The Project Gutenberg eBook, Paolo Pelliccioni, Volume I (of 2), by Francesco Domenico Guerrazzi

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Title: Paolo Pelliccioni, Volume I (of 2)

Author: Francesco Domenico Guerrazzi

Release Date: April 10, 2013 [eBook #42502]

Language: Italian

Character set encoding: UTF-8

***START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK PAOLO PELLICCIONI, VOLUME I (OF 2)***

 

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Copertina

PAOLO PELLICCIONI

RACCONTO STORICO

DI

F. D. GUERRAZZI.

VOLUME PRIMO.

MILANO,

CASA EDITRICE ITALIANA DI M. GUIGONI.

Corso di Porta Nuova, N. 5.

1864.


Dritti di traduzione e riproduzione riservati.

NB. Tutte le copie non munite della firma dell'editore verranno considerate come contraffatte.

Presentata alla R. Prefettura di Milano il 10 agosto 1864.

Tip. Guigoni.


INDICE.

DEDICA  Pag. v
CAPITOLO I. Sisto Quinto e il conte Olivarez 9
» II. Paolo Pelliccioni 49
» III. Il Bandito e il Bargello 74
» IV. La donna superba 132
» V. Contradizioni 156
» VI. Nuove contradizioni 173
» VII. È morta 212
» VIII. Sangue romano 250
» IX. Il Cardinale 306

ALL'AMICO DI GIACOMO LEOPARDI,

ALLO SCRITTORE DI GINEVRA

ANTONIO RANIERI

CHIARO

PER DOTTRINA NON MENO CHE PER RETTITUDINE,

IN TESTIMONIANZA DI MUTUA AMICIZIA,

QUESTO RACCONTO INTITOLA

F. D. GUERRAZZI.

[9]

PAOLO PELLICCIONI.


CAPITOLO PRIMO.
Sisto Quinto e il conte Olivarez.

— Santità, le faccio umilissimamente considerare come, da un'ora e più, con la reverenza debita al Vicario di Gesù Cristo redentore sopra la terra, le sia venuto esponendo il profondo disgusto del mio signore e padrone, Sua Maestà Cattolica, non che la repugnanza di tutto l'illustrissimo ed eccellentissimo clero di Spagna per questa sua ultima bolla, la quale giudichiamo perniciosissima alla quiete della santa madre Chiesa. Noi pertanto, con le mani giunte, la supplichiamo e scongiuriamo [10] a porre giù dall'animo siffatto funesto disegno: ad ogni modo la prego, e riprego, sicchè il priego valga mille, a degnarsi di una qualche risposta, affinchè, caso mai (il che Dio tolga) alla Vostra Beatitudine talentasse ostinarsi nello scandalo, Sua Maestà il Re mio signore e padrone possa pigliare nei suoi stati i provvedimenti, che il suo zelo per la religione, e l'autorità della propria corona, la quale egli ricava direttamente da Dio, gli persuaderanno essere meglio opportuni. —

E qui colui che favellava tacque, ed aspettò buona pezza, tuttavia invano: allora con voce tremula, come chi si tenga per non dare di fuori, egli soggiunse:

— Dunque, nonostante le mie fervide, e ad un punto ossequiose istanze, la Santità Vostra non giudicherà dicevole di porgermi risposta? Si degni avvertire, Beatissimo Padre, il corriere per la Spagna sta su le mosse per partire ed aspetta i dispacci, sicchè si riscuota una volta; che medita adesso? A che pensa? —

Così favellava, secondo il costume della [11] sua Corte, prolisso e sazievole[1] il conte Olivarez ambasciatore spagnuolo a Roma, superbissimo tra i superbi idalghi del suo paese; e quantunque la forma delle parole, e gli atti del corpo comparissero quali il più fisicoso dei cerimonieri del Papa non avrebbe trovato da appuntare, o avrebbe ripreso poco, pure aveva creduto bene arrestarsi sul terzo punto interrogativo, essendo simili punti per propria indole assai sdrucciolevoli alla provocazione.

Veramente non gli si avrebbe potuto dare torto, dacchè il Papa, al quale egli volgeva il discorso, gli stesse davanti immobile e taciturno, come se non si fosse nè manco favellato a lui.

Il Papa era Sisto V che gli dava udienza, il quale secondo il suo costume, tenendosi nè appoggiato nè seduto alla estrema sponda del tavolino con le braccia aperte, e le mani ferme sopra lo spigolo di quello, mentre con ambo li piedi tesi puntava forte il pavimento: il capo aveva chino, e gli occhi chiusi, nè l'alito stesso lo chiariva vivo, senonchè, alle parole ultime del Conte, egli schiuse l'occhio destro, e lo [12] guardò a stracciasacco quattro volte e sei; quando poi costui ebbe finito, Sisto, quasi tirasse co' denti le parole, disse:

— Ambasciatore, noi pensavamo tra noi, che cosa avremmo guadagnato da un lato, e che cosa perduto dall'altro, facendovi gettare giù su la strada da quella finestra, che avete dietro le spalle.....

Il Conte si voltò di un tratto senza nè anco volerlo, e con terrore si vide dietro una finestra; il Papa, non avvertendo cotesto moto o non lo curando, ripigliava sempre tranquillissimamente:

— E se volete accettare un nostro consiglio, noi, mirate, vi diremmo che ve ne andaste prima che noi avessimo fatto il conto, — perchè, cæteris paribus, mettiamo pegno che in noi la vincerà il gusto di vedere che garbo faccia un ambasciatore di Sua Maestà Cattolica volando per aria. —

Il Conte, curvo fin lì come arco teso, si raddrizzò pari a quello, dopo scoccata la freccia, e, rinvenuta barellando la porta, se la svignò: ricuperato, appena fuori della sala, l'uso delle gambe, correva, correva come se il diavolo lo cacciasse, o gli sbirri [13] lo cercassero, e, nella fuga disonesta, dimenticava spada, cappa e cappello lasciati nelle mani dei camerarii del Papa, i quali, correndogli dietro, non lo poterono arrivare prima ch'ei salisse in carrozza, sicchè ebbero a riportarglieli a casa.

Giunto al palazzo di Spagna, si provò il Conte di vincere la paura con la superbia, e non vi riuscì; anzi l'una e l'altra gli dettero travaglio per guisa che, indi a breve, gli si mise il ribrezzo della febbre addosso, a cui successero le caldane; le quali sempre crescendo lo costrinsero di cercare a tastoni il letto, e a giacervisi sopra, dove prese a vagellare con inestimabile sgomento dei famigliari, che lo giudicarono ammattito: di fatti, egli urlava:

— A me queste cose? A me, ambasciatore di Sua Maestà Cattolica, primo potentato dei due mondi?... Ale! ale! per Dio datemi l'ale, o casco, e mi rompo il collo... mirate come sono alte le finestre... corda! corda! Ma che il padre di questo Papa fosse un funaiolo, ch'egli è così innamorato delle funi?... Non gli basta mandare [14] tanta gente in su, che adesso lo piglia la smania di mandarne altrettanta in giù...? Con questi preti ci vuole un principe di Borbone, a patto che non moia... un duca di Alba, purchè sul più bello non venga richiamato.... Voto a Dio, datemi, Maestà, quattro vecchie bande di Spagnuoli, ed io vi porto il porcaio della Marca a Madrid dentro una gabbia....

Tali e molte più erano le parole del vaneggiante, di cui forse ne riferimmo anco troppe. I famigliari lo vigilarono attorno al letto, non sapendo però come sovvenirlo, o piuttosto lo aiutavano troppo, perchè ci era di quelli che lo credevano stregato, altri indemoniato, non mancava chi sostenesse, che voleva dire lo stesso, ma il Cappellano dell'Ambasciata ostava con tutte le forze, e gratificava in tondo dell'ignorante a tutto pasto; però non persuadeva, o persuadeva pochi, e parendo il caso grave, chi gli applicò sul capo la immagine della Madonna del Pilar, e chi quella di Monserrato; altri, riveriti come si doveva i rimedi spirituali, ammonivano sarebbe stato prudente ricorrere ai materiali, [15] epperò il segretario lo copriva per farlo sudare, il cancelliere lo scopriva per amministrargli un cristeo; taluno avvisava cavargli sangue, tale altro applicargli le coppette a taglio; insomma, se il povero Conte non rinveniva gli spiriti, la quale cosa accadde verso la metà della notte, restava sepolto sotto la mole dei rimedi così temporali come spirituali.

Sul far del giorno la febbre efimera cessò, ma intronato dalla radice dei capelli fino alle ugne dei piedi, non ebbe balía di levarsi da letto: pauroso però, che della sua paura traspirasse novella, sotto pena di essere cacciati via come marrani, ordinava alle persone della famiglia tacessero il caso; se taluno veniva per esso, lo congedassero col pretesto, che avendo logora gran parte della notte a dettare dispacci, si era addormentato sul fare del giorno; lo avrebbe ricevuto il dì di poi; per ora lo lasciassero in riposo.

Così il Frascatino, soprannome del barbiere dell'Ambasciata (però che l'Ambasciata avesse il barbiere, e non l'ambasciatore), malgrado il suo molto arrovellarsi, [16] non ottenne di vedere il Conte, nè riuscì a cavare una parola di bocca ai servitori; tornasse il giorno dopo, gli dissero quattro volte e sei, allora saprebbe se avesse a radere la barba al Magnifico, o no.

Frascatino se ne andava con sembianza compunta: giunto a piè della scala, gli venne voglia di tentare una seconda volta, e ne salì mezza; ma quivi stette, e considerato che quanto a cocciutaggine gli Spagnuoli escono tutti dall'Andalusia, madre patria dei migliori muli che vanti la Spagna, avvilito riscese.

Alla dimane si trovò in piedi al punto stesso che l'allodola spiegava l'ale per lasciare il nido; fattosi presso al palazzo e trovatolo chiuso, si mise a passeggiare su e giù col moto del pendolo, e appena aperto il portone s'intromise: per questa volta gli camminava amica la fortuna, imperciocchè, come tosto fu avvisato il Conte della sua presenza, comandò che entrasse.

Entrava il Frascatino a testa bassa, e dopo avergli baciato con profondo ossequio [17] le mani, di un tratto gli ficcò gli occhi dentro al viso. Misericordia! Comecchè gli fosse sempre comparso colore di olio di noce vieto, adesso poi gli appariva tinto di verde rame stemperato nel tôrlo di ovo.

Ad un barbiere allora veniva mala pena concesso di augurare il buon giorno ai nobili clienti, però egli in silenzio ammannì gli arnesi, allacciò la striscia alla seggiola, gli strinse il bavaglio alla gola, della spuma del sapone sbattuto gl'intrise le gote, prima passò il rasoio sul cuoio, poi sul palmo delle mani, e con l'indice e il pollice tirata la pelle verso la tempia destra, prese a menare giù col rasoio. Da prima il dabbene barbiere s'industriò di attaccare il lucignolo col raderlo lieve così ch'era una delizia, e non venne a capo di nulla; allora mutato registro gli fece stridere il rasoio sopra le guancie, e il Conte apriva e chiudeva gli occhi strabuzzati come uomo preso dal male di santo Antonio, come credo io avesse a fare la Madonna di Rimini in tempi assai prossimi a questi. Qualche grossa lacrima sgorgatagli [18] dalla congiuntiva scendeva giù a mescolarsi con la saponata, e nondimanco taceva; il Frascatino stava per darsi alla disperazione, quando a mezza barba, il Conte così facendo lo svogliato cominciò:

— Orsù, barbiere, che nuove in città?

— Magnifico signor Conte, e' si fa un gran dire della sua infermità....

— Malato io? Per la vita del re don Filippo io non mi sono mai sentito bene disposto della persona come adesso....

— Capisco anch'io che sbalestrano a parole, e tuttavia la faccia pallida e il lividore degli occhi mostrano espresso che vostra signoria illustrissima ha passata la trista nottata.

— Ma no... ma no pei grani del mio santo Rosario... questo accade per non avere chiuso gli occhi da ieri l'altro in qua.

— Capisco....

— Avendo mestieri di spedire i dispacci in Ispagna...

— Capisco.... capisco: dopo il caso di vostra signoria illustrissima che adesso, mercè le sue parole, conosco privo di [19] fondamento, non si cessa di menare rumore per l'altro atrocissimo d'ieri....

— Ieri accadde un caso atrocissimo?

— Già! O non gliel'hanno riportato?

— Vi ho detto, che rimasi tutto il giorno chiuso a dettare dispacci....

— Ma io credeva, che i dispacci si versassero appunto su questo....

— O com'entrano i dispacci di Spagna col caso d'ieri....?

— Come ci entrano? Santa Vergine della Neve! o non si tratta appunto di Spagnuoli trucidati?

— Spagnuoli trucidati!

— Già, e quattro cardinali spagnuoli tenuti in pregio, salvo rispetto, di quattro melanzane....

— Giuro per l'anima della Contessa mia signora madre, ch'è in paradiso, ch'io non ne so nulla....

— O allora di che mai scriveva dispacci, sia benedetto, vostra signoria illustrissima?

L'ambasciatore si sentì vinto di acutezza dal barbiere, e perse la bussola; tacque alcun poco, poi, considerando che ormai non giovava armeggiare, datosi per vinto, soggiunse: [20] — Dimmi, in tua malora, che caso è questo che accadde?

— Io la servo in quattro battute, padrone illustrissimo: un trabante del Papa, di quelli che dicono alla gente addietro te, e il muro, giorni sono, accompagnando il Pontefice alla cappella, diede senza discrezione del calcio dell'alabarda sul piede ad uno spagnuolo chiamato Gonzalez de Aranda; donde nacquero parole, ma non si procedè oltre, stante la reverenza del luogo; caso volle, che ieri mattina, recandosi lo spagnuolo alla messa in San Pietro, s'imbattesse nello svizzero, che se ne stava in ginocchioni davanti l'altare; la s'immagini se allo spagnuolo brillarono le mani! Già, quando le disdette hanno da succedere, anco gli agnus dei diventano coltelli; per la quale cosa avvenne, che un pellegrino lì presso, inteso tutto a sentire la santa messa, avesse appoggiato il suo bordone al muro: che ti fa lo spagnuolo? In un bacchio baleno agguanta il bordone, e a due mani lo scaraventa su la testa dello svizzero gridando: randello mi desti e randello ti [21] rendo. — Lo spagnuolo, come osservano i sapienti di Roma, era in buona fede, dacchè ormai nessuno contrasta che il cranio svizzero vinca di durezza qualunque più duro legname, ma per sua disgrazia questo svizzero faceva eccezione, che il capo gli si aperse come un melagrano, e morì senza potere finire intero: Gesù, Giuseppe e Maria vi raccomando l'anima mia. Visto e preso, che qui gli sbirri escono fuori fino dalla barba di San Pietro; e poichè il caso venne riferito a Sisto, questi andò in bestia così, che fumava come un camino. Paratosegli davanti il Governatore di Roma, gli fece una bravata da mettere i brividi addosso alla statua di Marco Aurelio, ch'è di bronzo, e: — a questo modo, urlava costui come frenetico, a questo modo, signor Governatore, si ammazzano gli uomini in Roma alla presenza di Dio e nostra? E ora, che fate? Che provvidenze eseguite perchè Dio e noi siamo vendicati a colpo di fulmine? Il Governatore di quieto gli andava esponendo il malfattore caduto in mano della giustizia, le informazioni ordinate, presto istruito il [22] processo, sicchè tra quattro giorni o sei lo spagnuolo si sarebbe potuto decapitare o impiccare a modo e a verso secondo si trovasse essere o gentiluomo, o plebeo. — A cui Sisto di riscontro: — che processi o non processi? Qui il morto è su la bara, l'omicida certo, tante invenie a che montano? Impiccatelo addirittura. — Il Governatore, a cui pareva grossa impiccare un uomo senza processo, supplicava osservasse costui essere spagnuolo, e il Papa rispose: — magari! fosse il conte di Olivarez....

— Ha detto? Dando una scossa, domandò il Conte.

— Per Crispo! Io l'ho intaccata;... ma veda... io non ci ho colpa... se ella non istà fermo... l'è un ninnolo, con un poco di ragnatelo ristagna subito il sangue.....

— Continua....

— Io non vorrei....

— Continua, dico, continua, io sono tranquillo, e il Conte urlava come un energumeno, e forte del piede batteva la terra.

— Ai suoi comandi. Dove siamo restati? [23] O ecco. — Magari! fosse il conte di Olivarez.... che tanto lo farei impiccare...

— Impiccare ha detto? — Impiccare?...

— Ha detto impiccare?

— Malnato! Non sa nè manco che ai gentiluomini va de jure la mannaia....

— Sarà stato un lapsus linguæ, che avrebbe corretto mastro Gigolo. Dunque se le piace....

— Continua....

— Allora dunque si misero attorno al Papa alcuni cardinali per fare spalla al Governatore, onde Sisto infastidito scappò fuori col dire: — orsù fabbricate quanti volete processi, a patto però che il malfattore sia impiccato prima di desinare, e abbiate avvertenza, che stamane mi sento fame. — I quattro cardinali spagnuoli, considerando, che quanto a salvare il compatriota era disperato, supplicarono il Papa concedesse gli venisse mozzo il capo come si costuma appunto a mo' che saviamente avvertiva V. S. illustrissima co' gentiluomini, non essendo giusto che, per la colpa di un uomo, la sua famiglia patisse danno nella reputazione; alle quali preghiere [24] Sisto rispose: — lui ad ogni modo impiccato dev'essere, ma perchè la sua famiglia non senta disdoro, io ne onorerò la morte con la mia presenza; però fate di piantare le forche qui in piazza San Pietro proprio dirimpetto alle finestre; — e secondo ordinò essi eseguirono, ed egli non si mosse dalla finestra finchè nol vide dare l'ultimo tratto; allora disse: adesso a mensa, che la vista di questa giustizia ci ha stuzzicato l'appetito. — Le parole del Papa corsero subito per le bocche dei Romani, e oggi è comparso Pasquino con un bacile in mano pieno di forche, a cui chiedendo Marforio, che diavolo almanaccasse in cotesto arnese, egli rispondeva: — porto la salsa per l'appetito del Papa; nè qui è tutto, adesso ne viene il buono, ma lo tacerò per non irritare la vostra Magnificenza....

— Continua, pel corpo di santo Jacopo di Zamora....

— Senta, Magnificenza, io le racconterò quello che avanza, terminata la barba, perchè, veda, io non vorrei segnarle sopra la faccia una seconda di cambio.

[25] — Continua, o ti faccio buttare giù dalla finestra....

— Per lo appunto di salti dalle finestre io voleva discorrere con la vostra Magnificenza; però procuri di non si arrabbiare, ve'! che per me sono figliuolo di obbedienza... — qui col pollice e l'indice gli stirava la pelle della guancia destra, e lieve vi scorreva giù col rasoio, mentre diceva: — durante il pranzo Sisto iattava avere cacciato in corpo a vostra Magnificenza una paura marchiana, cosicchè gli fosse sparito dinanzi a scavezzacollo, dimenticati cappa, cappello e spada....

— Se ne vantava?....

— E come! Ma la stia fermo, altrimenti la intacco da capo....

— Sto....

— Bravo! Ed aggiungeva, che vostra Magnificenza, tornato a casa, fu preso da una febbre da cavalli, e che tutto il giorno non aveva fatto altro che vagellare....

— E se ne vantava?

— Altro, che vantarsene! Ne sghignazzava dall'allegrezza, e i commensali per camminargli a' versi pareva ne andassero [26] in visibilio... ma non si agiti... sia benedetto.... non si agiti: se vostra Magnificenza manca alla promessa di stare fermo, contro il mio volere mi toccherà a mancare ancora io alla mia di non intaccarlo... e allora fuori mi chiamo...

— Tira innanzi por los higados de Dios!...[2]

— Dichiarò ancora, che nella giustizia dello spagnuolo per due terzi vantaggiati ci entrava il gusto di ribadire nella vostra Magnificenza il chiodo della paura, averle ormai trovato la vena, che giudicava essere la paura... che considerato il diritto e il rovescio, poichè non poteva liberarsi dall'oratore del Cattolico con la forca, se ne sarebbe liberato con la paura della forca, e per via ugualmente sicura tanto aveva sperimentato solenne la poltroneria della vostra Magnificenza....

Por la santissima Trinidad! Urlò dando uno sbalzo il conte Olivarez, e al punto stesso un buon tratto di rasoio gli penetrava dentro la guancia; per la qual cosa, aggiungendosi l'asprezza del taglio [27] alla trafittura dell'animo, sorse infellonito pigliando a imperversare attorno alla camera; il sangue gli gocciolava giù mescolandosi con la spuma del sapone, che presto ne rimase tinta, e intrisi ne andarono in breve lo asciugatoio, le mani ed anco il pavimento; pareva un condannato fuggito di sotto alla mannaia mal concio dal manigoldo inesperto; il barbiere col rasoio all'aria gli correva dietro e raccomandandosi a tutte le Madonne dello stato Romano, e a qualcheduna di fuori, protestando tutta la colpa movere dal Conte che non era stato fermo, o piuttosto dal Papa che non lo aveva fatto stare fermo; si calmasse, concedesse di guardargli il taglio, di terminargli la barba, di pettinarlo, di ungerlo, insomma non si poteva dimostrare maggiore ansietà nè più sentito affanno; e nondimanco a cui ci avesse sottilmente atteso, avrebbe ravvisato in Frascatino uno strione da disgradarne l'antico Roscio e da stare a petto del moderno Vestri.

Il Conte non avvertiva, e con quella faccia da fare riscontro al volto santo impresso [28] sul velo della Veronica, tempestava tuttavia, cacciando fuori un diluvio di bestemmie e d'ingiurie contro il Sommo Pontefice, ch'egli sempre salutava col nome di Sommo Carnefice, e forse non diceva male; poi lo chiamava figliuolo di tante cose, ch'è una passione non poterlo ridire; certo lo imperatore Carlo V non si peritava punto nè poco a sfringuellarlo anco in chiesa quando i suoi cantori a San Giusto davano in istonature[3], ma noi altri popolani ce ne asteniamo anco in un libro. Basti tanto, che bandì beatissimi Genserico e il Borbone per avere dato il guasto a Roma, mentre levò i pezzi di dosso al duca di Alba a cui era mancato l'animo di spingersi avanti e mettere in un mucchio di calcinacci il Vaticano e Roma[4]: quello però che non ardì il duca d'Alba, bastare la vista di compire a lui conte di Olivarez, e ciò che non accadde sotto Paolo Quarto, potere succedere nel pontificato del temerario guardiano di maiali; ci si metterebbe con le mani e co' piedi, c'impegnerebbe le sue aderenze, tutte le ricchezze; se bisognasse [29] anco l'anima, e dove non riuscisse, ora per allora rinnegava la passion del Hijo de Dios, e la que me pariò[5], e un monte di altre cose, che non importa riportare.

Quando il sangue si fu accagliato sul viso, e la bile sparsa pel sangue, e su la bocca, ed ei si sentì stracco, rifinito dal barellare, si lasciò ire giù di sfascio sopra il seggiolone, dove il barbiere lo medicò, e lo acconciò con amore, dicendogli parole di rifrigerio alla vanità offesa, così argute, e tanto bene adattate, che il Conte, allorquando costui prese licenza di andarsene, gli donò di presente dieci ducati assicurandolo della grazia sua per lo avvenire. —

Scorticato, deriso e tradito il Conte donava, ed aveva reputazione di negoziatore solenne, ma in pellicceria ci vanno più pelli di volpi, che di asini, proverbio antico, che io ripeto spesso a edificazione dei nostri uomini di stato.

Il Frascatino, trovato a casa il compare Angiolo barbiere del Papa, gli raccontò [30] per filo e per segno com'erano andate le cose, e lo pregò di sottoporre agli occhi del Beatissimo Padre lo sbaraglio a cui ogni dì si metteva per sua devozione; rammentasse che gli spagnuoli di nulla nulla si accorgessero, egli era basito, il pezzo più grosso di lui sarebbe stato l'orecchio; al paterno cuore di Sua Santità raccomandava cinque figlioletti, che gli erano nati in casa fitti come le cinque dita della mano. Se Angiolo dicesse coteste cose, o le tacesse al Papa, ignoro, ma le avrà taciute di certo, però che ricorressero ogni dì obbligate ai rapporti del Frascatino come il Gloria Patri in fondo ai salmi; e veramente dal dì che egli aveva raccomandato di farle presenti ad oggi, i cinque figlioletti nati in casa fitti come le cinque dita delle mani a questa ora dovevano essere cresciuti come pertiche: questo so, che Sisto gli diede venti ducati perchè gli consegnasse al Frascatino, e lo confortasse a servirlo con amore; se lo avesse contentato, ben per lui. Angiolo le parole del Papa al Frascatino consegnò tutte, anzi ce ne aggiunse un [31] pizzicotto delle proprie: quanto a danari poi ne consegnò mezzi, e dei mezzi con mille suoi arzigogoli arrivò a farsene dare dal Frascatino la metà; entrambi si rubavano, e lo sapevano, e nondimanco buttavano via tempo e parole a tendere lacciuoli che non chiappavano mai uccelli, pratica ai giorni nostri lodevolmente continuata dai Ministri, dagli Ambasciatori, e da Barbassori altri cotali per divertire la gente che non ha modo di andare a' Teatri; però è curioso notare come la Furfanteria facesse ai nostri barbieri le parti giuste così, che meglio non avrebbe potuto l'Onestà, avendo avuto ognuno di essi quindici ducati per lo appunto. Quindici ducati guadagnarono costoro a tradire i padroni, e a rubarsi scambievolmente; di quanto avrebbero fatto civanzo se tutto quel dì astenendosi da scioperare nel mestiere della spia avessero esercitato quello del galantuomo?


Il conte Olivarez scrisse dispacci in Ispagna adoperandoci più fiele, che inchiostro, [32] e non ce n'era mestiero, perchè Filippo intendeva scavalcare il Papa non mica avversando l'enormezze sacerdotali, all'opposto esagerandole: insomma esercitare dirimpetto alla Chiesa le parti, che tennero un dì i Profeti in faccia ai Leviti.

Qui porremo adesso la causa della controversia. Sisto fino dal 1588 aveva fatto stampare la Bibbia, volgata, e già per questo n'erano corse le novelle, le quali crebbero fuori di misura questo anno quando si seppe come, dopo volgarizzata in italiano, e stampata la Bibbia, con amplissima bolla avesse ordinato, che si pubblicasse: nè per dimostranze punto si rimetteva da quel suo fermo volere, anzi a cagione dei contrasti vie più incaponiva, conforme gli dettava la indole ritrosa; e a qualche cardinale, che s'industriava ritrarnelo, rispose sboccato: lo abbiamo fatto per voi altri ignoranti che non intendete il latino.

Siccome Sisto morì il ventisei agosto dell'anno seguente, prima che il suo disegno potesse avere compimento, i papi che gli tennero dietro non solo mandarono a monte la cosa, ma ordinarono o [33] consentirono, che la si smentisse; però inefficacemente, conservandosi parecchie copie della medesima, ed una in particolare nella biblioteca medicea di San Lorenzo in Toscana, un'altra nell'Ambrosiana di Milano, e due in Ginevra. Quanto alla Bolla, il Gesuita Briego la vide, e ne porge testimonianza nei suoi Annali stampati a Parigi nel 1663.

Intorno alla Bibbia i papi apersero sempre giudizio poco parziale, per non dire nemico, e per ragioni in parte buone, e in parte no; nè mancarono, come sembra giusto, di quelli, che distinsero tra libro e libro, e dal vecchio il Testamento nuovo.

Un pontefice non sapeva capacitarsi, come un uomo dabbene si confidasse imparare qualche cosa di buono nelle prime storie della Genesi; a mo' di esempio nel peccato di Eva, e nella condanna a morte dell'universo genere umano, nel fratricidio di Caino, nella vita indecentissima del Patriarca Abramo, ed in quella troppo più biasimevole del Patriarca Lot, e via discorrendo; e veramente non giunsi mai a comprenderlo nè manco io.

[34] Questa fu onestà, ma di simile erba ne cresce raro in Corte di Roma, dove il Vangelo recato in italiano si aborre, come quello, che, messo per falsariga sotto ai passi dei sacerdoti, ti mostra chiaro com'essi camminino a granchio. Quando poi, a cagione dei molti volgarizzamenti pubblicati dalle sette, ogni divieto fu visto riescire indarno, Roma mise mano a sua posta a volgarizzare la Bibbia a modo suo, e non potendo in quel modo avvantaggiarsi troppo, a infagottarla con glosse, e commenti per guisa, — che del no vi si fa ita. — Ciò, che dal Vangelo si vieta, dalla Chiesa permettasi, mentre per converso si concede da questa, quanto da quello si riprova. La Corte di Roma pretende chiarire il senso o la parola oscuri, e commette un errore e una insolenza; errore però che tutti capiscono aperto anche troppo; insolenza, conciossiachè appunti Cristo di non sapersi spiegare, il quale pure i concetti suoi predicava alle plebi, ai fanciulli, e alle donne; nè qui rimane la improntitudine di Roma, che più oltre arrisicandosi afferma che i fedeli tra la interpretazione [35] sua e la lettera del Vangelo devano, sotto pena della eterna dannazione, attenersi a quello che s'insegna da lei, in ciò sovvenendola con la propria autorità, tra gli altri santi, santo Agostino, certo uomo d'ingegno, ma arruffato, e cervello balzano almeno da tre.

Il re Filippo, stizzito contro il Papa per l'oltraggio fatto al suo ambasciatore, pel diniego di favorire la lega promovendo segretamente Enrico di Navarra, che poi fu re di Francia, e per la inclinazione di Roma a comporre le faccende religiose nella Inghilterra, pigliò il pretesto della Bibbia per convocare il consiglio di Coscienza con la giunta di altri spettabili personaggi tenuti in conto di piissimi, perchè, consultato il negozio, risolvessero quanto doveva farsi. Il Consiglio, un po' per convinzione, e molto pel solito andazzo di piaggiare i potenti, rispose: potere Sua Maestà, anzi dovere in buona coscienza convocare un concilio generale di tutti i vescovi, e religiosi e graduati dei suoi regni; farlo prima intimare al Pontefice, e trovatolo pertinace a ributtarlo, lo citasse di comparire al Concilio, [36] dal quale sarebbe stato deposto Sisto ed eletto un altro, dacchè costui incominciasse a sentire dell'eretico, mettendo a repentaglio la sposa di Cristo, la barca di San Pietro, e la veste inconsutile del Redentore, però che la Chiesa di Roma sia ad un punto una sposa, una veste e una barcaccia con altre più cose, che è proprio una diavoleria a dire ed a sentirsele dire.

A questo modo, in tempi miserabili troppo più di ora per errori, e per superstizione, i nostri vecchi politici pigliavano i preti con la rete di San Pietro, e li percotevano col calcio della croce; noi abbiamo disappreso l'arte, sicchè il prete si rannicchia dentro la religione, come il malfattore un dì nello asilo, donde questi il bargello, e l'altro cava l'intelletto umano. Quando i preti si tramutano in cani tu fa di ministrare loro bocconi dove invece di fungo di levante porrai precetti del santo Vangelo, e perchè tu ti conficchi bene dentro al cervello il mio insegnamento io te lo compendio così: a prete cane, polpetta di Cristo.

[37] Il re Filippo avuta risoluzione del Consiglio, udito eziandio il parere del cardinale Toledo, che lo diede favorevole, mandò al conte Olivarez, perchè colto il destro di qualche pubblica solennità, consegnasse nelle mani di Sisto la intimazione di convocare un Concilio generale nella città di Siviglia per provvedere al servizio di Dio ed alla maggiore esaltazione della santa madre Chiesa cattolica.

Il destro non si fece aspettare, anzi venne anco troppo presto, perocchè al Papa saltò in testa di recarsi con solennissima cavalcata ad alloggiare per la prima volta nel suo nuovo palazzo di San Giovanni Laterano; ora Dio sa, se al conte Olivarez scottasse rifarsi dello smacco patito, ma dall'altro canto temeva gli accadesse come ai pifferi di montagna; sicchè: adagio a' ma' passi; — diceva tra sè; per la quale cosa cominciò a fare grandi radunate in palazzo, di Spagnuoli dimoranti, o di passaggio a Roma, a indettarsi con soldati smessi perchè gli facessero spalla, e al bisogno tratte le armi nascoste lo difendessero; questi, ed altri apparecchi però non [38] si poterono compire senza che taluno ne pigliasse lingua, in particolare il Frascatino, come ognuno può credere; da ciò accadeva, che papa Sisto sapesse per filo e per segno tutto quanto l'Ambasciatore non pure apprestava, ma immaginava.

La seconda festa di Natale del 1588 il sole si era fatto aspettare un po' troppo nel cielo di Roma, ed anco, affacciatosi su l'orizzonte, alcune nuvole parevano ostinate ad accompagnarlo, ma egli, distrigatosi dalle importune, prese a salire nella gloria dei suoi raggi come in un bel giorno di estate; l'aria tepida, il cielo sereno, il tempo e il luogo secondavano mirabilmente la solennità, che stava per celebrarsi; accorreva al Vaticano a frotta la gente per pigliarci parte, o solo per vederla; servi vestiti di gala, prelati, vescovi, cardinali, chi in piviale, chi in paludamento, chi in mantelletta; ondeggiava una marea di mitre, di cappelli rossi, di cappelli verdi, e soprattutto di mule, di chince coperte di gualdrappe cremisine, infioccate con isfoggio, e nappe di seta ciondoloni; da un'ora sonavano trombe e tamburi; alla fine un [39] colpo di cannone dal Castello S. Angiolo annunziò la partenza del Papa dal Vaticano.

Il conte Olivarez, avvertito che il Papa sarebbe passato dinanzi al suo palazzo, stava ad aspettarlo col corsaletto addosso, ricinto dintorno da Spagnuoli, e munito in modo da sostenere qualunque assalto: egli guardava quanto poteva stendersi la vista, ostentando baldanza, e tuttavolta dai moti incerti appariva perplesso; si conosceva ottimamente lui presentire il pericolo, ma avere ormai deliberato affrontarlo; di un tratto ecco accostarglisi Frascatino all'orecchio, e bisbigliargli non so che parole concitate, le quali ebbero virtù di far passare su la faccia dello spagnuolo quanti ha colori l'arco baleno; subito dopo si trasse indietro con molta fretta come se negozi gravi lo chiamassero altrove, e più non comparve fuori.

La cagione del caso non istette guari manifestarsi, però che, passati che furono gli ufficiali della Corte, le famiglie dei maggiorenti, gli ecclesiastici tutti, mentre dopo i cardinali attendevasi seguitasse il [40] Papa, fu visto un drappello di sbirri col moschetto inarcato, e subito dopo dietro mastro Gigolo sommo carnefice di Roma (che meno di dodici non ne tenne mai papa Sisto solo in città), alle spalle del boia altri sbirri, e birri poi; in tutto trecento e più; all'ultimo il Papa con al fianco il Governatore di Roma. Le parole susurrate dal Frascatino nell'orecchio al conte Olivarez ci venne riferito poi che furono queste od altre cotali.

— Magnifico, badi di non si precipitare per quanto amore porta a Dio, però che Sisto viene oltre con un nugolo di sbirri e il boia in mezzo, a cui proprio con questi miei orecchi ho sentito dire: — Gigolo, caso mai uno si attentasse accostarmi con fogli in mano, o senza, fallo pigliare e strozzamelo lì, per lì, senza badare ad altro, fosse anco imperatore, re, cardinale, ambasciatore, il mio stesso nipote; bada bene, se non istrangoli lui, io strangolo te. Adesso andiamo. Te Deum laudamus.... — ed ha intonato il Teddeo.

Il Papa fino al palazzo di Spagna procedè a capo chino come uomo in balía di [41] pensieri molesti, quando poi lo mirò sgombro di gente, e si fu accertato non ci si trovare l'ambasciatore, lo raddrizzò baldanzoso. Di fatti, parola detta e sasso lanciato non si possono più tirare indietro, e Sisto non era uomo da ritirarsi, tuttavia quell'essersi omai messo per le sue parole tra l'uscio e il muro a farsi strangolare proprio su gli occhi l'oratore di S. M. Cattolica, era cosa, che un po' di scrupolo lo metteva anco a lui: ed ora gli pareva, che un grosso peso gli fosse cascato giù dalle spalle: mentre pertanto vibrava qua e là gli occhi a mo' di lingua di vipera, gli venne fatto vedere Angelotto, il bargello di campagna, a cui aveva commosso la cura di dare la caccia ai banditi. Fortuna volle, che gli occhi del bargello s'incontrassero in quelli del Papa, ond'ei se ne sentì quasi affascinato, sicchè impietrito senza pur movere un passo attese, che un camerario di Sisto andasse a dirgli per parte di sua Santità facesse di trovarsi al palazzo di San Giovanni Laterano dopo la cavalcata, al quale comando egli, comecchè trepidante, obbedendo, [42] appena venne al cospetto di Sisto si gettò giù di sfascio in ginocchioni implorando a mani giunte mercè.

Il Papa, senza fare le viste di accorgersi dell'agonia di cotesto sciagurato, gli domandò:

— Chi sei?

E l'altro batteva i denti non sapendo spiccicare parola; ma il Papa da capo:

— Chi sei ti dico? Chi sei?

E Angelotto zitto.

— Parla in tua malora; chi sei?

— Beatissimo Padre....

— Su, di' l'ultima.

— Ma se troppo bene vostra Santità mi conosce... io sono Angelotto....

— Angelotto chi?

— Il bargello di campagna....

— Non è vero; se tu fossi il bargello di campagna non ti basterebbe il fiato di passeggiare, come ti attenti in città; incatenate questo bugiardo, mettetelo in prigione, intantochè mandiamo a chiarire se il bargello di campagna si trovi al suo posto...

Qual fu detto, tal fu fatto; ed ormai [43] dai più il bargello si teneva per ispacciato; anzi taluno bisbigliava sommesso: — l'animale carnivoro ha fame di carne; si vedeva aperto, che per Sisto senza sangue non sarebbe passato il giorno. Angelotto paga per l'Olivarez, un bargello per un conte — Gigolo si può contentare.

Chi avesse scommesso un baiocco contro uno scudo, che Angelotto la scapolerebbe, non avria trovato chi tenesse il gioco per coscienza di rubargli a man salva lo scudo, e s'ingannava; perchè Sisto, trovandosi cotesto dì dolce di sangue a cagione del caso successo, contento della paura del bargello, e cavandone argomento di scede e di riso, dopo cena, lo fece condurre da capo in sua presenza, dove gli tenne questo discorso.

— Ci hanno riferito come tu senta insuperabile repugnanza a morire, ed hai torto, perchè a questo pettine dobbiamo tutti arrivare, e noi al pari di te, quantunque portiamo il regna-mundi, insegna della potestà su tutti i potenti della terra; inoltre ti avremmo munito della nostra apostolica benedizione, per la quale ti troveresti in [44] certo modo condotto quasi a mezzo il cammino del paradiso: ma via, ognuno ha i suoi gusti, e tu hai quello di non voler morire impiccato. Peccato!... proprio peccato! che per la forca parevi nato a posta. Un giorno ti pentirai esserti lasciata scappare di mano così degna occasione. Vivi dunque che noi te lo vogliamo concedere; però ogni peccato merita penitenza, e tu lo commettesti grosso, dacchè, recandoti in città, mentre noi ti paghiamo per vigilare la campagna, tu ci mangiavi il pane a tradimento, nè qui sta tutto il male; il peggio noi lo troviamo qui dentro, che intanto tu cessi il tuo ufficio, chi sa i banditi quante ruberie hanno fatto, quanti incendi appiccati, quante vite spente, e tu ci devi conto di queste rapine, di queste fiamme e di questi omicidi....

E siccome la voce di Sisto mano a mano che s'inferociva nel dire diventava tonante, il misero bargello cadde con la faccia sul pavimento: allora il Papa con suono più blando riprese:

— Orsù, se ti perdoniamo la vita, quanto ci darai tu?

[45] — Tutto... tutto....

— Noi non vogliamo tutto; per riscatto della tua vita ci contentiamo di una mezza dozzina di teste di banditi, le quali procurerai di farci recapitare in capo ad otto giorni qui in San Giovanni Laterano.

— Una dozzina..... due dozzine.... rispondeva il bargello trasognato, senonchè Sisto dandogli su la voce soggiunse:

— Zitto là: mi bastano sei, anzi una sola, a patto che questa sia di Venanzio Tombasi, che mi è di pruno dentro agli occhi, se dai sei capi di banditi ordinarii, o se dal capo solo del Tombasi tu farai maggiore lavoro, noi te lo porremo a credito, e per ogni testa ti daremo la mancia. Adesso vattene, e di' a questi vassallacci di Romani, che se la salsa di mannaie valesse a procurarci buono appetito, gioverebbe eziandio alla migliore digestione: quello che consola è il pensiero, che per un poco di sangue corrotto buttato via, se ne risparmi molto e buono ed innocente; il medico pietoso fa la piaga puzzolente, ed è proverbio vecchio: ci fu consegnata la [46] Chiesa spelonca di ladroni, e, se Cristo ci dà vita, la lasceremo tale, che ogni uomo ci possa vivere in pace all'ombra del suo fico e della sua vigna.

Qui volto agli astanti, acceso in volto, con grande forza esclamò:

In matutino interficiebam omnes peccatores terrae, ut disperderem de civitate Domini omnes operantes iniquitatem[6]. — Per ultimo, con gesto imperatorio, ordinava al bargello:

— Ora alzati, e vattene. —

[49]

CAPITOLO SECONDO.
Paolo Pelliccioni.

Come e perchè le terre della Chiesa fossero le peggio governate tra le altre italiche, le quali pure erano rette pessimamente, sarebbe discorso lungo: basti tanto, che chi piglia iniquo, mal può dominare onesto, ed arraffando in compagnia bisogna sopportare il complice ladro, o strozzarlo; di vero, quante volte gliene capitava il destro, la Chiesa non si tirò indietro da strozzare, ma spesso trovò chi non ci si accomodava, e allora, messa in un canto la fune, riprese l'aspersorio. Di molti tirannelli minori della Romagna, e della Umbria, la Chiesa venne a capo, di altri no, come sarebbe a dire Colonnesi e Orsini, che le furono perpetui calci nella gola.

[50] Oltre a ciò le Corti forestiere, e la Curia stessa romana, trovarono il conto loro a considerare, e a permettere, considerassero Roma terra neutra, dove ognuno era padrone un po'. Di qui i palagi, le vigne, gli studi, le chiese, che ogni nazione ci fondava, e ci manteneva; di qui le immunità, i privilegi, ed altri di questa ragione diritti; di qui per ultimo gli asili da prima limitati alla casa dello ambasciatore, e poi di mano a mano estesi alle contrade circostanti, vero semenzaio di banditi.

Di tratto in tratto veniva fuori qualche Pontefice, il quale, o come tenero dell'autorità sua, o preso da giustissima ira, dava opera a far sì che la infamia cessasse, onde all'improvviso nasceva un grande arruffa arraffa di malviventi, ed uno scatenio di chiavistelli, e un gran menare di penne di giudici su pei fogli, e un grande stirare di corda dei carnefici giù dalle forche; ma gli erano proprio i trotti dell'asino, conciossiachè i Papi, per ordinario vecchi e cagionevoli, indi a poco si straccassero, o se tuttavia verdi di età, sprofondandosi [51] nelle delizie, od in vizii altri più rei, rimettevano il primitivo ardore; e poi le femmine aggiravano, le bardasse abbindolavano, i nipoti barattavano, tutti arcavano, sicchè in mezzo a cotesto diluvio di fraudi e di corruzioni, non ci era arca di Noè che conducesse a salvamento.

Arrogi a questo, che per ordinario gli avversari del Papa defunto eleggevano il nuovo, e poichè costume della parte che prevale, fu e sarà sempre dare in testa a quanto l'altra parte volle ed operò, così il Papa novello si faceva coscienza di buttare all'aria di pianta il governo del suo antecessore.

Un altro impedimento per governare meno alla trista veniva allora, e viene anco adesso, dagl'intrighi degli oratori, i quali tentando sempre di tirare il Papa dalla parte loro, da prima andavano con le buone, e non riuscendo, per ultimo si mettevano su le cattive seminando triboli sotto i passi di lui, la quale cosa a cotesti tempi riusciva meglio di adesso per avere stanza in Italia Spagnuoli e Francesi, nè si ristavano i minori potentati, e siccome [52] la guerra palese non si poteva fare, come quella che era pericolosa, tanto più si raddoppiava la occulta con lo scatenare nugoli di banditi su le terre della Chiesa, che le nabissavano con i latrocini, gli omicidi, gl'incendi, e con ogni altro modo ruine.

Però il subito arrovellarsi contro i banditi non partoriva frutto, dacchè medicata la piaga, durando il vizio, presto tornasse a inciprignirsi, ed il consorzio umano da coteste sfuriate non venendo a sentirne un bene al mondo le considerava vane beccherie e feroci.

Papa Sisto pubblicando la dichiarazione degl'inquisitori contro i banditi, e provvedendo, che la fosse diligentemente osservata, in breve ebbe sgombre le terre di Roma dalla infamia dei banditi, ma e' non fu per molto, che egli prevalse su prete Guercino, il quale si faceva chiamare «re della campagna,» imperciocchè su gli ultimi mesi di sua vita venuto in iscrezio con Milano e con Napoli rivide scorrazzare per la Maremma il Sacripante, il Piccolomini nelle Romagne, Battistella [53] nella campagna di Roma; e gli furono trafitte nel cuore, dacchè toccasse con mano come costoro, piuttosto che a rubare, venissero a sparnazzare danaro; le monete portavano per insegna i lioni, e le torri; la più parte doppioni di Spagna: osservavano le ordinanze, drappellavano bandiere, avevano il suono, battevano il tamburo, fino su le porte di Roma trascorrevano; le milizie conoscendo che ai banditi facevano spalle potentati troppo più gagliardi che il Papa non fosse, come sicuri di uscire a capo rotto, andavano di male gambe a combatterli.

Ma per ora la bisogna camminava altrimenti; tutto piegava dinanzi alla volontà del Papa, il quale procedeva acceso a conseguire il nome di trionfatore dei banditi, quanto potrieno esserlo stati Scipione dei Cartaginesi, o Cesare dei Galli.

Adesso diremo chi fosse Paolo Pelliccioni, e della indole, e dei costumi di lui, ch'è principale personaggio del nostro racconto. E' visse un tempo in Roma un Anacleto Pelliccioni: egli affermavasi, ed altri consentiva ch'ei si affermasse, nobile [54] stirpe, ed era; però d'ingegno salvatico, ed invincibilmente rozzo, sicchè suo padre un giorno gli disse, come si soleva ai figliuoli, che se fossero nati legni si sarieno buttati sul fuoco: «o frate o soldato;» ed egli fu soldato non per altra ragione, che per essere stata questa l'ultima parola la quale gli percosse l'orecchio; se accadeva alla rovescia ei si vestiva cappuccino. Combattè in Ungheria per lo Imperatore, e nelle Fiandre per la Spagna, ma nella medesima maniera si sarebbe messo al cimento per Fiamminghi e per Turchi, chè delle cause della guerra egli non cercò mai, nè, cercate, avrebbe per avventura compreso, modello vero del perfetto soldato; ferì, rimase ferito, ammazzò in battaglia, e più fuori di battaglia; rubò, bevve, e bestemmiò sempre; per ultimo si ridusse a casa in parecchie parti della persona rotto, dai reumi attratto, col viso colore di pomodoro, e i capelli grigi; di pecunia stremo, ma per contrapposto pieno zeppo di medaglie e di diplomi, dove gli si profondevano a tutto pasto i titoli di strenuissimo, e valorosissimo [55] campione della fede, con facoltà sterminata in ogni occorrenza di recarsi al Re in Madrid e allo Imperatore in Vienna, bene inteso però con i suoi danari; e si racconta eziandio che la sua camicia non vestisse lui solo, sibbene altri animali, che, al dire del maresciallo Bassompierre, si acquistano quasi sempre nel servizio del re[7], ed io aggiungo, sempre in quello del popolo, però, che la ingratitudine sia quasi l'effeta, che dà anima all'anima dell'uomo, e se tutti la maledicono, sì il fanno per isviarne altrui, e praticarla in benefizio esclusivo di loro, al modo stesso di quel tale, che sputava sopra la vivanda per ischifarne i commensali e potersela poi mangiare intera.

A Roma egli cessò il rubare, lo ammazzare e gli altri gustarelli di questa umana famiglia, non per ossequio dei precetti di Dio, bensì della corda di mastro Gigolo; ed essendo nella nobile arte di bestemmiare Dio penetrato assai addentro, sicchè sapesse farlo in quattro, o cinque lingue, capì, che bisognava smettere la italiana, e risoluto a questo sacrifizio [56] continuò nelle bestemmie spagnuole, tedesche, fiamminghe e maomettane senza pericolo, o sia che gli sbirri non capissero, o potendolo fare con reputazione lasciassero ire tre pani per coppia: quanto a bere possedendo l'uomo ragionevole facoltà d'imbestiarsi a suo beneplacito così a Roma come altrove, senza inciampare dentro veruno articolo del Codice penale, costui si tramutò proprio in un otre perpetuamente pieno di vino. Nello intervallo di una ubbriachezza all'altra gli accadde di buttare gli occhi su di una giovane popolesca, bella certo, e, se volete, anco buona per quello che fa il mercato; costei non difettava di dami; taluno anzi ne amava un pocolino anch'ella, e certo conducendo nozze da pari suo sarebbe stata felice per quanto è concesso quaggiù, ma il Pelliccioni, il quale le aveva grugnito qualche cosa, come sarebbe a dire una confessione di amore, era cavaliere, si predicava ricco sfondato, aveva messo in pezzi tante dozzine di turchi e di eretici, che nè manco egli lo sapeva, figuratevi se altri! Ora, non vale negarlo, nobiltà e ricchezza [57] hanno virtù di dare la volta ai cervelli popolani; certo nei tempi passati troppo più di ora, ma anco adesso troppo più, che non si vorrebbe, e ciò perchè l'amore nel cuore umano cresce e tramonta, l'avarizia cresce sempre; la vanità non cresce, e non diminuisce mai, gigante nacque e gigante muore.

La popolana fu salutata moglie del cavaliere, e perdute le amiche vecchie, non la consolarono le nuove; visse sola nell'asciugaggine del tedio; invocati dalla Madonna, e da quanti santi mettono i preti in paradiso, figliuoli non vollero venire; la ubbriachezza di Anacleto dopo avere fatto un po' di sosta nel sacramento del matrimonio, si mise a correre dove prima camminava, onde una notte riportato a casa sopra una scala, giacque due dì nel letto dando appena segno di vita; su l'alba del terzo risensò, e chiese acqua, la quale appressatasi ai labbri non potè bere, ma ricascato supino con un gran soffio spirò l'anima.

Spirò l'anima, ma come ultima bestemmia contro Dio, o maledizione contro gli [58] uomini; nel mese stesso della sua morte aveva balestrato una creatura nel ventre alla mogliera; questa creatura fu Paolo Pelliccioni: nacque forte, e sopra ogni altro fanciullo bellissimo, di capello biondo di oro, ed occhi neri; meraviglia a vedersi. Quello, che in altri vale alla ottima educazione, per lui fu causa di ruina, la tenerezza materna, la formosità sua, e la prosapia onde nacque; la madre fino dai giorni primi lo adorò, nè mai volle attraversarlo nelle bizze, nelle ire e nelle ferocie; la tanta bellezza del figlio la sforzava a mettersegli genuflessa davanti quasi a cosa divina, nè ella sola, bensì anco le comari, oggi per essere vedova, ridivenute amiche; le sostanze mediocri non avrebbero consentito allevare il fanciullo alla grande, pure se il tutore avesse preso buona cura di lui non sarebbero mancati maestri, i quali con lo studio delle discipline gentili avessero, se non vinto, attutito almeno quel suo naturale talento, che lo portava alle opere di fraude e di sangue. Crebbe come una pianta velenosa, non amò veruno, eccetto la madre, se pure [59] poteva chiamarsi amore un perpetuo impeto di straziarla e di accarezzarla; dopo la madre amò o piuttosto furiò per un giovane di anni pari ai suoi, e n'ebbe ricambio, nè si creda che tale passione nascesse da mutue benevolenze; tutto altro; derivò dalla contesa e dalle percosse; si picchiavano, e rifiniti, separavansi per tornare a cercarsi, e ripicchiarsi da capo, finchè Ciriaco, che tale si appellava il giovanetto, si diè per vinto, e gli diventò sviscerato come mastino ammansito, il quale lambisce il padrone, e contro gli altri si avventa: però se Paolo non aveva patito uguale Ciriaco, intendeva che egli, meno lui, superasse tutti, onde se gli vedeva attaccare baruffa, e bastarci solo, lo lasciava fare, ma un zinzino che balenasse, eccolo correre alla riscossa, e in men che non balena spazzare via ogni resistenza. Suprema agonia della sua puerizia fu il possesso di un coltello, il quale avuto, si ripose in seno, e ce lo tenne con più divozione del crocifisso di oro, che la madre gli aveva appeso al collo. Più tardi, uscito dall'adolescenza, [60] quando ambì il consorzio dei nobili giovani, questi lo ributtarono dandogli taccia di rude e di villano; allora attese a levigarsi, e ci riuscì quanto ai modi esterni, che circa allo ingegno ormai aveva messo il tetto, e poichè la causa della repulsa era mendace, mentre la vera stava nella mancanza di arredi per la quale non poteva comparire orrevole a pari degli altri; tra la madre e lui si misero a gara a sperperare danari in vesti, gioielli, armi e cavalli; anzi, la madre, invano contrastante il figliuolo, strusse perfino quel po' d'oro che possedeva da ragazza per ornarne il suo Paolo, la pupilla degli occhi suoi; ond'ei di colta potè mescolarsi nelle cavalcate dei nobili garzoni e delle gentili donzelle, agli spassi ed ai giuochi loro, che prima lo avevano fatto spasimare di desiderio.

Se si fosse contentato di comparire uguale agli altri, od anco fra i primi, forse, chi sa! quali giorni gli avrebbe filato la Parca, ma verun luogo lo accomodava se non era il supremo; donde prima le gozzaie, poi la lite, e per ultimo la contesa, [61] dove Paolo spiegando la naturale ferocia, postergato ogni costume di cavalleria, diè di mano al coltello, menando a destra e a mancina. Quanto grande ne corresse scalpore, è più agevole immaginare che dire, nè solo per la parte degli offesi e dei parenti, bensì di tutta la nobilea romana, la quale allora mise in campo ciò che da molto tempo sapeva ed aveva lasciato correre, vale a dire, gli oscuri natali della madre di Paolo; ed ecco di un tratto stringersi in lega, e accomunare ingegno e possa per fare ogni sforzo a stramazzarlo nel fango, sempre dissimulando la causa vera della odiata superiorità di Paolo, e sempre rinfacciandogli il sangue transteverino dei congiunti materni, ed egli se lo credette, spinto dalla naturale inclinazione dell'uomo di attribuire a tutto, tranne a sè, la causa dei proprii malanni. Per questo crebbe nel cuore a Paolo un mal seme, che gli guastò la passione procellosa, e nondimeno intensissima, che portava alla madre sua; a mano a mano, da amarla meno passò pei gradi della sazietà, del fastidio e del tedio fino allo [62] aborrimento, molto più, che della pecunia oggimai trovavasi in fondo, nè gli usurai così cristiani come giudei intendevano dargliene più oltre in prestanza; essendo egli per natura cupissimo, dissimulava, ma agli occhi della donna, madre sia od amante, il diminuito affetto non si cela, e poi una notte, tornato a casa torbido più del consueto, sua madre recatasi a canto il letto di lui in punta di piedi a vigilarlo dormente, lo udì nel sonno inquieto maledire il giorno e l'ora nei quali suo padre aveva condotto a moglie una donna plebea.

Cotesto fu morso pari alla puntura dell'ape, che lascia dentro l'ago, e corrompe la carne; romana era la madre di Paolo, nata di popolo, in Trastevere; vero sangue latino, però non disse motto, ma desolandosi alimentò segretamente la ferita a modo di Porcia figliuola di Catone e moglie di Bruto, sicchè presto si ridusse al termine del vivere suo, e ferma ormai nel suo proposito non la distolsero dal morire le smanie di Paolo, il furibondo dolore, le cure e le veglie con affetto ineffabile prodigatele da lui: solo pochi istanti innanzi [63] di esalare lo spirito, mentre gli stampava su la guancia l'ultimo bacio, ella trascorrendo co' labbri si posò su l'orecchio, dove bisbigliava sommesso:

— Paolo! non mi aborrire per averti dato la vita. —

Paolo rimescolato dal profondo delle viscere, volle genuflesso smentire con giuramento la calunnia atroce, consolare anco a prezzo di sangue cotesto cuore desolato... indarno, lo spirito aveva già derelitto la salma mortale della madre sua; se per vita migliore è incerto, sicurissimo poi per condizione meno trista dell'assegnata ad ogni creatura umana quaggiù.

Non fu da uomo (mettiamo da parte il cristiano) la maniera con la quale Paolo palesò il dolor suo, bensì ferino, o almeno di quei primi tempi nei quali il viver nostro poco si allontana da quello delle bestie: stracciò le sue carni, e i capelli, empì di ruggiti la casa, maledisse con orribili imprecazioni la natura e Dio, contese sepellissero la salma materna, la tenne stretta, la coperse di baci frenetici, finchè i vermi gli formicolarono sotto le labbra: [64] tutto un dì, poichè gli fu tolta davanti, si rotolò nella polvere, e, come corre la favola, che i figliuoli della terra sternendosi acquistavano vigore, così egli dal pavimento ricavò potenza di odio contro tutto il genere umano; però che, quasi per mentire a sè la parte massima della colpa, ch'egli aveva nella morte della madre, fece cotesto immane odio religioso, col fingere che gli altri gliel'avessero uccisa.

Con subita vicenda di un tratto comparve tranquillo, licenziò i servi, diè voce volersi condurre a Livorno, e quinci a Barcellona, donde avrebbe sferrato in America, in altre terre più remote, dove lo avesse spinto la sua ventura: ed un bel dì relitta la casa agli usurai, quasi cadavere ai corvi, si partiva sul fare della notte.

Però il suo cammino non tendeva ad Ostia per imbarcarsi, e nè meno verso l'Umbria se disegnava arrivare per terra in Toscana; la sua via era dalla parte opposta per dove si va ai monti, perpetuo nido di aquile e di banditi. Mano a mano che si faceva più alta la notte [65] le cose circostanti tacevano, e comecchè da prima ei non ci ponesse mente, alla fine si accorse, che qualcheduno lo seguitava; balzò di sella, nel braccio manco avvolse il mantello, con la destra strinse il pugnale sbarrando la strada: poi con gran voce gridò:

— Addietro, o ti ammazzo....

— E perchè devo tornarmene addietro? E perchè mi volete ammazzare?

— Ciriaco! Tu qui?

— E dove aveva io da essere?

— Hai parenti da queste parti?

— No: vi vengo dietro....

— E che vuoi da me?

— Seguitarvi.

— Ma sai tu dove io vado?

— No; e non m'importa saperlo.

— Te lo dirò io....

— Ma se non me ne importa....

— Importa, taci: io vo per tal cammino in fondo al quale posso trovare un palo ritto con un altro traverso....

— Una forca, via! Eh! cotesta è una fine come un'altra; la fecero tanti prima di noi, di certo non saremo gli ultimi.

[66] — Non basta, avverti che col corpo ci è il caso di perdere la salute dell'anima....

Ciriaco tacque, e dopo essere rimasto alquanto sopra di sè, rispose con accento meno baldanzoso: — Tempo da raccomandarmi a Gesù, a Giuseppe e a Maria, io l'avrò sempre....

— E ti mancasse?

— E mi mancasse?... Cristo mi aiuti!... Io non vi posso lasciare, Paolo; signor Paolo io non vi lascierò...

— Dunque vieni, che prima di piangere noi, altri smetterà di ridere.


Viaggiando la notte, furono in tre dì a' confini dello stato romano, su l'alba del quarto giunsero all'osteria della Ferrata. L'oste a vederli li squadrò così di scancío come capretti che gli avessero portato a comperare, e sottilmente beffando gl'interrogava se avessero fatto disegno di trattenersi molto in coteste parti: a cui Paolo rispose, non poterlo sapere; ciò dipenderebbe [67] dal trovarsi d'accordo con certi suoi amici di lassù; intanto allestisse la colazione, ed ei vedrebbe col compagno di pigliare un po' di sonno. L'oste, passato tempo convenevole, quando tenne che i nuovi ospiti dormissero, sporse il capo fuori della porta e mandò una specie di fischio acuto e sottile, il quale ebbe virtù di fare uscire dalla macchia un carbonaro, che si accostò di corsa alla osteria. Già egli stava presso all'oste, e già questi prendeva a parlargli, quando guardandosi attorno per maggiore cautela si accorse, che Paolo, affacciato alla finestra del primo piano, non gli levava gli occhi di dosso, onde da quel mascagno ch'egli era, prese a rimproverare il carbonaio di negligenza per non avere portato il carbone: in colpa sua gli avventori non si trovavano serviti a punto; ne avrebbe tenuto motto col padrone, e se gli fosse tocco qualche carpiccio delle buone suo danno; l'altro da prima come trasognato abbacava, ma avvertito dallo ammiccare degli occhi dell'oste si accorse della ragia e cominciò a raccomandarsi pietosamente perchè lo perdonasse, onde [68] l'oste dopo essere stato duro un pezzo lo rimandò con la promessa di dargli, per cotesta volta, di frego.

Paolo e Ciriaco scesero nella stanza terrena, dove trovarono la tavola imbandita, e presero a mangiare di buona gana. Metteva loro su la mensa una giovane figliuola dell'oste, assai bella e molto manierosa, sicchè Paolo le disse taluna di quelle parole, che le fanciulle lungo il cammino della loro vita raccolgono sempre, se non come frutti, almanco come fiori: dal canto suo ella sospinse gli occhi su Paolo e comparsole, come pur troppo egli era, leggiadro, ne sentì pietà, chè amore per non avere di colta lo sfratto dal cuore alle fanciulle piglia quasi sempre cotesta faccia; per la qual cosa, come suo malgrado la fanciulla costretta, presto presto mormorò a mezza voce:

— Per amore della Madonna tornate addietro finchè il sole è alto.

Ma Paolo non le badava; inteso a vigilare l'oste, vide come costui giudicando gli ospiti assai distratti dal piacere della bevanda e del cibo, non meno che dall'altro [69] di contare le baie alla ragazza, avesse sbiettato fuori della taverna; gli fu sopra di un salto cogliendolo giusto nel punto in cui il carbonaio nascosto quinci oltre tornava alla posta.

— Orsù Orazio smettila, che io sono uccello accivettato... disse Paolo; e come l'altro a sentirsi chiamare a nome, e ravvisare in cotesto arnese, restava confuso, soggiunse: — va franco, ch'io sono dei vostri; se questo balordo di Battistello non era, già da mezza ora saresti a desco con noi a ragionare di quanto è spediente, che tu sappia, ed io sono venuto per dire a te ed ai tuoi.

Coteste parole, e più delle parole le sembianze e gli atti di Paolo così comparivano sicuri, che il bandito e l'oste ne rimasero soggiogati, un istante dubitarono di qualche tranello, e il dubbio passò loro traverso lo spirito come nebbia di sangue, ma gli ficcarono gli occhi dentro gli occhi due e tre volte, e poichè Paolo sostenne cotesto loro sguardo senza balenare, anzi sorridendo, si lasciarono ire: alla fine, che risicavano eglino? Due gli ospiti, e senza [70] armi da fuoco; se ne avevano da taglio non potevano essere eccetto coltelli, essi provvisti di schioppi e di squarcine, nè passava mai ora, che per di là qualche amico ronzasse.

Quali ragionamenti tra costoro avvenissero, non preme alla nostra storia riferire: questo si sappia, che dopo qualche ora lasciato indietro l'oste, e con molte carezze profferto un anello alla figliuola, il quale, nonostante la pressa del padre ad accettarlo, ella ricusò, e poi rossa come fiamma di fuoco promise lo avrebbe preso più tardi, Paolo, Ciriaco e Orazio si misero su per l'erta del Monte Bove.

Andarono parecchie miglia senza incontrare anima viva, e parve Orazio maravigliarsi ed anco inquietarsi che le solite scolte alle porte mancassero, quando di un tratto nel folto di una macchia fu loro sopra la intera masnada; minacciosi comparivano i banditi, con l'arme in mano pronti a trarre, non pure contro i nuovi arrivati, quanto contro Orazio, come quello, che infranta la disciplina, scopriva a sconosciuti il nascondiglio; ma lieto e ridente [71] si fece loro incontro Paolo tendendo entrambe le mani, e favellando parole in suono chiaro e squillante come strumento metallico: in sostanza disse: se volevano ammazzarlo, padroni; se rubarlo poco avanzo avrebbero fatto, e poi essere parato a presentarli di quanto portava adosso; la fama avergli riferito i gesti della banda, e il nome, e la morte dell'illustre suo capitano: essersi mosso da Roma per profferirsi in sua vece.

I banditi lo ascoltarono fin lì tra stupiti e sospettosi; ma qui taluni tanto non si poterono tenere, che mirando le gentilesche forme, e lo aspetto giovanile, non rompessero in risate, se nonchè egli senza darsene per inteso continuava:

Quanto a lignaggio affermarsi pari se non superiore al defunto loro capitano; proverebbero pari eziandio il suo affetto, la vigilanza, e lo studio di avvantaggiarli: quanto a gagliardia e a valore potrebbe sfidarli a contrapporgli in ogni cimento, con l'arme in mano o senza, quale giudicassero tra loro più forte ed animoso; ma questo non voler fare, perchè simili prove [72] partoriscono sempre gozzaie, e per loro essere necessario vivere in pace fraterna. Per altra parte comprendere ottimamente come dovesse parere loro presuntuoso cotesto suo discorso; però non intendere egli, che così su due piedi lo accettassero capitano: solo ne rimandassero a tempo più lontano la elezione, che doveva cadere in quel giorno medesimo, e così dargli campo di mostrare la sua virtù.

I banditi percossi dalla gravità del giovane, e diciamolo pure per via di antitesi, da cotesta sua superba modestia, lo intimarono a recarsi in altra parte del bosco, li lasciasse liberi a deliberare sul conto suo; la quale cosa avendo egli fatto, essi vennero di leggieri d'accordo a riceverlo nella banda a quel modo ch'ei proponeva, salvo a deliberare più tardi. Così Paolo entrò fra i banditi, e pigliando nome di Venanzio Tombasi, in breve tante furono le prove di prudenza, di accortezza, e soprattutto di sterminata audacia, che i banditi acclamatolo ad una voce capitano non sapevano omai distinguere se più lo amassero o ne tremassero.

[74]

CAPITOLO TERZO.
Il Bandito e il Bargello.

Dissemi un oste tempo fa a Firenze, ostinandomi io a chiamarlo Giovambattista, mentr'egli mi aveva delle volte più di sei ammonito, che il nome suo era Marco: — Oh! cred'ella ch'io non mi sia accorto del tratto? Ad ogni costo la mi vuol dare del battezzatore in faccia, fingendo lo smemorato; e poi non sappiamo anco noi, che parlando dell'oste della Ferrata, ella chiarisce a modo suo, che il termine di oste deriva dall'altro latino, il quale vuol dire nemico? Le sono fisime di cervelli arabici, ed io le sostengo a viso aperto non darsi al mondo persona, per quanto degna si reputi, da reggere il bacile a noi altri osti; io non le porto testimonianze di barattieri, bensì (e si cavava la beretta) dello stesso Gesù Cristo redentore nostro. Non [75] si ricorda ella, che tre dì dopo che l'ebbero morto, egli giudicò spediente alla sua legge di comparire da capo ai discepoli a confermarli nella fede? Ora, che sia benedetto, mi dica un po': Gesù quale luogo scelse per operare ciò sicuramente? Forse il Tempio? Dio ne guardi! imperciocchè i sacerdoti con le ipocrite furfanterie loro lo avessero condotto a morte, ed ei li conosceva figuri da crocifiggerlo una seconda volta. Forse nel Tribunale? Peggio che mai! che Cristo sapeva di vecchio come, nel suo idioma, il Tribunale si chiamasse Gabbata[8]; e per novella prova avesse appreso che i giudici non mancano mai di condannare gl'innocenti per piacere a cui può, fiduciosi di lavarsene il sangue su l'anima come di sopra le mani. O piuttosto nei quartieri? Qui sì che stava fresco! — Allora i soldati costumavano crocifiggere, pigliarsi le vesti e spartirsele, schernire, dissetare con l'aceto e col fiele, dare la sua brava lanciata nelle costole, e dopo che l'innocente aveva reso lo spirito, confessare con molto avanzo di lui: — veramente questo uomo era giusto[9]. Proprio [76] pietà del dì delle feste per uomini che, una volta arrolati alla milizia, dovevano prima ammazzare e poi vedere se avevano fatto bene. Oggi la corre diversa, però che, se ci avesse nelle città di questa razza soldati, il questore ordinerebbe li mettessero in gabbia, e nei teatri li farebbe vedere a pago. Ovvero Cristo riapparve in mezzo agli Apostoli nel Cenacolo dove aveva mangiato l'ultima pasqua? Ahimè! Uno degli Apostoli lo aveva tradito, un altro rinnegato, il terzo (ed era dei buoni) screduto se non gli ficcava le dita nel costato; di qui piglino argomento a non isgomentarsi quelli che s'impancano a fare da guidaioli del popolo, pensino che su dodici tre non istettero saldi degli scelti da Gesù, e non per questo la croce si rimase da trionfare sul mondo; per venti o cento disertori il gonfalone della libertà non fie che cessi di sventolare terrore ai tiranni; e giova che lo impeto dei tempi agiti gli uomini come biada nel ventilabro perchè il grano va sceverato dalla pula. Insomma Gesù, aborriti Tribunale, Tempio, Caserma, e Cenacolo, [77] volle farsi conoscere tornato tra i vivi proprio all'osteria di Emmaus, e Cleofa col compagno se ne accorsero giusto in quel punto che si fu messo a tavola per mangiare[10]. Per la quale ragione, che calza a pelo senza fare una grinza, che altri voglia partecipare con noi altri osti il titolo di galantuomo io non lo contrasto, ma che ci sia chi voglia sgallinarlo tutto per sè, io protesto per me e per tutta l'amplissima consorteria dei tavernieri. —

Questo disse ad un bel circa l'oste fiorentino, e se vero sempre in lui, e talvolta negli altri, io non affermo, e molto meno contrasto: certo è, che l'oste della Ferrata, presso i banditi, ebbe, finchè visse, fama di onesto, e morì, sempre, presso i banditi, in odore di santità.

Angelotto con una squadra di trecento tra sbirri e miliziotti cavati da Roma, e dalle terre più prossime alla frontiera, capitò alla Ferrata un giovedì mattina, giorno nel quale i banditi mandavano co' muli a caricare le provviste raccolte dall'oste amico.

Il Bargello, veramente aveva commissione di aspettare il Riccio e Arrichino, [78] i quali già stavano su le mosse per sovvenirlo nella impresa con le proprie bande, senonchè Angelotto ustolava di terminarla ad un tratto e senza compagni, per avarizia di non ispartire le taglie con altri, ed anco per cupidità di gloria, dacchè la fama, che viene dal solo menare delle mani, ambiscono eziandio gli sbirri, e la possono conseguire; quantunque egli non si fidasse dell'oste, al contrario lo tenesse in sospetto, pure per averne sentito dire un monte di bene nei dintorni, massime dai preti, i quali non rifinivano mai dallo attestare la pietà insigne dell'uomo, sia praticando le chiese, sia favorendo con l'elemosine i sacerdoti, ed i conventi, egli reputò prudente tastarlo un po' intorno le faccende de' banditi, e l'oste veramente rispose alla estimazione che facevano di lui; favellò sincero, dando ragguagli precisi intorno alle forze delle bande, sul valore e costume dei capi, e dei modi di guerreggiarli con vantaggio; non tacque come in cotesto giorno usassero calarsi dal monte per vettovagliarsi sul mercato; certo a cotesta ora avere essi preso fumo [79] della venuta di lui, nè si sarebbero visti, forse esserci modo di finirla a un tratto per via di qualche trovato; avere udito come certo signore ne avesse praticato uno a un dipresso simile, però egli più esperto avvisasse, quanto a sè profferirsi divotissimo al sommo Pontefice, e disposto a servire il signor capitano di cuore nel poco che per lui si poteva.

Allora Angelotto prese a mulinare col suo cervello, e gli parve un bel che se gli venisse fatto di finirla di un colpo senza mettere a repentaglio la vita; non vuolsi dubitare nè manco, che difettasse di cuore; romano egli era, e poi aveva, si può dire, ogni giorno la morte alla bocca, tuttavia prudenza insegna che, potendo ire per la piana, non si ha da cercare l'erta, nè la scesa: pensa e ripensa, non trovò meglio di un tiro già messo in opera, e si accinse a rinnovarlo nella speranza che i banditi lo ignorassero, o sapendolo non lo temessero.

Tutto quel dì si sbracciò ad allestire la frode, raccogliendo muli ed uomini, che li conducessero. Nel fitto della notte si strinse [80] a colloquio con l'Oste, il quale, per quanto si poteva indovinare dai cenni del capo, acconsentiva, se non che parlando a strappi dava a conoscere, che non gli pareva sicuro: — badate, Capitano, le sono volpi vecchie.... capisco... ad ogni modo è da tentarsi... già... gli uccelli si pigliano con gli archetti, e i pesci con gli ami da Adamo in qua, — e non se ne sono accorti i bietoloni... un po' di sorte ci vuole in ogni cosa... fortuna e dormi... ad ogni modo la carne vale il giunco... lascerei il pane e il companatico... perchè non ci si può stemperare a modo e a verso, onde se taluno gusta il primo boccone amaro, la è faccenda fallita; secondo il mio debole giudizio basterebbe il vino.

E Angelotto rispondeva: appunto avere ei disegnato governare il vino, però lo aiutasse alla conciatura dei barili, e questo fecero ambedue alternando parole e lazzi da mettere i brividi addosso a quanti gli avessero ascoltati.

Prima assai che sorgesse il dì, parecchi sbirri, travestiti da villani, cacciandosi dietro la scorta di talune guide del contado, [81] menavano a mano una fila di muli carichi di vettovaglie e di barili di vino su pei colli dirotti del monte di Bove; accidente fosse o cosa pensata dondolavano coteste bestie certi campanacci da farsi sentire da un miglio attorno pel paese, sicchè del cammino loro la gente era avvertita o in mezzo al buio, o in mezzo alla bruma in cui vennero avvolti dopo l'apparire del sole.

Il Bargello non trovava posa, significando la propria impazienza con le infinite guise ond'ella si manifesta, ma quando a vespro furono visti tornare giù i muli a scavezzacollo scarichi e senza accompagnatura, ei si rimase fermo come un piolo: a cotesta novità non sembra si aspettasse lo sbirro, fece inseguirli, e procurò che gli agguantassero, cosa che loro successe: contatili, trovarono mancarne uno, ma uno di essi portava la cesta coperta di panno rosso assai sfoggiato; il Bargello, punto dalla curiosità, si fece a levarlo e ci trovò la testa mozza del mulo, che mancava, con la seguente scritta:

— Ti mando il capo del mulo, perchè [82] mi manca l'asino: lascia le frodi ai Duchi, e se ti basta il cuore vieni a trovarci con le armi in mano. —

Per intendere il cartello, bisogna sapere, come Francesco Maria della Rovere duca di Urbino, desideroso di gratificarsi l'animo del Papa, avendo preso lingua che trenta banditi, ridottisi a vivere su le montagne di Urbino, avevano messo il Papa alla disperazione di poterli ormai quindi snidare, immaginasse uno strattagemma, per venirne a capo; il quale fu questo: caricò certo numero di muli con robe e vettovaglie, procurando prima le fossero industremente avvelenate, e poi li fece condurre in parte, dove i banditi gli avrebbero visti, e senza fallo svaligiati, di vero come presagì avvenne; essendosi i banditi di cotesti cibi nudriti, rimasero tutti morti con maravigliosa consolazione di Sisto, il quale pareva che, per l'allegrezza, non potesse capire dentro la pelle!

E se a taluno piacesse conoscere per qual modo ne avessero odore i banditi, ricordisi di quanto avvertimmo sul principio del capitolo; l'oste cortese aveva trovato [83] modo di avvisarneli; certo, se gli avesse traditi, egli avrebbe ottimamente meritato della legge scritta, ma nel cuore dell'uomo fu impressa una legge che dice: — tu non tradirai; — nè distingue tra colpevole od innocente; però vuolsi notare come la medesima legge abbia ordinato eziandio: — tu non ti accompagnerai con quelli di cui i passi vanno fuori di strada.

E poi, ove l'oste fosse mancato, vigilava la figliuola, la quale dei banditi non mirando che la parte, diremo così, eroica, e non volendone considerare altra, a molti di loro portava affetto fraterno, per uno sentiva passione, la quale, non che altrui, non osava confessare a sè stessa; l'amore pari al sole co' raggi suoi abbella ogni cosa. La giovane, vestiti abiti maschili, col favore della notte si confuse insieme agli altri, e, prima che aggiornasse, trovò modo per via di tragetti a precorrere ed ammonire i suoi protetti.

Avendo preso a dettare questo racconto non ci sembra inopportuno di mettere taluna parola intorno al bargello Angelotto, sia per dare a conoscere i tempi suoi, sia [84] perchè questo personaggio tiene parte assai importante nel dramma ch'esponiamo. Costui nacque di popolo, non però di plebe, e fu giovane aggraziato, non senza lettere; anch'egli bandito un tempo, e, se non famoso, almanco infame per molteplici misfatti, dove la rapina contrastava alla ferocia: caduto in mano della Corte, guai a lui se avesse imperato Sisto V! chè a questa ora saria stato libro, e chi sa da quanto tempo, letto; il caso per sua ventura successe sotto Gregorio XIII, però, essendosi adoperati scudi e di molti, e femmine, ed altro che non si dice, prima si spuntò a salvarlo dalla forca, e dopo alcuno spazio di tempo, sempre in grazia dei soliti santi, anco dalla galera, a patto ch'ei si mettesse sbirro; ed egli accettò, considerando ormai come la sua vita non potesse girare che sopra questi due arpioni: o stare in galera, o mandarci. Il primo delitto, e le cause del misfare questi: il poco sapere lo rese presuntuoso; e reputandosi pertanto superiore ai compagni, male si recò a tedio il mestiere paterno; anch'egli vide cocchi, cavalli, e ricchi armeggiamenti, [85] e sontuose cavalcate turbinarglisi intorno agli occhi come cerchi di fiamma infernale, dagli usci appena schiusi tuffò lo sguardo nelle sale dorate dove gli balenò lo spettacolo di festini, di balli, di donne stupendamente formose, e di voluttà non sapeva se divine, ma senz'altro sovrumane, e ad ogni modo da lui non gustate mai; e dal gaudio di tante delizie egli bandito come Caino dal paradiso terrestre. Le cento e forse le mille volte, guardandosi entrambe le mani, aveva detto: con queste dieci dita io disfarò i dieci comandamenti della legge di Dio; tuttavolta il suo primo delitto non mosse da ferocia, da vendetta, e nè manco da cupidità; lo generò il benefizio; essendosi ridotto in certa casa dove si giocava allo sbaraglino, prese parte al gioco, e ci provò la fortuna contraria; certo giovane amico suo, a cui pareva avesse messo il maggior bene del mondo, notando come gli fosse venuto meno il danaro, per tentare di ricattarsi, gliene profferse, ed ei lo rifiutò borbottando; si trasse da parte col cuore grosso di odio, e poichè il giovane amico, [86] favorito dalla sorte guadagnava colpo su colpo, il diavolo finì per cacciargli le mani dentro a' capelli; usciva fuori di sè; lo attese al varco, e lo uccise.

La giustizia, per quante ricerche instituisse, ed a quei tempi ne faceva poche, non venne a capo di scoprire il colpevole, però che avendo trovato addosso all'ucciso le anella e i danari, stimarono il caso accaduto per gelosia di donne, o per altra nimicizia; onde il sospetto non poteva mai cadere sopra Angelotto riputato intimissimo suo, il quale, quando cotesta febbre dell'anima gli fu un poco queta, si sentì sconvolto; e nelle notti vigili, si vide comparire dinanzi lo spettro di lui a maledirlo pel fiore dei suoi anni reciso a tradimento; ed egli piangeva, e buttatosi a terra del letto s'inginocchiava sul pavimento, e camminando su i nudi mattoni traeva dietro allo spettro domandando perdono. Stupendo a dirsi! E' si trovò come strascinato a nuovi delitti per attutire il rimorso di cotesto primo, cocente troppo ed insopportabile; poi anco l'anima fa il callo; nè giovò poco a consolarlo la fede, [87] ch'egli professava fermissima, che Dio, mediante certi suoi angioli ed arcangioli, tenesse i libri a partita doppia di ogni vivente, dove da un lato registravano il loro dare, e dall'altro il loro avere, onde sperò saldare il conto per via di messe, offizi da morto, ed altri preci siffatte; la quale fede gli crebbe due cotanti quando di bandito si trasformò in bargello: anzi, per parlare giusto, bisogna dire, che s'egli si propose di menare strage, e la menò, dei comandamenti della legge di Dio, ebbe poi sempre riverenza ai precetti della Chiesa, nè ardì contraffarli; si confessava una volta l'anno almeno, di elemosine si mostrava prodigo come un ladro; non ci fu caso che mangiasse mai carne il venerdì, nè il sabato; su la persona portò sempre medaglie benedette, ed agnus dei, e queste a Roma in cotesti tempi, ed anco ai nostri, si riputavano virtù capaci a lavare bene altre colpe, che non erano quelle commesse dall'Angelotto.

Egli si era fatto portare un boccale di vino, così per non parere, più che per altro, dacchè se ne stesse intatto dinanzi [88] a lui, ed egli solo dentro una stanza con la manca si reggeva la testa mentre con lo indice della destra andava segnando linee sopra la tavola; carattere diabolico quello, però che ogni linea significasse morte procurata con le infinite guise fin lì scoperte dall'uomo, che non erano poche, quantunque poi le sieno cresciute fuori di misura, e gli premeva affrettarsi perchè adesso davvero gli toccava dire: morte tua vita mia; e stante il colpo fallito, e le sopraggiunte angustie affrettava co' voti l'arrivo dei bargelli compagni, quanto poco prima gli aveva desiderati lontani.

Però il Riccio e l'Arrichino non si fecero troppo aspettare, che regnando Sisto, camminavano tutti più che di passo; e la parola impossibile egli aveva cancellata dal suo dizionario: in due recavano rinforzi di altri trecento miliziotti e sbirri: riunite le squadre sommavano a seicento: proprio per quei tempi uno esercito.

Tosto si chiusero nella stanza per fermare tra loro il modo della impresa; nè sembra che leggermente e presto si mettessero [89] d'accordo, perchè dibattendo ora questa, ora quell'altra cosa, si condussero a buio: avendo chiesto lumi e vino, l'oste colse la occasione a volo per vedere se spillava covelle, e da prima lo sperò essendogliene porto il bandolo da Arrichino, il quale gli chiese:

— Che tempo fa compare?

— Il sole è ito sotto, che pareva il capo di san Giovambattista quando fu presentato a Erode dentro un catino di sangue....

Arrichino ch'era guercio, e bolognese, e per arroto sbirro, gli cacciò addosso gli occhi stralunati, e subito dopo pigliatolo pel braccio lo spinse fuori della stanza dicendo:

— Tu l'avresti a saper lunga il mio uomo. —

Subito dopo si fece alla finestra per ordinare agli sbirri raccolti intorno alla osteria:

— Non esca persona; a cui trasgredisce, addosso — di poi speculò il tempo diligentemente, e tornato dentro soggiunse; — stanotte avremo tempesta, forse fra tre [90] ore; quattro non istarà; direi non dessimo tempo al tempo.

— Sta bene, rispose Angelotto.

— Anch'io ci sto, dal canto suo soggiunse il Riccio.

Allora Angelotto, ch'era a capo di tutti, scese, e salì sul muricciolo allato alla osteria; non visto, e non vedendo gli altri lanciò nel buio queste parole:

— O gente dabbene, il tempo stringe; tre degli otto giorni assegnati da papa Sisto se ne sono iti; se non gli portiamo, prima ch'ei spirino, una dozzina di teste di banditi, e' le farà mozzare a una dozzina di noi altri; oltre la dozzina, per ogni capo di bandito ha promesso la mancia, e papa Sisto è uomo di parola: però il migliore avanzo voi avete a contare di farlo su quello dei banditi: alla più trista badate che non vi accada come ai pifferi di montagna.

Questa concione non sarà raccolta da verun maestro di rettorica; persona oserà proporla di esempio ai giovancelli di liete speranze, e tuttavia ricercò tutto le passioni alte e basse del cuore degli sbirri: così una mano anco inesperta, strisciando [91] sul gravicembalo, ha virtù di cavare suono da tutti i tasti.

Dalla parrocchia vicina si udivano i rintocchi della squilla che annunzia la prima ora della notte; l'ora dei morti; pareva che ella singhiozzasse, ed in mezzo ai singulti lanciasse pei cieli la domanda cotidiana: perchè fu aggiunto un altro giorno al cumulo dei giorni di dolore e di miseria? perchè l'alba qui si affaccia sempre ridente come la donna straniera di Salomone, che tende insidie al giovane inesperto? Qui si avvicenda la eterna promessa con la eterna menzogna. Quando la squilla ebbe lamentato un pezzo, tacque sfinita, e le sue ultime vibrazioni si spensero nell'aere come il dì del quale annunziava la fine; cascò goccia senza peso, spazio senza misura nello infinito della eternità. E le stelle, che poche e a malincuore comparvero sul firmamento, simili a schiave tratte alla catena, già dileguaronsi nel buio, chè oblio e buio fanno ciò che può dirsi la libertà dello schiavo. La traccia unica rimasta di loro sopra la terra sono le rugiade, lagrime che chiamano lagrime; e sia così, [92] dacchè se le stelle, queste splendide figlie del cielo, non si pigliassero cura di piangere sopra i nostri morti, chi bagnerebbe amoroso la terra sotto la quale riposano le ossa di Francesco Ferruccio? Santa Croce possiede tombe per diverse e molteplici manifestazioni dello ingegno antico, ne avrà qualcheduna forse dello ingegno moderno, ma fin qui è vedova del sepolcro di Francesco Ferruccio. Forse non si reputa per anco dagl'Italiani, risorti con licenza dei superiori, e il visto dei Riformatori dello studio di Padova, il sangue versato per la Patria gloria d'Italia? O forse sangue di popolo non merita onore di memoria? Resta dunque, o Ferruccio, sotto le grondaie della Chiesa di Cavinana, e nel cuore del popolo; certo monumenti non superbi questi; non costruiti dalla moneta accompagnata da una lacrima, e sincera; perchè pianta da cui per paura ebbe ad assottigliarsi il pane a fare splendido il lutto degli uomini dichiarati grandi per partito municipale vinto a fave bianche e a fave nere...

Incomincia a sentirsi per la notte una smania come di cui male sta e teme peggio [93] Il ventipiovolo inquieto commove le fronde e le piante, donde esce un lagno indistinto e nondimanco pertinace: il poeta desolato potrebbe credere che il genio della pazienza offesa si sforzi d'insegnare ai mortali il modo di ribellarsi con frutto dalla onnipotente tirannide, e non sappia poi formare accenti umani, o preso da terrore balbetti le parole.

Le squadre degli assalitori avevano a circondare le falde del monte a larghi intervalli, per istringersi poi mano a mano che salivano, ma come suole, ottimo disegno in concetto, nella pratica compariva impossibile, perchè troppo largo il giro, e rotto qua da torrenti, là da bricche; tuttavia come venne loro imposto fecero, così salirono buon tratto di via taciti con la mano chi sul draghetto della miccia, chi sul grilletto della ruota, però che allora quello che noi diciamo acciarino non fosse anco inventato, ed altri pronti a conficcare in terra il puntale della forcina sul quale avevano adattato gli arcobugi loro.

Di un tratto un lampo ruppe il buio, fu il primo colpo, dopo quello il fuoco straripò a modo di fiumana, molti i tiri [94] dalla parte degli assalitori, ma inefficaci; scarsi quelli degli assaliti, e apportatori sempre di ferite o di morte, dacchè essi da fermo traessero, dietro i tronchi degli alberi si riparassero, e gli altri procedessero alla scoperta; dalla parte degli sbirri si udivano gemiti, preghiere, e voci lamentevoli di cui cascava; da quella dei banditi non si sentiva alito, e sì che qualche ferito, e qualche morto avevano avuto anch'essi, ma i feriti si cacciavano in bocca i lembi del mantello od altro togliendosi la facoltà di gridare, forse chi sa per tema di nocere ai compagni, o piuttosto per sospetto, che il compagno a canto gli mettesse le mani addosso e lo spogliasse. L'uno e l'altro può essere; chi se ne intende scelga.

Uomini e lupi però costumano ad un medesimo modo; quando sono feriti si danno addosso.

Ferveva l'opera della distruzione, e fin qui con la peggio degli assalitori, allorchè taluno di essi si avvisò tagliare qualche ramo di pino, e accenderlo per vedere almeno dove mettessero i piedi; non lo avesse [95] mai fatto! però che servendo i fuochi per punto di mira, la morte rovinò a modo di gragnuola in mezzo a loro; gettarono via i maluriosi tizzoni, e da capo gli avvolse la oscurità.

Ma adesso era venuta la volta del cielo, il quale, quasi provocato, sembra che intendesse mostrare di faccia alla sua quant'è inane la furia dell'uomo; con immenso baleno si squarciò da un punto all'altro tingendo ogni cosa di color sanguigno, e subito dopo un tuono parve schiantasse i cardini del mondo, poi giù a rovescio grandine, acqua, e con assidua vicenda saette, lampi e tuoni: non per questo rimisero punto gli sbirri la rabbia della persecuzione; anzi la crebbero, al fine primo della impresa non pensavano più, adesso appetivano solo la vendetta; di vero alla luce sinistra dei folgori ora vedevano stramazzare agonizzante un compagno; ed ora, più orribile aspetto, miravano gli uomini di scorta ai muli portatori del vino avvelenato ciondolare appesi pel collo ai rami degli alberi secondochè l'impeto della bufera gli sbatacchiava.

[96] Quantunque però ci si mettessero coll'arco del dosso è da credersi, che gli sbirri non l'avrebbono sgarata se prima la banda di Arrichino, e dopo poco l'altra del Riccio non avessero investito i masnadieri dal fianco destro e dalle spalle; allora Paolo conobbe in un attimo, che non bisognava appillottarsi, e in meno che non si dice amen ebbe ordinato si ritirassero nei luoghi più alti, dove per balzi dirotti l'accesso si faceva piuttosto disperato che difficile, e vi erano di lunga mano allestite l'estreme difese.

Dall'una parte e dall'altra si sentivano stanchi, però, quasi per accordo tacito, accadde una tregua, durante la quale gli sbirri ripararonsi come poterono sotto gli alberi, i banditi nei ridotti dove si rinfrescarono di polvere e di piombo, mentre gli altri con pena infinita poterono preservare la polvere da bagnarsi, non però dal restarne inumidita.

Di asciugarsi le vesti, anzi spremere l'acqua dai capelli non era il caso e non ci pensarono nè meno, solo tentarono col dito se le coltella tagliassero, e con queste [97] ammannironsi alle ultime prove. E poichè lo starsi si fece di corto più grave del moversi, stantechè la procella durasse a imperversare più fiera che mai, si levarono urlando: — ammazza! ammazza! — proprio a mo' che i lupi si sferzano i fianchi con la coda per darsi coraggio. E veramente di molto ardire era mestieri adesso non solo contro gli uomini, bensì contro il cielo, che diluviava saette, e grandine mescolata coll'acqua, le fonti schizzavano getti, e fischiavano pari ai flagelli delle furie, il torrente ruggiva a sbalzi di roccia in roccia, come leone che fugga spaventato, le fronde degli alberi turbinavano stridenti quasi chiome agitate dalla disperazione: non più di voci che sonassero lagni andavano pieni il monte e le valli, bensì di stridi di rabbia, di furore e di sterminio quali sono o si finge abbiano ad essere dentro lo inferno: che in questi tormenti della natura le anime dei morti escano dai sepolcri a empire di dolorosi guai i luoghi dove trassero la vita non credo, nè piacemi dare ad intendere altrui, ma che un elemento spirituale diffuso pel creato [98] si addolori commosso dalle convulsioni della natura potrebbe darsi, nè vi ha cosa che c'induca a negarlo.

Ormai i sentieri per salire in alto o non si trovavano, o scarso, e questi dirotti o lubrici non meno pei rigagnoli delle acque, che per la belletta menata giù dal monte: anco qui orribili aspetti rivelò di tratto in tratto la luce dei lampi; uomini sfracellati da una pietra nel capo annaspare per l'aria con le mani come fa il naufrago piombando giù nello abisso; altri capovoltarsi sdrucciolando e rotolare a saltelloni di sasso in sasso fino alla falda del monte; chi rimanere appeso ciondolone da una macchia come bestia al gancio del beccaio, ad altri, altri casi, e tutti da mettere il ribrezzo addosso al solo pensarci. Tra i molti offersero un molto terribile gruppo due: avendo uno sbirro superato un giogo, si spinse innanzi per levarsi dal pericolo di ruinare nel precipizio, ma fatti appena una diecina di passi, ecco serrarglisi addosso un bandito e stringerlo fra le braccia, lo sbirro sottentra e lo ricinge alla vita, così avviticchiati insieme scotonsi, [99] scrollansi, di qua e di là sbattacchiansi, ora tentano levarsi in alto e soffocarsi, ed ora framettendo la gamba alle gambe, o picchiando forte del tallone nelle giunture si sforzano a sternare l'un l'altro; la vicenda assidua del buio e della luce dei lampi ora sanguigna, ora bianca, ed ora verdastra palesava i sempre vari atteggiamenti dei lottatori, la rabbia di che andavano invasi, come pure il pericolo, che di momento in momento li minacciava, imperciocchè il bandito guadagnando terreno spingesse lo sbirro spossato vicino al dirupo, quegli caldo della vittoria non ci avvertiva, o se pure lo avvertiva, non gliene importava, all'altro sì, che spaventato gridò:

— Bada, precipitiamo....

— All'inferno! urlò il bandito; e giù di fascio rotoloni ambedue; nè le percosse delle roccie dove stracciavansi valsero a far sì, che si staccassero; all'opposto il bandito (ed anco questo si vide allo sfolgorare di un lampo ) ficcò i denti nella gota allo sbirro, e vuolsi credere, che in cotesto sforzo dell'odio spirasse l'anima.

[100] Pari in orrore, se non forse più strano, questo altro caso; uno sbirro, con le mani aiutandosi e co' piedi, dopo inaudito travaglio di scheggia in ischeggia già arriva alla sponda estrema della rupe, già vi pone la destra, dopo la manca, e raccogliendosi in sè già spinge la persona in alto per sopramettere il petto al ciglione; un bandito che lo mira a un tratto, piglia con ambedue le mani l'archibugio per la canna, e quanto può leva le braccia in alto per dargli del calcio nel cranio: voglioso di acconsentire con ogni sforzo al colpo, allarga le gambe sporgendo innanzi la destra e si curva. — Qui si fa buio; e chiunque si trovò presente al caso, ormai al chiarore del nuovo lampo teneva per fermo o non avrebbe più veduto lo sbirro, o lo avrebbe visto rotoloni per l'aria, quando con maraviglia pari allo spavento contemplò lo sbirro salvo, e il bandito tracollato giù nel precipizio, e questo accadde in grazia della intrepidezza, o piuttosto dello istinto di conservazione dello sbirro, che lo mosse a stendere la mano, ed, agguantata la gamba al bandito, con supremo [101] anelito tirarla a sè, onde costui troppo in cima, su terra sdrucciolevole, diede la balta, e l'altro, che si potè mantenere attaccato al vivagno, di un salto fu sopra e si salvò.

Per questo caso presero tanto animo gli sbirri quanto ne perderono i banditi; nè, superate una volta le alture, restava modo alle difese, però che quelli troppo vincessero di numero i secondi, i quali adesso si vedevano ridotti a venti, e nè manco tutti illesi. Paolo allora pensò allo scampo, e due e tre volte cacciava fuori fischi acutissimi, segnale ai banditi, perchè, cessato il combattere, riparassero alla caverna, asilo fidatissimo negli estremi accidenti; al fianco suo erano rimasti, fin lì non tocchi, Ciriaco e Maria la figliuola dell'oste, la quale in cotesta notte mostrò esserle l'arcobugio assai più familiare della rocca e del fuso; e quante volte Ciriaco per bontà d'indole, o per altro affetto presumeva farle schermo del proprio corpo, ella tirandolo da parte gli disse dispettosamente:

— O che credete che io non sappia [102] come voi mettermi a repentaglio? O immaginate, che stimi la mia pelle più cara della vostra? In là... in là... ch'è tempo perso, ognuno di noi nacque con la sua morte in tasca. —

E sembra proprio che la deva andare così, però che ella, mentre stava per voltarsi al segno del capitano, si sentisse colpita di sotto al lato manco; nè tanto potè tenersi, che non prorompesse in uno strido, e subito dopo girando sopra sè medesima stramazzò.

— Maria è cascata, disse Ciriaco a Paolo.

— Lasciala stare; ne cascarono tanti, rispose Paolo.

— No: vado a pigliarla. —

— Lasciala, la traccia del sangue ci scoprirà.

— No: se ci è verso la vo' salvare....

— Se capitasse viva in mano agli sbirri potrebbe farci la spia; va bene, vengo teco a pigliarla.

E andarono. Presto, presto, Paolo le fu al fianco, dove, piegato un ginocchio a terra, interrogò:

[103] — Siete ferita?

— Oh! signore sì, mi sento morire....

— Versate di molto sangue?

— Per di fuori... no... non pare....

— Badate a non tracciare col sangue la via agli sbirri; avete nulla addosso per fasciarvi?

— Sì. —

— Ciriaco aiutala a fasciarla, e stringi forte; — dopo queste parole Paolo tentò il terreno per conoscere se fosse bagnato di sangue, poi unì insieme le dita avvertendo se restassero appicicate, nè questa prova bastandogli gustò con la lingua l'umidore, e parve assicurarsi; allora diè mano a Ciriaco per rilevare Maria, la quale essendosi costoro recata sopra le braccia conserte portarono via a precipizio.

Gli stessi banditi ebbero a penare non poco, prima che nel buio trovassero la caverna, la quale non abitavano già cotidianamente, serbandola, come ho detto, per estremo rifugio; al fine, trovatala, presero a rimoverne dalla bocca le marruche, e ogni altra ragione pruni, che per natura e per arte vi erano cresciuti foltissimi; [104] passati, li raddrizzarono, e intrecciarono; lì presso, uguale il roveto, e per buon tratto esteso, onde quasi disperato rintracciare la caverna nel dì, pel buio poi impossibile. Appena penetrava nella caverna il bagliore dei lampi, dacchè la tempesta imperversasse tuttavia, però tanto bastava a far sì, che i banditi disposti in mezzo cerchio, con un ginocchio chino, atteggiati in varie guise, tenessero gli occhi aguzzi e le bocche degli arcobugi rivolte allo spiraglio.

Gli sbirri, poichè dopo molto altro trarre si accorsero che i banditi erano scomparsi, cessato il timore di essere presi di mira, smaniosi per la rabbia, che scappasse la fiera, ripresero a tagliare schiappe di pini, e con quelle accese cominciarono a frugare bramosamente le macchie; chi avesse veduto quelle strane sembianze correre su e giù per la foresta con quei fuochi sinistri nelle mani e udito gli urli ferini, che mescevano con lo strepito dei tuoni, e il fragore delle fronde sbattute, e delle acque, certo avria immaginato di trovarsi nel Citerone, o su lo Ismaro mentre [105] le Menadi correvano furiando sotto la sferza del Dio che le agitava; di vero, se i miliziotti non ispingeva ebbrezza di vino, erano mossi dalla ebbrezza del sangue, della ferocia e dell'avarizia; ma ora che ci penso, anco le donne tessale e tebane, se nelle corse matte occorrevano in qualche uomo, lo stracciavano, e fitto il capo di lui sur una picca portavano a processione; così pare provato che uomini e donne, digiuni od ebbri, tranquilli o maniaci fossero sempre micidiali del sangue loro. Forse muterà un giorno, anzi io ci credo, non mica perchè faccia capitale sopra la benevolenza, ma sì sopra lo ingegno malvagio degli uomini, che nell'arte di distruggersi andando sempre innanzi troveranno modo di potersi sterminare in un attimo, allora, ma non prima di allora, dando spese al cervello, brontoleranno sempre, e non si morderanno mai.

Non una o due, bensì delle volte più di dieci gli sbirri passarono e ripassarono davanti la bocca della caverna, anzi uno di loro prese a sbrattare la rosta, ma, trafitto da un pruno, si rimase bestemmiando. [106] E' fu giusto allora, che la povera Maria, travagliata da febbre mortale, vagellando prese a lagnarsi, e in mezzo al delirio ricorrendole alla mente le cose, o gli affetti che più la tenevano presa, ricordò la madre defunta, e la Madonna; sovente fu udita raccomandarsi a un signor Paolo, pel quale pareva ella nudrisse non minore paura, che passione; per ultimo l'atterrivano le pene dello inferno, e supplicava le menassero il prete, affinchè, confessati i peccati, potesse ridursi in luogo di salute. Paolo, che, caso fosse o consiglio, le stava allato; da principio le disse: — taci; — ma poichè vide il comando riuscire indarno, stese la mano, ed ebbe compreso la donna travagliarsi negli spasimi supremi; allora adagio adagio ei scinse la fascia, che portava attorno la vita, e fecene groppo, il quale poi soprappose alla bocca della misera donna; nè punto lo rimoveva, al contrario sempre e più sempre ce lo pigiava, procurando che non pure il rammarichío ma nè anco l'alito si potesse sentire.

Ventura volle, che ora i tre bargelli [107] s'incontrassero poc'oltre di là, e subito prendessero a favellare. Primo fu Arrichino a dire:

— E' mi pare che dobbiamo appendere il voto alla santissima Vergine di Loreto se la è andata a finire così.

— Che noi ce ne abbiamo a vantare, ciò sta nelle regole, riprese il Riccio, ma tra noi buttiamo carte in tavola; se non eravamo un esercito ci rimanevamo tutti. — E l'altro:

— Caro mio; tu non ti contenti mai; io avrei voluto vederci un po' uno di quei colonnelli famosi, che vanno per la maggiore sia francese, sia spagnuolo... nella notte... in mezzo alla tempesta che appena cessa... abbiamo superato rupi da disperarne le capre; il nemico disparve, il campo è nostro.

— Certo è sparito ma non fu sterminato; ci rimase il campo, ma ci tocca a lasciarlo subito se non ci vogliamo morire di fame e di freddo... quanto a morti e feriti, io vo' restare ammazzato se per dieci sbirri e miliziotti noi avremo un bandito....

[108] — Abbi pazienza Riccio, cominciò Angelotto, ma tu guasti l'arte: a noi basti vincere, ho sempre sentito dire, che si aguzzò il piolo sul ginocchio chi pretese stravincere, e in due parole io ti chiarisco; il Papa pagherà gli sbirri, finchè ci saranno banditi; e sta sicuro di questo, che dopo l'ultimo bandito egli impiccherà l'ultimo sbirro....

— Incomincio a capire, e mi pare che tu abbia ragione.

— Lo so anche io, che ho ragione, e bada a questo altro: domani quando raccoglieremo le teste dei banditi, un paio di dozzine e' ci hanno da essere....

— Per me crederei di no.

— E tu credi così perchè tondo nascesti e tondo morirai, chi ti para a mescolare co' capi dei banditi qualche testa di sbirro? Le non si distinguono le teste come sono tagliate, massime quando piglia a disfarle la morte... allora un ladro vale quanto un vescovo, e ci è da sbagliare....

— Dici bene tu, ma se taluno ci fa la spia... con Sisto, Domine aiutaci!

— Restando la cosa tra te, me ed Arrichino [109] non si ha da temere tradimenti; e di grazia a che pro tradirci? Sisto promette alle spie Roma e Toma, e anco le paga, ma se tu ci hai avvertito, presto o tardi le agguanta, e solo che inciampino in un filo di strame e' vanno a finire al canapaio, però messe a monte le altre ragioni, basta questa per noi a tenerci la fede.

— Anzi, osservava Arrichino, tra le teste dei banditi non potremmo trovarne una giovane, e dare ad intendere che fosse dello stesso Venanzio...?

— Io la tengo per cosa da non ci pensare, rispose Angelotto, perchè il Papa sa ch'egli è bellissimo, di capello biondo d'oro, e forse gli hanno dato altri segnali di lui: anche te ammonisco a non volere stravincere. —

Il Riccio allora come studioso di non iscapitare nella reputazione di mascagno soggiunse:

— Di' un po' Angelotto, le taglie promesse si avranno a spartire fra coloro che rimasero vivi? —

— Ma sicuro, i morti non contano, e poi hanno sempre torto marcio.

[110] — Giusto come pensava anch'io! Dunque meno che saremo e più ci toccherà?

— Per lo appunto a quel modo.

— Allora, sarei di avviso, che ce ne tornassimo addietro noi altri; ai passi metteremo guardie, nè grosse, nè sottili, perchè i banditi non ci possano sgusciare di mano: voi vedrete, che, come aggiorna, da qualche buco scapperanno fuori cotesti dannati a fare impeto su le guardie per mettersi in salvo; e noi gli lasceremo arrabattare un pezzo fra loro, perchè per ogni bandito che casca morto le taglie crescono, e per ogni sbirro che pigli la via dell'altro mondo meno ci tocca a spartire....

— Non è mica pensato male, sai? Ma ci ha di mezzo l'anima, Riccio mio....

— Ed anco a questo ho avvertito... non ti sembra che si possa aggiustare la faccenda con qualche messa?

— Sicuro... con le messe... e gli uffizii. —

Così rimasti d'accordo, ordinarono alle squadre rifacessero i passi; domani a giorno chiaro sarebbero tornati a seppellire i morti ed a mozzare il capo ai banditi, e tutti [111] insieme scesero cantando canzoni, dove, ad onta della parola, per paura di Sisto, pudibonda, non iscaturiva meno sfacciato il concetto; tanto l'aspettazione del poco danaro delle taglie valeva a soffocare il senso di angoscia presente e del pericolo trascorso, anzi il dolore pei compagni perduti e il rimorso della strage menata!

Paolo levò tardi la mano di su la bocca di Maria; allora solo, che il vento non gli portò nè manco il susurro del canto degli sbirri che si allontanavano, e Maria da parecchio tempo non respirava più. Levatosi in piedi Paolo favellò in questa sentenza ai compagni:

— Se vi abbia voluto bene e vi ami, voi lo sapete, però non dico nulla dell'angoscia che provo a dovervi parlare siccome faccio; fratelli miei, e' non ci vedo caso, bisogna separarci. Ora un acquazzone ci rovina addosso; passerà, e la prudenza insegna di aspettare al coperto, che smetta; non possiamo mica fare alle capate co' muri. Papa Sisto in questo quarto di luna vive in pace con la Spagna, i Viniziani, il serenissimo di Toscana, insomma con [112] tutti; l'accordo dei gatti fa la tribolazione dei topi: ma quanto durerà egli? Staremo a vedere; intanto il punto giace nello scansare la forca, figliuoli miei, e attendere tempi migliori. Dividiamoci dunque per ritrovarci con meno tristi auspici più tardi, voi conservatemi la vostra benevolenza, com'io vi do pegno di perdurare nella mia; se ho commesso qualche errore, ne chiedo perdono prima a Dio, poi a voi altri; voi sapete che verun uomo può vantarsi perfetto: pensate se io! Il patrimonio comune, ch'io rivenni al verde, mi sembra, che se non risponde ai desiderii vostri (e questo sarebbe un po' difficile), pure ora sia tale da potervene contentare; adesso lo dividerò tra voi, qui lascerete le armi, gli argenti, e gli ori lavorati, come pure le gioie, chè per queste cose voi cadreste facilmente in sospetto, e ricordatevi che i sospetti mettono i pioli alla scala di compar Gigolo. Dell'oro monetato fate tre parti, una darete al prete per la faccenda dell'altro mondo, la seconda al giudice, caso mai vi fastidisse nella faccenda di questo mondo, la terza serbate per voi. Rendetevi [113] terziarii di San Francesco, o meglio torzoni in qualche convento; quello che si fa con la veste corta del bandito, il tonacone del frate sembra tagliato a posta per coprire: se vi occorre barattare moneta, cercatene al priore, o al sagrestano, e a patto che non istiate su lo spiluzzico a riscontrare il danaro del cambio, egli non vi tradirà; non vi confidate mai con donne, e i capelli non vi saranno tosi da altri, eccettochè dal barbiere; fate la carità in segreto, e Dio, che la vede anche al buio, vi ricompenserà; godete anche in segreto, perchè allora il bargello non lo saprà: e mastro Gigolo non v'impiccherà. —

A considerarlo bene come merita, non si può dire, che questo discorso abbia virtù di movere troppo gli affetti, e tuttavolta i banditi piangevano a sprone battuto. Tanto è, uno scampolo di tenerezza la possedevano anch'essi; e....

— Capitano, fra i singulti dicevano, e avrete cuore di lasciarci così...?

— Figliuoli miei, e' mi pare che sia bazza per noi lasciarci a questo modo.

— E finchè voi non tornate noi avremo [114] a dormire interrati come le testuggini?

— Oh! no, come le vipere, per mordere più velenose a primavera.

Acceso un lume, cavarono con le zappe di sotto terra una cassa, e presero a spartire il danaro noverando per ogni uomo un ducato. Quando toccò la volta di Ciriaco, Paolo disse:

— A te Ciriaco. —

Ma Ciriaco non era quivi, e Paolo rinnovò la chiamata; allora Ciriaco sbigottito rispondeva con voce lamentosa:

— Capitano, Maria è morta... non so che farmi della moneta.

— Vien qui tosto, che la si sveglierà più che non vorresti.

— Io vo' vedere se dorme, o se è morta Maria.

— E tu sta ad aspettare che si risvegli....

E mise su la tavola il ducato; quando ebbe a contare sè, si mise da parte, onde i banditi notarono:

— E voi, Capitano, e voi?

— Io, povero qui venni, e povero io voglio morire, Dio provvederà....

[115] — Questo non patiremo mai.... voi avete a pigliare la parte doppia... sì, doppia..... doppia vogliamo.

— Intendete contendere meco all'ultimo? Duro vostro capitano, obbedite....

Chinarono il capo, brontolando forte: per poco non s'insanguinarono a ributtare la moneta, che pure essi avevano con mani sanguinose arraffato.

Venuti al fondo della cassa, Paolo la gittò all'aria dicendo allegramente:

— Fiera finita; le botteghe si chiudono.

— Capitano, o signor Paolo, interruppe qui Ciriaco, Maria non dorme, io vi accerto ch'è morta.

— E che conti a me? La ho uccisa io? Te la posso risuscitare io? Piglia questa moneta e consolati; se non puoi consolarti chetati. — Compagni, su, non ciondolate; per quanto udii, la via del torrente rimase libera; una volta che abbiate messo il piè sul ciglione si trova il viottolo anco ad occhi chiusi.

Tolsero funi e ferramenti preparati al bisogno, e usciti fuori con molto riguardo [116] dalla caverna, si condussero su la sponda della rupe, traverso le spaccature della quale ruggiva il torrente; i fianchi di lei per lungo tratto erano tagliati a picco, e lisci così, che meglio non saria potuto farsi per via di pomice, poi occorreva una maniera di cornice capace al passo mala pena di un uomo, che di ora in ora serpeggiando s'incassava nei fianchi del dirupo per riuscire da capo senza riparo sul burrone. Aiutaronsi a calare; ultimo volle rimanersi Paolo, sempre confortando i compagni a pigliarsi cura di sè; a lui non pensassero; potrebbe scendere dopo gli altri agguantandosi alle funi. Quando tutti furono discesi, Paolo si affacciò al vivagno gridando:

— Addio, compagni, l'avoltoio ha da vivere, o morire sul monte... salute a tutti, e ricordatevi di me.

I banditi tacquero, temendo con le voci loro dare la sveglia alle scolte, e l'ora, il luogo, e la paura di mettere il piede in fallo troppo li tenevano stretti perchè si pigliassero cura di altrui.

Paolo, studiando il passo, ritorna alla [117] caverna: qui giunto cava fuoco dal focile, e accende il lume: ciò fatto, seguendo l'usato costume, si volta intorno a speculare, e mira Ciriaco, che genuflesso a capo di Maria, le recitava le preghiere, che, monche e a stento, si richiamava alla memoria.

— Oh! Ciriaco, perchè non ti salvi con gli altri?...

Signor Paolo non posso, mi pare che qui mi rimanga il cuore....

— Diamole sepoltura, e non ci pensiamo più....

— Non ci pensiamo più, la è presto detta, ma io di Maria non mi dimenticherò mai, Capitano, mai.

— Ti premeva molto questa ragazza, Ciriaco?

— Molto.

— Ed ella ti amava?

— No: ella amava voi.

— Me! Io non me ne sono mai accorto....

— Me n'era accorto io.

— Se stava come me la conti, Ciriaco, felice lei, ch'è morta, felici noi!

[118] — Capitano, per Cristo! voi parlate da matto... da matto e da peggio.

— Non ingrugnarti Ciriaco, che io ti chiarisco: saresti stato felice tu se vivendo ella l'avessi veduta ardere per altri che per te?

— Non importa, a patto che riviva....

— E questo dici perchè vivendo ti rimarrebbe la speranza, che un dì o l'altro di colta o di seconda mano potesse cascarti nelle braccia; quando poi questa speranza ti venisse spenta, tu l'avresti presa in odio, forse tu stesso ammazzata....

— No... no....

— Ad ogni modo tu avresti concepito rancore contro me innocentissimo, nè tu sai, o puoi sapere dove questa gozzaia ti avrebbe condotto, e per noi, usi a palesare i nostri pensieri più col coltello che con la lingua, ci è da mettere su pegno, che un giorno o l'altro, senza volerlo, anzi con inestimabile tuo cordoglio, mi avresti ficcato così tra costa e costa un mezzo palmo di coltello, e morto che tu avessi il compagno della tua puerizia, — il tuo [119] padrone, — il tuo fratello, saresti stato contento? Avresti vissuto in pace con lei? Sarebbero stati tranquilli i tuoi sonni dormiti sul medesimo capezzale con la donna che ti armava la mano al fratricidio? — Felice te, ed io pure felice, perchè, dà retta, io avrei fatto certo di queste due cose una: o l'avrei tenuta, o l'avrei respinta. Se tenuta; nello stato in cui peniamo, Ciriaco, che diventa per noi una donna? Un demonio se piglia i nostri costumi, uno sfiancamento di cuore se si conserva mansueta e pia. Respinta, si rifiniva nell'angoscia? E peggio per lei. La struggeva l'ira? E ci avrebbe mosso nemici il cielo e la terra, e peggio per me, per te, per tutti. Dunque sta bene, dove sta: requiem æternam. —

Ciriaco arrovellava di sentirsi convincere, voleva trovare una ragione per rispondere e non la rinveniva; s'industriava formare una parola, e pareva la lingua e le labbra gli negassero l'ufficio, mentre l'altro insolentendo nella potenza della favella continuava:

— Felice lei, ch'è morta tenendo occulto [120] il fuoco di amore, perchè solo a questo modo e' sembra divino: pensieri soavi, e cari palpiti, e desii lo alimentano sempre splendidamente vivace, ad ogni istante gli nascono nuove ali, e, con le ali, nuove forze per poggiare senza quiete in su; manifestato che sia, brucia ogni cosa e si spenge soffocato nella sua propria cenere. Felice te! che non provasti che sia doversi vergognare per l'uomo del tuo cuore, nè tremasti che ogni latrato di cane lo svelasse alla persecuzione degli sbirri, ed ogni colpo di arcobugio gli rompesse le membra. Oltraggiata, derisa, tu non ti trarrai per le pietre e pel fango sotto la forca, dove te conduce l'agonia di carpire a volo uno sguardo obliquo del marito, e di porgergli un detto, od anco una voce sola, che gli attesti non tutti maledirlo, e in cotesta arsura di morte gli scenda refrigerio nell'anima. Felice te! che non ti sentirai ghiacciare il sangue, per terrore che una parola non riveli al tuo figliuolo la sua nascita; nè dovrai desiderare che ti si apra sotto la terra, quando egli in onta dei tuoi sforzi, consapevole dell'essere [121] suo, ti getterà in faccia come rampogna la sua vita.....

Ciriaco a questo punto recandosi in mano i capelli della morta, che lunghi e neri le cascavano sopra il petto e le spalle, nello sporgerli che faceva verso Paolo, tra i singhiozzi sclamò:

— Così giovane! Signore! così giovane!

— Mira, ella era più saputa di te. Te lo ricordi? Ora fa poche ore ti diceva: ogni creatura nasce col suo destino in tasca. Che significa il tempo? Un palmo più, meno di vita, un anello aggiunto o tolto alla catena; e tu, Ciriaco, non vorresti piuttosto un'ora come un falco, che un giorno come un lumbrico? Tra la melma, dove si dibatte, questo non ha da temere nè anco che un piede lo calpesti, quello senza requie insidia il piombo de cacciatore.... ma in mezzo al cielo.... fra i raggi del sole, ben venuta la morte.... Senti, Ciriaco, scaviamole la fossa profonda, perchè non la offendano le bestie, commettiamola nelle braccia del Creatore, egli la vestirà ogni anno a primavera di un manto di erbe verdi, e di margherite; a lui [122] lascia la cura di bagnare con le rugiade le viole sul capo di Maria; non temere, no; qui verranno uccelli a lamentare la vergine sparita come stella cadente, — splendida e passeggera. E noi, Ciriaco, dalla sua morte caviamo argomento di amarci e sovvenirci nella vita, dacchè tu amasti lei, ed ella, come tu affermi, amò me, con questo amore rafforziamo il vincolo che ci lega. Di un'altra cosa ti avverto; supreme nemiche sono la morte e la vita, sicchè, anco quando questa abbandona il corpo umano, l'altra pare che si periti a surrogarla, e così per un po' di tempo la persona non sembra morta, bensì dormente; ma da un punto all'altro la morte, smessa la paura, irrompe dentro e ci pianta la sua bandiera; allora torci altrove lo sguardo, e per Dio non mirarla perchè la faccia che tanto amasti, di subito tramutata ti spaventerà; ti staranno sempre davanti cotesti occhi fissi senza sguardo; la immagine dei labbri, che ti sorrisero di amore tu scaccerai dalla memoria come una tentazione del diavolo. Vuoi serbarti pio e caro ricordo la donna che amasti?

[123] Velala quando è spenta. Non venire a contesa con la morte allorchè questa le ha ficcate le unghie nelle tempie; allora potrai rammentarti la donna dolce parlante, e dolce ridente; allora, come l'amasti viva, l'amerai morta; forse più.

Paolo favellò assai più cose, e con copia di paragoni, e di figure come costumano gli uomini ingegnosi quando li commuove la passione, però che allora sieno tutti poeti, massime in quelle parti d'Italia, che ha in delizia il sole.

Nè una sola, bensì due passioni tenevano adesso agitata la mente di Paolo, il rimorso e la paura. Certo, rimorso e paura; anco le campane, le quali pure sono di bronzo, provano l'azione del caldo e del gelo, nè il cuore nostro, per duro che diventi, supererà mai il bronzo, e forse chi sa cotesto era l'estremo crepuscolo di bontà che si abbuiava in quel tristo; comunque sia, io faccio caselle per appormi che non possiedo il filo dei laberinti del cuore umano, e nonostante io mi ci avventuro con ispessezza soverchia come con inanità; bisogna smettere, e a questo io mi propongo [124] d'ora innanzi attenermi; però mi basti esporre, che Paolo sentiva paura e rimorso; rimorso di avere forse morta, e certo sospinta innanzi tempo a morire, Maria; paura che Ciriaco agguardandola non le venisse a scoprire sopra la faccia alcun segno rivelatore della sua codarda ferocia. Malvagie passioni in vero, ma che pure avevano virtù di tenerlo agitato a quel mo', che l'acqua arzente quanto è più ria, peggiore ebbrezza cagiona.

— Ma voi, come se in cotesto punto lo percotesse la vista di Paolo, ma voi come non siete partito con gli altri? —

Paolo si fece per la vergogna vermiglio fino alla radice dei capelli, nè dove fosse stato più chiaro nella caverna avrebbe potuto celare il suo turbamento a Ciriaco; improvvido di quello che gli usciva di bocca, così a strappi ebbe a rispondergli:

— Io? — Non poteva darmi pace, che Maria.... certo Maria..... sì, davvero Maria rimanesse insepolta all'oltraggio delle volpi e dei lupi. —

Queste parole vinsero il cuore di Ciriaco, e tanto più le credette sincere, quanto [125] che la stessa esitanza nel profferirle gli dessero prova di passione, onde rilevatosi si abbandonò nelle braccia di Paolo, sfogandosi in lacrime. Appena si fu un po' quieto, questi, al quale coceva avacciarsi, disse:

— Or bè, Ciriaco mio, seppelliamo la povera Maria e pensiamo ai casi nostri.

Ciriaco rassegnato andò per la zappa e per la pala, ed ei zappando, e Paolo cavando la terra, presto ebbero scavato la fossa; allora Paolo si fece da capo al cadavere, e dopo avergli velato il volto con un panno, lo prese sotto le ascelle, Ciriaco pei piedi, e lo calarono nella fossa; e dacchè questi dopo avere commesso alla terra il corpo della sventurata non dava segno di vita, Paolo, presa la pala, cominciò a coprirla; quando ebbe finito, battendo la terra col piatto del ferro, disse:

— Povera Maria, riposa in pace!

Ciriaco si chinò su la fossa e la baciò dal lato ove Maria riposava il capo, esclamando con ineffabile affetto:

— Almeno la terra che cuopre la tua santa faccia porti la impronta di un bacio! —

[126] Trascorsi alcuni istanti Paolo favellò:

— Orsù Ciriaco, poco avanza della notte, e ci bisogna mettere le gambe in capo se vogliamo salvarci; piglia l'accetta e cammina in su, fin dove il fesso del monte si allarga meno, giusto al punto del salto della capra; là squadra un pino dei più alti, la grossezza non preme, e comincia tagliarlo al piede; io mi sbrigo di una mia faccenda e ti vengo dietro.

Ciriaco, senza profferire parola, s'incamminò al luogo disegnato. Ora diremo perchè Paolo rimanesse; egli, come sovente accade tra i ladri, si era finto generoso co' compagni per rubare meglio, e vergognando, dopo aver sostenuto la parte di eroe, in faccia a Ciriaco svelarsi di subito farabutto plebeo, senza avvertire quello che dicesse gli uscì prima di bocca il tratto pietoso, il quale esercitò tanta virtù sul cuore di Ciriaco, ed ora aborriva fargli conoscere la causa vera del suo ritorno. Egli prese in fretta a scavare in un angolo, ed in breve scoperse un forzierino, che aprì, e trattene fuori quante gioie vi stavano chiuse se le rovesciò nelle tasche; [127] d'altro non s'impadroniva, o gli mancasse il tempo a frugare, o non fossero cose da trasportarsi con agevolezza e sicuro. — Compito ciò, raggiunse Ciriaco, che tirava giù colpi da disperato; sovvenendolo Paolo, di corto atterrarono il pino, e con poche accettate l' ebbero spoglio dei rami, allora strascinaronlo sul ciglione, dove dopo averlo con molta fatica drizzato, di una spinta abbatteronlo sopra la sponda opposta; l'albero, percosso il sasso, ne levò le scheggie, e saltellò parecchie volte; quando stette fermo lo rincalzarono con terra, e pietre, offerendo a questo modo il passo sopra l'abisso. Veramente il ponte era fatto, ma veruno, a meno che non facesse professione di funambulo, si sarebbe arrisicato traversarlo di giorno; figuratevi un po' se di notte; ma i nostri personaggi erano usi a sciogliere bene altri nodi; per la quale cosa Ciriaco, piegatosi col petto sotto alle costole sul trave, allargò il braccio destro abbrancandosi forte con la mano diritta, poi con la manca spinse di scancìo, e adagio adagio il suo corpo scorreva traverso il pino, che non fu piccola fatica.

[128] Paolo, sotto colore di agguantare fermo il trave, nel mentre che con ambedue le mani lo teneva, e Ciriaco stava ciondoloni sul precipizio, andava almanaccando tra sè:

— Lo butto giù, o non lo butto? — Se lo butto non reco meco traccia del passato; cessa ogni sospetto di testimonianza, chè non ritornano i morti.... Se non lo butto, posso contare di aver quattro braccia invece di due, e tutto da sè non si può compire...., e poi a disfarmene sono sempre a tempo..... A tempo!.... Sempre speriamo così, e non succede mai: costui sembra che patisca di tenerume, e caso mai s'intoppi in qualche sgualdrina, che gli tiri su le calze, è capace a svertare peggio di un vaglio; ora se le forche di Roma non mi vanno a sangue, molto meno mi gustano le napolitane..... dunque mi torna conto a disfarmene. — E già stava per dare di un urto nell'arbore; senonchè di repente ritirata la destra si diede di un picchio nella fronte. — Cristo! esclamò, per poco ch'io non la faceva marchiana....... e, se butto giù il trave, come passerò [129] io. — Ciriaco è una coppa d'oro; l'amico della mia puerizia: — poi a voce alta: — bada a non avacciarti, Ciriaco.... fa per bene....

— Signor Paolo.... mi trovo quasi in cima... ecco... io sono passato. —

— Sia ringraziato Dio! Adesso tieni fermo il trave per me..... guarda di reggere forte, sai...

Passarono entrambi, e di leggieri si ridussero in salvo; il Diavolo, che aveva dipanato per essi un grosso gomitolo, calumò loro quanto spago potevano desiderare. Anco i compagni trassero diciotto con tre assi seguitando a puntino gli ammaestramenti di Paolo: accolti a braccia quadre nei monasteri, taluno si rimase in cucina, ed altri salì in pulpito, e celebrò messa, ed ebbe fama di dottrina non meno che di pietà; però sì gli uni che gli altri affaticarono dentro quei muri la pazienza di Dio due cotanti più, che nelle foreste, imperciocchè non solo vi portassero tutti i sette peccati mortali, ma, vivendo co' monaci, impararono l'ottavo, che è l'ipocrisia, la quale insegna a vestire da virtù [130] il peccato, che fuori spaventa per la sua bruttezza, o si patisce perchè composto di eleganza, mentre solo in Chiesa sanno convertirlo in santo, metterlo sotto il baldacchino, accendergli i moccoli ai piedi, ed esporlo all'adorazione dei fedeli.

[132]

CAPITOLO QUARTO.
La donna superba.

Sul principio dell'anno 1589 comparve a Napoli un cavaliere romano giovane, a maraviglia bello, sfarzoso di vesti, di famiglia e di cavalli; chi avesse avuto usanza con Paolo Pelliccioni avria giurato, che fosse desso, senonchè i capelli e i baffi di questo nerissimi, un certo fare alla grande, il suono della voce un po' diverso dal comune potevano metterlo in dubbio; di vero, si diceva, ch'egli venisse dai lontani paesi delle Indie, ma non si sapeva con sicurezza se orientali od occidentali; aggiungevano pel suo grande valore essere salito in grazia di un Kan, o Mammalucco, o Pretegianni, che fosse, il quale prepostolo a, non so nè manco io, quante centinaia di migliaia di cavalieri, aveva riportato strepitose [133] vittorie sopra i signori emuli, esteso il dominio su milioni e milioni di popoli, e messo nel museo reale trentadue sacca di teste di principi ribelli; dopo sì stupendi gesti il Kan o Mammalucco di che si è detto, mancando di prole maschile, avergli profferto in moglie la sua unica figliuola, la quale si era per modo intabaccata del cavaliere, che per poco, vinta d'amore, non si buttava sommersa in mare con un sasso al collo, cercando refrigerio all'arsura onde avvampava; e non dispiaceva nè anco a lui, perchè veramente sembrava un occhio di sole; ma, siccome mettevano per condizione ch'ei si avesse a far turco e circoncidersi, egli, da vero indalgo cristiano, essendo disposto anzi a ricevere il martirio, che a rinnegare la fede, notte tempo spulezzò con solo un cavallo, dei tanti suoi tesori solo portando seco parte delle gemme, le quali pure si pregiavano un tesoro capace di comprare qualunque grossissimo reame della Cristianità.

Se sopra questa trama dalle comari ci trapuntassero rabeschi, pensatelo voi, per guisa, che le gentildonne ne andavano in [134] visibilio; e, dove appariva, fanciulle e maritate traevano a mirarlo come formiche al grano, comecchè nei sembianti fingessero non vederlo o scansarlo; che le vergognose del Camposanto non occorrono solo a Pisa, nè sempre dipinte, e questo ha la barba bianca; ma tanto è, donne, diplomatici e preti, quantunque le furberie loro abbiano messo il tallo, non sanno buttarle da un canto; le monache poi facevano grappolo dietro le grate, e tutte lo avrebbero voluto per santo attaccato al muro; udita una volta la storia dei suoi casi esse piangevano, con mani giunte e pietosi occhi contemplavano il cielo, ardevano, gelavano, massime quando sentivano il pericolo che aveva corso di restare circonciso.

I preti tenevano il bordone, anzi rincaravano la posta, dacchè il cavaliere non mancava mai alla messa ogni giorno, a' vespri, a' tridui, alle novene, alle processioni, insomma alle svariate rappresentanze cattoliche, nelle quali a quei tempi entrava tutta la religione, e poi le mani di lui stillavano proprio il balsamo delle [135] elemosine. Gli uomini, a parlare giusto, non lo amavano gran fatto, taluno ancora lo guardava a stracciasacco, pure co' modi cortesi, le parole oneste, gli offici servizievoli egli parte ammansiva e parte si rendeva benevoli.

Tra le tante gentili damigelle di cui la città di Napoli va sempre smaltata come un giardino di fiori, o smagliante come l'emisfero di stelle (il lettore può scegliere tra questi due paragoni quello che meglio gli gusta), alcuni credevano ch'egli avesse posto gli occhi sopra Donna Violante di Ayerba, della quale questo diremo per ora, che tanto si mostrava superba, che per comune opinione si giudicò, se si fosse trovata con Lucifero a entrare in palazzo, questi cavandosi il cappello le avrebbe detto: — passi eccellenza!

Nè, se la Violante andava a' versi di lui, pareva che egli piacesse meno alla Violante, argomentandolo i popolani da questo, che ogni volta ella compariva alla Chiesa del Carmine, ecco il cavaliere dietro come la rocca al fuso, dicevano le donne; e gli uomini, come San Rocco e [136] il cane; nè basta: quantunque Gesù Cristo con la sua santa bocca abbia insegnato gli uomini tutti esser uguali, e i preti lo predichino dai pulpiti, e gli altri uomini fuori dei pulpiti, pure e' si dice così per dire, perchè nè in vita, nè in morte, nè in chiesa, nè fuori, gli uomini ti appariranno uguali; e per non andare lontano, mira, alla Violante di Ayerba, appena tocca del piè la soglia della chiesa del Carmine, le occorre affaccendato il sagrestano con seggiolone, e cuscino, mentre il plebeo o sta ritto o s'inginocchia sul marmo; quanto alla morte, popolo e letame, a carrate si buttano là in terra, mentre il Beniamino della fortuna ha la sua brava cassa e sepoltura in chiesa, e l'inventario, a guisa di epitaffio, delle virtù che possedeva, e delle altre che non possedeva, inciso nel marmo sopra la sua testa........ Voi mi tentennate del capo.....; lo so quello che mi volete dire: che monta questo? — Certo dopo morti simili novelle non arrecano caldo nè freddo, ed una di queste lapidi panegiriche vid'io, or fa due dì, adattata per predella colà dove il tacerne è onesto; ma tutte questo prelibatezze [137] lusingano la nostra superbia in vita, e, come ognuno può conoscere, ci dispongono a quel senso di benevolenza universale, che darà l'ultima mano di vernice al nostro perfezionamento civile, politico, religioso, e metto punto. —

Quantunque la Violante fosse religiosissima gentildonna e specchio vero di carità fraterna a modo suo, avrebbe prima toccato la pancia della vipera che la mano di una popolesca, o di un popolano, i quali le avessero offerto l'acqua benedetta; e taluno che ci si provò fu lasciato con le dita ritte in su come gli spunzoni di un cancello di villa; al contrario quando gliel'aveva offerta il cavaliere, magari s'ella l'aveva accettata! Da principio parve nicchiare, ma e' fu per parere, perchè poi stese a furia la destra, dalla paura che il gentiluomo ritirasse la sua; sicuro! ella aveva abbassato gli occhi, e la verecondia talora costuma così; ma più sovente l'anima semplicetta che sa nulla, non avendo cosa meno che pura da celare, non piglia vergogna di ciò che manifesta, mentre la passione, abbassando le palpebre su le pupille, [138] lo fa a modo dello amore, il quale con la mano ripara la fiaccola, o per tema gliela spenga il vento, o per meglio nasconderne il fuoco. Ed una volta donna Violante sdrucciolò peggio, almeno così giudicarono unanimi tutte le sue amiche, quando lo seppero: e' fu che un giorno entrando in chiesa, dopo avere ella vibrato lo sguardo innanzi, e dopo averlo storto obliquo con isforzo da restarne stramba per tutta la vita per iscoprire il cavaliere, e non lo vedendo, colta da impazienza, prese a tentennare rigida a destra, e a manca, pari ad arbore di nave in burrasca: all'ultimo non si potendo più tenere... oh fallo! che non varranno a stingere tutte le acque del regno di Napoli! ella si voltò verso la porta di chiesa a mirare se giungeva. — Commesso appena l'atto bieco, se ne accorse, e se ne pentì, secondo il solito quando non lo poteva più dirittamente emendare. Allora tanto più si attaccò a ripararlo storto, onde dardeggiava due occhiatacce che parvero saetto, e parole da mettere i brividi addosso al povero morino affricano, che correggendole lo strascico se ne stava lì impalato secondo il solito.

[139] — Perchè mi tiri dietro lo strascico, che Dio ti mandi la mal'ora e il malanno?

— Comandi?

Ed ella con labbra tumide.

— Perchè mi hai fatto voltare tirandomi lo strascico?

Il morino da capo non intendendo come trasognato ripeteva:

— Comandi vostra signoria?

— Comando, tu vada al diavolo che ti porti....

E fingendo un grandissimo rovello per sempre più colorire la cosa, tornata a casa, tante seppe contarne a danno della povera creatura, che fattogli prima toccare un carpiccio di bastonate persuase il padre a rivenderlo a un muratore che lo mise a servire da manovale, dove inassueto portando pesi eccessivi alle forze, morì di corto per isfiancamento di cuore.

I gentiluomini anzichè cavare le induzioni di chiesa le desumevano dalla Corte, essendo loro parso gran caso, e veramente era, che nell'ultimo festino di Don Giovanni Zuniga conte di Miranda vicerè di Napoli, donna Violante avesse quasi la [140] intera notte ballato col cavaliere romano, e verso lui fosse comparsa non meno pieghevole della persona, che co' modi, consentendo a riporre la propria destra nella destra di lui: nè con minore maraviglia notarono com'ei la conducesse al posto, mentre con gli altri si mostrava rigida, e intirizzita al pari degli orologi di legno.

Chi afferma voce di popolo voce di Dio, e chi la moltitudine fucina di menzogna; una parte e l'altra secondo i casi ha ragione: adesso poi non solo il popolo indovinava, ma i ferri erano caldi più che non supponeva.

Declinava una limpidissima notte di luglio, notte gioconda per gli astri infiniti che paiono tremare di voluttà, notte vocale che d'innumeri suoni ne compone uno solo, dove ogni uomo distingue la voce, che più desía la sua anima inebriata di amore o dolore. Chi è che tema spettri per queste tenui tenebre? Le Lamie vengono esse col vento che porta l'odore del gelsomino? o la Strega può cavalcare per lo emisfero sopra un raggio della stella di Venere? Lo stesso Rimorso sente assopire le sue vipere [141] alla mesta letizia della notte d'Italia; la notte fra noi, massime a Napoli, esulta festosa come colei, che con le discrete tenebre vela l'imeneo dello Amore con la Natura.

Lo strepito dei passi dell'uomo si fa ogni ora più rado; una dopo l'altra si chiudono le finestre; la prima, e la seconda volta passò la corte, e, non avendo trovato persona disposta a turbare cotesto sereno dono di Dio, ci è da mettere pegno che se ne andrà a dormire senza venire la terza... ecco non si ode più rumore di cosa animata, se togli a quando a quando l'ululo di qualche cane lontano e lo stridere sottile del grillo cantaiolo... silenzio! m'inganno... e' doveva essere così; non tutti dormono, nè possono dormire in queste notti; a modo che adesso le cardenie, le magnolie, e le bolcamerie dagli aperti calici spandono il tesoro dei più eletti profumi, i cuori innamorati esalano i più cocenti desii... sta bene! precede un soave arpeggio di corde, perchè l'armonia guida sempre per mano l'amore pudibondo.

Accostiamoci alla finestra munita di [142] ferrata, che ascolteremo il colloquio di amore di Paolo Pelliccioni e della Violante D'Ayerba; solo noto, che per quanto ci affrettiamo non giungeremo a tempo per sentirlo incominciare; di fatti Paolo ora dice:

— Faccio voto a Dio, che per quanti paesi abbia corso, e visto popoli (e prego vostra signoria, a credere, che ne ho visti e corsi molti così del vecchio come del nuovo mondo), non mi è occorsa gentil donna divina al pari di voi. Arrivai fino in Golconda, vissi un tempo nei monti del Caucaso; colà vidi le bellissime fra le Georgiane, e le Circasse, e voto a Dios le sono belle da fare venire le lacrime agli occhi, e pure non mi sembrarono degne di reggere nè manco lo strascico a vostra signoria; costumano in cotesti paesi paragonare quelle portentose creature ai fiori, alle farfalle, alle stelle, al sole, alla luna... io, signora, non oso paragonarvi a nulla; tutto conosco minore alle vostre bellezze... e mi dichiaro pronto a sostenerlo con lancia e spada, a piedi come a cavallo contro chiunque presumesse smentirlo. [143] Però non trovando modo di paragone degno alle vostre mirifiche bellezze mi contento adorare e tacere.

— Cavaliere, rispose con sussiego la Violante, e con un cotale suono di voce arrotato, io non posso come vorrei palesare la mia gratitudine a Vostra Signoria, perchè, considerato come merita, il vostro discorso, trovo ch'ei pecca in quattro punti; primo, voi avete rammentato due volte il nome di Dio invano, e questo quanto sconvenga a cavaliere cresciuto in grembo di santa madre Chiesa, lascio, che avvertita, la vostra Signoria giudichi da sè: secondamente, quantunque le parole vostre lusinghino il mio cuore, tuttavia come cristiana e cattolica non posso astenermi da ammonirvi essere peccato, e peccato grave glorificare la creatura, quando anco questa creatura fossi io: terzamente, signor cavaliere, mettetevi la mano su la coscienza, e ditemi in grazia se nelle vostre parole non ci entra per lo meno un quarto di piaggeria; forse più: per ultimo, non vi posso nascondere, nè devo, che quel mulinarvi nel cervello femmine saracine, e [144] turche, e mettere la mia immagine in mezzo con quella di loro, non mi sembra cosa di che io mi abbia a tenere onorata.

— Santa Prudenziana non avrebbe potuto favellare parole nè più pie, nè più gravi di quello che abbia fatto Vostra Signoria; e, comecchè la condanna dalla vostra bocca mi tornerebbe gradita quanto l'assoluzione o poco meno, pure io imploro dalla vostra giustizia licenza per difendermi; e se la giustizia si trovasse corta, aggiuntatevi un po' della vostra cortesia, la quale vado convinto arriverà a qualunque sterminata lunghezza.

— Parlate, cavaliere, noi ve lo concediamo.

— Signora: si legge nel decalogo: tu non rammenterai il nome di Dio invano; e va bene, ma chi potrà dire, che io lo ricordi indarno quando lo chiamo in testimonio della vostra bellezza? Voi, signora, vi appellaste alla mia coscienza; permettete, che a mia volta io mi richiami alla vostra. Quanto alla glorificazione della donna, signora, valga il vero, il nostro Signore quale scopo si propose egli nella [145] creazione della femmina? Non ho mestiero d'inventarlo io, dacchè egli volle palesarcelo: egli ebbe in mente di compire l'uomo, insomma di farlo perfetto; nè poteva Dio presentarlo di dono più sublime, dacchè corre fama credibile, che dapprima voleva donargli una stella, ma ci pensò meglio e gli largì la donna. Chi mai, chi mai, domando perdono se mi scaldo, potrà appuntarmi di glorificare la donna, quando il Re dell'universo la elesse figlia, e madre sopra la terra e pari alla sua gloria nei cieli? Rispetto a piaggeria, io respingo risoluto l'accusa da me, e allego a prova della mia innocenza testimoni superiori ad ogni eccezione, quali sono i vostri specchi, tutti i laghi dei vostri giardini, ogni cosa lucida dentro la quale vostra Signoria voglia far grazia di effigiare la propria immagine; che se non vi piace accettarli come testimoni, orsù, condannateli per miei complici, e sono contento. Ah! signora, se non temessi avventurarmi troppo, io direi come la soverchia modestia talora sia superbia. In un punto dubiterei se dovessi chiamarmi in colpa, ed è lo [146] avere messo la Vostra Signoria in confronto con le monsulmane, e le saracine; ma dopochè i reverendi padri Gesuiti si conducono in coteste regioni per pescare quelle anime alla fede cattolica, così io anco qui mi penso giustificato; ad ogni modo in questa parte mi rimetto nel vostro savio intendimento.

— Cavaliere, mi accorgo tardi, che troppa è la vostra sapienza, ond'io possa senza taccia d'incauta continuare la disputa con voi; concedete, finchè ne ho tempo, ch'io mi ripari alla riva; e tuttavia, confessandomi vinta, io vi dichiaro, che non mi sento persuasa nè anco a mezzo.

— Avrei guadagnato un altro quarto; affrettatevi a pentirvi, perchè, voi lo sapete, la incredulità è il peccato che offende massimamente Dio. E adesso, potrò senza tremore offerire un mazzetto di gelsomini alla mia signora? Si presentano gigli, e viole alla Madonna santissima dei sette dolori, e non gli sdegna, per quanto io sappia, se offerti divotamente: ora io mi dichiaro indegno sì, ma insuperabile divoto [147] alla bellezza divina della signoria vostra illustrissima...

— Ma Cavaliere... Cavaliere, sono queste parole che possano intendersi da me senza offesa della nostra santa religione...?

Por las cuentas[11] de mi rosario, santo Ignazio di Loiola non si bandì cavaliere di Nostra Signora, madre di Dio? Forse si legge, che la Madonna se ne arrecasse? Ovvero gli dicesse: — cavaliere, statevi a vostra posta a casa, che la nostra purità non ha mestiere di essere provata con cappa e con spada?

— Certo non ho letto in verun libro che questo gli dicesse la Madonna, ma santo Ignazio non ardeva per la beatissima Vergine madre di Dio del medesimo amore, che voi, signor Principe... ditemi, in grazia, siete principe... o duca?

— Duca, però che se la mia casa annovera parecchi cardinali di santa Chiesa, non fu sortita fin qui all'altissimo onore di dare un Papa alla cattedra di San Pietro....

— Mentre voi, signor Duca... ardete... [148] credo... m'immagino... di amore legittimo certamente, ma profano.

— Senza fallo; pure io credo, che se la stessa fonte di tutta purità avesse mirato il povero santo Ignazio avvampare dello amore, ond'io ho acceso il petto, non avrebbe consentito a farne un san Bartolomeo durante il giorno, e un san Lorenzo la notte.

— Lasciamo queste cose da canto, signor Duca: ciò che avete detto basta a chiarire, che il paragone di santo Ignazio con la Madonna non tornava in chiave...

— Sì, ma pel corpo di santo Alfonso, che riposa in Zamora, come volete, mia signora, ch'io vi ami? Lasciamo questo velo di terra che ci fascia, e pure ci è caro; diventiamo anime, e come nudi spiriti amiamoci; allora fieno nostri diletti correre sopra gli aliti della notte, i quali fanno tentennare i fiori come capi d'innamorati, che si accostano per baciarsi, o voleremo pei cieli a cavallo di quale stella più splende amorosa; o meglio ancora ci avvolgeremo deliziando nell'onda armonica, che esce dalle corde dell'arpa di David [149] quando suona i salmi di laude al trono di Dio... ma finchè questo connubio della materia con l'anima dura, deh! non mi sia colpa amarvi come Adamo amò Eva, come i Patriarchi amarono le mogli loro... e così essendo, perchè ricuserete la umile offerta? Sara non respinse i doni di Faraone, e di Abimelec, e cotesti doni diversi dai miei, ed anco dati per fine meno santo davvero.

— No, Duca, nelle vostre parole non ci ha cosa che io non possa udire, nè nelle profferte vostre, cosa che io non possa accettare; solo ci sono cose che nè dovrei udire, nè posso accogliere prima del signor marchese mio padre. La notte amica cuopre il mio rossore, però protetta dalle sue ombre mi attento, signor Duca, porgervi la mia mano in pegno, che il vostro affetto non mi torna sgradito.

La mano della Violante fu strinta bramosamente da entrambe le mani di Paolo, e baciata con sì focosi baci, che per poco non ci levarono sopra le galle; e tra un bacio e l'altro non si udivano che esclamazioni: — o suma bondad! o muis contiento! [150] gioie maravigliose anzi divine! o mia querida prenda! anima dell'anima mia! mio dulce cuidado! con altre più voci di cui va composto il grande dizionario italiano e spagnolo dello Amore. Fin qui, come avranno potuto notare i miei lettori, e sopratutto le mie amabili leggitrici, i discorsi dei nostri amanti sonarono perfettamente imbecilli: cotesto non si nega; ma non è mia colpa; chi se ne intende mi accerta la imbecillità essere vizio proprio dei colloquii di amore, il quale essi possiedono in comune co' discorsi di apertura dei Parlamenti, che i ministri mettono su la bocca alla corona, e co' discorsi dei ministri stessi, eccetto quando parlano di gravarci con nuovi balzelli le spalle, nel medesimo modo che i favellii di amore cessano di comparire vacui quando danno la stretta del matrimonio; chè quanto a questa faccenda non ci ha femmina al mondo, la quale non valga a reggere il bacile al più involpito fra i diplomatici; nè la Violante era donna da dimenticare il fatto suo; di vero, appena riscossa la mano al rapace amatore che ne menava [151] strazio (già s'intende co' baci), ella mostrando vaghezza di allontanarsi favellò:

— Addio, signor Duca; il Signore vi tenga nella sua santa guardia... continuate ad amarmi come io vi amo; — di tanto vivete sicuro, che mi sarà grato portare il vostro nome, e il titolo di Duchessa, ma al medesimo tempo, non vogliate obliare mai che in questa casa non si entra se non per la porta, e consenziente mio padre... intanto scrivete a Roma, fate venire le prove della vostra nobiltà, le carte concernenti il Principato... voleva dire la Duchea, i feudi, e i maggioraschi vostri, e dopo che tutto questo sarà chiarito, ventilato e cribrato, persuadetevi, mio signor Duca, che voi non potrete desiderare più zelante avvocato di me presso il signor Marchese mio padre, perchè vi conceda la mia mano.

Detto questo, ella si allontanò intostita, piuttosto radendo che mutando passi sul pavimento, come quelli che le videro, affermano costumare le statue quando, scese dai coperchi dei sepolcri per fare le faccende loro, si affrettano ritornare al posto. —

[152] Paolo rimasto solo chiuse a pugno la destra e poi l'aperse di forza avventando dietro costei una imprecazione che a cotesti tempi ricorreva spesso sopra le labbra dei vassallacci di Roma, e vi s'incontra anco ai nostri, ma che non può trovare onestamente luogo in questo libro.

La Violante condottasi nella sua camera si pose innanzi tratto genuflessa davanti a bellissimo crocifisso di avorio, avvertendo bene, che il cuscino di velluto non le cascasse di sotto le ginocchia, e quivi si accusò, e si pentì del peccato commesso contro la religione, i costumi di gentildonna cristiana, e soprattutto contro il decoro d'idalga spagnuola, concludendo col fermo proponimento di tornare da capo alla prima occasione. Dopo ciò, parendole di avere saldato il conto della giornata, si mise a giacere.

Ed ora che dorme guardiamola un po' adagio, e procuriamo in succinto porgere idea della sua persona. Vi ricordate la cara statuetta di Canova, che rappresenta Psiche con la farfalla tra le mani? Canova la donò; altri la vendeva; adesso si [153] trova in Baviera, ma voi ve ne ricorderete. Or bene, nel modo che la farfalla sta tra le dita di Psiche, l'anima della Violante si trovava imprigionata fra quelle della Superbia; ma ohimè! con sorte quanto diversa; Psiche l'accarezza, e ne scuote soavemente la tenue forfora dalle ali dorate, mentre la Superbia mena strage dell'anima caduta nel suo fiero dominio. I tratti che la benevolenza s'industriava condurre sopra cotesto sembiante, l'asperità ostinavasi cancellare: le labbra di lei, comecchè vermiglie ignoravano le molli curve onde la bocca di donna sorride quei placidi sorrisi somiglievoli a sfumature di odore soverchiamente acuto, nè gli occhi suoi conoscevano i lunghi sguardi e miti come le mestissime tinte della luce che tramonta: anco per gioia i suoi sopraccigli aggrondavansi, e guardavano il supplichevole del pari che lo irreverente; e quante volte i suoi labbri si atteggiavano a sorriso facevano greppo come fanciullo che si disponga a piangere. Dalla madre spagnuola ella ebbe i capelli neri, lucidi quanto bitume giudaico, e la pelle colorita di un pallido [154] gentile arieggiante l'umore più puro che si cava dalla pingue oliva toscana, altro da lei non ebbe, che la lasciò bambina; nè forse più nè meglio avria potuto cavarne, allevata come fu in corte di Spagna, dove respiravasi sempre un'aura di superstizione che emanava dall'arca d'Isabella regina, tenuta aperta dalla sacra crudeltà dei frati..... Signore! Quando considero cotesta donna levata a cielo, non pure dai vetusti, bensì anco dai moderni scrittori, e perfino da quelli che nacquero e crebbero fra popoli liberissimi, la mia mente si sbigottisce[12]. Per me mi sento ribollire il sangue alla ipocrita ferocia, e alla stolida credulità di costei, la quale o fingeva, o sperava spegnere con alcune poche lagrime lo incendio dei roghi della Inquisizione, ch'ella pure aveva suscitato. Ormai a estinguere il maledetto fuoco mantenuto vivo dalla cupida rabbia dei frati, non che lacrime di donna, basterà appena il diluvio di sangue di cento generazioni. —

Quali fossero le doti dell'animo di Violante [155] d'Ayerba questo racconto andrà significando a parte a parte; intanto, per terminare con quelle del suo corpo, conchiuderemo, che bella appariva nel volto, e nelle membra per eccellenza disposta, e non dimanco tale, che un pittore antico l'avrebbe tolta a modello di Melpomene, la Musa della Tragedia, mentre un moderno ci avrebbe cavato la immagine di Erodiade che, tra le sorrise parolette brevi, e le blandizie proterve della voluttà, domandava a Erode le s'imbandisse sopra la mensa il capo mozzo del Battista, deliziosissimo sopra ogni frutto all'ira muliebre, che non perdona mai.

[156]

CAPITOLO QUINTO.
Contradizioni.

Paolo trovò Ciriaco alla svolta del canto, il quale se ne stava con ambo le mani intrecciate dietro il capo, e fisso al muro come cariatide di sasso: fattosigli da vicino, con voce cupa gli disse:

— Andiamo. —

E l'altro:

— Che nuove dei nostri amori?

— Hanno messo i bordoni, ma non vogliono volare...

— E allora come ci abbiamo a schermire? Noi siamo al verde con gli scudi.

— Come vedi io m'ingegno di cavare da questi amori tanto da rifornire la borsa.

— Io lo vedo; ma l'indugio piglia vizio, temo avvenga a noi come ho udito intervenisse ai nostri padri, che mentre consultavano a Roma abbruciava Sagunto.

[157] — Tu parli di oro, ma donde ho da spremere danari io?

— Io ve lo diceva le mille volte, signor Paolo, vostra Signoria ha le mani bucate più di un vaglio; e nè meno mi garbava quel pagare lì subito come un banco, e peggio ancora senza il diffalco di un quattrino di tara cotesti conti da speziali...

— Ormai acqua passata non manda il mulino. —

— E sì, che l'esempio di tirare innanzi falliti ce lo avevano dato i gentiluomini romani, e i napolitani, e poi a voi che siete cima di nobiltà non fanno mestieri insegnamenti; i creditori si scarrucolano di mese in mese, e se menano chiasso si pestano di legnate... pare impossibile, che abbiate voluto buttare proprio ai cani tutti i privilegi della vostra illustre prosapia!

— Eh! che vuoi tu? Del senno del poi ne vanno piene le fosse...

— Mentre voi ragionavate di amore, io abbacava così tra me sul modo di cavarci di pena, e parmi, secondo il mio povero giudizio, averlo trovato.

[158] — O Ciriaco! tu leverai un'anima dal purgatorio.

— O ne manderò un'altra nello inferno; questo non fa caso. Signor Paolo io non ci vedo altra via, che quella di rubare.

— Rubare? Esclamò Paolo agguantando con la manca l'elsa della spada, e nella faccia avvampava come fiamma di fuoco.

— O Signore benedetto, e che abbiamo fatto fin ora? Ammazzare e rubare. Adesso invece di pigliarcela con due comandamenti della legge di Dio, diamo addosso ad uno solo.

— Noi abbiamo combattuto a viso aperto: lo assalito poteva difendersi, e noi perdere: tra i sommi capitani e noi non cade disuguaglianza in questo, forse il pericolo maggiore dalla parte nostra, chè noi non perdonano mai; ma cogliere alla sprovvista chi dorme e spogliarlo, o invadere con piè furtivo la casa altrui per rubarla gli è mestiere da topi, non da banditi pari nostri.

— Ma! bisogna adattarci; quel rubare e ammazzare di un tratto mi sembra troppo di punto in bianco...

[159] — Per me penso, che l'omicidio non guasti; chi muore muore; quanto a vivi ti perdonano la morte dei padri; se poi togli loro il podere non ti perdonano mai. Anzi può succedere benissimo che qualche erede stantio nel suo segreto ti benedica, però che tu sai il proverbio vecchio, che i Padri eterni fanno i figliuoli crocifissi: a noi poi bastano i denari, l'altro sì mobile che immobile lasciamo: ora qual figlio, comecchè tenero o avaro, non vorrebbe pagare doppio il balzello della successione, a patto di redare in giornata dall'amatissimo padre?

— Vi domando mille volte perdono, illustrissimo signor padrone, ma il nostro bisogno sta nel rubare molto, e a man salva; dunque, seguitate bene il mio discorso. Assaltando una persona per via, poco le possiamo trovare addosso; aggiungete, che di rado i gentiluomini camminano senza compagnia; e per ultimo pensate che alla macchia il rumore delle archibugiate non chiama soccorso; forse lo allontana, mentre in città come questa fra i cittadini, che traggono al balcone, [160] la Corte che accorre per le strade, noi ci mettiamo al cimento di trovarci tra la incudine e il martello.

— Veramente, io non lo nego, queste tue avvertenze meritano considerazione, e volendotele menare per buone giudico che il meglio sarebbe svaligiare una chiesa...

— Una chiesa!

— Già; — mira! nella chiesa non troveremo danari, ma ori, argenti e gioie, i quali potremo vendere a qualche manutengolo, o esitare in altromodo; veruno in chiesa ci contrasterà, persona ci vedrà...

— E Dio?

— Se non ci vorrà vedere si tapperà gli occhi.

— Paolo!

— Ciriaco! O non ti sembra più religioso immaginare ch'ei faccia a cotesto modo, che supporre li tenga aperti, e ci lasci condurre a fine le tante belle cose, che noi abbiamo operate fin qui?

— Ma in chiesa poi!

— Tonto che sei; o Dio si trova da per tutto, o in verun luogo; o vede ogni cosa, o nulla.

[161] — E nondimanco in chiesa...

— Non dubitare; libbra più libbra meno, la bilancia su la quale sarà pesata la nostr'anima non si rimarrà da dare il tonfo giù nello inferno; qui non giace il nodo, sibbene in quest'altra parte, che io non mi adatterò mai a rubare in chiesa nè fuori; e nè anco a te lo permetterei...

— Quanto a questo il suo rimedio ci sarebbe ed io ci avrei pensato...

— E sarebbe?

— Renzo farebbe il servizio, e noi altri gli daremo spalla.

— Credi, che ci sarebbe da fidarci di Renzo?

— Io metto pegno per lui... ma in questo modo vi capacita?

— Sicuro!... egli non appartiene... non fece mai parte di compagnia di banditi, donde ne viene che per le sue opere noi non possiamo restarne macchiati... non è vero?

— Vero come il santo vangelo...

— E tu pensi, che non ci sia pericolo di fidarci a lui?

— Il garzone mi sembra del ferro che [162] si fanno i coltelli, e voi signor Paolo gli siete andato a genio, sicchè vi ha messo addosso un bene pazzo. —

— Con la paura non si arriva a capo di nulla: chi teme non ama, e del male che puoi arrecare ogni uomo confida schermirsi; e questo si trova accadere anco ai principi che tengono al servizio loro sbirri, giudici e maestri di giustizia...

— Sì, da questo lato vi siete condotto da quel valent'uomo che siete, ma dall'altro non mi pare che meritate l'alloro...

— E dove?

— Nel beneficarlo troppo...

— Non ti avrebbe per caso punto la invidia, Ciriaco?

— Me! Voi mi uscite dal seminato, signor Paolo; lasciatevi servire, voi ragionerete bene delle cose vostre come padrone, ma noi, come servitori, delle nostre ce ne intendiamo meglio di voi. Il servo si attacca al padrone, più che pel benefizio presente, per la speranza del benefizio futuro; il benefizio presente, se minore dell'aspettativa, ti aliena l'anima del servo, se pari, lo sazia come per soverchio di cibo; [163] e quando non ti resta altro da donare, se non ti taglia come legno secco e non ti butta sul fuoco, almeno non viene più a ripararcisi sotto, perchè brullo di fronde. Dà poco, e prometti molto, che la speranza allora si conserva verde, perpetuamente rinfrescata dal desiderio. Questo vi ho voluto dire, Paolo, perchè quanto al vostro Ciriaco egli vi ama senza nulla sperare, e nulla temere da voi, eccetto perdere la grazia vostra, ma caso mai voi aveste a rimanere privo di me, e' vi converrà avvertire bene a non mettere il piede in fallo; se inciampate in un filo di paglia vi aspetta una fune di canapa: badate a non dimenticarlo.


Nel colmo della notte, muniti di ferramenti, corde, e di quanto altro è necessario al mestiere del ladro, o per dire più retto, ad una delle infinite specie del mestiere del ladro, uscirono di casa Paolo Pelliccioni, Ciriaco e Renzo il giovane di belle speranze. Pigliarono da tre parti diverse [164] per riunirsi poi, secondo che gli ottimi capitani costumano, in un punto solo, il quale fu certa porticina di fianco della chiesa del Carmine; colà Ciriaco e Renzo adoperando i loro arnesi vennero agevolmente a capo di aprire la porta; Paolo con romana superbia stava a mirarli con disprezzo. Ciriaco appena si fu intromesso in chiesa con Renzo gli disse:

— Va, figliuolo, e Dio ti aiuti; empi il sacco e vientene; io ti aspetto qui fintantochè non torni; se la Corte capitasse da queste bande, il padrone di fuori darà l'avviso, ed io te lo passerò con un fischio; piglia del buono e del meglio, gemme e ori; l'argento lascia; ora affrettati; rammentati che il pendolo del ladro è attaccato alla corda del boia.

Andò il giovane, e Ciriaco attese un pezzo con pazienza, prima immaginando la copiosa raccolta del bottino, poi con inquietudine; e Paolo, il quale ostentava, e forse sentiva davvero spregio per l'atto, ma molto gli premeva l'esito fortunato, due volte si accostò alla porta, e dall'uscio socchiuso lanciò dentro queste parole: [165] — O che vi state a donzellare? Gli è proprio un mettere a cimento la Provvidenza; mi sembra di arrostirmi su la gratella come san Lorenzo.

— E' non si vede ancora; io andrò per esso... che se a voi pare arrostirvi come san Lorenzo, e a me sembra giacermi su la ruota come santa Caterina.

Poco più che durassero a favellare i ladri recitavano intere le litanie dei santi, ma Ciriaco lasciate le scarpe si avviò cauto e guardingo per iscoprire quale accidente fosse mai successo, ed arrivato vicino l'altare con maraviglia pari alla collera mirava Renzo, che in ginocchioni sul primo gradino pregava divotamente.

— Che fai tu costà, che ti pigli una saetta?

— Recito il rosario.

— E i voti?

— Non mi riesce pigliarli... non posso.

— Va via, o che ti ammazzo qui come un cane.

E Renzo: — Perchè mi vuoi ammazzare come un cane? Va e staccali tu se ti riesce. [166] Poi si alzò ripigliando il cammino fatto, al termine del quale avendo incontrato Paolo, questi gli disse:

— E Ciriaco, onde non è teco?

— Rimase a spogliare la Madonna, ma non potrà...

— E perchè non potrà?

— Perchè nè manco io ho potuto...

— Non ti bastavano gli arnesi?

— Degli arnesi ce ne avanzava; non mi è bastato il cuore.... appena io aveva messo la mano sul vezzo delle perle, che la santissima Vergine ha intorno al collo, ella, proprio ella, mi ha detto: perchè mi spogli figliuolo? — E queste parole ha favellato con la stessa, stessissima voce con la quale mia madre morendo mi raccomandò che, caso mai entrassi nella via della perdizione, poco premevano gli altri santi, e poco anco Cristo, purchè badassi bene a non guastarmi con la Madonna; allora, che vi ho da dire? Le gambe mi sono mancate sotto, e ho preso a recitare il rosario. —

Ventura fu per Renzo, che in quel punto sopraggiunse Ciriaco stravolto in vista, e [167] gli occhi strabuzzati; richiesto a sua posta da Paolo se avesse fornito la faccenda rispose:

— Non si può; andiamo via. —

— Anco tu hai avuto paura?

— Io non ho avuto paura; ma non posso... la faccia della Madonna rassomiglia la faccia di Maria... e quando sono stato lì per levarle il vezzo ha chiuso gli occhi. —

Questo, già come s'intende, non era vero, ma facilmente gli parve, però che in cotesto punto una delle lampade accese davanti alla immagine, tirando a finire, mandasse un getto lungo di luce, e poi si spense; onde in quel subito trapasso sembrò che la pittura stringesse le palpebre. Paolo, forte indispettito, tratto meno dalla cupidità che dall'ira, e dalla vanità di spuntare la prova fallita per l'altrui paura, non avvertendo, o dannando, quanto prima aveva professato su le ragioni del furto, diè una spinta ai compagni facendosi largo, e prorompendo in bestemmie si cacciò in chiesa col sacco strappato di mano a Ciriaco. Anch'egli andò diritto all'altare, salì [168] su la mensa, stese sicuro alla immagine la mano, la guardò torvo in faccia quasi a sfidarla e di un tratto le staccò dal lato destro il vezzo... poi si rimase... il vezzo cascò giù da un capo pigliando a ciondolare appuntato dall'altro, e col vezzo cadde il braccio di Paolo, nè più ebbe balía di rialzarlo; stette alquanto a contemplare la faccia divinamente serena della Immagine, come per attestarle, che s'ei si rimaneva non era per paura, e poi borbottando si allontanò. —

Forse si sentiva costui meno ladro o più tristo di Caligola, il quale non contento di spogliare le statue di Giove dei mantelli di oro, aggiunse lo scherno dicendo: gli Dei non patire caldo nè freddo! Per me penso, che non fosse meno tristo di lui. Forse il ribrezzo di rubare senza assalire ed uccidere, vinto uno istante dalla stizza, tornava a mulinargli pel capo, o la superstizione religiosa fece forza a lui come agli altri; chè gli uomini vogliono essere considerati a mo' dei santi dentro la nicchia loro; vale a dire di rimpetto ai tempi in cui nacquero, e alle [169] opinioni in mezzo alle quali essi vissero; non anco gli aveva cullati la Enciclopedia, nè Voltaire nudriti, nè i più moderni filosofi alemanni bagnati e cimati: perversi si sentivano, ed erano; però persuasi delle iniquità che commettevano, da un lato tremanti di averne a rendere conto a Dio, fiduciosi dall'altro di poterlo placare con la penitenza, o co' suffragi; ed anco dopo la scuola d'incredulità, che ho accennato (e un tempo fu più cosa di oggi, ma tuttavia dura), molti pure rimangono divoti a Maria, nè a mio giudicio cesseranno. Maria madre del Figlio del popolo, per la bontà sua venerato Dio, che lo partorisce nel presepio per la persecuzione di un tiranno, e lo perde sul patibolo per la persecuzione dei preti. Maria simbolo di ogni più caro affetto, capace di vibrare le fibre del cuore, però che sempre vergine ed immacolata ella ti rammenti colei, che prima ti destò all'amore, quel divino fiore dell'anima che colto una volta non rinasce più, e nel punto medesimo ti riporta[13] il vario ed inesausto tesoro della bontà di madre; lei invocano con isperanza di [170] soccorso i marinai per le procelle del mare, e lei con uguale fiducia gli sbattuti dalle tempeste troppo più perniciose suscitate dalle passioni proprie, o dalla malignità altrui; i colpevoli in abominio agli uomini, quando non che ricorrere a Dio non si attenterebbero di levare gli occhi al cielo, si raccomandano con fiducia a Maria, e sperano di ottenere il perdono mercè questa perpetua avvocata dei peccatori. — Bene io so, e lo deploro, che nell'idolo dipinto di tinte sfacciate, guarnito di oro e di gemme e posto lì come l'uccellatore mette il richiamo per chiappare gli uccelli, male possiamo ravvisare noi la fanciulla di Ges, la moglie del falegname, la madre del condannato per amore del prossimo, ma tanto e tanto non seppero guastare i sacerdoti questa sembianza d'infinita bontà che non si accosti soavemente all'anima di quale nacque di donna, e per battesimo diventò cristiano.

Paolo tornava anch'egli col sacco vuoto; non fiatò verbo se togli questi pochi: — Sì, andiamo, veramente non si può.

[173]

CAPITOLO SESTO.
Nuove contradizioni.

Non gli sovvenendo partito migliore, Paolo alla stracca continuava i colloquii notturni con la Violante, la quale ogni sera se ne pentiva, ogni sera prometteva di non peccar mai più, ed ogni sera spasimava rinnovare il dolce peccato: anzi, quanto più Paolo si uggisce, ella si accalora, e sovente lo rimorchia co' motti pel suo tardo comparire, e per le sollecite partenze, ed egli o non si scusa, o se ne scusa appena, onde la donna chiama come per soccorso la consueta superbia, ma questa male risponde, e ad ogni istante più pigra; così il piagato a morte, pel sangue che suo malgrado gli sfugge, sente di momento [174] in momento farglisi grave il braccio. Voi fanciulle, che leggete, state in cervello che, come vedete, appena nato si fa gigante Amore.

Per la festa di San Valente, secondo il costume della casa nobilissima Ayerba di Arragona, si celebrò messa solenne nella cappella del palazzo, e s'imbandirono mense; tenne dietro il festino dove alternaronsi balli, colloquii e preziosi rinfreschi. La Violante, comecchè presuntuosissima essendo, si reputasse nella danza uguale a Tersicore, o giù di lì, pure capiva, che in fatto di dottrina poi e di facondia:

Potea dar trenta, e la caccia sul piede:

quindi con l'arte arguta, in cui le donne valgono la mano di Dio, raccolse intorno al luogo dove sedeva il padre suo le dame, i cavalieri e i magistrati più illustri, i quali di breve presero a favellare sopra argomenti a quei tempi delizia delle Corti, ed oggi capaci di far dormire ritti qualunque gli ascoltasse. Dopo avere parlato [175] degli uffici del perfetto gentiluomo, e degli altri troppo più meritorii della gentildonna, non so nemmeno io come di punto in bianco venissero in ballo i due Bruti, Giunio e Marco; e la quistione cadde intorno al giudizio, che si aveva a profferire sul primo quando ammazzò i figliuoli, e sul secondo quando partecipava alla strage del padre. — Il marchese Valente sentenziava:

— Io aprirò schietto l'animo mio; quantunque comprenda ottimamente come ciò non possa accadere senza mettere a repentaglio la mia reputazione: ora il mio intelletto arriva a capire, che uomini senza religione, che tali furono i gentili tutti perchè non battezzati, possano levare a cielo Giunio Bruto per avere messo a morte i figliuoli, ma non so darmi pace, che lo levino a cielo scrittori cattolici, sudditi di S. M.; e per di più gentiluomini.

— Anzi, notava Don Emanuele della Scalera presidente della regia camera della Summaria, nè anco Plutarco, a mio parere, va immune da biasimo, imperciocchè egli vivesse ai tempi dello imperatore [176] Domiziano, e siccome bisogna distinguere tra i gentili prima la venuta di Gesù Cristo redentore, e i gentili che vennero dopo, così per questi non vi ha salute, non potendo allegare ignoranza. Il sole era già comparso, e se tennero ostinati gli occhi chiusi alla luce, peggio per loro.

— Certo, soggiunse il marchese Valente, verranno tempi in cui la gente rimarrà sbigottita a considerare come ai giorni nostri così durasse pervertito il giudizio, che Giunio Bruto si tenesse in conto di eroe, i figliuoli di colpevoli, mentre è chiaro che costui si fece ribelle, ed i figliuoli da perfetti gentiluomini serbassero fede al legittimo loro sovrano.

— Con inestimabile tenerezza io lessi già in Plinio, osservò Don Giovanni Cespedes cappellano maggiore della cappella regia, e non senza commozione rammento, che il giorno della morte del re Pirro i capi delle vittime furono visti leccare il proprio sangue su le bipenni, che gli avevano recisi in testimonianza dell'ossequio dovuto alla regia autorità.

— Già, riprese il vice-cancelliere del [177] Collegio dei Dottori Alfonso Crivella, questo si legge nel medesimo libro, dove Plinio ci fa sapere, che le leggi delle dodici Tavole vietavano alle donne di radersi la barba.

— Riesce doloroso a pensare, così metteva il becco in molle la Violante, che i bovi e i montoni sentano maggiore rispetto alla autorità regia degli uomini. Quando prima andrò a Roma io intendo commettere la incisione del capo della vittima lambente la scure che gliel'ha reciso, sulla corniola, e vo' portarla sempre in dito per ricordo del rispetto che ogni leale gentiluomo ha da professare verso il suo signore e padrone.

— Nobiltà obbliga, favellò il Cespedes, però non si deve razionalmente mettere in dubbio, che ella non sappia compire il suo debito, senza esempio o conforti; lodo nondimanco il pensiero, avvertendo, però, per tutti noi, massime per voi signora, essere le precauzioni inutili.

— Magari, che come per voi fosse per altri, continuò la Violante; ma io mi ricordo la sentenza di Sua Maestà Ferdinando [178] il cattolico, il quale sovente andava ammonendo come, per giudicare del vino, non bastasse informarci donde veniva, bensì sapere eziandio se nello sciaguattare avesse dato la volta. Guardimi Dio di turbare la pace delle ossa del signor Contestabile di Borbone che adesso riposano in Gaeta, ma s'ei camminasse sempre diritto nella via della perfetta nobiltà vel dica il buon marchese di Villena, il quale, dopochè lo ebbe albergato per obbedienza allo imperatore Carlo V di gloriosa memoria, appiccò il fuoco al palazzo. Difatti la stanza di un ribelle al suo Re non poteva più accogliere un idalgo spagnuolo. Concludiamo dunque: Giunio Bruto si deve bandire ribelle e parricida, all'opposto se i figliuoli avessero ammazzato lui, gli saluteremmo oggi eroi della lealtà, e come santi li venereremmo sopra gli altari.

— Mia signora figliuola, est modus in rebus, voi mi parete un zinzino abbrivata.

— Guai ai tepidi, che trovano troppo l'ossequio per l'autorità! Esclamava il regio cappellano Cespedes levando il dito, e poi ripigliava: giovami fare avvertire in [179] questo punto, che i capi delle vittime, bovi fossero o vitelle, leccando il sangue sopra la bipenne sacerdotale attestassero piuttosto devozione al sacerdozio, che alla monarchia, però concedo, che subito dopo Dio viene il re.

— Ma la chiave della volta, prosegue la Violante, sta nel conservare illibata la chiarezza del sangue; dalla quale cosa come retta sequela ne deriva quest'altra, che dove restasse bene dimostrato, che Giulio Cesare contaminasse i natali di Marco Bruto in grazia dello illecito commercio con la madre di lui, bene e dirittamente questi avrebbe vendicato l'oltraggio fatto al sangue trafiggendogli il cuore....

Est modus in rebus, signora figliuola, interruppe spaventato il marchese di Ayerba.

Sano modo; sano modo; non potè astenersi di replicare a precipizio il cappellano regio Don Giovanni Cespedes.

— No, illustrissimo signor padre, no, reverendo Don Giovanni, l'altra invasata continuava, non bisogna pigliare il male per medicina; fuoco e ferro ci vogliono [180] contro le ree passioni, e i turpi fatti del secolo, ed anco non bastano; se san Domenico, se fra Gaspero Juglar, e il canonico Pedro Arbues di Epila non erano, a quest'ora i nobili reami di Castiglia e di Arragona rimarrebbero deturpati da giudei, da saraceni e da marrani.

— Per me, anco a costo di offendere la modestia della nobilissima signora Violante, saltò su a dire il vecchio principe della Riccia, il quale mirava gratificarsi la ricca erede per farla sposa del suo primogenito conte di Montoro, dichiaro espresso, che, quando ella parla, mi sembra proprio di leggere un capitolo dell'Apocalisse.

Il Cespedes, cui parve soverchia la dose, si affrettò di riprendere: — lasciamo l'ispirato evangelista di Patmo, ma egli è certo, che le sentenze della signora Violante valgono tanto oro di coppella. —

Udito ciò, immaginate voi, se la prosunzione della donna ruppe gli argini, onde proseguiva a sfringuellare.

— Dopo il re hassi a reverire la nobiltà, e procurare di conservarla diligentemente [181] inalterata; queste le colonne su le quali tutto l'UMANO consorzio si appoggia; le macchie fatte alla nobiltà sono di quelle che tutte le acque dell'oceano non lavano. Per mio avviso, come il corpo del poeta fiorentino Dante Alighieri fu condannato al fuoco, meriterebbe essere arso il suo libro se non lo salvasse la estimazione nella quale teneva la nobiltà, e lo abbominio lodevolissimo di vederla alterata; di fatto egli da pari suo ammonisce così:

Sempre la confusion delle persone

Principio fu del mal della cittade

Siccome il cibo al corpo a cui si appone.

Dio ha creato i nobili, ed ha creato i plebei, ora è chiaro come confonderli insieme sia contradire alla natura, anzi peggio, un rinnegare Dio.

— E non fa punto impressione a vostra signoria, interrogò con sottile sogghigno il vicecancelliere Crivella, che Gesù Cristo nostro Redentore, potendo scegliersi a padre il più glorioso uomo della terra, si pigliasse un falegname?

[182] — Possibile mai, rimbeccava la Violante, che una cima di letterato come don Alfonso abbia messo nel dimenticatoio, che Maria madre di Gesù scendeva in linea diritta dal re David, e per padre egli avesse nientemeno che lo Spirito Santo?... Vorrei un po', che mi si dicesse dallo illustrissimo signor Don Alfonso, se può darsi nobiltà più sublime di questa.

— Disgraziato me! Il cervello davvero mi viaggiava pel paese dei Digesti, riprese beffardo il vicecancelliere.

— E poi chi sa che in Giudea a cotesti tempi, falegname non fosse titolo di nobiltà....

— Veramente questo....

— Voglio dire al modo ordinato in Tartaria da Tamerlano, che volle le grandi dignità della Corte portassero sul berrettone le insegne delle arti esercitate dai loro antenati, onde chi mostrava un mestolo, chi una vanga, tal altro un martello, ovvero una cazzuola.

— Tuttavolta, insisteva il perfidioso Crivella, rimarrebbe fermo che qualcheduno dei suoi maggiori fosse artigiano.

[183] — Qualcheduno di sicuro, osservò il marchese Valente: Messere Domineddio dichiarò espresso a nostro padre Adamo: tu lavorerai e ad Eva nostra madre....

— Certo le sacre carte non possono mentire, interruppe Violante, e nondimanco, se io avessi a giudicarne, opinerei, che la condanna del Signore contro Adamo rassomigliasse a quella, che il re talora pronunzia contro un gentiluomo, la quale non si conduce mica all'atto, bensì pago della mortificazione o gliela muta in altra non obbrobriosa, o gli fa grazia intera. Forse anco, chi sa? può avergli concesso dopo un po' di tempo di condurre a opera gli angioli. —

Le strampalate e le sublimi cose questo possiedono comune fra loro, che entrambe percotendo altamente il pensiero, ne sospendono per un attimo la facoltà per irrompere poi a irridere senza fine le prime, e levare a cielo le seconde; così appunto avvenne alla donna nostra, la quale, fingendosi che l'ammirazione avesse costretto al silenzio la lode, quinci si ritrasse radiante come sazia di palme, e [184] passando dinanzi a Paolo che se ne stava torbido in disparte, gli vibrò uno sguardo da abbarbagliarlo, senonchè egli si stette sempre aggrondato, ed ella così di sbieco lo interrogò:

— Perchè sì mesto il signor Duca stasera?

Paolo, scotendo il capo come chi volesse gittare lontano un pensiero molesto, rispose:

— Mia signora, se avete comandi a darmi io parto domani per Roma....

Se ci fosse il prisma per iscomporre gli affetti compresi nelle parole come ce ne ha uno per distinguere i colori nella luce, non sette, ma settanta ci sarebbe occorso di notare passioni in ciò che proruppe fuori dalle labbra della Violante; dava la pinta il sospetto, avvampava l'ira, l'amore alternavasi, e la gelosia, con supremo sforzo contendeva la superbia, ma la piena ruppe, ed ella non potè trattenersi da dire:

— Sarebbe fellonia di cavaliere villano, nè voi la commetterete; tra un'ora vi attendo. —

[185] Paolo di corto prese commiato, e quantunque omai vivesse privo di speranza di arrivare al fine dei suoi disegni sopra la Violante, tuttavia avendo di lunga mano ammanito ogni suo arnese, in breve l'ebbe rimesso in punto. Non prevenne l'ora per non parere premuroso, nè si fece attendere per non mostrare dispregio; arrivò preciso, e tocche appena le corde della chitarra, la imposta della finestra prese a stridere su i cardini. La luna nella sua pienezza schiariva tutto il palazzo del marchese Ayerba, e parte della strada; l'altro lato stava sepolto nelle tenebre; però colà dove raggiava la luna un amante avrebbe potuto leggere la lettera della sua innamorata per quanto lunga ella fosse, e il carattere fitto; tutto altro però, fuorchè lo amante, avrebbe insaccato la lettera per leggersela a grande agio a casa.

Illuminata dalla luce della luna compariva intera la maestosa persona della Violante, la quale, o per disegno, o impedita dal turbamento, venne vestita delle vesti sfarzose onde fu ammirata dagli uomini, ed invidiata dalle donne al festino; [186] appena ella scorse Paolo, con voce tremula gli favellò:

— Signor Duca... Paolo... a sorte vi avrebbe tocco qualche sventura domestica? Per caso la madre, od altro caro vostro si trova in pericolo? ditemelo... non me lo celate... voi sapete come e quanto dei vostri dolori io mi appassioni. —

E queste furono le parole più tenere che le volarono dai labbri dopo che la sua fortuna le aveva messo davanti il cavaliere; il quale tra iroso e querulo rispose:

— Sì certo, la sventura mi ha colto, e la maggiore che io sapessi immaginare, o che io valga a patire; sventura a cui non mi aspettava, ed anco attesa non mi sarebbe bastato l'animo di resistere. Pazienza! nacqui infelice.... e contro i decreti della Provvidenza non vi ha riparo....

— Paolo, per quanto amore portate a Dio, non mi tenete sì a lungo su la ruota.... parlate.

— Ed ella vuole che parli come se non la sapesse, come se da lei non si partisse! Qual posso sentire sventura io, che non muova da voi?

[187] — Io! Chiaritemi questo dubbio angoscioso... ma perchè vi partite Paolo? Paolo dove andate?...

Paolo di botto si era staccato dalla finestra e con frettolosi passi ridottosi nell'ombra dall'opposto lato della via, dove si rannicchiò nel vano di un portone, e di corto si fece palese la causa ond'ei si mosse, imperciocchè un cittadino venne a passare in cotesta tarda ora di notte, sia che s'incamminasse a casa, sia che ne uscisse; appena passato, Paolo tornò alla posta, dove la Violante più smaniosa di prima proseguiva:

— Orsù via, Duca.... mio caro Paolo, apritemi senza ambage l'animo vostro....

— Ahimè! donna per me cara e funesta, poichè mi sforzate a dire, io vi confesserò come per mille prove mi sia fatto manifesto, che voi non mi amate....

— O santa Teresa benedetta! non vi amo io?

— No.... no... ve lo dico con le lagrime agli occhi, soggiunse Paolo piagnucolando — ma pur troppo la mia rea fortuna vuole così.

[188] — Come mai, Duca, potete sospettare questo? Non vi ho preferito io a tutti gli altri miei pretendenti? Non mostrai la mia parzialità per voi in guisa, che ne corrono le novelle, ed oggimai sono usi a considerarci come promessi per fede? Le mille volte non vi accertai, e torno ad assicurarvi adesso, che tosto voi sarete in grado di chiedermi al mio signor padre, voi non avrete presso di lui migliore avvocato di me? Qui consentii a ricevervi.... qui vi parlai.... e vi parlo.... o che volete di più da me?

— Questo gli è quanto basta, e ce ne avanza per procurarsi un marito, non già per appagare un cuore amante quale si professa il mio. L'amore traverso questa inferrata mi si presenta come uccello infermo dentro la gabbia; infermo sì, che s'ei si sentisse gagliardo, si avventerebbe contro gli odiati ferri a rischio di rompercisi l'ale; ora so bene, che taluno amore, a mo' della rondine, al mutare della stagione rivolge altrove il volo, ma egli è uccello pellegrino, mentre l'usignolo innamorato della rosa non muta stanza e pure [189] non sa cantare che a cielo aperto, e dondolando su la verde frasca.... Ora qual pegno mi deste voi, Violante, di credere al fervido e rispettoso amor mio? Appena un bacio a malincuore sofferto sopra la mano prigioniera? Quando confondemmo insieme i nostri sospiri? Come io commisi in voi, cuore del cuore mio, i secreti palpiti dell'anima, e come a me voi commetteste i vostri? Noi sembriamo piuttosto legati dalla catena del Corsaro che da vincolo di spontaneo affetto a istanza nostra tessuto dalle mani di Amore....

Qui da capo s'interrompe Paolo, e guadagna sollecitamente l'ombra, udendo il passo di persone, che movono a cotesta volta: come di fatto avvenne.

— Uditemi Paolo, riprese la Violante quando il Pelliccioni, tornata deserta la strada, si riaccostò alla finestra; voi avete a diventarmi marito; ora io so che quanto la donna dona all'amante, ella sottrae a quella dote di decoro, che per lei si deve portare intatta al consorte. Non vi dolga la Violante fanciulla severa per averla a sperimentare poi moglie incontaminata.

[190] — Mia dolce signora, a voi sembra ragionare dirittamente, mentre per mio giudizio persona si attenterebbe ingiuriarvi peggio, che voi non facciate, perchè viva Dio! e' sembra, che voi non abbiate fede nella vostra virtù; di vero o che virtù sono elleno queste che per difendersi hanno mestieri di porte, o di inferriate? Virtù paurose, Violante mia, virtù codarde, virtù che si confessano impotenti a resistere dove non sieno riparate. Quando stava a studio, udii da certo mio maestro raccontare come gli Spartani, a verun patto consentissero munirsi di muraglia, giudicando il petto ignudo il migliore dei ripari a cui basta l'anima, e però furono tra tutti i Greci giudicati fortissimi....

— Il decoro di gentildonna... l'onore illibato di famiglia mi percotono la mente, Paolo, e il puro sangue castigliano, che per tanto ordine di avi scese nelle mie vene.

— E che? signora, questo tesoro commesso a me uomo della vostra elezione temereste per avventura contaminato? — E allora cui sceglieste voi? E voglio darvi anco vinta, che potesse in me, vinto dal [191] desio, sorgere qualche affetto, il quale fosse meno che riverente, e credete voi che la maestà della vostra sembianza non valesse a frenarlo? Potrei, signora, perdonare la offesa fatta a me, ma a voi non posso. E notate, che oltre le ragioni di un cuore infiammato, che gli angioli contempleranno senza scandalizzarsi davvero, io ho bisogno di esporvi a lungo la mia condizione, e le risposte di Roma, e la minaccia di perdere un fideicommisso legato al patto di condurre in matrimonio certa parente lontana cui non conosco, anzi non udii fin qui ricordare nè manco; ora come possa farsi questo, stando a ragionare con lo struggimento, che taluno sopravvenga, e la vostra reputazione ne riporti il più piccolo smacco, lascio che il vostro buon giudizio consideri; andate per la chiave del giardino, porgetemela; venite sotto il boschetto dei lauri; quivi ragioneremo di amore, o se più vi piace di negozi, perchè, se ai casi nostri non provvediamo da noi, certo veruno ci penserà....

E non attese risposta, che per la terza volta riparò all'ombra, e quivi stette più [192] a lungo del solito, perchè non apparve anima viva, ed egli rimase buona pezza a scredere di avere udito romore, onde, quando si ravvicinò al balcone, la Violante avvertiva:

— Parmi non sia passata persona...

— No, persona, ma importa abbondare di cautela però che il vostro decoro io tenga caro più della pupilla degli occhi, ed oggimai spetti a voi come a me.

— Paolo, disse Violante tremando a verga, sicchè i denti le battevano come pel ribrezzo della quartana, Paolo, pigliate... ecco la chiave... Dio mi abbia nella sua santa custodia.


Quando il sole ascende i cieli come un tiranno di oriente sul barbarico trono, e il raggio inverecondo diffonde a rivelare le più lontane come le più secrete cose, quando la canzone della mietitura corre scapigliata quasi baccante per la campagna, e i motti protervi della vendemmia incoronata di pampini eccitanti alla voluttà [193] si succedono a modo di grosse gocciole annunziatrici della prossima pioggia, quando uomini e donne arrotano gli occhi provocando lascivie come il soldato la spada chiamando battaglia, allora riesce facile alla donna gentile torcere altrove lo sguardo, ed arruffarsi all'assalto salvatico mosso al suo pudore, e se taluna casca in balía altrui, ciò avviene come alla Menade dipinta in Ercolano, la quale furiando pei balzi del Citerone precipita resupina fra le braccia del Satiro, mentre la Ninfa fugge la persecuzione anco del Dio, e come Siringa antepone essere mutata in canna, e Dafne in lauro anzichè diventare preda di Pane, e di Febo. Per lo contrario havvi un'ora traditrice, la quale possiede virtù di vincere i cuori più duri; e questa è l'ora in cui la brezza notturna, rasentando i camposanti, ne raccoglie le care ricordanze e i mesti affetti per passare poi sopra le labbra dello amante e insinuartisi nel cuore sotto sembianza di malinconia, mentre di un tratto si rivela amore. O Dio! chi resiste a quell'ora? Infinite voci della natura mescendosi insieme [194] spandono pel creato un bisbiglio di amore e di dolore; le stelle paiono anime di vergini morte immature che piangano la speranza perduta, e preghino per la cara creatura che lasciarono in terra; la luna stessa non più vergine acerba apparisce come donna innamorata, che si accosta di soppiatto tutta tremante a baciare la prima volta Endimione; la famiglia dei fiori celebra a sua posta divini imenei, e nei silenzi della notte si fecondano alternandosi aure di profumo. — Mira i cipressi dei cimiteri che tentennano le cime al venticello della mezzanotte, non ti par egli che spasimanti di amore si adoperino anch'essi a baciarsi, e a susurrarsi i misteri dei sepolcri — la genesi portentosa degli enti che si moltiplicano dentro la fossa, la quale noi giudichiamo fine di ogni cosa creata? Fanciulle tenere, salvatevi da cotesta ora, voi non ci potrete reggere; non presumete di voi, ch'ella vinse uomini e Dei; l'amore in quel punto è irresistibile, però che non rida, ma gema.

[195]


Sederono uno a lato dell'altro sopra il medesimo cespuglio; l'ora, il tempo e la dolce stagione piovevano un'estasi da inebriare le anime più rudi; e i sensi con divina alternativa venivano commossi, e blanditi dallo acuto odore dei gelsomini, e dal lene mormorío della fontana vicina; da prima tacquero come sopraffatti da passione, che non può manifestarsi con parole; se tale stato non cessasse, gli amanti rimarrebbero assorti nelle spire dello amore come a parecchie farfalle avviene di trovare la morte dentro il calice dei fiori: sfocaronsi in sospiri, poi l'indice della destra di Paolo si attentò scivolare lieve lieve su la vesta della Violante, in seguito ci si sostenne, di corto gli fecero compagnia il medio, l'anulare, alfine tutte le dita, e tutte erravano in cerca della mano amata, la quale si ritirava come chi è vago di lasciarsi agguantare, sicchè dopo qualche momento di esitanza si può dire in coscienza, che fu proprio ella, che si fece incontro alla prigione; e stretta strinse meno dell'altra gagliarda, ma pure forte assai. Da una [196] parte e dall'altra le parole furono molte, tre quarti delle quali prive affatto di senso, e un quarto con poco, perchè le donne che se ne intendono affermino a spada tratta come amore quando ragiona non sia più amore. Io mi dispenso da riportarle, sicuro, che quale si sente adesso in istato amoroso o si sentì un giorno, le immaginerà da sè: e quale non si trova disposto ad amare farebbe le stimate strabiliando come le si possano mettere insieme tante cianciafruscole: siccome poi le offese che amore arreca si sanano dallo amore con la cura dello Hanemann, vo' dire co' simili, quantunque in dose allopatica, così dieci, venti, cento baci su la mano della Violante seppellirono l'onta, che ci fece il primo bacio. E a Dio fosse piaciuto, che le parole di Paolo altro non sonassero che amorose capestrerie, ma egli vi tramezzò un mondo di panzane capaci di mettere in sospetto ogni fanciulla di poca levatura, nonchè la Violante quanto altra mai sagace, nelle cose però che non toccavano la sua vanità; ed ella gravemente le udiva, e chiesta del suo parere, [197] gravemente rispondeva, non le sembrando vero di pompeggiare la copia di erudizione teologica e forense di cui come di altre parecchie ella aveva fatto tesoro: in grazia pertanto dei suoi consigli era stato ormai stabilito che Paolo partisse per Roma, dove, messi in pratica i partiti escogitati dalla donna dei suoi pensieri, sarebbe indi a breve tornato glorioso e trionfante a Napoli a stringere il sacro nodo. A questo punto Paolo riputò convenevole, che almeno non disdicesse, sigillare il contratto con una marca di cui sì largo dispensiere è amore, però scorrendole su su per la vita col braccio destro flessibile come la foglia di acanto, osservato da Callimaco intorno alla cesta soprammessa al tumulo della vergine di Corinto, trasse a sè la Violante, e alla sprovvista la baciò su la bocca.

Il soperchio, come accade, ruppe il coperchio: si rizzò su la gentildonna pari a vipera pesta, e respigendolo duramente esclamò:

— Cavaliere, voi dimenticate, che veruno... assolutamente veruno deve essere [198] ardito di baciare la figliuola del marchese don Valente Ayerba d'Arragona, dal suo legittimo consorte in fuori.

— Gran mercede vi domando, signora, ma non credeva in coscienza di commettere peccato mortale se dopo avervi baciato mille volte la mano io mi attentava di baciarvi anco in bocca. Avrei giurato che mano e bocca fossero parti del medesimo corpo; voi mi avete chiarito dello errore.

— Troppo ci corre, signor Duca, tra l'una cosa e l'altra, dacchè il bacio su la mano denoti riverenza, mentre sopra la bocca significa dominio, e possesso della persona amata. —

— Ma fin qui non divisammo i modi, onde io possa salutarvi ad un punto amante e sposa?

— E quando vi diventerò sposa voi riunirete il dominio dell'anima, che già vi siete acquistato, al possesso del corpo, il quale per ora resta intero presso di me. Lasciatemi... che l'ora si fa tarda, qualche servo potrebbe levarsi per tempo ad accudire alle faccende domestiche.

[199] — Voi partite sdegnata, Violante?

— E parvi, che io non abbia motivo di esserlo, quando miro passato ogni termine del rispetto dovuto da cavaliere a gentildonna...?


Traditore, tu sei morto!

Questo grido fu udito allo improvviso ferocemente urlato a poca distanza dai nostri innamorati, e subito dopo uno incioccare[14] di ferri, e una mano di persone assalite e assalitrici dalle porte sbatacchiate con violenza dentro il giardino del marchese.

Misericordia! Lasciatemi, che io ripari in casa... Incauta me! che feci mai?

— Non vi movete, replicava Paolo, pure trattenendola con entrambe le mani — voi potreste essere scoperta...

[200]


— Sicario da trentadue al grano, impara meglio di colpire al cantone. To' piglia questa...

— La è botta stantia; baratta quest'altra...

E così parando e ferendo levavano con lo schermire dei ferri, le imprecazioni, i vituperi, e le minaccie uno strepito da svegliare il paese dintorno un miglio. Dopo lunga battaglia, durante la quale, sembrò, che veruna delle parti arrivasse ad offendersi, s'intese un doloroso guaito, e subito dopo uno scherno feroce, che diceva:

— Ah! cane da Dio, ti ha morso al fine il ferro?

— Mi ha morso sì, e te ne pago in piombo.

Al lampo tiene dietro lo scoppio e allo scoppio un urlo supplicante Gesù e Maria, come chi ferito a morte si muoia.


La malarrivata gentildonna agitandosi convulsa nelle membra balbettò:

— Non mi tenete... andatevene per amore di Dio...

[201] — Questo non farò mai, lasciarvi nel pericolo!

Pure ella barcollando trasse verso il palazzo, dove ora questa, ora quella delle sue tante finestre s'illuminava quasi Argo, che aprisse uno dopo l'altro i suoi cento occhi; a siffatta vista raunate tutte le sue virtù ella, smesso ogni sussiego, irruppe in corsa scomposta, ansiosa di arrivare prima che il padre, o i famigli fossero sul portone; le danno ale alle piante la paura e la superbia, pare che tocchi appena la terra, eccola a piè della gradinata, a due, a tre salisce gli scalini, — ecco giunge alla porta, — ecco ella è giunta.

È giunta, ma la imposta per ispinta di mano non cede. Caso o malizia, la porta fu chiusa... La Violante si sentì impietrire, e poco dopo con subita vicenda le caldane del sangue avvamparle il cervello; levò gli occhi e le parve, che i grifi sorreggenti l'arme gentilizia di casa sua si fossero trasformati in due Cherubini con la spada di fiamma nelle mani, e che brandendola minacciassero: per istrano gioco [202] della fantasia uno di questi Cherubini le presentava sconvolta la faccia del padre suo, l'altra dell'ava, purissimo sangue spagnuolo, di cui il ritratto rigido gelava l'aria della sala, dove lo avevano appeso. Un mucchio di pensieri la trafissero a un tratto, ed uno più lacerante dell'altro; come spiegherebbe ella la sua presenza in cotesto luogo e in quell'ora? Perchè non si era coricata la notte? Perchè non deposte le vesti sfarzose del festino? Dove la superbia della marchesana d'Ayerba? Finti dunque i sensi severi, finto dunque lo zelo per la tutela dell'onore illibato? Lustre, ipocrisie tutte per aombrare i perduti costumi e le lussurie? Acerbo sentì frugarle addosso il giudizio delle genti, e lo scherno delle compagne che invidiando sopportavano molestamente la sua primazia! Quanto più sublime il grado al quale ella si era levata, tanto più ruinoso il tracollo; — appena della sua reputazione si sarebbero trovati i minuzzoli. Non supplicò la terra, che si aprisse, ma se si fosse aperta l'avrebbe avuto a caro. — E i morti nel giardino? Il cancello aperto? [203] Le ferite, e il sangue? Chi avrebbe dissuaso le genti che la strage fosse per lei, e dalle sue libidini provocata? Chi altri eccetto lei aveva aperto il cancello? La sua ragione allo impeto di così fiere ondate rimase sommersa... già per di dentro alle porte udivansi gli schiamazzi dei famigli accorrenti, e già la stanghetta tratta ella sentiva stridere, o le pareva, quando ella fuori di sè, travolta dal terrore, avvilita strinse con moto disperato il polso di Paolo piuttostochè dicesse, mormorò: — Fuggiamo! —

E non lo disse a sordo; imperciocchè appena le volò la parola dalle labbra Paolo la sollevasse nelle braccia, e quinci a precipizio la togliesse. Quando un poco di calma fu tornata in cotest'anima combattuta non aveva più luogo a rimedio; il dado era tratto, il Rubicone passato. Paolo la condusse a casa sua, senonchè ella sul punto di varcare la soglia riscotendosi domandò:

— Dove mi menate voi, signor Duca?

— Nella vostra casa e mia, signora consorte.

[204] — Tale non vi sono fin qui... Cavaliere, se quanto in questa funestissima notte mi è successo avvenne per colpa vostra, Dio vi rimeriti a misura delle opere; se caso, sia maledetta l'ora in cui non pure il decoro di nobile donna, bensì la modestia di donzella vereconda dimenticai. La soglia di casa vostra non passerò mai se prima non potrò dirvi legittimo marito.

— Violante, se non siete anco mia sposa, voi non me lo potete appuntare a colpa; però ora e sempre siete e sarete padrona dei miei pensieri, dei miei voleri, dell'anima mia. Quanto piace a voi, a me piace: dove desiderate essere condotta?

Ella allora indicò la casa di certa femmina, che aveva usanza nel palazzo paterno, dove quasi ogni dì recava agrumi e frutti dalla prossima campagna, e l'era parso che le avesse posto un gran bene. Colà Paolo la condusse senza indugio, e quivi confortatala a nudrirsi, ella ricusò, scusandosi col dire: che non lo poteva fare; solo pregava quiete, e accommiatando [205] Paolo gli raccomandava procurasse con tutti i nervi operare sì che, ottenute le necessarie dispense, potessero sollecitamente congiungersi in santo matrimonio; imperciocchè ella non avrebbe mai ardito presentarsi al marchese d'Ayerba suo signor padre per implorare perdono, se non fregiata dei titoli di sposa e di duchessa. Paolo rispose non dubitasse; premergli questa cura, quanto a lei; e se possibile fosse, anco di più, e diceva il vero.


I servi del Marchese desti dallo strepito delle voci e delle armi erano accorsi alla porta del palazzo, quivi aspettando il padrone, che ordinasse quanto si avessero a fare; ma il Marchese, sia che non giudicasse il caso di grande momento, o sia, che perdesse tempo ad azzimarsi per non comparire scomposto dinanzi alla famiglia, non veniva, onde il maggiordomo tolto il carico sopra di sè schiuse le imposte, e insieme con gli altri si dette a rivilicare pel giardino: splendea la luna in pieno: recavano i servi in copia torce [206] e doppieri, con infinita diligenza ogni luogo cercarono, ogni cosa rimuginarono, ma non morti rinvennero nè feriti, anzi neppure traccia di sangue; il cancello del giardino chiuso, fuori per la via non pesto il terreno; non sapevano darsi pace, nè argomentando apporsi a cosa che sembrasse vera; taluno disse, che qualche sguaiato aveva forse mosso cotesto rumore per rompere il sonno dei vicini, e parve che la imbroccasse; però mandando la malora e il malanno a quei tristi tornarono a casa, dove trovarono a mezze scale il Marchese d'Ayerba in corsaletto con la spada ignuda nelle mani, a destra e a sinistra magnificamente illuminato da due famigli che reggevano torcie di cera bianca. Egli stette; udì il rapporto del maggiordomo con gravità pari, o poco diversa da quella con la quale Filippo II deve avere inteso la relazione della battaglia di San Quintino; poi pensato alquanto, con voce e modi imperatorii disse:

Buena noche, hijos, volvemos a la cama[15].

[207] Però egli non tornò a giacersi, se prima, messa in un canto la spada, non salì alle stanze della sua signora figliuola; ed avendone trovati chiusi gli usciali raschiò lieve lieve lo sportello per tentare se la Violante dormisse, dacchè veruno gli rispondeva, come se tanto non gli bastasse prese con sottile voce a chiamarla traverso il foro della toppa; non udendo persona gli parve potersene stare sicuro, onde partendo di là esclamava:

— Gioventù e innocenza legano l'asino a buona caviglia...

Con l'oro si aprono anco le porte del paradiso, così almeno scriveva nelle sue memorie Cristofano Colombo, cattolico, apostolico, romano a prova di bombarda; pensate se a Napoli, ed a cotesti tempi si vincessero le coscienze dei preti, epperò non badando a danaro Paolo ottenne in un baleno la dispensa delle tre denunzie in chiesa, mercè testimonianza dello stato libero degli sposi fatta da quei due fiori di galantuomo Ciriaco e Renzo, non meno che la facoltà di congiungerli nel santo matrimonio delegata al parroco della Chiesa [208] di Santo Antonio prossima alla casa dove aveva preso asilo la Violante.

Però, quantunque Paolo ci si sbracciasse dintorno, non potè mettere in assetto tutte le faccende prima del vespero; ito verso sera alla stanza di Violante la rinvenne fuor di misura trista, ma all'ansio domandare se le difficoltà degli sponsali fossero state spianate, sentendosi rispondere affermativamente, parve serenarsi alcun poco; nè per nulla volle cedere alle istanze, che affettuose le moveva Paolo, di differire la celebrazione degli sponsali il giorno successivo, punto trattenendola il pensiero, che per quella sera bisognava passarsi della messa del congiunto. Il parroco colto a soqquadro non sapeva che pesci pigliare, ma dagli accenti, dai modi, e più dalla insolenza reputandole persone qualificate, e dall'altra parte lette e rilette le carte, avendole rinvenute a modo e a verso, co' suoi bravi sigilli arcivescovili in regola si strinse nelle spalle, e giudicò, che gatta ci covava, onde si profferse parato. — La cerimonia si compì senza accidenti; solo notarono, ch'entrati in chiesa [209] gli sposi, un raggio rosso di fuoco passando orizzontale alla porta maggiore tinse per alcuni minuti in sangue il Cristo, il sacerdote e i capi dei coniugi, e quando sparve il lume delle lampade appese attorno l'altare, il vermiglio sanguigno mutò ad un tratto in pallore di morto; anco tra una parola e l'altra bisbigliata dal prete si udiva l'onda del prossimo torrente, che, rotta dai sassi, parea che piangesse; prima che i devoti raccolti in chiesa rispondessero amen all'ultimo oremus del parroco, una civetta traversando per le finestre mandò fuori tre volte l'odiato grido, quasi urlando: sventura! sventura! Violante uscì barellando, col cuore chiuso, la testa intronata, e le fu forza per temperarne l'arsura appoggiare la fronte alla soglia della Chiesa; tolto alcun refrigerio dal fresco della pietra, se ne staccò mormorando:

— Santissima vergine, abbiate misericordia di me!

E non ben ferma in piè subito dopo inciampando in uno dei cipressi, i quali piantati attorno alla Chiesa più che altro [210] le davano sembianza di Camposanto, ebbe a traboccare: la sostenne sollecito Paolo, ed ella lo guardò fiso in volto, e poi con tutte le sue potenze dell'anima e del corpo, contrastando invano, ella a forza proruppe in iscoppio di pianto. Povera donna! La penitenza già superava il peccato.[16]

[212]

CAPITOLO VII.
È morta.

Il cameriere del marchese Valente d'Ayerba sta da parecchio tempo col capo in su, e gli occhi intenti al campanello, che gli annunzia la chiamata del suo signore; — forse con pari anelito l'astronomo specola la costellazione subietto dei pertinaci suoi studi; ma il sonno del Marchese, scompigliato dal caso della notte, si prolunga al di là del consueto. Al fine lo squillo argentino ruppe i silenzi del palazzo, e il cameriere accorse in fretta, seco recando le solite cose, una guantiera stragrande ed un lume velato.

Appena aperto l'uscio della camera del marchese, don Diego, cameriere e maggiordomo, gli augurò il buon giorno con l'accompagnatura dei titoli dovuti al suo [213] signore e padrone, e non gli fu risposto: gli domandò eziandio come avesse riposato, e come si sentisse dopo il disturbo avuto, ed anco a cotesto il Marchese si tacque: d'altronde il fante sembrava avvezzo a quei modi cortesi, imperciocchè senza punto scomporsi egli spiegò un tovagliolino damascato, e sopra vi mise la guantiera, e un ciotolone, ambi di argento; la ciotola piena di cioccolatte, delizia degli Spagnuoli ed anco degl'Italiani a cotesti tempi, nei quali se ne abusò in modo da generare corruzione del sangue, ed anco demenza, infermità, che affrettarono la morte di Carlo V, e del suo figliuolo Filippo II. Il Marchese non sorbì, ma bevve avidissimamente, e riposto il ciotolone sopra la guantiera si ributtò giù sbadigliando; il cameriere rimboccava il lenzuolo, rincalzava il letto, ed augurato il buon riposo se ne usciva in punta di piedi.

Passata un'altra ora, il campanello tornò a squillare, e il cameriere di botto cascato a canto al letto aiutò il Marchese a levarsi, a condurre a fine le mondizie squisitissime [214] della persona, e ad acconciarsi delle vesti sfoggiate, che i gentiluomini, massime spagnuoli, usavano per grandigia a quei tempi: ciò fatto scese giù nel tinello dove chiese se la sua signora figliuola fosse anco comparsa, ed essendogli risposto negativamente, prese a favellare svogliato del caso della notte scorsa logorando molta ora in discorsi che di palo andavano in frasca, proprio per ammazzare la tetra noia. — Facendosi tardi è dubbio se il suo cuore voglioso di vedere la figlia gli rammentasse l'asciolvere ritardato, o piuttosto lo stomaco per tanto tempo negletto gli richiamasse alla mente la figliuola, il certo è che adesso un cotal poco impazientito interrogava i famigli:

— Che faccende ha tra mano la marchesa nostra figliuola, che stamattina non si vede ancora?

— Eccellenza, il cameriere replicava, a noi non è concesso salire alle stanze della signora Marchesa senza chiamata di lei, od ordine di vostra Eccellenza....

— Andate, Diego, ed avvisate la marchesa [215] nostra figliuola, che aspettiamo i suoi comandi per mettere in tavola....

Dopo avere chinato il dorso ad arco, Diego lo raddrizzò per andare, senonchè in quel punto si scontrava in altro servo entrato con impeto nella stanza cozzando molto aspramente insieme, ed è verosimile, che si sarebbero per lo meno barattati un diluvio di vituperi, perchè se Diego era molto addentro la grazia del Marchese padre, Ciccillo credeva la Marchesa figliuola lo tenesse caro se non più, almeno quanto il pappagallo che le aveva mandato da Cuba il conte suo zio: ubbie di servi! Ciccillo portava una lettera in mano, e dopo avere riferito, che il messaggero insisteva si consegnasse subito come d'importanza suprema, e subito le si rispondesse, si ostinava a volerla egli medesimo porre nella destra del Marchese; ma l'altro si mise a contrastare, essendo questo ufficio suo, nè potersi a patto alcuno sofferire che dalle mani ignude di un servo trapassassero lettera o roba altra qualunque in quelle di un idalgo spagnuolo; Ciccillo stava in procinto di rispondere per le rime, [216] quando il Marchese troncò la lite ordinando a costui porgesse la lettera a Diego, e se ne andasse. Diego rimasto vittorioso, tolto un bacile di argento vi depose sopra la lettera e la presentò trionfante al Marchese. Questi con gravità la prese, la spiegò adagio, e si accinse a leggerla tenendola con ambe le mani levata davanti agli occhi.

— Beata Vergine dei sette dolori, signor Marchese, si sente male? Casca per Dio! vuol ella che io la sorregga?

— Mi reggo da me... — balbutiva vacillando il fiero Marchese.

— No, che non si regge... casca.... Aiuto! Soccorso!....

Il Marchese di Ayerba pure tanto ebbe impero sopra di sè da fare cenno col dito a Diego, che tacesse, e poi giù di fascio gli si abbandonò fra le braccia tramortito. Con molta fatica, perocchè egli fosse della persona membruto molto e pingue, don Diego lo strascinava sopra un seggiolone dove lo adagiò col capo pendente giù su le spalle e le mani lungo i braccioli: avrebbe voluto chiamare pel medico o almanco [217] pel barbiere che gli aprisse la vena, ma il Marchese aveva ordinato il silenzio, e succedesse quello che voleva succedere, suo primo dovere era obbedire; però confortavalo a sperare, che mal di gocciola non avesse ad essere, la bocca a modo e a verso, comecchè le labbra apparissero tinte in colore di vinaccia, e il volto bianco come panno lavato; lo spruzzò con l'acqua fresca, non gli sovvenendo lì per lì altro rimedio, e non istette guari che il Marchese con un grossissimo sospiro ebbe ripreso i sensi.

Allora Diego lo richiese da capo come si sentisse, e quegli non rispose; se dovesse chiamar gente, e il Marchese negò, il quale di un tratto ponendosi la mano alla fronte parve volesse ricondurci qualche pensiero sfuggito, e gli riuscì, da che balenando negli occhi esclamava:

— La lettera! Dov'è ita la lettera?

Diego vistala in terra mosse per raccoglierla, ma lo tenne il Marchese, il quale si provò a levarsi, senonchè mancandogli la lena, a malincuore ne lasciava la cura al cameriere; riavutala se la pose [218] sotto il farsetto, e rimastosi alquanto sopra pensiero, al fine così favellò:

— Diego, torniamo in camera, dove mi spoglierete questi abiti e mi vestirete di nero.

— Come piace alla Eccellenza vostra.

Poichè tutto questo fu fatto senza che nè un motto nè un cenno si alternassero cotesti due, il Marchese ruppe il silenzio dicendo:

— Diego, mala nuova vi annunzio, la mia signora figliuola marchesa Violante è morta.

— Come morta? Non può essere..... non.....

— Chetatevi.... Me lo ha scritto ella stessa.

Diego guardò il suo padrone trasecolato, ma egli, grave sempre e composto, soggiunse:

— Andate, signor Diego, raccogliete la famiglia giù nella sala grande; ho da parlarle; recatevi dopo dal parroco di nostra Donna del Carmine, e ditegli che per cosa di somma importanza favorisca quanto prima potrà di venirmi a trovare...

[219] — Sarà servita, Eccellenza, e al messaggere che risposta ho a dare?

— Qual messaggere?

— Quegli che ha portato la lettera....

— Ah! sì, la lettera, disse il Marchese; e recatesi ambo le mani alla fronte se la tenne alcun poco stretta, poi alquanto se la stropicciò; per ultimo soggiunse:

— Dategli una archibugiata nel petto.

— Sarà servita, Eccellenza.


Quando il Marchese d'Ayerba fu avvertito, che la famiglia, così uomini come donne, stava raccolta in sala, scese sorreggendosi al braccio di Diego: si assettò sul seggiolone posto in luogo eminente sotto il baldacchino; quinci salutava col declinare del capo i convocati, e dopo alcuno spazio di tempo, con parole rotte, gli ammoniva essere la sua figliuola morta; e siccome la famiglia, massime le donne, presa da pietà e da terrore, incominciava a trarre dolorosi guai, egli con fiero cipiglio gridò: — chetatevi, che io qui non [220] vi chiamai per udire piagnistei; voi altre donne prima che annotti uscirete di casa, e per quanto amore portate a Cristo, guardatevi da riporci più piede; intorno a me non vo' più donne. Diego vi pagherà il salario dell'annata intera, e più cento ducati per una senza distinzione di ufficio. Quanto a voi altri cocchieri e pallafrenieri, avrete il salario dell'annata come le donne, i cavalli vi dono tutti senza fornimenti....

— Anco il cavallo di battaglia....? Interruppe spaventato don Diego maggiordomo e cameriere.

— Il cavallo di battaglia escludo per essere svenato al mio funerale... e accomodandoli a nolo a gentildonne e a cavalieri vi potrete molto agiatamente tirare innanzi — perchè sono i primi cavalli del mondo.

— Diego, dei fornimenti, delle selle, delle carrozze, e di ogni altro arnese di scuderia, niente escluso nè eccettuato, voi procurerete facciasene un falò giù nel cortile. Chiudansi i portoni del palazzo, chiudansi le finestre della facciata; i rimasti [221] in casa vestansi a corrotto e subito: di ora in poi tutti dovranno parlare sommesso; veruno rammenterà la signora marchesa Violante, sotto pena della mia indignazione. Andate via.

Trasognati, come intirizziti dal freddo i servi facevano le viste di partirsene, senonchè il Marchese accorgendosi come omettessero il debito del baciamano o per oblio o per paura, e l'orgoglio non gli consentendo di richiamarneli apertamente da un lato, e dall'altro non sopportando la mancanza del consueto ossequio, ruppe in finto nodo di tosse per modo che taluno di loro avendo volto il capo, vide come il Marchese tenesse levato il braccio mostrando il dosso della mano, ond'ei corse a baciargliela, e dopo lui gli altri; questo parve un cotal po' serenargli la fronte aggrondata.

Rimasto solo il Marchese si cavò di sotto al farsetto la lettera della figliuola, e si rimase un pezzo a considerarla chiusa come se si peritasse a rileggerla; fattosi coraggio l'apriva gittandoci sopra lo sguardo. Breve la lettera e dichiaratrice così:

[222] «Onorandissimo mio Padre, e Signore. Quante volte meco stessa considero le strane e stupende peripezíe accadutemi nella notte passata, vado dubbiosa se più deva maravigliare V. S. Ill. od io medesima inviandole questa lettera nella mia qualità di sposa, e di Duchessa. L'alto grado a cui senza merito, e solo per divina grazia mi trovo assunta, spero m'impetrerà favore presso V. S. Ill., a fine che io possa condurmi al suo cospetto per farle toccare con mano come tutto quello che operai, avvenne per necessità di fortuna, non per falta di reverenza all'autorità paterna, di cui mi professo ossequentissima; e confidando in risposta benigna, le bacio le mani.

«La sottoscrizione poi diceva doña Violante marquesa d'Ayerba, y duquesa de Netuno

Certo cotesta lettera poteva essere composta con parole di leggieri più tenere, od anco più gentili; insinuarsi meglio nel cuore paterno; toccare talune di quelle corde per cui poco o molto la natura commossa [223] vibra sempre; ma io veramente giudico, che nel caso sarebbe stato tutto tempo perso, imperciocchè l'affetto del Marchese d'Ayerba per la propria figliuola in somma si risolvesse in mostruoso e strabocchevole amore di sè; il quale pigliava alimento da tre origini di orgoglio; ed era la prima, che per questa unica figliuola si perpetuasse il nome della casa d'Ayerba, onde il Marchese desiderò ne richiedesse le nozze qualche gentiluomo spiantato, che consentendo a restare confuso, anzi assorto dal suo casato, rifiorisse la razza per modo, che fra due generazioni o tre si sperdesse la memoria del bisogno in cui si era trovato il nobilissimo lignaggio d'Ayerba di un pollone straniero per fargli rimettere un tallo sul vecchio; la seconda traeva radice nello ardore, che talvolta egli ostentava censurare eccessivo, ma che nella sua superbia baronale non sapeva credere soverchio, mercè di cui la sua inclita figliuola dava pegno di mantenere severamente inalterato il sangue d'Ayerba, sicchè poteva addormentarsi sicuro sopra due guanciali, che come purissimo egli lo aveva [224] redato dai suoi maggiori, purissimo del pari sarebbe stato trasmesso da lei ai suoi discendenti; per ultimo se da lui si teneva la figliuola arca di scienza, e si sbracciava a far sì, che altri la reputasse un miracolo, un portento, un mostro quasi, egli era per potere ripetere ad ogni piede sospinto: questa creatura soprannaturale da me nacque, io l'allevai, e sopra tutto, a me s'inchina, da' miei cenni dipende, fa del mio volere sua legge, del mio sole è Clizia; ora questi tre orgogli, rinterzati in un solo, ecco furono ricisi di botto come la midolla spinale del toro dalla spada del mactadore[17] nelle giostre di Spagna; epperò quanto prima gli piacque, ora gl'incresce, anzi la detesta ed odia, nè vi ha speranza di riconciliazione perchè non si tratta [225] già di affetto; il quale comecchè calpestato pur vive, e sbraciandone le ceneri possa divampare; no, dacchè l'orgoglio facendo i conti, la somma non gli torna più, la cosa è ridotta al laus Deo. Non è tutt'oro quello che riluce, avverte il proverbio, e bene; nel modo stesso non ama tutto, uomo che si appassiona, e se noi sapessimo o volessimo investigare la varia, moltiplice e spesso contraria sorgente degli umani affetti, quanti disinganni risparmieremmo a noi, e querele inani, e non giuste o almanco poco sagaci rampogne. Ottimamente quindi il Marchese d'Ayerba affermava la sua figliuola morta.


— Reverendo don Ignazio assettatevi là su quel seggiolone di faccia a me; e voi Diego portateci il cioccolatte, e poi lasciateci soli.

Il degno prete, che era di quelli che hanno il diavolo nell'ampolla, notò di posta che il Marchese sbalestrava, però che si accostasse l'ora del pranzo, nè pareva che [226] il cioccolatte c'incastrasse; tuttavia siccome il cioccolatte, a fine dei conti, non può considerarsi come una sassata, così lasciò andare tre pani per coppia, e senza uno scrupolo al mondo si bevve il ciotolone con tal pro da mettere pegno che se l'aríeno lasciato fare, si sarebbe bevuto tutto di un fiato anco l'altro. Siccome il Marchese fin qui, dopo le prime non aveva profferito altre parole, nè sembrava che ne avesse voglia, così il degno parroco ricorse ai luoghi, che chiamerò comuni, ai frati come ai preti, per attirare a sè l'animo di lui; piegò pertanto l'omero manco, e dalla tasca destra dietro la tonaca trasse fuora la scatola forbitissima d'argento, la quale dopo avere ciondolato fra le mani un pezzo, aperse in guisa che stridesse, e così aperta e colma di tabacco di Siviglia la offerì al Marchese d'Ayerba, ma il cervello del Marchese viaggiava lontano di costà un miglio; allora egli toltane una grossa presa se la cacciò su pel naso con tale uno strepito che le trombe del giudizio universale non faranno maggiore; nè ciò giovando piegò l'omero destro, [227] e dalla tasca sinistra della tonaca estrasse il moccichino artatamente piegato a mo' di spola, lo spiegò, lo resse alquanto pe' due angoli superiori, lo guardò, se lo recò sopra le palme aperte, poi ci tuffò dentro il viso tutto, si strinse il naso trombando con tanto rumore da smovere il palazzo dalle fondamenta, ed anco questo non menò a nulla; allora ripiegava su le cosce il suo fazzoletto riunendone i quattro primi angoli nel centro, e poi i secondi, per ultimo lo rotolò rifoggiandolo a spola, e così ridotto con ambedue le mani se ne strofinò il naso a destra e a sinistra con tale e tanta furiosa perseveranza da fare supporre, ch'egli possedendo il naso di rame, avesse preso a cottimo di tirarlo a pulimento; tempo perso, il Marchese correva sempre le poste con la immaginativa; sicchè il curato giudicò venuto il tempo di mettere in opera l'estremo partito, il rimedio eroico, quello che non gli aveva mai fatto fallo, e fu uno starnuto, da rompere i vetri, da schiantare gli usci, da mandare a gambe levate un uomo, uno starnuto cugino carnale [228] dell'urlo della Discordia, che quando si fece sentire in Francia, per testimonianza autorevole di messere Ludovico, oltre i tanti paesi, da lui ricordati, che lo udirono:

»Rodano e Sonna udì, Garonna e il Reno;

»Si strinsero le madri i figli al seno.»

Però il Parroco quando levava gli occhi lacrimosi alla faccia del Marchese era sicuro di averlo per lo manco sbalordito, e s'ingannò, imperciocchè costui continuasse a tenere gli occhi suoi volti in su, privi di sguardo consapevole, battendo le palpebre senza posa, e le labbra movesse a parole delle quali non si ascoltava il suono; premuroso di venirne all'acqua chiara, e trepido tuttavia che non fosse senza pericolo la faccenda capitatagli tra le mani, il Curato scotendolo per le maniche e con gagliarda voce disse al Marchese:

— Eccellenza! insomma, si può sapere, che cosa mai ella voglia da me?

Il Marchese come se altro senso non avesse vivo, eccetto quello dell'orgoglio, rispose:

[229] — Don Ignazio, ricordatevi, che vi ho mandato a chiamare perchè voi mi ascoltiate, non già perchè m'interroghiate; interrogare tocca a me.

— Quanto a questo poi con tutto l'ossequio, che professo a vostra Eccellenza, la Chiesa va innanzi ad ogni autorità, anco a quella del re.

— Può darsi la Chiesa, non gli ecclesiastici; di questi il re ha fatto nel glorioso regno bruciare parecchi, e ne farà, occorrendo, bruciare degli altri.

— Domando perdono a vostra Eccellenza, e' fu la Santa Inquisizione, che gli ha fatti bruciare.

— Anzi, domando perdono a vostra Reverenza, fu il re, proprio il re, che li mandò al fuoco.

— Niente; la condanna si partì dal Santo Officio...

— Nulla; il Santo Officio per la esecuzione li commise al braccio secolare.

— Imperatori e re baciano i piedi ai papi comecchè nati da piccolo lignaggio; e quegli terribilissimo, che siede oggi nella [230] cattedra di San Pietro, fu guardiano di maiali, con reverenza parlando.

— Talora, anzi quasi sempre, accade a voi altri reverendissimi come all'asino, che portava le reliquie...

— Io non credeva, saltando su ritto tutto amaranto in faccia come i bargigli del gallo, strillava il Parroco, io non credeva, Eccellenza, che vostra signoria mi avesse invitato al suo cospetto per intendere cose male sonanti e fetenti di eresia per quattro miglia d'intorno; no per certo non mi doveva aspettare a questo da persona fin qui reputata purissima e zelatrice della santa madre chiesa cattolica...

— Vi ho dato a bere il cioccolatte; era fors'egli che putiva d'eresia.

— Non sono le opere di Dio, Eccellenza, quelle che putono d'eresia, bensì le opere e le parole degli uomini.

— Da un pezzo in qua tutto mi cammina alla rovescia, proruppe il Marchese, battendosi della mano la fronte, — tutto! Io vi aveva chiamato per cosa che tornasse in onore e in vantaggio della Chiesa e di voi...

[231] — La Chiesa, Eccellenza, non ha mestiero onori; ella capisce di leggieri, che avendola onorata Dio, ella può molto di leggieri passarsi di onori terrestri...

— Così sia, quanto a onore; circa poi a utilità, signor Curato, io miro che quando i padri nostri instituirono, o fondiamo noi altri cappellanie e simili altri benefizi, la Chiesa suole compartirci a tutto pasto il titolo di benefattori.

— Sicuramente, perchè, che cosa significa benefattore? Significa fare del bene; e bene anzi ottimamente operano quelli che fondano cappellanie e prebende; ma sia benedetta, ciò non accade mica a titolo gratuito; tutto altro, con onere gravissimo all'opposto qual è quello della salute dell'anima del fondatore, il quale sovente, e lo sa Dio, noi proviamo peso da rompere il filo delle reni a un elefante non che a un povero sacerdote. Per me ho sempre creduto e credo, che la Chiesa si mostrerebbe bene avvisata dove mandasse a monte tutti questi carichi, valendosi del rimedio della lesione enormissima: se non se ne giova, certo la muove il pensiero, [232] che il suo regno non è in questo mondo. Rincalza l'argomento in virtù delle decisioni dei sacri canoni, i quali comandano ai sacerdoti di spartire ogni avanzo delle sostanze ecclesiastiche ai poveri; però il danaro per le nostre mani passa come l'acqua nelle grondaie. Non si confonda, Eccellenza, sa ella come si hanno a definire propriamente i sacerdoti? Salvadanai ambulanti dei quattrini dei poverelli....

— Ecco qua riprese don Valente d'Ayerba, = e così dicendo buttava su la tavola un sacchetto di pelle; = questi sono duecento ducati, ch'io intendeva darvi, con altrettanti di vantaggio se non bastano, affinchè parte ve li godeste per amor mio, e parte adoperaste per certa funzione, ch'io avvisava volervi comandare.

— Com'è così, muta specie: io innanzi tratto mi professo figliuolo di obbedienza, e poi la carità, perchè la si possa dire perfetta, deve principiare da sè stesso, e lo ha insegnato il divino Redentore. Troppo in fine io mi do vanto di chiarirmi schiavo svisceratissimo della illustre [233] casa di Ayerba, onde mi attenti attraversare i savissimi e piissimi partiti del nobile signor Marchese don Valente. Orsù via, tregua ai prefazi, ed udiamo un po' che cosa piaccia ordinare a lei, e a me avere in sorte di servirla.

— Voi ammannirete un funerale quanto meglio saprete immaginare sontuoso; le navate, gli altari, tutto insomma dentro coperto di gramaglie, e così pure la facciata della chiesa fuori; non risparmiate torchi, candele e pannelli; se dugento ducati non bastano, e voi... parmi avervelo già detto, spendetecene fino a trecento, e a quattrocento, se bisogna; intorno al feretro mettete scheletri a iosa: giù a piè della cassa il drappellone delle armi di casa d'Ayerba, perchè la gente conosca celebrarsi l'esequie dell'ultimo fiato della casa mia... oh! casa mia...

— Come? Come? Come? Ripetè don Ignazio tre volte di rincorsa, e dicasi il vero, con non mentito spavento... la signora Violante?

— È morta.

— Quando?

[234] — Stanotte.

— E di che male?

— Di morte improvvisa.

— Mal di gocciola?

— Certo, di accidente.

— Oh! come caduca cosa la creatura umana nel mondo!

— Caducissima.

— E senza sacramenti?

— Qualche sacramento pare ch'ella lo abbia avuto.....

— Da cui? In qual modo? Sarebbe usurpazione dolosa, peccaminosa dei diritti parrocchiali... io protesto... dite chi fu il temerario?

— Io! dormiva; ne so quanto voi, ma questo chiariremo poi; frattanto assettiamo la faccenda del funerale...

— Assettiamola. Oh fiore di perfetta nobiltà innanzi tempo reciso! Arca di tutte le virtù cardinali e teologali! Sole scomparso per lasciare sepolti nelle tenebre quanti siamo qui in Napoli!...

— Zitto! Qui adesso non vi ho chiamato a imbastire la orazione funebre, nè la dovrete fare poi.

[235] — Vostra Eccellenza è padrona, anzi padronissima di commettere la orazione funebre a cui meglio le piacerà, e capisco benissimo, che a preconizzare tanta donna ci vuole bene altra dottrina che non posseggo io, e tuttavolta l'ultima predica, che recitai in laude di Donna Polissena principessa di Bisignano Sanseverino, contessa della Saponara, fece trasecolare l'illustrissimo signore Cardinale Arcivescovo, che ebbe la degnazione di picchiarmi su la spalla dicendo: — bravo! da pari vostro, voi non potevate immaginare di meglio. Ma ora che ci penso, Eccellenza, e' mi sembra che noi mettiamo il carro innanzi ai bovi; bisogna pure che provvediamo all'associazione...

— Non importa.

— Come non importa? O che la vuol ella lasciare in casa? Non si ha a seppellire nel sepolcro della nobilissima casa d'Ayerba?

— Non si trova in casa.

— Come, non si trova in casa? Che novità è questa?

— Violante... la mia figliuola, se n'è ita stanotte.

[236] — Come? Come? Come? O chi l'ha portata via?

— Portata? No; ella se ne partiva da sè.

— Come? La morta se ne andava da sè?... Ma qui dentro, Eccellenza, è chiaro che io ci vedo un gran buio, — e più si accingeva a dire, secondo lo sforzava la indole sua parabolana, se non che levando gli occhi s'incontrò in quelli del Marchese così sinistramente strabuzzati, così corruschi di fuoco selvatico, che ei ne rimase rabbrividito fino nel midollo delle ossa.

— Insomma, brontolando, ripigliava il Marchese, se donna Violante si trova in casa o fuori questo non ha da premere a voi...

— Siamo d'accordo.

— E nè anco, credo, se io voglia seppellirla o no...

— E va bene...

— Come altresì voi non dovete pigliarvi la scesa di capo d'informarvi se donna Violante sia morta o sia viva...

— Quanto a questo poi! scusi, vè! Eccellenza, o come vuol ella, che io trascuri [237] conoscere se sia morta la persona della quale mi si commette celebrare il mortorio?

— Signor Curato, voi mi uggite; badate qui; la mia signora figliuola di queste due cose è una; morta o viva... lo contrasterete voi?

— Anzi, confermo totis viribus.

— Però se è morta, veruno dubiterà che le si debbano l'esequie...

— Certo, la cosa cammina pei suoi piedi...

— E se fosse viva, ditemi, signor Curato, non celebrava tutto un convento di frati il mortorio alla sacra maestà dello imperatore Carlo V vivo?

— Eccellenza, tra porri e porri e' ci corre: lo Imperatore sta sopra tutti...

— Non è vero, noi altri d'Arragona sentiamo e sappiamo, che tutti insieme uniti stiamo sopra lo Imperatore, e per ogni parte del mondo si avrebbe a sapere come lo Imperatore non possa nè deva soprastare alle cose di Dio. Davanti al Creatore nostro non ci ha Re, nè villano che tenga; se può farsi concessione a quello. [238] deve potersi fare anco a questo, o ad alcuno.

— Se io fossi Papa! Ma da Curato a Papa e' ci ha che ire... e le chiavi per aprire e per chiudere, capisce, Eccellenza, il Papa a Roma se le tiene per sè.

— I Gerolimini di San Giusto erano frati, non pontefici...

— Sicuro... senza dubbio... ma i frati in Ispagna non correvano rischio di perdere il convento... mentre io novantanove per cento mi troverei deposto dalla mia parrocchia...

— Sicchè voi non volete celebrare il mortorio? —

— Vostra Eccellenza comprende...

— Alle corte, volete farlo, o non lo volete fare?

— Ah! non posso...

— Andate via.

Il Curato si alzò con le mani giunte, e dopo uno sguardo lungo e pieno di passione volto al sacchetto della pecunia, sollevava gli occhi al cielo così supplichevoli per un buon consiglio, che non avrebbe fatto maraviglia se avessero spedito [239] di lassù l'arcangiolo Gabriello a portarglielo fresco fresco, uscito di forno allora; però il buon consiglio gli venne, chè l'avarizia umana, massime dei preti, non ha mestieri aiuto per pescare trovati capaci ad avvantaggiarsi; onde curvando la persona ripigliava a dire:

— Ecco... un ripiego per salvare la capra e i cavoli ci sarebbe...

Ma il Marchese con le ciglia aggrondate, gli occhi minacciosi, giallo come uno scudo d'oro, col braccio alto sopra il capo e il dito teso gli accennava sempre partisse. Il Curato, in mezzo all'avarizia e alla paura, pareva sentirsi cotto da due fuochi; pure l'avarizia vinse, e, fatto del cuore rocca, soggiunse:

— La si lasci servire, Eccellenza, la si lasci servire...

— Parlate via, e presto.

— Noi faremo il mortorio a patto, che non sappiamo per cui...

— Ma se lo sapete...

— Non importa, basta che in foro conscientiæ possiamo sostenere, che non lo sappiamo, e questo noi otterremo quante [240] volte celebreremo il funerale secondo la intenzione di vostra Eccellenza.

— E non vi ho palesato di già la mia intenzione essere di celebrarlo per la mia figliuola?

— Non rileva, chè siffatta intenzione palesata io ricusai e ricuso obbedire, ma la nuova intenzione segreta non incontra ostacolo nel suo compimento.

— E non vi trattiene la ignoranza della vita o della morte di donna Violante?

— Nè anco questo fa caso, imperciocchè tutto si riferisca alla vostra intenzione la quale per me è libro chiuso...

— E così parvi, che la faccenda cammini nelle regole?

— Perfettamente... non ci ha dubbio; ed a voi forse non sembra? Che ci trovereste a ripetere?

— Diego! — Chiamò il Marchese; al quale comparso su la soglia egli andò incontro per bisbigliargli alcuno suo ordine sommesso aspettandone l'esito su l'uscio socchiuso. Il Parroco, che con occhio spasimato faceva all'amore co' ducati rimasti sopra la tavola, non vide come don Valente [241] sprangasse le imposte per di dentro, e meno ancora, che Diego gli aveva porto la sua canna d'Indie sfoggiata di pomo di oro condotto a cesello e di nappe seriche. Per giustificazione di don Diego cattolico, apostolico, romano, quantunque nato a Valliadolid, io devo attestare, ch'egli porse la mazza al suo Signore in buona fede, supponendo ch'ei volesse recarsi fuori di casa, nella quale opinione lo confermò la vista del cappello, che don Valente, quantunque come grande di Spagna, non si cavava di capo se non per andare a letto, tuttavia quando lo visitava qualche ecclesiastico, soleva riporre sul tavolino. Il Marchese, senza disonestare con la prescia il baronale sussiego, si accosta al povero don Ignazio, che dalle mille miglia non si sarebbe mai atteso a simil tratto, e forte abbrancatolo pel petto comincia a rebbiare giù di santa ragione. — Fra paura e maraviglia tennero un momento stupido il Prete, se non che il dolore presto gli ridonò moto e favella; bene spiccò salti e dette urtoni, ma non gli riuscì scappare di sotto alla morsa delle mani del [242] Marchese; gridava sì e sgangheratamente, talchè gli urli ferivano le stelle: = aiuto! soccorso! ohimè sono morto! mi ammazza! = ma i servi guatavansi in faccia trasognati e si peritavano a penetrare nella stanza; allora dalla disperazione reso ardito, don Ignazio agguantò il collo di don Valente, e strinse con l'agonia del naufrago che si attacca allo scoglio: brutti erano ambedue, sebbene con diversa guisa, ma quando don Ignazio contemplò la faccia del Marchese farsi di gialla infaonata come tumore lì lì per ischizzare, e gli occhi terribili per bile, e per vene sanguigne rigonfie, gli cadde l'animo, e buttò giù le mani; nel medesimo punto il Marchese sentendosi mozzare il fiato aperse le dita, e don Ignazio potè sgusciargli di sotto. Il Marchese, dopo essersi un cotal poco stropicciato il collo, ed avere tossito un paio di volte quasi per accertarsi che durava sano il canale, riprese lena, e levata la mazza continuò a menarla furiosamente in tondo; il Parroco sorpreso dal nuovo turbinío, non sapendo a qual santo votarsi, si dette a correre intorno alla stanza, e il Marchese [243] dietro. Don Ignazio urlava in tutti i tuoni, dal basso fino al falsetto:

— Per Dio! Eccellenza, la smetta... sa ella ch'è scomunicata? E come! Scomunica maggiore... Si quis suadente diabolo clericum percusserit anathema sit... non ci è che ripeterci su... lo può riscontrare nella causa decimasettima... questione quarta... parte seconda del Decreto scritto da cui se ne intendeva... sa ella? Dal Graziano, e non le dico altro.

Ma il Marchese o non udiva le parole del Prete o non ci badava; cascavano le busse giù fitte come grandine; ben per don Ignazio, che don Valente infuriasse privo del lume degli occhi, perchè dove delle centinaia di mazzate che sferrava costui lo avesse colto con quattro, pel povero Parroco era finita: io non so ben dire come la cosa andasse, fatto sta ch'egli si aggomitolò pari allo spinoso, o piuttosto si acchiocciolò, si ridusse piccin piccino incastrandosi nel vano di una credenza; non per questo si rimase il Marchese, che anzi vie più imperversando ridusse in tritoli cristalli, specchi, porcellane, mise in [244] ischiappe masserizie e suppellettili che valevano un tesoro.

Dopo molto spazio di tempo, così ordinando amici e parenti del Marchese, accorsi al caso, i servi scassinarono la porta, e muniti quale di cuscino e quale di materazzo furono sopra al Marchese, il quale tutto molle di sudore, ammaccato, ed in più luoghi lacero balbuziendo, e con le mani annaspando lasciò cadersi sopra la faccia; lo sostennero i famigli, e con pietosa cura lo trasportarono privo di sensi sul letto. Don Orazio, medico di casa, chiamato in fretta, arrivò tardi; costui godeva fama meritamente di medico egregio e di cervello balzano; fattosi presso allo infermo lo speculò da cima in fondo tre e quattro volte, ordinò gli narrassero a modo e a verso tutto il successo, e mentre gli astanti con maravigliosa ansietà aspettavano udire prescrizioni strane, egli si strinse a questo:

— Signor Diego, avvertite di bagnare all'infermo lo tempie con l'acqua fredda, e mutategli spesso le pezzette: se ripiglia i sensi tranquillo non lo sturbate e lasciatelo [245] in quiete; se all'opposto, state pronti a reggerlo e venite a chiamarmi — e mosse per andarsene.

Allora fecergli calca intorno i parenti e gli amici industriandosi scalzare l'animo del medico circa la gravezza del male, e se si sarebbe guarito presto, e da che fosse derivato, frastornandolo con mille altre domande del pari indiscrete; ma il Medico se ne sbrigava rispondendo:

— Dubito che la infermità abbia rimedio; tuttavolta non si sbigottiscano, però che le vostre nobili signorie non si accorgeranno forse che il Marchese durerà ammalato: ad ogni modo, le assicuro ch'egli non se ne accorgerà di certo.

— Magnifico don Orazio, interrogava sommesso Diego il Medico, accompagnandolo come si costuma fino su le scale, se me lo potesse dire in quanti passi di acqua peschiamo col padrone, mi farebbe carità, sia per l'obbligo a cui sono tenuto come cristiano e leale famiglio verso il mio Signore, sia per provvedere, mi capisce, alle coserelle mie.

— Capisco, signor Diego, capisco; prima [246] dovevate dire per provvedere a me, poi al padrone; voi non siete stato sincero; non voglio dirvi niente.

— Confesso che le cose mi erano uscite dal cervello arruffate, e la vostra signoria le ha messe in ordine; però io sinceramente mi sento attaccato al mio padrone: — siamo invecchiati insieme.

— Davvero?

E il buono spagnuolo si mise la mano sul petto e non rispose parola.

— Or su! signor Diego, state di buono animo, che il Marchese non corre pericolo al mondo; fin qui egli fece i fatti suoi con tanto poco cervello, che io giudico, che continuerà a farli ugualmente bene senza punto.

— La si spieghi, magnifico don Orazio, perchè io non mi ci raccapezzo....

— E sì, che parmi avere parlato chiaro; vostro padrone è matto.

Dopo un piccolo spazio di tempo ad un fante di casa venne in capo di esclamare:

— O il reverendo don Ignazio dove sia ito? — E un altro: io non lo so. — Un terzo aggiunse: ed io neppure. — Fosse [247] scappato dal buco della chiave? O dalla cappa del cammino? — Ma s'era lui, proprio lui, che esorcizzava le streghe, come volete che di punto in bianco vi sia diventato fattucchiere e stregone? — Non fa nè anco una grinza, Simoncino ha colto nel segno; lo avrà ammazzato il padrone; andiamo a vedere s'egli è morto o vivo. —

Andarono di conserva, e forse avrieno cercato, prima di trovarlo, un pezzo, dove don Ignazio co' suoi lagni non gli avesse attirati a sè; come diavolo potesse avere fatto a rannicchiarsi costà sotto non capivano; s'ingegnarono con diverse industrie a trarnelo, e non riuscirono; al fine gli levarono su di peso la credenza di dosso, e poi stirandogli ora il braccio, ora la gamba, tanto lo sgranchirono da tenersi ritto sopra la persona: reggendolo poi a manca e a destra sotto le ascelle, lo avviarono verso la porta per metterlo in bussola e trasportarlo alla canonica: però mentre ciondolava il capo come zucca pendente da un pergolato, e traeva dolorosi oimei, non mancò di ricordarsi dei ducati, e dire ai servi:

[248] — Fratelli in Cristo e figliuoli miei, mirate un po' se sono caduti in terra certi danari che Sua Eccellenza volle darmi per celebrarne un mortorio...

— Per l'anima di cui? Chiese don Diego che tornava in cotesto punto da accompagnare il Medico; e il Prete con la testa invasata in mal punto rispose:

— Per l'anima della sua signora figliuola...

— O Gesù benedetto! anche quest'altro è ammattito. Donna Violante, la Dio grazia, vive...

— Vive sì... ma è morta... perchè capite... il mortorio non si può celebrare eccettochè ai morti.... tamen anco ai vivi, purchè defunti secundum intentionem....

— Povero don Ignazio, era tanto dotto! E adesso ammattito anco lui!...

— E se non bastavano duecento ce ne avrebbe aggiunti altrettanti....

— Vedete eh! notava il devoto don Diego, da un punto all'altro che cosa si diventa? Procuriamo pertanto starci lontani dal peccato.

— Perchè dopo donna Violante la casa [249] d'Ayerba rimaneva spenta.... continuava il Curato.

— Levate su presto di casa questo uccello di malaugurio. — Via il matto tristo... via.

Un febbricone da cavalli accompagnato da delirio assalse don Ignazio appena posto a giacere, e quanto fu lunga la notte sognò un mulinello di cataletti, di scudi e di legnate; ma le ossa rotte, anco cessato il sonno, gli rimasero addosso.

[250]

CAPITOLO VIII.
Sangue romano.

Aveva le costole in pezzi, si cimentava a sentirsele ridurre in tritoli peggio che mazzamurro, e nondimeno, assillato dal demonio dell'avarizia, don Ignazio come prima potè si condusse al palazzo del marchese d'Ayerba; barellava per via, pareva, che camminasse sopra brace accesa, torceva in isconcie guise la bocca come se masticasse fette di limone, o sorbisse aura di aceto, con gli occhi, con le spalle, con tutta la persona scontorcevasi, divincolavasi quasi colpito dal malore, che ha nome da santo Vito: e pur sempre coll'arco del pensiero teso ai dugento ducati perduti, un po' malediceva la sua rea fortuna, un po' quella sua smania di perfidiare, viziaccio [251] vecchio per cui ne aveva rilevato più di un carpiccio delle buone, e sua madre lo rimproverò sovente dicendogli: Ignazio, tu cerchi il male come i medici. — Ma ormai a naso tagliato non valgono occhiali; però tentiamo, se questo strappo si possa rammendare, e ne vale il pregio, perchè que' dugento ducati... e largheggiava fino a trecento... poh! meriterei proprio la frusta su l'asino.... ma poniamo solo dugento, farebbero proprio la mano di Dio. —

Queste ed altre tattere nel suo cervello almanaccando, costui arrancava verso il palazzo del Marchese, dove giunto levò di sè le meraviglie tra i servi, i quali lo credevano all'olio santo; non mancarono cotesti tristi di dargli la soia, ma così sottile, che costui, comunque maliziato quanto un famiglio degli Otto, non se ne accorse; — e poichè dopo alquante parole egli chiese vedere don Valente, risposergli, crederlo difficile, tuttavia ne farebbero motto a don Diego; aspettasse in anticamera. Siccome di aspettare in anticamera così crudo crudo egli non si era mai sentito dire in faccia, massime di proprio moto [252] dai servi, argomentò e bene, che insolentendo la ciurma, il pilota non reggesse più il timone. Non avendo don Diego trovato da opporre impedimento, anzi reputando che potesse giovare, si fece incontro al Parroco, e lo condusse al cospetto del suo padrone; don Ignazio pensò rinvenire il Marchese giacente in letto, ma anch'egli cadde in errore, dacchè spalancati all'improvviso gli usci della sala gli comparve dinanzi. —

Heu! quantum mutatus ab illo: il tempo con un colpo di falce frullana gli aveva levato dieci anni di stianto; le carni flosce gli cascavano giù come impazienti di restare più oltre attaccate alle ossa; e di livide si erano convertite in cenerine, colore sopra tutti prediletto dalla morte; pure non fu il Marchese che gli recava maggiormente stupore; maraviglia, stizza e paura gli fece l'aspetto del salone convertito in cappella mortuaria, e ciò per consiglio del Medico, il quale, comecchè con poca speranza, volle provare se non contrastando la mania del Marchese, anzi secondandola, potesse raddrizzargli lo intelletto. [253] Andava la sala, parata di gramaglia, intorno piena di cartelli ove ricorrevano le più strane inscrizioni, parto della mente travolta del misero uomo, sebbene e' fosse più che verosimile, come nello stato ordinario di salute non avrebbe saputo fare di meglio. Una presso a poco diceva: il Padre eterno avendo fatto la rassegna degli angioli, trovò che uno di loro aveva disertato dalla bandiera dei cieli, allora chiamò a sè la signora Violante mia figliuola per riempire il posto vuoto: — un'altra: le stelle dispettando, che gli uomini intendessero a contemplare gli occhi della illustrissima marchesa d'Ayerba con più svisceratezza, che i raggi loro tanto vantati, glieli hanno spenti in sempiterna notte... le astiose! — Sentite questa: I dottori di santa madre chiesa mandorno a chiamare per espresso la nobile erede dei marchesi d'Ayerba, la sapientissima donna Violante, per risolvere un punto di teologia, ma se aspettano per licenziarla ad apprendere quanto ella può loro insegnare, ormai si prevede, che non calerà più dal paradiso, — orgoglio ad un punto [254] ed ambascia dell'eccelso suo genitore. — Tanto basti, e tutto questo dettato in parole spagnuole così strepitose da parere che sonassero il tamburo. Così è, ogni popolo ha il suo debole; gli Spagnuoli trovano gusto a lanciare campanili all'aria, e lo ha notato il Brantôme, che ha dettato un libro di rodomontate spagnuole; se gli Spagnuoli raccogliessero quelle dei Francesi ne compilerebbero due; ma provvidenza volle, che ognuno vedesse il vizio dello amico, il proprio no, donde, la immaginativa di Plutarco che il mondo fosse una processione in tondo dove ognuno portava i suoi difetti scritti sopra un cartello appeso dopo le spalle. —

Ma quello che più strinse don Ignazio di affanno, e' fu la vista di un catafalco in mezzo della sala, coperto di velluto con belle frange di oro, la ghirlanda di fiori, e il crocifisso di argento sopra; di argento parimente i candelabri intorno, ed il suo bravo scheletro da piedi; niente insomma mancava, anzi ci s'incontravano di più parecchie urnette di argento sopra i gradini del feretro, dove ardevano timiami [255] fuori dell'usato deliziosi a sentirsi. Don Valente se ne stava seduto accanto al catafalco sur un seggiolone foderato di velluto nero cosparso di lagrime di argento; teneva i gomiti appoggiati ai braccioli, e le mani con le dita conserte, chiusi gli occhi, la faccia china sul petto, le gambe altresì incrociate, e non diceva motto, non faceva atto, sembrava nè anco alitasse: pareva, secondo il detto di Cosimo il vecchio dei Medici, ei si avvezzasse a morire.

Don Ignazio aveva appreso a non fidarsi a cotesta bonaccia, simile al villano di Salerno, il quale rifuggiva commettersi in balía delle chete acque del golfo di Napoli dopo il naufragio dei fichi, però si adoperava dalla lontana di richiamare per via di rumori l'attenzione del mentecatto, e tante ne pensò, e tante ne fece, che per maledetta saetta e' fu mestieri, che il Marchese aprisse gli occhi: conseguito questo primo vantaggio il Parroco prese ad alzarsi, ad abbassarsi, a coccoveggiare meglio, che su la gruccia non costumi la civetta, e non approdò, chè il Marchese teneva pese e scure le pupille sopra di lui non [256] altramente, che fossero palle di piombo. Allora don Ignazio si appressò risoluto, e con parole pietose in suono dolcissimo predicò un lungo sermone, dove toccava un poco di tutto, del cielo, e della terra, dello inferno, del purgatorio, e del paradiso, sopra i sette sacramenti fece parecchie ricerche come il sonatore arguto passaggi e fughe su la tastiera del gravicembalo; e favellando della penitenza, insistè molto intorno la utilità della confessione, buona di estate e meglio d'inverno, tentando di metterne la voglia nel Marchese, e così tratto quel primo dado appiccare lo addentellato a faccende più utili; quando capitò la eucaristia si slargò un miglio su la virtù delle messe; e su quella delle elemosine disse cose da farne strabiliare i cani; tra le altre, che quale praticava la elemosina non aveva mestieri di lavarsi nè anco le mani e il viso, perchè la elemosina pensava a tenere netto così il di dentro come il di fuori, e citò san Cipriano[18]: certo, ella fu predica tra le [257] belle bellissima e da disgradarne le più famose, almeno lo affermò poi don Diego, che ritto sopra la porta ebbe la ventura di sentirla intiera; ed hassi a credere, che avrebbe smosso il Marchese, se non che toccandolo si accorse com'ei fosse caduto in profondissimo letargo. Non ci fu rimedio, don Ignazio ebbe a lasciarlo alla rovescia della mignatta, che questa casca quando è pinza di sangue, mentr'egli tornossene alla canonica vuoto di fiato. Don Diego lo accompagnò fino a capo di scala, e quivi sul punto di pigliare commiato da lui gli disse:

— Reverendo, oggi abbiamo sperimento di cosa, che stimo di grande utilità per la salute dell'illustrissimo signor Marchese.

— E quale? rispose il Parroco, levando la faccia rischiarata da un filo di speranza; io davvero non ce la so vedere...

— Domando mille volte perdono, vostra [258] signoria ha potuto di per sè sincerarsene, il suo discorso conciliò nel signor Marchese un sonno profondo....

Don Ignazio reputandosi uccellato, vibrò gli occhi rabbiosi contro l'onesto cameriere, imprecando perchè non possedessero la virtù del basilisco per poterlo stecchire sul tiro, ma la faccia di don Diego così apparve ingenuamente sincera, così atrocemente benevola, che la speranza del parroco, la quale si reggeva con grande stento a galla, si sommerse allora nel mare dell'amarezza, e più non mise il capo fuori.


La passione, che prima levò la cresta nell'anima di donna Violante al rapporto dell'accoglienza ricevuta dal suo messo al palazzo del padre, fu l'ira, la quale le persuase a tenersi oggimai chiusa in sè, ed attendere che la venissero a cercare; ma presto sgonfiò per aprire il varco alla paura, e questa di mano in mano così si estese, e mise radice in cuor suo, che indi a un'ora la donna tutta raumiliata con [259] mano tremante scrisse la seconda lettera piena di tenerezza verso il padre, e indusse, comecchè restío, il messaggiero a portarla di nuovo; il quale infatti la portò, nè ebbe a provare il brutto tiro, che gli avevano minacciato, ma neppure tornò con buone nuove, però, che don Diego, presa la lettera gli dicesse con sembianza umana, il padrone per allora non trovarsi al caso di leggerla; quanto prima gli capitasse il destro l'avrebbe consegnata, e dove al signor Marchese piacesse darle riscontro, sarebbe stato pensiero suo di farla consegnare a casa la Duchessa; le quali parole in buon latino significavano ch'egli non andasse a pigliarla; nondimanco l'onesto cameriere si era informato della salute di donna Violante, certo un cotal poco alla trista, ma per quanto sembrava non mica per manco dì affetto, bensì per paura, come persona che si versi in cosa proibita, e che risaputa poi potrebbe recargli danno.

Quante volte in coteste ore di passione la Violante si affacciò alla finestra! quante in ogni lontano passeggere sperò il messo [260] desiderato, che tardi camminando vide poi col gemito del cuore trapassare oltre senza pure avvertire a lei che aveva la morte dipinta sopra la faccia! Immaginando ora, che un famiglio pedestre avesse mosso dal palazzo del Marchese per portarle la lettera, si mise a noverarne i passi: e giunse per fino, non potendo reggere allo spasimo cocente, a lanciarsi giù per le scale irrompendo senza consiglio nel mezzo della via. Nulla!... nulla!

Fosse morto il padre suo? E perchè? Ma sappiamo noi le più volte, perchè si muoia? E quanto la passione picchi forte sopra un'anima, e quanto un'anima possa resistere all'urto della passione? — No, questo non era, però che non avrebbero mancato di venirglielo a dire, e di corsa: non rimaneva lei erede? Ah! troppo di leggieri ella aveva creduto il suo genitore placabile.... egli chiuso nella sua severità la respingeva, e chi avrebbe ella posto adesso tra mezzo a raumiliarlo con mansuete parole? Essa aveva atteso a farsi obbedire, ed anco temere dai famigli, a farsi amare non aveva pensato mai... chi [261] avrebbe creduto, che un dì potesse avere bisogno anco di loro! Reietta dal padre come non sarebbe stata giudicata enorme la sua colpa? Compassione finta, ed anco vera, motti acerbi, o benigni, tutto stava per cascarle addosso come calce viva. Senza credito, priva di aderenze, lacera nella fama, povera!... chi sa che da un punto all'altro non la pigliasse in fastidio quell'uomo stesso, il quale pure l'aveva condotta a tale stremo? E questo pensiero proprio le strisciò sul cuore ghiaccio come la serpe; rimase disfatta la misera donna; invano richiamava intorno a sè le sue virtù, ed anco i suoi vizi; — vizi e virtù erano disertati da lei; non ardiva levare la faccia verso Paolo, il quale appariva rado, si tratteneva poco, e passeggiava su e giù per la stanza senza fare motto. La natura l'era stata avara di lacrime, o l'acerba educazione gliele aveva inaridite dalle sorgenti; pigre le diventarono le membra, peso il capo, gli occhi gravi, e inetta al sonno, prepotente la occupava la voglia di dormire; un altro, ch'io dirò demonio, le si era cacciato addosso, lo sbadiglio [262] irrefrenato e continuo: di assenzio si volgeva per lei la prima luna del matrimonio, e non bene ancora compito il quarto dì! Verso sera come se rompesse la maligna incantagione, ella si sentì capace di prendere qualche partito, ma così rinvenne il suo spirito spossato, così il suo cuore giù in terra, che non seppe ricorrere ad altro che a replicare una lettera a suo padre, mettendola dentro ad altra che mandò a don Diego. Questa era un miscuglio di superbia vecchia e di umiltà nuova, pregava a un punto e comandava, e non sapeva imporre compassione nè rispetto; col padre poi i molti affetti, rotto l'argine, traboccavano, e gli diceva: «per quanto amore portava alle cinque piaghe di Gesù e ai sette dolori della beatissima Vergine le permettesse di condursi ai suoi piedi per sentire le sue discolpe: avrebbe fatto toccargli con mano come se immune di peccato ella non era, la fortuna avversa, o il demonio che fosse, essercisi messo tra mezzo per ispingere lei improvvida dentro un abisso di guai; temeraria per la sua parte la [263] speranza del perdono, nondimanco volere sentire pronunziare dalla sua bocca la condanna; avrebbe acconsentito ad ogni pena più fiera, rassegnata a tutto, purchè la salvasse dalla vergogna: a questo pensasse, che sangue suo era quello che le scorreva dentro le vene: nè potersi lei coprire d'infamia senza che alla nobilissima casa d'Ayerba ne venisse macchia non cancellabile mai.»

Don Diego o per abito di riverenza o per bontà di animo non si accorse dei fumi intempestivi di donna Violante, o se pure se ne accorse non li curò, e presa la penna stette un pezzo in forse se avesse, o no a risponderle; al fine ci si dispose, ed ammonì con parole succinte la sciagurata Signora, come senza giovare a lei, e con rovina certa di sè avrebbe porta la lettera al Marchese suo padre; nè lo stato di salute nel quale egli si versava adesso avrebbe conceduto speranza di esito profittevole; piuttostochè lettere gioverebbero l'autorità e l'esortazioni di personaggi, i quali per costume dal Marchese fossero tenuti in pregio: si attenesse a [264] questo consiglio; e andasse persuasa, intorno al padre suo stare persone che dei suoi affanni si affliggevano; nè per loro si sarebbe rimasto di fare officio, che le tornasse in benefizio.

Dalle oneste parole di don Diego ritrasse la Violante un cotal poco di consolazione, e si rimproverò di non essersi mostrata con esso lui più cortese; ruminando poi le cose avvertite nella lettera, quantunque parecchie le rimanessero oscure, tuttavia deliberò attenersi ai ricordi del buon famiglio; al quale effetto, avutane licenza dal novello sposo, ella si fece a ricercare, nelle persone che avevano usanza in casa sua, quelle, che le sembrava procedessero a lei più parziali; innanzi tratto ricorse il suo pensiero a don Giovanni Cespedes cappellano maggiore della cappella regia e confidò che, dove questi avesse preso a perorare la sua causa, ella poteva consolarsi col detto cosa ragionata per via va, pur questa speranza non ispuntò fiore, imperciocchè il segretario di don Giovanni veramente l'accolse con un sobbisso di cerimonie, ma informato del fine ond'ella [265] veniva, prese a schermarsi allegando che non sapeva se sua reverenza fosse uscita di casa, andrebbe a vedere; quindi a poco di ritorno l'accertava, che per faccende di premura lo aveva mandato a chiamare monsignore arcivescovo cardinale, e la bugía gli camminava su per la faccia come una mosca.

La Violante scese le scale della Canonica col cuore stretto incolpando la fortuna che proprio non ci aveva colpa, mentre il guaio veniva dal prete, che allora non si credeva, o s'ignorava fosse senza viscere, mentre adesso si crede e si conosce anco troppo; dopo scese le scale del prete si erpicò per quelle del Giudice, e le parve duro; molto più che avendo posta ogni sua speranza nel prete, giudicava perduto ogni altro passo. Certo il Vicecancelliero Alfonso Crivella, secondo la sua indole brusca, le favellò parole acerbe, taluna anco di strazio, ma vista allibire la donna come panno lavato, smise ogni durezza, tuttavia la chiarì del misero stato in cui adesso si ritrovava ridotto, a cagione del suo trascorso, il Marchese; aggiunse [266] nutrirsi poca speranza di guarigione; e per riparare la maggiore ruina, forse il meglio era così, dacchè come alienato di mente non avrebbe potuto privarla della eredità delle sue sostanze: ormai che il male era fatto si sarebbe ingegnato di rattopparla alla meno trista; e siccome la Violante piangendo protestava, che avrebbe preferito le mille volte ramingare pel mondo nuda, e mendica, che vivere nell'auge dell'opulenza a costo della infelicità paterna; egli stecchito rispose, che tutte le secchie tirate su dal pozzo gocciolavano, e tutte le donne commesso il peccato piangevano; ma poi più benigno osservò, che a lei come figliuola, e giovane, toccava dire così, e a lui come vecchio, e pratico della natura umana apparteneva giudicare a modo suo; nondimanco stesse di buono animo, che il bandolo di questa matassa arruffata, in un modo o nell'altro lo avrebbe saputo trovare. Nè l'uomo dabbene mise tempo fra mezzo, facendo fondamento non mica nella tenerezza del Marchese, e neppure nel suo giudizio; tutt'altro, egli si assicurava nella compita pazzia di quello, [267] imperciocchè in simile caso per lui si sarebbe procurato gli ponessero il curatore, e per simil guisa mettere in sesto le faccende. Introdotto don Crivella al Marchese, secondo l'uso lo salutò, e quegli duro; lo richiese come si sentisse, e l'altro più duro che mai; si allargò in propositi, che conosceva per abitudine molto caldeggiati da don Valente, e fu fiato perso; egli era lo stesso che favellare al muro: al Vicecancelliero pareva ormai di trovarsi a cavallo; però non volle, nè ragionevolmente poteva omettere il tasto della figliuola, disse conveniente perdonarle il fallo involontario. A tali parole, come se per queste sole gli rimanesse l'udito, il Marchese rispose pacato: — è morta.

— Sicuro, rispondeva l'altro, non ci ha dubbio, ella è morta, tuttavolta mi parrebbe più giusto ascoltare le sue discolpe che, contraffacendo ogni ius così divino come umano, condannarla senza sentirla prima in esame.

— È morta; replicava don Valente.

— E non lo contrasto, ma anco i morti devono comparire al giudizio, e per me [268] metto pegno, che se voi citaste donna Violante, ella non si rimarrebbe dal comparirvi dinanzi...

— Potrebbe darsi, ma ora state a sentire un po' me, don Alfonso; e così dicendo gli occhi del Marchese si schiarirono come se lo intelletto li riaccendesse della sua luce: io so troppo bene, che la mia sciagurata figliuola non è morta fisicamente, ma per me la tengo morta moralmente, e voi, ed altri non meno autorevoli di voi, bene potrete turbarmi il cervello già abbastanza stravolto, ma farmi mutare di proponimento voi non potrete. Voi per giudizio universale celebrano uomo pieno di dottrina, ed io l'ho creduto sempre a mia posta e lo credo, ma credo altresì che non tutta la scienza si comprenda nei libri, così vero questo, che io conosco a prova come voi non ci abbiate mai letto certo ricordo, il quale insegna così: — tra carne e ugna non sia uom che ci pugna! —

Il Vicecancelliere rimase proprio su la botta; perse le staffe, e si sentì confuso non pensando manco per ombra, che un [269] lucido intervallo avesse così alla sfuggita illuminato la mente del Marchese, onde mal sapendo che cosa si facesse o dicesse, con mille riverenze ed inchini, pregando venia se troppo si fosse inoltrato nelle faccende di sua eccellenza, uscì.

Riferito l'esito della pratica alla Violante, appena possiamo con parole significare quanto fastidio l'assalisse; certo grande l'era stato dolore udire come suo padre fosse dello intelletto infermo, ma a cento doppi più la trafiggeva il pensiero di saperlo adesso in ogni parte sano, e pure così inesorabile nell'odio contro di lei; combattuta da tanto spasimo l'assalsero fiere convulsioni, onde corsero per don Orazio, che informato del caso, non si fece aspettare; avendola rinvenuta a tale da mettere in grave apprensione, il medico dabbene la vegliò tutta la notte, la soccorse con cristiana carità, nè quinci si rimosse, finchè avendo la donna ripreso i sensi potè giudicare passato il pericolo: innanzi di accommiatarsi però volle sapere la causa ond'era venuto tanto sconcerto, la quale conosciuta, accertò la Violante, che il [270] Giureconsulto aveva preso un granchio; pur troppo il marchese d'Ayerba aveva dato nei gerundii: perchè non si sarebbe mai indotto a credere che uomo cristiano e padre, se bene in cervello, avesse voluto chiudersi le orecchie per non sentire la voce del sangue; egli, che prestava allo infermo l'opera sua conosceva pur troppo com'ei fosse alienato di mente; avere già seco stesso disposto di tentare una prova per ricondurre il Marchese al consueto stato di salute; forse il meglio era procrastinarlo per un altro poco tempo, adesso volerlo anticipare per ismentire il Forense, il quale, secondo l'indole solita dei forensi più trista dei tre assi, altro non sapeva che pensare al male: gli farebbe toccare con mano se respingere da sè la sciagurata figliuola, se ridurre una povera creatura alla disperazione fosse lavoro da genitori sani, ovvero da scemi.

In questo proponimento del medico ci entrava non sappiamo in quale misura molta bontà di animo, ed altresì molta gara, miscuglio eterno di bene e di male che governa le menti dei mortali.

[271] Presi pertanto gli opportuni concerti, il giorno dopo per tempo si fece a visitare il Marchese confidando trovarlo sempre a giacere, ma s'ingannò, che quegli fino dall'alba si era condotto a vegliare il feretro: non si rimase per questo, bensì mutate alcune parti del disegno, si presentò a don Valente ponendosegli allato quanto meglio potè leggero; gli parve assopito, epperò si mise con molta pazienza ad aspettare, ma dopo buono spazio di tempo avendo egli, tratto un lungo sospiro, aperti gli occhi, Orazio gli domandò:

— Eccellenza, come si sente ella stamane?

Il Marchese lo sogguardò placido, ma non rispose niente.

— Come abbiamo passato la notte?

Sempre silenzio; allora il Medico speculò il polso, e approfittandosi della pacatezza dello infermo gli pose la mano sul cuore, e poi tentennò il capo come se il sì e il no gli tenzonasse dentro; al fine parve deciso, imperciocchè assettatosi di faccia al Marchese prese a dire:

— Eccellenza, questo suo stato addolora [272] il Vicerè, i suoi nobili Colleghi e la famiglia desolatissima, e bisogna finirla.....

Soprastette alquanto, poi continuò; — bisogna finirla, dacchè non occorra causa per continuarla... no... davvero non occorre causa ragionevole. Io comprendo ottimamente che la regina Giovanna (Dio abbia in gloria l'anima sua), la regina Giovanna ava di S. M. il Cattolico nostro re, vegliasse il capo del re Filippo suo consorte perchè era matta...[19]

Il Marchese intese il volto come persona che ascolti con attenzione, onde il Medico con voce alquanto più vibrata proseguiva: — sicuro, era matta... la povera Signora; quantunque poi nella sua follìa occorresse connessione d'idee, conciossiachè estimando ella che il suo marito non fosse morto, bensì dormisse, non pativa, gelosissima com'era, che svegliandosi gli occhi di lui incontrassero altra faccia, eccetto la sua. Ora, come vede, vostra Eccellenza non è matto....

— No, la Dio mercede, io non sono matto...

[273] — Per lo appunto era quello che diceva ancora io.

— Nè la sua preclarissima figliuola, donna Violante, è morta...

— Chi afferma, chi, che la mia figliuola non è morta?

— Lo affermo io, che la so viva...

— Non è vero...

— È verissimo, perchè io l'ho veduta.

— Già... lunga e distesa nel cataletto...

— No signore, su ritta, e parlante, e smaniosa d'inginocchiarsi ai suoi piedi per domandarle perdono...

— Giuro a Dio, voi mentite per la gola!

— Giuro ai Santi che vostra Eccellenza è... in errore; ve l'affermo viva.

— No, è morta...

— Ed io vi dico ch'è viva...

— Ma sì... ma sì ch'è morta... o non istà ella riposta qui dentro?

— Qui dentro non ci è nulla...

E così dicendo il Medico dava una solenne spinta al catafalco mandando candelieri, torce, crocifisso, ghirlande, ogni cosa sossopra; rotolò la cassa per terra, [274] e staccandosene il coperchio fece manifesto come fosse vuota. Al tempo stesso si udì fragorosamente aprire la porta di faccia, e fuori di quella prorompere donna Violante co' panni onde apparve vestita l'ultima volta, che si trovò con suo padre, e con passi concitati, le braccia supplichevoli, la voce piangolosa precipitarsi alle ginocchia del Marchese urlando disperatamente:

— Perdono! Perdono!

Il Marchese d'Ayerba già si era ritto e tremava da capo alle piante; i denti batteva e gli occhi, e ansava come persona a cui venga mozzo il respiro, salvatico, e trasognato agitava le mani per grancire qualche cosa; al nuovo strepito, all'urlo, alla vista improvvisa, a mo' di stecchi gli si drizzarono sopra la fronte i capelli, e dopo avere in orribile guisa dilatate le palpebre, gli s'irrigidirono le membra, e cascò giù come corpo morto.

E per morto lo tenne anche Orazio, il quale smaniava quasi rampognando sè stesso:

— Il troppo amen mi ha guasto la [275] messa... e te lo diceva l'arte, che la corda non era da tirarsi con mano atroce... su, don Diego, vediamo di adagiarlo sul tappeto... mettetegli sotto il capo il guanciale. Voi altri andate per le fasce e la catinella....

E siccome la Violante, a posta sua più morta che viva, andava domandando:

— Ma l'avrò il suo perdono? Dovrò perdere il padre mio senza essere perdonata?

Il Medico rispondeva:

— O signora mia, io temo forte, che il signor Marchese in questo mondo non aspetti più perdonare nè essere perdonato.

Il sangue spicciò vivido dalla vena, sicchè con quello ed altri argomenti il Marchese anco per questa volta fu restituito alla vita, però sembrava ci volesse fare piccola fermata; verso sera, mentre temeva il Medico si aggravasse il male, quasi la Natura avesse preso a compito di uccellarlo, lo infermo migliorò tanto da giudicarlo la dimane fuori di pericolo. Erano duri i nostri vecchi a morire. Tuttavia don Orazio, sia che a cotesto miglioramento [276] non si fidasse, o come in malo odore intorno alle faccende della fede, procedesse cauto per non inciampare co' preti, ordinò si amministrassero allo infermo i sacramenti.

Pregato, andava don Alfonso Caraffa arcivescovo di Napoli, uomo provato dalle sventure, e per pietà riputatissimo, perocchè quel severo suo parente Paolo IV se lo fosse tenuto al fianco educandolo nel timor di Dio, le quali cose però non valsero a salvarlo dalla prigionia, nè dall'accusa, nè dalla condanna, travolto nella ruina dei suoi: venuto al letto dello infermo, da prima con parole soavi lo confortò a rassegnarsi, e a questo il Marchese di leggieri assentiva; dipoi aggiunse, che bisognava perdonare; e poichè l'altro pertinace accennava di no, egli rincalzando diceva: — pensate, signor Marchese, che Cristo ordinava ai suoi discepoli perdonassero non sette, nè settanta, bensì settanta volte sette; ora voi ci ricuserete a perdonare una volta? E come un uomo mortale vorrà conservare odio immortale? Rammentatevi, che fra poche ore voi vi [277] troverete davanti al Giudice eterno trepidante per una parola di perdono...

— Se non mi vuole perdonare non me ne importa niente, io non perdono....

— Non lo dite, figliuolo, cacciate via simili consigli, che vi suggerisce il demonio... Perdona Dio ch'è perfetto, e non vorrete voi, uomo pieno di colpe, di cui i peccati superano forse i minuti della vostra vita?...

— Fo voto a Dio, voi mi oltraggiate...

— Io non vi oltraggio, bensì vi ammonisco cristianamente, e vi raumilio...

— Non intendo essere umiliato... io...

— Aggiungete agli altri peccati anco quello della superbia per farvi più degno di comparire al cospetto del Demonio, che meritò appunto per la sua superbia, di re della luce, essere tramutato nel re delle tenebre; chinate la dura cervice innanzi a me...

— A voi?

— Sì, a me, che rappresento in terra il Creatore dell'universo...

— Levatevi di qua; voi mi rappresentate sangue di omicidi della propria moglie, [278] voi uscite dal ventre dove si fabbricano i calunniatori...

— Marchese d'Ayerba, che dite voi?

— Io dico, che tu sei un avanzo di corda, e di mannaia... — Va a pregare pel tuo zio cardinale strozzato, o per l'altro di Palliano decapitato...

— Il diavolo vi tenta... — Marchese, il diavolo... e qui lo segnava divotamente, onde l'altro vie più indracato...

— Va via... va pentiti per te... e prima rendi alla Camera apostolica i venticinquemila ducati che le hai rubato...[20]

All'atroce ingiuria il buono Arcivescovo vacillò come persona percossa sopra la testa, e sebbene d'indole mansueta, parve sostenere dentro di sè una lotta per prorompere, e forse lo faceva, se di repente don Diego avventandosi al Marchese non lo avesse chiuso nelle sue braccia, come dentro una morza, e don Orazio, pigliando lui per la veste, non lo tirava fuori della camera; imperciocchè il Marchese colto da impeto di frenesia, cacciati lungi da sè lenzuolo e coperta, spingeva le gambe ignude a terra dal letto, e con le pugna [279] chiuse minacciava il cardinale. Tanta era la sua furia, così veemente l'accesso della frenesia di costui, che fu mestieri l'aita di parecchi servi a tenerlo fitto nel letto; le bende squarciaronsi, il sangue scorse a rivi, prima che, caduto in deliquio, il Medico potesse fasciarlo da capo; quando, indi a qualche giorno, potè articolare parola con un filo di voce talora ripeteva a sazietà: = no... no... non voglio perdonare; = e tal altra; = è morta... è morta... è morta...

E Paolo intanto, che faceva? Egli andava, veniva, consigliava, spendeva a larga mano moneta ricavata dalla vendita degli ultimi arnesi di pregio rimastigli, a modo del giocatore avventurava l'estremo scudo sopra l'estrema carta, e poichè lo stringeva la necessità di vincere, secondo il solito non vinse; tutte le sorti gli mostravano il viso dell'uomo d'arme; non gli approdò l'espediente del forense, che confidava nella insania del Marchese, gli riuscì fallito l'altro del Medico, che aveva fatto capitale sopra il ricuperato intelletto di lui. — Quanto più metteva industria a [280] districare il nodo, più gli si aggruppava fra le dita, e questa volta di filo di ferro.

La Violante lo voleva al lato, in pochi dì la sventura l'aveva ammansita, dacchè una prova o due di lei partoriscano maggior frutto che i quaresimali di quanti frati domenicani predicarono al mondo; umile, rimessa, proprio non pareva più quella, e quantunque la passione nell'animo suo avesse divampato al soffio della paura di perdere Paolo, e di tornargli incresciosa, ora ch'ei la vedeva reietta, e forse appunto in grazia di questa paura, con tutte le viscere adesso lo amava.

Però mirandolo aggirarsi torbido per la stanza, sovente lo chiamava a sè co' dolci nomi che suggerisce amore, e lo veniva ad ogni momento interrogando se l'amasse, se per lei sentisse quello che per lui sentiva ella, frequenza che, carissima sul primo ardore, appena rimette un po' del suo bollimento tu provi mortalmente uggiosa, e fa fuggire a tiro di ale amore di là donde egli saria partito di passo e tardo; lo supplicava le sedesse al fianco, lo blandiva, le chiome gli componeva, lo [281] baciava, ed egli si lasciava fare, ed anco le corrispondeva, però che il cuore umano per salvatico che sia bisogna che alla carezza di donna amante acconsenta, ma intanto che Paolo con gli atti sta allato alla sua consorte, col pensiero vaga lontano da lei, e considera i fieri casi, che lo premono, e più da vicino lo tribola la stretta del non sapere come tirarsi innanzi domani, imperciocchè Ciriaco non meno confuso di lui gli avesse detto non avanzargli più nè anco uno scudo: mentre così internamente si rode, la mano candidissima della donna dalle chiome scendendo gli si posa sopra la guancia, e nel passaggio gli sfolgora gli occhi con un baleno di luce; egli allora spinto da subito moto gliel'acciuffa e cova con ardente sguardo le anella, che molte, e preziose ne ornavano le dita. Il bisogno fa l'uomo ladro, ed egli, che in onta ai sofismi della sua coscienza era stato ladro anco senza bisogno, sentiva ribollirsi dentro il sangue, sicchè stava lì lì per darle l'arraffata, quando la Violante inuzzolita da cotesto atto, che suppose vezzo, favellò:

[282] — O Paolo, con questa mano io ti detti il mio cuore...

Paolo rabbrividì come se fosse stato colto col furto addosso, e per nascondere il suo turbamento, altro non seppe che baciarle la mano quattro volte e sei, onde Violante vie più commossa:

— Stringila, Paolo mio, stringila come testimonio di fede, che non ti verrà mai meno: possa io dire sempre così della tua! Se le cose e le persone noi teniamo care alla stregua di quello che ci costano, io comincio, cuore mio, a costarti molto, e pur troppo lo comprendo, sai? — E tu pure, Paolo, e sallo Dio, tu pure mi costi. —

E l'altro incapace a dare risposta che gli paresse buona, baciava e ribaciava la mano, per lo che la donna uscì fuori con queste altre parole:

— E' vi fu, e non ha molto tempo, un'ora in cui non ti bastò baciare la mano, ed io te ne feci rimprovero, dovrei adesso adirarmi teco perchè ti basta?

— No, Violante, no, ma sarebbe da ingrati disprezzare la chiave dopo che vi [283] aperse la porta del palazzo; — e sì parlando l'abbracciò, e dopo averla baciata su la bocca, allegando certe sue scuse, toglieva commiato da lei; caso mai tardasse durante la notte, non istesse in pensiero, che doveva trattenersi a lungo con persona amica, la quale all'alba si partiva per Roma. Niente di questo era vero, ma in quel momento non si sentiva forte da dominare la burrasca scatenatagli dal diavolo nell'anima eccettochè fuggendo; Ciriaco, senza aspettare invito, gli tenne dietro secondo il solito. Chiuso in sè, senza dire parola, di tratto in tratto bifonchiando, Paolo si dilungò pel lido del mare, non avvertendo l'ora, nè la stagione. Arrestandosi allo improvviso, come se in cotesto punto risensasse, a voce alta esclamò:

— Dove sono?

E Ciriaco fedele rispose:

— Egli è un bel pezzo, che camminate su e giù come un cane, che abbia preso il fungo di levante; vedete; ci troviamo a Chiaia; e fo conto che se non sonò la mezzanotte, poco più abbia a stare.

— Torniamcene a casa Ciriaco; dammi [284] braccio; ma sai, che ci siamo messi in tale selceto, donde mi parrebbe miracolo cavarne le gambe a salvamento?

— Pare anco a me, che abbiamo fatto un buco nell'acqua...

— Capisco che le sono faccende, che col tempo si accomodano, ma per ora arrovello a trovare una via per uscire di angustie: danari...?

— Nè anco un ducato...

— Gioie...?

— Quelle che vi procureranno i figliuoli quando ne avrete...

— Tu che mi amasti sempre come fratello, Ciriaco, ora stillati il cervello, e consigliami un po', che pesci io mi abbia a pigliare?

— Caro signor Paolo, che io vi ami come fratello e più, la è cosa, che si trova anco su i boccali di Montelupo, ma non mi sento al caso di consigliarvi: tuttavia, parlando secondo il cuore, non secondo il giudizio, mi sembra che qui a Napoli vi bisogni stare, perchè in primis a Roma con Sisto V non tira vento per le nostre vele; e persone per salutarci non ci desiderano, [285] e amministratori per renderci conto delle nostre sostanze non ci temono: qui, cotesto indemoniato di Marchese dovrà alfine dare la capata; la batterà fra mesi; forse tra settimane; ed una volta ito agli alberelli noi entriamo in possesso dei suoi beni: alla signora Violante, povera donna, che va intabaccata di voi come gatti in fregola, daremo ad intendere, che i pennati[21] volano, e co' panni nuovi rifaremo le stanghe, procurando, se ci è verso, di scampare quel maledetto nodo scorsoio, che non mi esce mai dalla fantasia...

— E dálli con questo nodo scorsoio! Per guarirti della paura del capestro meriteresti che ti tagliassero la testa stanotte; come in premio di questo bel sermone meriteresti ch'io ti cacciassi capo fitto in mare; non ricordi che mentre il grano cresce l'asino muore?... Tu pure soventi volte lo hai rammentato a me?

— È vero; ma che volete? non rovesciate [286] la colpa addosso a me; ciò accade perchè proprio il mal panno non offre cimosa. Io mi sarei tagliato la mano, prima che chiudere di testa mia la porta del palazzo del Marchese, ma non so disobbedirvi; me lo diceva il cuore, che noi andavamo a metterci a sedere sopra i cavicchi con quei diavolii di finti ammazzamenti e andirivieni su e giù per la via...

— Taci se non sai dirmi altro, danno fatto guado chiuso, e qui voglionci scudi non guai...

— Se col mio cuore si potesse battere moneta, io vi direi pigliatevelo e conciatevelo; se la mia pelle fosse di ermellino, possa morire senza sacramenti se io non mi scorticherei per voi.

— Se almeno fossimo al tempo in cui il diavolo comprava le anime!

— Lasciamo stare questi tasti, Paolo, che non sappiamo come nè quando ci toccherà a morire; le disgrazie, diceva il venditore di orvietano, stanno sempre apparecchiate come le tavole degli osti; non ischerzate co' santi...

— E chi rammenta santi? Mi sembra [287] avere discorso del diavolo; pure sta quieto, Ciriaco, tante sono le anime le quali si danno gratis al diavolo, che questi ormai non sa più dove ficcarle, ed io so di buon luogo, che ei pensa aprirne canova a rinvilìo. Se non mi capita meglio torneremo a Roma...

— Dio ci scampi e liberi, ora che il vento schianta gli alberi saranno risparmiate le foglie? Vedete non ha potuto reggere il Mangone, il quale, dái dái, ebbe a trovarsi alla delizia di sentirsi attanagliato, arrotato, e per ultimo mazzolato qui in Mercato...

— Storie vecchie, Ciriaco; da cotesto casaccio in poi è già trascorso un anno, e intanto è sorto Marco Sciarra nello Abruzzo, e seco va il fratello Luca che vale oro quanto pesa; nè papa Sisto con le sue bravate, nè questo don Giovanni di Zunica, comecchè d'accordo con Roma, la possono sgarare con esso loro, e bada, che li protegge a spada tratta il signore Alfonso Piccolomini da Venezia: insomma sembra a me, che ci avanzi stoppa per filare, e tu avresti a sapere che chi ha [288] paura che le passere becchino non semina mai panico...

Mentre così, per divertire tetri presentimenti, alternano costoro colloqui in apparenza giocondi, ecco nella via Toledo comparire da lontano il chiarore di torce a vento. Chi sia che va a cotesta ora così? Certo qualche gran signore ha da essere; forse egli uscirà da festino, da nozze, o da battesimo: Paolo e Ciriaco per istinto di bandito, o per usanza vecchia si addopano al cantone, gli occhi tutti intesi, e gli orecchi; mano a mano che si accostava il lume essi videro un fiero barone di vesti sfarzoso, e di ordini cavallereschi, e di gioie, con infinito sussiego seduto dentro una lettiga parata di damasco bianco; lo precedevano di alcuni passi due staffieri, che portavano le torce, e due altri di forme da Morgante sostenevano la lettiga; tutti erano abbigliati ad una livrea celeste e argento. Appena Paolo se li vide venire da presso si volse a Ciriaco, e gli disse sommesso:

— Mira! il diavolo protegge i suoi devoti, Dio fece trovare al patriarca Abramo [289] un becco con le corna, a noi il diavolo mette innanzi un patrizio co' tosoni.... ti basta l'animo di dare dentro...?

— Magari!

— Che armi ti trovi addosso?

— Il coltello. Non basta?

— E' non ci ha da scialare; pure buttati addosso agli staffieri che portano le torce; agli altri penso io, e bada a spegnere subito le torce; caso mai ci dilungassimo l'uno dall'altro, nel buio ci riuniremo al grido di...

— Maria.

— Perchè Maria? Piuttosto Tuda...

— No... Maria.

— Ebbene, Maria, come vuoi...

Maria e Tuda per ambedue costoro nomi fatali. — Poi ultimo avvertimento, che ormai il tempo non concedeva lunghe parole, per parte di Paolo fu:

— Tu spoglia i servi, io il gentiluomo...

— Ammazza l'orso e poi vendi la pelle, che dal fare al dire ci è che ire, disse Ciriaco; poi tratto il coltello gridò: su, addosso...

— Addosso...

[290] — Signore vi raccomando l'anima mia! strillò un povero staffiere investito da Ciriaco con una coltellata nel cuore; cotesto misero si struggeva di voglia di tornare a casa per rivedere la moglie, la quale pure ieri gli aveva partorito il primo figliuolo, sicchè anco a costo di rilevarne dal padrone una carta di male parole, e forse qualche tristo fatto, allungava il passo, quasi intendesse vincere il palio; quando per avere precorso troppo gli toccava a fermarsi, od a tornare indietro, sudava acqua e sangue: ed ora dopo essersi accartocciato sulle selci della via come foglia esposta all'ardore del fuoco dà parecchi tratti, mano a mano più languidi, e con un soffio fumoso cessa sospirando:

— Maria!...

Cotesto era il nome della moglie, che lo aspettava; quello del figliuolo non potè profferire o perchè gliene mancasse la balía, o perchè non glielo avesse anco imposto al battesimo.

Paolo, brandita appena la spada, vide i due seggettieri scappare vilissimamente [291] abbandonando il padrone, il quale sguizzò fuori con singolare prestezza, e tratto a sua posta la spada, si mise su la parata: qui cominciò un duello nelle regole, ora schiarito dalle torce, ed ora, pel subito eclissarsi di quelle, sepolto nel buio; nè stette guari, che gli schermidori conobbero l'un l'altro nella pratica delle armi spertissimo; onde presero a combattersi con molto riguardo; certo lo svantaggio pendeva dalla parte dello assalito, però che la sua spada cinta al fianco per pompa, di lunghezza e di costola non sopportasse paragone con l'altra, molto più che veniva trattata da mano di ferro; cosicchè tra per questo difetto della spada e la sorpresa dell'animo, il cavaliere stava su le parate come persona, che si chiamerebbe arcicontenta a cavarsi d'impiccio. Dal lato di Paolo s'instava con furia premendogli finirla, ma appunto per questa furia s'impigliava non ritirando dalla sua superiorità tutto il profitto che avrebbe potuto; il gioco procedeva netto, chè non ci era luogo a finte, o a botte arrischiate per tema di smarrire il ferro, e trovarsi poi [292] quando uomo se l'aspettava meno una stoccata nel mezzo del petto. Deve dirsi a onore del cavaliere assalito, che sebbene non sapesse rendersi capace dello assalto inopinato, non gli parendo avere nimicizia con veruno, e non potendo in mille apporsi per trovare la causa che moveva l'assalitore, tuttavia egli, mirando il suo avversario solo, non volle interrogarlo per chiarire se lo avesse tolto in iscambio; molto meno chiamare per aiuto; proprio da idalgo a tre peli: però nonostante simili acutezze di puntiglio, che soglionsi appellare cavalleresche, e se si qualificassero bestiali, non sembra che ne potesse impermalire la gente, lo assalito dava indietro per levarsi vie via di misura; e non gli valse, che qualche sdrucio nel braccio e nella coscia lo ebbe a patire; così di passo in passo si trovò con le spalle alla porta di un palazzo, e ormai lontano dal luogo dove ardevano le torce. Ora o che tratti allo strepito dell'armi avessero aperto l'uscio per di dentro, o per inavvertenza fosso rimasto socchiuso, la imposta cesse; però il cavaliere accortosi, [293] in meno che non balena, del destro il quale gli porgeva la fortuna, entrato nello androne, buttò via la spada e, con quanto gli avanzava forza nelle mani, sbatacchiò la porta in faccia a Paolo. Costui non era uomo da perdere tempo in querele; appena nelle strette prorompeva in una imprecazione, e via; si ritrasse dunque con celeri passi chiamando ad alta voce Maria, sebbene non si potesse dar pace come Ciriaco, a seconda del comando, avesse trascurato di spegnere le torce; ma presto gli tremò il cuore, quando intese con flebile voce rispondersi: Maria: precipitati i passi, ecco, spariti bussola e staffieri, mira giacersi in terra un morto e un moribondo: questi Ciriaco.

Il caso era avvenuto nel modo che dirò: mentre Ciriaco attendeva a cavare il coltello dal petto allo staffiere, che dopo averci penetrato fino al manico si trovò preso tra le costole, l'altro staffiere pronto ed audace, accostatosegli di fianco gli spinse con ambe le mani la torcia a vento dentro la faccia pigliando di mira l'occhio sinistro. Terribile l'urto e la ferita, [294] la quale subito si fece oltre ogni immaginativa spasimosa a cagione del bitume ardente rimasto ingrommato intorno alla tempia e alla gota; mugliando peggio di uomo messo al tormento, Ciriaco lasciò cadersi di mano il coltello aggirandosi sopra di sè come cane che si morda la coda; e lo staffiere, che lo mirò concio a quel modo, raccolse il pugnale, e così in fretta in fretta gli appiccò un paio di coltellate nella pancia da farci passare l'anima in carrozza. Ciriaco cadde a sua posta esclamando, Maria, e lo staffiere corso dietro ai portantini li ricondusse sul posto a pigliare la seggetta, nè udendo poi chiamare per aiuto o rumore di ferro, riputò, che il padrone si fosse riparato correndo a casa; per la quale cosa non volendosi trovare alle peste con la Corte, che era tale prunaio allora, nè troppo se ne differenzia adesso, che chi ci entra non ci esce senza lasciarci almanco qualche bioccolo di lana, insieme ai compagni pigliò il puleggio.

Alla voce di Maria Ciriaco risensa, che ormai il suo spirito cominciava a vaneggiare, [295] e vinto dallo spasimo della morte vicina, con debile voce chiamato a sè Paolo così gli disse:

— Signor Paolo, bisogna che cessiamo di fare cammino insieme; chinatevi, che la lena mi manca, e se la vita per isbaglio prende qualcheduno dei fori, che mi hanno aperto più del bisogno, temo che non potrò raccomandarvi quanto importa che operiate.

— Sta di buon animo, ti caricherò su le spalle, e a casa ti medicheremo per modo, che tornerai saldo meglio di prima.

— No, Paolo, non ci perdiamo dietro alle farfalle: codesto che voi dite non può effettuarsi, primo perchè sarebbe tempo perso; secondo perchè tanto sangue mi sgorga, che non lo potendo rattenere, lascerebbe la traccia sopra la via; terzo, se v'imbatteste nella Corte mentre me non aiutate in nulla, voi perdereste senza pro; quarto, quando non morissi, come sento che fra pochi minuti morirò, la qualità di taluna delle mie ferite ci servirebbe di spia; altre ragioni ho in serbo, e ve le potrei esporre, ma nella mia condizione [296] di moribondo chiedo in grazia di passarmene.

— Se la morte fosse cosa, io la vorrei strozzare...

— E se si potesse io vi darei una mano; ma la morte non è cosa, quantunque disfaccia tutte le cose, però bisogna sopportarla in santa pace. Alle faccende dell'anima ho rimediato alla meglio da me stesso, ma non credo avere mosso troppi passi verso Maria, piuttosto confido, che Maria potrà farne troppo più verso me, e così sia. Ora pestate su la torcia e spegnetela, dacchè quanto vi consiglierò adesso, al chiaro non si potrebbe compire... e... e credo difficilmente si compirà anco al buio... Bene: qui, più vicino, qui, se fra due minuti sarò morto... se no vivo, pigliate il coltello, e tagliatemi netto la testa, che porterete con voi; domani trovando il mio tronco decollato non potranno riconoscerlo... ci avevate pensato?

— Ci ho pensato...

Passarono alcuni secondi, e si saria creduto che la notte a cagione della maligna [297] virtù di queste parole di Paolo: ci ho pensato, si fosse fatta più buia.

— Ci avevate pensato! riprese Ciriaco; va bene: spogliatemi la livrea, e dentro a lei avvolterete la mia testa... a questo avevate pensato?

Paolo non rispose: quel cuore di ferro, comprese che al suo primo: ci ho pensato, non che altri, il diavolo doveva avere fatto la pelle di oca: e l'altro proseguiva:

— Avvertite a cavarmi anco la camicia, perchè Maria ci aveva trapunto in cifra il mio nome, e questa marca potrebbe dare indizio al bargello, e metterlo sopra le vostre traccie... a questo avevate pensato?

Silenzio, e tenebre: Ciriaco, ripreso fiato, con un filo di voce continuò:

— Tagliandomi il capo, badate non vi caschi l'abitino: se lo lasciaste per terra, guai! che dentro, oltre l'orazione alla Madonna della Neve e l'altra per san Niccola, ci si hanno a trovare due anelli, uno col mio nome, e l'altro col suo... di Maria... e questo voi non potevate avere pensato...

E ormai quasi con parole indistinte aggiunse:

[298] — Nella cantina del palazzo, sotto alla botte grande, voi troverete bella e scavata una fossa; — ed io ce la zappai nel presagio di nasconderci la roba... lì seppellite il capo del vostro Ciriaco, del vostro fratello, che tanto vi volle bene, e al quale voi non ne voleste punto... punto.

Due ore dopo la mezzanotte, Paolo, diligentemente azzimato, tutto odoroso d'acqua di fiore d'arancio, e lieto come la Violante non l'aveva visto mai, entrò nella camera di lei che lo attendeva senza trovare posa sopra le piume; accostatosi al letto egli si recò sul braccio manco il bel capo della sua donna, che l'ansietà aveva colorito oltre il consueto; e più lo rendeva mirabile il volume dei capelli nerissimi sciolti per le spalle e pel seno che palpitava di ardore ormai dalla religione fatto sacro. Anco ai giorni che in cielo regnava Giove, lo Imeneo, dio decente e sviscerato a spada tratta delle cose condotte in regola, avrebbe coperto con le sue ali il seguito di cotesto incontro nuziale, onde quanto non ne corre maggiore l'obbligo a noi presso cui il matrimonio, dopo [299] di essersi sentito venerare per santo, e mêzzo fino alla camicia di acqua benedetta, venne assunto al fastigio di uno dei sette sacramenti della Chiesa cattolica. Però dinanzi alla cortina abbassata del letto noi inchiniamo verecondi la testa; solo diciamo, che donna Violante, rapita di sentirsi così stupendamente fuori del presagio ed oltre ogni aspettativa amata, dimentica dei mali presenti, improvvida dei futuri, s'inebriò di amori.

La mattina fu trovato un cadavere senza capo, e ignudo; per un'ora, se ne fece un gran dire; dopo due meno; a mezzo giorno non se ne parlava più; lavata e spazzata la strada, la gente prese a passarci secondo il solito, chi traeva per curiosità a mirare il luogo dov'era accaduto il fatto, ci trovava per lo appunto sopra una fruttaiola, che vendeva ciliege ai fanciulli; uno dei quali credendo che ne fosse cascata una, si chinò a raccattarla, e se la cacciò in bocca per tema gli fosse contrastata dai compagni, ma subito dopo facendo greppo la sputò come cosa abominevole; i fanciulli accortisi dello sbaglio [300] gli dettero la baia con urli, e con fischi, a cui per via di perorazione aggiunsero anco qualche sassata; il ghiotto garzone aveva scambiato per una ciliegia un brandello di carne del povero Ciriaco.

[306]

CAPITOLO IX.
Il Cardinale.

Finchè ebbero speranza di ridurlo a granaio, a taverna, o in uso altro più vile, lo tennero sodo più che grappa impiombata; quando poi furono intimati in virtù della legge ne urbs ruinis deturpetur a reggerlo co' puntelli, gli ebrei, che ci avevano prestato su danari ad ipoteca, consegnarono il palazzo dei Pelliccioni in mano degli Edili, i quali, per evitare che diventasse una macía, secondo il buon giudizio, che governa ordinariamente i partiti municipali di tutto il mondo, lo trasmisero nelle mani della Distruzione.

I dominatori, che sanno l'arte, gli oppressori genuini non entrano di straforo nei paesi a mo' delle volpi nei vigneti per piluccare i grappoli, bensì di coloni per pestarli dentro ai tini; di fatti i capitani stranieri quando s'immisero nelle città italiche [307] portarono la lancia in resta ferma sopra la coscia; adesso quando vi s'insinuano, adoperano altresì la lancia, ma quella con la quale giostrò Giuda[22]; onde i primi violentando solo i corpi poterono esserne cacciati, i secondi corrompendo le anime non poterono, o tardi, o male.

La Distruzione poi prese possesso del palazzo Pelliccioni in modo conveniente alla maestà sua; calcando col piè grave la gradinata del palazzo ne ruppe gli scalini, coi gomiti scantonò i pilastri della porta, ed, appena introdotta, di una capata sfonda il soffitto dello androne: quivi gli alunni di Giulio Romano avevano molto maestrevolmente dipinto la battaglia dei Titani contro Giove: adesso di cotesti formidabili figliuoli della terra tu non miravi altro che un mucchio di gambe tronche e di piedi, nè Giove era intero, bensì scemo della testa, e il suo folgore privo di saetta ciondolava come il cordone umbellicale di qualche altra divinità piovuta di fresco dal [308] cielo. Il Byron, preso dagli azzurri sereni dello empireo di oriente, afferma lassù, in fondo in fondo di quelli contemplarsi Dio, ed anco nel cielo dello androne dei Pelliccioni, finchè rimase intero, fece il Saturnio temuta mostra di sè; ma adesso che la Distruzione lo aveva sfondato, se ci addentravi lo sguardo, vedevi una tela di ragnatelo ordita per chiappare le mosche: anco i Numi stanno in potestà della Distruzione.

Per quanto fossero ampie le camere, e le sale, la fiera Ospite non aveva trovato luogo capace per sè; onde dopo avere spaccato i muri si arrampicava sul tetto; il palazzo vinto dall'immane peso per molte crepe pareva ridere nella guisa, che il gladiatore ferito a morte nel diaframma rideva. Seduta sul letto come re sul trono la Distruzione avendoci incontrati altri Dii dette subito mano a manometterli non solo, ma altresì a norma della ragione di stato renderli contennendi e vili; chè a Marte tolse via il naso e la spada; a Venere troncò la mano, che pittori e scultori effigiano distesa a parare la sua nudità; nè su questo [309] si poteva in coscienza dare torto alla Distruzione; però che o importava alla buona morale velare parte del corpo di Venere, e allora a che ipocrisia sì fatta dopo averla scolpita o dipinta come uscì fuori dal mare? Cotesta mano, in cotesto luogo, pareva messa proprio con la intenzione medesima con la quale sopra i crocicchi drizzano i cartelli; cioè per insegnare la strada e:

Mi mostrano la via, che al ciel conduce,

disse messer Francesco Petrarca canonico di Padova, ma lo disse del cuore non già degli occhi di madonna Laura, non della mano, la quale, secondo quello ch'ei ci vuole dare ad intendere, non gl'insegnò mai nulla — quindi, o velisi la Venere come quella di Coo o la si lasci ignuda schietta come l'altra di Gnido. La Venere di Firenze è Venere da Gesuiti[23].

La Distruzione insediata sul trono scelse i suoi ministri, e secondo il costume dei re tristi, li scavò peggio di lei; primo di [310] tutti il fuoco, il quale per darle saggio della propria abilità arrovellandosi su i travi, i travicelli, le porte, e le imposte gl'incenerì mezzo regno; per la quale cosa la Distruzione, ammirandone i forti partiti, e lodandone lo zelo, lo mise in riserba per servirsene al bisogno: poi venne la volta dell'acqua, che non osservando regola nè misura si rovesciò a diluvi sul tetto, mandando giù sopra i passeggeri una benedizione mista di tegoli, e di embrici; entrata in casa non rinvenne via più spedita per uscirne, che le crepe antiche, e allora non parve più ridere, ma piangere; dopo Democrito, Eraclito; quantunque non manchino autori degni di fede, i quali ci affermino, che in antico Eraclito e Democrito non fossero già due filosofi sì bene uno solo; e questo credo ancora io. Non potendo adoperare quotidianamente un ministro del continuo lagrimoso, fu provata l'aria; e l'aria al cimento rinvennero, se non più dannosa, più molesta di tutti; imperciocchè ora sibilasse come se miriadi di boa andassero in volta, ed ora guaisse a mo' di centomila anime dannate che si fossero [311] data la posta là dentro, ora con terribile rombo annunziava imminente il finimondo, ed ora modulava un gemito come di amante, rimescolato dal soverchio affetto; e la Distruzione ora accorreva tutta impaurita, ora afflitta e non trovava mai nulla; che vento erano le minaccie, e vento i sospiri; altri ministri di polso non si presentarono a reggere; e' fu mestieri servirsi di questi alternando l'uno con l'altro, come costumavano in Francia ai tempi di Luigi Filippo, e come costumano in Italia ai tempi nostri; se potevano mettersi insieme, se ne sarebbe composto un lievito eccellente per formare tutti i ministeri del mondo, ma non si potè fare.

Ognuno di loro tirò su sempre secondo il solito l'acqua al suo mulino; di topi un nugolo, che primi a entrare, si mostrano anco primi disposti a uscire solo che fiutino alla lontana la schiaccia; modello vero del perfetto cortigiano sempre inteso a rodere, sia di notte come di giorno, berretti frigi, o bende imperiali, l'oro del tempio di Efeso, o i calzari di Diogene: e con essi i tarli, stampa di amore senza [312] pari come quello che si addentra fin là dove altri non può arrivare; vennero i biacchi a insegnare come si conservi la dignità nella reggia, e nei parlamenti, i rospi e le vipere ci portarono l'arte di comporre i giornali, gli scarafaggi, e i lumbrichi spontanei o invitati ci si recarono a dare lezioni di diritto costituzionale, i gatti furono professori di generosità, i corvi cappellani. La vetriola e l'edera in compagnia di altre sorelle parasite si offersero a fare ufficio di poeta di Corte adombrando gli spacchi e le latrine; e col verde bugiardo non pure ascondere ogni più sozza cosa, ma dare ad intendere alla lontana, che fosse incoronata di alloro.

Allo improvviso, e mentre ormai la Distruzione reputandosi donna e madonna non sospettava di guai, ecco irrompere dentro il palazzo una frotta di architetti, muratori, manovali, operai di ogni maniera, di ogni ragione artisti, e ciascheduno armato dei suoi arnesi, sopra di lei avventarsi con assalti riuniti, contro i quali non valse pertinacia di difesa, o maligno volere; molto più che un giovane biondo e bello al pari [313] di Apollo di Belvedere lì compariva sovente con lo incesso di cotesto Dio, che saetta il Pitone, e sembrava accendere co' raggi della sua anima gl'intelletti degli uomini, di cui la opera allora ferveva per trasformare in sede di magnificenza, di giocondità e di piacere l'albergo che fu poco anzi di miseria, di tristezza e di dolore.

Questo giovane era Paolo, e come in tratto così breve di tempo avesse potuto mutare la sua condizione di mendico in ricco io ve lo dirò senza viluppi, che di colpi di scena non abbisogna il racconto, e poi noi altri Italiani siamo di quelli che desideriamo mettere ogni cosa al suo posto, e fare che il dieci venga subito dopo il nove; almeno una volta era così.

Voi pertanto ricordate, che Paolo sorpreso nella caverna da Ciriaco, vergognando di comparire ladro al cospetto del suo compagno bandito, prese delle gioie arrapinate quelle che potè; gli argenti furono relitti tutti: certo i tesori di Montecristo non erano sepolti là dentro, ma il trofeo del ladroneggio costà superava troppo in valsente quanto n'era stato rimosso. [314] Quando Paolo con la famiglia ripigliò la via di Roma, due fini si era proposto, il primo dei quali certo o poco dubbio, incertissimo il secondo; gli pareva facile ripescare gli antichi compagni, e aggiungendovene parecchi dei nuovi ricomporre la sua banda per rompere le strade, e condurre altre non meno onorate imprese; gli riusciva più arduo credere che i suoi compagni si fossero astenuti da pellegrinare fino alla caverna per rovistarla ed appropriarsi quanto era rimasto lassù; tuttavia volle tentare; però fatta sosta alla famosa osteria della Ferrata, si diede a conoscere dall'oste pressochè spiantato per falta di avventori, di salute mal fermo, e quasi losco dal tanto piangere che aveva fatto la sua figliuola Maria; accolto a braccia aperte sul subito come conoscenza antica, e consolatore delle presenti miserie, crebbe di corto nella svisceratezza dell'oste, avendogli rifiorito le languide speranze con promessa di migliorare in un modo o nell'altro le sue condizioni. Interrogato l'oste da Paolo, insieme ad altre cose, se qualcheduno dei compagni fosse a sorte comparso [315] da codeste parti ebbe a risposta, che non ci si era visto persona, però preso maggiore coraggio gli disse, che pel dì veniente procurasse avere sei muli od otto, e provvedesse zappe: se si sentisse in forze di accompagnarlo insieme con Renzo fino alla caverna ben per lui; se no, sarebbero iti egli e Renzo; nè per questo avrebbe avuto parte minore delle robe, che egli viveva quasi sicuro di ritrovare.

Supremo scongiuro per l'uomo fu sempre il guadagno; pensate poi se lo stringa il bisogno; in mal termine si trovava l'oste, ma fosse stato peggio, sarebbe ito col materasso dietro; però vuolsi confessare che alla cupidità si aggiungeva come in embrione il pio desiderio di recitare un po' di De profundis proprio sopra la fossa dove riposava sepolta la povera Maria; e devo confessare altresì, che mano a mano saliva, questo desiderio pigliava colore, sicchè, quando furono vicini alla caverna, l'amore della figliuola bilanciava l'amore dello acquisto, o poco gli rimaneva di sotto: entrato poi nella caverna e indicatogli il luogo dove giaceva la sua creatura, [316] si gittò giù di sfascio, rompendo in dolorosi omei da movere a pietà, non che altro, i tronchi e i sassi, e con le braccia aperte pure tentava di abbracciare il terreno. Paolo lasciò sboglientarlo, che forse ci aveva il suo conto, e parve fosse per lo appunto così, imperciocchè presto presto si dette a zappare in certi luoghi a lui noti, dove trasse fuori due forzieretti, che si ripose in tasca. Mentr'egli operava ciò, allegando non so quale pretesto, aveva mandato Renzo fuori della spelonca, sicchè quando ei fu di ritorno i forzierini erano spariti; di costui Paolo si fidava sì e no: gli faceva mestieri di parecchie altre prove per isperimentarlo, ma in tempo di carestia pane di vecce: rientrato il garzone, Paolo si volse all'oste, e con sinistra cera gli ordinò che pigliasse la zappa per dargli aiuto, e quegli la prese quasi trasognato, poi tornato al luogo donde si era partito cominciò a menar giù a furia gridando:

— Qui dentro è il mio tesoro, or ora lo metto allo scoperto.

Paolo parve atterrito al proponimento [317] dell'oste, per la quale cosa, fattosegli da presso, gli fermò il braccio dicendogli con voce benigna:

— Il Padre Eterno solo, aprendo le fosse, ci caverà tesori, noi non possiamo scoprirci altro che vermi; lascia stare, che hai pianto assai; vien meco a procacciarti da vivere men tristo.

La parte spirituale, che aveva preso per un istante il sopravvento nell'oste, cesse il campo alla cupidità; però senz'altre parole attesero tutti e tre a scavare: l'aspettativa di Paolo invece di rimanere delusa fu oltre il presagio soddisfatta; l'argento era stato battuto ma non così che non lasciasse vestigio della forma antica, e quel pezzo ben si conosceva essere stato pisside, l'altro candeliere, taluno anco Cristo; non mancavano argenti profani, ma primeggiava il sacrilegio. Così rinsanguato di pecunia Paolo scese dal Monte di Bove, nè mosse sì tosto dalla Ferrata con la famiglia; lasciatavi la Violante, cui un sinistro presentimento andava rodendo le viscere, si recò a Roma, dove dopo avere tolto a pigione certa villa a [318] Nettuno in luogo appartato e ombroso per foltissime piante, ci trasportava in più volte le nuove ricchezze. Parrà strano come a veruno dei compagni di Paolo saltasse in testa di prevenirlo, ma chi visse molto nel mondo conosce non essere la stranezza causa buona per discredere una cosa; e la stranezza troveremo minore quante volte tu consideri che parecchi di loro ignoravano il tesoro nascosto, e Paolo stesso nol conosceva intero; dei consapevoli, a quale mancò il comodo di recarsi costà, a cui il coraggio; chi aveva preso moglie e aperto un po' di traffico non cercava miglior pane che di grano, chi si era fatto frate, e s'incocciava sul serio di santità: insomma i benestanti non si movevano; chi si sarebbe mosso si trovava ridotto in tale arnese, che correva rischio, scorrazzando per la campagna, di capitare in mano a qualche sbirro a cui paresse acquistare la indulgenza plenaria se lo avesse impiccato al primo arbore gli occorresse per via. Messe in salvo le robe nella villa, Paolo ci condusse la moglie dandole ad intendere com'egli adoperasse così per pigliar [319] tempo ad ammannirle il palazzo in modo conveniente all'eccelso grado di lei, e ciò per solleticarla nella vanità, ma non ce n'era bisogno, cupida come adesso ella si sentiva di tenebre e di solitudine.

La Distruzione del palazzo Pelliccioni, dopo avere tentato resistere, di padrona parve rassegnarsi a diventare vassalla, contentandosi di un lembo estremo in soffitta, o in cantina; non le dettero requie; da per tutto cacciata si disfece a mo' di quei nugoli, che dondolandosi per lo emisfero si consumano e sfumano. Però quando le sale sfolgoravano di doppieri riflessi dentro gli specchi di Venezia, ripresero a ronzarvi dintorno i parpaglioni della fortuna, i quali conoscono l'arte di sfruttare la luce degli altri, senza bruciarvisi le ali; e più poi allorchè dai camini sorse la colonna di fumo annunziatrice, che costà si faceva grasso mangiare, ci capitarono a frotte amici vecchi e amici nuovi fissi in lei con ansietà pari a quella degli isdraeliti con la quale seguitavano la colonna di fuoco pel deserto; i vecchi abbracciando Paolo gli venivano ricordando i motti, le [320] blandizie, i gesti degli anni suoi primi e per tenerezza piangevano, i giovani si recavano ad ammirare il gentiluomo perfetto, di cui nelle lunghe sere di verno avevano udito raccontare mirabilia dai genitori, adesso, ahimè! sepolti. Dicono i naturalisti che i soli pesci pigliansi per la gola, e non è vero, imperciocchè per la gola si piglino anco gli uomini, se non che questi si acchiappano per molte altre cose; di fatti parecchi facevano capo al palazzo Pelliccioni per danaro, offerendo tutto sè stessi, il che tornava a non offerire nulla. Paolo, stupendo a dirsi! non negava a persona, o poco o assai veruno si partiva senza qualche soccorso, sicchè tu pensa se la processione degl'impronti per la strada che menava al suo palazzo occorresse gremita più di quella delle formiche. E da capo le dicerie intorno alla origine delle sue ricchezze, nè onorevoli tutte; i mercanti affermavano non potere averle fatte se non trafficando, e i soldati se non combattendo; non mancò chi dichiarava avere sentito dire, ch'ei si fosse imposto signore di certa isola in certe contrade rimote, [321] dove il fiume mena sabbia di oro per la ripe di argento, e i bimbi per la strada giocano a' noccioli co' diamanti grossi quanto una pina o poco meno; i nobili reputavano imbroccare nel segno pensando che S. M. Cattolica lo avesse con la sua consueta munificenza rimunerato con grosse pensioni dei lunghi ed onorati servizii prestati alla corona co' negoziati e con la spada; i prelati più che tutto trovavano probabile, qualche vecchia vedova ricca sfondolata lo avesse tolto a marito, e di corto mortagli con suo inenarrabile rammarico, egli ne avesse raccolto l'intero retaggio; gli ammicchi degli occhi, e il sorriso tenue, e lo stringere pietoso delle mani servivano quasi di condimento a questa cicuta del Diavolo: altri altre cose; veruno pensò al furto, e sì che la spiegazione l'avevano proprio all'uscio senza mandare tanto in volta il cervello; ma così nelle faccende fisiche come nelle morali talora per notare gli obietti bisogna patire del balusante. Il ceto amplissimo femminino poi ne faceva di quelle coll'ulivo, e sembrava avere dato nelle girelle per Paolo; non vi [322] era mamma nobile, o borghese, di molta o di poca sostanza, che non vagheggiasse in lui il cappellinaio al quale attaccare le care gioie delle loro figliuole; le fanciulle lo guardavano come il pellegrino contempla il santo ch'è termine dello affannoso pellegrinaggio; e se il pellegrinaggio verso il santo matrimonio a taluna di loro pesasse, lascio che lo immaginiate voi altre mie cortesi leggitrici o leggitori, come meglio si abbia a dire; massime poi a quelle cui pareva essere destinate di girarci sempre dintorno e non entrarci mai; appunto nel modo che successe agli ebrei quando lasciarono l'Egitto per la Terra promessa. Era, direbbe Omero, spettacolo degno degli Dei mirare il coro delle donzelle disposte in giro intorno a Paolo e sfolgorarlo con gli sguardi a mo' di balestrieri che mirino uno stesso bersaglio; a canestrate gli gittavano virtù sopra la testa come i fiori; tutta roba (già s'intende) prestata al futuro marito di tutte, che poi tutte dopo la scelta vanno a risquotere con la usura, non esclusa la moglie, e spesso questa più esigente di ogni altra. Nè meno [323] delle femmine comparivano alla prova prodighi gli uomini, che come suole, ognuno di loro gli regalava la virtù, che gli premeva maggiormente fosse posseduta da lui; i poeti lo predicavano generoso, gli artisti di buon gusto nelle arti, i preti devoto, i gentiluomini spiantati nobilmente cortese, e via via; maraviglia universale metteva considerare come in età così fresca tante cose sapesse, tante genti avesse veduto, e tanti gesti operati (almeno per quello ch'ei ne diceva), e qui pure ci entrava l'adulazione, imperciocchè sebbene la fronte di Paolo fosse tale dove:

I suoi strali spuntava amore e morte,

tuttavia anco da quanto appariva, la turba adulatrice dibatteva una dozzina di anni.

Ma in Roma sacerdotale, massime a cotesti tempi, piacque due cotanti più che a Napoli lo studio alla religione santissima, e quello messo nella osservanza delle pratiche di santa madre chiesa: per la quale cosa ogni mattina Paolo assisteva divotamente a messa genuflesso alla balaustrata [324] dello altare; e la messa la pagava di suo, raggiungendo il prete in sagrestia, dove dopo avergli detto: prosit, gli pigliava la mano e ci deponeva un ducato di oro smagliante; onde il prete quando si voltava dall'altare implorando al popolo: Dominus vobiscum, sbarrava gli occhi come spiritato per mirare se ci fosse: desiderò essere ascritto a parecchie confraternite, e prima delle altre a quella dei Fiorentini di San Giovanni decollato, di cui istituto è accompagnare i condannati a guastarsi: in questa occasione apprestò rinfresco a tutti i fratelli, ed i più eletti nel suo palazzo pasteggiò alla grande, nelle processioni s'industriava far sì, che gli toccasse a portare taluna delle aste del baldacchino o la residenza, e certa volta dette dieci scudi di elemosina per portare il Cristo di legno, che gli parve peso; ma il tratto proprio da maestro fu quello di scegliere confessore il padre Migali gesuita, il quale per essere stato già confessore del povero Francesco Peretti nipote del Papa, miseramente assassinato, si vedeva tutto giorno per casa del cardinale Alessandro: certo era [325] un mettersi tra male branche, ma egli non si sentiva sortito alle parti di sorcio. Da ambe le parti perfetti; proprio qui si vedeva alla prova che tra pirata e corsale non ci corre altro che i barili vuoti; egli non rifiniva mai di levare al sesto cielo la sapienza del Gesuita (la pietà non importava, chè si suppone in tutti gli ecclesiastici, e in modo singolare nei Gesuiti), il Gesuita mostrava andare in visibilio per la pietà di Paolo (di opinione, di sapienza non faceva mestieri, supponendosi sempre in cui spende a mano aperta, e mette tavola spesso). Ora accadde che certo dì favellando insieme Paolo col padre Migali delle parti degl'infedeli, e sul modo di propagarci la fede, tante eccellenti cose costui gli disse in parte non conosciute prima ed in parte accomodate così che parvero nuove, che il padre si dispose in tutto fare motto di questo distinto soggetto al Cardinale nipote, non mica perchè egli fosse capo della Congregazione de Propaganda fide, a cui presiedeva lo stesso Papa, ma sì perchè il cardinale Alessandro, se non la sola, per certo si considerava la [326] più sicura chiave di aprire il cuore dello zio. Nè fu difficile ottenere udienza dal Cardinale, atteso il credito del Gesuita, e l'indole facile del nipote di Sisto; il quale, per giudizio dei contemporanei, oltre la buona natura ebbe pratica grande di negozi più che scienza, negoziando sempre al cospetto del Papa, ovvero a norma delle sue istruzioni, onde lo prepose alla Congregazione della Consulta per il governo della santa Chiesa, che rispondeva a cappello a ciò che nei giorni nostri chiamiamo ministero dello interno, e all'altro ufficio troppo più importante pel Papa, ed arduo pel giovane, voglio dire, quello di ascoltare gli spioni, e riferirgli con sagace diligenza quanto ne avesse cavato. — Ancora, si deve avvertire, che Paolo, appena si presentò, piacque al Cardinale, però che la simpatia da taluni non si osserva nella sua genesi, e da molti altri si nega, ma pur troppo vive, e dirò regna; impossibile, almeno per ora, dichiarare in che cosa consista, ma per me quasi mi persuado, che proceda da cause tutte animali, effluvi di sangue, virtù magnetica di sguardo, od [327] altre cotali; e dopo un po' di commercio la simpatia crebbe, dacchè Paolo nascesse gentiluomo, ma la educazione materna e il suo mescolarsi con gente di piccolo affare lo avessero in certo modo invilito; mentre Alessandro, comecchè di lignaggio villano, facevano gentile l'esempio dei colleghi, ed il continuo negoziare con personaggi potenti; per la quale cosa si sentirono subito bilanciati perfettamente tra loro, successo che da essi non fu mai prima di ora provato, imperciocchè trovandosi con persone o affatto volgari, o affatto signorili si sentissero come a disagio. Inoltre se bello era Paolo, brutto non compariva Alessandro, e se in avvenenza egli cedeva all'altro, ciò giudicava nel suo segreto la gente, ma non andava a dirglielo, mentre a lui la naturale prosunzione impediva darsi per vinto; di poi, non si poteva dubitare, che con le vesti da cavaliere un giovane avesse a parere più elegante che incamuffato con quel viluppo di panni rossi. Quanto a magnificenza, che la fama gli aveva porto occorrere nel Cavaliere grandissima, il Cardinale [328] non se ne pigliava fastidio, anzi ci aveva gusto, perchè godendo di centomila scudi di rendita sentiva poterlo superare: per ultimo rispetto a sapienza conobbe, come Paolo fosse uomo sagace più per pratica di faccende, che per istudio di libri (e qui pure non si confessò, nè era inferiore a lui); e per quel po' di lettera ch'ebbe Paolo occasione di metter fuori non era tale nè tanta da farne le stimate per chi viveva a cotesto tempo in Roma, nè tra l'uno e l'altro ci correva un filaro di case. Insomma Paolo possedeva tutte le doti per andare a genio ad Alessandro, dacchè in quelle che riescono ad acquistarsi impossibili, come lignaggio e bellezza, il Cardinale aveva argomento buono di reputarsi pari, e per le altre che possono acquistarsi si reputava superiore.

Parlarono di molte faccende, un po' per tastarsi e un po' menati dal giovanile talento, e finalmente caddero su quello che premeva all'uno ascoltare, all'altro dire:

— Sicchè a voi, Cavaliere, questa istituzione del Papato non garba...

— Illustrissimo, per amore di San Diego [329] ultimamente canonizzato[24], non mi apponete di questa fatta eresie. Come non mi avrebbe a garbare il Papato se istituito dalla propria bocca di Gesù Cristo? Io non sono così tristo cristiano per ignorare che Pietro fu la pietra sopra cui si fonda la Chiesa, contro la quale non prevarranno le porte dello inferno, bensì dubito, rimettendomene sempre all'autorità dei miei superiori, massime alla vostra, che la navicella di San Pietro diventata galera abbisogni di qualche altra vela, e di parecchi remi di rinforzo.

— Cavaliere, parlatemi col cuore in mano; quantunque per ufficio mi corra il debito riferire qualsivoglia cosa per me si oda, o si veda, a Sua Santità, tuttavolta in fede di gentiluomo vi prometto, che delle cose a voi piacesse favellarmi egli apprenderà quelle che voi vorrete egli sappia, e se niente ha da saperne, e nulla saprà.

— Illustrissimo, voi adopererete secondo [330] la prudenza vostra, perchè a me sembra non avere a dire cosa che possa tornare sgradevole a Sua Santità. Il Papato nacque inerme e debole, e così un pezzo durò: se l'uomo fosse meno perverso, e non si ostinasse nel peggio, il Papato, per trionfare nel mondo, dalla sua origine divina in fuori non avria dovuto avere mestieri di altri soccorsi: ma costoro, che pure si attentarono mettere le mani nel sangue prezioso di Cristo, pensate se volevano peritarsi a menare strage dei suoi pontefici! La storia pertanto della prima Chiesa è tutta un martirio; le sue fondamenta, si può dire, furono poste sopra sangue cagliato...

— Questo non contrastano nè anco i nostri più fieri nemici....

— Ed appunto per ciò, chi venne dopo considerava come divina cosa sia il martirio, ma arcidivina il trionfo.

— Avvertite, Cavaliere, che il terreno incomincia a farsi lubrico...

— Illustrissimo, se male mi appongo, lascio a vostra signoria libertà piena pienissima di anteporre il martirio al trionfo, [331] e vedete e' ci è da scegliere; tra i Monsulmani impalano, i Tartari segano in mezzo; nella China uccidono frastornando il sonno...

— Basta, basta, interruppe il Cardinale sorridendo, in fede di gentiluomo, io mi confesso giusto, la passione del martirio non è la mia dominante...

— Appunto voleva dire... a diciannove anni... potente... copioso di beni di fortuna, e capace ad usarne con prudenza... il martirio non è ospite accetto. Per assicurare il trionfo della Chiesa, oltre gli aiuti divini, prudenza volle che si facesse procaccio degli umani...

— Gli aiuti divini non mancano mai a cui gl'implora con cuore contrito, e gli attende con mente umiliata...

— Illustrissimo, voi parlate da quel luminare di santa madre Chiesa che siete; però piacciavi considerare che i primi a ricorrere agli umani sussidii furono i Papi, non io: io racconto; apprenderò volontieri da voi le cause che mossero i sommi Pontefici ad aggiungere alla fune celeste un po' di filo umano....

[332] — Voi siete arguto, messere....

— Illustrissimo, perchè mostrate il vischio se non mi volete impaniare?

— Vi ho dato fede di gentiluomo e basta: nobiltà lega; forse mi piace non ismettere la pratica, e giocare di scherma con maestro schermitore.... Ora però basti, che lo spesso romperla guasta la misura...

— Di fatti non ricordo più dove mi sia rimasto: oh! ecco, i Papi dunque prima che il Macchiavello lo scrivesse, conobbero che i profeti disarmati capitano sempre male, e presero ad avvantaggiarsi, e per me fecero bene, ma non in tutto nè sempre; a modo di esempio, non operarono avvisatamente quando ricorrendo alla potenza temporale si confidarono troppo alla divina, conciossiachè noi tutti dobbiamo sperare che Dio non fie per mancarci mai di aiuto, anzi farà il miracolo a posta per noi, e tuttavia prudenza vuole che noi ci sovveniamo più che possiamo da noi; insomma, ond'io di corto chiarisca il mio concetto, la religione doveva provvedere e rinforzare i partiti umani, [333] non già i partiti umani puntellare le forze religiose.

— Perdonate, Cavaliere, parmi che la Chiesa abbia proceduto precisamente nel modo che accennate.

— Illustrissimo, domando mille perdoni a voi, ma se non presumo troppo concedete che io vi persuada del contrario. Mirate, da prima si volle abbracciare troppo, però invece di attendere allo incremento delle forze materiali in casa, e mettere salda base di signoria, furono usate ed abusate le spirituali fuori in lontane regioni, cosicchè mentre qui in Roma ammazzavansi i Papi co' sassi, esultava la Chiesa nel sapere tremanti innanzi ai suoi antistiti remoti dominatori. Certo la forza scevra da pensiero non parrà cosa durevole, ma il pensiero scemo di forza vale anco meno. Bene sta che i Romani spedissero un legato o due i quali si attentassero chiudere come Popilio[25] il re Antioco [334] dentro un cerchio, e lo intimassero a piegare il capo; però, che se il legato non arrivava a persuaderli con le parole, tenevano dietro quasi tuono a baleno le legioni a stritolarli con le armi; considerate di grazia, il bel civanzo che hanno fatto i Papi inviando messaggi difesi dalle parole, e non dalle armi, ai potenti del mondo; o gli hanno presi per la barba come Luigi XI di Francia il cardinale Bessarione, e con tale strazio, che il valentuomo ne morì, o li costrinsero a mangiarsi pergamena, sigillo e salimbacca delle bolle o ad annegare nel Lambro, come Bernabò Visconti, Grimaldo da san Vittore, che poi fu Papa; e si può dire gli usasse cortesia, imperciocchè quando gliene pigliava il ghiribizzo gli arrostiva, e così accadde a cotesto frate tapino, il quale per commissione d'Innocenzo sesto andò a predicargli contro la crociata a Milano; o gli impiccarono addirittura, come a Firenze adoperarono contro il Certosino spedito da Innocenzio IX a pubblicare i cedoloni della scomunica; e per istringere il molto e il vario in un ultimo esempio, si [335] racconta di un re d'Inghilterra che rese scemi dei testicoli loro i Canonici di Seez per avere obbedito nella elezione del Vescovo piuttosto alla volontà del Papa che alla sua; e dopo tagliati volle che li guardassero disposti in bell'ordine su di una tafferia. Dalla quale disgrazia, Illustrissimo, Dio scampi e liberi ogni fedele cristiano.

— Il Cardinale sorrise alquanto, ma subito dopo tornato pensoso soggiunse:

— Ma noi non difettiamo di eserciti; armi possiede la Chiesa, e non poche....

— Tante da chiamarti il pericolo in casa, e non poterlo vincere; del presente non parliamo, che se mi togliete le guardie svizzere e i micheletti, altre non so vederne; per lo passato le armi pontificie salvarono Roma dal Borbone? Se la provvidenza non aiutava, chi ai giorni nostri ci scampava dal Duca di Alva? La Chiesa nei primordii assai lodevolmente si comportò spogliando un altare e rivestendone un altro, contenta di guadagnarci i moccoli; e come vassalla crebbe la sua potenza fin dove non è più lecito rimanere [336] sottoposto altrui senza certezza di trovarsi a volta sua spogliata da un punto all'altro...

— Cavaliere, voi non vi apponete, la Chiesa attese a farsi padrona di tutto; se non ne venne a capo bisogna cercarne la colpa altrove.

— Non erro; voi, Illustrissimo, accennate adesso agli Adriani, ai Gregori e agl'Innocenzi e agli altri vetusti; questi procederono sempre per via di arnesi religiosi, non già materiali; il Papa a cui si ruppero in mano gli arnesi religiosi fu Bonifazio VIII, quando in risposta alla Bolla: ausculta fili si ebbe dal Re di Francia la famosa ceffata. Aspra lezione cotesta, ma tale, che avrieno dovuto capire anco i sordi; dopo questo caso, gli arnesi religiosi non dico si avessero a smettere, bensì non si volevano adoperare soli, nè come principali, bensì in sussidio delle armi molte e gagliarde.

— E lo tentarono, Lione, Giulio, Alessandro ed altri parecchi.

— Certo; ma nel modo che ho avvertito; da attirare il pericolo in casa, non [337] vincerlo; da spogliare uno per vestire un altro; per appoggiarsi al braccio di quello o di questo, e non camminare mai solo; insomma armi atte a perpetuare la servitù, non per istituire signoria.

— Ma queste armi come si provvedono esse?

— Trasformando lo stato e rendendole armi stanziali.

— Piacciavi chiarirmi, ch'io non ci vedo lume.

— Lo stato, finchè durerà ordinato nel modo che oggi si vede, non può procurare armi molte, nè gagliarde. La vita dei Papi, per ordinario durando poco, non dà campo allo eletto Pontefice di mettere in pratica i suoi concetti, e assodarli con buone provvisioni; aggiungi, che rado avviene non si elegga Papa vecchio, e per arroto infermo, e voi sapete che al vostro grande zio giovò non poco ad acquistare il Papato il trovarsi in là con gli anni e fingersi malescio; poni eziandio, che sebbene questo stroppio oggi nuoca meno, tuttavia ogni Papa cerca, com'è naturale, avvantaggiare i suoi; e se i nipoti del [338] Papa, o i figliuoli non si portano più via o Castro, o Parma, pur si hanno Paliano, ed altre possessioni cotali, e alla più trista parecchi milioni di oro; il che taglia i nervi allo stato, e lo condanna a perpetua debolezza. Lo dico o lo taccio? Lo dirò senza tante ambagi; lo stato della Chiesa bisogna che, per successione, si mantenga nella famiglia del Papa....

— Parlate sommesso, disse il Cardinale ponendosi il dito traverso le labbra, ed accostandosi a lui; poi riprese; — e' fu tentato e non riuscì...

— Dal duca Valentino, è vero? Cotesto veramente fu tratto fuori dalla pietra dove si tagliano i principi; ma non ci ebbe colpa, lo tradì la fortuna a cui la gente non sa trovare riparo.

— Il Collegio dei Cardinali dove si manda?

— Si tiene in Roma, e si corrompe, o si atterrisce, o si spenge. I Papi, ch'io sappia, non si mostrarono in verun tempo troppo teneri del sangue dei Cardinali; il colore rosso impedisce, che il Pontefice si accorga del sangue, che casca su la vesta [339] dei Cardinali; in ogni caso si strozzano come fece Urbano VI, o si avvelenano come Alessandro VI...

— Silenzio, io sono cardinale...

— Ma nipote del Papa... Togliete ai Cardinali i benefizii; pagateli coi danari dello stato, e quando vi presenterete sotto l'aspetto del pane loro quotidiano vi porranno maggior bene, che al pater noster.

— Tuttavia, o farne a meno non sarebbe più spiccio?

— Più spiccio sì, non però più sicuro; diventati i Cardinali specchi da riflettere i vostri raggi, voi potrete con essi incendiare altrui e romperli quando fa bisogno; pure che diate loro potestà di dominare per di sotto, si mostreranno servi umilissimi per di sopra: anco Tiberio anzichè diminuire accrebbe le prerogative del Senato: pensateci...

— Ve lo dirò aperto, comecchè uso ai negoziati quello incessante perfidiare mi uggisce; animale di contradizione è l'uomo...

— Lasciateli dire, purchè vi lascino fare. Parla se vuoi che ti conosca, dicevano gli antichi: dove li costringiate a [340] tacere, come saprete voi che cosa molini nel suo cervello la gente? La docile assemblea sembra la mano di Dio, illustrissimo; ella è quasi un sigillo per suggellare gli atti vostri; con essa portate a fine quello che solo non vi attentereste pensare nè manco; essa piglia inizio di tutte le pratiche perigliose, e se escono a bene, l'utile è vostro, se a male, suo l'obbrobrio e la pena. — Il re che sappia il suo mestiere raddoppia le forze per procacciarsi i comodi propri con le assemblee, e trova nelle assemblee il becco emissario sul quale riversare la colpa, caso mai il popolo venisse a rompere la catena.

— Cavaliere, voi potreste argomentare come Marco Tullio; io da gentiluomo vi confesso, che queste università di cicale mi hanno dato sempre uggia, imperciocchè tenetele quanto volete umili, gratificatele quanto sapete, voi non potete fare in modo che talora non le pigli la bizza di parere libere, e allora o ti agguantano il morso co' denti, o tirano calci al vaglio dove hanno mangiato la biada. I calci più pericolosi ti dà la bestia della quale ti fidi.

[341] — Per me penso, che il rimedio di alzare la mangiatoia basti, e in ogni caso non avete ai vostri ordini le milizie?

— Le milizie, che si avventino come cani mastini sul popolo, donde si cavano elleno?

— Donde? dal popolo.

— Se dal popolo, quanto capitale voi ci potrete fare sopra? Uscite dal popolo un giorno, un'ora si troveranno d'accordo con lui per darti addosso.

— No, mai; nudrite il soldato di carne del popolo ed essi diventeranno nemici tra loro come il diavolo e la croce. Ponete mente a questo, mercè vino, carne, e costume di belva educaronsi gladiatori a trucidarsi ferocemente e allegramente l'un l'altro per dare spettacolo al senato, populusque romani; con qual ragione dubitate voi, che una parte di popolo armato rifugga da sbranare il popolo disarmato? Solletica così acuta la voluttà di far sangue! Inebria tanto, che chi la provò una volta ama piuttosto morirvi annegato dentro che astenersene!

— E allora tu avrai i pretoriani, che [342] porranno lo impero allo incanto; e se mai ti cingano il capo di corona, sì il faranno per venderlo più caro.

— E nè anco questo parmi vero, imperciocchè durante lo impero unica forza dello stato furono gli eserciti, ma noi terremo su ritti il senato, e il popolo, e li opporremo alle milizie in questa maniera, che abbiano potenza di nocersi tra loro, non a te, e l'uno astii l'altro, e lo contradii, e tu in mezzo a dare un colpo al cerchio, e un altro alla botte. Ed avverti altresì, che il senato ha da tenere i cordoni della borsa in mano, sicchè se non paga, la milizia sfuma: certo tra soldati non ci ha scarto, escono tutti eroi come i mattoni di una misura fuori dalla stampa, ma se li privi della luce dei due baiocchi al giorno, cotesto eroismo casca morto dentro un boccale vuoto di vino. Per ultimo bisogna tenerci sempre sotto la mano il popolo per valercene come àncora di salvezza...

— Dio mi guardi dal popolo, in fede di gentiluomo io sento pel popolo odio naturale, nè so distinguere bene se più lo detesti o lo disprezzi.

[343] — Illustrissimo, voi avete torto: è tanto dabbene il popolo! Così paziente! Un vero bove battezzato in Duomo; come il bove vive di lavoro e muore di macello. Se volete averlo tutto vostro, e se vi piace vederlo piangere di tenerezza, adoperate, come i nostri vecchi Romani costumavano nei lupercali co' servi: un dì per celia li dicevano padroni e gli servivano a tavola purchè il rimanente dell'anno essi servissero davvero: procura provvedere al popolo l'alimento tanto che non muoia, ed egli dirà doverti la vita; fa che il Senato, ed i soldati non lo stritolino come ruota molare, ed egli giurerà doverti la libertà. I nostri vecchi qui la sbagliarono, perchè il pane e i circensi rendono il popolo scioperato, e querulo, e ladro; pel popolo prima ci vuole la forca, poi l'aratro; a spizzico ancora la festa, e la baldoria.

— Questi sono concetti smisurati....

— Degni di chi sortì il sangue di colui che medita disperdere i Turchi dalla faccia del mondo unendo insieme quante ha forze l'Europa da mezzogiorno a tramontana, da levante a ponente, e intende conquistare [344] l'Egitto, mettere il mare Rosso in comunicazione col Mediterraneo, rendere alla Italia la prosperità dello antico commercio, costituire Roma metropoli della cristianità, epperò trasformare i monumenti gentili in monumenti cristiani, e con la magnificenza moderna vince l'antica[26]....

— A tanto non basterebbe Cesare, od Alessandro Magno.

— E il vostro grande zio avrebbe accettato le nozze di Elisabetta d'Inghilterra per generare un nuovo Alessandro....

— Le sono baie di novellieri coteste....

— Ma non sono baie queste altre, che Sisto sacerdote, e vecchio, irridendo le nozze della regina scismatica, nè reputando spedienti i sussidii della remota Inghilterra, non era alieno, per venire a capo dei suoi disegni, di procurarsi ad ogni patto quelli di Francia...

— A me non sono noti siffatti arcani, ed in fede di.... nè credo punto, che accennino al vero.

— Illustrissimo, che da voi s'ignorino può darsi, ma io so, che il cardinale Morosino certo dì propose, e segnatamente [345] dopo la morte di monsignore di Guisa a Blois, a sua maestà Enrico III, che dov'egli avesse istituito suo erede don Michele marchese di Lamentana[27] vostro illustre fratello, il Papa gli avrebbe ottenuto a consorte la infante di Spagna, e così, composte in saldo accordo le liti tra i principati cattolici, con forze unite combattere, e disperdere gli eretici e i Turchi da tutta la cristianità.

— E come vedete a prova ciò non accadde. Ora come potrebbe augurarsi di tentare con buono esito un nipote del Papa ridotto alle sue poche facoltà, senza gli aiuti di Francia e di Spagna, e forse dovendole sperimentare nemiche?

— Con ardimento maggiore, forze più intere, premio di fama immortale, incremento sicuro della propria terra....

— Basta, basta, Cavaliere, voi mi avete portato un pezzo qua e là girandolando su l'ippogrifo di messere Ludovico, sicchè mi ha preso il capo giro; e' sarà tempo scendere per tornarcene a casa....

[346] — Quando vi piace; tuttavia, Illustrissimo, pensate bene a quanto vi ho detto.

— In fede di gentiluomo io ci aveva pensato, Dio sa quante volte, ma siamo giunti tardi; tardi pei tempi, e tardi per l'uomo; pei tempi, perchè tra Alessandro VI e Sisto V ci ha il concilio di Trento, e peggio di questo, il caso dei Caraffa; per l'uomo, perchè Sisto promosso al pontificato di sessantacinque anni, adesso ne annovera sessantanove, nè penso egli abbia a durare molto, che quei suoi spiriti irrequieti se porgono testimonio della alacrità della sua mente, temo altresì che, come la lama troppo affilata, taglino il fodero. — Basta, adesso attendiamo a quello che più importa: mentre il Pontefice reputava spenti i banditi, ecco rinfocolarsi non solo ai confini, ma qui su le porte di Roma, anzi in Roma; potreste voi suggerire rimedio alcuno per estirpare questo cancro? Se siete da tanto, beato voi! Fate conto, che non vi sarà cosa, per quanto alta ella sia, che il Pontefice non si troverà disposto a concedervi in guiderdone del fatto.

[347] — Illustrissimo, l'uomo fa quello che può, ci proveremo.

— Piacevi, che io vi presenti a Sua Santità?

— Lo desidero quanto il cieco di vedere la luce.

— In questo caso state disposto, che vi manderò l'avviso della udienza fino a casa....

Da un lato e dall'altro, essendosi poi ricambiate affettuose salutazioni, si separarono. Se cotesto colloquio fosse accaduto al buio, veruno sarebbesi accorto chi di loro era il bandito, e chi il cardinale; ma anco alla luce aperta avresti giudicato così, che nel Cardinale occorrevano occasione difficile non impossibile, volontà languida, ardimento nessuno, all'opposto nel bandito col difetto di ogni facoltà, volere e ardire piuttosto eccessivi che inclinati di mettersi allo sbaraglio. — Animo malo in entrambi pari.

FINE DEL PRIMO VOLUME.

NOTE:

1. Esempio di questo stile è il celebre testamento di Filippo II ovvero istruzioni a Filippo III; quivi occorrono cose degne di essere lette da principi, e da popoli, e dacchè i principi paiono di siffatte letture talentarsi poco, giova metterle spesso sotto agli occhi dei popoli. Filippo II, parricida del suo figliuolo, promotore della Inquisizione, carnefice dei Paesi Bassi, divorato dai pidocchi, così lasciava scritto al suo successore: «Principe, vedendomi giunto alla fine del tempo ordinato dal cielo alla mia dominazione sopra la terra, come voi ai primi anni della vostra... ho pensato, che sarei accusato, e ripreso di poca prudenza, di discernimento, o di difetto di cura e di amore verso di voi, se vi lasciassi (giovane ed inesperto come siete) tanti grandi regni, stati, terre e signorie in retaggio senza darvi nel tempo stesso precetti, avvisi e consigli, che una infinità di esperienze, pene, fatiche, disegni, e pretensioni (la più parte inutili) mi hanno fatto conoscere (ma troppo tardi) per il bene mio, dei miei popoli, e dei miei vicini essere necessarie per il buon governo dei popoli, di cui un giorno bisognerà rendere conto al Re dei re, davanti al quale sotterfugi e cavilli non giovano, conoscendo le inclinazioni, i disegni e i pensieri segreti degli uomini... tanti dolori ed accidenti strani da tanti mesi mi assalgono, che sono diventato di supplizio a me stesso... onde io prego Dio, che dalla terra mi chiami al cielo, usando meco quella misericordia, ch'io ed i miei non usammo a tanti popoli, che ce ne richiedevano, e lo prego eziandio che gli piaccia contentarsi delle mie pene crudeli e acuti dolori presenti, per espiazione delle mie colpe passate.» Artaud de Montor, Storia dei Papi, vol. I, p. 409.

2. Per la coratella di Dio.

3. Carlo V nel suo ritiro a San Giusto aveva menato seco certi fanciulli, i quali, fatti educare diligentemente nella musica, accompagnavano col canto i riti a cui egli assisteva con mirabile devozione; però nè la santità del luogo, nè le cerimonie solenni, nè la sua pietà tanto potevano tenerlo che, udendo stonarne qualcheduno, non lo rampognasse a voce alta così: «hijo de puta, bermejo, o otre nombre semejante» avverte il Sandoval, Hist. de Carlos V. Il costume del Lanzichenecco ripigliava il sopravvento.

4. Come il duca di Alva per poco non pigliava Roma, puoi leggere nella Guerra di Roma dell'Andrea, e nella Guerra fra Filippo II e Paolo IV, scritta dal Nores, e stampata nell'Archivio storico.

5. La passione del Figlio di Dio, e quella che mi partorì.

6. Sul mattino ammazzerò tutti i peccatori della terra per disperdere dalla città di Dio tutti quelli che operano iniquità.

7. Enrico IV, tratto certa volta in disparte il maresciallo Bassompierre, gli disse: — Badate, maresciallo, voi avete un pidocchio su la camicia. — Avete fatto benone, Sire, rispose l'arguto cortigiano, a dirmelo sotto voce, perchè nessuno si accorga di quello che si guadagna a servire Vostra Maestà.

8. Pilato adunque avendo udito queste parole, menò fuori Gesù, e si pose a sedere sul tribunale nel luogo detto Gabbata. — Evangelo di S. Giovanni, c. XIX, n. 13.

9. E il Centurione, veduto ciò ch'era avvenuto, glorificò Dio, dicendo: veramente questo uomo era giusto. Evangelo di S. Luca, c. XXIII, n. 47.

10. Ma essi gli fecer forza, dicendo: rimani con noi, perciocchè si fa sera, e il giorno è già declinato. Egli dunque entrò nello albergo per rimanere con loro. — E, quando si fu messo a tavola con loro, prese il pane, e fece la benedizione, e, rottolo, lo distribuì loro. — E gli occhi loro furono aperti, e lo riconobbero. — Evangelo di S. Luca, c. XXIV, n. 29, 30 e 31.

11. Per i grani del mio rosario.

12. Il Prescott americano. Storia del Regno di Ferdinando e Isabella.

13. Se anco dettando racconti, io mi studio, per quanto so, pigliare cura della lingua, sia procurando rimondarla da modi e voci barbari, sia rimettendo in uso parole obliate, sia raccogliendone altre sfuggite alla diligenza dei Collettori, confido non cavarne biasimo; molto più che per le scritture degli ufficiali del Governo, le dicerie dei parlatori nel Parlamento, e lo scombiccherare della più parte dei giornalisti, se lo idioma nostro non diventa il gergo franco adoperato su per gli scali del Levante, e' vuol essere un vero miracolo di Dio. Però parmi bene notare qui, che nelle pagine antecedenti adoperai la parola sgallinare la quale non mi occorse registrata nei Vocabolari delle lingue; tu la troverai nel t. VIII, pag. 81 delle opere di N. Macchiavelli ed. Conti. — Niccolò aveva domandato ai Signori Dieci, durante la legazione al Valentino, gli mandassero 50 ducati, e 16 braccia di damasco nero per farne presente, e questi mandarongli i ducati e il damasco; Biagio Bonaccorsi scrivendo a Niccolò il 12 Dicembre 1502, rispetto a queste sedici braccia di damasco, avvertiva: = voi sgallinerete pure un farsetto da questo drappo, tristaccio, che siete! = Onde e' sembra che stia a significare: buscare su, o avvantaggiarsi con malizia; ed io lo reputo modo vivo e pieno di acconciatezza da meritarsi che si rimetta in onore.

Qui mi valsi della parola riportare nel senso di richiamarti a mente, o tornare a rappresentarti la idea di una cosa: nei Vocabolari non trovai attribuito simile significato a questa parola, bensì nella canzone su la Gatta di Francesco Coppetta gentiluomo perugino, assai valoroso poeta del secolo decimoquinto:

«Se per casa giocondo al par di lei

«Qualche Gattino almeno mi restasse,

«Che me la riportasse

«Nello andar, nella voce, al volto, e ai panni.

14. Incioccare, incioccamento. Questa voce non è registrata, e vale strepito di arme percosse. Insieme a molte altre del pari non raccolte mirala nello stupendo volgarizzamento di Dafni e Cloe per Annibale Caro, p. 67.

15. Buona notte, figliuoli, torniamo a letto.

16. Affinchè veruno dei lettori meno perito dei costumi dei tempi in cui io pongo questo racconto mi appunti di esagerazione pei colori, che adopero nel tratteggiare i miei personaggi, ricordo solo due fatti a chiarire quanta fosse l'albagia degli Spagnuoli.

Il marchese di Varambone, reggendo pel re di Spagna l'Artois, fu vinto e fatto prigioniero dal maresciallo di Byron; istando allora, perchè a norma delle leggi di guerra gli s'imponesse la taglia, per potersi riscattare lo tassarono a 30,000 scudi; udito ciò egli ruppe in querimonie infinite, protestando, che si sarebbe lasciato piuttosto morire prigione, che approvare così indegno apprezzamento di sè; il maresciallo di Byron, dopo avergli fatto umilissime scuse, lo pregò, che da per sè si mettesse il riscatto, ed egli ringraziando lo portò fino a 50,000 scudi. — Ecco il secondo:

Certi campagnuoli lombardi essendo entrati nel palazzo di don Gabrio Serbelloni, governatore di Milano pel re di Spagna, videro un tratto comparire un uomo vestito di nero portante sopra un cuscino di velluto rosso trinato di oro un gran vaso di argento, intorno al quale camminavano quattro staffieri in abito di gala, con torce di cera bianca accese in mano. I campagnuoli immaginando, che per lo meno, fosse il Santissimo, si genuflessero devotamente cavandosi il cappello, ma se restassero trasecolati sel pensi il lettore quando seppero, che il vaso era pieno di minestra per l'eccelso don Gabrio Serbelloni governatore di Milano.

17. Mactador si chiama colui che ammazza il toro ficcandogli la spada tra una vertebra e l'altra sotto la nuca; deriva evidentemente dal latino; la nostra lingua non possiede questa parola con tale significato, possiede bensì il verbo mattar co' significati di dare scacco matto e confondere: però a Portoferraio ho udito, che si dice far mattanza quando si ammazza una quantità di tonni secondo la commissione del soprastante alla pesca, che chiamano Rais.

18. Ecco il passo di santo Cecilio Cipriano estratto dal primo Sermone, ch'egli dettò intorno alla elemosina, volgarizzato da Annibale Caro — «perciocchè essendo tassati i suoi discepoli, che mangiassero senza prima lavarsi le mani, Cristo rispose dicendo: colui che ha fatto quello ch'è di dentro, ha fatto medesimamente quello ch'è di fuori; fate delle elemosine, e con questo vi laverete ogni cosa...»

19. La storia della follia della regina Giovanna madre dello imperatore Carlo V è così piena di passione, che merita essere da me riportata, da altri letta. Esaminate le Storie stampate del Mariana, e le manoscritte del Bernaldez gli Annali stampati del Zurita, e i Manoscritti del Carbajal, le Opere di Pietro Martire, la Vita del Ximenes del Robles, i moderni storici Robertson nella Vita di Carlo V, ed il Prescott nella Storia del Regno di Ferdinando e Isabella, possiamo affermare per vero che:

Giovanna, durante la malattia del marito, non si allontanò per preghiera nè per istanza dal letto di lui, quantunque nel sesto mese di gravidanza. Spirato che fu Filippo, ella non versò lacrima, nè profferì querela; tutta compresa nel suo dolore, proseguì a vegliarlo con la medesima tenera sollecitudine come se fosse anco vivo, e benchè al fine lo lasciasse seppellire, lo fece poi cavare dalla tomba, e riporre nel suo appartamento. Colà fu deposto sopra un letto di Stato in isplendido arnese, ed avendo ella da alcuni frati inteso certa leggenda di un re, il quale morto, era risuscitato in capo a quattordici anni, stava con gli occhi intenti sul cadavere, aspettando il momento felice della sua risurrezione. Nè questa strana affezione pel marito andava immune dalla acerba gelosia con la quale lo aveva proseguito vivo, dacchè vietò sempre alle fantesche si accostassero al letto dov'egli giaceva e a qualunque altra donna entrare nello appartamento, e piuttosto di permetterne lo ingresso ad una levatrice, sebbene avvertissero sceglierla di età matura, si sgravò della principessa Carlotta assistita dalle sole persone di servizio. — Essendosi verso la fine di Decembre decisa la regina Giovanna di lasciare Burgos per trasportare il corpo del marito a Granata, giusta la sua ultima volontà, ella volle prima di partire contemplarlo, nè dal fiero spettacolo poterono punto removerla i suoi Consiglieri, nè i frati del monastero di Miraflores, i quali considerando come le opposizioni loro eccitassero la sua frenesia, ebbero per la meno trista a soddisfarla. Tolto il corpo dal sepolcro ne apersero le due casse di piombo e di legno, e videro come, nonostante l'avessero imbalsamato, egli serbasse appena la traccia della sua prima condizione; la regina con le proprie mani lo stazzonò senza versare una lagrima; dopo che da lei era stato scoperto infedele, ed una donna fiamminga averle rapito il cuore del marito, ella non pianse più. Il corpo fu posto sopra un magnifico carro tirato da quattro cavalli, andandogli dietro un lungo codazzo di ecclesiastici, e di nobili, i quali lasciarono la città insieme con la regina la notte del 20 Decembre. Giovanna viaggiava la notte adducendone per ragione: «che una vedova, la quale abbia perduto il sole della sua anima, non deve esporsi alla luce del giorno.» Quando poi fermavasi il corpo del suo defunto marito veniva depositato in qualche chiesa, o monastero, dove si celebrava l'ufficio funebre come se Filippo fosse morto pure allora, e guardie armate vigilavano il feretro, a fine principalmente d'impedire che qualunque donna profanasse il luogo con la sua presenza. — In altro viaggio a piccola distanza da Torquemada ella ordinò, che il cadavere fosse portato nel chiostro di certo convento; credeva che lo abitassero frati, ma quando seppe che ci albergavano monache, presa da orrore, fece senza porre tempo frammezzo trasferirlo in campo aperto: quivi ella si accampò circondata da tutto il suo seguito, fatto prima aprire la cassa per riscontrare lo stato del cadavere; il vento essendosi levato gagliardo spense le torce, onde passarono la intera notte a ciel sereno, nel buio, e al freddo.

20. Nella inopia di libri in questo paese non ho potuto rintracciare chi fosse l'arcivescovo di Napoli nel 1588. Bene scartabellando su i libri trovo un Bartolommeo Chiaccarello, che scrisse un libro de Archiepiscopis Neapolitanis, ma sì vattelo a pesca: potrei andarmene fino a Napoli a riscontrarlo nelle Biblioteche; e ci andrei se da un lato non mi trattenesse il pensiero che per un arcivescovo non vale il pregio mettersi in viaggio, e il Lamarmora, che nonostante la mia medaglia di deputato, parmi civile e militare a bastanza da cacciarmi nel Castello dell'Uovo con somma esultanza di tutti i Napolitani, come non mancherebbero scrivere i Giornali ministeriali. Alfonso Caraffa sembra che alla morte dello zio Pontefice contasse appena quindici anni, e arrivò ai ventiquattro non bene compiti: «il cardinale di Napoli, giovane di regolati costumi, pieno di umiltà e modestia, non si partiva mai dal fianco del Papa, intanto che molti il biasimavano: quasi che col tenere sempre rinchiuso seco questo giovanetto, che non passava l'età di quindici anni ed era anco di complessione delicata, senza dargli adito a ricrearsi, potesse manifestamente pregiudicare alla sua salute, e ridurlo a termine di qualche perniciosa abitudine, come l'esito dimostrò, essendo il Cardinale pochi anni vissuto dopo il Papa, e morto appena allo arrivare del venticinquesimo anno.» Guerra degli Spagnuoli contro Papa Paolo IV di Pietro Nores, C. 4. Ora Paolo essendo morto il 18 agosto 1559, il Cardinale Alfonso gli tenne dietro nel 27 Agosto 1565. — Tanto avverto perchè o non mi appuntino di anacronismo, o avvertano questo essere stato per me volontario fallo. Circa poi ai rinfacci, che gli muove il Marchese d'Ayerba pur troppo veri, ce gli attesta la storia. Al duca di Palliano tagliarono il capo per avere fatto strangolare la moglie Violante Garlonia rea di adulterio con Marcello Capece, e il cardinale Alfonso strozzarono come complice di questo delitto: però non fu il solo, ed altri imputarono misfatti così all'uno come all'altro, che non importa discorrere; narrasi, che la prima corda messa intorno al collo del cardinale Alfonso nello strozzarlo si ruppe, e fu mestieri adoperarci la seconda; su di ciò uno elegante spirito, scrive il Summonte, compose il seguente distico:

Extinxit laqueus vix te Caraffa secundus,

Tanto enim sceleri, non satis unus erat.

(Te appena uccise il secondo capestro, o Caraffa, però che a tanta colpa non ne bastasse un solo).

E pure Pio V, che dicono santo, dichiarò nulla la sentenza, la morte ingiusta, i processi falsificati, e il fiscale, che fabbricò il processo, quasi pubblico ladrone dannò alla forca. Come si chiamava cotesto fiscale? Si chiamava Palantieri, ma non monta: I FISCALI SONO IN TUTTI I TEMPI TUTTA UNA COSA, FANGO E SANGUE. Don Antonio marchese di Montebello scampò a Napoli, il figliuolo cardinale Alfonso non volle o non potè fuggire, e fu prima sostenuto in Castello e poi condannato in centomila scudi da pagarsi dentro certo tempo, e questo per tante gioie che non si poterono rinvenire dopo la morte dello zio. I Cardinali non potendo altro fare, mossi dalla sventura, e dalla bontà del giovane, si collettarono raccogliendo diecimila scudi, i quali posero nella Camera apostolica per liberarlo, e di più molti fra loro sodarono per lui chi in quattro, chi in cinque, e chi in diecimila scudi, fra i quali Santa Fiora, e Farnese. Il Papa, secondo il costume di cui regge perverso, studioso di dare alla soverchieria sembianza di generosità, gli rimetteva venticinquemila scudi; ma non per tanto lasciava il Cardinale libero di uscire di Roma, onde il Marchese suo padre, venduta una delle sue terre, lo riscattò; ed egli, uscito dalla città funesta alla sua famiglia, si ridusse a Napoli, dove visse e morì onorato, e compianto dall'universale.

Aggiunta. Per le ragioni allegate dissuaso di recarmi a Napoli alla pesca di un Vescovo ci spedii una lettera, alla quale un dotto ecclesiastico fece la seguente risposta: «non si è trovato il Chiaccherello, bensì nella Biblioteca di San Domenico maggiore il Parascandolo, donde si cavano le seguenti notizie. Annibale da Capua dei duchi di Termoli patrizio napolitano successe al beato Cardinale di Arezzo nella Chiesa di Napoli che governò dal 1578 al 1596; reputato solenne giureconsulto, Gregorio XIII prima lo creò referendario di Segnatura e prelato domestico; poi nel 1576 nunzio straordinario allo Imperatore Rodolfo II, e quindi alla Repubblica di Venezia. Sisto V lo spedì nunzio apostolico co' poteri di legato a latere a Stefano Battory, poi alla Dieta polacca. Nel 1595 convocò a Napoli il sinodo diocesano per la riforma dei costumi del clero e del popolo;» il restante delle laudi si legge nel suo epitaffio ch'è lungo lungo. Questa notizia essendo giunta tardi, non ho mutato nulla; j'ai fait mon siège esclamai come lo storico Vertot, e non rimossi dal posto il Caraffa, perchè dava ad ogni modo saggio degli uomini e dei tempi.

21. Pietro Aretino incomincia la satira a Cosimo I col verso:

Al tempo che volavano i pennati.

22.

Senz'arme n'esce e solo con la lancia

Con la qual giostrò Giuda.

Purgat. 20.

23. Però alcuni sostengono la Venere dei Medici fosse per lo appunto quella di Gnido.

24. Diego di Alcalà dell'ordine dei Francescani canonizzato da Sisto V nel 1588.

25. Ormai è comune errore, che Popilio Lena fosse il legato romano che chiuse Antioco nel cerchio; chi veramente lo fece si chiamava Gneo Ottavio. Cicerone, Phil. 9. Plinio, Hist., L. 34, c. 14.

26. Tali con altri molti fu creduto che molinasse in quel suo fervido cervello Sisto V: è certo che in Persia, e co' maggiorenti degli Arabi e dei Drusi tenne pratica, non meno che con altre parti di Oriente: armò galere, si fece amico Stefano Battori re di Polonia, e sottoposte a lui le forze della Moscovia ebbe per fermo di salutarlo compagno e capitano nella impresa contro i Turchi. Su i Moscoviti egli esercitava autorità grande fino da quando Ivano Vasiliovitz tzar di Mosca mandò oratore a Roma, e parve mirabile per la barbarie sua: le credenziali di che andava munito per Venezia dicevano: al grande governatore della signoria di Venezia, ed interrogato della ragione di siffatto titolo rispose: per comune opinione in Moscovia reputarsi la Venezia dominio del Papa dov'egli inviasse governatori come a Bologna, e questo nel 1580! Il vino invece di temperare con l'acqua mescolava con l'acquavite, comecchè gliene apparecchiassero dei più fumosi. Non volendo questo ambasciatore per nessun verso baciare il piede al Papa, Sisto, allora cardinale di Montalto, con tante buone parole lo raumiliò, che alla fine si chiarì disposto a farlo; conservando poi sempre, finchè stette in Roma, usanza con lui, così lo edificava co' costumi, co' sermoni e con le opere che partendo disse: — tanto avere provato il cardinale di Montalto diverso dagli altri, che se fratelli erano, di certo egli ebbe a nascere bastardo. — Questo moscovita poi, perché udiva che si chiamavano fratelli fra loro, credè che fossero davvero figliuoli di un medesimo padre. — Quanto al concetto di restituire il commercio di oriente alla Italia conquistando l'Egitto e mettendo il mediterraneo in comunicazione col mare rosso, ne abbiamo memoria dal dispaccio del 23 agosto 1587 dell'Oratore Gritti al senato di Venezia, nè manca monumento storico della strana pratica di far succedere don Michele Peretti ad Enrico III: così ne parla il Ranke nella Storia del Papato, T. III. — Questo occorre in certa memoria del signor di Schomberg maresciallo di Francia sotto Enrico III, che si conserva nella biblioteca imperiale di Vienna, n. 114, fra i manoscritti di Hohenbaum: «Qualche tempo dopo la morte del signore di Guisa accaduta a Blois il cardinale Morosini, per parte del santo padre, propose che dove S. M. avesse voluto dichiarare il marchese di Pom (il nome certamente è errato) suo nipote erede della corona, e farlo accettare con le richieste solennità, il Papa da parte sua lo assicurava di fare in guisa che il re di Spagna concedesse in matrimonio al prelodato suo nipote la infante, donde avrebbero avuto termine i disordini della Francia. Il signor di Schomberg afferma come S. M. mostrandosi propenso ad accettare il partito, egli giunse a mandarlo a monte persuadendo il re che questo tornerebbe a rovesciare l'ordine di Francia, abolire le leggi fondamentali e lasciare ai posteri testimonio perenne della dappocaggine e pusillanimità sue.»

27. O della Mentana.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le grafie alternative (vice-cancelliere/vicecancelliere, follia/follìa, scancìo/scancío e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Per la nota n. 16 è stato aggiunto il richiamo, mancante nell'originale, alla fine del capitolo VI.

 

 


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To protect the Project Gutenberg-tm mission of promoting the free distribution of electronic works, by using or distributing this work (or any other work associated in any way with the phrase "Project Gutenberg"), you agree to comply with all the terms of the Full Project Gutenberg-tm License available with this file or online at www.gutenberg.org/license.

Section 1. General Terms of Use and Redistributing Project Gutenberg-tm electronic works

1.A. By reading or using any part of this Project Gutenberg-tm electronic work, you indicate that you have read, understand, agree to and accept all the terms of this license and intellectual property (trademark/copyright) agreement. If you do not agree to abide by all the terms of this agreement, you must cease using and return or destroy all copies of Project Gutenberg-tm electronic works in your possession. If you paid a fee for obtaining a copy of or access to a Project Gutenberg-tm electronic work and you do not agree to be bound by the terms of this agreement, you may obtain a refund from the person or entity to whom you paid the fee as set forth in paragraph 1.E.8.

1.B. "Project Gutenberg" is a registered trademark. It may only be used on or associated in any way with an electronic work by people who agree to be bound by the terms of this agreement. There are a few things that you can do with most Project Gutenberg-tm electronic works even without complying with the full terms of this agreement. See paragraph 1.C below. There are a lot of things you can do with Project Gutenberg-tm electronic works if you follow the terms of this agreement and help preserve free future access to Project Gutenberg-tm electronic works. See paragraph 1.E below.

1.C. The Project Gutenberg Literary Archive Foundation ("the Foundation" or PGLAF), owns a compilation copyright in the collection of Project Gutenberg-tm electronic works. Nearly all the individual works in the collection are in the public domain in the United States. If an individual work is in the public domain in the United States and you are located in the United States, we do not claim a right to prevent you from copying, distributing, performing, displaying or creating derivative works based on the work as long as all references to Project Gutenberg are removed. Of course, we hope that you will support the Project Gutenberg-tm mission of promoting free access to electronic works by freely sharing Project Gutenberg-tm works in compliance with the terms of this agreement for keeping the Project Gutenberg-tm name associated with the work. You can easily comply with the terms of this agreement by keeping this work in the same format with its attached full Project Gutenberg-tm License when you share it without charge with others.

1.D. The copyright laws of the place where you are located also govern what you can do with this work. Copyright laws in most countries are in a constant state of change. If you are outside the United States, check the laws of your country in addition to the terms of this agreement before downloading, copying, displaying, performing, distributing or creating derivative works based on this work or any other Project Gutenberg-tm work. The Foundation makes no representations concerning the copyright status of any work in any country outside the United States.

1.E. Unless you have removed all references to Project Gutenberg:

1.E.1. The following sentence, with active links to, or other immediate access to, the full Project Gutenberg-tm License must appear prominently whenever any copy of a Project Gutenberg-tm work (any work on which the phrase "Project Gutenberg" appears, or with which the phrase "Project Gutenberg" is associated) is accessed, displayed, performed, viewed, copied or distributed:

This eBook is for the use of anyone anywhere at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this eBook or online at www.gutenberg.org

1.E.2. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is derived from the public domain (does not contain a notice indicating that it is posted with permission of the copyright holder), the work can be copied and distributed to anyone in the United States without paying any fees or charges. If you are redistributing or providing access to a work with the phrase "Project Gutenberg" associated with or appearing on the work, you must comply either with the requirements of paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 or obtain permission for the use of the work and the Project Gutenberg-tm trademark as set forth in paragraphs 1.E.8 or 1.E.9.

1.E.3. If an individual Project Gutenberg-tm electronic work is posted with the permission of the copyright holder, your use and distribution must comply with both paragraphs 1.E.1 through 1.E.7 and any additional terms imposed by the copyright holder. Additional terms will be linked to the Project Gutenberg-tm License for all works posted with the permission of the copyright holder found at the beginning of this work.

1.E.4. Do not unlink or detach or remove the full Project Gutenberg-tm License terms from this work, or any files containing a part of this work or any other work associated with Project Gutenberg-tm.

1.E.5. Do not copy, display, perform, distribute or redistribute this electronic work, or any part of this electronic work, without prominently displaying the sentence set forth in paragraph 1.E.1 with active links or immediate access to the full terms of the Project Gutenberg-tm License.

1.E.6. You may convert to and distribute this work in any binary, compressed, marked up, nonproprietary or proprietary form, including any word processing or hypertext form. However, if you provide access to or distribute copies of a Project Gutenberg-tm work in a format other than "Plain Vanilla ASCII" or other format used in the official version posted on the official Project Gutenberg-tm web site (www.gutenberg.org), you must, at no additional cost, fee or expense to the user, provide a copy, a means of exporting a copy, or a means of obtaining a copy upon request, of the work in its original "Plain Vanilla ASCII" or other form. Any alternate format must include the full Project Gutenberg-tm License as specified in paragraph 1.E.1.

1.E.7. Do not charge a fee for access to, viewing, displaying, performing, copying or distributing any Project Gutenberg-tm works unless you comply with paragraph 1.E.8 or 1.E.9.

1.E.8. You may charge a reasonable fee for copies of or providing access to or distributing Project Gutenberg-tm electronic works provided that

1.E.9. If you wish to charge a fee or distribute a Project Gutenberg-tm electronic work or group of works on different terms than are set forth in this agreement, you must obtain permission in writing from both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and Michael Hart, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark. Contact the Foundation as set forth in Section 3 below.

1.F.

1.F.1. Project Gutenberg volunteers and employees expend considerable effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread public domain works in creating the Project Gutenberg-tm collection. Despite these efforts, Project Gutenberg-tm electronic works, and the medium on which they may be stored, may contain "Defects," such as, but not limited to, incomplete, inaccurate or corrupt data, transcription errors, a copyright or other intellectual property infringement, a defective or damaged disk or other medium, a computer virus, or computer codes that damage or cannot be read by your equipment.

1.F.2. LIMITED WARRANTY, DISCLAIMER OF DAMAGES - Except for the "Right of Replacement or Refund" described in paragraph 1.F.3, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark, and any other party distributing a Project Gutenberg-tm electronic work under this agreement, disclaim all liability to you for damages, costs and expenses, including legal fees. YOU AGREE THAT YOU HAVE NO REMEDIES FOR NEGLIGENCE, STRICT LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE PROVIDED IN PARAGRAPH 1.F.3. YOU AGREE THAT THE FOUNDATION, THE TRADEMARK OWNER, AND ANY DISTRIBUTOR UNDER THIS AGREEMENT WILL NOT BE LIABLE TO YOU FOR ACTUAL, DIRECT, INDIRECT, CONSEQUENTIAL, PUNITIVE OR INCIDENTAL DAMAGES EVEN IF YOU GIVE NOTICE OF THE POSSIBILITY OF SUCH DAMAGE.

1.F.3. LIMITED RIGHT OF REPLACEMENT OR REFUND - If you discover a defect in this electronic work within 90 days of receiving it, you can receive a refund of the money (if any) you paid for it by sending a written explanation to the person you received the work from. If you received the work on a physical medium, you must return the medium with your written explanation. The person or entity that provided you with the defective work may elect to provide a replacement copy in lieu of a refund. If you received the work electronically, the person or entity providing it to you may choose to give you a second opportunity to receive the work electronically in lieu of a refund. If the second copy is also defective, you may demand a refund in writing without further opportunities to fix the problem.

1.F.4. Except for the limited right of replacement or refund set forth in paragraph 1.F.3, this work is provided to you 'AS-IS', WITH NO OTHER WARRANTIES OF ANY KIND, EXPRESS OR IMPLIED, INCLUDING BUT NOT LIMITED TO WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR ANY PURPOSE.

1.F.5. Some states do not allow disclaimers of certain implied warranties or the exclusion or limitation of certain types of damages. If any disclaimer or limitation set forth in this agreement violates the law of the state applicable to this agreement, the agreement shall be interpreted to make the maximum disclaimer or limitation permitted by the applicable state law. The invalidity or unenforceability of any provision of this agreement shall not void the remaining provisions.

1.F.6. INDEMNITY - You agree to indemnify and hold the Foundation, the trademark owner, any agent or employee of the Foundation, anyone providing copies of Project Gutenberg-tm electronic works in accordance with this agreement, and any volunteers associated with the production, promotion and distribution of Project Gutenberg-tm electronic works, harmless from all liability, costs and expenses, including legal fees, that arise directly or indirectly from any of the following which you do or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.

Section 2. Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of electronic works in formats readable by the widest variety of computers including obsolete, old, middle-aged and new computers. It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg-tm's goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org

Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation's EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S. Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered throughout numerous locations. Its business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation's web site and official page at www.gutenberg.org/contact

For additional contact information:
Dr. Gregory B. Newby
Chief Executive and Director
gbnewby@pglaf.org

Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide spread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. Many small donations ($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating charities and charitable donations in all 50 states of the United States. Compliance requirements are not uniform and it takes a considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up with these requirements. We do not solicit donations in locations where we have not received written confirmation of compliance. To SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any particular state visit www.gutenberg.org/donate

While we cannot and do not solicit contributions from states where we have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition against accepting unsolicited donations from donors in such states who approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make any statements concerning tax treatment of donations received from outside the United States. U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation methods and addresses. Donations are accepted in a number of other ways including checks, online payments and credit card donations. To donate, please visit: www.gutenberg.org/donate

Section 5. General Information About Project Gutenberg-tm electronic works.

Professor Michael S. Hart was the originator of the Project Gutenberg-tm concept of a library of electronic works that could be freely shared with anyone. For forty years, he produced and distributed Project Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.

Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S. unless a copyright notice is included. Thus, we do not necessarily keep eBooks in compliance with any particular paper edition.

Most people start at our Web site which has the main PG search facility: www.gutenberg.org

This Web site includes information about Project Gutenberg-tm, including how to make donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to subscribe to our email newsletter to hear about new eBooks.