellatisi contro l'imperatore Enrico di Germania furono posti al bando dell'impero, e il loro feudo per concessione reale dato al vescovo di Como (1015).

Meglio conservato dei castello è l'attiguo battistero, oggi chiesa di San Salvatore, che alcuni vorrebbero avanzo del paganesimo ma che dalla configurazione appare opera de' primi tempi cristiani, sebbene non abbia che una sola nave con vôlta pesante, variata da una tazza e sostenuta da piloni variati. È evidente però che la parte anteriore è più recente della restante. Nel mezzo è la solita vasca battesimale, ottangolare, di marmi, colla circonferenza di sette braccia ed oncie tre, ed alta un braccio ed un terzo, girata di fuori da un gradino di sarizzo e nell'interno da due gradini di marmo a pezzetti bianco e rossi alternati. Sull'unica porta d'ingresso, molti rabeschi, che erano parte integrale delle prime chiese cattoliche, fregiano una rozza immagine della Vergine che appare di mezzo all'arco. La capra che spicca da questi ornamenti è uno dei fregi della simbolica architettura della prima cristianità e raffigura i peccatori, i quali nella chiesa trovavano un rifugio, un perdono. Il culto del paganesimo in questa terra è attestato da tre cippi ora collocati in questa medesima chiesa. Una, scoperta nel 1821 dall'egregio signor consigliere Celestino Mantovani uomo versatissimo negli studj della storia, e votiva [133] a Giove e Summano dio de' fulmini, dice, secondo i supplementi del chiarissimo archeologico dottor Giovanni Labus, Votum Solvit Libens Merito JOVI AL-TO (vel ALTITOnanti) et SUMM-ANO FELICI-ANUS PRI-MIUS CU-M-SUIS Locus. Datus. Decreto. Decurionum. Altre due ricordano un Novelliano Pandaro, quasi inintelligibili ma anch'esse secondo lo stesso antiquario dovrebbero dire:

I.ª

Jovi Optimo Maximo Novellianus Pandarus ex voto pro se et suis omnibus aram deo donum posuit.

II.ª

Novellanus Pandarus Jovi optimo maximo votum soluto libenter merito pro se rem domum fecit quum diis deabus omnibus dono dedit.

Ma usciamo dall'antico, e vediamo attiguo al battistero la casa S. Pellegrini, altra delle villeggiature di Balestrieri, ed ora proprietà del già nominato signor consigliere Mantovani, che intende ridurla fra poco a forma migliore. Saliamo quindi alla chiesa parrocchiale di recente costruzione che non manca di merito; ha tre navate corinzie; è disegno del professore Magistrelli; con chiaroscuri de' fratelli Palazzi di Milano.

Magnificenza ed eleganza abbellirono la villa Pirovano, una delle migliori della Brianza, che occupa un ricinto di più che cento pertiche di terra, con casino a sala svizzera, sala da bigliardo benissimo addobbata e superiormente sala chinese che ritrae vivamente le foggie di quella nazione. Risponde a questo un appartamento rusticale a modo di castello elvetico a cui danno maggior verità i merli dei ricinto. [134] Qui fiori e frutti destinati dalla natura ad altri climi, sotto altri cieli; qui lago, qui isoletta, e monumenti d'affezione, qui boschi di platani e di pini, e fonti di limpid'acque, e tortuosi viali, e tempietto, e grotte, e capanne rustiche al di fuora, al di dentro abbellite da gabinetti, e torre rotonda con ricca armeria, e cippi sepolcrali, e di là poco discosta feconda ragnaja (roccol). Spiace però il vedere apposte a tanti bellissimi luoghi un ribocco d'iscrizioni poco lodevoli per senso e per lingua. Siane di prova questa sì male espressa

Mal sì non s'alloggia

Che non sia peggio star fuori alla pioggia

collocata sull'ingresso d'una capanna. E quell'altra apposta al monumento che ricorda un'amante perduta con parole fredde, inarmoniche:

Egual candor giammai di qua non fucci

Lo stesso si dica di quelle all'ingresso della torre, che sfigurano assai più trovandosi in compagnia d'alcune piene di verità e di sentimento, come sarebbe la seguente:

Qu'heureux est le mortel qui du mond ignoré

Vit content de soi meme en un coin retiré.

E ripetiamo pure questa sentenza e riteniamola per moralissima, fino a quando il nostro ritiro dal mondo non sia prodotto da misantropia, da alterigia, da infingardaggine.

I Barnabiti possiedono qui una delizia autunnale e [135] nella loro chiesa recente sono da vedersi i due angioli dello scultore Monti.

Uscendo da Barzanò, dalla parte d'occidente, si arriva ad un trivio d'onde, prendendo la strada più ascendente, costrutta nel 1826, si sale a Cremella, ove i Kramer possiedono un giardino all'inglese, e nel già convento delle monache, fondato dalla regina Teodolinda, hanno una fabbrica di cotone.

Di là si progredisce a Cassago, che molti pretendono sia il Cassiciaco, dove si ritirò Sant'Agostino presso Verecondo gramatico, mentre si preparava al battesimo. Qui merita essere veduto il vasto palazzo Pirovano-Visconti, e la chiesa decorata dei recenti freschi di Carlo Ronchi. Oh se io fossi, senza danno d'alcuno, possessore del Baciolago! sclamai la prima volta che mi venne veduta questa deliziosissima collina poco discosta da Cassago, coi suoi viali a chiocciuola, colla sua vista portentosa, con quel tutto insieme che la rende sì ricercata e vagheggiata. Oh fosse perenne la vita! dove goderla più felice? Se non che il poco discosto monumento sepolcrale Visconti che si sta erigendo dall'architetto Clerichetti, ricorda che passano come un lampo i giorni dell'uomo tra i cenci e la porpora, tra le delizie e le miserie.

Come il Baciolago arresta lo sguardo colle bellezze della sua posizione, così la chiesa del vicino Veduggio colla sua grandiosità chiama a sè gli sguardi di chi mira dalle circostanti collinette e pianure. Sorse nel secolo decimosettimo per le pietose largizioni d'un frate Domenico Cruceolano, del quale conservasi nella segrestia il ritratto sotto cui si legge la seguente iscrizione:

[136]

R. D. JO. DOMENICUS CRUCEOLANUS VULGO DE CUZZOLANT, FILIUS DOMINI JOANNIS BAPTISTÆ ECCLESIASTICÆ DISCIPLINÆ GENERALIS PREFECTUS AC MONIALIUM, SANCTÆ REDEGUNDÆ, SANCTI AUGUSTINI, P. LUDUVICÆ, PHILIPPI NERII, AC ALIORUM PROTECTOR, TEMPLI HUJUS, POPULIQUE EXIMIUS PERPETUUSQUE BENEFACTOR ÆTATIS ANNORUM 78 OBIIT 29 MAII 1684[21].

Questo edificio ha quattro tribune nel piano superiore, che comunicano colla chiesa, mediante scala di vivo comodissima, e visibile stando in chiesa; quattro stanze al piano inferiore che mettono tutte nella chiesa per mezzo delle cappelle, così che i sacerdoti senza essere veduti ponno passare dalla sagrestia ad ognuna di esse. Il buon organo di Luigi Marone di Varese nella cantoria disegnata dal Moraglia accresce il suo decoro. Un difetto ravvisato a prima vista in questa chiesa è l'angustia del coro, a cui fanno ala due spaziose sagrestie adorne di pregiati quadri. Alla maestosa facciata di pietre lavorate corrisponde assai bene il sacrario, fatto con buon ordine, e due gradinate assai alte di sarizzo, ciascuna delle quali fiancheggiata di piedistalli che sarebbero stati abbelliti di statue, quando la morte del Cruceolano non avesse lasciata l'opera incompiuta. A [137] questo motivo dobbiamo pure attribuire l'essere rimaste vuote le quattro nicchie sulla facciata. La torre di vivo, d'ordine corinzio, colla cupola di rame ed alta più di settanta braccia, a cui si ascende per centoventi comodi gradini, è uno de' punti preferibili per godere la veduta della Brianza. Peccato che le sue campane non corrispondano a tutto il rimanente! Il cadavere dell'ottimo frate, a cui è dovuto anche questo campanile, fu sepolto in questa medesima chiesa, sotto l'altare della Madonna, come era sua intenzione. La vicina e vasta casa parrocchiale con bel giardino adorno di cipressi, fu da meschinissima che era, ingrandita e resa più comoda dall'attuale parroco D. Nazzaro Perego.

Queste case de' curati sono pure i tranquilli soggiorni! lussi moderati, discreta pulitezza, pace ignota a chi si avvezza tra i frastuoni del gran mondo. Sotto questi tetti la rondine fa sicura il suo nido; i piccioni calano dalla colombaja a bezzicare i grani nella corte; il poverello viene colla certezza di non partire a mani vuote; la povera vedovella vi trova consigli e conforti più che di parole; gli sposi vi entrano con lieta baldanza, e proferiscono in privato quella promessa che sarà poi santificata all'altare. Da queste placide case esce sulla sera un uomo di soave aspetto con una campestre e decente libertà, col breviario sotto le ascelle, attraversa il villaggio, riverito da tutti, ora s'arresta ad accarezzare uno stuolo di ragazzetti che al suo venire sospendono i giuochi e corrono a deporgli un bacio sulla mano, ora si sofferma per un applauso, ora per un rimprovero, finchè entrato nella via dei campi, guarda [138] il colore rubicondo del sole che tramonta, apre il suo libro, e recita i salmi. Scena affettuosa che mi si offerse in più luoghi della mia Brianza!

Oh bel teatro verdeggiante e vago

Di ville e piante e d'aurea luce ed ombra

Sparso così che sembra opra di mago!

Questi versi di Pindemonte si acconciano assai bene al delizioso Bulciago, coi suoi bei giardinetti, col suo ampio palazzo Taverna, coi suoi vitiferi ronchi, coi piccoli ma bei casinetti Sangalli e Rusca, coll'attiguo Samarino, ove è operosa fornace di argilla.

Di qui proseguendo per vie tortuose giungerai a Nibionno, poi a Sibrone a quindi a Masnaga, infine alla Costa ove ti arresterà la vasta piazza declinante, fregiata di cappelle, colla chiesa dell'Assunta, amplificata e ridotta, secondo il disegno del più volte citato Moraglia, a vaga forma, a tre navate, laddove prima non ne aveva che una.

Per una strada solitaria e sepolta fra i boschi, tornando verso oriente giungesi a Barzago, paesello distinto per la sua alta torre, poco discosto della via grossa che da Monza guida a Lecco, dalla quale noi siamo usciti a Barzanò. In questa terra si distinsero nel secolo XV. gli Isacchi favoreggiando Francesco Sforza; due secoli dopo (1647) essa divenne feudo della famiglia Brebbia, che possedeva pure il vicino Crippa, ove è a vedersi tuttora quasi intatto un robusto castelletto feudale. Riprendiamo ancora, dopo il giro che abbiamo fatto, la strada maggiore al luogo di Bevera, [139] presso cui è il santuario della Madonna, meraviglioso convegno, agli 8 di settembre, di contadini, di negozianti, di possidenti, di ricchi, di plebei, di nobili; la più celebre delle nostre sagre, e sicuramente del Comasco e del Milanese, a descrivere la quale basta appena il buon numero di pagine, animate ed eloquenti, onde si chiude il divulgato racconto che porta appunto il titolo di Madonna d'Imbevera.

Qui la Brianza presenta un bacino, che dal paesello principale porta il titolo di Valle di Rovagnate. È chiuso a mezzodì dall'altura, su cui stanno Barzago, Brongio e Perego, luogo d'antica fortificazione presso il quale è posto Rovagnate paese mercantile colla chiesa rialzata sopra una collina, e cinto dalle terricciuole di Cereda e Monticello. Da oriente la valle prosiegue fino alle falde del Sangenesio e termina a Beverate; a settentrione è chiusa dai monti di Galliano su cui stendesi la striscia di case chiamate Santa Maria Hoè, dove si tiene settimanale mercato sulla piazza d'un convento di Serviti soppresso, attiguo al quale sorge una bella chiesa d'ordine corinzio. Quel mercato umile in tutto il resto dell'anno assume l'aspetto della più alta importanza nel mercoledì della settimana, in cui presso a poco comincia il riccolto dei bozzoli, convenendovi i proprietarj nostri e forestieri, i filatori, i curiosi per istabilirvi il prezzo di sì vistosa produzione dei nostri paesi.

A questo monte succede il così detto Monte di Brianza, che piegando poi alquanto ad occidente chiude da questa parte la valle di Rovagnate. È volgare opinione che questo bacino fosse un lago e che venisse poi rasciugato da quella regina Teodolinda, [140] mito storico, alla quale si riferisce tutto ciò di cui non si sa rendere altrimenti una ragione. La qual regina, sempre secondo la popolare credenza, aveva sul monte di Brianza un suo palazzo, posto dove sorge il famoso campanone destinato a chiamare i popoli briantei nei loro comizii. Ivi difatti rimangono ancora ruderi di castello ed un cascinotto chiamato Porta Vedra, forse porta vetus. Chi va più innanzi colle opinioni crede che vi sorgesse una città distrutta da Barbarossa, ma non v'è storico nè contemporaneo nè posteriore che comprovi questa vulgare credenza. Nel castello di Nava posto su questo medesimo colle si vedono ancora alcuni freschi raffiguranti una caccia di caprioli e cinghiali, molto somiglianti a quelli di San Giovanni di Monza, onde si vuole che ricordino la memoria della celebre regina. Ricchezza di questa valle è una quantità di pudinga, diversa dalla comune per cui è dagli abitanti chiamata moléra e se ne fanno mole di macina, principalmente alle Cassinette bianche; a Nava, a Giovenzana, a Calliano. Ma per essere in luogo molto disagiato le mole ben di rado giungono intatte al piede del monte, per quanto siano, a riguardo della loro durezza, preferibili a quelle di tutta la Brianza. I valligiani di Rovagnate hanno bellissime canzoni popolari, nascoste sotto la corteccia di ruvide espressioni. Il signor professore Samuele Biava ricercando i vestigi delle più poetiche tradizioni popolari pei monti di Lombardia, vi ritrovò come R. Burns per quei di Scozia, e V. Bellini per quei di Sicilia, alcune arie canore, che fanno testimonianza dell'indole morale dei volghi, come i frutti dell'indole [141] fisica dei paesi da essi abitati; e di quelle voci che sono i suoi ritmi come echi, che più lontane, più intelligibili a tutti espanderanno le parole. Noi però staremo paghi a quelle della sua valle materna, di cui ne intese alcune e le ridusse in forme poetiche. E giacchè me ne volle far dono io le do a' miei lettori per compensarli della noja che vien loro da interminabili descrizioni.

EPISTOLETTE RUSTICALI

o

MELODIE ITALICHE
DELLA VALLE DI ROVAGNATE

MESSE IN LUCE
DA
SAMUELE BIAVA.

I.ª

IL PENSIERO MISTERIOSO.

Se così su su fra i nugoli

Ti sollevi, o pensier mio,

E frenar non sai quell'impeto,

Che trascorre col desio,

Tu sarai di te la vittima,

E per prova il so ben io!

O pensier, affè, dirò,

Se tu vivi, io morirò!

Deh, non va così fantastico

Oltre i termini segnati,

Dietro beni dai frenetici

Sempre indarno ricercati!

[142]

Deh, non va seguendo i reprobi,

Dove avrai molesti fati!

O pensier, affè, dirò,

Se tu vivi, io morirò!

Sta nell'ansia de' tuoi palpiti

Una trista ricordanza,

Come ai sibili del turbine

Sta fra l'onde la speranza!

Contro i guai, che ti minacciano

Col pentirti avrai possanza!

O pensier, affè, dirò,

Se tu vivi, io morirò!

Non ti affanna di raggiungere

Sulla strada più romita

Un intento inaccessibile

Al destino della vita!

Qual selvaggio, qual ignobile

Ogni meta avrai smarrita!

O pensier, affè, dirò,

Se tu vivi, io morirò!

II.ª

L'IMMAGINE DEL PRIMO AMORE.

Su pel monte snella snella

Nell'ascender pastorella

Mi lasciò:

Dove mai senz'essa andrò?

Io m'inerpico affannoso

Per sentiero mal sicuro,

Mentre il passo frettoloso

Ella volge all'abituro.

E la incognita bellezza

Nel fuggir da quell'ertezza

Mi turbò:

Dove mai senz'essa andrò?

[143]

Colla voce schernitrice

Il suo cor, che non è pio,

Odo lunge, che mi dice,

O pastor, ten sta con Dio!

E quest'anima negletta,

Prigioniera sulla vetta

Si fermò:

Dove mai senz'essa andrò?

III.ª

LA MATTINATA.

Or che l'alba rinnovella

Della vita l'esultanza,

La tua gaia fenestrella

Apri all'aura di fragranza,

Nunziatrice, o verginella,

Della vigile speranza,

Che ti manda in un saluto

Di quest'anima il tributo!

Di rugiade inebbriati

Son gli aromati del fior,

E di lagrime innaffiati

I sorrisi dell'amor!

Viene il limpido momento

Al tuo placido soggiorno,

E con l'ilare concento

Dell'augel ti reca il giorno,

Quel sospiro del contento

Suscitando intorno intorno,

Che ti manda in un saluto

Di quest'anima il tributo!

Di rugiade inebbriati

Son gli aromati del fior,

E di lagrime innaffiati,

I sorrisi dell'amor!

[144]

IV.ª

UNA ROSA.

Vedi rosa, che si rende

In un giorno inaridita,

Da quell'alba, in cui la vita

Tra gli aromi, tra la porpora

Esultando dispiegò!

E pur gajo si distende

Sulla sera l'orizzonte

Oltre il vertice del monte,

Su cui candida con Espero

Già la luna s'affacciò!

Ecco un nugolo, si accende,

Guizza il fulmine, rintrona,

Sparpagliata la corona,

È dal nembo, che già rorida,

Sotto il sole sfavillò!

Tal con lugubri vicende

È dell'anima il destino:

Ebbe il limpido mattino

Del sorriso, e nelle tenebre

Col sospiro trapassò.

V.ª

UNA FOGLIA DI ROSA.

Vedi foglia, che del vento

Via con l'impeto cammina,

Col torrente pellegrina

Corre, sperdesi su margine

Di un inospite squallor.

Così mesto un sentimento

Va con essa fra le prove,

Della vita, non sa dove...

Ma là dove sarà polvere

Anche il serto dell'allor.

[145]

Proseguendo per una ripida discesa cali alla Mojacchina ove la gora di Bevera s'allarga a guisa di laghetto, anima filatoj e mulini, e prosegue il suo corso per gettarsi poi nel Lambro. Ed eccoci a Caraverio, abbellito dalla villa Aureggi, presentemente Nava, amena di vitiferi ronchi. In essa Vincenzo Monti soleva godere l'ospitalità del cortese Luigi Aureggi pel quale nel suo giorno natalizio detava un voto poetico in questa medesima villa. Due altri augurj d'eguale natura facea per Teresa moglie di esso poeta, uno dei quali comincia:

Non avea le porte ancora

Ben dischiuso al dì l'Aurora,

E nel cielo ancor splendea

L'alma stella Dïonea,

Quando io sazio di riposo

Di mia cuccia uscia, bramoso

Di mirar sull'ardue cime

Di Brianza il sol sublime

Sollevarsi e de' colori,

Che la notte avea rapiti

Rivestendo l'erbe e i fiori,

Ridestar co' dardi igniti

Nelle cose la sopita

Allegrezza della vita.

E termina

E già chiaro il sol vincea

Di Brianza l'emisferio,

E di schietti raggi empiea

Il vallon di Caraverio.

Lieto alzando a lui la fronte:

Salve, dissi, eterno fonte

Della luce come pura

Tu la vibri alla Natura! ec.

[146]

Vidi più d'una volta il venerabile vecchio seduto fuori di questa villa intendere il mancante acume degli occhi ad osservare le bellezze della natura e il tumulto di chi andava, l'otto di settembre, alla Madonna d'Imbevera. Io, a quei tempi, fanciullo non scorgeva in lui che un povero sgraziato; ignorava quale favilla d'ingegno animasse quelle membra logorate.

Le molte pudrighe di Caraverio sono miste a piriti assai brillanti.

Dolzago che gli sta appresso è tagliato dal torrentaccio che cala dai monti di Nava e che dà moto ad alcuni filatoj d'Ello, Cogoredo e Dolzago. Lasci a manca Sirone posto in un fondo uliginoso, ricco di torba, della quale si potrebbe trar un utile e alla combustione ed al concime, poichè ognun sa quanto la cenere di essa giovi ad impinguare i terreni. Qui sono le più ricche cave di pudinga di compattissima grana, onde si fanno moltissime mole da mulino; a ponente di Sirone è Molteno colla chiesa posta sur una vetta piramidale. A Dolzago è benemerito il nome del conte Annoni che mise a coltura molti boschi e che possiede un casamento colonico dipinto a guisa di palazzo, e un vasto filatojo al casale di Zero. Ad Ello poi, terra di molti setificj, ha la sua delizia campestre con bel giardino; a cui farà bella compagnia fra poco la casa Prinetti che si sta rinovando.

Uscendo da Ello, superata la chiesetta di San Giacomo ove sono mummie intere, vedi alzarsi a destra la villa Paolina, fabbricata dal generale Pino ed ora di proprietà del conte Giuseppe Greppi. [147] Sorge essa sul vertice del colle a cui si ascende per un comodo viale, e racchiude nel suo ricinto fecondissimi ronchi e giardini; ha davanti un terrazzo, all'ingresso cancelli di ferro, a fianco alcune case rustiche di aggradevole effetto; nell'interno un regolare scompartimento di sale, di stanze e di tutti i comodi che rallegrano la vita campestre; un viale di piante verdeggianti guida al monumento eretto al general Pino, donde prosegue fino sulla strada di Bartesago, che da Ello conduce a Galbiate.

Da Dolzago, divergendo a sinistra, passata la Bergamina e il Ceppo del Corno riesci ad Oggiono posto a mezzodì d'un laghetto. Ha questo borgo grossa popolazione, è ricco di setificj dei quali molti si rialzano sulla collina a levante del lago. La chiesa presenta nell'interno una croce latina di buon disegno, ha belle cappelle, un pregiato San Giuseppe di Appiani, lavoro giovanile, dove il Padre putativo appare, credo per la prima volta, in sembianze più auguste che non usassero gli antichi, i quali dipingevano in lui un vecchio logoro, estenuato e macilento. Un nuovo altare, disegnato elegantemente dall'ingegnere Bovara, è ornato di due angioli in marmo dell'illustre scultore Marchesi, pieni di grazia e di greca perfezione. La sagrestia ottangolare era uno degli antichi nostri battisteri, in appresso senza autorizzazione superiore convertita all'uso presente; vi ravvisi tuttora le solite scale che guidavano al verrone destinato ad accogliere i concorrenti. Finestre lunghe e strettissime furono rinchiuse, ed aperto in loro vece un barocco finestrone.

[148]

Vuoi godere anche qui un buon punto di vista? ascendi al Belvedere, piazzuolo posto di sopravvia alla chiesa donde vedrai il variatissimo prospetto della Valmadrera, della costa di Civate, del territorio di Lecco, della collina di Galbiate.

La strada qui si partisce in due rami separati dall'interposto laghetto; il ramo orientale lasciando a manca Imberido va fino a Sala, gruppo di case al piede occidentale del Montebaro, da cui poco dista la chiesa di San Simone, luogo d'annua fiera ai 28 d'ottobre; il ramo occidentale conduce ad Annone collocato ad oriente d'una catena di collinette, e sur una lingua di terra, che si avanza molto nel lago. Questa divide il bacino in due parti la più grande delle quali, di figura quasi ovale, riceve il nome di lago d'Oggiono, l'altra, più picciola e di configurazione piuttosto triangolare, reca il nome di lago d'Annone. Un'altra penisola si protrae nella riva settentrionale del bacino ed è volgarmente chiamata d'Isella, ridente di vigneti, di biade, di gelsi, popolata di contadini e pescatori. Nella casa Carpani esistono alcuni pregiatissimi quadri di Cesare da Sesto a figure isolale, fra cui primeggiano il Padre Eterno ed una Madonna. Benissimo si raffrontano con questi due teste bellissime, una della Vergine di grandezza naturale, l'altra di Cristo ed ambedue lavori del Sasso Ferrato.

Di qui assecondando il lago si riesce a Suello, dal quale piegando ad oriente viensi a Civate, che riesce sulla strada provinciale che da Lecco mena a Como.

[149]

CAPITOLO SETTIMO. DA LECCO AD ERBA.

Malgrate. — Valmadrera. — Sala. — Civate. — Suello. — Squadra dei Mauri. — Cesana. — Pusiano. — La sera sul lago. — Bosisio. — Garbagnate Rota. — Rogeno. — Calvenzana. — Maggiolino. — Brenno. — Camisasca. — Mojana. — Pontenuovo. — Nobile. — Monguzzo. — Villincino. — Incino. — Erba. — Mevate. — Crevenna. — San Salvatore. — Il Buco del Piombo. — Buccinigo. — Pomerio. — Paravicino. — Tassera. — Parzano. — Casiglio. — Carcano. — Alserio. — Anzano. — Fabbrica. — Villa Albese. — Albese. — Montorfano.

Vogliono che Grato avesse nome la terra che di fronte risponde a chi guarda dal ponte di Lecco verso nord-ovest, e che per una carnificina fattavisi di Comaschi nel 1126 ricevesse il nome attuale di Malgrate, paesello di vago aspetto dove Francesco Reina, illustre biografo, trasse i natali e dove Parini e Balestrieri nella casa ospitale di Candido Agudio composero il primo gran parte del Giorno, l'altro quasi tutta la traduzione del Tasso.

Per una salita ripida e disagiata finchè taglia il paese di Malgrate, poi più comoda, spaziosa e meno acclive, riesci a Valmadrera, grossa unione di case al piede di biancheggiante scogliera di granito, in un'angusta [150] valletta che disgiunge il Montebaro dai monti della Vallassina. I molti setificj, e specialmente quei de' Gavazzi, danno una singolare attività a questo paese; la chiesa maggiore d'ordine corinzio, ridotta ora al suo termine, fu disegnata dall'ingegnere Bovara nel 1814 sopra alcuni vecchi fondamenti approfittando di essi in quel tanto, che bastasse a non dare in qualche sconcio. L'interno presenta una croce greca, contenuta in un quadro di quaranta braccia di larghezza, e racchiudente un quadrato secondario di braccia ventisei, segnato da quattro colonne isolate di granito, ciascuna col diametro di 5 piedi parigini (trenta once) e colla altezza di 45 (braccia 22½). Alla croce principale fanno di lato il vestibolo ed il presbitero più sfondati che le due cappelle laterali. Le quattro colonne isolate sostengono sopra al cornicione la volta, che apparirà in tutta la sua magnificenza, quando saranno sgombrati i ponti, su cui sta ora lavorando a fresco l'immaginoso pennello del cavalier professore Giuseppe Sabatelli. Tutta la chiesa è lavoro universalmente lodato e questo è il secondo monumento che l'egregio architetto pose in vicinanza della sua patria, per non lasciar morire il suo nome[22]. E poichè abbiamo già nominate le quattro colonne che reggono la vôlta a callotta, aggiungeremo che sono d'un granito trovato sul monte di Valmadrera; e che erano già un masso, giacente sur uno strato di terra calcarea all'elevatezza di 1200 piedi al di sopra del pelo del lago di [151] Como, che corrisponde a 1854 sul pelo del mare. Avea la forma parallelipede, della lunghezza di 21 braccia milanesi, della larghezza di 12, della grossezza di 20, e bastò per le quattro colonne interne, per altrettante esterne e per varj altri lavori dell'edificio. Di qui poco discoste sono le due cappelle, ove il valentissimo Vitale Sala di Cernusco Lombardone istoriò due fatti della passione di Cristo. Poco dopo il giovane pittore colto da vajuolo moriva, varcato appena il sesto lustro!

La gola della Valmadrera pare fosse anticamente un canale fra il lago di Lecco e l'Eupili o lago di Pusiano. Altri vogliono che fosse l'emissario del lago di Lecco, prima che l'Adda si aprisse una via più comoda e diretta.

Lasciando a sinistra Sala ed il laghetto d'Oggiono arrivi a Civate, posto al piede del Monte di San Pietro, felice d'un largo prospetto. È una delle terre, ove la storia ha più vicende da raccontare, e più segreti da investigare. V'ha di quelli che pretendono fosse una piccola città e ne traggono argomento da alcune sue vicinanze come sarebbero, a dirne qualcuna, Borneu (borgonovo), Borgnos (borgonoce), l'attigua Selva di Diana e le due case Castello o Castelnovo. Le reliquie più rispettabili che ora vi rimangono sono il tempio di San Pietro e il convento unitovi, oggi ridotto a deliziosa villa. Si vogliono eretti da Desiderio, ultimo de' re Longobardi, per depositarvi, come vuole l'opinione più accreditata, le due figlie Ansberga ed Ermengarda, moglie ripudiata da Carlo Magno, che poi invece presero il velo nel monastero di Brescia (757). La [152] chiesa resta tuttora e gli amatori dell'antichità non devono trascurare di ascendere i ventisette gradini che dal piano salgono al tempietto. Chi non la vede si figuri una chiesetta con pronao sulla fronte, coperto d'una tettoja che protegge la sola porta d'ingresso; entro questa un corridojo, lungo intorno a 6 braccia e 1/2, col cielo a vôlta, e i muri laterali adorni di ippogriffi a coda tripartita, in bassorilievo, con in fondo due colonne a spira alte, tutto compreso, quanto è lungo il corridojo. Nell'interno un edificio quadrilungo; nella parete che risponde alla porta d'ingresso un altare senza gradini col palio verso il coro e coperto da un ombrello che mostra sulla parte esterna bassorilievi rappresentanti il Redentore fra i due apostoli Pietro e Paolo; Gesù crocifisso, Gesù fra due angioli e la Risurrezione. Esso palio è sostenuto da quattro colonne di pietra nei cui capitelli scorgi gli animali simbolici degli Evangelisti. La confessione o scurolo, parte indispensabile delle antiche chiese, non potendosi scavare, per la natura del monte, sotto la tribuna, fu collocata sotto la porta anteriore della chiesa, alla quale mettono 25 gradini chiusi nella parete a destra di chi entra. «La cripta ha una forma quasi ottangolare, è lunga braccia 13, once 9, larga braccia 13-1-2 milanesi; ne sostengono le vôlte sei colonne senza base, alte braccia 3½, con un capitello di arenaria o stucco a stile degenerato dal corinzio; vi danno luce alcune finestre strette e lunghe, le quali hanno a fregio un cordone di stucco. La mensa dell'altare va fregiata di alcuni bassorilievi assai rozzi, e vedonsi verso la vôlta dello scurolo, e altrove effigiature [153] che sentono del simbolico col monogramma di Cristo ed altri simili, tutti però di cemento.

«L'interno della chiesa non tiene altri ornamenti, non è coperta di fornici o vôlte, ma termina col tetto. Nuda del pari è la parte esterna, a meno di alcuni archetti semplicissimi che assecondano gli ultimi lembi della ortografia esterna, di alcuni simili che ornano la parte più eminente dell'abside, e di qualche finestra stretta e lunga ed arcuata aperta in questa ultima.

«Pel fin qui detto questa chiesa presenta, quantunque nella sua nudità, i caratteri della architettura simbolica, e accenna come questa sapesse ad un tempo associarsi e al grandioso delle basiliche delle popolose città, e a quelle che sorgevano fra le alpestre solitudini dei monti». Sacchi.

A lato di questo antico tempio si sprofonda la Valle di San Benedetto, irrigata da viva sorgente, attigua alla quale è la Valle dell'Oro (probabilmente dell'alloro, pianta colà comune). L'acqua ivi raccolta fa uno sbalzo chiamato l'Orrido della valle dell'Oro.

Limpida trascorrendo romoreggia

L'acqua pei greppi in rapido viaggio,

E sbalza in mille spruzzi ove lampeggia

A più color del sol rifranto il raggio.

E dopo aver fatto aggirare mulini, frantoi e setificj va a metter foce nel laghetto d'Annone. Pittori paesisti, cacciatori e botanici non trascurate questa valletta.

Tra Suello e Civate, al sito chiamato Cariolo, si trova un deposito di tufo calcario, generato forse [154] da qualche antica distillazione d'acqua, pieno di cavità irregolari, che contengono piccole masse di carbonato calcario, che raffigura sottili strati paralleli, ed ondulanti. Questo tratto di paese è anche oggi, ma fu più assai nei tempi addietro, chiamato Squadra dei Mauri, forse, come sostengono taluni, dall'esservisi stabilita una colonia di Mori in tempo delle invasioni. Uno de' paesi di questa squadra è Cesana, più comunemente denominata San Fermo, lunga striscia di case stesa sul pendìo meridionale dei monti della Vallassina. Presenta questa terra d'ogni parte vestigia d'antica militare posizione, di una più vasta abitazione e d'una popolazione maggiore della presente. Al Castello, luogo laterale al paese, trovansi ancora avanzi di vecchie mura, d'acquidotti comunicanti col monte che s'eleva a tergo. La Torre, altro luogo eminente, presenta esso pure reliquie di vetusta abitazione. La parte inferiore e sottoposta al paese, oggi tutta ridente di vigneti e di bella coltura, in occasione d'alcuni scavi pose in luce ruderi di case diroccate e condotti di acque costrutti con molta maestria. Tutto pare che si combini ad attestare la conghiettura che Cesana fosse già terra importante.

Ed ecco il lago ovale che tanto dava nel genio al mio Parini; ed ecco farcisi da vicino Pusiano, piccolo, ma elegante paesello, steso sulla riva settentrionale del laghetto che riceve il suo nome, ed è de' più vivaci che si incontrino in questa via. Il principe Beauharnais avea destinato per suo luogo di delizie il grandioso palazzo ivi costruito sulla metà dello scorso secolo, ove ora con attività lavora la [155] filanda dei Conti di Cesana. Si veda la chiesa, si navighi all'isoletta dei Cipressi (è di 24 pertiche) abbellita di alberi piantati verso il 1770 dai proprietarj marchesi Molo; si sieda sul mezzodì a bordo del lago, quando le leggiadre filatrici, sospeso il lavoro, sotto le piante che danno tanta poetica bellezza a quelle acque, siedono a ristorarsi dalle fatiche del mattino, intuonando talvolta festose canzoni.

Perdoni il lettore se alla veduta di questo lago mi ritornano alla mente le idee incancellabili d'un'ora d'esultanza; mi perdoni, come condonerebbe ad una sposa, che si soffermi con compiacenza a mirare la casa de' suoi genitori a cui ha unite tante care memorie.

Fu pur bella e di eterna ricordanza quella sera di maggio, che al chiaror della luna salimmo una leggera navicella soli io, e tu, cara sposa, due esseri che la natura creò per amarsi, e la costanza ed il cielo congiunsero felicemente! Respirava l'alito vespertino, che discende ad increspare l'argentea superficie del lago, e i raggi della luna rifrangendosi nelle onde raffiguravano le immagini più vaghe e più graziose. Amabile sposa! erano pochi mesi che io ti chiamava con questo nome, ricco di tanti affetti, ma già erano assai per farmi conoscere il tuo bel cuore, indovinare i tuoi sensi e partecipare alle impressioni, che ricevevi da quella universale quiete. L'iride della speranza coloriva la tua fronte, non corrugata da alcun turbamento, e su cui era trasfusa la tranquillità della coscienza.

Io spingeva remigando la navicella, sulla cui prora tu sedevi, mirando fissamente il sereno orizzonte, ingemmato [156] di innumerevoli stelle, quali vaganti, quali ferme, quali brillantissime, quali sanguigne. Morivano intanto all'intorno i suoni dell'avemaria, che ricordano i cari estinti, e richiamano al pensiero del pellegrino il focolare, a cui sedea fanciulletto, e il mesto addio proferito agli amici ed ai congiunti. Si era tutto riposto nella più dolce tranquillità non rotta che da qualche monotono suono di zampogna, o dalla tenera cantilena con che le madri chiamano il sonno sulle pupille dei loro lattanti.

Spenti tutti i fuochi, in quell'universale oscurità non lucicava che un lontano chiarore, somigliante al faro che l'antica Ero allumava di notte all'aspettato Leandro. Tu fissavi lo sguardo avidamente a quel lume, come assorta in un pensiero profondo, nè parlavi, nè ti commovevi. Io intanto, ritirati i remi dalle onde e lasciato il battello in balia del leggero venticello, m'assisi in silenzio non osando turbare il tuo incanto, e dissi fra me — Quante volte io la vidi assopita in tale estasi nei giorni della fidanza dopo che strette le mie nelle sue mani avevamo parlato con timore e con isperanza di quell'ora, che avremmo deposto il solenne giuramento davanti al sacerdote. Fu lungo il novero dei giorni che passarono di mezzo, ma volarono rapidissimi; e il solenne giuramento fu proferito, e fummo sposi che solo la morte potrà separare! Oh coloro che trascorrono sugli svariati campi dell'amore, in traccia di fiori che appena colti appassiscono, non lasciando che durissime spine, quante delizie ritroverebbero nel seno d'una tenera consorte, nella sicurezza della coscienza, nella tranquillità della vita! Potessero conoscere [157] la pace, che rallegra il tetto d'un concorde consorzio e si abbellirebbero per essi le cure che fanno grave e terribile il governo d'una famiglia. Chi non ha bisogno d'un cuore che risponda ai moti del suo cuore? d'una mano che pietosa gli terga i sudori della fronte? d'un bacio che tranquilli la tempesta de' suoi pensieri? d'un orecchio, ove senza sospetto deponga il segreto dell'anima? d'un amico, che gli sia compagno nel cammino della vita? Ecco gli augusti uffici a cui sei riserbata o tenera sposa! Quest'ultime parole proferite col tuono vivace della gioja valsero a risvegliarti del tuo leggero sopore e amorosamente volgendoti a me, dicevi: «Oh quel chiarore solitario quanti affetti m'infonde! Oh mi favella con un linguaggio pieno di poesia e di idee! Il mio cuore abbonda di sentimenti di cui la canzone sola può qualche parte palesare»!

Mi sembra ancora vedere comporti allora a quel più di tenerezza che io non vidi giammai, e farti a me più vicino.... La navicella agitata lieve lieve dondulò e fece increspare l'onde ingemmate dalla luna. Mi movesti un sorriso innocente come per cercare sul mio volto il consenso, indi con armoniosa voce intuonasti quella canzone:

IL LUME DI NOTTE.

Quand'io nei dì più teneri

Vagava all'aer nero,

Scorgea fantasmi e lemuri

Coll'infantil pensiero,

Se i rai vedea di fiaccola

Entro il notturno orror.

[158]

Credea che fosse l'anima

D'un genitor tornata

A consolar le lagrime

Della famiglia amata,

Od un vampiro, o tacito

Fantasma di terror.

Oggi, allorchè di fiaccola

Scorgo il lontan chiarore,

Dell'ore quete rompere

Il taciturno orrore;

Pasco ben d'altre immagini

Il giovanil pensier.

Dico — risplendi o pallida

Face sul capo algente,

Sulla pupilla tremula

D'un genitor morente,

O sulla faccia livida

D'un egro prigionier?

O tu rischiari l'umile

Chiesa d'angusta villa,

Ove il devoto popolo

Nell'ora più tranquilla

S'aduna ed erge il cantico

Notturno al suo Fattor?

Sei forse o lume il tremulo

Fulgor che di Maria

Alla devota immagine

Pose una vergin pia,

Fra l'ineffabil estasi

D'un verecondo amor?

O lietamente illumini

La parca cena allegra

D'una famiglia rustica

Che l'animo rintegra,

E de' sudori novera

Il lucro giornalier?

[159]

Oh le mesti urne imporpori

Di quei che morte aduna,

Sien prepotenti o miseri

Ad un'egual fortuna,

O sotto croce povera

O sotto cippo altier?

O al tuo chiaror si mutano

orme dell'uom pietoso,

Che nel silenzio visita

L'ostel, di chi l'esoso

Squallor non osa porgere

Al mondo insultator? —

Tale il pensier travalica

Dall'una all'altra idea;

Or lieta or malanconica

Come il desìo la crea,

E come le moltiplici

Vicende del mio cuor.

Quando della canizia

Vedrò le gelid'ore,

Se scorgerò la fiaccola

Nel taciturno orrore

Di questo cuor le immagini

Quali saranno allor?

Questo canto fu semplice al pari de' nostri desiderj, ma abbastanza sublime per chi, com'io, potea leggere il resto che non volesti esprimere. La soavità e l'armonia della voce suonava nell'universale silenzio, come la malinconica modulazione d'un'arpa notturna, ed era ripetuta dall'eco lontana.

Il leggiero alito ingrossato alquanto aveva spinta la navicella fra le canne palustri ove s'aggirava un nembo di lucciole irrequiete. Quella pace universale [160] favoriva le dolcezze dei nostri discorsi e con quanta gioja entrammo a ragionare dell'avvenire di quel giorno poco lontano in cui tu diverresti madre e abbracceresti quel figlio, a cui ordivi nel tuo seno la vita, e in cui riponevi la tua futura compiacenza. Come godevamo raffigurarcelo bello siccome un angelo, vivace come l'innocenza, con rosee labbra sempre preparate ai baci sinceri, con biondi capelli su cui non isdegna posarsi lo sguardo dell'uomo sapiente, con quella tenera voce che sa attirare ad ascoltarla un numeroso crocchio di persone d'età matura che se lo rubano fuor delle braccia per fargli vezzi, per palleggiarlo, divorarlo e dicevi sommessamente: «Deh, o signore sii cortese di biade al campo, di lana all'agnellino, di piume all'augello, e di figli alla madre che ti teme». Pochi mesi trascorsero da quell'ora a quell'altra in cui fummo salutati genitori, e quell'innocente primogenito che esulta di tanta vivacità, e dorme placidamente ignaro ancora dei guai della vita, come il nocchiero che riposa tranquillamente nel suo battello, non sentendo la tempesta che gli rugge d'intorno, quell'innocente sappia un giorno quali erano i tuoi affetti allorchè la sua vita era nascosta nella tua, affetti che tante volte mi ridicesti, e che io pure quella sera commisi al canto che ora ti ripeto:

Nell'ore più fantastiche,

Quando il desìo figura

Come presente all'avido

Pensier l'età futura,

E pregustar fa il giubilo

D'ore non nate ancor;

Fra lusinghiere immagini

Pasce Adelina il cuor.

[161]

Mentre balzar dell'utero

Sente l'ascoso pondo,

Vola alla cara indagine

D'un avvenir giocondo,

Quando sul crin del pargolo

La faccia poserà,

E nel baciarlo i gemiti

Del parto scorderà.

Quando con orma tacita

Dell'addormito figlio

Esplorerà la requie,

E nel sopito ciglio

Contemplerà le tenere

Forme del genitor;

Cauta perchè coll'alito

Non turbi quel sopor.

Quando ai trastulli, a movere

L'infermo piè da solo

L'addestrerà, reggendolo,

Perchè non cada al suolo,

E le pie man congiungere

Gl'insegnerà sul cor,

Ed invocare il mistico

Nome del suo Signor.

O scorrazzar sul florido

Pendìo di facil clivo,

O lo vedrà sul margine

Posar d'innocuo rivo;

E teso il capo chiedere

Nel rio la sua beltà,

Ed ispiccar le mammole

Che ai genitor darà.

Con orma aerea correre

Dietro gli assidui strilli;

Cercar dove s'annidino

I solitari grilli,

[162]

O la vagante lucciola

Seguir da fiore a fior,

E la ghermita a splendere

Sopra la fronte appor.

Oh quante volte al gemito

Dei bronzi della sera,

Che sulle labbra chiamano

La memore preghiera,

Lo condurrà del tempio

Al santo limitar,

O tra le croci funebri

Per gli avi a supplicar.

Così di liete immagini

Nella dolcezza assorta,

Del grave seno il tedio

Con care idee conforta;

Mentre i suoi diti tessono

La veste al bambinel,

Che balza ancor nell'utero

Vago d'aperto ciel.

Che riconoscenza fu per me quella lagrima che ti tremò allora negli occhi! premio ben a me più chiaro che un trono, poichè i doni del cuore stanno sempre innanzi a quei largiti dalla fortuna! Intanto la navicella era giunta al lido, e pieni entrambi di commozione e d'amore ci avviammo al nostro focolare. Oh quella sera fu pur bella e di perpetua ricordanza!

Chi ama costeggiare il lago, si rechi a Bosisio terra di poca considerazione, collocata sulla sponda orientale, e levata in parte sul pendìo d'una collina. Qui nacque Giuseppe Parini, donato alla mordacità della satira ed alla sublimità della lirica, e qui pure doveva nascere Andrea Appiani pittore delle Grazie, [163] quando per caso sua madre non si fosse trovata a Milano. Indarno però cercheresti una parola che ricordi l'umile casetta dei natali del sommo poeta, invano una pubblica lapide che ricordi il suo nome. Anima che sente non potrà comprimere un'affezione di dolore.

Qui l'architetto Moraglia diede il disegno del bell'oratorio di casa Appiani, ov'è un lodatissimo quadro dell'Educazione di Maria Vergine, fatto da Vitale Sala.

Di qui per una via a bacio della collina, melanconica, fatta per la meditazione, riuscirai a Garbagnate Rota, d'onde la viuzza si perde fra i canneti del lago, finchè riesce a Casletto, già Castelletto, casale di poco riguardo, a cavallo della strada che da Pontenuovo guida a Molteno, e che diviene in Casletto, ronchiosa, angusta e montuosa. Una strada comunale piegando verso mezzodì fra campagne ben coltivate conduce a Rogeno, alla cui comunità appartengono Calvenzana, Maggiolino, Molino del Lione e Molino del Maglio; e di qui prosegue per Brenno e Camisasca, ambedue terre sulla sponda sinistra del Lambro.

Ma noi continuando la strada che costeggia il lago arriveremo sotto Mojana, d'onde proseguendo tra fertili campagne da una parte, cannuccie, macchie e boschetti dall'altra giungeremo a riposare a Ponte nuovo, osteria isolata che ebbe nome da un recente ponte sul Lambro, ed è posta al confluente di questa strada, nella più grossa che da Erba conduce a Milano. Da qui puoi recarti a vedere il Cavolto, che somministra l'acqua pel reale parco di Monza, Nobile [164] casale di poca importanza, l'elevato Monguzzo già castello di Gian Giacomo De-Medici, poi villa de' Rosales, che la cedettero, sono pochi anni.

Ora converrà che ci fermiamo alquanto ad esaminare la natura geologica di questi luoghi.

Questa parte della Brianza, che si confonde col Piano d'Erba in guisa sì indeterminata da non potersene indicare i limiti di divisione, era un tempo occupata da un vasto lago, chiamato da Plinio l'Eupili, il quale mantenuto dagli scoli delle circostanti montagne, per mezzo della Valmadrera, come dicemmo, comunicava col lago di Lecco. Quelli che ora sono ridentissimi poggi non erano allora che sporgenti isolette, dapprima inabitate e rivestite sole di piante e sparse di paludi: quindi ricovero di qualche famiglia peschereccia, che vivea in poveri casolari.

Questo lago in appresso, per qualche fenomeno della natura, scomparve e lasciò un terreno infecondo, che ben presto fu in gran parte ridotto a coltura, in gran parte rimase sterile per molti anni, poi migliorò, parte non fu ancora guadagnato all'agricoltura. Avanzo di questo vasto lago sono i tre bacini d'Annone, di Pusiano, d'Alserio, forse anche quello più discosto di Montorfano, e le lande infeconde che sono frapposte a questi laghi coperte solo d'erica, di cannuccie e di larice. Queste da alcuni anni furono assai diminuite; e principalmente la brughiera paludosa di Sirone, che venne posta a coltura dal curato Berretta di Sirone. Tra i laghi d'Annone e Pusiano trovi una delle più estese torbiere del Milanese, che secondo le misure d'Ermenegildo [165] Pino (1785) occupa una vastità di 950 pertiche superficiali (621794 metri quadrati). Altre torbiere furono scoperte presso Monguzzo ed Alserio, e pare probabile che in altri siti di questi paludosi terreni esista tal combustibile, che potrebbe tornar vantaggiosissimo a risparmio della legna. Questi tre laghetti sono ricchi di pesci fra cui abbondano specialmente le anguille (murena anguilla), i lucci (esox lucius), le tenche (ciprinus tinca), i barbi (ciprinus barbus), le arborelle (ciprinus albor), le scardorelle (ciprinus brama), i carpani (ciprinus carpio). Il monte di San Fermo contiene molti corpi organici marini od ammoniti misti a qualche rara venere.

Presso Nobile, al luogo detto le fornaci, sul pendìo orientale d'un poggio che tira dal nord al sud si stende un letto d'argilla alto 12 a 13 piedi, sotto 3 o 4 di terra vegetale. Ha quest'argilla la facoltà d'impastarsi coll'acqua, masticata sotto i denti fa sentire qualche parte silicea; appena estratta dalla terra ha un color piombino, asciugandosi diventa grigio-chiara, cotta nel forno è bianco-incarnata. Con questa argilla mischiata colla argilla gialla si formano i mattoni marmorati. Ma avendo tale specie d'argilla la facoltà d'assorbire facilmente l'umidità atmosferica e di fiorire, ne viene che le tegole fatte di essa sono di breve durata.

L'illustre ingegnere signor Giuseppe Bruschetti vedrebbe utile alla navigazione interna del Milanese l'aprire «anche un canale da Malgrate al lago di Civate o d'Oggiono abbassando questo lago e facendo cambiar corso allo scaricatore del medesimo. Da questo lago poi attraversando un'altura, e dirigendosi [166] verso Molteno, si troverebbe un colatore detto la Bevera, che scarica le acque nel fiume Lambro, il quale attraversa tutta la Brianza e si dirige a Monza. Continuando la navigazione di questo canale si avrebbe la comunicazione col naviglio Martesana poco prima di Crescenzago, ove il detto fiume Lambro entra e sorte dal naviglio medesimo[23]».

Proseguendo intorno al lago prendiamo a Pontenuovo la diritta in un ampio stradone ascendente, e costeggiando la destra del Lambro contenuto fra due vigorosi comprensorii, giungiamo al Ponte della Malpensata, ove entriamo ancora nella strada provinciale da Lecco a Como. Per essa piegando verso occidente dopo poco cammino eccoci a Villincino a cui si penetra per una porta di non antica costruzione.

Quali siano le più comuni opinioni sul poco discosto Incino (antico Liciniforo), ci venne detto nei cenni storici preposti a questo lavoro. Attestano la sua passata grandezza molte lapidi e monete, avanzi d'un'età trascorsa, che furono dissotterrate, fra cui basti riferire le due seguenti:

1.

HERCULI
C. METILIUS
SECUNDUS
V. S. L. M.

2.

I O M
COESIA. P. F
MAXIMA
SACERDOS
DIVÆ MATIDIÆ

La chiesa d'Incino vuol essere veduta per la importanza [167] delle sue antiche grandezze; fu capo d'una vasta pieve, ed ebbe una collegiata di ventiquattro canonici fino a' tempi di San Carlo Borromeo, che nel 1565 trasportò e la plebania e la collegiata, per indisciplina, alla chiesa di Villincino.

Sulla piazza di questa chiesa, sotto un portico di recente innalzato ogni giovedì è convegno di contadini, a farvi un operoso mercato di commestibili e mercerie. Una strada piana, attraverso ora a campagne fertili, ora a sterili lande, ora alla carice del lago d'Alserio va a sboccare nella strada principale che conduce da Pontenuovo ad Erba.

Oh clivi d'Erba! oh piani! — Oh lusinghiero

Di natura l'aspetto ed il sorriso!

Oh de' colli lombardi aere sincero!

Chi dettava questi versi è un giovane caldo d'amor del bello e questi ripetiamo noi pure alla vista della prospettica Erba. Questa terra s'altra mai considerevole, si presenta a guisa d'anfiteatro rivolta a mezzodì piegando in una curva dalla parte di ponente ove termina in un ferace vigneto con un delizioso casino di campagna, sul ridente poggio ricco di gelsi ove un tempo s'ergeva tremendo castello.

Il signor Valaperta proprietario di questa delizia raccolse le acque del torrente Bocogna, che si perdevano inutilmente pel sottoposto erbito Pravalle e le ridusse a servire ad una grandiosa filanda ed all'unito filatojo. Il torrente di là precipita a Mevate, terra di poco felice prospetto, ma abbellita di fresco dalla casa campestre, dalla filanda e dal vasto giardino Biraghi. Qui esistono un antico fresco rappresentante [168] i santi Rocco e Sebastiano colla Vergine in gloria; più che mediocre lavoro del 1490, fatto da Andrea Gentilino, come vi sta scritto, 1490 die 14 septembris magister petrus de petris de Sirtur f. f. hoc opus; Andreas filius magistri Zentilini pinxit.

Sulle ruine del soppresso convento dei Riformati di Santa Maria degli Angioli l'avvocato Rocco Marliani, consigliere d'Appello, innalzò la sontuosa Villa, che dal nome della sposa chiamò Amalia, di cui diede il disegno l'architetto Leopoldo Polak. Nel cortile una lapide dice:

ROCHUS PETRI FIL. MARLIANUS
DOMO MEDIOLANO
COENOBI VETERIS OPERIBUS A SOLO AMPLIATIS
VILLAM EXTRUXIT ORNAVIT
AMALIAM
EX CONJUGIS KARISSIMÆ NOMINE APPELLANDAM
ANNO 1801[24].

Rispondono dirimpetto a questa iscrizione i quattro versi d'Orazio

Hoc erat in votis: modus agri non ita magnus

Horkus ubi, et tecto vicinus jugis aquæ fons

Et paulum sylvæ super his foret; anctius atque

Di melius fecere; bene est nihil amplius oro.

Il palazzo è grandioso, e decorato nell'interno della decantata Aurora, lavoro giovanile del cavaliere [169] Giuseppe Bossi, il quale con Monti e Foscolo solea goder qui la cortesia del Marliani. L'ampio giardino, lontano da ogni uniformità disgustosa, è variato da un bosco interciso da garrulo torrente, che cadendo dall'alto si sparpaglia in molte artificiali cascatelle, da un roseto, il più ricco sicuramente di queste vicinanze, da ajuole erbose e fiorite, da bel tempietto nel bosco dedicato alla Prudenza, che siede in mezzo di esso, poco discosto dal quale due statue s'ergono ad Atteone e Diana; in ogni luogo vedi quel tutto, che rende più delizioso il campestre soggiorno. Ma ciò che onora meglio la ricordanza del benemerito consigliere è il monumento che egli pose alla memoria di Giuseppe Parini: un busto di marmo fatto dal celebre scultore Franchi, collocato dove il bosco è più folto e protetto da una macchia di lauro. Tempo fa vicino a questo sepolcrale monumento usciva da un organo sotterraneo una flebile armonia, che arrestava d'improvviso il visitatore, ignaro d'onde e come venisse quel suono, a cui alludevano i quattro versi incisi nella base del busto e tolti dall'ode di Parini l'Inclita Nice:

Qui ferma il passo, e attonito

Udrai del suo cantore

Le commosse reliquie

Sotto la terra argute sibilar.

Di qui Vincenzo Monti al prospetto di tante bellezze nel 1801 esclamava nella sua Mascheroniana:

I placidi cercai poggi felici,

Che con dolce pendìo cingon le liete,

Dell'Eupili lagune irrigatrici;

[170]

E nel vederli mi sclamai; salvete,

Piagge dilette al ciel, che al mio Parini

Foste cortesi di vostr'ombre quete!

Quando ei fabbro di numeri divini

L'acre bile fe' dolce, e la vestia

Di tebani concenti e venosini.

Parea de' carmi suoi la melodia

Per quell'aure ancor viva; e l'aure e l'onde

E le selve eran tutte un'armonia.

Parean d'intorno i fior, l'erbe, le fronde

Animarsi, e iterarmi in suon pietoso:

Il cantor nostro ov'è? chi lo nasconde?

Ed ecco in mezzo di recinto ombroso

Sculto un sasso funèbre che dicea:

Ai sacri mani di Parin riposo.....

Uom d'alta cortesia, che il ciel sortille

Più che consorte, amico: ed ei che vuole

Il voler delle care alme pupille,

Ergea d'attico gusto eccelsa mole

Sovra cui d'ogni nube immaculato

Raggiava immemor del suo corso il sole.

E Amalia la dicea dal nome amato

Di costei, che del loco era la diva,

E più del cor che al suo congiunse il fato.

Al pio rito funèbre, a quella viva

Gara d'amor mirando, già di mente

Del mio gir oltre la cagion m'usciva.

Mossi alfine, e quei colli, ove si sente

Tutto il bel di natura, abbandonai,

L'orme segnando al cor contrarie e lente.

In alto sorge il convento di San Salvatore un tempo luogo di pacifica dimora, a cui Achille Mauri in una meditazione intitolata l'Autunno allude colle seguenti strofe che mi permise di pubblicare:

[171]

Fra due ciglion vicini

Una maggion si svela,

Che in mezzo ai neri pini

Solinga, umil si cela;

Sacrato asilo un giorno

Di poveri romiti,

O placido soggiorno

Tu dolcemente inviti

Al gaudio i nostri cor!

Sì, miei fratelli, al monte!

Ivi per noi fia schiuso

Di nuove gioje il fonte;

Ivi non fia racchiuso

Fra confin brevi il guardo

Che scorrerà lontano,

E la fiumana e il tardo

Rivo e le vette e il piano

Libero affiserà.

Ed errerà dal colle

Alle pianure erbose,

Dalle fiorite zolle

Alle campagne algose;

E i limpidi cristalli

Vagheggierà de' laghi,

E i prati delle valli,

E i molti color vaghi

De' fior contemplerà.

La via meno disagiata per ascendere da Erba a godere l'interminabile orizzonte di questo convento, è di recarsi a Crevenna, terricciuola leggiadra, e di là ascendere per una strada erta che guida all'Alpi (così chiamansi ivi per analogia i pascoli montuosi), e che può fino al convento guadagnarsi dai cavalli e dei buoi aggiogati.

[172]

Sei tu saldo sulle gambe, hai tu coraggio nei cuore? ascendi al decantato Buco del Piombo, spelonca ricavata dalla natura nel monte, e murata in sull'ingresso, per cui v'ha chi crede, indotto anche dal nome, che fosse questa una miniera di piombo, ma per ricerche che siano state fatte non vi si trovò mai reliquia di questo metallo.

L'accesso nella caverna è pericoloso, dovendosi ascendere per un'angusta scala ricavata dalla natura nel greppo, di qualità saponacea, senza sbarra che difenda il salto e a cui si possa agrappare. La bocca dell'antro presenta una stanza spaziosa, larga 38 e alta 42 e lunga 55 metri, e contiene quattro muraglie formate con ceppo rosso e marmo di granito indigeno, e legate da un cemento di calcinaccio, e poste alla distanza fra loro di circa quattro metri. Il primo muro è alto otto metri, grosso un mezzo, con porticina d'onde sgorga l'acqua naturale della spelonca, coll'avanzo d'un portone più grande; il secondo alto metri dodici, grosso 1½, rotto da tre porte, con varj pertugi; del terzo e quarto non restano che pochi ruderi alti circa quattro metri e grossi come i due antecedenti.

La caverna procede quindi, dove più, dove meno angusta, ma quasi sempre colla larghezza approssimativa di metri 9 e coll'altezza di 8 e fino alla distanza di 188 metri dalla bocca, non manca di luce. Tanto la caverna continua diritta. Da quel punto è indispensabile un lume artificiale, e dopo altri 18 metri vedi a destra dello speco principale un'altra caverna lunga non più di metri 1, 30, e dopo 30 altri metri si arriva dove fu già posta una lapide ad attestare la venuta fin là di

[173]

S. A. I, IL PRINC. RAINERI VICERÈ
CONSIGLIERE DE CAPITANI
CIAMBELLANO CONTE PAAR
GLI 8 MAGGIO 1819.

Credo pochi vorranno innoltrarsi di più, correndo la caverna bassa bassa e rialzandosi sempre più le acque, che ne sgorgano fino, probabilmente, a riempirne tutta la bocca. Quest'acqua, carica di materia calcare, forma sulle pareti delle graziose incrostazioni.

L'uscita è più disagevole che l'ingresso! guai se ti sdrucciola un piede, se ti assale un capo giro! Il burrone del sottoposto Boa non accoglierebbe di te che miserabili frantumi! Tanto pericolo della vita non mi pare compensato da un corrispondente vantaggio! Eppure quanti si vergognerebbero d'aver temuto d'avventurare i loro giorni per appagarsi di questa curiosità e non si farebbero carico d'essersi rifuggiti di arrischiarli per salvare un loro fratello, per temprare le angoscie d'un contagioso! A che servisse questo antro è ancora un mistero nella storia. È certo però che per qualche tempo valse di abitazione, e forse i Longobardi cacciati dai Franchi vi trovarono un asilo; forse supplì di ricetto durante le contese fraterne; forse una masnada di predoni esercitava di lassù le sanguinose escursioni. Queste domande faceva Lorenzo Santambrogio in una sua romanza inedita:

Oh quale da destra nel masso s'interna

Orribile al guardo, profonda caverna

Che d'archi munita — la fronte turrita

De' secoli edaci l'insulto sfidò!

[174]

All'armi, al valore d'Italia fu segno?

Di prodi Lombardi fu nobil convegno?

O forse delitti — d'erranti proscritti

Quel masso nascose, quel covo celò?

Da San Salvatore ascende la strada fino alla Colma (cima del monte) e di là cade dalla parte opposta fino a Torno sul lago di Como.

Poco meno d'un miglio da Erba è discosto Buccinigo, che una popolare opinione vorrebbe così chiamato da un buco iniquo, esistente ancora in un giardino, e che, secondo crede il volgo, fu luogo di martorio ai tempi feudali. Però i dotti sostengono essere chiamato dai Celti di cui è propria la cadenza in igo ed in iga di moltissime nostre terre. La sua torre, che rimane in parte tuttora, fu teatro di fraterne rappresaglie, fra le famiglie Sacco e Parravicino, ambidue comprese nel catalogo dei nobili steso da Ottone Visconti 1278. Poco appresso la strada si apre in due diramazioni, che vanno dopo qualche miglio a riunirsi ancora, ed egualmente buone per giungere a Como. La più meridionale guida a Pomerio, dove sono antica chiesa e avanzi di fortificazioni, a cui sta poco discosto Paravicino distinto alla sua torre inclinata nella direzione sud-ovest nel mezzo d'un ameno giardino; vicinissimo è Casiglio ov'è chiesa antica, eretta da Beltramino Parravicino vescovo di Como e poi di Bologna, la cui tomba è un monumento nella chiesa stessa; Tassera villa Imbonati in elevata posizione e lieta di giardini e getti, d'acque perenni che bagnano il giardino e i prati, e cadono fino al lago d'Alserio. Poco discosta è la sorgente Retusa, limpida e salubre; a Castellazzo i [175] Milanesi costrussero un forte nel luglio 1162 contro il robusto castello di Carcano, ove si erano accolti i fautori del Barbarossa, e qui presso il bellicoso arcivescovo Uberto da Pirovano di Barzanò, nel giorno del famoso combattimento di Carcano o d'Orsenigo, cantò la messa dal carroccio, e tenne un vigoroso discorso ai soldati frementi battaglia. Nel primo scontro Federigo vincitore conquistò il carroccio de' Milanesi e lo distrusse nel luogo detto il Carudo. Si pretende che nel pantano delle lische amare s'impigliasse il destriero dell'imperatore, per cui dovette perdere un po' di tempo che gli riuscì fatale. Il lago vicino di forma quadrilunga e che manda l'emissario nel Lambro riceve nome da Alserio, paesello collocato sulla sua riva occidentale appiedi d'un colle beato d'una salubre fontana sì abbondante che fa aggirare varie macchine idrauliche. Tutto questo bacino si vede in un colpo d'occhio dall'elevato Parzano.

Da Alserio si propagano varie strade, una molto diritta guida ad Anzano. Qui un antico monastero diede luogo al sontuosissimo palazzo Carcano abbellito da un vastissimo parco, ove laghi, ove selve, ove svariatissime ajuole, ove tempietto, grotte, fiere, e nostre e peregrine, e donde si gode un esteso prospetto delle terre d'intorno. A cavaliere di Fabbrica sorge il palazzo Durini sur un'insensibile altura, a cui deve salire chi è vago di scene varie ed incantatrici; di lassù lo sguardo scorre di poggio in poggio, di lago in lago, fra vigneti e campagne, sul dorso d'austere montagne che ravvivano col loro contrasto la bellezza delle nostre colline.

L'altra strada accennata che da Buccinigo procede [176] verso Como guida al montuoso e deliziosissimo Villa Albese, ove sorge vasta e bella chiesa; molti bei casini, una fontana di buon gusto; ha di dietro un monte ricco di castaneti, fecondi di saporiti frutti; all'intorno vigneti di squisita qualità; poco dopo Albese che ricevette di recente vaghezza dalla strada che lo taglia di mezzo; poi Cassano ove è il vasto giardino Raimondi, poco discosto in alto Tavernerio, quindi Camnago dove potrai inchinarti sulla tomba di Volta, e di là ti vedrai vicino il Baradello, antica difesa della sottoposta Como. Al sud di Cassano è un placido laghetto.

Il villaggio sulla sponda orientale di questa laguna riceve il nome di Montorfano dalla solitaria altura che si erge al suo lato settentrionale, ricco di trovante sarizzo, onde si formano mole da macina di squisita durezza. Questo casale ha più antiche memorie, che recenti bellezze.

CAPITOLO OTTAVO. DA ERBA A PAINA.

Soldo. — Orsenigo. — Alzate. — Verzago. — Torrenti Lubiana, Terrò, Lobbia. — Fecchio. — Cantù. — Galliano. — Intimiano. — Vighizzolo. — Figino. — Novedrate. — Carimate. — Mariano. — Cabiate. — Meda. — Lurago. — Lambrugo. — Inverigo. — Cremnago. — Villa Romanò. — Romanò. — Bigonzo. — Arosio. — Giussano. — Robiano. — Verano. — Agliate. — Carate. — Grotta di Realdino. — Paina.

[177]

Due linee di strada, che partendo da Erba vanno a riunirsi ancora a Paina, costituiscono una specie di triangolo, un lato del quale è formato dalla striscia che da Erba corre a Cantù, l'altro da quella che unisce Cantù con Paina, il terzo, che sarebbe l'ipotenusa, da un'altra striscia che va a dirittura da quest'ultima terra infino ad Erba. Noi seguiremo tale configurazione per parlare de' paesi che si trovano sulla sinistra del Lambro.

Partito da Erba e superato Paravicino e Carcano eccoci sotto al magnifico Soldo, poggio di rara bellezza, a cui si ascende per un'agevolissima via.

L'estensione dell'orizzonte, non chiuso che da altissime montagne, le comode stradicciuole, i variatissimi filari di vite, i giardini inglesi, i boschetti, le ombrose alee, i paretai (bressanell) danno a questa collina una squisita amenità. L'attuale proprietario D. Giacomo Appiani d'Aragona, vi fece erigere una semplice abitazione campestre, secondo il disegno del distintissimo Moraglia, a cui sta vicina una bellissima cappella, ed il casolare del giardiniere, dipinto a guisa di castello dal tanto rinomato Alessandro Sanquirico. Questo delizioso soggiorno non era, buon tempo fa, che un'aspra eminenza, coperta d'annose piante, che impedivano di godere le tante bellezze di cui le era stata liberale la natura.

Orsenigo, villaggio acclive, ha sulla piazza della chiesa la bella casa Carcano, architettata di recente dal Moraglia. [178] Proseguendo per la via grossa giungiamo ad Alzate, pittoresco paesello, alquanto rialzato, ove l'austero antico è frammisto ad un ridente moderno; allato al vecchio castello, reliquia forse di romana potenza, sorge il palazzo Clerici, chiamato di fresco a forma più nuova ed abbellito d'un vasto giardino. L'antica costruzione puoi vederla anche nella delizia e nell'ameno giardino Odescalchi. Sulla piazza della parrocchiale di San Pietro posta a settentrione del paese sorge un cippo di Minerva, ora convertito in un piccolo monumento ad onore del Principe degli Apostoli. Un'iscrizione appostavi dice:

MINERVÆ
V. S. L. M.
VITALIO
MAXIMI FILIUS

Da qui spingendo lo sguardo a nord-ovest appare di fronte la villa Giovio di Verzago, distinta al boschetto dei pini che le sorge davanti.

Subito dopo Alzate la strada diviene faticosa, ripida, attraversa la roggia Lubiana ed i torrenti Terrò e Robbia, che bagnano un terreno tutto variato di colline, d'altipiani, fin che arriva a Fecchio, popolato casale frammezzo a numerosi cascinotti, e case isolate, a cui succede il poco discosto borgo di Cantù.

Non è chi al primo affacciarsi a questa ultima terra non s'accorga tosto della sua antichità, tanti segni tuttora conserva d'una passata grandezza. Cantù di fatti guerreggiò nei tempi municipali coi rivali Comaschi; fu la seconda capitale della Martesana e anche oggi è borgo assai considerevole. Duole però [179] che l'interno del paese mal risponda al numero della sua popolazione ed all'importanza delle sue manifatture, alcune vie e viuzze ripide e sassose; una piazza vasta, ma irregolare e pendente, chiese di poca considerazione. Vogliono però essere veduti i palazzi Archinto e Salterio, già dei Pietrasanta. I suoi abitanti sono attivi; la maggior parte agricoli, il resto artieri; le donne si occupano di preferenza a far de' merletti, gli uomini brocchette di ferro, che vanno per tutta Lombardia ed anche nella Toscana, nella Svizzera, nel Parmigiano e nel Piemonte; i merletti hanno una maggiore estensione di commercio.

Nessuno che si trovi a Cantù deve omettere di vedere l'antichissima chiesa di Galliano, per quanto ruinata e mal custodita. Presenta, secondo i canoni dell'antica disciplina, tre navi; nella destra presso la porta d'ingresso s'erge una torre e dirimpetto alla porta l'altare e l'abside; ove in quattro gironi è dipinto il martirio di San Vincenzo, patrono di quella chiesa. Sono innumerevoli le figure che adornano quella volta, una delle quali, ora levata, rappresentava l'illustre Ariberto da Intimiano, che prima d'essere metropolita milanese era stato custode di questa chiesa. Chi può dire di chi siano quelle pitture? Credo nessuno; nulladimeno avuto riguardo ai tempi in cui furono eseguite ed al loro merito, per quanto rozze ed inarmoniche, si potrebbe conghietturare fossero di pennello greco, sapendo che dipintori greci erano a Venezia anche a' tempi della nostra totale ignoranza. Pochi passi a sinistra di questa chiesa vi è l'antico battistero, girato nell'interno dalla solita ringhiera, a cui mettono due scale, destinate ai curiosi [180] ed ai devoti, che traevano alla cerimonia del battesimo. La chiesa di Galliano fu capo pieve fino ai tempi di San Carlo Borromeo.

Al nord di Cantù è Intimiano, patria del già citato arcivescovo Ariberto, nato secondo alcuni in un castello, sulla cui area fu costruita la casa Luraschi. I suoi abitatori hanno la singolare abilità d'intrecciare cappelli di paglia, ed erigere archi trionfali di paglia, giunchi e mortella.

Una linea che tira a sud-est da Cantù guida verso Mariano. È tagliata a Pozzolo da un'altra strada, che venendo da Alzate passa per Vighizzolo, poi intercide la strada per cui percorriamo, indi guida a Figino, poi a Novedrate, una delle delizie de' conti Taverna dove, nella chiesa di San Donato, si vedono due angioli scolpiti dal meritissimo Gaetano Monti, per commissione del conte Giacomo Taverna. Il Seveso, che nasce nel piano Bassone sul Comasco, divide questa terra da Carimate. Mariano, posto quasi a piedi della placida collina su cui si raccolgono i vini migliori del distretto di Cantù, è distinto per l'ampiezza della sua estensione, per la vastità della piazza comunale, pel palazzo Passalacqua e molte altre case di villeggiatura. Ha un'aulica chiesa di Santo Stefano con alta e antica torre, ed un vetusto battistero che sorge alla sinistra della parrocchiale. Un mercato settimanale stabilito nel 1512, molti setificj, e l'operoso esercizio d'agricoltura, d'arti e di mestieri danno agli abitatori di Mariano quell'agiatezza che non viene mai meno all'attività. Di qui fiancheggiando la Roggia vecchia per un lungo rettifilo di strada si viene a Cabiate, dove sale la vista alla [181] bella e deliziosa villa Paduli, indi per un altro rettifilo si giunge a Meda, nota pei mobili di stanza che vi si fabbricano, e circa un miglio dopo si arriva a Barlassina sulla strada da Milano a Como. Da Mariano si viene poi a Paina per una via a sud-est, radendo per qualche tempo la Roggia Borromea.

Ora, prendendo l'alta strada più corta, bisognerà che da Erba ci rechiamo a Pontenuovo, ascendiamo la riva di Nobile e ci portiamo a Lurago, arrestandoci ad ammirare il degradante pineto e il vago giardino che adorna la vistosa villa Sormani. Il maestoso concerto delle campane di questo villaggio non vuol essere taciuto, trattandosi d'una materia di tanta importanza, di tante guerre, di tante liti fra gli abitatori di campagna. Qui sono molte fornaci di mattoni e di tegole fatte con argilla plastica comune, cavata in luogo. Alla sua sinistra è Lambrugo, posto sul ciglio della valle del Lambro, dove la famiglia Galli possiede una casa di delizie, sostituita ad un pacifico romitorio di vergini. Chi cammina pedestre, miglior modo di esaminare accuratamente tante bellezze, può discendere a vedere minutamente il burrone del Lambro, che procede ricco d'acque e con ripido corso alla volta di Monza. Però anche una leggiera osservazione al letto di questo fiume persuade come una volta accogliesse maggiore dovizia d'acque, onde alcuni conghietturarono che servisse di sfogo al Lario, prima che l'Adda si fosse aperto il suo corso.

Procedendo sulla strada principale, poco dopo Lurago, ecco presentarsi il vaghissimo Inverigo ove giganteggiano la moderna Rotonda Cagnola, e l'antica [182] delizia Crivelli. L'una e l'altra vogliono essere accuratamente vedute.

L'aspetto imponente del grandioso edificio con cui l'illustre marchese Cagnola richiamò fra noi i superbi monumenti della greca splendidezza si presenta in forma quadrilunga sulla cima d'una amena collina, colla facciata principale rivolta a tramontana, ciò che fa temere non possa essere di danno ai fregi di cui è decorata. Alla solidità esterna, bellissimo contrapposto a quella smilza architettura che rassomiglia a cadaveri ambulanti, risponde benissimo la parsimonia degli ornamenti, del pari lontana dalla grettezza, che qualche volta si scambia col nome di semplicità, e dalla turgidezza, che sì mal corrisponde alle leggi dell'occhio e del buon gusto. Presenta nel mezzo un'ampia sala circolare, illuminata da un lucernario superiore, onde tutto il palazzo è volgarmente detto la Rotonda. Ha lateralmente due edificj, ad oriente l'oratorio, ad occidente il triclinio, i quali sono al di fuori abbelliti dall'egual colonnato che adorna la fronte del palazzo. Dal pianerottolo della porta d'ingresso si cala al livello della collina per un ampio scalone, sotto i due lati del quale si entra a vedere i grossi tronchi di colonne che sostengono il pavimento della sala di mezzo. Un altro scalone, come il primo maestoso, conduce dalla porta d'ingresso meridionale egualmente al livello della collina, che cadendo qui precipitosa, rese necessario che si facesse dopo l'ultimo gradino una balaustrata sostenuta da grandiose cariatidi lavoro di Pompeo Marchesi. Una scala interna, dapprima agiata e che poi si va ristringendo e rimane chiusa nella grossezza del muro, conduce [183] sulla cupola della sala, a vagheggiare un estesissimo orizzonte. La casa Crivelli distinta per la singolare estensione de' suoi cipressi serba tutti i vestigj della potenza feudale. Un ampio giardino pendente si stende a settentrione del palazzo, e ad oriente ed occidente lunghissimi filari di cipressi, che danno a questo palazzo una originale vaghezza.

A manca del palazzo sorge sur un altopiano un Ercole colossale, offeso ma non ruinato dagli anni, notissimo per queste terre col nome di Gigante. Ivi è luogo di mattutine e vespertine gite, di allegre collazioni e merende, e di là poco discosto è un fecondo paretajo (bressanella), a cui si va per una lunga galleria di carpani. L'argilla d'Inverigo presenta caratteri alquanto diversi della solita; facilmente s'impasta coll'acqua, è morbida al tatto, masticata sotto i denti fa, al pari di quella di Nobile, sentire alcune parti silicee. Con essa si fanno buoni mattoni e tegole in grandissima quantità. Due cave, quasi esaurite, una di proprietà Crivelli e l'altra della chiesa parrocchiale d'Inverigo, producono durissime pudinghe (ceppo), grossolane nella parte superiore, ma compatte nell'impasto inferiore e legate dal solito cemento calcario. Un'altra produzione minerale sono i tufi calcari, d'un colore grigiastro, leggiero e molto poroso, misto di sottili cilindri stalattitici, che s'intrecciano in tutte le direzioni. Ad Inverigo sedette il pretore feudale, del quale ora non rimane che l'abitazione convertita ad altro uso e lieta d'un ameno orizzonte. A Santa Maria della Noce, luogo di mercato settimanale, vedrai nella chiesa buoni quadri, ed è uno de' luoghi ove si stabiliscono i [184] prezzi de' bozzoli; al Lavello la chiesa è ricchissima di pitture forse un po' grotesche, ma non prive di merito; all'Orrido, la natura congiunta coll'arte creò un luogo di romantica bellezza, sebbene le acque che vi dovrebbero essere accolte vengano deviate pel vantaggio d'alcuni mulini. Era una di quelle sere di autunno in cui il tumulto della città corre a dar vita alla pace delle campagne, e fra l'incanto delle agresti canzoni tornano dai campi le montanine bellezze a ritrovare il ristoro della cena e del riposo. Io affacciato ad un verrone di casa Crivelli mirava la sottoposta valle sepolta nella quiete solenne della notte. M'apparivano di fronte il maestoso monte di Canzo seminato alle falde di paeselli, indi correvo coll'occhio dentro nella Vallassina, fin sul faticoso Castelmarte, raffigurava il pineto di San Salvadore che mi richiamava la pace, onde quell'asilo era lieto, prima che si desse il nome di progresso e di lume alla distruzione de' cenobj e de' cenobiti, poi rialzava lo sguardo alla Colma; a manca vedeva lo zaffiro nel cielo piegarsi sulle montagne comasche; a destra di tratto in tratto i lucidi serpeggiamenti del Lambro sottoposto ed il rimanente della Brianza, una fuga di colline a cui facevano cornice i monti maestosi che assecondano il corso dell'Adda! Poco dopo tutto era quiete, non isplendevano che i fuochi de' casolari, intorno alle frugali cene degli allegri contadini. Intanto sorgeva la luna. Oh qual nuovo spettacolo! come soave era il suo raggio propagato placidamente sul liscio piano dei laghi, sui vitiferi colli, sugli elevati campanili, sulle croci benedette de' camposanti! Quella sera mi dura ancora fissa [185] nel cuore, come la ricordanza soave del primo, dell'unico amore!

Il vallone dell'orrido, col mulino solitario che lo ravviva, inspirava la seguente bellissima poesia inedita.

IL CONGEDO MILITARE

MELODIA ITALICA

DELLA VALLE D'INVERIGO

MESSA IN LUCE
DA

SAMUELE BIAVA.

Quando tacquero gli squilli

De' cimenti bellicosi,

E sostarono i vessilli

In pacifici riposi,

Che per vedove, pupilli

Son ricordi lagrimosi,

Lagrimosi per le belle

Fidanzate verginelle:

Io que' campi dei cimenti,

Quelle tende abbandonai,

Dove molti fra gli stenti

Eran gli anni che passai;

E la mano dei valenti

Qua, là stretta, m'avviai

Col retaggio del soldato,

Fardelletto immacolato.

Torna meco il cor leale

Senza cruccio di rapina,

Nunzian presso il suol natale

Suon di fiume; erbosa china;

[186]

E un pensiero sale, sale

Dove gaja montanina

Col sorriso dell'amore

Prigionier mi fece il core.

Ecco alfine la vallea,

In cui gli anni giovinetti

Col tripudio trascorrea

Dei sospiri benedetti;

E il mulino mi ricrea

Coi garofani diletti,

Che ancor pendono a festoni,

Come allora, dai balconi.

E che vuol lassù spïare

Il mio sguardo per la vetta,

Se non è quel casolare,

In cui forse ancor m'aspetta...!

Oh, fuor fuor del limitare

Sporge il capo una vedetta...!

Sento un brivido, e due stille

Mi fan velo a le pupille.

Poi col suon dell'esultanza

— Salve, io grido, a lei, che olezza,

Come il fior che ha più fragranza,

Caro premio a la prodezza!

Se qui fosse la mia stanza,

Il conforto a la stanchezza...!

Corsi l'acque, i continenti

Fra pericoli, fra stenti —.

Stette muta; e incoraggiato

Il suo timido mistero

Rispondea — Non ha scordato,

No quest'anima un guerriero...!

Pace all'ospite onorato,

Che fra noi non è straniero!

L'ebbe anch'egli la preghiera

Della mane, della sera —.

[187]

Fu quel viso di vermiglio

Pria, qual rosa, colorito;

Indi estatico, qual giglio,

Senza moto, impallidito:

Quando il dubbio del consiglio,

Vinto al cenno dell'invito

Sclamò, spintasi più presso

— Sì tu sei, tu sei lo stesso —.

— Per l'Iddio, che il firmamento

Con un sole su noi stende,

Che l'amore fa contento

Dopo lugubri vicende,

E più saldo al mutamento

D'anni e popoli lo rende,

Son lo stesso, che tu dici,

E saremo insiem felici.

Lasciai l'armi, e di ritorno

Ancor mia ti ritrovai:

L'avvenire a noi d'intorno

Di speranza è ricco assai —.

Ella — È ver, e del soggiorno

E di quanto ereditai

Da' miei padri, o benvenuto,

Or padrone — ti saluto —.

Solca mari pellegrino

Per le gemme il mercadante,

Solca terre il contadino

Per le messi trafelante:

Ma dei rischii sul cammino

Va cercando il guerreggiante

Sol la gloria, qual mercede

Della intrepida sua fede.

Non disprezzi il valoroso,

Che si affaccia poverello,

Non gli serri pauroso,

Qui de' nostri alcun l'ostello:

[188]

Guai per lui, se sospettoso

Tien nemico quel fratello,

Che dell'armi tra i perigli,

Disse, io vado pe' tuoi figli!

Chi si trova ad Inverigo non deve ommettere una visita al vicino Cremnago per vedere il cimitero innalzato di recente dall'architetto Giuseppe Clerichetti, intorno al quale ci arresteremo per dir qualche cosa.

Nel lato settentrionale della cinta sorge un edificio mortuario di forma quadrata al basso, superiormente di figura cilindrica con gradinata a cupola d'ordine dorico, colle pareti laterali a bugnati e fregiate di colonne scanellate, quattro delle quali formano il pronao adorno della cornice, dell'architrave e del frontone, su cui leggi scolpito Hypogeum. Il davanti scompartito in tre campate divise da colonne, essendo intieramente aperto, lascia libero allo sguardo la parte interna a stucco lucido, che ha forma quadrata ed è illuminata da un ampio lucernario, col fondo occupato dall'altare marmoreo, su cui è posto un bel marmo carrarese raffigurante la Maddalena ai piedi della croce, lavoro di Labus.

Ai Romani che abitarono la Brianza si attribuisce il nome di Villa Romanò e di Romanò, due terre vicine e poste ad oriente della strada, che percorriamo. Nella prima si veda la chiesa di San Lorenzo, che è probabilmente del secolo IX. con freschi degni di non essere dimenticati, e la casa Besozzi col giardino che gli sta dappresso. Nel Ronco Boccogno fu trovato del ceppo gentile, del quale si [189] servì l'architetto Cagnola per la costruzione del suo palazzo, ma ben presto la cava non presentò che ordinaria pudinga per cui venne abbandonata. Romanò posto sur un alto fondo, bello, beato d'un esteso orizzonte ha della roccia arenaria nel territorio del Pertocco di proprietà Perego, della stessa natura di quella di Viganò, ma più tenera e soggetta a sfaldarsi. Nella sottoposta valle del Lambro scontri ad ogni tratto fabbriche di tegole o di mattoni. L'osteria di Bigonzo che trovi sulla via principale, poco dopo uscito da Inverigo, è quel Bigoncio più volte donato anticamente ai canonici di Monza.

Da qui prosegui ad Arosio, villaggietto coronato di vitifere colline, e posto in fertilissimo terreno. Oltre le bellezze comuni con tutti i paeselli che lo circondano mostra di proprio il palazzo erettovi da monsignor Olgiati, vescovo di Como, ora appartenente alla famiglia Borri. L'attività vi è ravvivata dalle filande dei signori Casati, una delle quali vanta ben più di cento mulini.

Gli utilissimi indicatori, da qualche anno providamente collocati su tutti i bivj, ti risparmieranno la fatica di chiedere la via per Giussano, poichè t'insegneranno appena uscito da Arosio, delle due strade che ti si parano innanzi a prendere la sinistra. Poco dopo uscirai dal distretto di Cantù per entrare su quello di Verano, in cui è posto Giussano. Qui è bella la chiesa, bella la villa Torri, bello il palazzo Mazenta, eretto a quanto si crede, secondo il disegno del celebre Pellegrino Pellegrini. Un Alberto da Giussano, uomo di gigantesca figura, fu capo della società formatasi nel 1176 sotto il pomposo titolo della [190] Società della Morte, i cui membri giuravano di morire innanzi che volgere le spalle al nemico.

Di qui andiamo a Robiano, forse una delle antiche terre orobiche, come ne fa qualche fede il nome; indi a Verano, antichissimo castello ruinato nel 1222 dai Milanesi guidati dal demagogo Arrigotto Marcellino. Nulla merita in questa terra d'essere veduto più che la villa Trotti, ove sono con istrana vaghezza congiunti moltissimi oggetti, che parrebbero destinati a rimanere disuniti.

Di là finalmente calando per un insensibile pendìo giungi ad Agliate, posto sopra ambedue le sponde del Lambro, una delle antichissime matrici della. Martesana, ove nell'881 il vescovo Ansperto da Biassono fondò la collegiata. In tempi meno remoti ebbero il dominio misto di questa terra i Confalonieri, noti sotto il titolo di Conti d'Agliate.

Vago contrapposto coll'antica matrice è il tempietto che la contessa Luigia Confalonieri, figlia dello storico Pietro Verri, fece erigere sul colle della Rovella giusta il disegno del molto operoso Giacomo Moraglia, nel quale è da ammirare un San Giuseppe di Diotti. Amenissimi di vista sono la villa e il giardino Ciani, che fanno bella apparenza di sè sulla Costa d'Agliate. Di qui vedi la Grotta di Realdino, scavo rinomato di pudinga, operato dalle acque che corrosero una parte della terra; presenta delle incrostazioni stalattitiche, formate dal gemito delle acque filtranti nella pudinga; vedi Carate, una delle antiche delizie di Teodolinda, a cui si attribuisce l'erezione della torre. Qui dormono le ceneri di Romagnoli aspettando che l'ammirazione le onori del maestoso [191] monumento di cui diede il disegno il valente ornatista Durelli. Nelle vicinanze d'Agliate abbondano i carbonati calcari, de' quali si fa uso, cuocendoli, per formare una calce di qualità inferiore.

Per rimetterci sulla direzione di Monza possiamo ritornare a Giussano e prendere poi la via che mena direttamente a Paina, luogo di posta, tagliato da quattro strade principali; una a settentrione, che è la principale, discende dalla Vallassina, l'altra meridionale conduce a Monza; la terza ad oriente viene da Verano, la quarta ad occidente guida a Mariano, a Cantù, a Como.

La situazione di questa parte del milanese cagiona un'eccessiva profondità delle acque sotterranee. In Desio i pozzi sono profondi ordinariamente 90 piedi; in Seregno quello di casa Carlini è profondo 132 piedi, e quel che è mirabile in Paina terra più settentrionale, e 60 piedi e mezzo più elevata che Seregno, non hanno che la profondità di piedi 129; e quel che è più mirabile nel casolare di Brugaccio, attiguo a Paina, il pozzo comunale non ha più di 22 piedi di profondità. Non mi sarebbe possibile assegnare la ragione di questi subiti cambiamenti, poichè è noto che il corso delle acque sotterranee dipende da tante circostanze, da inuguaglianza di suolo, dalla direzione delle sotterranee comunicazioni, da irregolarità accidentali di superficie, da strati d'argilla, che possono impedire la direzione d'una sorgente e tanto impedirla che sia obbligata a rigurgitare e sollevarsi all'altezza a cui non sarebbe destinata a risalire. Potrebbe questa ultima essere se non una ragione, almeno una conghiettura [192] riguardo al pozzo di Brugaccio o Brugazzo. Quanto a quelli di Desio l'abate Amoretti dice d'aver assistito all'escavazione d'uno di essi, e d'avere osservato che fino alla profondità di 90 piedi si trovavano unicamente sabbie frammiste a ciottoli di granito, di gneis, di schisto, di serpentino, di pietra calcaria.

Ma è tempo che diamo riposo alla stanchezza delle membra, dopo tanti passi che abbiamo fatto tra molte bellezze, ora parlando con noi stessi, ora intrattenendoci coi cortesi contadini, sì facili ad affratellarsi collo sconosciuto; perchè incapaci di tradire, non sanno diffidare di nessuno.

CAPITOLO NONO. DA PAINA A MONZA.

Seregno. — Desio. — Lissone. — Muggiò.

Soffrite che prosegua a parlarvi di me. Sì vive impressioni riportai dalle mie peregrinazioni in questi luoghi deliziosi, che anche a mio malgrado mi riempiono ancora tutto di sè, e si inframmettono a tutti i miei discorsi come l'idea della patria si frammischia a tutte le parole del profugo, che l'ha perduta.

Passata una notte a Paina, prima dell'alba mi alzai irrigidito da una brezza autunnale, che però prometteva di intiepidirsi fra poco. Studiando il passo arrivai a Seregno borgo più grosso, non bellezze [193] di vie, non isplendidezza di palagi, poca eleganza di giardini; invece bellissima e altissima torre, con grave incomodo però disgiunta dalla tonda chiesa parrocchiale, con buona facciata del professor cavalier Pino. È nota la mimica Funzione dell'Interro, onde erano vaghi gli abitatori di questo borgo, ma che da providi regolamenti fu poi modificata, quindi abolita. L'astronomo Carlini, livellato il pavimento della chiesa di Seregno, lo trovò 300 piedi al di sopra del piano dell'orto botanico di Brera.

La speranza non si deluse, il gelido orezzo cesse dinanzi ad un blando zeffiretto autunnale onde era scosso il calice de' fiori, che s'aprivano lieti al sorriso del sole nascente, e mandavano anch'essi nella muta loquela l'inno al Creatore. L'usignuolo intanto risvegliato dal ritorno dell'astro che avviva la natura usciva dal nido e poggiando sopra d'un ramo, che andava già perdendo le foglie, mandava un soavissimo gorgheggio, grato anch'egli alla pietà di Chi veste l'augello di penne, e gli prepara il nutrimento e il nido.

Tutto è lezione per l'uomo! Lezione è per lui l'animata natura! Viene la stagione invernale; i fiori di repente intirizziti sullo stelo chinano il capo e muojono, la pianta perde ogni ornamento, il sole vibra meno ardenti i suoi raggi, ma torna la primavera, e i fiori e le foglie rinascono con essa. Noi soli, non sentiamo questa vicenda; quando la nostra vita toccò l'estremo suo tramonto, essa non rifiorisce mai più; una nuova generazione scorre sull'avello delle antiche e noi a poco a poco veniamo cancellati anche dalla ricordanza.

[194]

Ed eccoci fra queste fantasie sulla strada di Desio; dappertutto contadini che si spargevano nella campagna, fanciullette che spingevano la vaccherella ringaluzzita anch'essa dal soave tepore delle placidi aurette; dappertutto canti armoniosi del vendemmiatore. Bellissima a vedere è la quantità di gelsi che crescono in questo suolo, ricco di quella foglia che rende lo straniero tributario al Lombardo di forse cento milioni ogni anno. Quella vista mi trasportava nell'operose officine dei setificj, a veder come la moda moltiplicando l'uso di questo tessuto, raddoppi il valore e le ricchezze del nostro terreno; a veder le migliaja di mani che affaticano per esso, tramutandolo in trine, velluti, attendendo chi ai cascami, chi alle trame, chi agli organzini, chi combina i colori, chi prepara i disegni, chi ordisce, chi appretta, chi torce, e cento e cento che lo trasportano da paese a paese, che lo fanno passare di mano in mano, cercando i mezzi di accrescere i vantaggi della lombarda floridezza.

Desio, borgo s'altri mai considerevole e popoloso, ricchissimo di memorie, ebbe il nome dalla sua distanza da Milano, come Nova, Sesto, Quinto e Quarto. San Giovanni Bono, arcivescovo milanese, vi fondò la collegiata di San Materno che nel 1288 avea soggette quarantadue chiese. Nella parrocchia esiste ancora il sepolcro di Giovanni Lampugnano, che spropriatosi di tutto a favore de' poverelli, trascinò sette anni nella miseria, e finì nel 1563 una vita che non vuol esser per nulla dimenticata. Recentemente vi fu posto un bel quadro, la morte di San Giuseppe, lavoro del nostro Vitale Sala. Al [195] tempo in cui il popolo milanese e quello del suo contado faceano scorrere torrenti di sangue all'ombra de' due celebri nomi torriano e visconti, i seguaci dei Torriani si rinchiusero coi loro capi nel borgo di Desio, ma sorpresi ivi dall'arcivescovo Ottone, 20 gennajo 1277, in parte vi lasciarono la libertà, in parte la vita. In secoli più vicini a noi Desio colla poco discosta cascina Aliprandi divennero feudo del conte spagnuolo Manriquez de Mendocia, che ne fu investito dalla cattolica maestà, 1580.

Ma della storia di questo borgo non intendiamo intrattenerci più a lungo per non uscire dal campo che ci siamo proposto, e per poter aver più agio di favellare delle sue proprietà corografiche ed artificiali.

E soprattutto vuole ragione che ci allarghiamo a parlare della villa Traversi, già Cusani. Il palazzo, se cede per magnificenza a tanti altri di questi contorni, difficilmente è da altri superato in agiatezza. In esso puoi vedere i primi felici tentativi delle pitture all'encausto dei fratelli Gerli; è fiancheggiato lateralmente da due bellissimi arancieri, il sinistro de' quali si unisce colle serre dei fiori più dilicati e peregrini. Ed ecco succedere il boschetto delle piante forestiere, a cui fa degnissima compagnia il vasto castagneto, tagliato da tre larghi viali che convergono fino a combaciarsi. Di là ti farà grata meraviglia recarti al labirinto, uscito dal quale, recati al villereccio casolare, rustico all'esterno, e che in un subito vedrai nel suo di dentro tramutarsi quasi per incanto in un'elegantissima sala adorna di pitture, di gusto egiziano, che circondano una squisitissima [196] statua d'Apollo. Oh come ti sarà grato affacciarti alle placide onde del laghetto, vedere i nuoti del cigno, i guizzi dei pesci, e nel mezzo la circolare isoletta, popolata di pioppi e di cipressi della Luigiana! Oh come vedrai d'improvviso mutarsi la sera se ascenderai per la grotta al sommo del poggio vestito di smilaci, tassi, lauri, ginepri, e sempre verdi pini, d'onde la vista tira in lontananza fra quelle incantevoli prospettive di cui i soli Brianzuoli, abituati a goderle, sentono meno che dovrebbero le meraviglie! «Scendendo si passa il ponte, scrive il mio amico Michele Sartorio, da dove la veduta del lago si offre amenissima, e quindi per una grotta s'entra in una gentil capanna, in cui vennero dipinti dal signor Domenico Menozzi i compassionevoli casi d'Erminia; un bel monumento si trova quivi pure consacrato alla memoria dell'immortale Torquato. La capanna giace nella valle del fiume ed offre un ridente e tranquillo passeggio. Sul circolar pendìo un vasto bosco di pini che si prolunga, dà molt'ombra e guida al tempietto costrutto sopra disegno del professore Zanoja. Esso è monopetro e consta di colonne joniche striate sostenenti la cornice reale, che porta la tazza interiormente compartita a cassettoni co' rosoni. Circolari scalini introducono alla cella nel cui mezzo posa sopra piedestallo la statua d'Imene a cui il tempio è dedicato. Questo piccolo edificio per la sua bella proporzione, per la materia ond'è composto, per la precisione del lavoro e per l'amena sua situazione riesce oltremodo pregevole. Per sinuosi sentieri, che attraversano la costiera coronata di viti, giungesi al castello [197] diroccato. Sul rialzato ponte del castello si domina il sottoposto tortuoso letto del ruscello, che mette nel lago e si gode all'intorno una vaga veduta, che può dirsi un eccellente quadro di paesaggio. Su di vicino rialto ombroso il punto di vista si fa più bello ancora. Movendo più innanzi alla diritta v'è il vivajo delle piante e degli arbusti forestieri ed indigeni. Per ultimo, dirigendoci al giardino de' vasi degli agrumi, di contro le aranciaje, guadagniamo il palazzo innanzi al quale si distende un vasto e ben ordinato parterre ove, per cura di Giovanni Casoretti, direttore di codesta amenissima villa, prosperano ad ogni stagione i fiori più rari e più svariati, che profumano l'aria de' più soavi odori. Per ogni dove tu volga l'occhio, i colori più vivaci illuminati dal sole ci sfolgorano innanzi con una, direi quasi, discorde, ma pur grata armonia, che ti fa fantasticare d'aggirarti pei sentieri sempre fioriti dell'Eden».

Nè qui sta tutto il bello di questa villa, chè degnissima di ogni riguardo è la gotica torre che sorge superba d'essere uscita dalla mente dell'esimio pittore ed architetto Pelagio Palagi.

Nella vasta sala delle armerie, entro la torre, sono stimatissime le vetriere colorate, venute qui, secondo la fama, da un convento di Svizzera. Su l'uno tu scorgi un apostolo nell'alto di levar la mano armata del brando, sull'altro si presenta San Benedetto che sostiene colla destra un libro aperto ad una pagina, che dice Silentium; nel terzo la Vergine trionfante fra cori d'angeli, San Carlo e Sant'Ambrogio, e questo è molto pregevole, con la data del 1689. Gesù all'orto è il soggetto rappresentato nel quarto; il miracolo [198] d'un Santo prestò l'argomento al quinto che fu eseguito nel 1683 e porta il pregio su tutti gli altri. Il monumento di Diego Raminez De Guzman, colla data del 1528, fu qui, son pochi anni, trasferito dalla chiesa delle Grazie in Milano. L'edera e il semprevivo che serpeggiano sull'edificio ne ravvivano potentemente la bellezza, e parlano all'anima, come tutto quello che ci trasporta fra le idee del passato; e là siedi sotto la pioggia dei rami cadenti del salice che s'inchina sul sottoposto laghetto e canta coll'affettuoso Pindemonte:

Melanconia

Ninfa gentile,

La vita mia

Consacro a te.

I tuoi piaceri

Chi tiene a vile

Ai piacer veri

Nato non è.

Tal si mostra il giardino Traversi, e allorquando la primavera ritorna l'esistenza alle piante e agli arbusti i fiori, vedresti rivestirsi di foglie i poggi, i platani, i peri, i pini ordinarj di rara grandezza, il pino più scarso del Chili. Allora risorgono rinvigorite di fresco umore le magnolie, le mimose, succedendo alle camellie, e la variatissima propagine delle rose, fra cui ti sarà grato conoscere quella che ebbe il nome della cortese signora di questa delizia.

In questa villa l'abate Amoretti scrisse la maggior parte del suo Viaggio ai tre Laghi, e gli uomini al pari di costui spasimati dall'erudizione leggano le [199] romane epigrafi che vi restano tuttora, delle quali riprodurremo le tre seguenti valendoci della interpretazione che ne fece il principe degli archeologi italiani presenti, il dottor Giovanni Labus.

La prima dice:

Iovi Optimo Maximo Comensi
EX PRaEMISSA
FULGURIS
POTESTATE
FLAVIUS VALENS

Vir. Clarissimus Ex Decreto
Votum Solvit Libens Merito
Datum Publice

La seconda è così concepita:

HERC
VLI IN
VICTO
MYRIS
MOS
ET QUIN
TIUS

Votum Solvunt Libentes Merito

La terza poi sta nei termini seguenti:

HERCVLI IN
VICTO

Votum Solvit Libens Merito
Lucius DOMITIUS
GERMANUS
SALVO PATRONO

Avviandoci verso Monza ci converrà uscire alquanto della strada maestra se vogliamo recarci a Lissone, [200] grossa e popolata unione di case, di decentissimo aspetto e piena di tumulto contadinesco, che fa un bel contrapposto coll'indolenza di tante borgate della bassa Lombardia.

Muggiò villa autunnale dei Barnabiti di Monza, è l'ultima terra che s'incontra prima di giungere a Monza da cui è quasi egualmente distante come da Desio. Trovasi in un terreno fertilissimo tagliato da quattro strade principali. Rientriamo nella città, meta dei nostri viaggi, per la port presso la chiesa di San Biagio.

CAPITOLO DECIMO. UNA CORSA NELLA VALLASSINA.

Crevenna. — Lezza. — Ponte. — Caslino. — Castelmarte. — Proserpio. — Mariaga. — Brùgora. — Arcellasco. — Carpèsino. — Longone. — Galliano. — Lago del Segrino. — Canzo. — Corni di Canzo. — Scarenna. — Asso. — Pagnano. — Vicino. — Valbrona. — Rezzago. — Caglio. — Sormano. — Pian del Tivano. — La Buca Nicolina. — Lasnigo. — Barni. — Magreglio. — La sorgente Minaresta. — Civenna.

È la Vallassina una valle molto aperta al lato meridionale e che va ristringendosi più più che procede; quasi in forma di triangolo, fiancheggiata da due altissime catene di monti, che la dividono dai due rami del lago di Como. Questa estensione di [201] terra è faticosa, ma d'una singolare purità di cielo e dolcezza d'atmosfera.

Varie sono le strade che dal Piano d'Erba introducono nella valle, una delle quali passa per Crevenna, per Lezza, indi per Ponte, ove sono ragguardevolissimi una vasta chiesa architettata dal Cantoni, molto operoso filatojo, ed alcuni pregevoli freschi in un monastero distrutto, raffiguranti caccie e ritratti. Di qui si viene a Caslino, celebre pei caccini, d'onde si prosegue nell'interno della vallata. In questa gita potresti salire da Ponte all'alpestre Castelmarte, dove, appena giunto, dimenticherai la stanchezza della fatta via, diportandoti nella galleria dell'illustre dottor Giulio Ferrario vice-bibliotecario dell'Imp. R. Biblioteca di Brera. È ricchissima d'incisioni nostre e peregrine, e di qualche oggetto d'antichità, e di là per un buonissimo telescopio si può vagheggiare l'ampio orizzonte, che si stende a mezzogiorno, e distinguere come da vicino le ville che fregiano i nostri colli, e le maestose guglie della basilica milanese. In un gabinetto separato stanno raccolte le edizioni della grandiosa opera dei Costumi di tutte le nazioni, I Romanzi di Cavalleria ec. ec. I più distinti pennelli moderni concorsero ad abbellire l'attigua delizia Bertolio, e questa del pari che la Ferrario otterrai facilmente di vedere dalla cortesia de' loro proprietarj. Nelle mura della parrocchiale stanno incastrati gli avanzi d'un sepolcro antico; sopra la porta interna del campanile un leone in bassorilievo e due tirsi per istipite della porta medesima; nell'alto del campanile verso ponente un ipogeo contenente un busto di donna frammezzo [202] a due di uomini con sotto le parole MA..... CONISIMAXIMUS. L'iscrizione che doveva essere applicata a questo monumento sepolcrale fu probabilmente cancellata per sostituirvene un'altra stranissima in ricordanza di Ugone Francesco ed Ubaldo Prina. Ivi entrano in iscena Goffredo da Buglione, Boemondo, Tancredi, Baldovino, tutti personaggi reali confusi con Rinaldo estense, personaggio uscito di getto dalla fantasia del Tasso. L'Ubaldo Prina si dice appunto nella lapide capitano fedele e compagno d'esso Rinaldo, onde ne viene di conseguenza che deve essere un personaggio ideale non meno del suo compagno[25].

I nomi di Castelmarte e di Proserpio, terra vicina ed egualmente montuosa, dove sono d'antico i ruderi d'un castello, di moderno la villa Staurenghi, ricordano il culto di Marte e di Proserpina.

Un'altra via si stacca al ponte della Malpensata sul Lambro, rade questo torrente per qualche tratto, indi si suddivide in varie stradicciuole che si diramano nei villaggi di Mariaga, Brùgora, Arcellasco, ed alcuni altri compresi anticamente sotto il nome colletivo di Corte di Casale; indi procede a Carpèsino, [203] poi a Longone da cui è pochissimo discosto Galliano di recente adornato dal palazzo Carpani. Ed ecco aprirsi dinanzi il melanconico laghetto del Segrino, giacente fra i due monti di Canzo, coperti di foreste la cui ombra gettandosi sulle onde del lago le rende costantemente nericcie. Intorno al lago corrono due strade bastevolmente agiate, che si riuniscono ancora alla Cassina Meda.

La strada procede serrata fra due linee di monti che si vanno allargando e formano un'amena valletta intorno a Canzo capo del distretto e sede del commissario. Bisognerebbe trovarsi in questa terra in un bell'autunno per godere l'amenità della sua posizione e delle sue feste campestri; un vago teatro, allegre danze, vivaci merende, e tutte quelle altre festività che piacciono tanto più, quanto più siamo disgiunti dalle città. Giace questo paesello alle falde dell'erta e brulla montagna a cui la somiglianza della configurazione diede il nome di Corni di Canzo, lunati cocuzzoli, il più alto de' quali sorge piedi parigini 1076 al di sopra del livello del mare. La materia ond'è composto il nocciolo del monte è il sasso calcare, e in alto il marmo rosso. Un tempo produsse molto ferro e se ne scorgono ancora le miniere.

La pittoresca cascata della Vallategna è formata dallo scolo delle acque di Valbrona e della Valle di Vicino, che dopo aver dato anima lassù in alto a varj edificj di seta, discende per quattro canali, scavati dall'impeto dell'acqua, finchè si confonde ancora in un solo sul ciglio d'un precipizio, d'onde con fragoroso slancio si trabalza al basso, candidamente [204] spumeggiante. Dal bacino, in cui raccogliesi caduta si sparpaglia in rigagnoli, che vanno placidamente a riposare nel vicino Lambro. Ben pochi pittori di vedute hanno omesso di tradurre sulle carte e sulle tele i candidi fiocchi di questa cascata che piomba a settentrione di Canzo.

Una strada pochissimo frequentata corre nella gola fra il Monte di San Miro e i già nominati Corni di Canzo. La strada o meglio viottolo ascende sulla costa del primo di questi monti, e fa di leggieri scordare la fatica della sua ascesa mediante i variati e pittorici prospetti che di tratto in tratto presenta; dei quali, uno, e forse il migliore, è la fontana di Gajumo, in un bacino quasi circolare posto ai piedi del romitaggio di San Miro.

San Miro è luogo di devoto pellegrinaggio, visitato da' terrieri vicini, e dove ai dì festivi si celebra il sagrificio, quando appena la stagione non corra rigidissima o nevosa. Il povero convento e l'umile chiesetta, innalzata in onoranza del santo, giacciono in un luogo eminentemente pittoresco; poco orizzonte, chiuso da nudi scogli, variato dal rapido torrente della Ravella e da alcune macchie d'alberi antichi. La prima domenica d'agosto al profondo silenzio di quel ritiro succedono i canti di festa, i suoni monotoni, ma sempre cari, delle fistule, delle zampogne; tutta l'altura è gremita di terrazzani festosi, che, finiti gli uffici divini, calano dall'altura e si fermano a merendare lietamente in un ameno valloncello, intorno alle labbra della già nominata fontana di Gajumo.

Brevissimo e variato sempre dai multiformi serpeggiamenti [205] del Lambro è il tratto di via che disgiunge Canzo da Asso restando sulla riva destra del torrente il casale di Scarenna.

Asso era l'antico capoluogo della valle, ed una delle pievi che componevano la Martesana. Anche oggi è ecclesiasticamente la prima terra della Vallassina a cui dà anche il nome. Gli avanzi del suo antico castello rimangono tuttora ben conservati; la chiesa ha di particolare una considerevole ricchezza di tarsii principalmente negli stalli del coro. Vi si conserva ancora l'iscrizione d'un cippo dedicato ad Esculapio che diamo qui secondo la interpretazione favoritaci dal signor Labus.

GENIO ASCLepii
Lucius PLINIUS
BURRUS ET
P. PLINIUS
TERN
us votum solvunt

Asso è paese di molta mercatura e attività, ma di povere e disagiate contrade. Quanta vaghezza però non lo circonda! Un giorno io sedeva stanco d'un viaggio faticoso a raccogliere gli spruzzi che mi gettavano addosso le onde del Lambro nel frangersi contro de' massi di cui è ripieno quel letto. Mirava il grosso borgo al fondo d'una valle angusta, e diceva fra me: di quali austere bellezze fu prodiga la natura a questo sito! Se io fossi un signore!... ma troncava di mezzo la frase, vedendo l'impossibilità del mio progetto, e dando una svolta al pronome proseguiva: Quante volte un signore va sbracciandosi [206] a creare fiumi e laghi e monti e grotte dove la natura pose terreni piani, o incolti, o ridenti; a mettere boschi ove dovrebbero biondeggiare le spiche, a far saltare il camoscio, ove dovrebbero sbrucare le giovenche ed i buoi. Ma ne viene che i suoi monti, i suoi laghi, i suoi boschi, se tu li paragoni a' naturali, si cambiano in mucchietti di talpa, in pozzette d'acqua piovana, in cespugli di rovi. Qui potrebbe trovar tutto creato dalla natura; un ripido torrente quando ruinoso, quando pressochè asciutto, nel cui letto brillano migliaja di petruzze di svariatissimi colori; monti maestosissimi che s'ergono colla cima acuminata, quasi affilata lancia; su loro crescono al basso vigneti e noci, sul dorso prati, in alto giganteggiano i castagneti, i faggi e le quercie; cascatelle quasi perenni soverchiate da ponti di legno, donde l'occhio avezzo alla pianura guarda con titubanza. Un po' di tutto questo si potrebbe chiudere in un bel parco, e la delizia naturale vincerebbe di lunga mano qualunque altra potesse l'arte più lusinghiera contrapporle.

Chi è venuto nella valle, non come i più, per dire: ci sono stato, ma per esaminarne ogni parte, abbandoni per un istante la strada provinciale, e prendendo la montuosa di Pagnano che tira ad oriente, si rechi a Vicino, e quindi a Valbrona, solitario casale fra monti maestosi. Amico, pasci l'animo di melanconiche idee? senti il bisogno di trovarti un giorno lontano dalle clamorose agitazioni della città? senti che la tua salute invochi aria più vibrata e purgata? ascendi a questi romiti paeselli d'onde godrai ad un tempo deliziosissimi prospetti. Poco discosto [207] da Valbrona, fra una selva di castani, sorge sur un poggio la chiesetta della Madonna della Febbre, meta ai devoti pellegrinaggi di questi alpigiani, soprattutto quando sono affetti di quartana. Una strada ronchiosa discende da qui fino ad Onno sul labbro del lago di Lecco.

Tre altre strade si staccano da Asso a nord-ovest e conducono una a Rezzago, l'altra a Caglio, presso cui sono buone argille, la terza a Sormano, luogo considerevole. Ivi il marchese Lodovico Trotti si rese benemerito per alcune fabbriche, onde il padre Guidone Ferrari gli fece quest'iscrizione:

COEMPTIS ALPIBUS
BELLASII MAGRELLII CIVENNÆ
ITEM SURMANI
QUÆ ET TURNI ET CLARÆ VALLIS OLIM
DIRUTISQUE MAPALIBUS
ÆDIFICIA BENE MACERIATA
CUM CASEALI ET STABULIS
PASTORIBUS AC BUBULO PECORI
MARCHIO LODOVICUS TROTTUS
EXTRUXIT A MDCCXVII

Tutte queste tre strade riescono nel Pian del Tivano, elevato piedi 5566 sul livello del lago, luogo di prati, e fecondo d'erbe farmaceutiche, d'anemoni, di ranuncoli, astranzie, ec.; ricco di torbiere, di pietre calcari, che strofinate danno un odore di petrolio. È tradizione che in questi dintorni la regina Anfelda, moglie di Teodorico, possedesse un castello di amenità. I monti che coronano questo piano sono tutti a strati calcari o marnosi, nè vi sono rari i [208] grossi massi di granito e di schisto, come pure la breccia. Nel mezzo del piano, vuol essere veduta la Buca Nicolina, che si crede un antico ricetto di ladri.

Dal Piano del Tivano si discende al ramo del lago di Como per Velleso o per Zelbio riuscendo alla terra lacunale di Nesso.

Proseguendo da Asso per la via principale, ed assecondando il corso del Lambro, arrivi a Lasnigo, uno de' paesi più antichi di questa pieve. Avea già un mercato e si conserva ancora il nome del luogo ove si tenea.

Poco dopo passato il fiume giungi a Barni, rinomato per le sue lumache, a cui succede Magreglio, presso cui vedesi la sorgente Minaresta, che per tre minuti fa un sensibile aumento, indi per cinque continua a decrescere, e dà vita al Lambro, che poi rinvigorito dagli scoli delle montagne circostanti, scende maestoso a tagliare di mezzo la vallata. La poco discosta acqua della Febbre, d'un sapore amarognolo, è secondo alcuni febbrifuga.

Per tortuosa strada giungiamo quindi a Civenna che al pari della sottoposta Limonta appartenne fino al 1797 come feudo al monastero di Sant'Ambrogio di Milano. Poco dopo, ad una cappella solitaria quando la strada cessa di ascendere per piegare a Bellagio, ti si offre il più giocondo e magnifico prospetto della valle; tre laghi ad un giro d'occhio, montagne succedenti a montagne, il ridente Menaggio, la maestosa Varenna, la variata fuga di tante terre, gli spumeggianti spruzzi di tante cascate, un cielo mite e ridente. Ciò tutto ravviva questo mirabile spettacolo di scena.

[209]

CAPITOLO UNDECIMO. STRADA ALZAJA.

Naviglio di Paderno. — Le tre corna. — Il Paradiso. — Trezzo. — Concesa. — Vaprio. — Canonica. — Cassano.

L'Adda uscendo dal bacino del lago di Brivio si fa rapida, e trascorre in un letto scosceso, che giunto al porto d'Imbersago si seppellisce fra due sponde di sasso ora calcare stratificato, ora schistoso, ora di pudinga. L'opinione volgare è che questo tratto da Imbersago a Porto, da Paderno a Callusco fosse un laghetto, che Medolago rialzato sul dosso d'una collina ricevesse il nome dall'essere di mezzo al lago, e che Porto fosse pure denominato dalla sua posizione. Questo laghetto vuol essere distinto da uno più vasto chiamato mar Gerundo che occupava il terreno della Gerradadda.

Sotto Paderno comincia il Naviglio aperto da Francesco Sforza nel 1475 destinato a condurre alla capitale della Lombardia l'acque dell'Adda, che qui cessa d'essere navigabile infino a Trezzo, per gli enormi massi che ne ingombrano il letto. Le Tre corna, nome spaventoso, sono tre minacciose rupi, che si affacciano al navigante quando cauto rivolge la poppa del suo burchiello nella bocca del naviglio. Guai se la correntia del fiume vincesse la sua perizia!

Un'amena strada, quando tagliata sul dorso d'un bosco, quando ricavata nel nudo ceppo, quando artefatta [210] con terra e sassi di trasporto asseconda tutto il corso del fiume da Brivio sino a Paderno, e da qui costeggia il naviglio fino al suo termine. È questo il sentiere tenuto dai cavalli, che traggono le barche.

Andando per questa vedrai gli avanzi della conca fatta nel secolo XVI. dall'infelice architetto Meda, e poi altre sei conche moderne, più profonde di quelle intorno a Milano, ciascuna con tre aperture laterali facili a chiudersi ed aprirsi.

Nulla di particolare più t'arresta fino al Paradiso, già villa dei Gesuiti, ove la rapidità dell'Adda è profondissima; nè meno lo è sotto Trezzo urtando ferocemente contro lo scoglio, su cui sta piantato il castello.

È Trezzo luogo oggi molto importante, vago per la sua posizione, per la decenza di molti palazzi e case signorili, e per l'ampiezza delle sue strade e delle sue piazze. Ma la cosa più importante però è il castello.

Quadrato eccelso torrion, di cui

Le nerissime bugne adamantine

Rotte l'Adda riflette ed ondolevoli.

Fra il bollente biancor delle sue spume

Solo egli sta di quelle amene rive

Terribile signor, cui la minaccia

Siede sul volto e l'imponente rabbia

Innacesso a mortale orma, di strigi

Stanza e d'impuri rettili e d'upùpe...

P. Marocco.

Varj assalti sostenne e ribattè questo forte, che gareggiava con quelli di Cassano e di Brivio, e si distinse maggiormente ai tempi del Barbarossa, e d'Ezzellino da Romano. Bernabò Visconti, fatto prigioniero dall'ipocrito nipote Gian Galeazzo vi fu rinchiuso coll'amica Donnina dei Porri e vi terminò la [211] vita fra i rimorsi e gli strazj. Tempo fa s'additava ancora la sua prigione e le parole scritte col suo sangue qual a mi, tu la ti. «Tutto il castello, pochi anni fa, trovavasi in migliore forma; ora l'avidità privata, che poco si cura delle poetiche e delle storiche ruine, l'ha ridotto in misero stato: ma pure merita essere visitato, perchè l'immaginazione può facilmente ricostruirlo intero e sognar battaglie e guerrieri armati di ferro sino ai denti, colà dove serpeggian l'ellera e le parietarie; e figurarsi i gemiti de' prigionieri nelle grotte ove annidano i topi ed i ramarri». C. Cantù.

Poco dopo Trezzo è Concesa, già villa del medico Moscati, a cui succede Vaprio, terra amenissima, ricca di storiche vicende e rialzata sur un'amena collina. Qui visse molto tempo Leonardo da Vinci, frescando una Madonna col Putto, di grandezza più che naturale e che vedesi tuttora nella villa Melzi. Durante questo suo soggiorno l'immortale Leonardo ebbe amorosa corrispondenza con una donna di qui, che egli nominò nelle sue opere chiamandola la mia Anna da Vauro. Ma ciò che vince di lunga mano tutte le bellezze di questo tratto di via è il magnifico parco del conte Castelbarco, dalla cui rosseggiante torricciuola potrai vedere il burrone dell'Adda, la vivace Canonica che popola la sinistra del fiume e che è congiunta con Vaprio per mezzo del magnifico ponte costruito di recente dall'ingegnere Parea. La sua chiesa e il campanile di nuova costruzione furono disegnate dal già citato architetto conte Della Somaglia. La prima, in forma di croce, ha la lunghezza di 90 e [212] la larghezza di 39 braccia, il secondo l'altezza di 93 braccia col diametro di 9.

Procedendo sulle arginature che sostengono la strada Alzaja, viensi a Cassano posto a cavaliere del fiume e famoso per moltissimi combattimenti. Di qui passò Federico Barbarossa, sotto le cui numerose soldatesche si ruppe il ponte, recando ai Germani gravissimi danni; vi passò Ezzellino e qui presso riportò quella ferita che lo tolse di vita; di qui passò Francesco I. di Modena, perdendo alcuni de' suoi nella correntia del fiume, di qui passò Eugenio di Savoja rimanendo non isconfitto, ma superato da Vandôme; con migliore fortuna passarono gli Austro-Russi guidati da Souwaroff quando diedero principio a quel periodo della storia moderna conosciuta sotto il nome di tredici mesi.

Il paese è dei più ridenti e più allegri dei contorni di Milano; possiede gli avanzi dell'antico castello fabbricato da Ottone Visconti nel secolo XIII. che domina minaccioso la Gerradadda ma che, come tutti, cessò d'essere luogo di armi e di contese per divenir stanza tranquilla e sicura.

Notevolissimo è il ponte per la sua singolare costruzione; bellissimo il palazzo d'Adda di cui diede il disegno Piermarini; ma è più di tutto notevole una sala ricca di quadri dipinti a' tempi di Luigi XV.; nei quali ti spiace vedere come l'invenzione sia molto inferiore all'esecuzione. Migliore è l'Ancona di sei pezzi dipinta sul fare leonardesco da Bernardino Fasola di Pavia nella segrestia della chiesa.

Nelle vicinanze sono Groppello, autunnale delizia degli arcivescovi di Milano, ed Albignano, ove è considerevole la villa d'Adda.

[213]

La strada dell'Alzaja conduce quindi ad Inzago, alle Fornaci, a Gorgonzola, a Cernusco Asinario, a Vimodrone, a Crescenzago, a Gorla, alla Cascina dei Pomi, indi a Milano,

Daremo da ultimo le dimensioni di quel tratto del corso dell'Adda che abbiamo legato da Lecco a Cassano, distinguendo i punti che sono d'ordinario considerati da chi rilevò queste misure.

Denominazione dei punti. Lunghezza in metri. Pendenza in metri e millim.
 
Dal ponte di Lecco alla Cappelletta sopra Olginate   5869     0,750  
Da essa Cappelletta alla soglia del Casino del vicerè   4850     2,225  
Da quella soglia al mulino di Brivio   5497     0,560
Dal mulino al Corrente del Soldato   1050     2,450
Di là all'imboccatura del naviglio di Paderno   6700     11,390
Dall'imboccatura alla sboccatura del naviglio
Dallo sbocco del naviglio di Paderno alla Rondenera   1808     2,228
Dalla Rondenera al castello di Trezzo   7192     7,911
Da quel punto allo sbocco del Brembo   2700     7,020
Dallo sbocco del Brembo a Canonica   1300     3,380
Da Canonica a Cassano   6500     11,950

(NB.) Quanto alle dimensioni del Naviglio vedi le notizie statistiche a pag. 32.

CAPITOLO DUODECIMO. UNA CORSA PER LA VALSASSINA[26].

Castello. — San Giovanni alla Castagna. — Laorca. — Pomerio. — Ballabio. — Ballisio. — Maggio. — Mezzacca. — Colmine. — Vedeseta. — Moggio. — Concenedo. — Cassina. — Cremeno. — Cantello. — Barsio. — Pasturo. — Bajedo. — Chiuso. — Introbbio. — Vimogno. — Barcone. — Gero. — Pessina. — Primaluna. — Cortabio. — Prato San Pietro. — Cortenuova. — Bindo. — Taceno. — Vegno. — Crandola. — Bagnala. — Margno. — Valcasarga. — Premana. — Pagnona. — Indovero. — Narro. — Muggiasca. — Parlasco. — Portone. — Esino. — Perledo. — Gettana.

[214]

La Valsassina comprende il distretto d'Introbbio che ha 27 comuni, occupa la superficie di 68 miglia quadrate, sulle quali passeggiano 12,233 persone, ed ha l'estimo di scudi 308,684.

Le produzioni principali sono castagne, buoni caci, ottimo miele e seta assai stimata per la lucentezza e finezza. Il maggior utile però ricavasi dall'industria e dagli opificj di ferro.

Dividesi in Valsassina propriamente detta, o Valle di Pioverna, in Valcasarga e in Valle di Varrone.

Usi a camminare per erti e difficili sentieri questi montanari sono naturalmente forti e coraggiosi. Sono poi acutissimi d'ingegno, leali, cortesi, allegri ed ospitali quanto gli Arabi.

Chi da Lecco si avvia per la Valsassina passa per Castello e San Giovanni alla Castagna, paesi popolati e ricchi. Il girar di tante ruote di fucine, filatoj, mulini, cartiere, il rumore dei battenti maglj, il continuo andar e venire di operaj con volti anneriti dal [215] carbone tutto concorre a dare a questi luoghi un aspetto di movimento e di vita.

Per una strada, che presto sarà migliorata, a quanta lena hanno i polmoni ti arrampichi quindi a Laorca, rinomata per una bellissima grotta di stalattiti e passando presso Pomerio, che forse fu luogo sacro agli dèi e dove Manzoni finse il palazzotto di don Rodrigo, giungi a Ballabio inferiore. Superata l'erta rivolgi lo sguardo e ti si parerà dinanzi una delle più incantevoli scene, di cui faccia pompa la natura. Villaggi sparsi pel Territorio come branco di pecore pascenti, Lecco, il suo lago, Malgrate, più in là la superba chiesa di Valmadrera, i laghetti di Pusiano e d'Alserio colle sinuose sponde rallegrate da bianchi paeselli e pianure frammezzate da colline con vigneti e boschetti, e l'ispido Mombaro e tutta la ridentissima Brianza faranno tale impressione, che difficilmente ti sfuggirà dall'animo.

Dopo Ballabio superiore, che lasci a sinistra, apresi bella e piana la strada in mezzo a spaccature di montagne nude, precipiti, a cocuzzoli ineguali. Non piante, non erbe, non uccello rallegra la tetra maestà di quei greppi, che ti stringe il cuore e t'infonde mestizia, orrore, stupore. Solo il gufo col suo lugubre canto, simile al gemito dell'uom che si lagna, e l'eco che cupamente gli risponde, ne rompono il pauroso silenzio.

Quivi una grossa muraglia guardata da una fortezza chiudeva l'ingresso alla Valsassina.

Ballisio al principio della valle (forse da Vallis initium) sta tutto in un'osteria ed in un oratorio. Nelle sue vicinanze, attissime alla caccia, nasce la Pioverna, [216] che libera percorre la valle del suo nome e si congiunge al Lario dopo aver formato l'Orrido di Bellano. Qui apresi spaziosa la valle in ameno anfiteatro circondato da alte montagne e la vista gradevolmente si stende in verdi praterie vagamente ammantate di boschetti e di sparsi casolari.

La strada provinciale segue il rapido corso della Pioverna e per incolti pascoli comunali conduce al Ponte di Chiuso e quindi ad Introbbio. Ma piegando a dritta arrivi a Maggio, villaggio di rustiche casupole poste qua e là per un'amena prateria dolcemente inclinata ed abitata da soli mandriani, che fanno eccellenti stracchini. Bella è la sagra che qui si tiene sul principio di settembre, ove quei montanari al suono delle cornamuse e delle rusticali zampogne accompagnato da popolari canzoni menano carole sull'erboso clivo.

Ascendendo pel monte si va a Mezzacca (Mediaqua) ed alla Colmine (Culmen), ove si rinvengono bei cristalli di rocca e si vedon gli avanzi di un forte che sedeva a cavalcione della Valsassina e della Valbrembana. Di là si passa a Vedeseta, principio della Valtaleggio e dipendente dalla chiesa prepositurale di Primaluna, e quindi alle acque termali di San Pellegrino. Ma tornando in Valsassina si viene a Moggio, Concenedo, Cassina, nei cui territorj si cavarono miniere di ferro e di piombo, ed a Cremeno.

Antico e già più considerevol villaggio fu Cremeno molto dilaniato dai Guelfi e Ghibellini, nomi di funesta ricordanza a tutta l'Italia. Nella chiesa di San Giorgio, che è una delle più antiche parrocchiali della valle, vorrai vedere la più grande e meno danneggiata pittura del Borgognone. «Il piegar delle [217] vesti ornate di ricami d'oro improntati sul dipinto, qualche secchezza di contorni, l'esilità delle mani ricordano l'antica maniera, ma i volti sono tali, che fecero risguardare questo quadro per opera di Bernardino Luino. Coll'atto di osservarlo attentamente lessi a chiare note A. Borgognonus F. Anno MDXXXV.» (Ticozzi). Ora non si vede che l'anno ed è peccato che non si pensi a collocarla in miglior situazione e a garentirla dalle ingiurie del tempo. Nella peste del 1630 un Gian Ambrogio Arrigoni delegato della sanità per la Valsassina fece qui tanagliare e squartare alcuni suoi nemici accusandoli di untori.

Tra Cremeno e Barsio sopra un colle, d'onde si gode giocondissima veduta, una beata Guarisca Arrigoni nel 1408 eresse una chiesuola ed un ospitale detto Cantello pei pellegrini che andavano in Terra Santa, cangiato poi in convento di monache Agostiniane e distrutto dopo di aver servito di ricovero ai petecchiosi del 1817.

Barsio è il più bello ed allegro paese della valle. L'antica chiesa di San Giovanni, che nel 1288 era canonica, possiede un buon quadro creduto del Montalto. Quivi nacquero varj letterati distinti, fra cui il barnabita Giovenale Sacchi, che scrisse molte erudite opere sulla musica ed a cui la città di Bologna eresse un monumento, e la poetessa Francesca Manzoni, che morendo di 33 anni lasciava alcuni drammi ed una tragedia. Alla metà di settembre vi si tiene un mercato di bestiami e di squisitissimi formaggi del paese. Ultimamente a spese comunali si aprì una comodissima via carreggiabile che dal paese mette alla strada provinciale. Vogliano gli altri comuni imitare sì bell'esempio e più di essi lo voglia il [218] pubblico erario! Lungo la strada che mette ad Introbbio recentemente migliorata incontri la Bobbia, meraviglioso torrente che nell'estate impetuosamente sgorga da una caverna e nell'inverno esce più abbasso da un'altra. Più avanti trovi una bella cava di marmo nero finissimo, che somiglia il luculleo degli antichi.

Quasi dicontro a Barsio ed alla sinistra della Pioverna giace il popoloso Pasturo, supposta patria di Agnese nei Promessi Sposi e patria reale di Stefano Ticozzi, uomo che alla vastità delle cognizioni ed al finissimo gusto nelle arti belle univa molte doti del cuore. È villaggio di annerite case, ma la sua allegra situazione invita spesso a ricrearvisi i signori della valle. I vasti alpigiani provveduti di forse 400 cascine o baite, come qui le chiamano, somministrano abbondante pascolo a grosse bergamine, da cui si ricavano buonissimi stracchini. Nelle vicinanze trovansi arene da far cristalli, buone argille talvolta a pire, miniere di ferro spatico ed ocraceo, di piombo e d'argento ora abbandonate.

Poco discosto è Bajedo ignobile casale, ma pur noto nella storia dell'età di mezzo per l'inespugnabile sua rôcca, di cui rimangono pochi avanzi. Giaceva essa su quell'erto colle che si protende a serrare la valle in luogo fortissimo per natura e reso più forte dall'arte. Fu forse eretta dai Romani per chiudere il passo alle nordiche nazioni, che per la Valsassina scendevano nell'Insubria. Fervendo le guerre tra i Veneziani e Francesco Sforza, questo castello tenuto dai primi fu l'ultimo a cedere all'armi vittoriose del Duca, e quando Lodovico il Moro ed i Francesi si disputavano il dominio del ducato di Milano, un Simone Arrigoni astutamente levò dal [219] forte il presidio sforzesco e se ne fece padrone; ma a lui fu poi colla stessa arte ritolto dai Francesi, i quali, ogni genere di scelleraggini esercitando, mossero a sdegno gli abitanti, che nel 1513 ne smantellarono le mura.

Dalla cresta del monte scendevano le muraglie della rôcca fino al Ponte di Chiuso, ove talmente si ristringe la valle che appena lascia posto al letto del fiume, e qui pure una fortezza ne chiudeva il passo, per cui Chiuso si disse.

Introbbio (Introbium), capo-luogo della valle, situato fra i torrenti Acquaduro, Troggia e Pioverna, è paese antichissimo forse fondato dagli Orobj. È fama che nella più remota antichità sorgesse più in alto al luogo chiamato oggi la Pezza e che rovinasse per una frana distaccatasi dal monte. Nel 1493 un Alione ne riscuoteva le decime e al tempo che lo dominava Gian Giacomo De Medici il suo castello, di cui ora si ammira la capace torre, ebbe a sostenere varj assalti dai Grigioni, ma fu valorosamente difeso dai terrazzani. Nel 1635 il duca di Rohan, general francese, volendo tentare un'escursione nel Milanese, venne ad Introbbio e distrusse tutte le fucine dei projetti guerreschi, che qui si fondevano a favor degli Spagnuoli. La pretura, la commissaria, il collegio dei notari della Valsassina, le fucine e i forni di ferro e varie ricche famiglie rendevano per l'addietro assai vivo e commerciante questo luogo, e Paris Cattaneo Della Torre nel 1571 scriveva: «si trattano in questa terra assai mercantie di ferro, di panno, di grassine, di bestiami, di biade, di vini et altre cose, in modo, che per le mercantie et per la corte del Podestà vi è sempre [220] gran concorso di popolo come se si fosse in una città». Cessarono i forni, la pretura fu trasferita a Bellano, cioè portata dal centro al cerchio della valle, ed oggi solo vi risiede il commissario politico. Di bell'ornamento al paese saranno le cappelle che sta dipingendo il valente Ambrogio Ticozzi figlio dell'illustre Stefano. Qui nacquero lo scultor plastico Carlo Antonio Tantardini, che primo tentò ricondurre sul diritto sentiero la scultura da gran tempo traviata; Leone Arrigoni ambasciatore del Medeghino presso il Papa, i Veneziani e il Duca di Milano; e Marco Antonio Brugora pittore del sedicesimo secolo. Antica è la fiera di San Michele, ove si vendono bestiami e merci.

Vicino ad Introbbio è una delle più belle cascate, e vien chiamata il Paradiso dei cani. Le acque della Troggia cadono in angusto canale che l'acqua ha formato nel duro sasso, indi giunte ad un terzo dell'altezza sono ripercosse dallo sporgente scoglio, onde a rivi ed a spruzzi giù per l'altissimo precipizio piombano rumoreggiando in profondo bacino, di guisa che quando sono abbondanti le acque mandano gli spruzzi fino al ponte della strada maestra. Peccato che da questo luogo non si possa vedere tutta la cascata, perchè un fianco di monte ne sconde la miglior parte! Discreta cascata è anche quella dello Sprizzotolo presso il ponte di Chiuso.

Da Introbbio partonsi due strade, una asprissima che conduce nelle bergamasche valli Torta ed Averara, l'altra più comoda che s'addentra nella valle di Troggia. Se ti diletti di botanica, di mineralogia o d'insettologia, o se ti piace posar su vette dominatrici di lontani paesi, non t'incresca farvi una gita. [221] Per questa valle passarono molti eserciti e vi passò coi suoi Svizzeri il cardinal di Sion, che vi fu svaligiato da alcuni uomini di Barsio, Crandola e Vegno. Prima frammezzo al solitario silenzio di selve castanili, poi fra due montagne dipinte di sublime orrore giungi al pittoresco casale della Scala, ov'è il pegherolo, grossissimo pino che conta forse 15 secoli d'esistenza, e sempre secondando la Troggia, che di varie cascatelle s'adorna, arrivi alla Bocca di Biandino, ove alquanto si allarga la valle in bella veduta. Dall'una parte s'incurva ad anfiteatro una pascolosa montagna, dall'altra per singolar contrasto s'innalza un erto monte di cupi boschi di larice e di betulle, in mezzo alla pianura una chiesuola e numerose bande di mandriani, la Troggia che scorre tortuosamente e nel fondo della scena l'altissimo Pizzo dei Tre Signori, così chiamato perchè serviva a marcare i confini del ducato di Milano colla Veneta repubblica e coi Grigioni. Questi luoghi nutrono mille specie di rarissime piante tintoriali e farmaceutiche, la campanula Rainerii e rotondifolia, l'hicracium intybaceum e fallax, la draba aizoides, la saxifraga stellaris, il sedum saxatile, il peucedanum officinale, il ligusticum austriacum, il seseli montanum e moltissime varietà di genziana. Non lontano è il pescoso Lago di Sasso ed il castello Reino, sulle cui rovine saltellano i camosci. Qui, e principalmente nel vicino Varrone, il monte più fecondo di ferro, da molti secoli, e forse fino dai tempi di Roma, si va escavando la miniera di questo metallo. Per un intero giorno puoi aggirarti per entro le buje viscere del monte e non basta a vederne tutti i cunicoli. Di qui o si scende nella valle del [222] Bitto indi si va a Morbegno, oppure si viene a Premana.

Da Introbbio la strada provinciale mette a Pessina lasciando a dritta Vimogno rinomato per la frutta e poi le misere terre di Barcone e Gero.

Vedi tu quel largo dosso di sassi e ghiara, che dalle falde del franato monte si protende fin presso le rive della Pioverna? Quella è la tomba di 115 uomini, che sotto le proprie case ancor viventi con 400 bestie nel 1762 furono indistintamente sepolti. Pel gonfiamento delle acque sotterranee rilasciossi il terreno e via trascorse seco trascinando il paese di Gero, che si sfasciò quando giunse sul piano della Pioverna. A Barcone passava l'autunno il famoso medico conte Francesco Roncalli Parolino.

Pessina, che ha una miniera di rame, era il sobborgo di Primaluna, quando questa terra cinta da valide mura con sette porte ed un castello che la dominava era la residenza dei Torriani. Tranne la casa ora abbellita dal signor avvocato Torriani, non trovi un monumento, una lapide che ricordi i loro nomi; ma quasi sopra ogni porta vedrai scolpiti la torre, e il leone rampante, insegna dei Torriani e della valle. La chiesa prepositurale di Primaluna fin dal 1231 era collegiata ed aveva sotto di sè 27 chiese, fra cui quelle di Valtaleggio e valle Averara, che per un editto della repubblica Veneta furono unite alla diocesi di Bergamo nel 1788. Qui risiedeva un vicario dell'arcivescovo per render ragione al clero della valle e nel secolo XV. vi si teneva un mercato ebdomadario. Vi ebbero culla l'astrologo matematico e filosofo Filippo Cattaneo Torriano e Maffeo Cattaneo Torriano, detto il Paladino, prode capitano di eserciti.

[223]

A Cortabbio nel 1756 ritrovossi una preziosa lapide cristiana appartenente al 425, che fu diffusamente illustrata dal Roncalli Parolino. Essa dice:

B. M.
HIC REQUIESCIT
IN PACE FLORA
QUÆ VIXIT IN SECULO
ANNOS PLUS MINUS XXX
CESSIT SUB DIE XV
KAL APRILIS POST
CONS. CASTINI
V. C.

La Pioverna, che licenziosamente gli scorre ai piedi, gli ha involato un terzo delle case e metà della campagna, e minaccia altri disastri se con pronte misure non vi si provvede. Dicontro drizza la gigantesca fronte la nuda Grigna alta sopra il livello del mare metri 2422. Su quelle vette si trovano lumachelle e marmo occhiadino con corpi marini e vi sono vaste ghiacciaje contemporanee al monte, le quali forse danno origine al Fiume Latte, che nasce dalla parte opposta vicino a Varenna. Questi ghiacci talvolta si spezzano ed allora menano un fragore tale, che tutta la valle ne rintrona.

Seguendo la strada a dritta fra l'ombra dilettevole di silenziosi castagni, oppure traversando le Gere e passando per Prato San Pietro, ove sono indizj di miniere di ferro, di rame e di piombo argentifero, arrivi egualmente a Cortenuova.

Posto a bacìo del monte, poco sole gode nell'inverno il paese di Cortenuova, ma fresca vi è la temperatura anche nel più cocente luglio;

[224]

Nol turba del sole la fervida possa,

Che l'aura soave da' monti rimossa,

Vi aleggia uno spiro di mite respir,

E l'ombra ospitale dei lieti boschetti

Rattempra, sopisce l'affanno dei petti,

Diffonde nei cuori giocondo gioir.

A. I.

Il pretore d'Introbbio era obbligato dagli statuti della valle, a venirvi una volta alla settimana a render ragione. Qui nacque Pier Paolo Ormanico antiquario di Casa d'Austria ed autore di alcune opere storiche. Visiterai la bella fucina dei signori Maroni ed il vicino ponte della Rossiga. Cortenuova fornisce pietra ollare, sasso refrattario e marmi. Il lunedì successivo all'ultima domenica d'aprile si fa una fiera di merci e bestiami.

Se da Cortenuova vuoi recarti a Margno ed a Premana convien tener la dritta e passar vicino a Bindo, che pagava le decime alla mensa vescovile di Milano ed ove vuolsi che anticamente villeggiasse un arcivescovo.

A Taceno risiedeva il commissario politico prima che fosse trasferito ad Introbbio nel 1821. Qui pure due volte alla settimana doveva aprir giudizio il podestà della valle. Se vuoi godere di una veduta degna del pennello di Salvator Rosa, non t'incresca deviare per un quarto d'ora e recarti al ponte sulla Pioverna, ove il fiume s'incanala in profondissimi valloni a viva forza aperti dal continuo rodimento dell'acqua, per entro i quali mugghiando si aggira, finchè parte giunge a Bellano e parte si mesce al Lario per sotterranei anfratti. A Taceno, come anche a Parlasco, Vendrogno e Perledo, vi sono cave di arena cristallina.

[225]

Sopra Taceno sta fra le selve pittorescamente ascoso il casale di Vegno e più in su è Crandola, con una chiesa del XV. secolo adornata di alcuni discreti affreschi. Fra Crandola e Margno si rinvengono buone coti da rasoj.

Sulla strada di Taceno e Margno incontri Bagnala già villaggio di qualche considerazione ed ora, non si sa per qual disastro, è ridotto in un mucchio di case smurate e scoperte e cinge le mura intorno alta l'ortica.

Margno con una chiesa del secolo XI. sta in amena situazione e da lontano fa bella mostra di sè. Ma deh! lo guardi il cielo dal Bandito, montagna che gli sorge alle spalle e minaccia ad ogni istante di piombargli addosso. È patria di Marco Aurelio Grattarola autore di operette spirituali, principal promotore della canonizzazione di San Carlo e direttore della fabbrica del sacro monte di Arona. Qui comincia a farsi meno mite la temperatura in modo che non vi matura il melgone.

Entrasi nella valle Casarga, che congiunge la valle di Pioverna con quella di Varrone e riceve il nome dal villaggio di Casargo. Belle donne avrai già vedute quasi in ogni paese della valle, ma sopra tutte bellissime sono quelle di Casargo, Margno, Crandola e Vegno. Biondi capelli ed occhi cilestri come le Olandesi; rubicondo volto e tondeggiante petto, dono dell'aria sottile; vivacità e cortesia negli atti, privilegio delle Italiane, sono i caratteri del bel sesso di questi luoghi. Lungo la strada porrai mente ad alcune piante castanili di smisurata grossezza.

Disceso nella valle di Varrone e passato il ponte [226] gettat sopra un profondo abisso si sale per asprissimo sentieruolo all'alpestre Premana, rinomato per la grossezza e squisitezza delle sue rane. Nella chiesa di San Dionigi ricca di molte argenterie è un Sant'Ilario di Lattanzio Querena. Vi nacquero Giovanni Bellati e frate Girolamo Cotica, l'uno e l'altro buoni pittori. I pochi campi essendo molto acclivi, sono continuamente dilavati dalle pioggie ed è necessario ogni anno riportar la terra dal basso all'alto. Singolare è il dialetto premanese, singolare la foggia di vestire nelle donne. Portano esse un largo cappello di feltro, calze e calzoni rossi, veste rossa di mezzalana che giunge fino al ginocchio e da un lato tengono appeso un coltello. Un terzo degli abitanti è a Venezia a lavorar di ferrajo. Sotto i dirupi su cui è fondato il paese fra immensi macigni precipitoso il fiume Varrone discorre ed ivi sono i forni di fusione di ferro, dei quali solamente quello del signor Innocenzo Fondra è ora in attività. Nel letto di questa valle, la quale sbocca a Dervio, vi sono miniere di ferro, di rame, di piombo, marmo bindellino e cipollino, ardesia tegolare, e massi di granito di molta varietà.

Seguendo la correntia del fiume si va a Pagnona, ove finisce l'attuale Valsassina. Gli avanzi di una fortezza, che qui s'ergeva ti rammenterà il feudalismo non meno che le irate contese tra i Guelfi e i Ghibellini, di che fanno prova le armi e le ossa recentemente dissotterrate. Da Pagnona in sette ore agevolmente puoi salire sulla vetta del Legnone.

Superbo padre di cristalli azzurri

E pietre peregrine il capo alzando

Denudato alle nubi e sull'antico

Fianco di faggi educator primeggia

[227]

Sugli Italici monti, e dall'altera

Sublimissima cima i sottoposti

Ai pascoli montani ed al pendente

Gregge piani ineguali ei signoreggia

Di Valtellina, ed i beati clivi

Al generoso tralcio ed alla spica

Di Brianza gradite e le nevose

Balze d'Elvezia e i Longobardi campi[27].

Corbellini.

Per Sueglio, Vestreno e Introzzo si discende a Dervio. Ma ritornando a Margno ed avviandosi a Bellano per la Muggiasca si va ad Indovero, d'onde fu il dotto vescovo di Como Gian Ambrogio Torriano, e poi a Narro.

Inesio, Comasira, Vendrogno, Mornîco, Mosnîco, Bruga e Noceno casali sparsi qua e là sopra il monte Muggio compongon la Muggiasca, dove durante la guerra tra i Veneziani e Francesco Sforza ebbero lunga dimora alcune truppe ducali per opporsi alle mosse dei Veneti da questa parte.

[228]

Ma se da Cortenova vuoi recarti a Bellano calchi una strada taciturna e mesta, ma alquanto abbellita dal delizioso prospetto degli opposti già descritti villaggi di Taceno, Margno e della Muggiasca e giungi a Parlasco, che sta poco di sopra della via ed aveva un forte castello detto la Rôcca di Marmoro. Passi poi pel Portone, ove un'altra fortezza vietava il passaggio al nemico. Castelli, torri, muraglie erano a Ballisio, alla Colmine, al Ponte di Chiuso, al lago di Sasso, a Pagnona, ad ogni eminenza, ad ogni gola, tutta la valle era cinta di fortificazioni. Così gli Italiani rotti alle più lagrimande discordie munivano le città, munivano i villaggi e non seppero munir le Alpi. Nella chiesa del Portone è un buon quadro d'ignoto pennello. Una strada assai pendente e stretta ti conduce a Bellano in mezz'ora.

Da Parlasco e dal Portone si può andare ai due Esino, che stanno in alto sul confluente che guarda il Lario. Più abbasso è Perledo, che gode un estesissimo orizzonte ed ove la regina Teodolinda, dopo di aver rinunziato il trono al figlio Adaloaldo, ritirossi a vivere i vecchi giorni e vi fabbricò la chiesa prepositurale, in cui sono due quadri di Giovanni Bellati. Qui ebbero nascita i tre dotti fratelli Giambattista, Sebastiano e Faustino Faggi ed un pittor Fumeo, di cui vedrai un buon quadro nella chiesa di Gettana. Stanno attorno a Perledo i casali di Bologna (Bononia), Ghesazio, Regolo, Regoledo, Tondello, la torre di Vezio e Gettana, nel cui territorio passa la strada militare che mette allo Stelvio ed alla Spluga. Qui erano un forte ed un molo e qui finisce la Valsassina.

FINE.

[229]

INDICE DEI CAPITOLI.

Dedica Pag. III
Ai lettori V
Brevi notizie storiche della Brianza 9
Cenni statistici 29
Capitolo I. Monza 53
  II. Il Parco reale 60
  III. Da Monza a Merate per la via militare 63
  IV. Da Merate a Brivio per la via militare 79
  V. Da Brivio a Lecco 92
  V. Il ramo di Lecco 105
  VI. Da Monza a Monticello 111
  VI. Da Monticello ad Oggiono 130
  VII. Da Lecco ad Erba 149
  VIII. Da Erba a Paina 176
  IX. Da Paina a Monza 192
  X. Una corsa nella Vallassina 200
  XI. Strada Alzaja 209
  XII. Una corsa nella Valsassina 213

INDICE ALFABETICO DEI PAESI.

Abbadia, pag. 39, 106.

Acquate, 39, 104.

Adda, 31.

Agliate, 11, 12, 13, 15, 21, 190.

Airuno, 36, 92.

Aizuro, 82.

Albese, 176.

Alserio, 32, 164, 165, 175.

Alzate, 37, 178.

Annone, 32, 33, 148, 164.

Anzano, 175.

Arcore, 42, 66.

Arlate, 30, 88.

Arosio, 189.

Asso, 12, 36, 37, 38, 41, 42, 205.

Averara, 220, 222.

Bajedo, 218.

Ballabio, 215.

Bellisio, 215.

Barcone, 222.

Barlassina, 181.

Barni, 208.

Barsio, 217.

Barzago, 138.

Barzanò, 10, 14, 43, 130.

Bellagio, 41, 107, 108.

Bellano, 31, 41, 109.

Bernareggio, 69.

Bernaga, 69.

Besana, 12, 39, 43, 129.

Bevera, 32, 138, 165.

Beverate, 10, 30, 83, 92.

Bevolco, 81.

Biassono, 112.

Bologna, 109, 228.

Bosisio, 162.

Brenna, 10.

Brenno, 10, 163.

[230]

Brianzola, 30.

Brivio, 13, 16, 17, 18, 30, 32, 34, 35, 37, 38, 43, 83.

Brongio, 139.

Buccinigo, 174.

Buco del Piombo, 172.

Bulciago, 14, 138.

Buttero, 83.

Cabiate, 180.

Caglio, 207.

Calco, 79.

Callusco, 91.

Calolzio, 94.

Camnago, 176.

Campo Fiorenzo, 119.

Canonica, 112, 211.

Cantello, 217.

Cantù, 21, 34, 35, 37, 38, 39, 43, 178.

Canzo, 31, 34, 35, 36, 38, 41, 43, 203.

Caprino, 91.

Carate, 11, 37, 21, 38, 41, 43, 190.

Caraverio, 145.

Carcano, 12, 13, 175.

Carimate, 12, 180.

Carnate, 69.

Carsaniga, 39, 40, 72.

Casargo, 225.

Casate nuovo, 121.

Casate vecchio, 128.

Casiglio, 174.

Casirago, 14, 125.

Casletto, 163.

Caslino, 201.

Cassago, 10, 14, 135.

Cassano d'Erba, 176.

Cassano, 17, 18, 33, 35, 38, 40, 41, 44, 212.

Cassina, 216.

Castagna (San Gio.), 105, 214.

Castello, 103, 214.

Castel Pirovano, 126.

Castelmarte, 114.

Cereda, 139.

Cernusco Lombardone, 13, 70.

Cesana, 154.

Chiuso, 216, 219.

Cicognola, 79.

Cisano, 91.

Civate, 11, 12, 36, 151.

Civenna, 11, 14, 208.

Concenedo, 216.

Concesa, 40, 211.

Contra, 126.

Corezzana, 119.

Cornate, 33.

Corni di Canzo, 31, 107.

Cortenuova, 223.

Cortabbio, 223.

Crandola, 225.

Cremella, 11, 14, 135.

Cremeno, 216.

Cremnago, 188.

Crevenna, 171.

Crippa, 138.

Cuciago, 14.

Desio, 16, 19, 21, 37, 38, 41, 46, 194.

Dolzago, 146.

Ello, 145.

Erba, 13, 38, 31, 34, 35, 37, 48, 167.

Esino, 228.

Fabbrica, 175.

Fecchio, 178.

Fiume Latte, 108.

Galbiate, 36, 44, 95.

Galgiana, 120.

Galliano monte, 95.

Galliano, 10, 30, 179, 203.

Garbagnate Rota, 163.

Garlate, 95.

Genesio (San), 30.

Germagnedo, 104.

Gernetto, 112.

Gero, 222.

Gherghentino, 93.

[231]

Giussano, 21, 189.

Grigna, 31, 223, 227.

Grignone, 109.

Imbersago, 30, 90, 209.

Incino, 12, 20, 36, 37, 166.

Indovero, 227.

Intimiano, 180.

Introbbio, 34, 35, 36, 38, 44, 219.

Inverigo, 25, 36, 181.

Lambro, 31, 208.

Lambrugo, 44, 181.

Laorca, 39, 104, 214.

Lasnigo, 208.

Lecco, 11, 13, 18, 19, 24, 25, 31, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 42, 44, 98.

Legnone, 221, 226, 227.

Lesmo, 117.

Lezza, 201.

Lierna, 108.

Limonta, 11, 14, 107.

Lissone, 199.

Lomagna, 12, 37, 69.

Longone, 203.

Lurago, 181.

Macherio, 112.

Maddalena, 106.

Maggianico, 94.

Maggio, 216.

Magreglio, 31, 188, 208.

Malgrate, 149, 165.

Mandello, 12, 106.

Maresso, 14, 126.

Margno, 225.

Mariano, 10, 12, 21, 33, 36, 37, 39, 180.

Masnaga, 44, 141.

Meda, 44, 181.

Medolago, 92.

Merate, 14, 35, 36, 44, 72.

Merone, 216.

Mevate, 167.

Misericordia, 126.

Missaglia, 12, 24, 34, 35, 36, 37, 38, 45, 126.

Moggio, 216.

Mojana, 163.

Molgora, 32.

Molteno, 146, 165.

Moncodeno, 31.

Monguzzo, 14, 22, 164, 165.

Monticello di Rovagnate, 142.

Montorfano, 32, 176.

Montorobbio, 33, 77.

Monte, 30, 129.

Monte di Brianza, 30, 145.

Monza, 11, 14, 18, 30, 39, 40, 42, 45, 53.

Montebaro, 11, 30, 96.

Montereggio, 130.

Montevecchia, 30, 33, 70.

Monticello, 14, 45, 123.

Muggiasca, 227.

Muggiò, 200.

Narro, 227.

Nava, 143.

Naviglio, 209.

Naviglio di Martesana, 32.

Naviglio di Paderno, 32.

Nibionno, 141.

Nobile, 165.

Novate, 21, 78.

Novedrate, 180.

Oggiono, 10, 14, 26, 30, 34, 35, 36, 37, 38, 45, 150.

Olcio, 108.

Olgiate, 83.

Olginate, 32, 37, 45, 93.

Onno, 107.

Oreno, 68.

Orrido di Bellano, 109.

Orsenigo, 13, 177.

Osnago, 14, 69.

Paderno, 25, 77, 209.

Pagnano, 75.

Pagnona, 226.

Paina, 191.

Paolina (Villa), 150.

Parabiago, 15.

Paradiso, 209.

[232]

Paravicino, 174.

Parco reale, 60.

Parè, 107.

Pasturo, 218.

Peregallo, 21, 117.

Pérego, 14, 128, 139.

Perledo, 11, 108, 228.

Pescarenico, 32, 100.

Pescate, 14.

Pessina, 222.

Piano del Tivano, 207.

Pioverna, 32, 215, 219, 223.

Pirovana, 69.

Pizzo dei tre Signori, 31, 221, 227.

Pomerio, 174, 215.

Ponte, 201.

Pontida, 91.

Porchera, 33, 82.

Premana, 224, 226.

Primaluna, 14, 37, 202, 222.

Proserpio, 202.

Pusiano, 31, 32, 33, 36, 157, 164.

Resegone, 101, 227.

Rezzago, 207.

Robbiate, 30, 77.

Robiano, 21, 190.

Rogeno, 163.

Rogolea, 120.

Romanò, 46, 188.

Rovagnate, 11, 30.

Sabbioncello, 14, 36, 75.

Sala, 151.

Samarino, 141.

San Genesio, 30, 81, 93.

San Giacomo (convento), 123.

San Gio. alla Castagna, 103.

Santa Maria della Noce, 36, 183.

San Miro, 204.

San Rocco, 74.

San Salvadore, 170.

Santa, 64.

Santa Maria Hoè, 36, 142.

Sartirana, 32, 74.

Segrino, 32, 203.

Seregno, 45, 192.

Seveso, 32, 37.

Sirone, 14, 164.

Sirtori, 134.

Soldo (Villa), 177.

Somasca, 94.

Sormano, 39, 207.

Subaglio, 74.

Suello, 153.

Tabiago, 16.

Taceno, 224.

Tassera, 13, 174.

Tegnone, 82.

Tignoso, 126.

Torrevilla, 125.

Trezzo, 12, 17, 18, 19, 20, 32, 210.

Triuggio, 121.

Usmate, 67.

Valbrona, 203, 206.

Valcasarga, 214.

Valgherghentino, 93.

Valle dell'Oro, 153.

Valle di Rovagnate, 142.

Valle di Varrone, 214, 225.

Valmadrera, 30, 31, 39, 150.

Val Sanmartino, 91.

Vaprio, 17, 18, 40, 45, 211.

Vassena, 107.

Vedano, 112.

Vedeseta, 216.

Veduggio, 139.

Velate, 14, 66.

Vendrogno, 39, 221.

Verano, 21, 34, 35, 38, 190.

Verderio, 25, 76.

Vertemate, 178.

Vicino, 203, 206.

Viganò, 36, 45, 127.

Vighizzolo, 180.

Villa Albese, 46, 176.

Villadadda, 90.

Villincino, 10, 166.

Villa Romanò, 188.

Vimercate, 11, 21, 34, 35, 36, 37, 38, 42, 45, 68.

Vimogno, 222.

LA BRIANZA E LUOGHI CIRCONVICINI

Vedi la carta in sezioni.

NOTE:

1.  Il decreto originale col nome di tutte queste famiglie leggesi nelle Vicende della Brianza. Tom. I. pag 169.

2.  

Distanza dalla meridiana di Milano in Klafter.
 
Grigna 7999.5 28675.3
Legnone 9090.4 36972.3
Monte Albenza 13450.3 18766.6
Montevecchia 7616.5 4151.4
Carate campanile 1867.9 12450.6
Cantù idem di San Paolo (-2543.6) 16142.3
Cavenago campanile 7239.6 7102.6
Capriano idem 2698.0 15111.1
Desio idem 685.0 8956.6
Lecco idem 8079.3 23006.6
Monza idem 3437.9 7011.9
Seregno idem 590.7 10919.2
Villalbese idem (-120.7) 19847.9
Merate torre Prinetti 9229.2 13721.2

3.  La posta è calcolata di circa 8 miglia, il miglio comune è la 60.ª parte d'un meridiano, e corrisponde a metri 1851,85 centesimi.

4.  Memorie storiche della chiesa monzese dello Zucchi. — Memorie storiche di Monza e sua corte del Frisi.

5.  Fra i doni di Dio offre Teodolinda regina gloriosissima dei Longobardi a San Giovanni Battista nella basilica da lei fondata in Monza presso il suo palazzo.

6.  Qui riposa quel grande architetto, divoto maestro Matteo da Campione, il quale dianzi di questa sacrosanta chiesa la facciata edificò, il pulpito e il battisterio, e morì l'anno del Signore 1396 ai 24 di maggio.

7.  1293 mese di giugno..... sotto il governo del nobile e potente militare signor Pietro Visconti podestà del borgo di Monza fu fatto questo edificio.

8.  Il primo orologio fu posto a Milano nel 1339, il secondo a Padova nel 1344, onde quello di Monza verrebbe ad essere il terzo.

9.  Grossi, Marco Visconti. Capitolo VII.

10.  Il celebre annalista milanese Giulini che qui villeggiava, trovata in questa chiesa una lapide, la illustrò con una memoria inscritta nella Raccolta Milanese, che dice:

JULIÆ DRUSILLÆ
GERMANICI CESARIS F.
C. CESARIS AUG.
GERMANICI SOROR.
D. D.

11.  A Montevecchia si fanno i caccini che sotto nome di Formaggin de Montaveggia, fanno parte del commercio brianzuolo.

12.  Ad Andrea Vanalli oblato, eruditissimo di lettere e di scienze sacre, scrittore altresì in versi ed in prosa purgato, quindi trascelto a reggere questa parrocchia, chiuse santamente una vita spesa in opere molteplici l'anno 1833 d'anni 79, di cura 37, padre dei poveri e della patria, proclamato da tutto il suo gregge che lo circondava piangendo, con ispontanee offerte i Meratesi posero.

13.  I greci chiamarono Orobj gli originarj in queste sedi, quindi un tal nome rimane al colle ed al sottoposto casale.

14.  È opinione che Brivio si estendesse anche al di là dell'Adda e che la cappella di Sant'Ambrogio collocata ad un quarto di miglio sulla sinistra del fiume ne fosse l'antica plebana. Ma il canonico Lupo sostenendo la prima, nega la seconda opinione. «Sappiamo, egli dice, che San Sempliciano depositò nella chiesa di Brivio i cadaveri de' martiri Sisinio, Martirio ed Alessandro, e ciò o vivente ancora Sant'Ambrogio o poco dopo la sua morte. Sarebbe quindi probabile che la chiesa in cui furono depositati fosse appunto quella che porta il titolo di questi Santi, e che è appunto l'odierna parrocchiale». Quanta forza sia in tale raziocinio, giudichino i lettori. Diremo invece che nel secolo XIII.º, a quanto pare, la città di Bergamo avea qualche giurisdizione su questa terra, poichè negli statuti di quella città, compilati sulla metà di quel secolo, il podestà di Bergamo giura «se alcun luogo o comune appartenenti per diritto alla sua podesteria fosse in pericolo, e principalmente Brivio colle sue attinenze, egli fedelmente cercherebbe ricuperarlo e ritenerlo; il che rinfranca la credenza di chi stima che una parte d'esso fosse collocata sulla riva sinistra dell'Adda. Degli antichi bastioni di Brivio sarebbe forse una reliquia il nome di Mura dato ad un gruppo di case sulla riva bergamasca? Ora del borgo non rimane che la porzione sulla sponda destra del fiume, e sulla tomba del resto corre l'aratro e crescono le biade; pochi ruderi e qualche ossa sono la sua lapide sepolcrale, ed una confusa tradizione è la sua storia». Vicende della Brianza.

15.  La libertà, che mal si vende per tutto l'oro, con fatica, contesa e danaro acquistata, al borgo di Galbiate ed alle terre convicine per decreto regio finalmente arrise. Felice il 17 di giugno dell'anno 1654 in cui scosso il giogo dell'infeudazione e d'ogni inferiore giurisdizione, questo popolo sotto la vicaria podestà del potentissimo re delle Spagne e del milanese senato direttamente si pose. La memoria di tanta redenzione privatamente conservata nelle autentiche scritte di Francesco Giorgio Ottolino notajo della regia camera ducale, viene commessa pubblicamente alla custodia di questa lapide il giorno 18 settembre 1761.

16.  Quest'acqua scaturisce in val di Brugora a piè del monte di Casate Nuovo, scorrendo entro a condotti per cinque miglia giunge fino al Gernetto.

17.  Luca della Robbia scultore fiorentino del secolo XIV.

18.  Si trova qui un gruppo del cavalier Fabris, rappresentante l'Addio d'Ettore ad Andromaca.

19.  Tradotti dal signor G. A. Maggi colla seguente fedele versione:

Tre figli mi rapì sorte funesta,

Poi la moglie, or la figlia; ahi! che mi resta?

Deh! salir possa al vostro albergo anch'io,

Anime care, a rivederci in Dio!

20.  V'ha chi crede Barzanò fabbricato dagli abitatori della distrutta Barra e perciò detto Bara nova, poi Barzanova, poi Barzanò. Ma la prova sta tutta nel Bar in luogo di Bara, e nel No in vece di nova. Lettori dite voi che cosa diverrebbe la storia appigliandosi a queste miserie?

21.  R. D. Giovanni Domenico Cruceolano, volgarmente De-Cuzzolano, figlio del signor Giovanni Battista, prefetto generale della disciplina ecclesiastica; dei conventi di Santa Redegonda, Sant'Agostino, di Porta Lodovica, di San Filippo Neri, e di altri protettore; di questo tempio e del popolo esimio e perpetuo benefattore, morto in età di 78 anni il 29 maggio 1684.

22.  Questa chiesa ha la lunghezza dal centro del coro al soliare della porta maggiore di braccia 90; l'altezza dal pavimento alla vôlta di braccia 50.

23.  Storia de' progetti e delle opere per la navigazione del milanese, pag. 253.

24.  Rocco Marliani, figlio di Pietro milanese, ampliato l'edificio dell'antico convento, eresse, ornò la villa da chiamarsi Amalia dal nome della carissima consorte 1801.

25.  D. O. M. — Ugone Franc.º Functo — Esecrandi hostis — Ærumnis ecclesiæ — ineundo bello — hierosolyma Red — ucitur jam Nicea — Nicomedia Antiochia — Bisantio Vanei Fin — Boemon Tanc Bald — Redeun Trand com — Goffredus regens — Palestina gloria — Onusto mortuo in — Sanguine patriæ — Ossibus restitutis — Ubaldo Prinæ — duci fido socio — Rinaldo Estensi — Ferrariensi principi — M.

26.  Ripetiamo che di questa corsa ci fu cortese il signor Giuseppe Arrigoni, come già avvertimmo nella prefazione.

27.  Ecco la principale altezza dei monti presa sopra il livello del mare Adriatico.

Grigna meridionale metri 2196
Grigna settentrionale » 2422
Legnone » 2834
Pizzo dei Tre Signori » 2398
Resegone di Lecco » 1892

I monti della Valsassina sono i più alti della provincia di Como ed il Legnone è più alto anche dello Stelvio. Nota il Pini, che, prescindendo dall'elevatezza del suolo su cui sono posti, i monti Pitchincha, Coraçon e Buet sono meno alti del Legnone. Il Legnone poi è quello che mostra maggior perpendicolo fra tutti i monti d'Europa.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.

Di seguito è presentata la cartina suddivisa in sezioni per facilitarne la lettura.

La Brianza - sez. 1

La Brianza - sez. 2

La Brianza - sez. 3

La Brianza - sez. 4

La Brianza - sez. 5

La Brianza - sez. 6

La Brianza - sez. 7

La Brianza - sez. 8






End of Project Gutenberg's Guida pei monti della Brianza, by Ignazio Cantù

*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK GUIDA PEI MONTI DELLA BRIANZA ***

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TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE
LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR
INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH
DAMAGE.

1.F.3.  LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a
defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can
receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a
written explanation to the person you received the work from.  If you
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your written explanation.  The person or entity that provided you with
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providing it to you may choose to give you a second opportunity to
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is also defective, you may demand a refund in writing without further
opportunities to fix the problem.

1.F.4.  Except for the limited right of replacement or refund set forth
in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS' WITH NO OTHER
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WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.

1.F.5.  Some states do not allow disclaimers of certain implied
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If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the
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provision of this agreement shall not void the remaining provisions.

1.F.6.  INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the
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providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in accordance
with this agreement, and any volunteers associated with the production,
promotion and distribution of Project Gutenberg-tm electronic works,
harmless from all liability, costs and expenses, including legal fees,
that arise directly or indirectly from any of the following which you do
or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm
work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any
Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.


Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of computers
including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists
because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.
To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.


Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive
Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541.  Its 501(c)(3) letter is posted at
http://pglaf.org/fundraising.  Contributions to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.
Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
throughout numerous locations.  Its business office is located at
809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email
business@pglaf.org.  Email contact links and up to date contact
information can be found at the Foundation's web site and official
page at http://pglaf.org

For additional contact information:
     Dr. Gregory B. Newby
     Chief Executive and Director
     gbnewby@pglaf.org


Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment.  Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements.  We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance.  To
SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any
particular state visit http://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make
any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States.  U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses.  Donations are accepted in a number of other
ways including checks, online payments and credit card donations.
To donate, please visit: http://pglaf.org/donate


Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic
works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm
concept of a library of electronic works that could be freely shared
with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project
Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.


Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.
unless a copyright notice is included.  Thus, we do not necessarily
keep eBooks in compliance with any particular paper edition.


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     http://www.gutenberg.org

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