The Project Gutenberg EBook of Orlando Furioso, by Ludovico Ariosto

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Title: Orlando Furioso

Author: Ludovico Ariosto

Posting Date: November 4, 2015 [EBook #3747]
Release Date: February, 2003
First Posted: June 16, 2001
Last Updated: September 3, 2015

Language: Italian

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*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK ORLANDO FURIOSO ***




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ORLANDO FURIOSO

DI

LUDOVICO ARIOSTO


INDICE


CANTO PRIMO

1

Le donne, i cavallier, l'arme, gli amori,

le cortesie, l'audaci imprese io canto,

che furo al tempo che passaro i Mori

d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,

seguendo l'ire e i giovenil furori

d'Agramante lor re, che si diè vanto

di vendicar la morte di Troiano

sopra re Carlo imperator romano.

2

Dirò d'Orlando in un medesmo tratto

cosa non detta in prosa mai, né in rima:

che per amor venne in furore e matto,

d'uom che sì saggio era stimato prima;

se da colei che tal quasi m'ha fatto,

che 'l poco ingegno ad or ad or mi lima,

me ne sarà però tanto concesso,

che mi basti a finir quanto ho promesso.

3

Piacciavi, generosa Erculea prole,

ornamento e splendor del secol nostro,

Ippolito, aggradir questo che vuole

e darvi sol può l'umil servo vostro.

Quel ch'io vi debbo, posso di parole

pagare in parte e d'opera d'inchiostro;

né che poco io vi dia da imputar sono,

che quanto io posso dar, tutto vi dono.

4

Voi sentirete fra i più degni eroi,

che nominar con laude m'apparecchio,

ricordar quel Ruggier, che fu di voi

e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.

L'alto valore e' chiari gesti suoi

vi farò udir, se voi mi date orecchio,

e vostri alti pensier cedino un poco,

sì che tra lor miei versi abbiano loco.

5

Orlando, che gran tempo innamorato

fu de la bella Angelica, e per lei

in India, in Media, in Tartaria lasciato

avea infiniti ed immortal trofei,

in Ponente con essa era tornato,

dove sotto i gran monti Pirenei

con la gente di Francia e de Lamagna

re Carlo era attendato alla campagna,

6

per far al re Marsilio e al re Agramante

battersi ancor del folle ardir la guancia,

d'aver condotto, l'un, d'Africa quante

genti erano atte a portar spada e lancia;

l'altro, d'aver spinta la Spagna inante

a destruzion del bel regno di Francia.

E così Orlando arrivò quivi a punto:

ma tosto si pentì d'esservi giunto:

7

che vi fu tolta la sua donna poi:

ecco il giudicio uman come spesso erra!

Quella che dagli esperi ai liti eoi

avea difesa con sì lunga guerra,

or tolta gli è fra tanti amici suoi,

senza spada adoprar, ne la sua terra.

Il savio imperator, ch'estinguer volse

un grave incendio, fu che gli la tolse.

8

Nata pochi dì inanzi era una gara

tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,

che entrambi avean per la bellezza rara

d'amoroso disio l'animo caldo.

Carlo, che non avea tal lite cara,

che gli rendea l'aiuto lor men saldo,

questa donzella, che la causa n'era,

tolse, e diè in mano al duca di Bavera;

9

in premio promettendola a quel d'essi,

ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,

degl'infideli più copia uccidessi,

e di sua man prestasse opra più grata.

Contrari ai voti poi furo i successi;

ch'in fuga andò la gente battezzata,

e con molti altri fu 'l duca prigione,

e restò abbandonato il padiglione.

10

Dove, poi che rimase la donzella

ch'esser dovea del vincitor mercede,

inanzi al caso era salita in sella,

e quando bisognò le spalle diede,

presaga che quel giorno esser rubella

dovea Fortuna alla cristiana fede:

entrò in un bosco, e ne la stretta via

rincontrò un cavallier ch'a piè venìa.

11

Indosso la corazza, l'elmo in testa,

la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;

e più leggier correa per la foresta,

ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo.

Timida pastorella mai sì presta

non volse piede inanzi a serpe crudo,

come Angelica tosto il freno torse,

che del guerrier, ch'a piè venìa, s'accorse.

12

Era costui quel paladin gagliardo,

figliuol d'Amon, signor di Montalbano,

a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo

per strano caso uscito era di mano.

Come alla donna egli drizzò lo sguardo,

riconobbe, quantunque di lontano,

l'angelico sembiante e quel bel volto

ch'all'amorose reti il tenea involto.

13

La donna il palafreno a dietro volta,

e per la selva a tutta briglia il caccia;

né per la rara più che per la folta,

la più sicura e miglior via procaccia:

ma pallida, tremando, e di sé tolta,

lascia cura al destrier che la via faccia.

Di sù di giù, ne l'alta selva fiera

tanto girò, che venne a una riviera.

14

Su la riviera Ferraù trovosse

di sudor pieno e tutto polveroso.

Da la battaglia dianzi lo rimosse

un gran disio di bere e di riposo;

e poi, mal grado suo, quivi fermosse,

perché, de l'acqua ingordo e frettoloso,

l'elmo nel fiume si lasciò cadere,

né l'avea potuto anco riavere.

15

Quanto potea più forte, ne veniva

gridando la donzella ispaventata.

A quella voce salta in su la riva

il Saracino, e nel viso la guata;

e la conosce subito ch'arriva,

ben che di timor pallida e turbata,

e sien più dì che non n'udì novella,

che senza dubbio ell'è Angelica bella.

16

E perché era cortese, e n'avea forse

non men de' dui cugini il petto caldo,

l'aiuto che potea tutto le porse,

pur come avesse l'elmo, ardito e baldo:

trasse la spada, e minacciando corse

dove poco di lui temea Rinaldo.

Più volte s'eran già non pur veduti,

m'al paragon de l'arme conosciuti.

17

Cominciar quivi una crudel battaglia,

come a piè si trovar, coi brandi ignudi:

non che le piastre e la minuta maglia,

ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi.

Or, mentre l'un con l'altro si travaglia,

bisogna al palafren che 'l passo studi;

che quanto può menar de le calcagna,

colei lo caccia al bosco e alla campagna.

18

Poi che s'affaticar gran pezzo invano

i dui guerrier per por l'un l'altro sotto,

quando non meno era con l'arme in mano

questo di quel, né quel di questo dotto;

fu primiero il signor di Montalbano,

ch'al cavallier di Spagna fece motto,

sì come quel ch'ha nel cuor tanto fuoco,

che tutto n'arde e non ritrova loco.

19

Disse al pagan: — Me sol creduto avrai,

e pur avrai te meco ancora offeso:

se questo avvien perché i fulgenti rai

del nuovo sol t'abbino il petto acceso,

di farmi qui tardar che guadagno hai?

che quando ancor tu m'abbi morto o preso,

non però tua la bella donna fia;

che, mentre noi tardiam, se ne va via.

20

Quanto fia meglio, amandola tu ancora,

che tu le venga a traversar la strada,

a ritenerla e farle far dimora,

prima che più lontana se ne vada!

Come l'avremo in potestate, allora

di chi esser de' si provi con la spada:

non so altrimenti, dopo un lungo affanno,

che possa riuscirci altro che danno. —

21

Al pagan la proposta non dispiacque:

così fu differita la tenzone;

e tal tregua tra lor subito nacque,

sì l'odio e l'ira va in oblivione,

che 'l pagano al partir da le fresche acque

non lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone:

con preghi invita, ed al fin toglie in groppa,

e per l'orme d'Angelica galoppa.

22

Oh gran bontà de' cavallieri antiqui!

Eran rivali, eran di fé diversi,

e si sentian degli aspri colpi iniqui

per tutta la persona anco dolersi;

e pur per selve oscure e calli obliqui

insieme van senza sospetto aversi.

Da quattro sproni il destrier punto arriva

ove una strada in due si dipartiva.

23

E come quei che non sapean se l'una

o l'altra via facesse la donzella

(però che senza differenza alcuna

apparia in amendue l'orma novella),

si messero ad arbitrio di fortuna,

Rinaldo a questa, il Saracino a quella.

Pel bosco Ferraù molto s'avvolse,

e ritrovossi al fine onde si tolse.

24

Pur si ritrova ancor su la rivera,

là dove l'elmo gli cascò ne l'onde.

Poi che la donna ritrovar non spera,

per aver l'elmo che 'l fiume gli asconde,

in quella parte onde caduto gli era

discende ne l'estreme umide sponde:

ma quello era sì fitto ne la sabbia,

che molto avrà da far prima che l'abbia.

25

Con un gran ramo d'albero rimondo,

di ch'avea fatto una pertica lunga,

tenta il fiume e ricerca sino al fondo,

né loco lascia ove non batta e punga.

Mentre con la maggior stizza del mondo

tanto l'indugio suo quivi prolunga,

vede di mezzo il fiume un cavalliero

insino al petto uscir, d'aspetto fiero.

26

Era, fuor che la testa, tutto armato,

ed avea un elmo ne la destra mano:

avea il medesimo elmo che cercato

da Ferraù fu lungamente invano.

A Ferraù parlò come adirato,

e disse: — Ah mancator di fé, marano!

perché di lasciar l'elmo anche t'aggrevi,

che render già gran tempo mi dovevi?

27

Ricordati, pagan, quando uccidesti

d'Angelica il fratel (che son quell'io),

dietro all'altr'arme tu mi promettesti

gittar fra pochi dì l'elmo nel rio.

Or se Fortuna (quel che non volesti

far tu) pone ad effetto il voler mio,

non ti turbare; e se turbar ti déi,

turbati che di fé mancato sei.

28

Ma se desir pur hai d'un elmo fino,

trovane un altro, ed abbil con più onore;

un tal ne porta Orlando paladino,

un tal Rinaldo, e forse anco migliore:

l'un fu d'Almonte, e l'altro di Mambrino:

acquista un di quei dui col tuo valore;

e questo, ch'hai già di lasciarmi detto,

farai bene a lasciarmi con effetto. —

29

All'apparir che fece all'improvviso

de l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciossi,

e scolorossi al Saracino il viso;

la voce, ch'era per uscir, fermossi.

Udendo poi da l'Argalia, ch'ucciso

quivi avea già (che l'Argalia nomossi)

la rotta fede così improverarse,

di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.

30

Né tempo avendo a pensar altra scusa,

e conoscendo ben che 'l ver gli disse,

restò senza risposta a bocca chiusa;

ma la vergogna il cor sì gli trafisse,

che giurò per la vita di Lanfusa

non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,

se non quel buono che già in Aspramonte

trasse dal capo Orlando al fiero Almonte.

31

E servò meglio questo giuramento,

che non avea quell'altro fatto prima.

Quindi si parte tanto malcontento,

che molti giorni poi si rode e lima.

Sol di cercare è il paladino intento

di qua di là, dove trovarlo stima.

Altra ventura al buon Rinaldo accade,

che da costui tenea diverse strade.

32

Non molto va Rinaldo, che si vede

saltare inanzi il suo destrier feroce:

— Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!

che l'esser senza te troppo mi nuoce. —

Per questo il destrier sordo, a lui non riede

anzi più se ne va sempre veloce.

Segue Rinaldo, e d'ira si distrugge:

ma seguitiamo Angelica che fugge.

33

Fugge tra selve spaventose e scure,

per lochi inabitati, ermi e selvaggi.

Il mover de le frondi e di verzure,

che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,

fatto le avea con subite paure

trovar di qua di là strani viaggi;

ch'ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,

temea Rinaldo aver sempre alle spalle.

34

Qual pargoletta o damma o capriuola,

che tra le fronde del natio boschetto

alla madre veduta abbia la gola

stringer dal pardo, o aprirle 'l fianco o 'l petto,

di selva in selva dal crudel s'invola,

e di paura trema e di sospetto:

ad ogni sterpo che passando tocca,

esser si crede all'empia fera in bocca.

35

Quel dì e la notte a mezzo l'altro giorno

s'andò aggirando, e non sapeva dove.

Trovossi al fin in un boschetto adorno,

che lievemente la fresca aura muove.

Duo chiari rivi, mormorando intorno,

sempre l'erbe vi fan tenere e nuove;

e rendea ad ascoltar dolce concento,

rotto tra picciol sassi, il correr lento.

36

Quivi parendo a lei d'esser sicura

e lontana a Rinaldo mille miglia,

da la via stanca e da l'estiva arsura,

di riposare alquanto si consiglia:

tra' fiori smonta, e lascia alla pastura

andare il palafren senza la briglia;

e quel va errando intorno alle chiare onde,

che di fresca erba avean piene le sponde.

37

Ecco non lungi un bel cespuglio vede

di prun fioriti e di vermiglie rose,

che de le liquide onde al specchio siede,

chiuso dal sol fra l'alte querce ombrose;

così voto nel mezzo, che concede

fresca stanza fra l'ombre più nascose:

e la foglia coi rami in modo è mista,

che 'l sol non v'entra, non che minor vista.

38

Dentro letto vi fan tenere erbette,

ch'invitano a posar chi s'appresenta.

La bella donna in mezzo a quel si mette,

ivi si corca ed ivi s'addormenta.

Ma non per lungo spazio così stette,

che un calpestio le par che venir senta:

cheta si leva e appresso alla riviera

vede ch'armato un cavallier giunt'era.

39

Se gli è amico o nemico non comprende:

tema e speranza il dubbio cor le scuote;

e di quella aventura il fine attende,

né pur d'un sol sospir l'aria percuote.

Il cavalliero in riva al fiume scende

sopra l'un braccio a riposar le gote;

e in un suo gran pensier tanto penètra,

che par cangiato in insensibil pietra.

40

Pensoso più d'un'ora a capo basso

stette, Signore, il cavallier dolente;

poi cominciò con suono afflitto e lasso

a lamentarsi sì soavemente,

ch'avrebbe di pietà spezzato un sasso,

una tigre crudel fatta clemente.

Sospirante piangea, tal ch'un ruscello

parean le guance, e 'l petto un Mongibello.

41

— Pensier (dicea) che 'l cor m'agghiacci ed ardi,

e causi il duol che sempre il rode e lima,

che debbo far, poi ch'io son giunto tardi,

e ch'altri a corre il frutto è andato prima?

a pena avuto io n'ho parole e sguardi,

ed altri n'ha tutta la spoglia opima.

Se non ne tocca a me frutto né fiore,

perché affligger per lei mi vuo' più il core?

42

La verginella è simile alla rosa,

ch'in bel giardin su la nativa spina

mentre sola e sicura si riposa,

né gregge né pastor se le avvicina;

l'aura soave e l'alba rugiadosa,

l'acqua, la terra al suo favor s'inchina:

gioveni vaghi e donne inamorate

amano averne e seni e tempie ornate.

43

Ma non sì tosto dal materno stelo

rimossa viene e dal suo ceppo verde,

che quanto avea dagli uomini e dal cielo

favor, grazia e bellezza, tutto perde.

La vergine che 'l fior, di che più zelo

che de' begli occhi e de la vita aver de',

lascia altrui corre, il pregio ch'avea inanti

perde nel cor di tutti gli altri amanti.

44

Sia vile agli altri, e da quel solo amata

a cui di sé fece sì larga copia.

Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!

trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia.

Dunque esser può che non mi sia più grata?

dunque io posso lasciar mia vita propia?

Ah più tosto oggi manchino i dì miei,

ch'io viva più, s'amar non debbo lei! —

45

Se mi domanda alcun chi costui sia,

che versa sopra il rio lacrime tante,

io dirò ch'egli è il re di Circassia,

quel d'amor travagliato Sacripante;

io dirò ancor, che di sua pena ria

sia prima e sola causa essere amante,

è pur un degli amanti di costei:

e ben riconosciuto fu da lei.

46

Appresso ove il sol cade, per suo amore

venuto era dal capo d'Oriente;

che seppe in India con suo gran dolore,

come ella Orlando sequitò in Ponente:

poi seppe in Francia che l'imperatore

sequestrata l'avea da l'altra gente,

per darla all'un de' duo che contra il Moro

più quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.

47

Stato era in campo, e inteso avea di quella

rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:

cercò vestigio d'Angelica bella,

né potuto avea ancora ritrovarlo.

Questa è dunque la trista e ria novella

che d'amorosa doglia fa penarlo,

affligger, lamentare, e dir parole

che di pietà potrian fermare il sole.

48

Mentre costui così s'affligge e duole,

e fa degli occhi suoi tepida fonte,

e dice queste e molte altre parole,

che non mi par bisogno esser racconte;

l'aventurosa sua fortuna vuole

ch'alle orecchie d'Angelica sian conte:

e così quel ne viene a un'ora, a un punto,

ch'in mille anni o mai più non è raggiunto.

49

Con molta attenzion la bella donna

al pianto, alle parole, al modo attende

di colui ch'in amarla non assonna;

né questo è il primo dì ch'ella l'intende:

ma dura e fredda più d'una colonna,

ad averne pietà non però scende,

come colei c'ha tutto il mondo a sdegno,

e non le par ch'alcun sia di lei degno.

50

Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola

le fa pensar di tor costui per guida;

che chi ne l'acqua sta fin alla gola

ben è ostinato se mercé non grida.

Se questa occasione or se l'invola,

non troverà mai più scorta sì fida;

ch'a lunga prova conosciuto inante

s'avea quel re fedel sopra ogni amante.

51

Ma non però disegna de l'affanno

che lo distrugge alleggierir chi l'ama,

e ristorar d'ogni passato danno

con quel piacer ch'ogni amator più brama:

ma alcuna finzione, alcuno inganno

di tenerlo in speranza ordisce e trama;

tanto ch'a quel bisogno se ne serva,

poi torni all'uso suo dura e proterva.

52

E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco

fa di sé bella ed improvvisa mostra,

come di selva o fuor d'ombroso speco

Diana in scena o Citerea si mostra;

e dice all'apparir: — Pace sia teco;

teco difenda Dio la fama nostra,

e non comporti, contra ogni ragione,

ch'abbi di me sì falsa opinione. —

53

Non mai con tanto gaudio o stupor tanto

levò gli occhi al figliuolo alcuna madre,

ch'avea per morto sospirato e pianto,

poi che senza esso udì tornar le squadre;

con quanto gaudio il Saracin, con quanto

stupor l'alta presenza e le leggiadre

maniere, e il vero angelico sembiante,

improviso apparir si vide inante.

54

Pieno di dolce e d'amoroso affetto,

alla sua donna, alla sua diva corse,

che con le braccia al collo il tenne stretto,

quel ch'al Catai non avria fatto forse.

Al patrio regno, al suo natio ricetto,

seco avendo costui, l'animo torse:

subito in lei s'avviva la speranza

di tosto riveder sua ricca stanza.

55

Ella gli rende conto pienamente

dal giorno che mandato fu da lei

a domandar soccorso in Oriente

al re de' Sericani e Nabatei;

e come Orlando la guardò sovente

da morte, da disnor, da casi rei:

e che 'l fior virginal così avea salvo,

come se lo portò del materno alvo.

56

Forse era ver, ma non però credibile

a chi del senso suo fosse signore;

ma parve facilmente a lui possibile,

ch'era perduto in via più grave errore.

Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibile,

e l'invisibil fa vedere Amore.

Questo creduto fu; che 'l miser suole

dar facile credenza a quel che vuole.

57

— Se mal si seppe il cavallier d'Anglante

pigliar per sua sciocchezza il tempo buono,

il danno se ne avrà; che da qui inante

nol chiamerà Fortuna a sì gran dono

(tra sé tacito parla Sacripante):

ma io per imitarlo già non sono,

che lasci tanto ben che m'è concesso,

e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.

58

Corrò la fresca e matutina rosa,

che, tardando, stagion perder potria.

So ben ch'a donna non si può far cosa

che più soave e più piacevol sia,

ancor che se ne mostri disdegnosa,

e talor mesta e flebil se ne stia:

non starò per repulsa o finto sdegno,

ch'io non adombri e incarni il mio disegno. —

59

Così dice egli; e mentre s'apparecchia

al dolce assalto, un gran rumor che suona

dal vicin bosco gl'intruona l'orecchia,

sì che mal grado l'impresa abbandona:

e si pon l'elmo (ch'avea usanza vecchia

di portar sempre armata la persona),

viene al destriero e gli ripon la briglia,

rimonta in sella e la sua lancia piglia.

60

Ecco pel bosco un cavallier venire,

il cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero:

candido come nieve è il suo vestire,

un bianco pennoncello ha per cimiero.

Re Sacripante, che non può patire

che quel con l'importuno suo sentiero

gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea,

con vista il guarda disdegnosa e rea.

61

Come è più appresso, lo sfida a battaglia;

che crede ben fargli votar l'arcione.

Quel che di lui non stimo già che vaglia

un grano meno, e ne fa paragone,

l'orgogliose minacce a mezzo taglia,

sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.

Sacripante ritorna con tempesta,

e corronsi a ferir testa per testa.

62

Non si vanno i leoni o i tori in salto

a dar di petto, ad accozzar sì crudi,

sì come i duo guerrieri al fiero assalto,

che parimente si passar li scudi.

Fe' lo scontro tremar dal basso all'alto

l'erbose valli insino ai poggi ignudi;

e ben giovò che fur buoni e perfetti

gli osberghi sì, che lor salvaro i petti.

63

Già non fero i cavalli un correr torto,

anzi cozzaro a guisa di montoni:

quel del guerrier pagan morì di corto,

ch'era vivendo in numero de' buoni:

quell'altro cadde ancor, ma fu risorto

tosto ch'al fianco si sentì gli sproni.

Quel del re saracin restò disteso

adosso al suo signor con tutto il peso.

64

L'incognito campion che restò ritto,

e vide l'altro col cavallo in terra,

stimando avere assai di quel conflitto,

non si curò di rinovar la guerra;

ma dove per la selva è il camin dritto,

correndo a tutta briglia si disserra;

e prima che di briga esca il pagano,

un miglio o poco meno è già lontano.

65

Qual istordito e stupido aratore,

poi ch'è passato il fulmine, si leva

di là dove l'altissimo fragore

appresso ai morti buoi steso l'aveva;

che mira senza fronde e senza onore

il pin che di lontan veder soleva:

tal si levò il pagano a piè rimaso,

Angelica presente al duro caso.

66

Sospira e geme, non perché l'annoi

che piede o braccio s'abbi rotto o mosso,

ma per vergogna sola, onde a' dì suoi

né pria né dopo il viso ebbe sì rosso:

e più, ch'oltre il cader, sua donna poi

fu che gli tolse il gran peso d'adosso.

Muto restava, mi cred'io, se quella

non gli rendea la voce e la favella.

67

— Deh! (diss'ella) signor, non vi rincresca!

che del cader non è la colpa vostra,

ma del cavallo, a cui riposo ed esca

meglio si convenia che nuova giostra.

Né perciò quel guerrier sua gloria accresca

che d'esser stato il perditor dimostra:

così, per quel ch'io me ne sappia, stimo,

quando a lasciare il campo è stato primo. —

68

Mentre costei conforta il Saracino,

ecco col corno e con la tasca al fianco,

galoppando venir sopra un ronzino

un messagger che parea afflitto e stanco;

che come a Sacripante fu vicino,

gli domandò se con un scudo bianco

e con un bianco pennoncello in testa

vide un guerrier passar per la foresta.

69

Rispose Sacripante: — Come vedi,

m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;

e perch'io sappia chi m'ha messo a piedi,

fa che per nome io lo conosca ancora. —

Ed egli a lui: — Di quel che tu mi chiedi

io ti satisfarò senza dimora:

tu dei saper che ti levò di sella

l'alto valor d'una gentil donzella.

70

Ella è gagliarda ed è più bella molto;

né il suo famoso nome anco t'ascondo:

fu Bradamante quella che t'ha tolto

quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. —

Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto

il Saracin lasciò poco giocondo,

che non sa che si dica o che si faccia,

tutto avvampato di vergogna in faccia.

71

Poi che gran pezzo al caso intervenuto

ebbe pensato invano, e finalmente

si trovò da una femina abbattuto,

che pensandovi più, più dolor sente;

montò l'altro destrier, tacito e muto:

e senza far parola, chetamente

tolse Angelica in groppa, e differilla

a più lieto uso, a stanza più tranquilla.

72

Non furo iti due miglia, che sonare

odon la selva che li cinge intorno,

con tal rumore e strepito, che pare

che triemi la foresta d'ogn'intorno;

e poco dopo un gran destrier n'appare,

d'oro guernito e riccamente adorno,

che salta macchie e rivi, ed a fracasso

arbori mena e ciò che vieta il passo.

73

— Se l'intricati rami e l'aer fosco,

(disse la donna) agli occhi non contende,

Baiardo è quel destrier ch'in mezzo il bosco

con tal rumor la chiusa via si fende.

Questo è certo Baiardo, io 'l riconosco:

deh, come ben nostro bisogno intende!

ch'un sol ronzin per dui saria mal atto,

e ne viene egli a satisfarci ratto. —

74

Smonta il Circasso ed al destrier s'accosta,

e si pensava dar di mano al freno.

Colle groppe il destrier gli fa risposta,

che fu presto al girar come un baleno;

ma non arriva dove i calci apposta:

misero il cavallier se giungea a pieno!

che nei calci tal possa avea il cavallo,

ch'avria spezzato un monte di metallo.

75

Indi va mansueto alla donzella,

con umile sembiante e gesto umano,

come intorno al padrone il can saltella,

che sia duo giorni o tre stato lontano.

Baiardo ancora avea memoria d'ella,

ch'in Albracca il servia già di sua mano

nel tempo che da lei tanto era amato

Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.

76

Con la sinistra man prende la briglia,

con l'altra tocca e palpa il collo e 'l petto:

quel destrier, ch'avea ingegno a maraviglia,

a lei, come un agnel, si fa suggetto.

Intanto Sacripante il tempo piglia:

monta Baiardo e l'urta e lo tien stretto.

Del ronzin disgravato la donzella

lascia la groppa, e si ripone in sella.

77

Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira

venir sonando d'arme un gran pedone.

Tutta s'avvampa di dispetto e d'ira,

che conosce il figliuol del duca Amone.

Più che sua vita l'ama egli e desira;

l'odia e fugge ella più che gru falcone.

Già fu ch'esso odiò lei più che la morte;

ella amò lui: or han cangiato sorte.

78

E questo hanno causato due fontane

che di diverso effetto hanno liquore,

ambe in Ardenna, e non sono lontane:

d'amoroso disio l'una empie il core;

chi bee de l'altra, senza amor rimane,

e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.

Rinaldo gustò d'una, e amor lo strugge;

Angelica de l'altra, e l'odia e fugge.

79

Quel liquor di secreto venen misto,

che muta in odio l'amorosa cura,

fa che la donna che Rinaldo ha visto,

nei sereni occhi subito s'oscura;

e con voce tremante e viso tristo

supplica Sacripante e lo scongiura

che quel guerrier più appresso non attenda,

ma ch'insieme con lei la fuga prenda.

80

— Son dunque (disse il Saracino), sono

dunque in sì poco credito con vui,

che mi stimiate inutile e non buono

da potervi difender da costui?

Le battaglie d'Albracca già vi sono

di mente uscite, e la notte ch'io fui

per la salute vostra, solo e nudo,

contra Agricane e tutto il campo, scudo? —

81

Non risponde ella, e non sa che si faccia,

perché Rinaldo ormai l'è troppo appresso,

che da lontan al Saracin minaccia,

come vide il cavallo e conobbe esso,

e riconobbe l'angelica faccia

che l'amoroso incendio in cor gli ha messo.

Quel che seguì tra questi duo superbi

vo' che per l'altro canto si riserbi.

CANTO SECONDO

1

Ingiustissimo Amor, perché sì raro

corrispondenti fai nostri desiri?

onde, perfido, avvien che t'è sì caro

il discorde voler ch'in duo cor miri?

Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,

e nel più cieco e maggior fondo tiri:

da chi disia il mio amor tu mi richiami,

e chi m'ha in odio vuoi ch'adori ed ami.

2

Fai ch'a Rinaldo Angelica par bella,

quando esso a lei brutto e spiacevol pare:

quando le parea bello e l'amava ella,

egli odiò lei quanto si può più odiare.

Ora s'affligge indarno e si flagella;

così renduto ben gli è pare a pare:

ella l'ha in odio, e l'odio è di tal sorte,

che più tosto che lui vorria la morte.

3

Rinaldo al Saracin con molto orgoglio

gridò: — Scendi, ladron, del mio cavallo!

Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,

ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:

e levar questa donna anco ti voglio;

che sarebbe a lasciartela gran fallo.

Sì perfetto destrier, donna sì degna

a un ladron non mi par che si convegna. —

4

— Tu te ne menti che ladrone io sia

(rispose il Saracin non meno altiero):

chi dicesse a te ladro, lo diria

(quanto io n'odo per fama) più con vero.

La pruova or si vedrà, chi di noi sia

più degno de la donna e del destriero;

ben che, quanto a lei, teco io mi convegna

che non è cosa al mondo altra sì degna. —

5

Come soglion talor duo can mordenti,

o per invidia o per altro odio mossi,

avicinarsi digrignando i denti,

con occhi bieci e più che bracia rossi;

indi a' morsi venir, di rabbia ardenti,

con aspri ringhi e ribuffati dossi:

così alle spade e dai gridi e da l'onte

venne il Circasso e quel di Chiaramonte.

6

A piedi è l'un, l'altro a cavallo: or quale

credete ch'abbia il Saracin vantaggio?

Né ve n'ha però alcun; che così vale

forse ancor men ch'uno inesperto paggio;

che 'l destrier per istinto naturale

non volea fare al suo signore oltraggio:

né con man né con spron potea il Circasso

farlo a voluntà sua muover mai passo.

7

Quando crede cacciarlo, egli s'arresta;

E se tener lo vuole, o corre o trotta:

poi sotto il petto si caccia la testa,

giuoca di schiene, e mena calci in frotta.

Vedendo il Saracin ch'a domar questa

bestia superba era mal tempo allotta,

ferma le man sul primo arcione e s'alza,

e dal sinistro fianco in piede sbalza.

8

Sciolto che fu il pagan con leggier salto

da l'ostinata furia di Baiardo,

si vide cominciar ben degno assalto

d'un par di cavallier tanto gagliardo.

Suona l'un brando e l'altro, or basso or alto:

il martel di Vulcano era più tardo

ne la spelunca affumicata, dove

battea all'incude i folgori di Giove.

9

Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi

colpi veder che mastri son del giuoco:

or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,

ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,

ora crescer inanzi, ora ritrarsi,

ribatter colpi e spesso lor dar loco,

girarsi intorno; e donde l'uno cede,

l'altro aver posto immantinente il piede.

10

Ecco Rinaldo con la spada adosso

a Sacripante tutto s'abbandona;

e quel porge lo scudo, ch'era d'osso,

con la piastra d'acciar temprata e buona.

Taglial Fusberta, ancor che molto grosso:

ne geme la foresta e ne risuona.

L'osso e l'acciar ne va che par di ghiaccio,

e lascia al Saracin stordito il braccio.

11

Quando vide la timida donzella

dal fiero colpo uscir tanta ruina,

per gran timor cangiò la faccia bella,

qual il reo ch'al supplicio s'avvicina;

né le par che vi sia da tardar, s'ella

non vuol di quel Rinaldo esser rapina,

di quel Rinaldo ch'ella tanto odiava,

quanto esso lei miseramente amava.

12

Volta il cavallo, e ne la selva folta

lo caccia per un aspro e stretto calle:

e spesso il viso smorto a dietro volta;

che le par che Rinaldo abbia alle spalle.

Fuggendo non avea fatto via molta,

che scontrò un eremita in una valle,

ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,

devoto e venerabile d'aspetto.

13

Dagli anni e dal digiuno attenuato,

sopra un lento asinel se ne veniva;

e parea, più ch'alcun fosse mai stato,

di coscienza scrupolosa e schiva.

Come egli vide il viso delicato

de la donzella che sopra gli arriva,

debil quantunque e mal gagliarda fosse,

tutta per carità se gli commosse.

14

La donna al fraticel chiede la via

che la conduca ad un porto di mare,

perché levar di Francia si vorria,

per non udir Rinaldo nominare.

Il frate, che sapea negromanzia,

non cessa la donzella confortare

che presto la trarrà d'ogni periglio;

ed ad una sua tasca diè di piglio.

15

Trassene un libro, e mostrò grande effetto;

che legger non finì la prima faccia,

ch'uscir fa un spirto in forma di valletto,

e gli commanda quanto vuol ch'el faccia.

Quel se ne va, da la scrittura astretto,

dove i dui cavallieri a faccia a faccia

eran nel bosco, e non stavano al rezzo;

fra' quali entrò con grande audacia in mezzo.

16

— Per cortesia (disse), un di voi mi mostre,

quando anco uccida l'altro, che gli vaglia:

che merto avrete alle fatiche vostre,

finita che tra voi sia la battaglia,

se 'l conte Orlando, senza liti o giostre,

e senza pur aver rotta una maglia,

verso Parigi mena la donzella

che v'ha condotti a questa pugna fella?

17

Vicino un miglio ho ritrovato Orlando

che ne va con Angelica a Parigi,

di voi ridendo insieme, e motteggiando

che senza frutto alcun siate in litigi.

Il meglio forse vi sarebbe, or quando

non son più lungi, a seguir lor vestigi;

che s'in Parigi Orlando la può avere,

non ve la lascia mai più rivedere. —

18

Veduto avreste i cavallier turbarsi

a quel annunzio, e mesti e sbigottiti,

senza occhi e senza mente nominarsi,

che gli avesse il rival così scherniti;

ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi

con sospir che parean del fuoco usciti,

e giurar per isdegno e per furore,

se giungea Orlando, di cavargli il core.

19

E dove aspetta il suo Baiardo, passa,

e sopra vi si lancia, e via galoppa,

né al cavallier, ch'a piè nel bosco lassa,

pur dice a Dio, non che lo 'nviti in groppa.

L'animoso cavallo urta e fracassa,

punto dal suo signor, ciò ch'egli 'ntoppa:

non ponno fosse o fiumi o sassi o spine

far che dal corso il corridor decline.

20

Signor, non voglio che vi paia strano

se Rinaldo or sì tosto il destrier piglia,

che già più giorni ha seguitato invano,

né gli ha possuto mai toccar la briglia.

Fece il destrier, ch'avea intelletto umano,

non per vizio seguirsi tante miglia,

ma per guidar dove la donna giva,

il suo signor, da chi bramar l'udiva.

21

Quando ella si fuggì dal padiglione,

la vide ed appostolla il buon destriero,

che si trovava aver voto l'arcione,

però che n'era sceso il cavalliero

per combatter di par con un barone,

che men di lui non era in arme fiero;

poi ne seguitò l'orme di lontano,

bramoso porla al suo signore in mano.

22

Bramoso di ritrarlo ove fosse ella,

per la gran selva inanzi se gli messe;

né lo volea lasciar montare in sella,

perché ad altro camin non lo volgesse.

Per lui trovò Rinaldo la donzella

una e due volte, e mai non gli successe;

che fu da Ferraù prima impedito,

poi dal Circasso, come avete udito.

23

Ora al demonio che mostrò a Rinaldo

de la donzella li falsi vestigi,

credette Baiardo anco, e stette saldo

e mansueto ai soliti servigi.

Rinaldo il caccia, d'ira e d'amor caldo,

a tutta briglia, e sempre invêr Parigi;

e vola tanto col disio, che lento,

non ch'un destrier, ma gli parrebbe il vento.

24

La notte a pena di seguir rimane,

per affrontarsi col signor d'Anglante:

tanto ha creduto alle parole vane

del messagger del cauto negromante.

Non cessa cavalcar sera e dimane,

che si vede apparir la terra avante,

dove re Carlo, rotto e mal condutto,

con le reliquie sue s'era ridutto:

25

e perché dal re d'Africa battaglia

ed assedio s'aspetta, usa gran cura

a raccor buona gente e vettovaglia,

far cavamenti e riparar le mura.

Ciò ch'a difesa spera che gli vaglia,

senza gran diferir, tutto procura:

pensa mandare in Inghilterra, e trarne

gente onde possa un novo campo farne:

26

che vuole uscir di nuovo alla campagna,

e ritentar la sorte de la guerra.

Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,

Bretagna che fu poi detta Inghilterra.

Ben de l'andata il paladin si lagna:

non ch'abbia così in odio quella terra;

ma perché Carlo il manda allora allora,

né pur lo lascia un giorno far dimora.

27

Rinaldo mai di ciò non fece meno

volentier cosa; poi che fu distolto

di gir cercando il bel viso sereno

che gli avea il cor di mezzo il petto tolto:

ma, per ubidir Carlo, nondimeno

a quella via si fu subito volto,

ed a Calesse in poche ore trovossi;

e giunto, il dì medesimo imbarcossi.

28

Contra la voluntà d'ogni nocchiero,

pel gran desir che di tornare avea,

entrò nel mar ch'era turbato e fiero,

e gran procella minacciar parea.

Il Vento si sdegnò, che da l'altiero

sprezzar si vide; e con tempesta rea

sollevò il mar intorno, e con tal rabbia,

che gli mandò a bagnar sino alla gabbia.

29

Calano tosto i marinari accorti

le maggior vele, e pensano dar volta,

e ritornar ne li medesmi porti

donde in mal punto avean la nave sciolta.

— Non convien (dice il Vento) ch'io comporti

tanta licenza che v'avete tolta; —

e soffia e grida e naufragio minaccia,

s'altrove van, che dove egli li caccia.

30

Or a poppa, or all'orza hann'il crudele,

che mai non cessa, e vien più ognor crescendo:

essi di qua di là con umil vele

vansi aggirando, e l'alto mar scorrendo.

Ma perché varie fila a varie tele

uopo mi son, che tutte ordire intendo,

lascio Rinaldo e l'agitata prua,

e torno a dir di Bradamante sua.

31

Io parlo di quella inclita donzella,

per cui re Sacripante in terra giacque,

che di questo signor degna sorella,

del duca Amone e di Beatrice nacque.

La gran possanza e il molto ardir di quella

non meno a Carlo e a tutta Francia piacque

(che più d'un paragon ne vide saldo),

che 'l lodato valor del buon Rinaldo.

32

La donna amata fu da un cavalliero

che d'Africa passò col re Agramante,

che partorì del seme di Ruggiero

la disperata figlia di Agolante:

e costei, che né d'orso né di fiero

leone uscì, non sdegnò tal amante;

ben che concesso, fuor che vedersi una

volta e parlarsi, non ha lor Fortuna.

33

Quindi cercando Bradamante gìa

l'amante suo, ch'avea nome dal padre,

così sicura senza compagnia,

come avesse in sua guardia mille squadre:

e fatto ch'ebbe al re di Circassia

battere il volto dell'antiqua madre,

traversò un bosco, e dopo il bosco un monte,

tanto che giunse ad una bella fonte.

34

La fonte discorrea per mezzo un prato,

d'arbori antiqui e di bell'ombre adorno,

Ch'i viandanti col mormorio grato

a ber invita e a far seco soggiorno:

un culto monticel dal manco lato

le difende il calor del mezzo giorno.

Quivi, come i begli occhi prima torse,

d'un cavallier la giovane s'accorse;

35

d'un cavallier, ch'all'ombra d'un boschetto,

nel margin verde e bianco e rosso e giallo

sedea pensoso, tacito e soletto

sopra quel chiaro e liquido cristallo.

Lo scudo non lontan pende e l'elmetto

dal faggio, ove legato era il cavallo;

ed avea gli occhi molli e 'l viso basso,

e si mostrava addolorato e lasso.

36

Questo disir, ch'a tutti sta nel core,

de' fatti altrui sempre cercar novella,

fece a quel cavallier del suo dolore

la cagion domandar da la donzella.

Egli l'aperse e tutta mostrò fuore,

dal cortese parlar mosso di quella,

e dal sembiante altier, ch'al primo sguardo

gli sembrò di guerrier molto gagliardo.

37

E cominciò: — Signor, io conducea

pedoni e cavallieri, e venìa in campo

là dove Carlo Marsilio attendea,

perch'al scender del monte avesse inciampo;

e una giovane bella meco avea,

del cui fervido amor nel petto avampo:

e ritrovai presso a Rodonna armato

un che frenava un gran destriero alato.

38

Tosto che 'l ladro, o sia mortale, o sia

una de l'infernali anime orrende,

vede la bella e cara donna mia;

come falcon che per ferir discende,

cala e poggia in un atimo, e tra via

getta le mani, e lei smarrita prende.

Ancor non m'era accorto de l'assalto,

che de la donna io senti' il grido in alto.

39

Così il rapace nibio furar suole

il misero pulcin presso alla chioccia,

che di sua inavvertenza poi si duole,

e invan gli grida, e invan dietro gli croccia.

Io non posso seguir un uom che vole,

chiuso tra' monti, a piè d'un'erta roccia:

stanco ho il destrier, che muta a pena i passi

ne l'aspre vie de' faticosi sassi.

40

Ma, come quel che men curato avrei

vedermi trar di mezzo il petto il core,

lasciai lor via seguir quegli altri miei,

senza mia guida e senza alcun rettore:

per li scoscesi poggi e manco rei

presi la via che mi mostrava Amore,

e dove mi parea che quel rapace

portassi il mio conforto e la mia pace.

41

Sei giorni me n'andai matina e sera

per balze e per pendici orride e strane,

dove non via, dove sentier non era,

dove né segno di vestigie umane;

poi giunsi in una valle inculta e fiera,

di ripe cinta e spaventose tane,

che nel mezzo s'un sasso avea un castello

forte e ben posto, a maraviglia bello.

42

Da lungi par che come fiamma lustri,

né sia di terra cotta, né di marmi.

Come più m'avicino ai muri illustri,

l'opra più bella e più mirabil parmi.

E seppi poi, come i demoni industri,

da suffumigi tratti e sacri carmi,

tutto d'acciaio avean cinto il bel loco,

temprato all'onda ed allo stigio foco.

43

Di sì forbito acciar luce ogni torre,

che non vi può né ruggine né macchia.

Tutto il paese giorno e notte scorre,

e poi là dentro il rio ladron s'immacchia.

Cosa non ha ripar che voglia torre:

sol dietro invan se li bestemia e gracchia.

Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,

che di mai ricovrar lascio ogni spene.

44

Ah lasso! che poss'io più che mirare

la rocca lungi, ove il mio ben m'è chiuso?

come la volpe, che 'l figlio gridare

nel nido oda de l'aquila di giuso,

s'aggira intorno, e non sa che si fare,

poi che l'ali non ha da gir là suso.

Erto è quel sasso sì, tale è il castello,

che non vi può salir chi non è augello.

45

Mentre io tardava quivi, ecco venire

duo cavallier ch'avean per guida un nano,

che la speranza aggiunsero al desire;

ma ben fu la speranza e il desir vano.

Ambi erano guerrier di sommo ardire:

era Gradasso l'un, re sericano;

era l'altro Ruggier, giovene forte,

pregiato assai ne l'africana corte.

46

— Vengon (mi disse il nano) per far pruova

di lor virtù col sir di quel castello,

che per via strana, inusitata e nuova

cavalca armato il quadrupede augello. —

— Deh, signor (diss'io lor), pietà vi muova

del duro caso mio spietato e fello!

Quando, come ho speranza, voi vinciate,

vi prego la mia donna mi rendiate. —

47

E come mi fu tolta lor narrai,

con lacrime affermando il dolor mio.

Quei, lor mercé, mi proferiro assai,

e giù calaro il poggio alpestre e rio.

Di lontan la battaglia io riguardai,

pregando per la lor vittoria Dio.

Era sotto il castel tanto di piano,

quanto in due volte si può trar con mano.

48

Poi che fur giunti a piè de l'alta rocca,

l'uno e l'altro volea combatter prima;

pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,

o pur che non ne fe' Ruggier più stima.

Quel Serican si pone il corno a bocca:

rimbomba il sasso e la fortezza in cima.

Ecco apparire il cavalliero armato

fuor de la porta, e sul cavallo alato.

49

Cominciò a poco a poco indi a levarse,

come suol far la peregrina grue,

che corre prima, e poi vediamo alzarse

alla terra vicina un braccio o due;

e quando tutte sono all'aria sparse,

velocissime mostra l'ale sue.

Sì ad alto il negromante batte l'ale,

ch'a tanta altezza a pena aquila sale.

50

Quando gli parve poi, volse il destriero,

che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,

come casca dal ciel falcon maniero

che levar veggia l'anitra o il colombo.

Con la lancia arrestata il cavalliero

l'aria fendendo vien d'orribil rombo.

Gradasso a pena del calar s'avede,

che se lo sente addosso e che lo fiede.

51

Sopra Gradasso il mago l'asta roppe;

ferì Gradasso il vento e l'aria vana:

per questo il volator non interroppe

il batter l'ale, e quindi s'allontana.

Il grave scontro fa chinar le groppe

sul verde prato alla gagliarda alfana.

Gradasso avea una alfana, la più bella

e la miglior che mai portasse sella.

52

Sin alle stelle il volator trascorse;

indi girossi e tornò in fretta al basso,

e percosse Ruggier che non s'accorse,

Ruggier che tutto intento era a Gradasso.

Ruggier del grave colpo si distorse,

e 'l suo destrier più rinculò d'un passo;

e quando si voltò per lui ferire,

da sé lontano il vide al ciel salire.

53

Or su Gradasso, or su Ruggier percote

ne la fronte, nel petto e ne la schiena,

e le botte di quei lascia ognor vote,

perché è sì presto, che si vede a pena.

Girando va con spaziose rote,

e quando all'uno accenna, all'altro mena:

all'uno e all'altro sì gli occhi abbarbaglia,

che non ponno veder donde gli assaglia.

54

Fra duo guerrieri in terra ed uno in cielo

la battaglia durò sino a quella ora,

che spiegando pel mondo oscuro velo,

tutte le belle cose discolora.

Fu quel ch'io dico, e non v'aggiungo un pelo:

io 'l vidi, i' 'l so: né m'assicuro ancora

di dirlo altrui; che questa maraviglia

al falso più ch'al ver si rassimiglia.

55

D'un bel drappo di seta avea coperto

lo scudo in braccio il cavallier celeste.

Come avesse, non so, tanto sofferto

di tenerlo nascosto in quella veste;

ch'immantinente che lo mostra aperto,

forza è, ch'il mira, abbarbagliato reste,

e cada come corpo morto cade,

e venga al negromante in potestade.

56

Splende lo scudo a guisa di piropo,

e luce altra non è tanto lucente.

Cadere in terra allo splendor fu d'uopo

con gli occhi abbacinati, e senza mente.

Perdei da lungi anch'io li sensi, e dopo

gran spazio mi riebbi finalmente;

né più i guerrier né più vidi quel nano,

ma vòto il campo, e scuro il monte e il piano.

57

Pensai per questo che l'incantatore

avesse amendui colti a un tratto insieme,

e tolto per virtù de lo splendore

la libertade a loro, e a me la speme.

Così a quel loco, che chiudea il mio core,

dissi, partendo, le parole estreme.

Or giudicate s'altra pena ria,

che causi Amor, può pareggiar la mia. —

58

Ritornò il cavallier nel primo duolo,

fatta che n'ebbe la cagion palese.

Questo era il conte Pinabel, figliuolo

d'Anselmo d'Altaripa, maganzese;

che tra sua gente scelerata, solo

leale esser non volse né cortese,

ma ne li vizi abominandi e brutti

non pur gli altri adeguò, ma passò tutti.

59

La bella donna con diverso aspetto

stette ascoltando il Maganzese cheta;

che come prima di Ruggier fu detto,

nel viso si mostrò più che mai lieta:

ma quando sentì poi ch'era in distretto,

turbossi tutta d'amorosa pieta;

né per una o due volte contentosse

che ritornato a replicar le fosse.

60

E poi ch'al fin le parve esserne chiara,

gli disse: — Cavallier, datti riposo,

che ben può la mia giunta esserti cara,

parerti questo giorno aventuroso.

Andiam pur tosto a quella stanza avara,

che sì ricco tesor ci tiene ascoso;

né spesa sarà invan questa fatica,

se fortuna non m'è troppo nemica. —

61

Rispose il cavallier: — Tu vòi ch'io passi

di nuovo i monti, e mostriti la via?

A me molto non è perdere i passi,

perduta avendo ogni altra cosa mia;

ma tu per balze e ruinosi sassi

cerchi entrar in pregione; e così sia.

Non hai di che dolerti di me, poi

ch'io tel predico, e tu pur gir vi vòi. —

62

Così dice egli, e torna al suo destriero,

e di quella animosa si fa guida,

che si mette a periglio per Ruggiero,

che la pigli quel mago o che la ancida.

In questo, ecco alle spalle il messaggero,

ch': — Aspetta, aspetta! — a tutta voce grida,

il messagger da chi il Circasso intese

che costei fu ch'all'erba lo distese.

63

A Bradamante il messagger novella

di Mompolier e di Narbona porta,

ch'alzato gli stendardi di Castella

avean, con tutto il lito d'Acquamorta;

e che Marsilia, non v'essendo quella

che la dovea guardar, mal si conforta,

e consiglio e soccorso le domanda

per questo messo, e se le raccomanda.

64

Questa cittade, e intorno a molte miglia

ciò che fra Varo e Rodano al mar siede,

avea l'imperator dato alla figlia

del duca Amon, in ch'avea speme e fede;

però che 'l suo valor con maraviglia

riguardar suol, quando armeggiar la vede.

Or, com'io dico, a domandar aiuto

quel messo da Marsilia era venuto.

65

Tra sì e no la giovane suspesa,

di voler ritornar dubita un poco:

quinci l'onore e il debito le pesa,

quindi l'incalza l'amoroso foco.

Fermasi al fin di seguitar l'impresa,

e trar Ruggier de l'incantato loco;

e quando sua virtù non possa tanto,

almen restargli prigioniera a canto.

66

E fece iscusa tal, che quel messaggio

parve contento rimanere e cheto.

Indi girò la briglia al suo viaggio,

con Pinabel che non ne parve lieto;

che seppe esser costei di quel lignaggio

che tanto ha in odio in publico e in secreto:

e già s'avisa le future angosce,

se lui per maganzese ella conosce.

67

Tra casa di Maganza e di Chiarmonte

era odio antico e inimicizia intensa;

e più volte s'avean rotta la fronte,

e sparso di lor sangue copia immensa:

e però nel suo cor l'iniquo conte

tradir l'incauta giovane si pensa;

o, come prima commodo gli accada,

lasciarla sola, e trovar altra strada.

68

E tanto gli occupò la fantasia

il nativo odio, il dubbio e la paura,

ch'inavedutamente uscì di via:

e ritrovossi in una selva oscura,

che nel mezzo avea un monte che finia

la nuda cima in una pietra dura;

e la figlia del duca di Dordona

gli è sempre dietro, e mai non l'abandona.

69

Come si vide il Maganzese al bosco,

pensò tôrsi la donna da le spalle.

Disse: — Prima che 'l ciel torni più fosco,

verso un albergo è meglio farsi il calle.

Oltra quel monte, s'io lo riconosco,

siede un ricco castel giù ne la valle.

Tu qui m'aspetta; che dal nudo scoglio

certificar con gli occhi me ne voglio. —

70

Così dicendo, alla cima superna

del solitario monte il destrier caccia,

mirando pur s'alcuna via discerna,

come lei possa tor da la sua traccia.

Ecco nel sasso truova una caverna,

che si profonda più di trenta braccia.

Tagliato a picchi ed a scarpelli il sasso

scende giù al dritto, ed ha una porta al basso.

71

Nel fondo avea una porta ampla e capace,

ch'in maggior stanza largo adito dava;

e fuor n'uscìa splendor, come di face

ch'ardesse in mezzo alla montana cava.

Mentre quivi il fellon suspeso tace,

la donna, che da lungi il seguitava

(perché perderne l'orme si temea),

alla spelonca gli sopragiungea.

72

Poi che si vide il traditore uscire,

quel ch'avea prima disegnato, invano,

o da sé torla, o di farla morire,

nuovo argumento imaginossi e strano.

Le si fe' incontra, e su la fe' salire

là dove il monte era forato e vano;

e le disse ch'avea visto nel fondo

una donzella di viso giocondo.

73

Ch'a' bei sembianti ed alla ricca vesta

esser parea di non ignobil grado;

ma quanto più potea turbata e mesta,

mostrava esservi chiusa suo mal grado:

e per saper la condizion di questa,

ch'avea già cominciato a entrar nel guado;

e ch'era uscito de l'interna grotta

un che dentro a furor l'avea ridotta.

74

Bradamante, che come era animosa,

così mal cauta, a Pinabel diè fede;

e d'aiutar la donna, disiosa,

si pensa come por colà giù il piede.

Ecco d'un olmo alla cima frondosa

volgendo gli occhi, un lungo ramo vede;

e con la spada quel subito tronca,

e lo declina giù ne la spelonca.

75

Dove è tagliato, in man lo raccomanda

a Pinabello, e poscia a quel s'apprende:

prima giù i piedi ne la tana manda,

e su le braccia tutta si suspende.

Sorride Pinabello, e le domanda

come ella salti; e le man apre e stende,

dicendole: — Qui fosser teco insieme

tutti li tuoi, ch'io ne spegnessi il seme! —

76

Non come volse Pinabello avvenne

de l'innocente giovane la sorte;

perché, giù diroccando a ferir venne

prima nel fondo il ramo saldo e forte.

Ben si spezzò, ma tanto la sostenne,

che 'l suo favor la liberò da morte.

Giacque stordita la donzella alquanto,

come io vi seguirò ne l'altro canto.

CANTO TERZO

1

Chi mi darà la voce e le parole

convenienti a sì nobil suggetto?

chi l'ale al verso presterà, che vole

tanto ch'arrivi all'alto mio concetto?

Molto maggior di quel furor che suole,

ben or convien che mi riscaldi il petto;

che questa parte al mio signor si debbe,

che canta gli avi onde l'origin ebbe:

2

di cui fra tutti li signori illustri,

dal ciel sortiti a governar la terra,

non vedi, o Febo, che 'l gran mondo lustri,

più gloriosa stirpe o in pace o in guerra;

né che sua nobiltade abbia più lustri

servata, e servarà (s'in me non erra

quel profetico lume che m'ispiri)

fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.

3

E volendone a pien dicer gli onori,

bisogna non la mia, ma quella cetra

con che tu dopo i gigantei furori

rendesti grazia al regnator dell'etra.

S'istrumenti avrò mai da te migliori,

atti a sculpire in così degna pietra,

in queste belle imagini disegno

porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.

4

Levando intanto queste prime rudi

scaglie n'andrò con lo scarpello inetto:

forse ch'ancor con più solerti studi

poi ridurrò questo lavor perfetto.

Ma ritorniano a quello, a cui né scudi

potran né usberghi assicurare il petto:

parlo di Pinabello di Maganza,

che d'uccider la donna ebbe speranza.

5

Il traditor pensò che la donzella

fosse ne l'alto precipizio morta;

e con pallida faccia lasciò quella

trista e per lui contaminata porta,

e tornò presto a rimontar in sella:

e come quel ch'avea l'anima torta,

per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,

di Bradamante ne menò il cavallo.

6

Lasciàn costui, che mentre all'altrui vita

ordisce inganno, il suo morir procura;

e torniamo alla donna che, tradita,

quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.

Poi ch'ella si levò tutta stordita,

ch'avea percosso in su la pietra dura,

dentro la porta andò, ch'adito dava

ne la seconda assai più larga cava.

7

La stanza, quadra e spaziosa, pare

una devota e venerabil chiesa,

che su colonne alabastrine e rare

con bella architettura era suspesa.

Surgea nel mezzo un ben locato altare,

ch'avea dinanzi una lampada accesa;

e quella di splendente e chiaro foco

rendea gran lume all'uno e all'altro loco.

8

Di devota umiltà la donna tocca,

come si vide in loco sacro e pio,

incominciò col core e con la bocca,

inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.

Un picciol uscio intanto stride e crocca,

ch'era all'incontro, onde una donna uscìo

discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,

che la donzella salutò per nome.

9

E disse: — O generosa Bradamante,

non giunta qui senza voler divino,

di te più giorni m'ha predetto inante

il profetico spirto di Merlino,

che visitar le sue reliquie sante

dovevi per insolito camino:

e qui son stata acciò ch'io ti riveli

quel c'han di te già statuito i cieli.

10

Questa è l'antiqua e memorabil grotta

ch'edificò Merlino, il savio mago

che forse ricordare odi talotta,

dove ingannollo la Donna del Lago.

Il sepolcro è qui giù, dove corrotta

giace la carne sua; dove egli, vago

di sodisfare a lei, che glil suase,

vivo corcossi, e morto ci rimase.

11

Col corpo morto il vivo spirto alberga,

sin ch'oda il suon de l'angelica tromba

che dal ciel lo bandisca o che ve l'erga,

secondo che sarà corvo o colomba.

Vive la voce; e come chiara emerga,

udir potrai dalla marmorea tomba,

che le passate e le future cose

a chi gli domandò, sempre rispose.

12

Più giorni son ch'in questo cimiterio

venni di remotissimo paese,

perché circa il mio studio alto misterio

mi facesse Merlin meglio palese:

e perché ebbi vederti desiderio,

poi ci son stata oltre il disegno un mese;

che Merlin, che 'l ver sempre mi predisse,

termine al venir tuo questo dì fisse. —

13

Stassi d'Amon la sbigottita figlia

tacita e fissa al ragionar di questa;

ed ha sì pieno il cor di maraviglia,

che non sa s'ella dorme o s'ella è desta:

e con rimesse e vergognose ciglia

(come quella che tutta era modesta)

rispose: — Di che merito son io,

ch'antiveggian profeti il venir mio? —

14

E lieta de l'insolita avventura,

dietro alla Maga subito fu mossa,

che la condusse a quella sepoltura

che chiudea di Merlin l'anima e l'ossa.

Era quell'arca d'una pietra dura,

lucida e tersa, e come fiamma rossa;

tal ch'alla stanza, ben che di sol priva,

dava splendore il lume che n'usciva.

15

O che natura sia d'alcuni marmi

che muovin l'ombre a guisa di facelle,

o forza pur di suffumigi e carmi

e segni impressi all'osservate stelle

(come più questo verisimil parmi),

discopria lo splendor più cose belle

e di scoltura e di color, ch'intorno

il venerabil luogo aveano adorno.

16

A pena ha Bradamante da la soglia

levato il piè ne la secreta cella,

che 'l vivo spirto da la morta spoglia

con chiarissima voce le favella:

— Favorisca Fortuna ogni tua voglia,

o casta e nobilissima donzella,

del cui ventre uscirà il seme fecondo

che onorar deve Italia e tutto il mondo.

17

L'antiquo sangue che venne da Troia,

per li duo miglior rivi in te commisto,

produrrà l'ornamento, il fior, la gioia

d'ogni lignaggio ch'abbia il sol mai visto

tra l'Indo e 'l Tago e 'l Nilo e la Danoia,

tra quanto è 'n mezzo Antartico e Calisto.

Ne la progenie tua con sommi onori

saran marchesi, duci e imperatori.

18

I capitani e i cavallier robusti

quindi usciran, che col ferro e col senno

ricuperar tutti gli onor vetusti

de l'arme invitte alla sua Italia denno.

Quindi terran lo scettro i signor giusti,

che, come il savio Augusto e Numa fenno,

sotto il benigno e buon governo loro

ritorneran la prima età de l'oro.

19

Acciò dunque il voler del ciel si metta

in effetto per te, che di Ruggiero

t'ha per moglier fin da principio eletta,

segue animosamente il tuo sentiero;

che cosa non sarà che s'intrometta

da poterti turbar questo pensiero,

sì che non mandi al primo assalto in terra

quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra. —

20

Tacque Merlino avendo così detto,

ed agio all'opre de la Maga diede,

ch'a Bradamante dimostrar l'aspetto

si preparava di ciascun suo erede.

Avea di spirti un gran numero eletto,

non so se da l'Inferno o da qual sede,

e tutti quelli in un luogo raccolti

sotto abiti diversi e vari volti.

21

Poi la donzella a sé richiama in chiesa,

là dove prima avea tirato un cerchio

che la potea capir tutta distesa,

ed avea un palmo ancora di superchio.

E perché da li spirti non sia offesa,

le fa d'un gran pentacolo coperchio;

e le dice che taccia e stia a mirarla:

poi scioglie il libro, e coi demoni parla.

22

Eccovi fuor de la prima spelonca,

che gente intorno al sacro cerchio ingrossa;

ma, come vuole entrar, la via l'è tronca,

come lo cinga intorno muro e fossa.

In quella stanza, ove la bella conca

in sé chiudea del gran profeta l'ossa,

entravan l'ombre, poi ch'avean tre volte

fatto d'intorno lor debite volte.

23

— Se i nomi e i gesti di ciascun vo' dirti

(dicea l'incantatrice a Bradamante),

di questi ch'or per gl'incantati spirti,

prima che nati sien, ci sono avante,

non so veder quando abbia da espedirti;

che non basta una notte a cose tante:

sì ch'io te ne verrò scegliendo alcuno,

secondo il tempo, e che sarà oportuno.

24

Vedi quel primo che ti rassimiglia

ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto:

capo in Italia fia di tua famiglia,

del seme di Ruggiero in te concetto.

Veder del sangue di Pontier vermiglia

per mano di costui la terra aspetto,

e vendicato il tradimento e il torto

contra quei che gli avranno il padre morto.

25

Per opra di costui sarà deserto

il re de' Longobardi Desiderio:

d'Este e di Calaon per questo merto

il bel dominio avrà dal sommo Imperio.

Quel che gli è dietro, è il tuo nipote Uberto,

onor de l'arme e del paese esperio:

per costui contra Barbari difesa

più d'una volta fia la santa Chiesa.

26

Vedi qui Alberto, invitto capitano

ch'ornerà di trofei tanti delubri:

Ugo il figlio è con lui, che di Milano

farà l'acquisto, e spiegherà i colubri.

Azzo è quell'altro, a cui resterà in mano

dopo il fratello, il regno degli Insubri.

Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio

torrà d'Italia Beringario e il figlio;

27

e sarà degno a cui Cesare Otone

Alda sua figlia, in matrimonio aggiunga.

Vedi un altro Ugo: oh bella successione,

che dal patrio valor non si dislunga!

Costui sarà, che per giusta cagione

ai superbi Roman l'orgoglio emunga,

che 'l terzo Otone e il pontefice tolga

de le man loro, e 'l grave assedio sciolga.

28

Vedi Folco, che par ch'al suo germano,

ciò che in Italia avea, tutto abbi dato,

e vada a possedere indi lontano

in mezzo agli Alamanni un gran ducato;

e dia alla casa di Sansogna mano,

che caduta sarà tutta da un lato;

e per la linea de la madre, erede,

con la progenie sua la terrà in piede.

29

Questo ch'or a nui viene è il secondo Azzo,

di cortesia più che di guerre amico,

tra dui figli, Bertoldo ed Albertazzo.

Vinto da l'un sarà il secondo Enrico,

e del sangue tedesco orribil guazzo

Parma vedrà per tutto il campo aprico:

de l'altro la contessa gloriosa,

saggia e casta Matilde, sarà sposa.

30

Virtù il farà di tal connubio degno;

ch'a quella età non poca laude estimo

quasi di mezza Italia in dote il regno,

e la nipote aver d'Enrico primo.

Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,

Rinaldo tuo, ch'avrà l'onor opimo

d'aver la Chiesa de le man riscossa

de l'empio Federico Barbarossa.

31

Ecco un altro Azzo, ed è quel che Verona

avrà in poter col suo bel tenitorio;

e sarà detto marchese d'Ancona

dal quarto Otone e dal secondo Onorio.

Lungo sarà s'io mostro ogni persona

del sangue tuo, ch'avrà del consistorio

il confalone, e s'io narro ogni impresa

vinta da lor per la romana Chiesa.

32

Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,

ambi gli Enrichi, il figlio al padre a canto;

duo Guelfi, di quai l'uno Umbria soggiughi,

e vesta di Spoleti il ducal manto.

Ecco che 'l sangue e le gran piaghe asciughi

d'Italia afflitta, e volga in riso il pianto:

di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto)

onde Ezellin fia rotto, preso, estinto.

33

Ezellino, immanissimo tiranno,

che fia creduto figlio del demonio,

farà, troncando i sudditi, tal danno,

e distruggendo il bel paese ausonio,

che pietosi apo lui stati saranno

Mario, Silla, Neron, Caio ed Antonio.

E Federico imperator secondo

fia per questo Azzo rotto e messo al fondo.

34

Terrà costui con più felice scettro

la bella terra che siede sul fiume,

dove chiamò con lacrimoso plettro

Febo il figliuol ch'avea mal retto il lume,

quando fu pianto il fabuloso elettro,

e Cigno si vestì di bianche piume;

e questa di mille oblighi mercede

gli donerà l'Apostolica sede.

35

Dove lascio il fratel Aldrobandino?

che per dar al pontefice soccorso

contra Oton quarto e il campo ghibellino

che sarà presso al Campidoglio corso,

ed avrà preso ogni luogo vicino,

e posto agli Umbri e alli Piceni il morso;

né potendo prestargli aiuto senza

molto tesor, ne chiederà a Fiorenza;

36

e non avendo gioie o miglior pegni,

per sicurtà daralle il frate in mano.

Spiegherà i suoi vittoriosi segni,

e romperà l'esercito germano;

in seggio riporrà la Chiesa, e degni

darà supplici ai conti di Celano;

ed al servizio del sommo Pastore

finirà gli anni suoi nel più bel fiore.

37

Ed Azzo, il suo fratel, lascierà erede

del dominio d'Ancona e di Pisauro,

d'ogni città che da Troento siede

tra il mare e l'Apennin fin all'Isauro,

e di grandezza d'animo e di fede,

e di virtù, miglior che gemme ed auro:

che dona e tolle ogn'altro ben Fortuna;

sol in virtù non ha possanza alcuna.

38

Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio

splenderà di valor, pur che non sia

a tanta esaltazion del bel lignaggio

Morte o Fortuna invidiosa e ria.

Udirne il duol fin qui da Napoli aggio,

dove del padre allor statico fia.

Or Obizzo ne vien, che giovinetto

dopo l'avo sarà principe eletto.

39

Al bel dominio accrescerà costui

Reggio giocondo, e Modona feroce.

Tal sarà il suo valor, che signor lui

domanderanno i populi a una voce.

Vedi Azzo sesto, un de' figliuoli sui,

confalonier de la cristiana croce:

avrà il ducato d'Andria con la figlia

del secondo re Carlo di Siciglia.

40

Vedi in un bello ed amichevol groppo

de li principi illustri l'eccellenza:

Obizzo, Aldrobandin, Nicolò zoppo,

Alberto, d'amor pieno e di clemenza.

Io tacerò, per non tenerti troppo,

come al bel regno aggiungeran Favenza,

e con maggior fermezza Adria, che valse

da sé nomar l'indomite acque salse;

41

come la terra, il cui produr di rose

le diè piacevol nome in greche voci,

e la città ch'in mezzo alle piscose

paludi, del Po teme ambe le foci,

dove abitan le genti disiose

che 'l mar si turbi e sieno i venti atroci.

Taccio d'Argenta, di Lugo e di mille

altre castella e populose ville.

42

Ve' Nicolò, che tenero fanciullo

il popul crea signor de la sua terra,

e di Tideo fa il pensier vano e nullo,

che contra lui le civil arme afferra.

Sarà di questo il pueril trastullo

sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;

e da lo studio del tempo primiero

il fior riuscirà d'ogni guerriero.

43

Farà de' suoi ribelli uscire a voto

ogni disegno, e lor tornare in danno;

ed ogni stratagema avrà sì noto,

che sarà duro il poter fargli inganno.

Tardi di questo s'avedrà il terzo Oto,

e di Reggio e di Parma aspro tiranno,

che da costui spogliato a un tempo fia

e del dominio e de la vita ria.

44

Avrà il bel regno poi sempre augumento

senza torcer mai piè dal camin dritto;

né ad alcuno farà mai nocumento,

da cui prima non sia d'ingiuria afflitto:

ed è per questo il gran Motor contento

che non gli sia alcun termine prescritto:

ma duri prosperando in meglio sempre,

fin che si volga il ciel ne le sue tempre.

45

Vedi Leonello, e vedi il primo duce,

fama de la sua età, l'inclito Borso,

che siede in pace, e più trionfo adduce

di quanti in altrui terre abbino corso.

Chiuderà Marte ove non veggia luce,

e stringerà al Furor le mani al dorso.

Di questo signor splendido ogni intento

sarà che 'l popul suo viva contento.

46

Ercole or vien, ch'al suo vicin rinfaccia,

col piè mezzo arso e con quei debol passi,

come a Budrio col petto e con la faccia

il campo volto in fuga gli fermassi;

non perché in premio poi guerra gli faccia,

né, per cacciarlo, fin nel Barco passi.

Questo è il signor, di cui non so esplicarme

se fia maggior la gloria o in pace o in arme.

47

Terran Pugliesi, Calabri e Lucani

de' gesti di costui lunga memoria,

là dove avrà dal Re de' Catalani

di pugna singular la prima gloria;

e nome tra gl'invitti capitani

s'acquisterà con più d'una vittoria:

avrà per sua virtù la signoria,

più di trenta anni a lui debita pria.

48

E quanto più aver obligo si possa

a principe, sua terra avrà a costui;

non perché fia de le paludi mossa

tra campi fertilissimi da lui;

non perché la farà con muro e fossa

meglio capace a' cittadini sui,

e l'ornarà di templi e di palagi,

di piazze, di teatri e di mille agi;

49

non perché dagli artigli de l'audace

aligero Leon terrà difesa;

non perché, quando la gallica face

per tutto avrà la bella Italia accesa,

si starà sola col suo stato in pace,

e dal timore e dai tributi illesa:

non sì per questi ed altri benefici

saran sue genti ad Ercol debitrici:

50

quanto che darà lor l'inclita prole,

il giusto Alfonso e Ippolito benigno,

che saran quai l'antiqua fama suole

narrar de' figli del Tindareo cigno,

ch'alternamente si privan del sole

per trar l'un l'altro de l'aer maligno.

Sarà ciascuno d'essi e pronto e forte

l'altro salvar con sua perpetua morte.

51

Il grande amor di questa bella coppia

renderà il popul suo via più sicuro,

che se, per opra di Vulcan, di doppia

cinta di ferro avesse intorno il muro.

Alfonso è quel che col saper accoppia

sì la bontà, ch'al secolo futuro

la gente crederà che sia dal cielo

tornata Astrea dove può il caldo e il gielo.

52

A grande uopo gli fia l'esser prudente,

e di valore assimigliarsi al padre;

che si ritroverà, con poca gente,

da un lato aver le veneziane squadre,

colei dall'altro, che più giustamente

non so se devrà dir matrigna o madre;

ma se per madre, a lui poco più pia,

che Medea ai figli o Progne stata sia.

53

E quante volte uscirà giorno o notte

col suo popul fedel fuor de la terra,

tante sconfitte e memorabil rotte

darà a' nimici o per acqua o per terra.

Le genti di Romagna mal condotte,

contra i vicini e lor già amici, in guerra,

se n'avedranno, insanguinando il suolo

che serra il Po, Santerno e Zanniolo.

54

Nei medesmi confini anco saprallo

del gran Pastore il mercenario Ispano,

che gli avrà dopo con poco intervallo

la Bastìa tolta, e morto il castellano,

quando l'avrà già preso; e per tal fallo

non fia, dal minor fante al capitano,

che del racquisto e del presidio ucciso

a Roma riportar possa l'aviso.

55

Costui sarà, col senno e con la lancia,

ch'avrà l'onor, nei campi di Romagna,

d'aver dato all'esercito di Francia

la gran vittoria contra Iulio e Spagna.

Nuoteranno i destrier fin alla pancia

nel sangue uman per tutta la campagna;

ch'a sepelire il popul verrà manco

tedesco, ispano, greco, italo, e franco.

56

Quel ch'in pontificale abito imprime

del purpureo capel la sacra chioma,

è il liberal, magnanimo, sublime,

gran cardinal de la Chiesa di Roma

Ippolito, ch'a prose, a versi, a rime

darà materia eterna in ogni idioma;

la cui fiorita età vuole il ciel iusto

ch'abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto.

57

Adornerà la sua progenie bella,

come orna il sol la machina del mondo

molto più de la luna e d'ogni stella;

ch'ogn'altro lume a lui sempre è secondo.

Costui con pochi a piedi e meno in sella

veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;

che quindici galee mena captive,

oltra mill'altri legni alle sue rive.

58

Vedi poi l'uno e l'altro Sigismondo.

Vedi d'Alfonso i cinque figli cari,

alla cui fama ostar, che di sé il mondo

non empia, i monti non potran né i mari:

gener del re di Francia, Ercol secondo

è l'un; quest'altro (acciò tutti gl'impari)

Ippolito è, che non con minor raggio

che 'l zio, risplenderà nel suo lignaggio;

59

Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui

ambi son detti. Or, come io dissi prima,

s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui

valor la stirpe sua tanto sublima,

bisognerà che si rischiari e abbui

più volte prima il ciel, ch'io te li esprima:

e sarà tempo ormai, quando ti piaccia,

ch'io dia licenza all'ombre e ch'io mi taccia. —

60

Così con voluntà de la donzella

la dotta incantatrice il libro chiuse.

Tutti gli spirti allora ne la cella

spariro in fretta, ove eran l'ossa chiuse.

Qui Bradamante, poi che la favella

le fu concessa usar, la bocca schiuse,

e domandò: — Chi son li dua sì tristi,

che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?

61

Veniano sospirando, e gli occhi bassi

parean tener d'ogni baldanza privi;

e gir lontan da loro io vedea i passi

dei frati sì, che ne pareano schivi. —

Parve ch'a tal domanda si cangiassi

la maga in viso, e fe' degli occhi rivi,

e gridò: — Ah sfortunati, a quanta pena

lungo istigar d'uomini rei vi mena!

62

O bona prole, o degna d'Ercol buono,

non vinca il lor fallir vostra bontade:

di vostro sangue i miseri pur sono;

qui ceda la iustizia alla pietade. —

Indi soggiunse con più basso suono:

— Di ciò dirti più inanzi non accade.

Statti col dolce in bocca; e non ti doglia

ch'amareggiare al fin non te la voglia.

63

Tosto che spunti in ciel la prima luce,

piglierai meco la più dritta via

ch'al lucente castel d'acciai' conduce,

dove Ruggier vive in altrui balìa.

Io tanto ti sarò compagna e duce,

che tu sia fuor de l'aspra selva ria:

t'insegnerò, poi che saren sul mare,

sì ben la via, che non potresti errare. —

64

Quivi l'audace giovane rimase

tutta la notte, e gran pezzo ne spese

a parlar con Merlin, che le suase

rendersi tosto al suo Ruggier cortese.

Lasciò di poi le sotterranee case,

che di nuovo splendor l'aria s'accese,

per un camin gran spazio oscuro e cieco,

avendo la spirtal femmina seco.

65

E riusciro in un burrone ascoso

tra monti inaccessibili alle genti;

e tutto 'l dì senza pigliar riposo

saliron balze e traversar torrenti.

E perché men l'andar fosse noioso,

di piacevoli e bei ragionamenti,

di quel che fu più conferir soave,

l'aspro camin facean parer men grave:

66

di quali era però la maggior parte,

ch'a Bradamante vien la dotta maga

mostrando con che astuzia e con qual arte

proceder de', se di Ruggiero è vaga.

— Se tu fossi (dicea) Pallade o Marte,

e conducessi gente alla tua paga

più che non ha il re Carlo e il re Agramante,

non dureresti contra il negromante;

67

che oltre che d'acciar murata sia

la rocca inespugnabile, e tant'alta;

oltre che 'l suo destrier si faccia via

per mezzo l'aria, ove galoppa e salta;

ha lo scudo mortal, che come pria

si scopre, il suo splendor sì gli occhi assalta,

la vista tolle, e tanto occupa i sensi,

che come morto rimaner conviensi.

68

E se forse ti pensi che ti vaglia

combattendo tener serrati gli occhi,

come potrai saper ne la battaglia

quando ti schivi, o l'avversario tocchi?

Ma per fuggire il lume ch'abbarbaglia,

e gli altri incanti di colui far sciocchi,

ti mostrerò un rimedio, una via presta;

né altra in tutto 'l mondo è se non questa.

69

Il re Agramante d'Africa uno annello,

che fu rubato in India a una regina,

ha dato a un suo baron detto Brunello,

che poche miglia inanzi ne camina;

di tal virtù, che chi nel dito ha quello,

contra il mal degl'incanti ha medicina.

Sa de furti e d'inganni Brunel, quanto

colui, che tien Ruggier, sappia d'incanto.

70

Questo Brunel sì pratico e sì astuto,

come io ti dico, è dal suo re mandato

acciò che col suo ingegno e con l'aiuto

di questo annello, in tal cose provato,

di quella rocca dove è ritenuto,

traggia Ruggier, che così s'è vantato,

ed ha così promesso al suo signore,

a cui Ruggiero è più d'ogn'altro a core.

71

Ma perché il tuo Ruggiero a te sol abbia,

e non al re Agramante, ad obligarsi

che tratto sia de l'incantata gabbia,

t'insegnerò il rimedio che de' usarsi.

Tu te n'andrai tre dì lungo la sabbia

del mar, ch'è oramai presso a dimostrarsi;

il terzo giorno in un albergo teco

arriverà costui c'ha l'annel seco.

72

La sua statura, acciò tu lo conosca,

non è sei palmi, ed ha il capo ricciuto;

le chiome ha nere, ed ha la pelle fosca;

pallido il viso, oltre il dover barbuto;

gli occhi gonfiati e guardatura losca;

schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto:

l'abito, acciò ch'io lo dipinga intero,

è stretto e corto, e sembra di corriero.

73

Con esso lui t'accaderà soggetto

di ragionar di quell'incanti strani:

mostra d'aver, come tu avra' in effetto,

disio che 'l mago sia teco alle mani;

ma non mostrar che ti sia stato detto

di quel suo annel che fa gl'incanti vani.

Egli t'offerirà mostrar la via

fin alla rocca e farti compagnia.

74

Tu gli va dietro: e come t'avicini

a quella rocca sì ch'ella si scopra,

dàgli la morte; né pietà t'inchini

che tu non metta il mio consiglio in opra.

Né far ch'egli il pensier tuo s'indovini,

e ch'abbia tempo che l'annel lo copra;

perché ti spariria dagli occhi, tosto

ch'in bocca il sacro annel s'avesse posto. —

75

Così parlando, giunsero sul mare,

dove presso a Bordea mette Garonna.

Quivi, non senza alquanto lagrimare,

si dipartì l'una da l'altra donna.

La figliuola d'Amon, che per slegare

di prigione il suo amante non assonna,

caminò tanto, che venne una sera

ad uno albergo, ove Brunel prim'era.

76

Conosce ella Brunel come lo vede,

di cui la forma avea sculpita in mente:

onde ne viene, ove ne va, gli chiede;

quel le risponde, e d'ogni cosa mente.

La donna, già prevista, non gli cede

in dir menzogne, e simula ugualmente

e patria e stirpe e setta e nome e sesso;

e gli volta alle man pur gli occhi spesso.

77

Gli va gli occhi alle man spesso voltando,

in dubbio sempre esser da lui rubata;

né lo lascia venir troppo accostando,

di sua condizion bene informata.

Stavano insieme in questa guisa, quando

l'orecchia da un rumor lor fu intruonata.

Poi vi dirò, Signor, che ne fu causa,

ch'avrò fatto al cantar debita pausa.

CANTO QUARTO

1

Quantunque il simular sia le più volte

ripreso, e dia di mala mente indici,

si trova pur in molte cose e molte

aver fatti evidenti benefici,

e danni e biasmi e morti aver già tolte;

che non conversiam sempre con gli amici

in questa assai più oscura che serena

vita mortal, tutta d'invidia piena.

2

Se, dopo lunga prova, a gran fatica

trovar si può chi ti sia amico vero,

ed a chi senza alcun sospetto dica

e discoperto mostri il tuo pensiero;

che de' far di Ruggier la bella amica

con quel Brunel non puro e non sincero,

ma tutto simulato e tutto finto,

come la maga le l'avea dipinto?

3

Simula anch'ella; e così far conviene

con esso lui di finzioni padre;

e, come io dissi, spesso ella gli tiene

gli occhi alle man, ch'eran rapaci e ladre.

Ecco all'orecchie un gran rumor lor viene.

Disse la donna: — O gloriosa Madre,

o Re del ciel, che cosa sarà questa? —

E dove era il rumor si trovò presta.

4

E vede l'oste e tutta la famiglia,

e chi a finestre e chi fuor ne la via,

tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,

come l'ecclisse o la cometa sia.

Vede la donna un'alta maraviglia,

che di leggier creduta non saria:

vede passar un gran destriero alato,

che porta in aria un cavalliero armato.

5

Grandi eran l'ale e di color diverso,

e vi sedea nel mezzo un cavalliero,

di ferro armato luminoso e terso;

e vêr ponente avea dritto il sentiero.

Calossi, e fu tra le montagne immerso:

e, come dicea l'oste (e dicea il vero),

quel era un negromante, e facea spesso

quel varco, or più da lungi, or più da presso.

6

Volando, talor s'alza ne le stelle,

e poi quasi talor la terra rade;

e ne porta con lui tutte le belle

donne che trova per quelle contrade:

talmente che le misere donzelle

ch'abbino o aver si credano beltade

(come affatto costui tutte le invole)

non escon fuor sì che le veggia il sole.

7

— Egli sul Pireneo tiene un castello

(narrava l'oste) fatto per incanto,

tutto d'acciaio, e sì lucente e bello,

ch'altro al mondo non è mirabil tanto.

Già molti cavallier sono iti a quello,

e nessun del ritorno si dà vanto:

sì ch'io penso, signore, e temo forte,

o che sian presi, o sian condotti a morte. —

8

La donna il tutto ascolta, e le ne giova,

credendo far, come farà per certo,

con l'annello mirabile tal prova,

che ne fia il mago e il suo castel deserto;

e dice a l'oste: — Or un de' tuoi mi trova,

che più di me sia del viaggio esperto;

ch'io non posso durar: tanto ho il cor vago

di far battaglia contro a questo mago. —

9

— Non ti mancherà guida (le rispose

Brunello allora), e ne verrò teco io:

meco ho la strada in scritto, ed altre cose

che ti faran piacere il venir mio. —

Volse dir de l'annel; ma non l'espose,

né chiarì più, per non pagarne il fio.

— Grato mi fia (disse ella) il venir tuo; —

volendo dir ch'indi l'annel fia suo.

10

Quel ch'era utile a dir disse; e quel tacque,

che nuocer le potea col Saracino.

Avea l'oste un destrier ch'a costei piacque,

ch'era buon da battaglia e da camino:

comperollo e partissi come nacque

del bel giorno seguente il matutino.

Prese la via per una stretta valle,

con Brunello ora inanzi, ora alle spalle.

11

Di monte in monte e d'uno in altro bosco

giunsero ove l'altezza di Pirene

può dimostrar, se non è l'aer fosco,

e Francia e Spagna e due diverse arene,

come Apennin scopre il mar schiavo e il tosco

del giogo onde a Camaldoli si viene.

Quindi per aspro e faticoso calle

si discendea ne la profonda valle.

12

Vi sorge in mezzo un sasso che la cima

d'un bel muro d'acciar tutta si fascia;

e quella tanto inverso il ciel sublima,

che quanto ha intorno, inferior si lascia.

Non faccia, chi non vola, andarvi stima;

che spesa indarno vi saria ogni ambascia.

Brunel disse: — Ecco dove prigionieri

il mago tien le donne e i cavallieri. —

13

Da quattro canti era tagliato, e tale

che parea dritto a fil de la sinopia.

Da nessun lato né sentier né scale

v'eran, che di salir facesser copia:

e ben appar che d'animal ch'abbia ale

sia quella stanza nido e tana propia.

Quivi la donna esser conosce l'ora

di tor l'annello, e far che Brunel mora.

14

Ma le par atto vile a insaguinarsi

d'un uom senza arme e di sì ignobil sorte;

che ben potrà posseditrice farsi

del ricco annello, e lui non porre a morte.

Brunel non avea mente a riguardarsi;

sì ch'ella il prese, e lo legò ben forte

ad uno abete ch'alta avea la cima:

ma di dito l'annel gli trasse prima.

15

Né per lacrime, gemiti o lamenti

che facesse Brunel, lo volse sciorre.

Smontò de la montagna a passi lenti,

tanto che fu nel pian sotto la torre.

E perché alla battaglia s'appresenti

il negromante, al corno suo ricorre:

e dopo il suon, con minacciose grida

lo chiama al campo, ed alla pugna 'l sfida.

16

Non stette molto a uscir fuor de la porta

l'incantator, ch'udì 'l suono e la voce.

L'alato corridor per l'aria il porta

contra costei, che sembra uomo feroce.

La donna da principio si conforta;

che vede che colui poco le nuoce:

non porta lancia né spada né mazza,

ch'a forar l'abbia o romper la corazza.

17

Da la sinistra sol lo scudo avea,

tutto coperto di seta vermiglia;

ne la man destra un libro, onde facea

nascer, leggendo, l'alta maraviglia:

che la lancia talor correr parea,

e fatto avea a più d'un batter le ciglia;

talor parea ferir con mazza o stocco,

e lontano era, e non avea alcun tocco.

18

Non è finto il destrier, ma naturale,

ch'una giumenta generò d'un Grifo:

simile al padre avea la piuma e l'ale,

li piedi anteriori, il capo e il grifo;

in tutte l'altre membra parea quale

era la madre, e chiamasi ippogrifo;

che nei monti Rifei vengon, ma rari,

molto di là dagli aghiacciati mari.

19

Quivi per forza lo tirò d'incanto;

e poi che l'ebbe, ad altro non attese,

e con studio e fatica operò tanto,

ch'a sella e briglia il cavalcò in un mese:

così ch'in terra e in aria e in ogni canto

lo facea volteggiar senza contese.

Non finzion d'incanto, come il resto,

ma vero e natural si vedea questo.

20

Del mago ogn'altra cosa era figmento,

che comparir facea pel rosso il giallo;

ma con la donna non fu di momento,

che per l'annel non può vedere in fallo.

Più colpi tuttavia diserra al vento,

e quinci e quindi spinge il suo cavallo;

e si dibatte e si travaglia tutta,

come era, inanzi che venisse, istrutta.

21

E poi che esercitata si fu alquanto

sopra il destrier, smontar volse anco a piede,

per poter meglio al fin venir di quanto

la cauta maga istruzion le diede.

Il mago vien per far l'estremo incanto;

che del fatto ripar né sa né crede:

scuopre lo scudo, e certo si prosume

farla cader con l'incantato lume.

22

Potea così scoprirlo al primo tratto,

senza tenere i cavallieri a bada;

ma gli piacea veder qualche bel tratto

di correr l'asta o di girar la spada:

come si vede ch'all'astuto gatto

scherzar col topo alcuna volta aggrada;

e poi che quel piacer gli viene a noia,

dargli di morso, e al fin voler che muoia.

23

Dico che 'l mago al gatto, e gli altri al topo

s'assimigliar ne le battaglie dianzi;

ma non s'assimigliar già così, dopo

che con l'annel si fe' la donna inanzi.

Attenta e fissa stava a quel ch'era uopo,

acciò che nulla seco il mago avanzi;

e come vide che lo scudo aperse,

chiuse gli occhi, e lasciò quivi caderse.

24

Non che il fulgor del lucido metallo,

come soleva agli altri, a lei nocesse;

ma così fece acciò che dal cavallo

contra sé il vano incantator scendesse:

né parte andò del suo disegno in fallo;

che tosto ch'ella il capo in terra messe,

accelerando il volator le penne,

con larghe ruote in terra a por si venne.

25

Lascia all'arcion lo scudo, che già posto

avea ne la coperta, e a piè discende

verso la donna che, come reposto

lupo alla macchia il capriolo, attende.

Senza più indugio ella si leva tosto

che l'ha vicino, e ben stretto lo prende.

Avea lasciato quel misero in terra

il libro che facea tutta la guerra:

26

e con una catena ne correa,

che solea portar cinta a simil uso;

perché non men legar colei credea,

che per adietro altri legare era uso.

La donna in terra posto già l'avea:

se quel non si difese, io ben l'escuso;

che troppo era la cosa differente

tra un debol vecchio e lei tanto possente.

27

Disegnando levargli ella la testa,

alza la man vittoriosa in fretta;

ma poi che 'l viso mira, il colpo arresta,

quasi sdegnando sì bassa vendetta:

un venerabil vecchio in faccia mesta

vede esser quel ch'ella ha giunto alla stretta,

che mostra al viso crespo e al pelo bianco,

età di settanta anni o poco manco.

28

— Tommi la vita, giovene, per Dio, —

dicea il vecchio pien d'ira e di dispetto;

ma quella a torla avea sì il cor restio,

come quel di lasciarla avria diletto.

La donna di sapere ebbe disio

chi fosse il negromante, ed a che effetto

edificasse in quel luogo selvaggio

la rocca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.

29

— Né per maligna intenzione, ahi lasso!

(disse piangendo il vecchio incantatore)

feci la bella rocca in cima al sasso,

né per avidità son rubatore;

ma per ritrar sol dall'estremo passo

un cavallier gentil, mi mosse amore,

che, come il ciel mi mostra, in tempo breve

morir cristiano a tradimento deve.

30

Non vede il sol tra questo e il polo austrino

un giovene sì bello e sì prestante:

Ruggiero ha nome, il qual da piccolino

da me nutrito fu, ch'io sono Atlante.

Disio d'onore e suo fiero destino

l'han tratto in Francia dietro al re Agramante;

ed io, che l'amai sempre più che figlio,

lo cerco trar di Francia e di periglio.

31

La bella rocca solo edificai

per tenervi Ruggier sicuramente,

che preso fu da me, come sperai

che fossi oggi tu preso similmente;

e donne e cavallier, che tu vedrai,

poi ci ho ridotti, ed altra nobil gente,

acciò che quando a voglia sua non esca,

avendo compagnia, men gli rincresca.

32

Pur ch'uscir di là su non si domande,

d'ogn'altro gaudio lor cura mi tocca;

che quanto averne da tutte le bande

si può del mondo, è tutto in quella rocca:

suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,

quanto può cor pensar, può chieder bocca.

Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;

ma tu sei giunto a disturbarmi il tutto.

33

Deh, se non hai del viso il cor men bello,

non impedir il mio consiglio onesto!

Piglia lo scudo (ch'io tel dono) e quello

destrier che va per l'aria così presto;

e non t'impacciar oltra nel castello,

o tranne uno o duo amici, e lascia il resto;

o tranne tutti gli altri, e più non chero,

se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.

34

E se disposto sei volermel torre,

deh, prima almen che tu 'l rimeni in Francia,

piacciati questa afflitta anima sciorre

de la sua scorza ormai putrida e rancia! —

Rispose la donzella: — Lui vo' porre

in libertà: tu, se sai, gracchia e ciancia;

né mi offerir di dar lo scudo in dono,

o quel destrier, che miei, non più tuoi sono:

35

né s'anco stesse a te di torre e darli,

mi parrebbe che 'l cambio convenisse.

Tu di' che Ruggier tieni per vietarli

il male influsso di sue stelle fisse.

O che non puoi saperlo, o non schivarli,

sappiendol, ciò che 'l ciel di lui prescrisse:

ma se 'l mal tuo, c'hai sì vicin, non vedi,

peggio l'altrui c'ha da venir prevedi.

36

Non pregar ch'io t'uccida, ch'i tuoi preghi

sariano indarno; e se pur vuoi la morte,

ancor che tutto il mondo dar la nieghi,

da sé la può aver sempre animo forte.

Ma pria che l'alma da la carne sleghi,

a tutti i tuoi prigioni apri le porte. —

Così dice la donna, e tuttavia

il mago preso incontra al sasso invia.

37

Legato de la sua propria catena

andava Atlante, e la donzella appresso,

che così ancor se ne fidava a pena,

ben che in vista parea tutto rimesso.

Non molti passi dietro se la mena,

ch'a piè del monte han ritrovato il fesso,

e li scaglioni onde si monta in giro,

fin ch'alla porta del castel saliro.

38

Di su la soglia Atlante un sasso tolle,

di caratteri e strani segni isculto.

Sotto, vasi vi son, che chiamano olle,

che fuman sempre, e dentro han foco occulto.

L'incantator le spezza; e a un tratto il colle

riman deserto, inospite ed inculto;

né muro appar né torre in alcun lato,

come se mai castel non vi sia stato.

39

Sbrigossi de la donna il mago alora,

come fa spesso il tordo da la ragna;

e con lui sparve il suo castello a un'ora,

e lasciò in libertà quella compagna.

Le donne e i cavallier si trovar fuora

de le superbe stanze alla campagna:

e furon di lor molte a chi ne dolse;

che tal franchezza un gran piacer lor tolse.

40

Quivi è Gradasso, quivi è Sacripante,

quivi è Prasildo, il nobil cavalliero

che con Rinaldo venne di Levante,

e seco Iroldo, il par d'amici vero.

Al fin trovò la bella Bradamante

quivi il desiderato suo Ruggiero,

che, poi che n'ebbe certa conoscenza,

le fe' buona e gratissima accoglienza;

41

come a colei che più che gli occhi sui,

più che 'l suo cor, più che la propria vita

Ruggiero amò dal dì ch'essa per lui

si trasse l'elmo, onde ne fu ferita.

Lungo sarebbe a dir come, e da cui,

e quanto ne la selva aspra e romita

si cercar poi la notte e il giorno chiaro;

né, se non qui, mai più si ritrovaro.

42

Or che quivi la vede, e sa ben ch'ella

è stata sola la sua redentrice,

di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella

sé fortunato ed unico felice.

Scesero il monte, e dismontaro in quella

valle, ove fu la donna vincitrice,

e dove l'ippogrifo trovaro anco,

ch'avea lo scudo, ma coperto, al fianco.

43

La donna va per prenderlo nel freno:

e quel l'aspetta fin che se gli accosta;

poi spiega l'ale per l'aer sereno,

e si ripon non lungi a mezza costa.

Ella lo segue: e quel né più né meno

si leva in aria, e non troppo si scosta;

come fa la cornacchia in secca arena,

che dietro il cane or qua or là si mena.

44

Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti

quei cavallier che scesi erano insieme,

chi di sù, chi di giù, si son ridutti

dove che torni il volatore han speme.

Quel, poi che gli altri invano ebbe condutti

più volte e sopra le cime supreme

e negli umidi fondi tra quei sassi,

presso a Ruggiero al fin ritenne i passi.

45

E questa opera fu del vecchio Atlante,

di cui non cessa la pietosa voglia

di trar Rugier del gran periglio instante:

di ciò sol pensa e di ciò solo ha doglia.

Però gli manda or l'ippogrifo avante,

perché d'Europa con questa arte il toglia.

Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo;

ma quel s'arretra, e non vuol seguitarlo.

46

Or di Frontin quel animoso smonta

(Frontino era nomato il suo destriero),

e sopra quel che va per l'aria monta,

e con li spron gli adizza il core altiero.

Quel corre alquanto, ed indi i piedi ponta,

e sale inverso il ciel, via più leggiero

che 'l girifalco, a cui lieva il capello

il mastro a tempo, e fa veder l'augello.

47

La bella donna, che sì in alto vede

e con tanto periglio il suo Ruggiero,

resta attonita in modo, che non riede

per lungo spazio al sentimento vero.

Ciò che già inteso avea di Ganimede

ch'al ciel fu assunto dal paterno impero,

dubita assai che non accada a quello,

non men gentil di Ganimede e bello.

48

Con gli occhi fissi al ciel lo segue quanto

basta il veder; ma poi che si dilegua

sì, che la vista non può correr tanto,

lascia che sempre l'animo lo segua.

Tuttavia con sospir, gemito e pianto

non ha, né vuol aver pace né triegua.

Poi che Ruggier di vista se le tolse,

al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:

49

e si deliberò di non lasciarlo,

che fosse in preda a chi venisse prima;

ma di condurlo seco e di poi darlo

al suo signor, ch'anco veder pur stima.

Poggia l'augel, né può Ruggier frenarlo:

di sotto rimaner vede ogni cima

ed abbassarsi in guisa, che non scorge

dove è piano il terren né dove sorge.

50

Poi che sì ad alto vien, ch'un picciol punto

lo può stimar chi da la terra il mira,

prende la via verso ove cade a punto

il sol, quando col Granchio si raggira,

e per l'aria ne va come legno unto

a cui nel mar propizio vento spira.

Lasciamlo andar, che farà buon camino,

e torniamo a Rinaldo paladino.

51

Rinaldo l'altro e l'altro giorno scorse,

spinto dal vento, un gran spazio di mare,

quando a ponente e quando contra l'Orse,

che notte e dì non cessa mai soffiare.

Sopra la Scozia ultimamente sorse,

dove la selva Calidonia appare,

che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri

s'ode sonar di bellicosi ferri.

52

Vanno per quella i cavallieri erranti,

incliti in arme, di tutta Bretagna,

e de' prossimi luoghi e de' distanti,

di Francia, di Norvegia e de Lamagna.

Chi non ha gran valor, non vada inanti;

che dove cerca onor, morte guadagna.

Gran cose in essa già fece Tristano,

Lancillotto, Galasso, Artù e Galvano,

53

ed altri cavallieri e de la nuova

e de la vecchia Tavola famosi:

restano ancor di più d'una lor pruova

li monumenti e li trofei pomposi.

L'arme Rinaldo e il suo Baiardo truova,

e tosto si fa por nei liti ombrosi,

ed al nochier comanda che si spicche

e lo vada aspettar a Beroicche.

54

Senza scudiero e senza compagnia

va il cavallier per quella selva immensa,

facendo or una ed or un'altra via,

dove più aver strane aventure pensa.

Capitò il primo giorno a una badia,

che buona parte del suo aver dispensa

in onorar nel suo cenobio adorno

le donne i cavallier che vanno attorno.

55

Bella accoglienza i monachi e l'abbate

fero a Rinaldo, il qual domandò loro

(non prima già che con vivande grate

avesse avuto il ventre amplo ristoro)

come dai cavallier sien ritrovate

spesso aventure per quel tenitoro,

dove si possa in qualche fatto eggregio

l'uom dimostrar, se merta biasmo o pregio.

56

Risposongli ch'errando in quelli boschi,

trovar potria strane aventure e molte:

ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi;

che non se n'ha notizia le più volte.

— Cerca (diceano) andar dove conoschi

che l'opre tue non restino sepolte,

acciò dietro al periglio e alla fatica

segua la fama, e il debito ne dica.

57

E se del tuo valor cerchi far prova,

t'è preparata la più degna impresa

che ne l'antiqua etade o ne la nova

giamai da cavallier sia stata presa.

La figlia del re nostro or si ritrova

bisognosa d'aiuto e di difesa

contra un baron che Lurcanio si chiama,

che tor le cerca e la vita e la fama.

58

Questo Lurcanio al padre l'ha accusata

(forse per odio più che per ragione)

averla a mezza notte ritrovata

trarr'un suo amante a sé sopra un verrone.

Per le leggi del regno condannata

al foco fia, se non truova campione

che fra un mese, oggimai presso a finire,

l'iniquo accusator faccia mentire.

59

L'aspra legge di Scozia, empia e severa,

vuol ch'ogni donna, e di ciascuna sorte,

ch'ad uomo si giunga, e non gli sia mogliera,

s'accusata ne viene, abbia la morte.

Né riparar si può ch'ella non pera,

quando per lei non venga un guerrier forte

che tolga la difesa, e che sostegna

che sia innocente e di morire indegna.

60

Il re, dolente per Ginevra bella

(che così nominata è la sua figlia),

ha publicato per città e castella,

che s'alcun la difesa di lei piglia,

e che l'estingua la calunnia fella

(pur che sia nato di nobil famiglia),

l'avrà per moglie, ed uno stato, quale

fia convenevol dote a donna tale.

61

Ma se fra un mese alcun per lei non viene,

o venendo non vince, sarà uccisa.

Simile impresa meglio ti conviene,

ch'andar pei boschi errando a questa guisa:

oltre ch'onor e fama te n'aviene

ch'in eterno da te non fia divisa,

guadagni il fior di quante belle donne

da l'Indo sono all'Atlantee colonne;

62

e una ricchezza appresso, ed uno stato

che sempre far ti può viver contento;

e la grazia del re, se suscitato

per te gli fia il suo onor, che è quasi spento.

Poi per cavalleria tu se' ubligato

a vendicar di tanto tradimento

costei, che per commune opinione,

di vera pudicizia è un paragone. —

63

Pensò Rinaldo alquanto, e poi rispose:

— Una donzella dunque dè' morire

perché lasciò sfogar ne l'amorose

sue braccia al suo amator tanto desire?

Sia maladetto chi tal legge pose,

e maladetto chi la può patire!

Debitamente muore una crudele,

non chi dà vita al suo amator fedele.

64

Sia vero o falso che Ginevra tolto

s'abbia il suo amante, io non riguardo a questo:

d'averlo fatto la loderei molto,

quando non fosse stato manifesto.

Ho in sua difesa ogni pensier rivolto:

datemi pur un che mi guidi presto,

e dove sia l'accusator mi mene;

ch'io spero in Dio Ginevra trar di pene.

65

Non vo' già dir ch'ella non l'abbia fatto;

che nol sappiendo, il falso dir potrei:

dirò ben che non de' per simil atto

punizion cadere alcuna in lei;

e dirò che fu ingiusto o che fu matto

chi fece prima gli statuti rei;

e come iniqui rivocar si denno,

e nuova legge far con miglior senno.

66

S'un medesimo ardor, s'un disir pare

inchina e sforza l'uno e l'altro sesso

a quel suave fin d'amor, che pare

all'ignorante vulgo un grave eccesso;

perché si de' punir donna o biasmare,

che con uno o più d'uno abbia commesso

quel che l'uom fa con quante n'ha appetito,

e lodato ne va, non che impunito?

67

Son fatti in questa legge disuguale

veramente alle donne espressi torti;

e spero in Dio mostrar che gli è gran male

che tanto lungamente si comporti. —

Rinaldo ebbe il consenso universale,

che fur gli antiqui ingiusti e male accorti,

che consentiro a così iniqua legge,

e mal fa il re, che può, né la corregge.

68

Poi che la luce candida e vermiglia

de l'altro giorno aperse l'emispero,

Rinaldo l'arme e il suo Baiardo piglia,

e di quella badia tolle un scudiero,

che con lui viene a molte leghe e miglia,

sempre nel bosco orribilmente fiero,

verso la terra ove la lite nuova

de la donzella de' venir in pruova.

69

Avean, cercando abbreviar camino,

lasciato pel sentier la maggior via;

quando un gran pianto udir sonar vicino,

che la foresta d'ogn'intorno empìa.

Baiardo spinse l'un, l'altro il ronzino

verso una valle, onde quel grido uscìa:

e fra dui mascalzoni una donzella

vider, che di lontan parea assai bella;

70

ma lacrimosa e addolorata quanto

donna o donzella o mai persona fosse.

Le sono dui col ferro nudo a canto,

per farle far l'erbe di sangue rosse.

Ella con preghi differendo alquanto

giva il morir, sin che pietà si mosse.

Venne Rinaldo; e come se n'accorse,

con alti gridi e gran minacce accorse.

71

Voltaro i malandrin tosto le spalle,

che 'l soccorso lontan vider venire,

e se appiattar ne la profonda valle.

Il paladin non li curò seguire:

venne a la donna, e qual gran colpa dàlle

tanta punizion, cerca d'udire;

e per tempo avanzar, fa allo scudiero

levarla in groppa, e torna al suo sentiero.

72

E cavalcando poi meglio la guata

molto esser bella e di maniere accorte,

ancor che fosse tutta spaventata

per la paura ch'ebbe de la morte.

Poi ch'ella fu di nuovo domandata

chi l'avea tratta a sì infelice sorte,

incominciò con umil voce a dire

quel ch'io vo' all'altro canto differire.

CANTO QUINTO

1

Tutti gli altri animai che sono in terra,

o che vivon quieti e stanno in pace,

o se vengono a rissa e si fan guerra,

alla femina il maschio non la face:

l'orsa con l'orso al bosco sicura erra,

la leonessa appresso il leon giace;

col lupo vive la lupa sicura,

né la iuvenca ha del torel paura.

2

Ch'abominevol peste, che Megera

è venuta a turbar gli umani petti?

che si sente il marito e la mogliera

sempre garrir d'ingiuriosi detti,

stracciar la faccia e far livida e nera,

bagnar di pianto i geniali letti;

e non di pianto sol, ma alcuna volta

di sangue gli ha bagnati l'ira stolta.

3

Parmi non sol gran mal, ma che l'uom faccia

contra natura e sia di Dio ribello,

che s'induce a percuotere la faccia

di bella donna, o romperle un capello:

ma chi le dà veneno, o chi le caccia

l'alma del corpo con laccio o coltello,

ch'uomo sia quel non crederò in eterno,

ma in vista umana uno spirto de l'inferno.

4

Cotali esser doveano i duo ladroni

che Rinaldo cacciò da la donzella,

da lor condotta in quei scuri valloni

perché non se n'udisse più novella.

Io lasciai ch'ella render le cagioni

s'apparechiava di sua sorte fella

al paladin, che le fu buono amico:

or, seguendo l'istoria, così dico.

5

La donna incominciò: — Tu intenderai

la maggior crudeltade e la più espressa,

ch'in Tebe e in Argo o ch'in Micene mai,

o in loco più crudel fosse commessa.

E se rotando il sole i chiari rai,

qui men ch'all'altre region s'appressa,

credo ch'a noi malvolentieri arrivi,

perché veder sì crudel gente schivi.

6

Ch'agli nemici gli uomini sien crudi,

in ogni età se n'è veduto esempio;

ma dar la morte a chi procuri e studi

il tuo ben sempre, è troppo ingiusto ed empio.

E acciò che meglio il vero io ti denudi,

perché costor volessero far scempio

degli anni verdi miei contra ragione,

ti dirò da principio ogni cagione.

7

Voglio che sappi, signor mio, ch'essendo

tenera ancora, alli servigi venni

de la figlia del re, con cui crescendo,

buon luogo in corte ed onorato tenni.

Crudele Amore, al mio stato invidendo,

fe' che seguace, ahi lassa! gli divenni:

fe' d'ogni cavallier, d'ogni donzello

parermi il duca d'Albania più bello.

8

Perché egli mostrò amarmi più che molto,

io ad amar lui con tutto il cor mi mossi.

Ben s'ode il ragionar, si vede il volto,

ma dentro il petto mal giudicar possi.

Credendo, amando, non cessai che tolto

l'ebbi nel letto, e non guardai ch'io fossi

di tutte le real camere in quella

che più secreta avea Ginevra bella;

9

dove tenea le sue cose più care,

e dove le più volte ella dormia.

Si può di quella in s'un verrone entrare,

che fuor del muro al discoperto uscìa.

Io facea il mio amator quivi montare;

e la scala di corde onde salia

io stessa dal verron giù gli mandai

qual volta meco aver lo desiai:

10

che tante volte ve lo fei venire,

quante Ginevra me ne diede l'agio,

che solea mutar letto, or per fuggire

il tempo ardente, or il brumal malvagio.

Non fu veduto d'alcun mai salire;

però che quella parte del palagio

risponde verso alcune case rotte,

dove nessun mai passa o giorno o notte.

11

Continuò per molti giorni e mesi

tra noi secreto l'amoroso gioco:

sempre crebbe l'amore; e sì m'accesi,

che tutta dentro io mi sentia di foco:

e cieca ne fui sì, ch'io non compresi

ch'egli fingeva molto, e amava poco;

ancor che li suo' inganni discoperti

esser doveanmi a mille segni certi.

12

Dopo alcun dì si mostrò nuovo amante

de la bella Ginevra. Io non so appunto

s'allora cominciasse, o pur inante

de l'amor mio, n'avesse il cor già punto.

Vedi s'in me venuto era arrogante,

s'imperio nel mio cor s'aveva assunto;

che mi scoperse, e non ebbe rossore

chiedermi aiuto in questo nuovo amore.

13

Ben mi dicea ch'uguale al mio non era,

né vero amor quel ch'egli avea a costei;

ma simulando esserne acceso, spera

celebrarne i legitimi imenei.

Dal re ottenerla fia cosa leggiera,

qualor vi sia la volontà di lei;

che di sangue e di stato in tutto il regno

non era, dopo il re, di lu' il più degno.

14

Mi persuade, se per opra mia

potesse al suo signor genero farsi

(che veder posso che se n'alzeria

a quanto presso al re possa uomo alzarsi),

che me n'avria buon merto, e non saria

mai tanto beneficio per scordarsi;

e ch'alla moglie e ch'ad ogni altro inante

mi porrebbe egli in sempre essermi amante.

15

Io, ch'era tutta a satisfargli intenta,

né seppi o volsi contradirgli mai,

e sol quei giorni io mi vidi contenta,

ch'averlo compiaciuto mi trovai;

piglio l'occasion che s'appresenta

di parlar d'esso e di lodarlo assai;

ed ogni industria adopro, ogni fatica,

per far del mio amator Ginevra amica.

16

Feci col core e con l'effetto tutto

quel che far si poteva, e sallo Idio;

né con Ginevra mai potei far frutto,

ch'io le ponessi in grazia il duca mio:

e questo, che ad amar ella avea indutto

tutto il pensiero e tutto il suo disio

un gentil cavallier, bello e cortese,

venuto in Scozia di lontan paese;

17

che con un suo fratel ben giovinetto

venne d'Italia a stare in questa corte;

si fe' ne l'arme poi tanto perfetto,

che la Bretagna non avea il più forte.

Il re l'amava, e ne mostrò l'effetto;

che gli donò di non picciola sorte

castella e ville e iurisdizioni,

e lo fe' grande al par dei gran baroni.

18

Grato era al re, più grato era alla figlia

quel cavallier chiamato Ariodante,

per esser valoroso a maraviglia;

ma più, ch'ella sapea che l'era amante.

Né Vesuvio, né il monte di Siciglia,

né Troia avampò mai di fiamme tante,

quanto ella conoscea che per suo amore

Ariodante ardea per tutto il core.

19

L'amar che dunque ella facea colui

con cor sincero e con perfetta fede,

fe' che pel duca male udita fui;

né mai risposta da sperar mi diede:

anzi quanto io pregava più per lui

e gli studiava d'impetrar mercede,

ella, biasmandol sempre e dispregiando,

se gli venìa più sempre inimicando.

20

Io confortai l'amator mio sovente,

che volesse lasciar la vana impresa;

né si sperasse mai volger la mente

di costei, troppo ad altro amore intesa:

e gli feci conoscer chiaramente,

come era sì d'Ariodante accesa,

che quanta acqua è nel mar, piccola dramma

non spegneria de la sua immensa fiamma.

21

Questo da me più volte Polinesso

(che così nome ha il duca) avendo udito,

e ben compreso e visto per se stesso

che molto male era il suo amor gradito;

non pur di tanto amor si fu rimesso,

ma di vedersi un altro preferito,

come superbo, così mal sofferse,

che tutto in ira e in odio si converse.

22

E tra Ginevra e l'amator suo pensa

tanta discordia e tanta lite porre,

e farvi inimicizia così intensa,

che mai più non si possino comporre;

e por Ginevra in ignominia immensa,

donde non s'abbia o viva o morta a torre:

né de l'iniquo suo disegno meco

volse o con altri ragionar, che seco.

23

Fatto il pensier: — Dalinda mia, — mi dice

(che così son nomata) — saper dèi,

che come suol tornar da la radice

arbor che tronchi e quattro volte e sei;

così la pertinacia mia infelice,

ben che sia tronca dai successi rei,

di germogliar non resta; che venire

pur vorria a fin di questo suo desire.

24

E non lo bramo tanto per diletto,

quanto perché vorrei vincer la pruova;

e non possendo farlo con effetto,

s'io lo fo imaginando, anco mi giuova.

Voglio, qual volta tu mi dài ricetto,

quando allora Ginevra si ritruova

nuda nel letto, che pigli ogni vesta

ch'ella posta abbia, e tutta te ne vesta.

25

Come ella s'orna e come il crin dispone

studia imitarla, e cerca il più che sai

di parer dessa, e poi sopra il verrone

a mandar giù la scala ne verrai.

Io verrò a te con imaginazione

che quella sii, di cui tu i panni avrai:

e così spero, me stesso ingannando,

venir in breve il mio desir sciemando. —

26

Così disse egli. Io che divisa e sevra

e lungi era da me, non posi mente

che questo in che pregando egli persevra,

era una fraude pur troppo evidente;

e dal verron, coi panni di Ginevra,

mandai la scala onde salì sovente;

e non m'accorsi prima de l'inganno,

che n'era già tutto accaduto il danno.

27

Fatto in quel tempo con Ariodante

il duca avea queste parole o tali

(che grandi amici erano stati inante

che per Ginevra si fesson rivali):

— Mi maraviglio (incominciò il mio amante)

ch'avendoti io fra tutti li mie' uguali

sempre avuto in rispetto e sempre amato,

ch'io sia da te sì mal rimunerato.

28

Io son ben certo che comprendi e sai

di Ginevra e di me l'antiquo amore;

e per sposa legittima oggimai

per impetrarla son dal mio signore.

Perché mi turbi tu? perché pur vai

senza frutto in costei ponendo il core?

Io ben a te rispetto avrei, per Dio,

s'io nel tuo grado fossi, e tu nel mio. —

29

— Ed io (rispose Ariodante a lui)

di te mi maraviglio maggiormente;

che di lei prima inamorato fui,

che tu l'avessi vista solamente:

e so che sai quanto è l'amor tra nui,

ch'esser non può di quel che sia, più ardente;

e sol d'essermi moglie intende e brama:

e so che certo sai ch'ella non t'ama.

30

Perché non hai tu dunque a me il rispetto

per l'amicizia nostra, che domande

ch'a te aver debba, e ch'io t'avre' in effetto,

se tu fossi con lei di me più grande?

Né men di te per moglie averla aspetto,

se ben tu sei più ricco in queste bande:

io non son meno al re, che tu sia, grato,

ma più di te da la sua figlia amato. —

31

— Oh (disse il duca a lui), grande è cotesto

errore a che t'ha il folle amor condutto!

Tu credi esser più amato; io credo questo

medesmo: ma si può veder al frutto.

Tu fammi ciò ch'hai seco, manifesto,

ed io il secreto mio t'aprirò tutto;

e quel di noi che manco aver si veggia,

ceda a chi vince, e d'altro si provveggia.

32

E sarò pronto, se tu vuoi ch'io giuri

di non dir cosa mai che mi riveli:

così voglio ch'ancor tu m'assicuri

che quel ch'io ti dirò, sempre mi celi. —

Venner dunque d'accordo alli scongiuri,

e poser le man sugli Evangeli:

e poi che di tacer fede si diero,

Ariodante incominciò primiero.

33

E disse per lo giusto e per lo dritto

come tra sé e Ginevra era la cosa;

ch'ella gli avea giurato e a bocca e in scritto,

che mai non saria ad altri, ch'a lui, sposa;

e se dal re le venìa contraditto,

gli promettea di sempre esser ritrosa

da tutti gli altri maritaggi poi,

e viver sola in tutti i giorni suoi:

34

e ch'esso era in speranza pel valore

ch'avea mostrato in arme a più d'un segno,

ed era per mostrare a laude, a onore,

a beneficio del re e del suo regno,

di crescer tanto in grazia al suo signore,

che sarebbe da lui stimato degno

che la figliuola sua per moglie avesse,

poi che piacer a lei così intendesse.

35

Poi disse: — A questo termine son io,

né credo già ch'alcun mi venga appresso:

né cerco più di questo, né desio

de l'amor d'essa aver segno più espresso;

né più vorrei, se non quanto da Dio

per connubio legitimo è concesso:

e saria invano il domandar più inanzi;

che di bontà so come ogn'altra avanzi. —

36

Poi ch'ebbe il vero Ariodante esposto

de la mercé ch'aspetta a sua fatica,

Polinesso, che già s'avea proposto

di far Ginevra al suo amator nemica,

cominciò: — Sei da me molto discosto,

e vo' che di tua bocca anco tu 'l dica;

e del mio ben veduta la radice,

che confessi me solo esser felice.

37

Finge ella teco, né t'ama né prezza;

che ti pasce di speme e di parole:

oltra questo, il tuo amor sempre a sciochezza,

quando meco ragiona, imputar suole.

Io ben d'esserle caro altra certezza

veduta n'ho, che di promesse e fole;

e tel dirò sotto la fé in secreto,

ben che farei più il debito a star cheto.

38

Non passa mese, che tre, quattro e sei

e talor diece notti io non mi truovi

nudo abbracciato in quel piacer con lei,

ch'all'amoroso ardor par che sì giovi:

sì che tu puoi veder s'a' piacer miei

son d'aguagliar le ciance che tu pruovi.

Cedimi dunque e d'altro ti provedi,

poi che sì inferior di me ti vedi. —

39

— Non ti vo' creder questo (gli rispose

Ariodante), e certo so che menti;

e composto fra te t'hai queste cose,

acciò che da l'impresa io mi spaventi:

ma perché a lei son troppo ingiuriose,

questo c'hai detto sostener convienti;

che non bugiardo sol, ma voglio ancora

che tu sei traditor mostrarti or ora. —

40

Soggiunse il duca: — Non sarebbe onesto

che noi volessen la battaglia torre

di quel che t'offerisco manifesto,

quando ti piaccia, inanzi agli occhi porre. —

Resta smarrito Ariodante a questo,

e per l'ossa un tremor freddo gli scorre;

e se creduto ben gli avesse a pieno,

venìa sua vita allora allora meno.

41

Con cor trafitto e con pallida faccia,

e con voce tremante e bocca amara

rispose: — Quando sia che tu mi faccia

veder quest'aventura tua sì rara,

prometto di costei lasciar la traccia,

a te sì liberale, a me sì avara:

ma ch'io tel voglia creder non far stima,

s'io non lo veggio con questi occhi prima. —

42

— Quando ne sarà il tempo, avisarotti, —

soggiunse Polinesso, e dipartisse.

Non credo che passar più di due notti,

ch'ordine fu che 'l duca a me venisse.

Per scoccar dunque i lacci che condotti

avea sì cheti, andò al rivale, e disse

che s'ascondesse la notte seguente

tra quelle case ove non sta mai gente:

43

e dimostrogli un luogo a dirimpetto

di quel verrone ove solea salire.

Ariodante avea preso sospetto

che lo cercasse far quivi venire,

come in un luogo dove avesse eletto

di por gli aguati, e farvelo morire,

sotto questa finzion, che vuol mostrargli

quel di Ginevra, ch'impossibil pargli.

44

Di volervi venir prese partito,

ma in guisa che di lui non sia men forte;

perché accadendo che fosse assalito,

si truovi sì, che non tema di morte.

Un suo fratello avea saggio ed ardito,

il più famoso in arme de la corte,

detto Lurcanio; e avea più cor con esso,

che se dieci altri avesse avuto appresso.

45

Seco chiamollo, e volse che prendesse

l'arme; e la notte lo menò con lui:

non che 'l secreto suo già gli dicesse;

né l'avria detto ad esso, né ad altrui.

Da sé lontano un trar di pietra il messe:

— Se mi senti chiamar, vien (disse) a nui;

ma se non senti, prima ch'io ti chiami,

non ti partir di qui, frate, se m'ami. —

46

— Va pur, non dubitar, — disse il fratello:

e così venne Ariodante cheto,

e si celò nel solitario ostello

ch'era d'incontro al mio verron secreto.

Vien d'altra parte il fraudolente e fello,

che d'infamar Ginevra era sì lieto;

e fa il segno, tra noi solito inante,

a me che de l'inganno era ignorante.

47

Ed io con veste candida, e fregiata

per mezzo a liste d'oro e d'ogn'intorno,

e con rete pur d'or, tutta adombrata

di bei fiocchi vermigli al capo intorno

(foggia che sol fu da Ginevra usata,

non d'alcun'altra), udito il segno, torno

sopra il verron, ch'in modo era locato,

che mi scopria dinanzi e d'ogni lato.

48

Lurcanio in questo mezzo dubitando

che 'l fratello a pericolo non vada,

o come è pur commun disio, cercando

di spiar sempre ciò che ad altri accada;

l'era pian pian venuto seguitando,

tenendo l'ombre e la più oscura strada:

e a men di dieci passi a lui discosto,

nel medesimo ostel s'era riposto.

49

Non sappiendo io di questo cosa alcuna,

venni al verron ne l'abito c'ho detto,

sì come già venuta era più d'una

e più di due fiate a buono effetto.

Le veste si vedean chiare alla luna;

né dissimile essendo anch'io d'aspetto

né di persona da Ginevra molto,

fece parere un per un altro il volto:

50

e tanto più, ch'era gran spazio in mezzo

fra dove io venni a quelle inculte case

ai dui fratelli, che stavano al rezzo,

il duca agevolmente persuase

quel ch'era falso. Or pensa in che ribrezzo

Ariodante, in che dolor rimase.

Vien Polinesso, e alla scala s'appoggia

che giù manda'gli, e monta in su la loggia.

51

A prima giunta io gli getto le braccia

al collo, ch'io non penso esser veduta;

lo bacio in bocca e per tutta la faccia,

come far soglio ad ogni sua venuta.

Egli più de l'usato si procaccia

d'accarezzarmi, e la sua fraude aiuta.

Quell'altro al rio spettacolo condutto,

misero sta lontano, e vede il tutto.

52

Cade in tanto dolor, che si dispone

allora allora di voler morire:

e il pome de la spada in terra pone,

che su la punta si volea ferire.

Lurcanio che con grande ammirazione

avea veduto il duca a me salire,

ma non già conosciuto chi si fosse,

scorgendo l'atto del fratel, si mosse;

53

e gli vietò che con la propria mano

non si passasse in quel furore il petto.

S'era più tardo o poco più lontano,

non giugnea a tempo, e non faceva effetto.

— Ah misero fratel, fratello insano

(gridò), perc'hai perduto l'intelletto,

ch'una femina a morte trar ti debbia?

ch'ir possan tutte come al vento nebbia!

54

Cerca far morir lei, che morir merta,

e serva a più tuo onor tu la tua morte.

Fu d'amar lei, quando non t'era aperta

la fraude sua: or è da odiar ben forte,

poi che con gli occhi tuoi tu vedi certa,

quanto sia meretrice, e di che sorte.

Serbi quest'arme che volti in te stesso,

a far dinanzi al re tal fallo espresso. —

55

Quando si vede Ariodante giunto

sopra il fratel, la dura impresa lascia;

ma la sua intenzion da quel ch'assunto

avea già di morir, poco s'accascia.

Quindi si leva, e porta non che punto,

ma trapassato il cor d'estrema ambascia;

pur finge col fratel, che quel furore

non abbia più, che dianzi avea nel core.

56

Il seguente matin, senza far motto

al suo fratello o ad altri, in via si messe

da la mortal disperazion condotto;

né di lui per più dì fu chi sapesse.

Fuor che 'l duca e il fratello, ogn'altro indotto

era chi mosso al dipartir l'avesse.

Ne la casa del re di lui diversi

ragionamenti e in tutta Scozia fersi.

57

In capo d'otto o di più giorni in corte

venne inanzi a Ginevra un viandante,

e novelle arrecò di mala sorte:

che s'era in mar summerso Ariodante

di volontaria sua libera morte,

non per colpa di borea o di levante.

D'un sasso che sul mar sporgea molt'alto

avea col capo in giù preso un gran salto.

58

Colui dicea: — Pria che venisse a questo,

a me che a caso riscontrò per via,

disse: — Vien meco, acciò che manifesto

per te a Ginevra il mio successo sia;

e dille poi, che la cagion del resto

che tu vedrai di me, ch'or ora fia,

è stato sol perc'ho troppo veduto:

felice, se senza occhi io fussi suto! —

59

Eramo a caso sopra Capobasso,

che verso Irlanda alquanto sporge in mare.

Così dicendo, di cima d'un sasso

lo vidi a capo in giù sott'acqua andare.

Io lo lasciai nel mare, ed a gran passo

ti son venuto la nuova a portare. —

Ginevra, sbigottita e in viso smorta,

rimase a quello annunzio mezza morta.

60

Oh Dio, che disse e fece, poi che sola

si ritrovò nel suo fidato letto!

percosse il seno, e si stracciò la stola,

e fece all'aureo crin danno e dispetto;

ripetendo sovente la parola

ch'Ariodante avea in estremo detto:

che la cagion del suo caso empio e tristo

tutta venìa per aver troppo visto.

61

Il rumor scorse di costui per tutto,

che per dolor s'avea dato la morte.

Di questo il re non tenne il viso asciutto,

né cavallier né donna de la corte.

Di tutti il suo fratel mostrò più lutto;

e si sommerse nel dolor sì forte,

ch'ad esempio di lui, contra se stesso

voltò quasi la man per irgli appresso.

62

E molte volte ripetendo seco,

che fu Ginevra che 'l fratel gli estinse,

e che non fu se non quell'atto bieco

che di lei vide, ch'a morir lo spinse;

di voler vendicarsene sì cieco

venne, e sì l'ira e sì il dolor lo vinse,

che di perder la grazia vilipese,

ed aver l'odio del re e del paese.

63

E inanzi al re, quando era più di gente

la sala piena, se ne venne, e disse:

— Sappi, signor, che di levar la mente

al mio fratel, sì ch'a morir ne gisse,

stata è la figlia tua sola nocente;

ch'a lui tanto dolor l'alma trafisse

d'aver veduta lei poco pudica,

che più che vita ebbe la morte amica.

64

Erane amante, e perché le sue voglie

disoneste non fur, nol vo' coprire:

per virtù meritarla aver per moglie

da te sperava e per fedel servire;

ma mentre il lasso ad odorar le foglie

stava lontano, altrui vide salire,

salir su l'arbor riserbato, e tutto

essergli tolto il disiato frutto. —

65

E seguitò, come egli avea veduto

venir Ginevra sul verrone, e come

mandò la scala, onde era a lei venuto

un drudo suo, di chi egli non sa il nome,

che s'avea, per non esser conosciuto,

cambiati i panni e nascose le chiome.

Soggiunse che con l'arme egli volea

provar tutto esser ver ciò che dicea.

66

Tu puoi pensar se 'l padre addolorato

riman, quando accusar sente la figlia;

sì perché ode di lei quel che pensato

mai non avrebbe, e n'ha gran maraviglia;

sì perché sa che fia necessitato

(se la difesa alcun guerrier non piglia,

il qual Lurcanio possa far mentire)

di condannarla e di farla morire.

67

Io non credo, signor, che ti sia nuova

la legge nostra che condanna a morte

ogni donna e donzella, che si pruova

di sé far copia altrui ch'al suo consorte.

Morta ne vien, s'in un mese non truova

in sua difesa un cavallier sì forte,

che contra il falso accusator sostegna

che sia innocente e di morire indegna.

68

Ha fatto il re bandir, per liberarla

(che pur gli par ch'a torto sia accusata),

che vuol per moglie e con gran dote darla

a chi torrà l'infamia che l'è data.

Chi per lei comparisca non si parla

guerriero ancora, anzi l'un l'altro guata;

che quel Lurcanio in arme è così fiero,

che par che di lui tema ogni guerriero.

69

Atteso ha l'empia sorte, che Zerbino,

fratel di lei, nel regno non si truove;

che va già molti mesi peregrino,

mostrando di sé in arme inclite pruove:

che quando si trovasse più vicino

quel cavallier gagliardo, o in luogo dove

potesse avere a tempo la novella,

non mancheria d'aiuto alla sorella.

70

Il re, ch'intanto cerca di sapere

per altra pruova, che per arme, ancora,

se sono queste accuse o false o vere,

se dritto o torto è che sua figlia mora;

ha fatto prender certe cameriere

che lo dovrian saper, se vero fôra:

ond'io previdi, che se presa era io,

troppo periglio era del duca e mio.

71

E la notte medesima mi trassi

fuor de la corte, e al duca mi condussi;

e gli feci veder quanto importassi

al capo d'amendua, se presa io fussi.

Lodommi, e disse ch'io non dubitassi:

a' suoi conforti poi venir m'indussi

ad una sua fortezza ch'è qui presso,

in compagnia di dui che mi diede esso.

72

Hai sentito, signor, con quanti effetti

de l'amor mio fei Polinesso certo;

e s'era debitor per tai rispetti

d'avermi cara o no, tu 'l vedi aperto.

Or senti il guidardon che io ricevetti,

vedi la gran mercé del mio gran merto;

vedi se deve, per amare assai,

donna sperar d'essere amata mai:

73

che questo ingrato, perfido e crudele,

de la mia fede ha preso dubbio al fine:

venuto è in sospizion ch'io non rivele

a lungo andar le fraudi sue volpine.

Ha finto, acciò che m'allontane e cele

fin che l'ira e il furor del re decline,

voler mandarmi ad un suo luogo forte;

e mi volea mandar dritto alla morte:

74

che di secreto ha commesso alla guida,

che come m'abbia in queste selve tratta,

per degno premio di mia fé m'uccida.

Così l'intenzion gli venìa fatta,

se tu non eri appresso alle mia grida.

Ve' come Amor ben chi lui segue, tratta! —

Così narrò Dalinda al paladino

seguendo tuttavolta il lor camino.

75

A cui fu sopra ogn'aventura, grata

questa, d'aver trovata la donzella

che gli avea tutta l'istoria narrata

de l'innocenza di Ginevra bella.

E se sperato avea, quando accusata

ancor fosse a ragion, d'aiutar quella,

via con maggior baldanza or viene in prova,

poi che evidente la calunnia truova.

76

E verso la città di Santo Andrea,

dove era il re con tutta la famiglia,

e la battaglia singular dovea

esser de la querela de la figlia,

andò Rinaldo quanto andar potea,

fin che vicino giunse a poche miglia;

alla città vicino giunse, dove

trovò un scudier ch'avea più fresche nuove:

77

ch'un cavallier istrano era venuto,

ch'a difender Ginevra s'avea tolto,

con non usate insegne, e sconosciuto,

però che sempre ascoso andava molto;

e che dopo che v'era, ancor veduto

non gli avea alcuno al discoperto il volto;

e che 'l proprio scudier che gli servia,

dicea giurando: — Io non so dir chi sia. —

78

Non cavalcaro molto, ch'alle mura

si trovar de la terra e in su la porta.

Dalinda andar più inanzi avea paura;

pur va, poi che Rinaldo la conforta.

La porta è chiusa, ed a chi n'avea cura

Rinaldo domandò: — Questo ch'importa? —

E fugli detto: perché 'l popol tutto

a veder la battaglia era ridutto,

79

che tra Lurcanio e un cavallier istrano

si fa ne l'altro capo de la terra,

ove era un prato spazioso e piano;

e che già cominciata hanno la guerra.

Aperto fu al signor di Montealbano,

e tosto il portinar dietro gli serra.

Per la vota città Rinaldo passa;

ma la donzella al primo albergo lassa:

80

e dice che sicura ivi si stia

fin che ritorni a lei, che sarà tosto;

e verso il campo poi ratto s'invia,

dove li dui guerrier dato e risposto

molto s'aveano, e davan tuttavia.

Stava Lurcanio di mal cor disposto

contra Ginevra; e l'altro in sua difesa

ben sostenea la favorita impresa.

81

Sei cavallier con lor ne lo steccato

erano a piedi, armati di corazza,

col duca d'Albania, ch'era montato

s'un possente corsier di buona razza.

Come a gran contestabile, a lui dato

la guardia fu del campo e de la piazza:

e di veder Ginevra in gran periglio

avea il cor lieto, ed orgoglioso il ciglio.

82

Rinaldo se ne va tra gente e gente;

fassi far largo il buon destrier Baiardo:

chi la tempesta del suo venir sente,

a dargli via non par zoppo né tardo.

Rinaldo vi compar sopra eminente,

e ben rassembra il fior d'ogni gagliardo;

poi si ferma all'incontro ove il re siede:

ognun s'accosta per udir che chiede.

83

Rinaldo disse al re: — Magno signore,

non lasciar la battaglia più seguire;

perché di questi dua qualunche more,

sappi ch'a torto tu 'l lasci morire.

L'un crede aver ragione, ed è in errore,

e dice il falso, e non sa di mentire;

ma quel medesmo error che 'l suo germano

a morir trasse, a lui pon l'arme in mano.

84

L'altro non sa se s'abbia dritto o torto;

ma sol per gentilezza e per bontade

in pericol si è posto d'esser morto,

per non lasciar morir tanta beltade.

Io la salute all'innocenza porto;

porto il contrario a chi usa falsitade.

Ma, per Dio, questa pugna prima parti,

poi mi dà audienza a quel ch'io vo' narrarti. —

85

Fu da l'autorità d'un uom sì degno,

come Rinaldo gli parea al sembiante,

sì mosso il re, che disse e fece segno

che non andasse più la pugna inante;

al quale insieme ed ai baron del regno

e ai cavallieri e all'altre turbe tante

Rinaldo fe' l'inganno tutto espresso,

ch'avea ordito a Ginevra Polinesso.

86

Indi s'offerse di voler provare

coll'arme, ch'era ver quel ch'avea detto.

Chiamasi Polinesso; ed ei compare,

ma tutto conturbato ne l'aspetto:

pur con audacia cominciò a negare.

Disse Rinaldo: — Or noi vedrem l'effetto. —

L'uno e l'altro era armato, il campo fatto,

sì che senza indugiar vengono al fatto.

87

Oh quanto ha il re, quanto ha il suo popul caro

che Ginevra a provar s'abbi innocente!

tutti han speranza che Dio mostri chiaro

ch'impudica era detta ingiustamente.

Crudel superbo e riputato avaro

fu Polinesso, iniquo e fraudolente;

sì che ad alcun miracolo non fia

che l'inganno da lui tramato sia.

88

Sta Polinesso con la faccia mesta,

col cor tremante e con pallida guancia;

e al terzo suon mette la lancia in resta.

Così Rinaldo inverso lui si lancia,

che disioso di finir la festa,

mira a passargli il petto con la lancia:

né discorde al disir seguì l'effetto;

ché mezza l'asta gli cacciò nel petto.

89

Fisso nel tronco lo trasporta in terra,

lontan dal suo destrier più di sei braccia.

Rinaldo smonta subito, e gli afferra

l'elmo, pria che si levi, e gli lo slaccia:

ma quel, che non può far più troppa guerra,

gli domanda mercé con umil faccia,

e gli confessa, udendo il re e la corte,

la fraude sua che l'ha condutto a morte.

90

Non finì il tutto, e in mezzo la parola

e la voce e la vita l'abandona.

Il re, che liberata la figliuola

vede da morte e da fama non buona,

più s'allegra, gioisce e raconsola,

che, s'avendo perduta la corona,

ripor se la vedesse allora allora;

sì che Rinaldo unicamente onora.

91

E poi ch'al trar dell'elmo conosciuto

l'ebbe, perch'altre volte l'avea visto,

levò le mani a Dio, che d'un aiuto

come era quel, gli avea sì ben provisto.

Quell'altro cavallier che, sconosciuto,

soccorso avea Ginevra al caso tristo,

ed armato per lei s'era condutto,

stato da parte era a vedere il tutto.

92

Dal re pregato fu di dire il nome,

o di lasciarsi almen veder scoperto,

acciò da lui fosse premiato, come

di sua buona intenzion chiedeva il merto.

Quel, dopo lunghi preghi, da le chiome

si levò l'elmo, e fe' palese e certo

quel che ne l'altro canto ho da seguire,

se grata vi sarà l'istoria udire.

CANTO SESTO

1

Miser chi mal oprando si confida

ch'ognor star debbia il maleficio occulto;

che quando ogn'altro taccia, intorno grida

l'aria e la terra istessa in ch'è sepulto:

e Dio fa spesso che 'l peccato guida

il peccator, poi ch'alcun dì gli ha indulto,

che sé medesmo, senza altrui richiesta,

innavedutamente manifesta.

2

Avea creduto il miser Polinesso

totalmente il delitto suo coprire,

Dalinda consapevole d'appresso

levandosi, che sola il potea dire:

e aggiungendo il secondo al primo eccesso,

affrettò il mal che potea differire,

e potea differire e schivar forse;

ma se stesso spronando, a morir corse:

3

e perdé amici a un tempo e vita e stato,

e onor, che fu molto più grave danno.

Dissi di sopra, che fu assai pregato

il cavallier, ch'ancor chi sia non sanno.

Al fin si trasse l'elmo, e 'l viso amato

scoperse, che più volte veduto hanno:

e dimostrò come era Ariodante,

per tutta Scozia lacrimato inante;

4

Ariodante, che Ginevra pianto

avea per morto, e 'l fratel pianto avea,

il re, la corte, il popul tutto quanto:

di tal bontà, di tal valor splendea.

Adunque il peregrin mentir di quanto

dianzi di lui narrò, quivi apparea;

e fu pur ver che dal sasso marino

gittarsi in mar lo vide a capo chino.

5

Ma (come aviene a un disperato spesso,

che da lontan brama e disia la morte,

e l'odia poi che se la vede appresso,

tanto gli pare il passo acerbo e forte)

Ariodante, poi ch'in mar fu messo,

si pentì di morire: e come forte

e come destro e più d'ogn'altro ardito,

si messe a nuoto e ritornossi al lito;

6

e dispregiando e nominando folle

il desir ch'ebbe di lasciar la vita,

si messe a caminar bagnato e molle,

e capitò all'ostel d'un eremita.

Quivi secretamente indugiar volle

tanto, che la novella avesse udita,

se del caso Ginevra s'allegrasse,

o pur mesta e pietosa ne restasse.

7

Intese prima, che per gran dolore

ella era stata a rischio di morire

(la fama andò di questo in modo fuore,

che ne fu in tutta l'isola che dire):

contrario effetto a quel che per errore

credea aver visto con suo gran martire.

Intese poi, come Lurcanio avea

fatta Ginevra appresso il padre rea.

8

Contra il fratel d'ira minor non arse,

che per Ginevra già d'amor ardesse;

che troppo empio e crudele atto gli parse,

ancora che per lui fatto l'avesse.

Sentendo poi, che per lei non comparse

cavallier che difender la volesse

(che Lurcanio sì forte era e gagliardo,

ch'ognun d'andargli contra avea riguardo;

9

e chi n'avea notizia, il riputava

tanto discreto, e sì saggio ed accorto,

che se non fosse ver quel che narrava,

non si porrebbe a rischio d'esser morto;

per questo la più parte dubitava

di non pigliar questa difesa a torto);

Ariodante, dopo gran discorsi,

pensò all'accusa del fratello opporsi.

10

— Ah lasso! io non potrei (seco dicea)

sentir per mia cagion perir costei:

troppo mia morte fôra acerba e rea,

se inanzi a me morir vedessi lei.

Ella è pur la mia donna e la mia dea,

questa è la luce pur degli occhi miei:

convien ch'a dritto e a torto, per suo scampo

pigli l'impresa, e resti morto in campo.

11

So ch'io m'appiglio al torto; e al torto sia:

e ne morrò; né questo mi sconforta,

se non ch'io so che per la morte mia

sì bella donna ha da restar poi morta.

Un sol conforto nel morir mi fia,

che, se 'l suo Polinesso amor le porta,

chiaramente veder avrà potuto,

che non s'è mosso ancor per darle aiuto;

12

e me, che tanto espressamente ha offeso,

vedrà, per lei salvare, a morir giunto.

Di mio fratello insieme, il quale acceso

tanto fuoco ha, vendicherommi a un punto;

ch'io lo farò doler, poi che compreso

il fine avrà del suo crudele assunto:

creduto vendicar avrà il germano,

e gli avrà dato morte di sua mano. —

13

Concluso ch'ebbe questo nel pensiero,

nuove arme ritrovò, nuovo cavallo;

e sopraveste nere, e scudo nero

portò, fregiato a color verdegiallo.

Per aventura si trovò un scudiero

ignoto in quel paese, e menato hallo;

e sconosciuto (come ho già narrato)

s'appresentò contra il fratello armato.

14

Narrato v'ho come il fatto successe,

come fu conosciuto Ariodante.

Non minor gaudio n'ebbe il re, ch'avesse

de la figliuola liberata inante.

Seco pensò che mai non si potesse

trovar un più fedele e vero amante;

che dopo tanta ingiuria, la difesa

di lei, contra il fratel proprio, avea presa.

15

E per sua inclinazion (ch'assai l'amava)

e per li preghi di tutta la corte,

e di Rinaldo, che più d'altri instava,

de la bella figliuola il fa consorte.

La duchea d'Albania ch'al re tornava

dopo che Polinesso ebbe la morte,

in miglior tempo discader non puote,

poi che la dona alla sua figlia in dote.

16

Rinaldo per Dalinda impetrò grazia,

che se n'andò di tanto errore esente;

la qual per voto, e perché molto sazia

era del mondo, a Dio volse la mente:

monaca s'andò a render fin in Dazia,

e si levò di Scozia immantinente.

Ma tempo è ormai di ritrovar Ruggiero,

che scorre il ciel su l'animal leggiero.

17

Ben che Ruggier sia d'animo costante,

né cangiato abbia il solito colore,

io non gli voglio creder che tremante

non abbia dentro più che foglia il core.

Lasciato avea di gran spazio distante

tutta l'Europa, ed era uscito fuore

per molto spazio il segno che prescritto

avea già a' naviganti Ercole invitto.

18

Quello ippogrifo, grande e strano augello,

lo porta via con tal prestezza d'ale,

che lasceria di lungo tratto quello

celer ministro del fulmineo strale.

Non va per l'aria altro animal sì snello,

che di velocità gli fosse uguale:

credo ch'a pena il tuono e la saetta

venga in terra dal ciel con maggior fretta.

19

Poi che l'augel trascorso ebbe gran spazio

per linea dritta e senza mai piegarsi,

con larghe ruote, omai de l'aria sazio,

cominciò sopra una isola a calarsi;

pari a quella ove, dopo lungo strazio

far del suo amante e lungo a lui celarsi,

la vergine Aretusa passò invano

di sotto il mar per camin cieco e strano.

20

Non vide né 'l più bel né 'l più giocondo

da tutta l'aria ove le penne stese;

né se tutto cercato avesse il mondo,

vedria di questo il più gentil paese,

ove, dopo un girarsi di gran tondo,

con Ruggier seco il grande augel discese:

culte pianure e delicati colli,

chiare acque, ombrose ripe e prati molli.

21

Vaghi boschetti di soavi allori,

di palme e d'amenissime mortelle,

cedri ed aranci ch'avean frutti e fiori

contesti in varie forme e tutte belle,

facean riparo ai fervidi calori

de' giorni estivi con lor spesse ombrelle;

e tra quei rami con sicuri voli

cantando se ne gìano i rosignuoli.

22

Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,

che tiepida aura freschi ognora serba,

sicuri si vedean lepri e conigli,

e cervi con la fronte alta e superba,

senza temer ch'alcun gli uccida o pigli,

pascano o stiansi rominando l'erba;

saltano i daini e i capri isnelli e destri,

che sono in copia in quei luoghi campestri.

23

Come sì presso è l'ippogrifo a terra,

ch'esser ne può men periglioso il salto,

Ruggier con fretta de l'arcion si sferra,

e si ritruova in su l'erboso smalto;

tuttavia in man le redine si serra,

che non vuol che 'l destrier più vada in alto:

poi lo lega nel margine marino

a un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.

24

E quivi appresso, ove surgea una fonte

cinta di cedri e di feconde palme,

pose lo scudo, e l'elmo da la fronte

si trasse, e disarmossi ambe le palme;

ed ora alla marina ed ora al monte

volgea la faccia all'aure fresche ed alme,

che l'alte cime con mormorii lieti

fan tremolar dei faggi e degli abeti.

25

Bagna talor ne la chiara onda e fresca

l'asciutte labra, e con le man diguazza,

acciò che de le vene il calor esca

che gli ha acceso il portar de la corazza.

Né maraviglia è già ch'ella gl'incresca;

che non è stato un far vedersi in piazza:

ma senza mai posar, d'arme guernito,

tremila miglia ognor correndo era ito.

26

Quivi stando, il destrier ch'avea lasciato

tra le più dense frasche alla fresca ombra,

per fuggir si rivolta, spaventato

di non so che, che dentro al bosco adombra:

e fa crollar sì il mirto ove è legato,

che de le frondi intorno il piè gli ingombra:

crollar fa il mirto, e fa cader la foglia;

né succede però che se ne scioglia.

27

Come ceppo talor, che le medolle

rare e vote abbia, e posto al fuoco sia,

poi che per gran calor quell'aria molle

resta consunta ch'in mezzo l'empìa,

dentro risuona e con strepito bolle

tanto che quel furor truovi la via;

così murmura e stride e si corruccia

quel mirto offeso, e al fine apre la buccia.

28

Onde con mesta e flebil voce uscìo

espedita e chiarissima favella,

e disse: — Se tu sei cortese e pio,

come dimostri alla presenza bella,

lieva questo animal da l'arbor mio:

basti che 'l mio mal proprio mi flagella,

senza altra pena, senza altro dolore

ch'a tormentarmi ancor venga di fuore. —

29

Al primo suon di quella voce torse

Ruggiero il viso, e subito levosse;

e poi ch'uscir da l'arbore s'accorse,

stupefatto restò più che mai fosse.

A levarne il destrier subito corse;

e con le guance di vergogna rosse:

— Qual che tu sii, perdonami (dicea),

o spirto umano, o boschereccia dea.

30

Il non aver saputo che s'asconda

sotto ruvida scorza umano spirto,

m'ha lasciato turbar la bella fronda

e far ingiuria al tuo vivace mirto:

ma non restar però, che non risponda

chi tu ti sia, ch'in corpo orrido ed irto,

con voce e razionale anima vivi;

se da grandine il ciel sempre ti schivi.

31

E s'ora o mai potrò questo dispetto

con alcun beneficio compensarte,

per quella bella donna ti prometto,

quella che di me tien la miglior parte,

ch'io farò con parole e con effetto,

ch'avrai giusta cagion di me lodarte. —

Come Ruggiero al suo parlar fin diede,

tremò quel mirto da la cima al piede.

32

Poi si vide sudar su per la scorza,

come legno dal bosco allora tratto,

che del fuoco venir sente la forza,

poscia ch'invano ogni ripar gli ha fatto;

e cominciò: — Tua cortesia mi sforza

a discoprirti in un medesmo tratto

ch'io fossi prima, e chi converso m'aggia

in questo mirto in su l'amena spiaggia.

33

Il nome mio fu Astolfo; e paladino

era di Francia, assai temuto in guerra:

d'Orlando e di Rinaldo era cugino,

la cui fama alcun termine non serra;

e si spettava a me tutto il domìno,

dopo il mio padre Oton, de l'Inghilterra.

Leggiadro e bel fui sì, che di me accesi

più d'una donna: e al fin me solo offesi.

34

Ritornando io da quelle isole estreme

che da Levante il mar Indico lava,

dopo Rinaldo ed alcun'altri insieme

meco fur chiusi in parte oscura e cava,

ed onde liberati le supreme

forze n'avean del cavallier di Brava;

vêr ponente io venìa lungo la sabbia

che del settentrion sente la rabbia.

35

E come la via nostra e il duro e fello

destin ci trasse, uscimmo una matina

sopra la bella spiaggia, ove un castello

siede sul mar, de la possente Alcina.

Trovammo lei ch'uscita era di quello,

e stava sola in ripa alla marina;

e senza rete e senza amo traea

tutti li pesci al lito, che volea.

36

Veloci vi correvano i delfini,

vi venìa a bocca aperta il grosso tonno;

i capidogli coi vecchi marini

vengon turbati dal loro pigro sonno;

muli, salpe, salmoni e coracini

nuotano a schiere in più fretta che ponno;

pistrici, fisiteri, orche e balene

escon del mar con mostruose schiene.

37

Veggiamo una balena, la maggiore

che mai per tutto il mar veduta fosse:

undeci passi e più dimostra fuore

de l'onde salse le spallacce grosse.

Caschiamo tutti insieme in uno errore,

perch'era ferma e che mai non si scosse:

ch'ella sia una isoletta ci credemo,

così distante a l'un da l'altro estremo.

38

Alcina i pesci uscir facea de l'acque

con semplici parole e puri incanti.

Con la fata Morgana Alcina nacque,

io non so dir s'a un parto o dopo o inanti.

Guardommi Alcina; e subito le piacque

l'aspetto mio, come mostrò ai sembianti:

e pensò con astuzia e con ingegno

tormi ai compagni; e riuscì il disegno.

39

Ci venne incontra con allegra faccia

con modi graziosi e riverenti,

e disse: — Cavallier, quando vi piaccia

far oggi meco i vostri alloggiamenti,

io vi farò veder, ne la mia caccia,

di tutti i pesci sorti differenti:

chi scaglioso, chi molle e chi col pelo;

e saran più che non ha stelle il cielo.

40

E volendo vedere una sirena

che col suo dolce canto acheta il mare,

passian di qui fin su quell'altra arena,

dove a quest'ora suol sempre tornare. —

E ci mostrò quella maggior balena,

che, come io dissi, una isoletta pare.

Io, che sempre fui troppo (e me n'incresce)

volonteroso, andai sopra quel pesce.

41

Rinaldo m'accennava, e similmente

Dudon, ch'io non v'andassi: e poco valse.

La fata Alcina con faccia ridente,

lasciando gli altri dua, dietro mi salse.

La balena, all'ufficio diligente,

nuotando se n'andò per l'onde salse.

Di mia sciocchezza tosto fui pentito;

ma troppo mi trovai lungi dal lito.

42

Rinaldo si cacciò ne l'acqua a nuoto

per aiutarmi, e quasi si sommerse,

perché levossi un furioso Noto

che d'ombra il cielo e 'l pelago coperse.

Quel che di lui seguì poi, non m'è noto.

Alcina a confortarmi si converse;

e quel dì tutto e la notte che venne,

sopra quel mostro in mezzo il mar mi tenne.

43

Fin che venimmo a questa isola bella,

di cui gran parte Alcina ne possiede,

e l'ha usurpata ad una sua sorella

che 'l padre già lasciò del tutto erede,

perché sola legitima avea quella;

e (come alcun notizia me ne diede,

che pienamente istrutto era di questo)

sono quest'altre due nate d'incesto.

44

E come sono inique e scelerate

e piene d'ogni vizio infame e brutto

così quella, vivendo in castitate,

posto ha ne le virtuti il suo cor tutto.

Contra lei queste due son congiurate;

e già più d'uno esercito hanno istrutto

per cacciarla de l'isola, e in più volte

più di cento castella l'hanno tolte:

45

né ci terrebbe ormai spanna di terra

colei, che Logistilla è nominata,

se non che quinci un golfo il passo serra,

e quindi una montagna inabitata,

sì come tien la Scozia e l'Inghilterra

il monte e la riviera separata;

né però Alcina né Morgana resta

che non le voglia tor ciò che le resta.

46

Perché di vizi è questa coppia rea,

odia colei, perché è pudica e santa.

Ma, per tornare a quel ch'io ti dicea,

e seguir poi com'io divenni pianta,

Alcina in gran delizie mi tenea,

e del mio amore ardeva tutta quanta;

né minor fiamma nel mio core accese

il veder lei sì bella e sì cortese.

47

Io mi godea le delicate membra;

pareami aver qui tutto il ben raccolto

che fra i mortali in più parti si smembra,

a chi più ed a chi meno e a nessun molto;

né di Francia né d'altro mi rimembra:

stavami sempre a contemplar quel volto:

ogni pensiero, ogni mio bel disegno

in lei finia, né passava oltre il segno.

48

Io da lei altretanto era o più amato:

Alcina più non si curava d'altri;

ella ogn'altro suo amante avea lasciato,

ch'inanzi a me ben ce ne fur degli altri.

Me consiglier, me avea dì e notte a lato,

e me fe' quel che commandava agli altri:

a me credeva, a me si riportava;

né notte o dì con altri mai parlava.

49

Deh! perché vo le mie piaghe toccando,

senza speranza poi di medicina?

perché l'avuto ben vo rimembrando,

quando io patisco estrema disciplina?

Quando credea d'esser felice, e quando

credea ch'amar più mi dovesse Alcina,

il cor che m'avea dato si ritolse,

e ad altro nuovo amor tutta si volse.

50

Conobbi tardi il suo mobil ingegno,

usato amare e disamare a un punto.

Non era stato oltre a duo mesi in regno,

ch'un novo amante al loco mio fu assunto.

Da sé cacciommi la fata con sdegno,

e da la grazia sua m'ebbe disgiunto:

e seppi poi, che tratti a simil porto

avea mill'altri amanti, e tutti a torto.

51

E perché essi non vadano pel mondo

di lei narrando la vita lasciva,

chi qua chi là, per lo terren fecondo

li muta, altri in abete, altri in oliva,

altri in palma, altri in cedro, altri secondo

che vedi me su questa verde riva;

altri in liquido fonte, alcuni in fiera,

come più agrada a quella fata altiera.

52

Or tu che sei per non usata via,

signor, venuto all'isola fatale,

acciò ch'alcuno amante per te sia

converso in pietra o in onda, o fatto tale;

avrai d'Alcina scettro e signoria,

e sarai lieto sopra ogni mortale:

ma certo sii di giunger tosto al passo

d'entrar o in fiera o in fonte o in legno o in sasso.

53

Io te n'ho dato volentieri aviso;

non ch'io mi creda che debbia giovarte:

pur meglio fia che non vadi improviso,

e de' costumi suoi tu sappia parte;

che forse, come è differente il viso,

è differente ancor l'ingegno e l'arte.

Tu saprai forse riparare al danno,

quel che saputo mill'altri non hanno. —

54

Ruggier, che conosciuto avea per fama

ch'Astolfo alla sua donna cugin era,

si dolse assai che in steril pianta e grama

mutato avesse la sembianza vera;

e per amor di quella che tanto ama

(pur che saputo avesse in che maniera)

gli avria fatto servizio: ma aiutarlo

in altro non potea, ch'in confortarlo.

55

Lo fe' al meglio che seppe; e domandolli

poi se via c'era, ch'al regno guidassi

di Logistilla, o per piano o per colli,

sì che per quel d'Alcina non andassi.

Che ben ve n'era un'altra, ritornolli

l'arbore a dir, ma piena d'aspri sassi,

s'andando un poco inanzi alla man destra

salisse il poggio invêr la cima alpestra.

56

Ma che non pensi già che seguir possa

il suo camin per quella strada troppo:

incontro avrà di gente ardita, grossa

e fiera compagnia, con duro intoppo.

Alcina ve li tien per muro e fossa

a chi volesse uscir fuor del suo groppo.

Ruggier quel mirto ringraziò del tutto,

poi da lui si partì dotto ed istrutto.

57

Venne al cavallo, e lo disciolse e prese

per le redine, e dietro se lo trasse;

né, come fece prima, più l'ascese,

perché mal grado suo non lo portasse.

Seco pensava come nel paese

di Logistilla a salvamento andasse.

Era disposto e fermo usar ogni opra,

che non gli avesse imperio Alcina sopra.

58

Pensò di rimontar sul suo cavallo,

e per l'aria spronarlo a nuovo corso:

ma dubitò di far poi maggior fallo;

che troppo mal quel gli ubidiva al morso.

— Io passerò per forza, s'io non fallo, —

dicea tra sé, ma vano era il discorso.

Non fu duo miglia lungi alla marina,

che la bella città vide d'Alcina.

59

Lontan si vide una muraglia lunga

che gira intorno, e gran paese serra;

e par che la sua altezza al ciel s'aggiunga,

e d'oro sia da l'alta cima a terra.

Alcun dal mio parer qui si dilunga,

e dice ch'ell'è alchimia: e forse ch'erra;

ed anco forse meglio di me intende:

a me par oro, poi che sì risplende.

60

Come fu presso alle sì ricche mura,

che 'l mondo altre non ha de la lor sorte,

lasciò la strada che per la pianura

ampla e diritta andava alle gran porte;

ed a man destra, a quella più sicura,

ch'al monte già, piegossi il guerrier forte:

ma tosto ritrovò l'iniqua frotta,

dal cui furor gli fu turbata e rotta.

61

Non fu veduta mai più strana torma,

più monstruosi volti e peggio fatti:

alcun' dal collo in giù d'uomini han forma,

col viso altri di simie, altri di gatti;

stampano alcun con piè caprigni l'orma;

alcuni son centauri agili ed atti;

son gioveni impudenti e vecchi stolti,

chi nudi e chi di strane pelli involti.

62

Chi senza freno in s'un destrier galoppa,

chi lento va con l'asino o col bue,

altri salisce ad un centauro in groppa,

struzzoli molti han sotto, aquile e grue;

ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa;

chi femina è, chi maschio, e chi amendue;

chi porta uncino e chi scala di corda,

chi pal di ferro e chi una lima sorda.

63

Di questi il capitano si vedea

aver gonfiato il ventre, e 'l viso grasso;

il qual su una testuggine sedea,

che con gran tardità mutava il passo.

Avea di qua e di là chi lo reggea,

perché egli era ebro, e tenea il ciglio basso:

altri la fronte gli asciugava e il mento,

altri i panni scuotea per fargli vento.

64

Un ch'avea umana forma i piedi e 'l ventre,

e collo avea di cane, orecchie e testa,

contra Ruggiero abaia, acciò ch'egli entre

ne la bella città ch'a dietro resta.

Rispose il cavallier: — Nol farò, mentre

avrà forza la man di regger questa! —

e gli mostra la spada, di cui volta

avea l'aguzza punta alla sua volta.

65

Quel mostro lui ferir vuol d'una lancia,

ma Ruggier presto se gli aventa addosso:

una stoccata gli trasse alla pancia,

e la fe' un palmo riuscir pel dosso.

Lo scudo imbraccia, e qua e là si lancia,

ma l'inimico stuolo è troppo grosso:

l'un quinci il punge, e l'altro quindi afferra:

egli s'arrosta, e fa lor aspra guerra.

66

L'un sin a' denti, e l'altro sin al petto

partendo va di quella iniqua razza;

ch'alla sua spada non s'oppone elmetto,

né scudo, né panziera, né corazza:

ma da tutte le parti è così astretto,

che bisogno saria, per trovar piazza

e tener da sé largo il popul reo,

d'aver più braccia e man che Briareo.

67

Se di scoprire avesse avuto aviso

lo scudo che già fu del negromante

(io dico quel ch'abbarbagliava il viso,

quel ch'all'arcione avea lasciato Atlante),

subito avria quel brutto stuol conquiso

e fattosel cader cieco davante;

e forse ben, che disprezzò quel modo,

perché virtude usar volse, e non frodo.

68

Sia quel che può, più tosto vuol morire,

che rendersi prigione a sì vil gente.

Eccoti intanto da la porta uscire

del muro, ch'io dicea d'oro lucente,

due giovani ch'ai gesti ed al vestire

non eran da stimar nate umilmente,

né da pastor nutrite con disagi,

ma fra delizie di real palagi.

69

L'una e l'altra sedea s'un liocorno,

candido più che candido armelino;

l'una e l'altra era bella, e di sì adorno

abito, e modo tanto pellegrino,

che a l'uom, guardando e contemplando intorno,

bisognerebbe aver occhio divino

per far di lor giudizio: e tal saria

Beltà, s'avesse corpo, e Leggiadria.

70

L'una e l'altra n'andò dove nel prato

Ruggiero è oppresso da lo stuol villano.

Tutta la turba si levò da lato;

e quelle al cavallier porser la mano,

che tinto in viso di color rosato,

le donne ringraziò de l'atto umano:

e fu contento, compiacendo loro,

di ritornarsi a quella porta d'oro.

71

L'adornamento che s'aggira sopra

la bella porta e sporge un poco avante,

parte non ha che tutta non si cuopra

de le più rare gemme di Levante.

Da quattro parti si riposa sopra

grosse colonne d'integro diamante.

O ver o falso ch'all'occhio risponda,

non è cosa più bella o più gioconda.

72

Su per la soglia e fuor per le colonne

corron scherzando lascive donzelle,

che, se i rispetti debiti alle donne

servasser più, sarian forse più belle.

Tutte vestite eran di verdi gonne,

e coronate di frondi novelle.

Queste, con molte offerte e con buon viso,

Ruggier fecero entrar nel paradiso:

73

che si può ben così nomar quel loco,

ove mi credo che nascesse Amore.

Non vi si sta se non in danza e in giuoco,

e tutte in festa vi si spendon l'ore:

pensier canuto né molto né poco

si può quivi albergare in alcun core:

non entra quivi disagio né inopia,

ma vi sta ognor col corno pien la Copia.

74

Qui, dove con serena e lieta fronte

par ch'ognor rida il grazioso aprile,

gioveni e donne son: qual presso a fonte

canta con dolce e dilettoso stile;

qual d'un arbore all'ombra e qual d'un monte

o giuoca o danza o fa cosa non vile;

e qual, lungi dagli altri, a un suo fedele

discuopre l'amorose sue querele.

75

Per le cime dei pini e degli allori,

degli alti faggi e degl'irsuti abeti,

volan scherzando i pargoletti Amori:

di lor vittorie altri godendo lieti,

altri pigliando a saettare i cori,

la mira quindi, altri tendendo reti;

chi tempra dardi ad un ruscel più basso,

e chi gli aguzza ad un volubil sasso.

76

Quivi a Ruggier un gran corsier fu dato,

forte, gagliardo, e tutto di pel sauro,

ch'avea il bel guernimento ricamato

di preziose gemme e di fin auro;

e fu lasciato in guardia quello alato,

quel che solea ubidire al vecchio Mauro,

a un giovene che dietro lo menassi

al buon Ruggier, con men frettosi passi.

77

Quelle due belle giovani amorose

ch'avean Ruggier da l'empio stuol difeso,

da l'empio stuol che dianzi se gli oppose

su quel camin ch'avea a man destra preso,

gli dissero: — Signor, le virtuose

opere vostre che già abbiamo inteso,

ne fan sì ardite, che l'aiuto vostro

vi chiederemo a beneficio nostro.

78

Noi troverem tra via tosto una lama,

che fa due parti di questa pianura.

Una crudel, che Erifilla si chiama,

difende il ponte, e sforza e inganna e fura

chiunque andar ne l'altra ripa brama;

ed ella è gigantessa di statura,

li denti ha lunghi e velenoso il morso,

acute l'ugne, e graffia come un orso.

79

Oltre che sempre ci turbi il camino,

che libero saria se non fosse ella,

spesso, correndo per tutto il giardino,

va disturbando or questa cosa or quella.

Sappiate che del populo assassino

che vi assalì fuor de la porta bella,

molti suoi figli son, tutti seguaci,

empi, come ella, inospiti e rapaci. —

80

Ruggier rispose: — Non ch'una battaglia,

ma per voi sarò pronto a farne cento:

di mia persona, in tutto quel che vaglia,

fatene voi secondo il vostro intento;

che la cagion ch'io vesto piastra e maglia,

non è per guadagnar terre né argento,

ma sol per farne beneficio altrui,

tanto più a belle donne come vui. —

81

Le donne molte grazie riferiro

degne d'un cavallier, come quell'era:

e così ragionando ne veniro

dove videro il ponte e la riviera;

e di smeraldo ornata e di zaffiro

su l'arme d'or, vider la donna altiera.

Ma dir ne l'altro canto differisco,

come Ruggier con lei si pose a risco.

CANTO SETTIMO

1

Chi va lontan da la sua patria, vede

cose, da quel che già credea, lontane;

che narrandole poi, non se gli crede,

e stimato bugiardo ne rimane:

che 'l sciocco vulgo non gli vuol dar fede,

se non le vede e tocca chiare e piane.

Per questo io so che l'inesperienza

farà al mio canto dar poca credenza.

2

Poca o molta ch'io ci abbia, non bisogna

ch'io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro.

A voi so ben che non parrà menzogna,

che 'l lume del discorso avete chiaro;

ed a voi soli ogni mio intento agogna

che 'l frutto sia di mie fatiche caro.

Io vi lasciai che 'l ponte e la riviera

vider, che 'n guardia avea Erifilla altiera.

3

Quell'era armata del più fin metallo,

ch'avean di più color gemme distinto:

rubin vermiglio, crisolito giallo,

verde smeraldo, con flavo iacinto.

Era montata, ma non a cavallo;

invece avea di quello un lupo spinto:

spinto avea un lupo ove si passa il fiume,

con ricca sella fuor d'ogni costume.

4

Non credo ch'un sì grande Apulia n'abbia:

egli era grosso ed alto più d'un bue.

Con fren spumar non gli facea le labbia,

né so come lo regga a voglie sue.

La sopravesta di color di sabbia

su l'arme avea la maledetta lue:

era, fuor che 'l color, di quella sorte

ch'i vescovi e i prelati usano in corte.

5

Ed avea ne lo scudo e sul cimiero

una gonfiata e velenosa botta.

Le donne la mostraro al cavalliero,

di qua dal ponte per giostrar ridotta,

e fargli scorno e rompergli il sentiero,

come ad alcuni usata era talotta.

Ella a Ruggier, che torni a dietro, grida:

quel piglia un'asta, e la minaccia e sfida.

6

Non men la gigantessa ardita e presta

sprona il gran lupo e ne l'arcion si serra,

e pon la lancia a mezzo il corso in resta,

e fa tremar nel suo venir la terra.

Ma pur sul prato al fiero incontro resta;

che sotto l'elmo il buon Ruggier l'afferra,

e de l'arcion con tal furor la caccia,

che la riporta indietro oltra sei braccia.

7

E già, tratta la spada ch'avea cinta,

venìa a levarne la testa superba:

e ben lo potea far, che come estinta

Erifilla giacea tra' fiori e l'erba.

Ma le donne gridar: — Basti sia vinta,

senza pigliarne altra vendetta acerba.

Ripon, cortese cavallier, la spada;

passiamo il ponte e seguitian la strada. —

8

Alquanto malagevole ed aspretta

per mezzo un bosco presero la via,

che oltra che sassosa fosse e stretta,

quasi su dritta alla collina gìa.

Ma poi che furo ascesi in su la vetta,

usciro in spaziosa prateria,

dove il più bel palazzo e 'l più giocondo

vider, che mai fosse veduto al mondo.

9

La bella Alcina venne un pezzo inante,

verso Ruggier fuor de le prime porte,

e lo raccolse in signoril sembiante,

in mezzo bella ed onorata corte.

Da tutti gli altri tanto onore e tante

riverenze fur fatte al guerrier forte,

che non potrian far più, se tra loro

fosse Dio sceso dal superno coro.

10

Non tanto il bel palazzo era eccellente,

perché vincesse ogn'altro di ricchezza,

quanto ch'avea la più piacevol gente

che fosse al mondo e di più gentilezza.

Poco era l'un da l'altro differente

e di fiorita etade e di bellezza:

sola di tutti Alcina era più bella,

sì come è bello il sol più d'ogni stella.

11

Di persona era tanto ben formata,

quanto me' finger san pittori industri;

con bionda chioma lunga ed annodata:

oro non è che più risplenda e lustri.

Spargeasi per la guancia delicata

misto color di rose e di ligustri;

di terso avorio era la fronte lieta,

che lo spazio finia con giusta meta.

12

Sotto duo negri e sottilissimi archi

son duo negri occhi, anzi duo chiari soli,

pietosi a riguardare, a mover parchi;

intorno cui par ch'Amor scherzi e voli,

e ch'indi tutta la faretra scarchi

e che visibilmente i cori involi:

quindi il naso per mezzo il viso scende,

che non truova l'invidia ove l'emende.

13

Sotto quel sta, quasi fra due vallette,

la bocca sparsa di natio cinabro;

quivi due filze son di perle elette,

che chiude ed apre un bello e dolce labro:

quindi escon le cortesi parolette

da render molle ogni cor rozzo e scabro;

quivi si forma quel suave riso,

ch'apre a sua posta in terra il paradiso.

14

Bianca nieve è il bel collo, e 'l petto latte;

il collo è tondo, il petto colmo e largo:

due pome acerbe, e pur d'avorio fatte,

vengono e van come onda al primo margo,

quando piacevole aura il mar combatte.

Non potria l'altre parti veder Argo:

ben si può giudicar che corrisponde

a quel ch'appar di fuor quel che s'asconde.

15

Mostran le braccia sua misura giusta;

e la candida man spesso si vede

lunghetta alquanto e di larghezza angusta,

dove né nodo appar, né vena eccede.

Si vede al fin de la persona augusta

il breve, asciutto e ritondetto piede.

Gli angelici sembianti nati in cielo

non si ponno celar sotto alcun velo.

16

Avea in ogni sua parte un laccio teso,

o parli o rida o canti o passo muova:

né maraviglia è se Ruggier n'è preso,

poi che tanto benigna se la truova.

Quel che di lei già avea dal mirto inteso,

com'è perfida e ria, poco gli giova;

ch'inganno o tradimento non gli è aviso

che possa star con sì soave riso.

17

Anzi pur creder vuol che da costei

fosse converso Astolfo in su l'arena

per li suoi portamenti ingrati e rei,

e sia degno di questa e di più pena:

e tutto quel ch'udito avea di lei,

stima esser falso; e che vendetta mena,

e mena astio ed invidia quel dolente

a lei biasmare, e che del tutto mente.

18

La bella donna che cotanto amava,

novellamente gli è dal cor partita;

che per incanto Alcina gli lo lava

d'ogni antica amorosa sua ferita;

e di sé sola e del suo amor lo grava,

e in quello essa riman sola sculpita:

sì che scusar il buon Ruggier si deve,

se si mostrò quivi incostante e lieve.

19

A quella mensa citare, arpe e lire,

e diversi altri dilettevol suoni

faceano intorno l'aria tintinire

d'armonia dolce e di concenti buoni.

Non vi mancava chie, cantando, dire

d'amor sapesse gaudi e passioni,

o con invenzioni e poesie

rappresentasse grate fantasie.

20

Qual mensa trionfante e suntuosa

di qualsivoglia successor di Nino,

o qual mai tanto celebre e famosa

di Cleopatra al vincitor latino,

potria a questa esser par, che l'amorosa

fata avea posta inanzi al paladino?

Tal non cred'io che s'apparecchi dove

ministra Ganimede al sommo Giove.

21

Tolte che fur le mense e le vivande,

facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto:

che ne l'orecchio l'un l'altro domande,

come più piace lor, qualche secreto;

il che agli amanti fu commodo grande

di scoprir l'amor lor senza divieto:

e furon lor conclusioni estreme

di ritrovarsi quella notte insieme.

22

Finir quel giuoco tosto, e molto inanzi

che non solea là dentro esser costume:

con torchi allora i paggi entrati inanzi,

le tenebre cacciar con molto lume.

Tra bella compagnia dietro e dinanzi

andò Ruggiero a ritrovar le piume

in una adorna e fresca cameretta,

per la miglior di tutte l'altre eletta.

23

E poi che di confetti e di buon vini

di nuovo fatti fur debiti inviti,

e partir gli altri riverenti e chini,

ed alle stanze lor tutti sono iti;

Ruggiero entrò ne' profumati lini

che pareano di man d'Aracne usciti,

tenendo tuttavia l'orecchie attente,

s'ancora venir la bella donna sente.

24

Ad ogni piccol moto ch'egli udiva,

sperando che fosse ella, il capo alzava:

sentir credeasi, e spesso non sentiva;

poi del suo errore accorto sospirava.

Talvolta uscia del letto e l'uscio apriva,

guatava fuori, e nulla vi trovava:

e maledì ben mille volte l'ora

che facea al trapassar tanta dimora.

25

Tra sé dicea sovente: — Or si parte ella; —

e cominciava a noverare i passi

ch'esser potean da la sua stanza a quella

donde aspettando sta che Alcina passi;

e questi ed altri, prima che la bella

donna vi sia, vani disegni fassi.

Teme di qualche impedimento spesso,

che tra il frutto e la man non gli sia messo.

26

Alcina, poi ch'a' preziosi odori

dopo gran spazio pose alcuna meta,

venuto il tempo che più non dimori,

ormai ch'in casa era ogni cosa cheta,

de la camera sua sola uscì fuori;

e tacita n'andò per via secreta

dove a Ruggiero avean timore e speme

gran pezzo intorno al cor pugnato insieme.

27

Come si vide il successor d'Astolfo

sopra apparir quelle ridenti stelle,

come abbia ne le vene acceso zolfo,

non par che capir possa ne la pelle.

Or sino agli occhi ben nuota nel golfo

de le delizie e de le cose belle:

salta del letto, e in braccio la raccoglie,

né può tanto aspettar ch'ella si spoglie;

28

ben che né gonna né faldiglia avesse;

che venne avolta in un leggier zendado

che sopra una camicia ella si messe,

bianca e suttil nel più eccellente grado.

Come Ruggiero abbracciò lei, gli cesse

il manto: e restò il vel suttile e rado,

che non copria dinanzi né di dietro,

più che le rose o i gigli un chiaro vetro.

29

Non così strettamente edera preme

pianta ove intorno abbarbicata s'abbia,

come si stringon li dui amanti insieme,

cogliendo de lo spirto in su le labbia

suave fior, qual non produce seme

indo o sabeo ne l'odorata sabbia.

Del gran piacer ch'avean, lor dicer tocca;

che spesso avean più d'una lingua in bocca.

30

Queste cose là dentro eran secrete,

o se pur non secrete, almen taciute;

che raro fu tener le labra chete

biasmo ad alcun, ma ben spesso virtute.

Tutte proferte ed accoglienze liete

fanno a Ruggier quelle persone astute:

ognun lo reverisce e se gli inchina;

che così vuol l'innamorata Alcina.

31

Non è diletto alcun che di fuor reste;

che tutti son ne l'amorosa stanza.

E due e tre volte il dì mutano veste,

fatte or ad una ora ad un'altra usanza.

Spesso in conviti, e sempre stanno in feste,

in giostre, in lotte, in scene, in bagno, in danza:

or presso ai fonti, all'ombre de' poggetti,

leggon d'antiqui gli amorosi detti;

32

or per l'ombrose valli e lieti colli

vanno cacciando le paurose lepri;

or con sagaci cani i fagian folli

con strepito uscir fan di stoppie e vepri;

or a' tordi lacciuoli, or veschi molli

tendon tra gli odoriferi ginepri;

or con ami inescati ed or con reti

turban a' pesci i grati lor secreti.

33

Stava Ruggiero in tanta gioia e festa,

mentre Carlo in travaglio ed Agramante,

di cui l'istoria io non vorrei per questa

porre in oblio, né lasciar Bradamante,

che con travaglio e con pena molesta

pianse più giorni il disiato amante,

ch'avea per strade disusate e nuove

veduto portar via, né sapea dove.

34

Di costei prima che degli altri dico,

che molti giorni andò cercando invano

pei boschi ombrosi e per lo campo aprico,

per ville, per città, per monte e piano;

né mai potè saper del caro amico,

che di tanto intervallo era lontano.

Ne l'oste saracin spesso venìa,

né mai del suo Ruggier ritrovò spia.

35

Ogni dì ne domanda a più di cento,

né alcun le ne sa mai render ragioni.

D'alloggiamento va in alloggiamento,

cercandone e trabacche e padiglioni:

e lo può far; che senza impedimento

passa tra cavallieri e tra pedoni,

mercè all'annel che fuor d'ogni uman uso

la fa sparir quando l'è in bocca chiuso.

36

Né può né creder vuol che morto sia;

perché di sì grande uom l'alta ruina

da l'onde idaspe udita si saria

fin dove il sole a riposar declina.

Non sa né dir né imaginar che via

far possa o in cielo o in terra; e pur meschina

lo va cercando, e per compagni mena

sospiri e pianti ed ogni acerba pena.

37

Pensò al fin di tornare alla spelonca

dove eran l'ossa di Merlin profeta,

e gridar tanto intorno a quella conca,

che 'l freddo marmo si movesse a pieta;

che se vivea Ruggiero, o gli avea tronca

l'alta necessità la vita lieta,

si sapria quindi: e poi s'appiglierebbe

a quel miglior consiglio che n'avrebbe.

38

Con questa intenzion prese il camino

verso le selve prossime a Pontiero,

dove la vocal tomba di Merlino

era nascosa in loco alpestro e fiero.

Ma quella maga che sempre vicino

tenuto a Bradamante avea il pensiero,

quella, dico io, che ne la bella grotta

l'avea de la sua stirpe istrutta e dotta;

39

quella benigna e saggia incantatrice,

la quale ha sempre cura di costei,

sappiendo ch'esser de' progenitrice

d'uomini invitti, anzi di semidei;

ciascun dì vuol sapere che fa, che dice,

e getta ciascun dì sorte per lei.

Di Ruggier liberato e poi perduto,

e dove in India andò, tutto ha saputo.

40

Ben veduto l'avea su quel cavallo

che regger non potea, ch'era sfrenato,

scostarsi di lunghissimo intervallo

per sentier periglioso e non usato;

e ben sapea che stava in giuoco e in ballo

e in cibo e in ozio molle e delicato,

né più memoria avea del suo signore,

né de la donna sua, né del suo onore.

41

E così il fior de li begli anni suoi

in lunga inerzia aver potria consunto

sì gentil cavallier, per dover poi

perdere il corpo e l'anima in un punto;

e quel odor che sol riman di noi,

poscia che 'l resto fragile è defunto,

che tra' l'uom del sepulcro e in vita il serba,

gli saria stato o tronco o svelto in erba.

42

Ma quella gentil maga, che più cura

n'avea ch'egli medesmo di se stesso,

pensò di trarlo per via alpestre e dura

alla vera virtù, mal grado d'esso:

come eccellente medico, che cura

con ferro e fuoco e con veneno spesso,

che se ben molto da principio offende,

poi giova al fine, e grazia se gli rende.

43

Ella non gli era facile, e talmente

fattane cieca di superchio amore,

che, come facea Atlante, solamente

a darli vita avesse posto il core.

Quel più tosto volea che lungamente

vivesse e senza fama e senza onore,

che, con tutta la laude che sia al mondo,

mancasse un anno al suo viver giocondo.

44

L'avea mandato all'isola d'Alcina,

perché obliasse l'arme in quella corte;

e come mago di somma dottrina,

ch'usar sapea gl'incanti d'ogni sorte,

avea il cor stretto di quella regina

ne l'amor d'esso d'un laccio sì forte,

che non se ne era mai per poter sciorre,

s'invecchiasse Ruggier più di Nestorre.

45

Or tornando a colei, ch'era presaga

di quanto de' avvenir, dico che tenne

la dritta via dove l'errante e vaga

figlia d'Amon seco a incontrar si venne.

Bradamante vedendo la sua maga,

muta la pena che prima sostenne,

tutta in speranza; e quella l'apre il vero:

ch'ad Alcina è condotto il suo Ruggiero.

46

La giovane riman presso che morta,

quando ode che 'l suo amante è così lunge;

e più, che nel suo amor periglio porta,

se gran rimedio e subito non giunge:

ma la benigna maga la conforta,

e presta pon l'impiastro ove il duol punge,

e le promette e giura, in pochi giorni

far che Ruggiero a riveder lei torni.

47

— Da che, donna (dicea), l'annello hai teco,

che val contra ogni magica fattura,

io non ho dubbio alcun, che s'io l'arreco

là dove Alcina ogni tuo ben ti fura,

ch'io non le rompa il suo disegno, e meco

non ti rimeni la tua dolce cura.

Me n'andrò questa sera alla prim'ora,

e sarò in India al nascer de l'aurora. —

48

E seguitando, del modo narrolle

che disegnato avea d'adoperarlo,

per trar del regno effeminato e molle

il caro amante, e in Francia rimenarlo.

Bradamante l'annel del dito tolle;

né solamente avria voluto darlo,

ma dato il core e dato avria la vita,

pur che n'avesse il suo Ruggiero aita.

49

Le dà l'annello e se le raccomanda;

e più le raccomanda il suo Ruggiero,

a cui per lei mille saluti manda:

poi prese vêr Provenza altro sentiero.

Andò l'incantatrice a un'altra banda;

e per porre in effetto il suo pensiero,

un palafren fece apparir la sera,

ch'avea un piè rosso, e ogn'altra parte nera.

50

Credo fosse un Alchino o un Farfarello,

che da l'Inferno in quella forma trasse;

e scinta e scalza montò sopra a quello,

a chiome sciolte e orribilmente passe:

ma ben di dito si levò l'annello,

perché gl'incanti suoi non le vietasse.

Poi con tal fretta andò, che la matina

si ritrovò ne l'isola d'Alcina.

51

Quivi mirabilmente transmutosse:

s'accrebbe più d'un palmo di statura,

e fe' le membra a proporzion più grosse;

e restò a punto di quella misura

che si pensò che 'l negromante fosse,

quel che nutrì Ruggier con sì gran cura.

Vestì di lunga barba le mascelle,

e fe' crespa la fronte e l'altra pelle.

52

Di faccia, di parole e di sembiante

sì lo seppe imitar, che totalmente

potea parer l'incantator Atlante.

Poi si nascose, e tanto pose mente,

che da Ruggiero allontanar l'amante

Alcina vide un giorno finalmente:

e fu gran sorte; che di stare o d'ire

senza esso un'ora potea mal patire.

53

Soletto lo trovò, come lo volle,

che si godea il matin fresco e sereno

lungo un bel rio che discorrea d'un colle

verso un laghetto limpido ed ameno.

Il suo vestir delizioso e molle

tutto era d'ozio e di lascivia pieno,

che de sua man gli avea di seta e d'oro

tessuto Alcina con sottil lavoro.

54

Di ricche gemme un splendido monile

gli discendea dal collo in mezzo il petto;

e ne l'uno e ne l'altro già virile

braccio girava un lucido cerchietto.

Gli avea forato un fil d'oro sottile

ambe l'orecchie, in forma d'annelletto;

e due gran perle pendevano quindi,

qua' mai non ebbon gli Arabi né gl'Indi.

55

Umide avea l'innanellate chiome

de' più suavi odor che sieno in prezzo:

tutto ne' gesti era amoroso, come

fosse in Valenza a servir donne avezzo:

non era in lui di sano altro che 'l nome;

corrotto tutto il resto, e più che mézzo.

Così Ruggier fu ritrovato, tanto

da l'esser suo mutato per incanto.

56

Ne la forma d'Atlante se gli affaccia

colei, che la sembianza ne tenea,

con quella grave e venerabil faccia

che Ruggier sempre riverir solea,

con quello occhio pien d'ira e di minaccia,

che sì temuto già fanciullo avea;

dicendo: — È questo dunque il frutto ch'io

lungamente atteso ho del sudor mio?

57

Di medolle già d'orsi e di leoni

ti porsi io dunque li primi alimenti;

t'ho per caverne ed orridi burroni

fanciullo avezzo a strangolar serpenti,

pantere e tigri disarmar d'ungioni

ed a vivi cingial trar spesso i denti,

acciò che, dopo tanta disciplina,

tu sii l'Adone o l'Atide d'Alcina?

58

È questo, quel che l'osservate stelle,

le sacre fibre e gli accoppiati punti,

responsi, auguri, sogni e tutte quelle

sorti, ove ho troppo i miei studi consunti,

di te promesso sin da le mammelle

m'avean, come quest'anni fusser giunti:

ch'in arme l'opre tue così preclare

esser dovean, che sarian senza pare?

59

Questo è ben veramente alto principio

onde si può sperar che tu sia presto

a farti un Alessandro, un Iulio, un Scipio!

Chi potea, ohimè! di te mai creder questo,

che ti facessi d'Alcina mancipio?

E perché ognun lo veggia manifesto,

al collo ed alle braccia hai la catena

con che ella a voglia sua preso ti mena.

60

Se non ti muovon le tue proprie laudi,

e l'opre eccelse a chi t'ha il cielo eletto,

la tua succession perché defraudi

del ben che mille volte io t'ho predetto?

deh, perché il ventre eternamente claudi,

dove il ciel vuol che sia per te concetto

la gloriosa e soprumana prole

ch'esser de' al mondo più chiara che 'l sole?

61

Deh non vietar che le più nobil alme,

che sian formate ne l'eterne idee,

di tempo in tempo abbian corporee salme

dal ceppo che radice in te aver dee!

Deh non vietar mille trionfi e palme,

con che, dopo aspri danni e piaghe ree,

tuoi figli, tuoi nipoti e successori

Italia torneran nei primi onori!

62

Non ch'a piegarti a questo tante e tante

anime belle aver dovesson pondo,

che chiare, illustri, inclite, invitte e sante

son per fiorir da l'arbor tuo fecondo;

ma ti dovria una coppia esser bastante:

Ippolito e il fratel; che pochi il mondo

ha tali avuti ancor fin al dì d'oggi,

per tutti i gradi onde a virtù si poggi.

63

Io solea più di questi dui narrarti,

ch'io non facea di tutti gli altri insieme;

sì perché essi terran le maggior parti,

che gli altri tuoi, ne le virtù supreme;

sì perché al dir di lor mi vedea darti

più attenzion, che d'altri del tuo seme:

vedea goderti che sì chiari eroi

esser dovessen dei nipoti tuoi.

64

Che ha costei che t'hai fatto regina,

che non abbian mill'altre meretrici?

costei che di tant'altri è concubina,

ch'al fin sai ben s'ella suol far felici.

Ma perché tu conosca chi sia Alcina,

levatone le fraudi e gli artifici,

tien questo annello in dito, e torna ad ella,

ch'aveder ti potrai come sia bella. —

65

Ruggier si stava vergognoso e muto

mirando in terra, e mal sapea che dire;

a cui la maga nel dito minuto

pose l'annello, e lo fe' risentire.

Come Ruggiero in sé fu rivenuto,

di tanto scorno si vide assalire,

ch'esser vorria sotterra mille braccia,

ch'alcun veder non lo potesse in faccia.

66

Ne la sua prima forma in uno istante,

così parlando, la maga rivenne;

né bisognava più quella d'Atlante,

seguitone l'effetto per che venne.

Per dirvi quel ch'io non vi dissi inante,

costei Melissa nominata venne,

ch'or diè a Ruggier di sé notizia vera,

e dissegli a che effetto venuta era;

67

mandata da colei, che d'amor piena

sempre il disia, né più può starne senza,

per liberarlo da quella catena

di che lo cinse magica violenza:

e preso avea d'Atlante di Carena

la forma, per trovar meglio credenza.

Ma poi ch'a sanità l'ha ormai ridutto,

gli vuole aprire e far che veggia il tutto.

68

— Quella donna gentil che t'ama tanto,

quella che del tuo amor degna sarebbe,

a cui, se non ti scorda, tu sai quanto

tua libertà, da lei servata, debbe;

questo annel che ripara ad ogni incanto,

ti manda: e così il cor mandato avrebbe,

s'avesse avuto il cor così virtute,

come l'annello, atta alla tua salute. —

69

E seguitò narrandogli l'amore

che Bradamante gli ha portato e porta;

di questa insieme comendò il valore,

in quanto il vero e l'affezion comporta;

ed usò modo e termine migliore

che si convenga a messaggera accorta:

ed in quel odio Alcina a Ruggier pose,

in che soglionsi aver l'orribil cose.

70

In odio gli la pose, ancor che tanto

l'amasse dianzi: e non vi paia strano,

quando il suo amor per forza era d'incanto,

ch'essendovi l'annel, rimase vano.

Fece l'annel palese ancor, che quanto

di beltà Alcina avea, tutto era estrano:

estrano avea, e non suo, dal piè alla treccia;

il bel ne sparve, e le restò la feccia.

71

Come fanciullo che maturo frutto

ripone, e poi si scorda ove è riposto,

e dopo molti giorni è ricondutto

là dove truova a caso il suo deposto,

si maraviglia di vederlo tutto

putrido e guasto, e non come fu posto;

e dove amarlo e caro aver solia,

l'odia, sprezza, n'ha schivo, e getta via:

72

così Ruggier, poi che Melissa fece

ch'a riveder se ne tornò la fata

con quell'annello inanzi a cui non lece,

quando s'ha in dito, usare opra incantata,

ritruova, contra ogni sua stima, invece

de la bella, che dianzi avea lasciata,

donna sì laida, che la terra tutta

né la più vecchia avea né la più brutta.

73

Pallido, crespo e macilente avea

Alcina il viso, il crin raro e canuto,

sua statura a sei palmi non giungea:

ogni dente di bocca era caduto;

che più d'Ecuba e più de la Cumea,

ed avea più d'ogn'altra mai vivuto.

Ma sì l'arti usa al nostro tempo ignote,

che bella e giovanetta parer puote.

74

Giovane e bella ella si fa con arte,

sì che molti ingannò come Ruggiero;

ma l'annel venne a interpretar le carte

che già molti anni avean celato il vero.

Miracol non è dunque, se si parte

de l'animo a Ruggier ogni pensiero

ch'avea d'amare Alcina, or che la truova

in guisa, che sua fraude non le giova.

75

Ma come l'avisò Melissa, stette

senza mutare il solito sembiante,

fin che l'arme sue, più dì neglette,

si fu vestito dal capo alle piante;

e per non farle ad Alcina suspette,

finse provar s'in esse era aiutante,

finse provar se gli era fatto grosso,

dopo alcun dì che non l'ha avute indosso.

76

E Balisarda poi si messe al fianco

(che così nome la sua spada avea);

e lo scudo mirabile tolse anco,

che non pur gli occhi abbarbagliar solea,

ma l'anima facea sì venir manco,

che dal corpo esalata esser parea.

Lo tolse, e col zendado in che trovollo,

che tutto lo copria, sel messe al collo.

77

Venne alla stalla, e fece briglia e sella

porre a un destrier più che la pece nero:

così Melissa l'avea istrutto; ch'ella

sapea quanto nel corso era leggiero.

Chi lo conosce, Rabican l'appella;

ed è quel proprio che col cavalliero

del quale i venti or presso al mar fan gioco,

portò già la balena in questo loco.

78

Potea aver l'ippogrifo similmente,

che presso a Rabicano era legato;

ma gli avea detto la maga: — Abbi mente,

ch'egli è (come tu sai) troppo sfrenato. —

E gli diede intenzion che 'l dì seguente

gli lo trarrebbe fuor di quello stato,

là dove ad agio poi sarebbe istrutto

come frenarlo e farlo gir per tutto.

79

Né sospetto darà, se non lo tolle,

de la tacita fuga ch'apparecchia.

Fece Ruggier come Melissa volle,

ch'invisibile ognor gli era all'orecchia.

Così fingendo, del lascivo e molle

palazzo uscì de la puttana vecchia;

e si venne accostando ad una porta,

donde è la via ch'a Logistilla il porta.

80

Assaltò li guardiani all'improviso,

e si cacciò tra lor col ferro in mano,

e qual lasciò ferito, e quale ucciso;

e corse fuor del ponte a mano a mano:

e prima che n'avesse Alcina aviso,

di molto spazio fu Ruggier lontano.

Dirò ne l'altro canto che via tenne;

poi come a Logistilla se ne venne.

CANTO OTTAVO

1

Oh quante sono incantatrici, oh quanti

incantator tra noi, che non si sanno!

che con lor arti uomini e donne amanti

di sé, cangiando i visi lor, fatto hanno.

Non con spirti costretti tali incanti,

né con osservazion di stelle fanno;

ma con simulazion, menzogne e frodi

legano i cor d'indissolubil nodi.

2

Chi l'annello d'Angelica, o più tosto

chi avesse quel de la ragion, potria

veder a tutti il viso, che nascosto

da finzione e d'arte non saria.

Tal ci par bello e buono, che, deposto

il liscio, brutto e rio forse parria.

Fu gran ventura quella di Ruggiero,

ch'ebbe l'annel che gli scoperse il vero.

3

Ruggier (come io dicea) dissimulando,

su Rabican venne alla porta armato:

trovò le guardie sprovedute, e quando

giunse tra lor, non tenne il brando a lato.

Chi morto e chi a mal termine lasciando,

esce del ponte, e il rastrello ha spezzato:

prende al bosco la via; ma poco corre,

ch'ad un de' servi de la fata occorre.

4

Il servo in pugno avea un augel grifagno

che volar con piacer facea ogni giorno,

ora a campagna, ora a un vicino stagno,

dove era sempre da far preda intorno:

avea da lato il can fido compagno:

cavalcava un ronzin non troppo adorno.

Ben pensò che Ruggier dovea fuggire,

quando lo vide in tal fretta venire.

5

Se gli fe' incontra, e con sembiante altiero

gli domandò perché in tal fretta gisse.

Risponder non gli volse il buon Ruggiero:

perciò colui, più certo che fuggisse,

di volerlo arrestar fece pensiero;

e distendendo il braccio manco, disse:

— Che dirai tu, se subito ti fermo?

se contra questo augel non avrai schermo? —

6

Spinge l'augello: e quel batte sì l'ale,

che non l'avanza Rabican di corso.

Del palafreno il cacciator giù sale,

e tutto a un tempo gli ha levato il morso.

Quel par da l'arco uno aventato strale,

di calci formidabile e di morso;

e 'l servo dietro sì veloce viene,

che par ch'il vento, anzi che il fuoco il mene.

7

Non vuol parere il can d'esser più tardo;

ma segue Rabican con quella fretta

con che le lepri suol seguire il pardo.

Vergogna a Ruggier par, se non aspetta.

Voltasi a quel che vien sì a piè gagliardo;

né gli vede arme, fuor ch'una bacchetta,

quella con che ubidire al cane insegna:

Ruggier di trar la spada si disdegna.

8

Quel se gli appressa, e forte lo percuote:

lo morde a un tempo il can nel piede manco.

Lo sfrenato destrier la groppa scuote

tre volte e più, né falla il destro fianco.

Gira l'augello e gli fa mille ruote,

e con l'ugna sovente il ferisce anco:

sì il destrier collo strido impaurisce,

ch'alla mano e allo spron poco ubidisce.

9

Ruggiero, al fin costretto, il ferro caccia:

e perché tal molestia se ne vada,

or gli animali, or quel villan minaccia

col taglio e con la punta de la spada.

Quella importuna turba più l'impaccia:

presa ha chi qua chi là tutta la strada.

Vede Ruggiero il disonore e il danno

che gli avverrà, se più tardar lo fanno.

10

Sa ch'ogni poco più ch'ivi rimane,

Alcina avrà col populo alle spalle:

di trombe, di tamburi e di campane

già s'ode alto rumore in ogni valle.

Contra un servo senza arme e contra un cane

gli par ch'a usar la spada troppo falle:

meglio e più breve è dunque che gli scopra

lo scudo che d'Atlante era stato opra.

11

Levò il drappo vermiglio in che coperto

già molti giorni lo scudo si tenne.

Fece l'effetto mille volte esperto

il lume, ove a ferir negli occhi venne:

resta dai sensi il cacciator deserto,

cade il cane e il ronzin, cadon le penne,

ch'in aria sostener l'augel non ponno.

Lieto Ruggier li lascia in preda al sonno.

12

Alcina, ch'avea intanto avuto aviso

di Ruggier, che sforzato avea la porta,

e de la guardia buon numero ucciso,

fu, vinta dal dolor, per restar morta.

Squarciossi i panni e si percosse il viso,

e sciocca nominossi e malaccorta;

e fece dar all'arme immantinente,

e intorno a sé raccor tutta sua gente.

13

E poi ne fa due parti, e manda l'una

per quella strada ove Ruggier camina;

al porto l'altra subito raguna,

imbarca, ed uscir fa ne la marina:

sotto le vele aperte il mar s'imbruna.

Con questi va la disperata Alcina,

che 'l desiderio di Ruggier sì rode,

che lascia sua città senza custode.

14

Non lascia alcuno a guardia del palagio:

il che a Melissa che stava alla posta

per liberar di quel regno malvagio

la gente ch'in miseria v'era posta,

diede commodità, diede grande agio

di gir cercando ogni cosa a sua posta,

imagini abbruciar, suggelli torre,

e nodi e rombi e turbini disciorre.

15

Indi pei campi accelerando i passi,

gli antiqui amanti, ch'erano in gran torma

conversi in fonti, in fere, in legni, in sassi,

fe' ritornar ne la lor prima forma.

E quei, poi ch'allargati furo i passi,

tutti del buon Ruggier seguiron l'orma:

a Logistilla si salvaro; ed indi

tornaro a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.

16

Li rimandò Melissa in lor paesi,

con obligo di mai non esser sciolto.

Fu inanzi agli altri il duca degl'Inglesi

ad esser ritornato in uman volto;

che 'l parentado in questo e li cortesi

prieghi del buon Ruggier gli giovar molto:

oltre i prieghi, Ruggier le diè l'annello,

acciò meglio potesse aiutar quello.

17

A' prieghi dunque di Ruggier, rifatto

fu 'l paladin ne la sua prima faccia.

Nulla pare a Melissa d'aver fatto,

quando ricovrar l'arme non gli faccia,

e quella lancia d'or, ch'al primo tratto

quanti ne tocca de la sella caccia:

de l'Argalia, poi fu d'Astolfo lancia,

e molto onor fe' all'uno e a l'altro in Francia.

18

Trovò Melissa questa lancia d'oro,

ch'Alcina avea reposta nel palagio,

e tutte l'arme che del duca foro,

e gli fur tolte ne l'ostel malvagio.

Montò il destrier del negromante moro,

e fe' montar Astolfo in groppa ad agio;

e quindi a Logistilla si condusse

d'un'ora prima che Ruggier vi fusse.

19

Tra duri sassi e folte spine gìa

Ruggiero intanto invêr la fata saggia,

di balzo in balzo, e d'una in altra via

aspra, solinga, inospita e selvaggia;

tanto ch'a gran fatica riuscia

su la fervida nona in una spiaggia

tra 'l mare e 'l monte, al mezzodì scoperta,

arsiccia, nuda, sterile e deserta.

20

Percuote il sole ardente il vicin colle;

e del calor che si riflette a dietro,

in modo l'aria e l'arena ne bolle,

che saria troppo a far liquido il vetro.

Stassi cheto ogni augello all'ombra molle:

sol la cicala col noioso metro

fra i densi rami del fronzuto stelo

le valli e i monti assorda, e il mare e il cielo.

21

Quivi il caldo, la sete, e la fatica

ch'era di gir per quella via arenosa,

facean, lungo la spiaggia erma ed aprica,

a Ruggier compagnia grave e noiosa.

Ma perché non convien che sempre io dica,

né ch'io vi occupi sempre in una cosa,

io lascerò Ruggiero in questo caldo,

e girò in Scozia a ritrovar Rinaldo.

22

Era Rinaldo molto ben veduto

dal re, da la figliuola e dal paese.

Poi la cagion che quivi era venuto,

più ad agio il paladin fece palese:

ch'in nome del suo re chiedeva aiuto

e dal regno di Scozia e da l'Inglese;

ed ai preghi soggiunse anco di Carlo,

giustissime cagion di dover farlo.

23

Dal re, senza indugiar, gli fu risposto,

che di quanto sua forza s'estendea,

per utile ed onor sempre disposto

di Carlo e de l'Imperio esser volea;

e che fra pochi dì gli avrebbe posto

più cavallieri in punto che potea;

e se non ch'esso era oggimai pur vecchio,

capitano verria del suo apparecchio.

24

Né tal rispetto ancor gli parria degno

di farlo rimaner, se non avesse

il figlio, che di forza, e più d'ingegno,

dignissimo era a chi'l governo desse,

ben che non si trovasse allor nel regno;

ma che sperava che venir dovesse

mentre ch'insieme aduneria lo stuolo;

e ch'adunato il troveria il figliuolo.

25

Così mandò per tutta la sua terra

suoi tesorieri a far cavalli e gente;

navi apparecchia e munizion da guerra,

vettovaglia e danar maturamente.

Venne intanto Rinaldo in Inghilterra,

e 'l re nel suo partir cortesemente

insino a Beroicche accompagnollo;

e visto pianger fu quando lasciollo.

26

Spirando il vento prospero alla poppa,

monta Rinaldo, ed a Dio dice a tutti:

la fune indi al viaggio il nocchier sgroppa;

tanto che giunge ove nei salsi flutti

il bel Tamigi amareggiando intoppa.

Col gran flusso del mar quindi condutti

i naviganti per camin sicuro

a vela e remi insino a Londra furo.

27

Rinaldo avea da Carlo e dal re Otone,

che con Carlo in Parigi era assediato,

al principe di Vallia commissione

per contrasegni e lettere portato,

che ciò che potea far la regione

di fanti e di cavalli in ogni lato,

tutto debba a Calesio traghittarlo,

sì che aiutar si possa Francia e Carlo.

28

Il principe ch'io dico, ch'era, in vece

d'Oton, rimaso nel seggio reale,

a Rinaldo d'Amon tanto onor fece,

che non l'avrebbe al suo re fatto uguale:

indi alle sue domande satisfece;

perché a tutta la gente marziale

e di Bretagna e de l'isole intorno

di ritrovarsi al mar prefisse il giorno.

29

Signor, far mi convien come fa il buono

sonator sopra il suo istrumento arguto,

che spesso muta corda, e varia suono,

ricercando ora il grave, ora l'acuto.

Mentre a dir di Rinaldo attento sono,

d'Angelica gentil m'è sovenuto,

di che lasciai ch'era da lui fuggita,

e ch'avea riscontrato uno eremita.

30

Alquanto la sua istoria io vo' seguire.

Dissi che domandava con gran cura,

come potesse alla marina gire;

che di Rinaldo avea tanta paura,

che, non passando il mar, credea morire,

né in tutta Europa si tenea sicura:

ma l'eremita a bada la tenea,

perché di star con lei piacere avea.

31

Quella rara bellezza il cor gli accese,

e gli scaldò le frigide medolle:

ma poi che vide che poco gli attese,

e ch'oltra soggiornar seco non volle,

di cento punte l'asinello offese;

né di sua tardità però lo tolle:

e poco va di passo e men di trotto,

né stender gli si vuol la bestia sotto.

32

E perché molto dilungata s'era,

e poco più, n'avria perduta l'orma,

ricorse il frate alla spelonca nera,

e di demoni uscir fece una torma:

e ne sceglie uno di tutta la schiera,

e del bisogno suo prima l'informa;

poi lo fa entrare adosso al corridore,

che via gli porta con la donna il core.

33

E qual sagace can, nel monte usato

a volpi o lepri dar spesso la caccia,

che se la fera andar vede da un lato,

ne va da un altro, e par sprezzi la traccia;

al varco poi lo sentono arrivato,

che l'ha già in bocca, e l'apre il fianco e straccia:

tal l'eremita per diversa strada

aggiugnerà la donna ovunque vada.

34

Che sia il disegno suo, ben io comprendo:

e dirollo anco a voi, ma in altro loco.

Angelica di ciò nulla temendo,

cavalcava a giornate, or molto or poco.

Nel cavallo il demon si gìa coprendo,

come si cuopre alcuna volta il fuoco,

che con sì grave incendio poscia avampa,

che non si estingue, e a pena se ne scampa.

35

Poi che la donna preso ebbe il sentiero

dietro il gran mar che li Guasconi lava,

tenendo appresso all'onde il suo destriero,

dove l'umor la via più ferma dava;

quel le fu tratto dal demonio fiero

ne l'acqua sì, che dentro vi nuotava.

Non sa che far la timida donzella,

se non tenersi ferma in su la sella.

36

Per tirar briglia, non gli può dar volta:

più e più sempre quel si caccia in alto.

Ella tenea la vesta in su raccolta

per non bagnarla, e traea i piedi in alto.

Per le spalle la chioma iva disciolta,

e l'aura le facea lascivo assalto.

Stavano cheti tutti i maggior venti,

forse a tanta beltà, col mare, attenti.

37

Ella volgea i begli occhi a terra invano,

che bagnavan di pianto il viso e 'l seno,

e vedea il lito andar sempre lontano

e decrescer più sempre e venir meno.

Il destrier, che nuotava a destra mano,

dopo un gran giro la portò al terreno

tra scuri sassi e spaventose grotte,

già cominciando ad oscurar la notte.

38

Quando si vide sola in quel deserto,

che a riguardarlo sol, mettea paura,

ne l'ora che nel mar Febo coperto

l'aria e la terra avea lasciata oscura,

fermossi in atto ch'avria fatto incerto

chiunque avesse vista sua figura,

s'ella era donna sensitiva e vera,

o sasso colorito in tal maniera.

39

Stupida e fissa ne la incerta sabbia,

coi capelli disciolti e rabuffati,

con le man giunte e con l'immote labbia,

i languidi occhi al ciel tenea levati,

come accusando il gran Motor che l'abbia

tutti inclinati nel suo danno i fati.

Immota e come attonita stè alquanto;

poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.

40

Dicea: — Fortuna, che più a far ti resta

acciò di me ti sazi e ti disfami?

che dar ti posso omai più, se non questa

misera vita? ma tu non la brami;

ch'ora a trarla del mar sei stata presta,

quando potea finir suoi giorni grami:

perché ti parve di voler più ancora

vedermi tormentar prima ch'io muora.

41

Ma che mi possi nuocere non veggio,

più di quel che sin qui nociuto m'hai.

Per te cacciata son del real seggio,

dove più ritornar non spero mai:

ho perduto l'onor, ch'è stato peggio;

che, se ben con effetto io non peccai,

io do però materia ch'ognun dica,

ch'essendo vagabonda, io sia impudica.

42

Ch'aver può donna al mondo più di buono,

a cui la castità levata sia?

Mi nuoce, ahimè! ch'io son giovane, e sono

tenuta bella, o sia vero o bugia.

Già non ringrazio il ciel di questo dono;

che di qui nasce ogni ruina mia:

morto per questo fu Argalia mio frate,

che poco gli giovar l'arme incantate:

43

per questo il re di Tartaria Agricane

disfece il genitor mio Galafrone,

ch'in India, del Cataio era gran Cane;

onde io son giunta a tal condizione,

che muto albergo da sera a dimane.

Se l'aver, se l'onor, se le persone

m'hai tolto, e fatto il mal che far mi puoi,

a che più doglia anco serbar mi vuoi?

44

Se l'affogarmi in mar morte non era

a tuo senno crudel, pur ch'io ti sazi,

non recuso che mandi alcuna fera

che mi divori, e non mi tenga in strazi.

D'ogni martir che sia, pur ch'io ne pera,

esser non può ch'assai non ti ringrazi. —

Così dicea la donna con gran pianto,

quando le apparve l'eremita accanto.

45

Avea mirato da l'estrema cima

d'un rilevato sasso l'eremita

Angelica, che giunta alla parte ima

è dello scoglio, afflitta e sbigottita.

Era sei giorni egli venuto prima;

ch'un demonio il portò per via non trita:

e venne a lei fingendo divozione

quanta avesse mai Paulo o Ilarione.

46

Come la donna il cominciò a vedere,

prese, non conoscendolo, conforto;

e cessò a poco a poco il suo temere,

ben che ella avesse ancora il viso smorto.

Come fu presso, disse: — Miserere,

padre, di me, ch'i' son giunta a mal porto. —

E con voce interrotta dal singulto

gli disse quel ch'a lui non era occulto.

47

Comincia l'eremita a confortarla

con alquante ragion belle e divote;

e pon l'audaci man, mentre che parla,

or per lo seno, or per l'umide gote:

poi più sicuro va per abbracciarla;

ed ella sdegnosetta lo percuote

con una man nel petto, e lo rispinge,

e d'onesto rossor tutta si tinge.

48

Egli, ch'allato avea una tasca, aprilla,

e trassene una ampolla di liquore;

e negli occhi possenti, onde sfavilla

la più cocente face ch'abbia Amore,

spruzzò di quel leggiermente una stilla,

che di farla dormire ebbe valore.

Già resupina ne l'arena giace

a tutte voglie del vecchio rapace.

49

Egli l'abbraccia ed a piacer la tocca

ed ella dorme e non può fare ischermo.

Or le bacia il bel petto, ora la bocca;

non è chi 'l veggia in quel loco aspro ed ermo.

Ma ne l'incontro il suo destrier trabocca;

ch'al disio non risponde il corpo infermo:

era mal atto, perché avea troppi anni;

e potrà peggio, quanto più l'affanni.

50

Tutte le vie, tutti li modi tenta,

ma quel pigro rozzon non però salta.

Indarno il fren gli scuote, e lo tormenta;

e non può far che tenga la testa alta.

Al fin presso alla donna s'addormenta;

e nuova altra sciagura anco l'assalta:

non comincia Fortuna mai per poco,

quando un mortal si piglia a scherno e a gioco.

51

Bisogna, prima ch'io vi narri il caso,

ch'un poco dal sentier dritto mi torca.

Nel mar di tramontana invêr l'occaso,

oltre l'Irlanda una isola si corca,

Ebuda nominata; ove è rimaso

il popul raro, poi che la brutta orca

e l'altro marin gregge la distrusse,

ch'in sua vendetta Proteo vi condusse.

52

Narran l'antique istorie, o vere o false,

che tenne già quel luogo un re possente,

ch'ebbe una figlia, in cui bellezza valse

e grazia sì, che poté facilmente,

poi che mostrossi in su l'arene salse,

Proteo lasciare in mezzo l'acque ardente;

e quello, un dì che sola ritrovolla,

compresse, e di sé gravida lasciolla.

53

La cosa fu gravissima e molesta

al padre, più d'ogn'altro empio e severo:

né per iscusa o per pietà, la testa

le perdonò: sì può lo sdegno fiero.

Né per vederla gravida, si resta

di subito esequire il crudo impero:

e 'l nipotin che non avea peccato,

prima fece morir che fosse nato.

54

Proteo marin, che pasce il fiero armento

di Nettunno che l'onda tutta regge,

sente de la sua donna aspro tormento,

e per grand'ira, rompe ordine e legge;

sì che a mandare in terra non è lento

l'orche e le foche, e tutto il marin gregge,

che distruggon non sol pecore e buoi,

ma ville e borghi e li cultori suoi:

55

e spesso vanno alle città murate,

e d'ogn'intorno lor mettono assedio.

Notte e dì stanno le persone armate,

con gran timore e dispiacevol tedio:

tutte hanno le campagne abbandonate;

e per trovarvi al fin qualche rimedio,

andarsi a consigliar di queste cose

all'oracol, che lor così rispose:

56

che trovar bisognava una donzella

che fosse all'altra di bellezza pare,

ed a Proteo sdegnato offerir quella,

in cambio de la morta, in lito al mare.

S'a sua satisfazion gli parrà bella,

se la terrà, né li verrà a sturbare:

se per questo non sta, se gli appresenti

una ed un'altra, fin che si contenti.

57

E così cominciò la dura sorte

tra quelle che più grate eran di faccia,

ch'a Proteo ciascun giorno una si porte,

fin che trovino donna che gli piaccia.

La prima e tutte l'altre ebbero morte;

che tutte giù pel ventre se le caccia

un'orca, che restò presso alla foce,

poi che 'l resto partì del gregge atroce.

58

O vera o falsa che fosse la cosa

di Proteo (ch'io non so che me ne dica),

servosse in quella terra, con tal chiosa,

contra le donne un'empia lege antica:

che di lor carne l'orca mostruosa

che viene ogni dì al lito, si notrica.

Ben ch'esser donna sia in tutte le bande

danno e sciagura, quivi era pur grande.

59

Oh misere donzelle che trasporte

fortuna ingiuriosa al lito infausto!

dove le genti stan sul mare accorte

per far de le straniere empio olocausto;

che, come più di fuor ne sono morte,

il numer de le loro è meno esausto:

ma perché il vento ognor preda non mena,

ricercando ne van per ogni arena.

60

Van discorrendo tutta la marina

con fuste e grippi ed altri legni loro,

e da lontana parte e da vicina

portan sollevamento al lor martoro.

Molte donne han per forza e per rapina,

alcune per lusinghe, altre per oro;

e sempre da diverse regioni

n'hanno piene le torri e le prigioni.

61

Passando una lor fusta a terra a terra

inanzi a quella solitaria riva

dove fra sterpi in su l'erbosa terra

la sfortunata Angelica dormiva,

smontaro alquanti galeotti in terra

per riportarne e legna ed acqua viva;

e di quante mai fur belle e leggiadre

trovaro il fiore in braccio al santo padre.

62

Oh troppo cara, oh troppo eccelsa preda

per sì barbare genti e sì villane!

Oh Fortuna crudel, chi fia ch'il creda,

che tanta forza hai ne le cose umane,

che per cibo d'un mostro tu conceda

la gran beltà, ch'in India il re Agricane

fece venir da le caucasee porte

con mezza Scizia a guadagnar la morte?

63

La gran beltà, che fu da Sacripante

posta inanzi al suo onore e al suo bel regno;

la gran beltà, ch'al gran signor d'Anglante

macchiò la chiara fama e l'alto ingegno;

la gran beltà che fe' tutto Levante

sottosopra voltarsi e stare al segno,

ora non ha (così è rimasa sola)

chi le dia aiuto pur d'una parola.

64

La bella donna, di gran sonno oppressa,

incatenata fu prima che desta.

Portaro il frate incantator con essa

nel legno pien di turba afflitta e mesta.

La vela, in cima all'arbore rimessa,

rendé la nave all'isola funesta,

dove chiuser la donna in rocca forte,

fin a quel dì ch'a lei toccò la sorte.

65

Ma poté sì, per esser tanto bella,

la fiera gente muovere a pietade,

che molti dì le differiron quella

morte, e serbarla a gran necessitade;

e fin ch'ebber di fuore altra donzella,

perdonaro all'angelica beltade.

Al mostro fu condotta finalmente,

piangendo dietro a lei tutta la gente.

66

Chi narrerà l'angosce, i pianti, i gridi,

l'alta querela che nel ciel penetra?

maraviglia ho che non s'apriro i lidi,

quando fu posta in su la fredda pietra,

dove in catena, priva di sussidi,

morte aspettava abominosa e tetra.

Io nol dirò; che sì il dolor mi muove,

che mi sforza voltar le rime altrove,

67

e trovar versi non tanto lugubri,

fin che 'l mio spirto stanco si riabbia;

che non potrian li squalidi colubri,

né l'orba tigre accesa in maggior rabbia,

né ciò che da l'Atlante ai liti rubri

venenoso erra per la calda sabbia,

né veder né pensar senza cordoglio,

Angelica legata al nudo scoglio.

68

Oh se l'avesse il suo Orlando saputo,

ch'era per ritrovarla ito a Parigi;

o li dui ch'ingannò quel vecchio astuto

col messo che venìa dai luoghi stigi!

fra mille morti, per donarle aiuto,

cercato avrian gli angelici vestigi:

ma che fariano, avendone anco spia,

poi che distanti son di tanta via?

69

Parigi intanto avea l'assedio intorno

dal famoso figliuol del re Troiano;

e venne a tanta estremitade un giorno,

che n'andò quasi al suo nimico in mano:

e se non che li voti il ciel placorno,

che dilagò di pioggia oscura il piano,

cadea quel dì per l'africana lancia

il santo Impero e 'l gran nome di Francia.

70

Il sommo Creator gli occhi rivolse

al giusto lamentar del vecchio Carlo;

e con subita pioggia il fuoco tolse:

né forse uman saper potea smorzarlo.

Savio chiunque a Dio sempre si volse;

ch'altri non poté mai meglio aiutarlo.

Ben dal devoto re fu conosciuto,

che si salvò per lo divino aiuto.

71

La notte Orlando alle noiose piume

del veloce pensier fa parte assai.

Or quinci or quindi il volta, or lo rassume

tutto in un loco, e non l'afferma mai:

qual d'acqua chiara il tremolante lume,

dal sol percossa o da' notturni rai,

per gli ampli tetti va con lungo salto

a destra ed a sinistra, e basso ed alto.

72

La donna sua, che gli ritorna a mente,

anzi che mai non era indi partita,

gli raccende nel core e fa più ardente

la fiamma che nel dì parea sopita.

Costei venuta seco era in Ponente

fin dal Cataio; e qui l'avea smarrita,

né ritrovato poi vestigio d'ella

che Carlo rotto fu presso a Bordella.

73

Di questo Orlando avea gran doglia, e seco

indarno a sua sciocchezza ripensava.

— Cor mio (dicea), come vilmente teco

mi son portato! ohimè, quanto mi grava

che potendoti aver notte e dì meco,

quando la tua bontà non mel negava,

t'abbia lasciato in man di Namo porre,

per non sapermi a tanta ingiuria opporre!

74

Non aveva ragione io di scusarme?

e Carlo non m'avria forse disdetto:

se pur disdetto, e chi potea sforzarme?

chi ti mi volea torre al mio dispetto?

non poteva io venir più tosto all'arme?

lasciar più tosto trarmi il cor del petto?

Ma né Carlo né tutta la sua gente

di tormiti per forza era possente.

75

Almen l'avesse posta in guardia buona

dentro a Parigi o in qualche rocca forte.

Che l'abbia data a Namo mi consona,

sol perché a perder l'abbia a questa sorte.

Chi la dovea guardar meglio persona

di me? ch'io dovea farlo fino a morte;

guardarla più che 'l cor, che gli occhi miei:

e dovea e potea farlo, e pur nol fei.

76

Deh, dove senza me, dolce mia vita,

rimasa sei sì giovane e sì bella?

come, poi che la luce è dipartita,

riman tra' boschi la smarrita agnella,

che dal pastor sperando esser udita,

si va lagnando in questa parte e in quella;

tanto che 'l lupo l'ode da lontano,

e 'l misero pastor ne piagne invano.

77

Dove, speranza mia, dove ora sei?

vai tu soletta forse ancor errando?

o pur t'hanno trovata i lupi rei

senza la guardia del tuo fido Orlando?

e il fior ch'in ciel potea pormi fra i dei,

il fior ch'intatto io mi venìa serbando

per non turbarti, ohimè! l'animo casto,

ohimè! per forza avranno colto e guasto.

78

Oh infelice! oh misero! che voglio

se non morir, se 'l mio bel fior colto hanno?

O sommo Dio, fammi sentir cordoglio

prima d'ogn'altro, che di questo danno.

Se questo è ver, con le mie man mi toglio

la vita, e l'alma disperata danno. —

Così, piangendo forte e sospirando,

seco dicea l'addolorato Orlando.

79

Già in ogni parte gli animanti lassi

davan riposo ai travagliati spirti,

chi su le piume, e chi sui duri sassi,

e chi su l'erbe, e chi su faggi o mirti:

tu le palpebre, Orlando, a pena abbassi,

punto da' tuoi pensieri acuti ed irti;

né quel sì breve e fuggitivo sonno

godere in pace anco lasciar ti ponno.

80

Parea ad Orlando, s'una verde riva

d'odoriferi fior tutta dipinta,

mirare il bello avorio, e la nativa

purpura ch'avea Amor di sua man tinta,

e le due chiare stelle onde nutriva

ne le reti d'Amor l'anima avinta:

io parlo de' begli occhi e del bel volto,

che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.

81

Sentia il maggior piacer, la maggior festa

che sentir possa alcun felice amante:

ma ecco intanto uscire una tempesta

che struggea i fior, ed abbattea le piante:

non se ne suol veder simile a questa,

quando giostra aquilone, austro e levante.

Parea che per trovar qualche coperto,

andasse errando invan per un deserto.

82

Intanto l'infelice (e non sa come)

perde la donna sua per l'aer fosco;

onde di qua e di là del suo bel nome

fa risonare ogni campagna e bosco.

E mentre dice indarno: — Misero me!

chi ha cangiata mia dolcezza in tosco? —

ode la donna sua che gli domanda,

piangendo, aiuto, e se gli raccomanda.

83

Onde par ch'esca il grido, va veloce,

e quinci e quindi s'affatica assai.

Oh quanto è il suo dolore aspro ed atroce,

che non può rivedere i dolci rai!

Ecco ch'altronde ode da un'altra voce:

— Non sperar più gioirne in terra mai. —

A questo orribil grido risvegliossi,

e tutto pien di lacrime trovossi.

84

Senza pensar che sian l'immagin false

quando per tema o per disio si sogna,

de la donzella per modo gli calse,

che stimò giunta a danno od a vergogna,

che fulminando fuor del letto salse.

Di piastra e maglia, quanto gli bisogna,

tutto guarnissi, e Brigliadoro tolse;

né di scudiero alcun servigio volse.

85

E per poter entrare ogni sentiero,

che la sua dignità macchia non pigli,

non l'onorata insegna del quartiero,

distinta di color bianchi e vermigli,

ma portar volse un ornamento nero;

e forse acciò ch'al suo dolor simigli:

e quello avea già tolto a uno amostante,

ch'uccise di sua man pochi anni inante.

86

Da mezza notte tacito si parte,

e non saluta e non fa motto al zio;

né al fido suo compagno Brandimarte,

che tanto amar solea, pur dice a Dio.

Ma poi che 'l Sol con l'auree chiome sparte

del ricco albergo di Titone uscìo

e fe' l'ombra fugire umida e nera,

s'avide il re che 'l paladin non v'era.

87

Con suo gran dispiacer s'avede Carlo

che partito la notte è 'l suo nipote,

quando esser dovea seco e più aiutarlo;

e ritener la colera non puote,

ch'a lamentarsi d'esso, ed a gravarlo

non incominci di biasmevol note:

e minacciar, se non ritorna, e dire

che lo faria di tanto error pentire.

88

Brandimarte, ch'Orlando amava a pare

di sé medesmo, non fece soggiorno;

o che sperasse farlo ritornare,

o sdegno avesse udirne biasmo e scorno;

e volse a pena tanto dimorare,

ch'uscisse fuor ne l'oscurar del giorno.

A Fiordiligi sua nulla ne disse,

perché 'l disegno suo non gl'impedisse.

89

Era questa una donna che fu molto

da lui diletta, e ne fu raro senza;

di costumi, di grazia e di bel volto

dotata e d'accortezza e di prudenza:

e se licenza or non n'aveva tolto,

fu che sperò tornarle alla presenza

il dì medesmo; ma gli accadde poi,

che lo tardò più dei disegni suoi.

90

E poi ch'ella aspettato quasi un mese

indarno l'ebbe, e che tornar nol vide,

di desiderio sì di lui s'accese,

che si partì senza compagni o guide;

e cercandone andò molto paese,

come l'istoria al luogo suo dicide.

Di questi dua non vi dico or più inante;

che più m'importa il cavallier d'Anglante.

91

Il qual, poi che mutato ebbe d'Almonte

le gloriose insegne, andò alla porta,

e disse ne l'orecchio: — Io sono il conte —

a un capitan che vi facea la scorta;

e fattosi abassar subito il ponte,

per quella strada che più breve porta

agl'inimici, se n'andò diritto.

Quel che seguì, ne l'altro canto è scritto.

CANTO NONO

1

Che non può far d'un cor ch'abbia suggetto

questo crudele e traditore Amore,

poi ch'ad Orlando può levar del petto

la tanta fe' che debbe al suo Signore?

Già savio e pieno fu d'ogni rispetto,

e de la santa Chiesa difensore;

or per un vano amor, poco del zio,

e di sé poco, e men cura di Dio.

2

Ma l'escuso io pur troppo, e mi rallegro

nel mio difetto aver compagno tale;

ch'anch'io sono al mio ben languido ed egro,

sano e gagliardo a seguitare il male.

Quel se ne va tutto vestito a negro,

né tanti amici abandonar gli cale;

e passa dove d'Africa e di Spagna

la gente era attendata alla campagna:

3

anzi non attendata, perché sotto

alberi e tetti l'ha sparsa la pioggia

a dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto;

chi più distante e chi più presso alloggia.

Ognuno dorme travagliato e rotto:

chi steso in terra, e chi alla man s'appoggia.

Dormono; e il conte uccider ne può assai:

né però stringe Durindana mai.

4

Di tanto core è il generoso Orlando,

che non degna ferir gente che dorma.

Or questo, e quando quel luogo cercando

va, per trovar de la sua donna l'orma.

Se truova alcun che veggi, sospirando

gli ne dipinge l'abito e la forma;

e poi lo priega che per cortesia

gl'insegni andar in parte ove ella sia.

5

E poi che venne il dì chiaro e lucente,

tutto cercò l'esercito moresco:

e ben lo potea far sicuramente,

avendo indosso l'abito arabesco;

ed aiutollo in questo parimente,

che sapeva altro idioma che francesco,

e l'africano tanto avea espedito,

che parea nato a Tripoli e nutrito.

6

Quivi il tutto cercò, dove dimora

fece tre giorni, e non per altro effetto;

poi dentro alle cittadi e a' borghi fuora

non spiò sol per Francia e suo distretto,

ma per Uvernia e per Guascogna ancora

rivide sin all'ultimo borghetto:

e cercò da Provenza alla Bretagna,

e dai Picardi ai termini di Spagna.

7

Tra il fin d'ottobre e il capo di novembre,

ne la stagion che la frondosa vesta

vede levarsi e discoprir le membre

trepida pianta, fin che nuda resta,

e van gli augelli a strette schiere insembre,

Orlando entrò ne l'amorosa inchiesta;

né tutto il verno appresso lasciò quella,

né la lasciò ne la stagion novella.

8

Passando un giorno, come avea costume,

d'un paese in un altro, arrivò dove

parte i Normandi dai Bretoni un fiume,

e verso il vicin mar cheto si muove;

ch'allora gonfio e bianco già di spume

per nieve sciolta e per montane piove:

e l'impeto de l'acqua avea disciolto

e tratto seco il ponte, e il passo tolto.

9

Con gli occhi cerca or questo lato or quello,

lungo le ripe il paladin, se vede

(quando né pesce egli non è, né augello)

come abbia a por ne l'altra ripa il piede:

ed ecco a sé venir vede un battello,

ne la cui poppa una donzella siede,

che di volere a lui venir fa segno;

né lascia poi ch'arrivi in terra il legno.

10

Prora in terra non pon; ché d'esser carca

contra sua volontà forse sospetta.

Orlando priega lei che ne la barca

seco lo tolga, ed oltre il fiume il metta.

Ed ella lui: — Qui cavallier non varca,

il qual su la sua fé non mi prometta

di fare una battaglia a mia richiesta,

la più giusta del mondo e la più onesta.

11

Sì che s'avete, cavallier, desire

di por per me ne l'altra ripa i passi,

promettetemi, prima che finire

quest'altro mese prossimo si lassi,

ch'al re d'Ibernia v'anderete a unire,

appresso al qual la bella armata fassi

per distrugger quell'isola d'Ebuda,

che, di quante il mar cinge, è la più cruda.

12

Voi dovete saper ch'oltre l'Irlanda,

fra molte che vi son, l'isola giace

nomata Ebuda, che per legge manda

rubando intorno il suo popul rapace;

e quante donne può pigliar, vivanda

tutte destina a un animal vorace,

che viene ogni dì al lito, e sempre nuova

donna o donzella, onde si pasca, truova;

13

che mercanti e corsar che vanno attorno,

ve ne fan copia, e più de le più belle.

Ben potete contare, una per giorno,

quante morte vi sian donne e donzelle.

Ma se pietade in voi truova soggiorno,

se non sete d'Amor tutto ribelle,

siate contento esser tra questi eletto,

che van per far sì fruttuoso effetto. —

14

Orlando volse a pena udire il tutto,

che giurò d'esser primo a quella impresa,

come quel ch'alcun atto iniquo e brutto

non può sentire, e d'ascoltar gli pesa:

e fu a pensare, indi a temere indutto,

che quella gente Angelica abbia presa;

poi che cercata l'ha per tanta via,

né potutone ancor ritrovar spia.

15

Questa imaginazion sì gli confuse

e sì gli tolse ogni primier disegno,

che, quanto in fretta più potea, conchiuse

di navigare a quello iniquo regno.

Né prima l'altro sol nel mar si chiuse,

che presso a San Malò ritrovò un legno,

nel qual si pose; e fatto alzar le vele,

passò la notte il monte San Michele.

16

Breaco e Landriglier lascia a man manca,

e va radendo il gran lito britone;

e poi si drizza invêr l'arena bianca,

onde Ingleterra si nomò Albione;

ma il vento, ch'era da meriggie, manca,

e soffia tra il ponente e l'aquilone

con tanta forza, che fa al basso porre

tutte le vele, e sé per poppa torre.

17

Quanto il navilio inanzi era venuto

in quattro giorni, in un ritornò indietro,

ne l'alto mar dal buon nochier tenuto,

che non dia in terra e sembri un fragil vetro.

Il vento, poi che furioso suto

fu quattro giorni, il quinto cangiò metro:

lasciò senza contrasto il legno entrare

dove il fiume d'Anversa ha foce in mare.

18

Tosto che ne la foce entrò lo stanco

nochier col legno afflitto, e il lito prese,

fuor d'una terra che sul destro fianco

di quel fiume sedeva, un vecchio scese,

di molta età, per quanto il crine bianco

ne dava indicio; il qual tutto cortese,

dopo i saluti, al conte rivoltosse,

che capo giudicò che di lor fosse.

19

E da parte il pregò d'una donzella,

ch'a lei venir non gli paresse grave,

la qual ritroverebbe, oltre che bella,

più ch'altra al mondo affabile e soave;

over fosse contento aspettar ch'ella

verrebbe a trovar lui fin alla nave:

né più restio volesse esser di quanti

quivi eran giunti cavallieri erranti;

20

che nessun altro cavallier, ch'arriva

o per terra o per mare a questa foce,

di ragionar con la donzella schiva,

per consigliarla in un suo caso atroce.

Udito questo, Orlando in su la riva

senza punto indugiarsi uscì veloce;

e come umano e pien di cortesia,

dove il vecchio il menò, prese la via.

21

Fu ne la terra il paladin condutto

dentro un palazzo, ove al salir le scale,

una donna trovò piena di lutto,

per quanto il viso ne facea segnale,

e i negri panni che coprian per tutto

e le logge e le camere e le sale;

la qual, dopo accoglienza grata e onesta

fattol seder, gli disse in voce mesta:

22

— Io voglio che sappiate che figliuola

fui del conte d'Olanda, a lui sì grata

(quantunque prole io non gli fossi sola,

ch'era da dui fratelli accompagnata),

ch'a quanto io gli chiedea, da lui parola

contraria non mi fu mai replicata.

Standomi lieta in questo stato, avenne

che ne la nostra terra un duca venne.

23

Duca era di Selandia, e se ne giva

verso Biscaglia a guerreggiar coi Mori.

La bellezza e l'età ch'in lui fioriva,

e li non più da me sentiti amori

con poca guerra me gli fer captiva;

tanto più che, per quel ch'apparea fuori,

io credea e credo, e creder credo il vero,

ch'amasse ed ami me con cor sincero.

24

Quei giorni che con noi contrario vento,

contrario agli altri, a me propizio, il tenne

(ch'agli altri fur quaranta, a me un momento;

così al fuggire ebbon veloci penne),

fummo più volte insieme a parlamento,

dove, che 'l matrimonio con solenne

rito al ritorno suo saria tra nui

mi promise egli, ed io 'l promisi a lui.

25

Bireno a pena era da noi partito

(che così ha nome il mio fedele amante),

che 'l re di Frisa (la qual, quanto il lito

del mar divide il fiume, è a noi distante),

disegnando il figliuol farmi marito,

ch'unico al mondo avea, nomato Arbante,

per li più degni del suo stato manda

a domandarmi al mio padre in Olanda.

26

Io ch'all'amante mio di quella fede

mancar non posso, che gli aveva data,

e anco ch'io possa, Amor non mi conciede

che poter voglia, e ch'io sia tanto ingrata;

per ruinar la pratica ch'in piede

era gagliarda, e presso al fin guidata,

dico a mio padre, che prima ch'in Frisa

mi dia marito, io voglio essere uccisa.

27

Il mio buon padre, al qual sol piacea quanto

a me piacea, né mai turbar mi volse,

per consolarmi e far cessare il pianto

ch'io ne facea, la pratica disciolse:

di che il superbo re di Frisa tanto

isdegno prese e a tanto odio si volse,

ch'entrò in Olanda, e cominciò la guerra

che tutto il sangue mio cacciò sotterra.

28

Oltre che sia robusto, e sì possente,

che pochi pari a nostra età ritruova,

e sì astuto in mal far, ch'altrui niente

la possanza, l'ardir, l'ingegno giova;

porta alcun'arme che l'antica gente

non vide mai, né fuor ch'a lui, la nuova:

un ferro bugio, lungo da dua braccia,

dentro a cui polve ed una palla caccia.

29

Col fuoco dietro ove la canna è chiusa,

tocca un spiraglio che si vede a pena;

a guisa che toccare il medico usa

dove è bisogno d'allacciar la vena:

onde vien con tal suon la palla esclusa,

che si può dir che tuona e che balena;

né men che soglia il fulmine ove passa,

ciò che tocca, arde, abatte, apre e fracassa.

30

Pose due volte il nostro campo in rotta

con questo inganno, e i miei fratelli uccise:

nel primo assalto il primo; che la botta,

rotto l'usbergo, in mezzo il cor gli mise;

ne l'altra zuffa a l'altro, il quale in frotta

fuggìa, dal corpo l'anima divise;

e lo ferì lontan dietro la spalla,

e fuor del petto uscir fece la palla.

31

Difendendosi poi mio padre un giorno

dentro un castel che sol gli era rimaso,

che tutto il resto avea perduto intorno,

lo fe' con simil colpo ire all'occaso;

che mentre andava e che facea ritorno,

provedendo or a questo or a quel caso,

dal traditor fu in mezzo gli occhi colto,

che l'avea di lontan di mira tolto.

32

Morto i fratelli e il padre, e rimasa io

de l'isola d'Olanda unica erede,

il re di Frisa, perché avea disio

di ben fermare in quello stato il piede,

mi fa sapere, e così al popul mio,

che pace e che riposo mi conciede,

quando io vogli or, quel che non volsi inante,

tor per marito il suo figliuolo Arbante.

33

Io per l'odio non sì, che grave porto

a lui e a tutta la sua iniqua schiatta,

il qual m'ha dui fratelli e 'l padre morto,

saccheggiata la patria, arsa e disfatta;

come perché a colui non vo' far torto,

a cui già la promessa aveva fatta,

ch'altr'uomo non saria che mi sposasse,

fin che di Spagna a me non ritornasse:

34

— Per un mal ch'io patisco, ne vo' cento

patir (rispondo), e far di tutto il resto;

esser morta, arsa viva, e che sia al vento

la cener sparsa, inanzi che far questo. —

Studia la gente mia di questo intento

tormi: chi priega, e chi mi fa protesto

di dargli in mano me e la terra, prima

che la mia ostinazion tutti ci opprima.

35

Così, poi che i protesti e i prieghi invano

vider gittarsi, e che pur stava dura,

presero accordo col Frisone, e in mano,

come avean detto, gli dier me e le mura.

Quel, senza farmi alcuno atto villano,

de la vita e del regno m'assicura,

pur ch'io indolcisca l'indurate voglie,

e che d'Arbante suo mi faccia moglie.

36

Io che sforzar così mi veggio, voglio,

per uscirgli di man, perder la vita;

ma se pria non mi vendico, mi doglio

più che di quanta ingiuria abbia patita.

Fo pensier molti; e veggio al mio cordoglio

che solo il simular può dare aita:

fingo ch'io brami, non che non mi piaccia,

che mi perdoni e sua nuora mi faccia.

37

Fra molti ch'al servizio erano stati

già di mio padre, io scelgo dui fratelli,

di grande ingegno e di gran cor dotati,

ma più di vera fede, come quelli

che cresciutici in corte ed allevati

si son con noi da teneri citelli;

e tanto miei, che poco lor parria

la vita por per la salute mia.

38

Communico con loro il mio disegno:

essi prometton d'essermi in aiuto.

L'un viene in Fiandra, e v'apparecchia un legno;

l'altro meco in Olanda ho ritenuto.

Or mentre i forestieri e quei del regno

s'invitano alle nozze, fu saputo

che Bireno in Biscaglia avea una armata,

per venire in Olanda, apparecchiata.

39

Però che, fatta la prima battaglia

dove fu rotto un mio fratello e ucciso,

spacciar tosto un corrier feci in Biscaglia,

che portassi a Bireno il tristo aviso;

il qual mentre che s'arma e si travaglia,

dal re di Frisa il resto fu conquiso.

Bireno, che di ciò nulla sapea,

per darci aiuto i legni sciolti avea.

40

Di questo avuto aviso il re frisone,

de le nozze al figliuol la cura lassa;

e con l'armata sua nel mar si pone:

truova il duca, lo rompe, arde e fracassa,

e, come vuol Fortuna, il fa prigione;

ma di ciò ancor la nuova a noi non passa.

Mi sposa intanto il giovene, e si vuole

meco corcar come si corchi il sole.

41

Io dietro alle cortine avea nascoso

quel mio fedele; il qual nulla si mosse

prima che a me venir vide lo sposo;

e non l'attese che corcato fosse,

ch'alzò un'accetta, e con sì valoroso

braccio dietro nel capo lo percosse,

che gli levò la vita e la parola:

io saltai presta, e gli segai la gola.

42

Come cadere il bue suole al macello,

cade il malnato giovene, in dispetto

del re Cimosco, il più d'ogn'altro fello;

che l'empio re di Frisa è così detto,

che morto l'uno e l'altro mio fratello

m'avea col padre, e per meglio suggetto

farsi il mio stato, mi volea per nuora;

e forse un giorno uccisa avria me ancora.

43

Prima ch'altro disturbo vi si metta,

tolto quel che più vale e meno pesa,

il mio compagno al mar mi cala in fretta

da la finestra a un canape sospesa,

là dove attento il suo fratello aspetta

sopra la barca ch'avea in Fiandra presa.

Demmo le vele ai venti e i remi all'acque,

e tutti ci salvian, come a Dio piacque.

44

Non so se 'l re di Frisa più dolente

del figliuol morto, o se più d'ira acceso

fosse contra di me, che 'l dì seguente

giunse là dove si trovò sì offeso.

Superbo ritornava egli e sua gente

de la vittoria e di Bireno preso;

e credendo venire a nozze e a festa,

ogni cosa trovò scura e funesta.

45

La pietà del figliuol, l'odio ch'aveva

a me, né dì né notte il lascia mai.

Ma perché il pianger morti non rileva,

e la vendetta sfoga l'odio assai,

la parte del pensier, ch'esser doveva

de la pietade in sospirare e in guai,

vuol che con l'odio a investigar s'unisca,

come egli m'abbia in mano e mi punisca.

46

Quei tutti che sapeva e gli era detto

che mi fossino amici, o di quei miei

che m'aveano aiutata a far l'effetto,

uccise, o lor beni arse, o li fe' rei.

Volse uccider Bireno in mio dispetto;

che d'altro sì doler non mi potrei:

gli parve poi, se vivo lo tenesse,

che per pigliarmi, in man la rete avesse.

47

Ma gli propone una crudele e dura

condizion: gli fa termine un anno,

al fin del qual gli darà morte oscura,

se prima egli per forza o per inganno,

con amici e parenti non procura,

con tutto ciò che ponno e ciò che sanno,

di darmigli in prigion: sì che la via

di lui salvare è sol la morte mia.

48

Ciò che si possa far per sua salute,

fuor che perder me stessa, il tutto ho fatto.

Sei castella ebbi in Fiandra, e l'ho vendute:

e 'l poco o 'l molto prezzo ch'io n'ho tratto,

parte, tentando per persone astute

i guardiani corrumpere, ho distratto;

e parte, per far muovere alli danni

di quell'empio or gl'Inglesi, or gli Alamanni.

49

I mezzi, o che non abbiano potuto,

o che non abbian fatto il dover loro,

m'hanno dato parole e non aiuto;

e sprezzano or che n'han cavato l'oro:

e presso al fine il termine è venuto,

dopo il qual né la forza né 'l tesoro

potrà giunger più a tempo, sì che morte

e strazio schivi al mio caro consorte.

50

Mio padre e' miei fratelli mi son stati

morti per lui; per lui toltomi il regno;

per lui quei pochi beni che restati

m'eran, del viver mio soli sostegno,

per trarlo di prigione ho disipati:

né mi resta ora in che più far disegno,

se non d'andarmi io stessa in mano a porre

di sì crudel nimico, e lui disciorre.

51

Se dunque da far altro non mi resta,

né si truova al suo scampo altro riparo

che per lui por questa mia vita, questa

mia vita per lui por mi sarà caro.

Ma sola una paura mi molesta,

che non saprò far patto così chiaro,

che m'assicuri che non sia il tiranno,

poi ch'avuta m'avrà, per fare inganno.

52

Io dubito che poi che m'avrà in gabbia

e fatto avrà di me tutti li strazi,

né Bireno per questo a lasciare abbia,

sì ch'esser per me sciolto mi ringrazi;

come periuro, e pien di tanta rabbia,

che di me sola uccider non si sazi:

e quel ch'avrà di me, né più né meno

faccia di poi del misero Bireno.

53

Or la cagion che conferir con voi

mi fa i miei casi, e ch'io li dico a quanti

signori e cavallier vengono a noi,

è solo acciò, parlandone con tanti,

m'insegni alcun d'assicurar che, poi

ch'a quel crudel mi sia condotta avanti,

non abbia a ritener Bireno ancora,

né voglia, morta me, ch'esso poi mora.

54

Pregato ho alcun guerrier, che meco sia

quando io mi darò in mano al re di Frisa;

ma mi prometta e la sua fe' mi dia,

che questo cambio sarà fatto in guisa,

ch'a un tempo io data, e liberato fia

Bireno: sì che quando io sarò uccisa,

morrò contenta, poi che la mia morte

avrà dato la vita al mio consorte.

55

Né fino a questo dì truovo chi toglia

sopra la fede sua d'assicurarmi,

che quando io sia condotta, e che mi voglia

aver quel re, senza Bireno darmi,

egli non lascierà contra mia voglia

che presa io sia: sì teme ognun quell'armi;

teme quell'armi, a cui par che non possa

star piastra incontra, e sia quanto vuol grossa.

56

Or, s'in voi la virtù non è diforme

dal fier sembiante e da l'erculeo aspetto,

e credete poter darmegli, e torme

anco da lui, quando non vada retto;

siate contento d'esser meco a porme

ne le man sue: ch'io non avrò sospetto,

quando voi siate meco, se ben io

poi ne morrò, che muora il signor mio. —

57

Qui la donzella il suo parlar conchiuse,

che con pianto e sospir spesso interroppe.

Orlando, poi ch'ella la bocca chiuse,

le cui voglie al ben far mai non fur zoppe,

in parole con lei non si diffuse;

che di natura non usava troppe:

ma le promise, e la sua fé le diede,

che farìa più di quel ch'ella gli chiede.

58

Non è sua intenzion ch'ella in man vada

del suo nimico per salvar Bireno:

ben salverà amendui, se la sua spada

e l'usato valor non gli vien meno.

Il medesimo dì piglian la strada,

poi c'hanno il vento prospero e sereno.

Il paladin s'affretta; che di gire

all'isola del mostro avea desire.

59

Or volta all'una, or volta all'altra banda

per gli alti stagni il buon nochier la vela:

scuopre un'isola e un'altra di Zilanda;

scuopre una inanzi, e un'altra a dietro cela.

Orlando smonta il terzo dì in Olanda;

ma non smonta colei che si querela

del re di Frisa: Orlando vuol che intenda

la morte di quel rio, prima che scenda.

60

Nel lito armato il paladino varca

sopra un corsier di pel tra bigio e nero,

nutrito in Fiandra e nato in Danismarca,

grande e possente assai più che leggiero;

però ch'avea, quando si messe in barca,

in Bretagna lasciato il suo destriero,

quel Brigliador sì bello e sì gagliardo,

che non ha paragon, fuor che Baiardo.

61

Giunge Orlando a Dordreche, e quivi truova

di molta gente armata in su la porta;

sì perché sempre, ma più quando è nuova,

seco ogni signoria sospetto porta;

sì perché dianzi giunta era una nuova,

che di Selandia con armata scorta

di navili e di gente un cugin viene

di quel signor che qui prigion si tiene.

62

Orlando prega uno di lor, che vada

e dica al re, ch'un cavalliero errante

disia con lui provarsi a lancia e a spada;

ma che vuol che tra lor sia patto inante:

che se 'l re fa che, chi lo sfida, cada,

la donna abbia d'aver, ch'uccise Arbante;

che 'l cavallier l'ha in loco non lontano

da poter sempremai darglila in mano;

63

ed all'incontro vuol che 'l re prometta,

ch'ove egli vinto ne la pugna sia,

Bireno in libertà subito metta,

e che lo lasci andare alla sua via.

Il fante al re fa l'ambasciata in fretta:

ma quel, che né virtù né cortesia

conobbe mai, drizzò tutto il suo intento

alla fraude, all'inganno, al tradimento.

64

Gli par ch'avendo in mano il cavalliero,

avrà la donna ancor, che sì l'ha offeso,

s'in possanza di lui la donna è vero

che si ritruovi, e il fante ha ben inteso.

Trenta uomini pigliar fece sentiero

diverso da la porta ov'era atteso,

che dopo occulto ed assai lungo giro,

dietro alle spalle al paladino usciro.

65

Il traditore intanto dar parole

fatto gli avea, sin che i cavalli e i fanti

vede esser giunti al loco ove gli vuole;

da la porta esce poi con altretanti.

Come le fere e il bosco cinger suole

perito cacciator da tutti i canti;

come appresso a Volana i pesci e l'onda

con lunga rete il pescator circonda:

66

così per ogni via dal re di Frisa,

che quel guerrier non fugga, si provede.

Vivo lo vuole, e non in altra guisa:

e questo far sì facilmente crede,

che 'l fulmine terrestre, con che uccisa

ha tanta e tanta gente, ora non chiede;

che quivi non gli par che si convegna,

dove pigliar, non far morir, disegna.

67

Qual cauto ucellator che serba vivi,

intento a maggior preda, i primi augelli,

acciò in più quantitade altri captivi

faccia col giuoco e col zimbel di quelli:

tal esser volse il re Cimosco quivi:

ma già non volse Orlando esser di quelli

che si lascin pigliar al primo tratto;

e tosto roppe il cerchio ch'avean fatto.

68

Il cavallier d'Anglante, ove più spesse

vide le genti e l'arme, abbassò l'asta;

ed uno in quella e poscia un altro messe,

e un altro e un altro, che sembrar di pasta;

e fin a sei ve n'infilzò, e li resse

tutti una lancia: e perch'ella non basta

a più capir, lasciò il settimo fuore

ferito sì, che di quel colpo muore.

69

Non altrimente ne l'estrema arena

veggiàn le rane de canali e fosse

dal cauto arcier nei fianchi e ne la schiena,

l'una vicina all'altra, esser percosse;

né da la freccia, fin che tutta piena

non sia da un capo all'altro, esser rimosse.

La grave lancia Orlando da sé scaglia,

e con la spada entrò ne la battaglia.

70

Rotta la lancia, quella spada strinse,

quella che mai non fu menata in fallo;

e ad ogni colpo, o taglio o punta, estinse

quando uomo a piedi, e quando uomo a cavallo:

dove toccò, sempre in vermiglio tinse

l'azzurro, il verde, il bianco, il nero, il giallo.

Duolsi Cimosco che la canna e il fuoco

seco or non ha, quando v'avrian più loco.

71

E con gran voce e con minacce chiede

che portati gli sian, ma poco è udito;

che chi ha ritratto a salvamento il piede

ne la città, non è d'uscir più ardito.

Il re frison, che fuggir gli altri vede,

d'esser salvo egli ancor piglia partito:

corre alla porta, e vuole alzare il ponte,

ma troppo è presto ad arrivare il conte.

72

Il re volta le spalle, e signor lassa

del ponte Orlando e d'amendue le porte;

e fugge, e inanzi a tutti gli altri passa,

mercé che 'l suo destrier corre più forte.

Non mira Orlando a quella plebe bassa:

vuole il fellon, non gli altri, porre a morte;

ma il suo destrier sì al corso poco vale,

che restio sembra, e chi fugge, abbia l'ale.

73

D'una in un'altra via si leva ratto

di vista al paladin; ma indugia poco,

che torna con nuove armi; che s'ha fatto

portare intanto il cavo ferro e il fuoco:

e dietro un canto postosi di piatto,

l'attende, come il cacciatore al loco,

coi cani armati e con lo spiedo, attende

il fier cingial che ruinoso scende;

74

che spezza i rami e fa cadere i sassi,

e ovunque drizzi l'orgogliosa fronte,

sembra a tanto rumor che si fracassi

la selva intorno, e che si svella il monte.

Sta Cimosco alla posta, acciò non passi

senza pagargli il fio l'audace conte:

tosto ch'appare, allo spiraglio tocca

col fuoco il ferro, e quel subito scocca.

75

Dietro lampeggia a guisa di baleno,

dinanzi scoppia, e manda in aria il tuono.

Trieman le mura, e sotto i piè il terreno;

il ciel ribomba al paventoso suono.

L'ardente stral, che spezza e venir meno

fa ciò ch'incontra, e dà a nessun perdono,

sibila e stride; ma, come è il desire

di quel brutto assassin, non va a ferire.

76

O sia la fretta, o sia la troppa voglia

d'uccider quel baron, ch'errar lo faccia;

o sia che il cor, tremando come foglia,

faccia insieme tremare e mani e braccia;

o la bontà divina che non voglia

che 'l suo fedel campion sì tosto giaccia:

quel colpo al ventre del destrier si torse;

lo cacciò in terra, onde mai più non sorse.

77

Cade a terra il cavallo e il cavalliero:

la preme l'un, la tocca l'altro a pena;

che si leva sì destro e sì leggiero,

come cresciuto gli sia possa e lena.

Quale il libico Anteo sempre più fiero

surger solea da la percossa arena,

tal surger parve, e che la forza, quando

toccò il terren, si radoppiasse a Orlando.

78

Chi vide mai dal ciel cadere il foco

che con sì orrendo suon Giove disserra,

e penetrare ove un richiuso loco

carbon con zolfo e con salnitro serra;

ch'a pena arriva, a pena tocca un poco,

che par ch'avampi il ciel, non che la terra;

spezza le mura, e i gravi marmi svelle,

e fa i sassi volar sin alle stelle;

79

s'imagini che tal, poi che cadendo

toccò la terra, il paladino fosse:

con sì fiero sembiante aspro ed orrendo,

da far tremar nel ciel Marte, si mosse.

Di che smarrito il re frison, torcendo

la briglia indietro, per fuggir voltosse;

ma gli fu dietro Orlando con più fretta,

che non esce da l'arco una saetta:

80

e quel che non avea potuto prima

fare a cavallo, or farà essendo a piede.

Lo seguita sì ratto, ch'ogni stima

di chi nol vide, ogni credenza eccede.

Lo giunse in poca strada; ed alla cima

de l'elmo alza la spada, e sì lo fiede,

che gli parte la testa fin al collo,

e in terra il manda a dar l'ultimo crollo.

81

Ecco levar ne la città si sente

nuovo rumor, nuovo menar di spade;

che 'l cugin di Bireno con la gente

ch'avea condutta da le sue contrade,

poi che la porta ritrovò patente,

era venuto dentro alla cittade,

dal paladino in tal timor ridutta,

che senza intoppo la può scorrer tutta.

82

Fugge il populo in rotta, che non scorge

chi questa gente sia, né che domandi;

ma poi ch'uno ed un altro pur s'accorge

all'abito e al parlar, che son Selandi,

chiede lor pace, e il foglio bianco porge;

e dice al capitan che gli comandi,

e dar gli vuol contro i Frisoni aiuto,

che 'l suo duca in prigion gli han ritenuto.

83

Quel popul sempre stato era nimico

del re di Frisa e d'ogni suo seguace,

perché morto gli avea il signore antico,

ma più perch'era ingiusto, empio e rapace.

Orlando s'interpose come amico

d'ambe le parti, e fece lor far pace;

le quali unite, non lasciar Frisone

che non morisse o non fosse prigione.

84

Le porte de le carceri gittate

a terra sono, e non si cerca chiave.

Bireno al conte con parole grate

mostra conoscer l'obligo che gli have.

Indi insieme e con molte altre brigate

se ne vanno ove attende Olimpia in nave:

così la donna, a cui di ragion spetta

il dominio de l'isola, era detta;

85

quella che quivi Orlando avea condutto

non con pensier che far dovesse tanto;

che la parea bastar, che posta in lutto

sol lei, lo sposo avesse a trar di pianto.

Lei riverisce e onora il popul tutto.

Lungo sarebbe a ricontarvi quanto

lei Bireno accarezzi, ed ella lui;

quai grazie al conte rendano ambidui.

86

Il popul la donzella nel paterno

seggio rimette, e fedeltà le giura.

Ella a Bireno, a cui con nodo eterno

la legò Amor d'una catena dura,

de lo stato e di sé dona il governo.

Ed egli tratto poi da un'altra cura,

de le fortezze e di tutto il domìno

de l'isola guardian lascia il cugino;

87

che tornare in Selandia avea disegno,

e menar seco la fedel consorte:

e dicea voler fare indi nel regno

di Frisa esperienza di sua sorte;

perché di ciò l'assicurava un pegno

ch'egli aveva in mano, e lo stimava forte:

la figliuola del re, che fra i captivi,

che vi fur molti, avea trovata quivi.

88

E dice ch'egli vuol ch'un suo germano,

ch'era minor d'età, l'abbia per moglie.

Quindi si parte il senator romano

il dì medesmo che Bireno scioglie.

Non volse porre ad altra cosa mano,

fra tante e tante guadagnate spoglie,

se non a quel tormento ch'abbiàn detto

ch'al fulmine assimiglia in ogni effetto.

89

L'intenzion non già, perché lo tolle,

fu per voglia d'usarlo in sua difesa;

che sempre atto stimò d'animo molle

gir con vantaggio in qualsivoglia impresa:

ma per gittarlo in parte, onde non volle

che mai potesse ad uomo più fare offesa:

e la polve e le palle e tutto il resto

seco portò, ch'apparteneva a questo.

90

E così, poi che fuor de la marea

nel più profondo mar si vide uscito,

sì che segno lontan non si vedea

del destro più né del sinistro lito;

lo tolse, e disse: — Acciò più non istea

mai cavallier per te d'esser ardito,

né quanto il buono val, mai più si vanti

il rio per te valer, qui giù rimanti.

91

O maladetto, o abominoso ordigno,

che fabricato nel tartareo fondo

fosti per man di Belzebù maligno

che ruinar per te disegnò il mondo,

all'inferno, onde uscisti, ti rasigno. —

Così dicendo, lo gittò in profondo.

Il vento intanto le gonfiate vele

spinge alla via de l'isola crudele.

92

Tanto desire il paladino preme

di saper se la donna ivi si truova,

ch'ama assai più che tutto il mondo insieme,

né un'ora senza lei viver gli giova;

che s'in Ibernia mette il piede, teme

di non dar tempo a qualche cosa nuova,

sì ch'abbia poi da dir invano: — Ahi lasso!

ch'al venir mio non affrettai più il passo. —

93

Né scala in Inghelterra né in Irlanda

mai lasciò far, né sul contrario lito.

Ma lasciamolo andar dove lo manda

il nudo arcier che l'ha nel cor ferito.

Prima che più io ne parli, io vo' in Olanda

tornare, e voi meco a tornarvi invito;

che, come a me, so spiacerebbe a voi,

che quelle nozze fosson senza noi.

94

Le nozze belle e sontuose fanno;

ma non sì sontuose né sì belle,

come in Selandia dicon che faranno.

Pur non disegno che vegnate a quelle;

perché nuovi accidenti a nascere hanno

per disturbarle, de' quai le novelle

all'altro canto vi farò sentire,

s'all'altro canto mi verrete a udire.

CANTO DECIMO

1

Fra quanti amor, fra quante fede al mondo

mai si trovar, fra quanti cor constanti,

fra quante, o per dolente o per iocondo

stato, fer prove mai famosi amanti;

più tosto il primo loco ch'il secondo

darò ad Olimpia: e se pur non va inanti,

ben voglio dir che fra gli antiqui e nuovi

maggior de l'amor suo non si ritruovi;

2

e che con tante e con sì chiare note

di questo ha fatto il suo Bireno certo,

che donna più far certo uomo non puote,

quando anco il petto e 'l cor mostrasse aperto.

E s'anime sì fide e sì devote

d'un reciproco amor denno aver merto,

dico ch'Olimpia è degna che non meno,

anzi più che sé ancor, l'ami Bireno:

3

e che non pur l'abandoni mai

per altra donna, se ben fosse quella

ch'Europa ed Asia messe in tanti guai,

o s'altra ha maggior titolo di bella;

ma più tosto che lei, lasci coi rai

del sol l'udita e il gusto e la favella

e la vita e la fama, e s'altra cosa

dire o pensar si può più preciosa.

4

Se Bireno amò lei come ella amato

Bireno avea, se fu sì a lei fedele

come ella a lui, se mai non ha voltato

ad altra via, che a seguir lei, le vele;

o pur s'a tanta servitù fu ingrato,

a tanta fede e a tanto amor crudele,

io vi vo' dire, e far di maraviglia

stringer le labra ed inarcar le ciglia.

5

E poi che nota l'impietà vi fia,

che di tanta bontà fu a lei mercede,

donne, alcuna di voi mai più non sia,

ch'a parole d'amante abbia a dar fede.

L'amante, per aver quel che desia,

senza guardar che Dio tutto ode e vede,

aviluppa promesse e giuramenti,

che tutti spargon poi per l'aria i venti.

6

I giuramenti e le promesse vanno

dai venti in aria disipate e sparse,

tosto che tratta questi amanti s'hanno

l'avida sete che gli accese ed arse.

Siate a' prieghi ed a' pianti che vi fanno,

per questo esempio, a credere più scarse.

Bene è felice quel, donne mie care,

ch'essere accorto all'altrui spese impare.

7

Guardatevi da questi che sul fiore

de' lor begli anni il viso han sì polito;

che presto nasce in loro e presto muore,

quasi un foco di paglia, ogni appetito.

Come segue la lepre il cacciatore

al freddo, al caldo, alla montagna, al lito,

né più l'estima poi che presa vede;

e sol dietro a chi fugge affretta il piede:

8

così fan questi gioveni, che tanto

che vi mostrate lor dure e proterve,

v'amano e riveriscono con quanto

studio de' far chi fedelmente serve;

ma non sì tosto si potran dar vanto

de la vittoria, che, di donne, serve

vi dorrete esser fatte; e da voi tolto

vedrete il falso amore, e altrove volto.

9

Non vi vieto per questo (ch'avrei torto)

che vi lasciate amar; che senza amante

sareste come inculta vite in orto,

che non ha palo ove s'appoggi o piante.

Sol la prima lanugine vi esorto

tutta a fuggir, volubile e incostante,

e corre i frutti non acerbi e duri,

ma che non sien però troppo maturi.

10

Di sopra io vi dicea ch'una figliuola

del re di Frisa quivi hanno trovata,

che fia, per quanto n'han mosso parola,

da Bireno al fratel per moglie data.

Ma, a dire il vero, esso v'avea la gola;

che vivanda era troppo delicata:

e riputato avria cortesia sciocca,

per darla altrui, levarsela di bocca.

11

La damigella non passava ancora

quattordici anni, ed era bella e fresca,

come rosa che spunti alora alora

fuor de la buccia e col sol nuovo cresca.

Non pur di lei Bireno s'innamora,

ma fuoco mai così non accese esca,

né se lo pongan l'invide e nimiche

mani talor ne le mature spiche;

12

come egli se n'accese immantinente,

come egli n'arse fin ne le medolle,

che sopra il padre morto lei dolente

vide di pianto il bel viso far molle.

E come suol, se l'acqua fredda sente,

quella restar che prima al fuoco bolle;

così l'ardor ch'accese Olimpia, vinto

dal nuovo successore, in lui fu estinto.

13

Non pur sazio di lei, ma fastidito

n'è già così, che può vederla a pena;

e sì de l'altra acceso ha l'appetito,

che ne morrà se troppo in lungo il mena:

pur fin che giunga il dì c'ha statuito

a dar fine al disio, tanto l'affrena,

che par ch'adori Olimpia, non che l'ami,

e quel che piace a lei, sol voglia e brami.

14

E se accarezza l'altra (che non puote

far che non l'accarezzi più del dritto),

non è chi questo in mala parte note;

anzi a pietade, anzi a bontà gli è ascritto:

che rilevare un che Fortuna ruote

talora al fondo, e consolar l'afflitto,

mai non fu biasmo, ma gloria sovente;

tanto più una fanciulla, una innocente.

15

Oh sommo Dio, come i giudìci umani

spesso offuscati son da un nembo oscuro!

i modi di Bireno empi e profani,

pietosi e santi riputati furo.

I marinari, già messo le mani

ai remi, e sciolti dal lito sicuro,

portavan lieti pei salati stagni

verso Selandia il duca e i suoi compagni.

16

Già dietro rimasi erano e perduti

tutti di vista i termini d'Olanda

(che per non toccar Frisa, più tenuti

s'eran vêr Scozia alla sinistra banda),

quando da un vento fur sopravenuti,

ch'errando in alto mar tre dì li manda.

Sursero il terzo, già presso alla sera,

dove inculta e deserta un'isola era.

17

Tratti che si fur dentro un picciol seno,

Olimpia venne in terra; e con diletto

in compagnia de l'infedel Bireno

cenò contenta e fuor d'ogni sospetto:

indi con lui, là dove in loco ameno

teso era un padiglione, entrò nel letto.

Tutti gli altri compagni ritornaro,

e sopra i legni lor si riposaro.

18

Il travaglio del mare e la paura

che tenuta alcun dì l'aveano desta,

il ritrovarsi al lito ora sicura,

lontana da rumor ne la foresta,

e che nessun pensier, nessuna cura,

poi che 'l suo amante ha seco, la molesta;

fur cagion ch'ebbe Olimpia sì gran sonno,

che gli orsi e i ghiri aver maggior nol ponno.

19

Il falso amante che i pensati inganni

veggiar facean, come dormir lei sente,

pian piano esce del letto, e de' suoi panni

fatto un fastel, non si veste altrimente;

e lascia il padiglione; e come i vanni

nati gli sian, rivola alla sua gente,

e li risveglia; e senza udirsi un grido,

fa entrar ne l'alto e abandonare il lido.

20

Rimase a dietro il lido e la meschina

Olimpia, che dormì senza destarse,

fin che l'Aurora la gelata brina

da le dorate ruote in terra sparse,

e s'udir le Alcione alla marina

de l'antico infortunio lamentarse.

Né desta né dormendo, ella la mano

per Bireno abbracciar stese, ma invano.

21

Nessuno truova: a sé la man ritira:

di nuovo tenta, e pur nessuno truova.

Di qua l'un braccio, e di là l'altro gira,

or l'una or l'altra gamba; e nulla giova.

Caccia il sonno il timor: gli occhi apre, e mira:

non vede alcuno. Or già non scalda e cova

più le vedove piume, ma si getta

del letto e fuor del padiglione in fretta:

22

e corre al mar, graffiandosi le gote,

presaga e certa ormai di sua fortuna.

Si straccia i crini, e il petto si percuote,

e va guardando (che splendea la luna)

se veder cosa, fuor che 'l lito, puote;

né fuor che 'l lito, vede cosa alcuna.

Bireno chiama: e al nome di Bireno

rispondean gli Antri che pietà n'avieno.

23

Quivi surgea nel lito estremo un sasso,

ch'aveano l'onde, col picchiar frequente,

cavo e ridutto a guisa d'arco al basso;

e stava sopra il mar curvo e pendente.

Olimpia in cima vi salì a gran passo

(così la facea l'animo possente),

e di lontano le gonfiate vele

vide fuggir del suo signor crudele:

24

vide lontano, o le parve vedere;

che l'aria chiara ancor non era molto.

Tutta tremante si lasciò cadere,

più bianca e più che nieve fredda in volto;

ma poi che di levarsi ebbe potere,

al camin de le navi il grido volto,

chiamò, quanto potea chiamar più forte,

più volte il nome del crudel consorte:

25

e dove non potea la debil voce,

supliva il pianto e 'l batter' palma a palma.

— Dove fuggi, crudel, così veloce?

Non ha il tuo legno la debita salma.

Fa che lievi me ancor: poco gli nuoce

che porti il corpo, poi che porta l'alma. —

E con le braccia e con le vesti segno

fa tuttavia, perché ritorni il legno.

26

Ma i venti che portavano le vele

per l'alto mar di quel giovene infido,

portavano anco i prieghi e le querele

de l'infelice Olimpia, e 'l pianto e 'l grido;

la qual tre volte, a se stessa crudele,

per affogarsi si spiccò dal lido:

pur al fin si levò da mirar l'acque,

e ritornò dove la notte giacque.

27

E con la faccia in giù stesa sul letto,

bagnandolo di pianto, dicea lui:

— Iersera desti insieme a dui ricetto;

perché insieme al levar non siamo dui?

O perfido Bireno, o maladetto

giorno ch'al mondo generata fui!

Che debbo far? che poss'io far qui sola?

chi mi dà aiuto? ohimè, chi mi consola?

28

Uomo non veggio qui, non ci veggio opra

donde io possa stimar ch'uomo qui sia;

nave non veggio, a cui salendo sopra,

speri allo scampo mio ritrovar via.

Di disagio morrò; né chi mi cuopra

gli occhi sarà, né chi sepolcro dia,

se forse in ventre lor non me lo dànno

i lupi, ohimè, ch'in queste selve stanno.

29

Io sto in sospetto, e già di veder parmi

di questi boschi orsi o leoni uscire,

o tigri o fiere tal, che natura armi

d'aguzzi denti e d'ugne da ferire.

Ma quai fere crudel potriano farmi,

fera crudel, peggio di te morire?

darmi una morte, so, lor parrà assai;

e tu di mille, ohimè, morir mi fai.

30

Ma presupongo ancor ch'or ora arrivi

nochier che per pietà di qui mi porti;

e così lupi, orsi, leoni schivi,

strazi, disagi ed altre orribil morti:

mi porterà forse in Olanda, s'ivi

per te si guardan le fortezze e i porti?

mi porterà alla terra ove son nata,

se tu con fraude già me l'hai levata?

31

Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto

di parentado e d'amicizia, tolto.

Ben fosti a porvi le tue genti presto,

per avere il dominio a te rivolto.

Tornerò in Fiandra? ove ho venduto il resto

di che io vivea, ben che non fossi molto,

per sovenirti e di prigione trarte.

Mischina! dove andrò? non so in qual parte.

32

Debbo forse ire in Frisa, ove io potei,

e per te non vi volsi esser regina?

il che del padre e dei fratelli miei

e d'ogn'altro mio ben fu la ruina.

Quel c'ho fatto per te, non ti vorrei,

ingrato, improverar, né disciplina

dartene; che non men di me lo sai:

or ecco il guiderdon che me ne dai.

33

Deh, pur che da color che vanno in corso

io non sia presa, e poi venduta schiava!

Prima che questo, il lupo, il leon, l'orso

venga, e la tigre e ogn'altra fera brava,

di cui l'ugna mi stracci, e franga il morso;

e morta mi strascini alla sua cava. —

Così dicendo, le mani si caccia

ne' capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.

34

Corre di nuovo in su l'estrema sabbia,

e ruota il capo e sparge all'aria il crine;

e sembra forsennata, e ch'adosso abbia

non un demonio sol, ma le decine;

o, qual Ecuba, sia conversa in rabbia,

vistosi morto Polidoro al fine.

Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare;

né men d'un vero sasso, un sasso pare.

35

Ma lasciànla doler fin ch'io ritorno,

per voler di Ruggier dirvi pur anco,

che nel più intenso ardor del mezzo giorno

cavalca il lito, affaticato e stanco.

Percuote il sol nel colle e fa ritorno:

di sotto bolle il sabbion trito e bianco.

Mancava all'arme ch'avea indosso, poco

ad esser, come già, tutte di fuoco.

36

Mentre la sete, e de l'andar fatica

per l'alta sabbia e la solinga via

gli facean, lungo quella spiaggia aprica,

noiosa e dispiacevol compagnia;

trovò ch'all'ombra d'una torre antica

che fuor de l'onde appresso il lito uscia,

de la corte d'Alcina eran tre donne,

che le conobbe ai gesti ed alle gonne.

37

Corcate su tapeti allessandrini

godeansi il fresco rezzo in gran diletto,

fra molti vasi di diversi vini

e d'ogni buona sorte di confetto.

Presso alla spiaggia, coi flutti marini

scherzando, le aspettava un lor legnetto

fin che la vela empiesse agevol òra;

ch'un fiato pur non ne spirava allora.

38

Queste, ch'andar per la non ferma sabbia

vider Ruggier al suo viaggio dritto,

che sculta avea la sete in su le labbia,

tutto pien di sudore il viso afflitto,

gli cominciaro a dir che sì non abbia

il cor voluntaroso al camin fitto,

ch'alla fresca e dolce ombra non si pieghi,

e ristorar lo stanco corpo nieghi.

39

E di lor una s'accostò al cavallo

per la staffa tener, che ne scendesse;

l'altra con una coppa di cristallo

di vin spumante, più sete gli messe:

ma Ruggiero a quel suon non entrò in ballo;

perché d'ogni tardar che fatto avesse,

tempo di giunger dato avria ad Alcina,

che venìa dietro ed era omai vicina.

40

Non così fin salnitro e zolfo puro,

tocco dal fuoco, subito s'avampa;

né così freme il mar quando l'oscuro

turbo discende e in mezzo se gli accampa:

come, vedendo che Ruggier sicuro

al suo dritto camin l'arena stampa,

e che le sprezza (e pur si tenean belle),

d'ira arse e di furor la terza d'elle.

41

— Tu non sei né gentil né cavalliero

(dice gridando quanto può più forte),

ed hai rubate l'arme; e quel destriero

non saria tuo per veruna altra sorte:

e così, come ben m'appongo al vero,

ti vedessi punir di degna morte;

che fossi fatto in quarti, arso o impiccato,

brutto ladron, villan, superbo, ingrato. —

42

Oltr'a queste e molt'altre ingiuriose

parole che gli usò la donna altiera,

ancor che mai Ruggier non le rispose,

che di sì vil tenzon poco onor spera;

con le sorelle tosto ella si pose

sul legno in mar, che al lor servigio v'era:

ed affrettando i remi, lo seguiva,

vedendol tuttavia dietro alla riva.

43

Minaccia sempre, maledice e incarca;

che l'onte sa trovar per ogni punto.

Intanto a quello stretto, onde si varca

alla fata più bella, è Ruggier giunto;

dove un vecchio nochiero una sua barca

scioglier da l'altra ripa vede, a punto

come, avisato e già provisto, quivi

si stia aspettando che Ruggiero arrivi.

44

Scioglie il nochier, come venir lo vede,

di trasportarlo a miglior ripa lieto;

che, se la faccia può del cor dar fede,

tutto benigno e tutto era discreto.

Pose Ruggier sopra il navilio il piede,

Dio ringraziando; e per lo mar quieto

ragionando venìa col galeotto,

saggio e di lunga esperienza dotto.

45

Quel lodava Ruggier, che sì se avesse

saputo a tempo tor da Alcina, e inanti

che 'l calice incantato ella gli desse,

ch'avea al fin dato a tutti gli altri amanti;

e poi, che a Logistilla si traesse,

dove veder potria costumi santi,

bellezza eterna ed infinita grazia

che 'l cor notrisce e pasce, e mai non sazia.

46

— Costei (dicea) stupore e riverenza

induce all'alma, ove si scuopre prima.

Contempla meglio poi l'alta presenza:

ogn'altro ben ti par di poca stima.

Il suo amore ha dagli altri differenza:

speme o timor negli altri il cor ti lima;

in questo il desiderio più non chiede,

e contento riman come la vede.

47

Ella t'insegnerà studi più grati,

che suoni, danze, odori, bagni e cibi:

ma come i pensier tuoi meglio formati

poggin più ad alto, che per l'aria i nibi,

e come de la gloria de' beati

nel mortal corpo parte si delibi. —

Così parlando il marinar veniva,

lontano ancora alla sicura riva;

48

quando vide scoprire alla marina

molti navili, e tutti alla sua volta.

Con quei ne vien l'ingiuriata Alcina;

e molta di sua gente have raccolta

per por lo stato a se stessa in ruina,

o racquistar la cara cosa tolta.

E bene è amor di ciò cagion non lieve,

ma l'ingiuria non men che ne riceve.

49

Ella non ebbe sdegno, da che nacque,

di questo il maggior mai, ch'ora la rode;

onde fa i remi sì affrettar per l'acque,

che la spuma ne sparge ambe le prode.

Al gran rumor né mar né ripa tacque,

ed Ecco risonar per tutto s'ode.

— Scuopre, Ruggier, lo scudo, che bisogna;

se non, sei morto, o preso con vergogna. —

50

Così disse il nocchier di Logistilla:

ed oltre il detto, egli medesmo prese

la tasca e da lo scudo dipartilla,

e fe' il lume di quel chiaro e palese.

L'incantato splendor che ne sfavilla,

gli occhi degli aversari così offese,

che li fe' restar ciechi allora allora,

e cader chi da poppa e chi da prora.

51

Un ch'era alla veletta in su la rocca,

de l'armata d'Alcina si fu accorto;

e la campana martellando tocca,

onde il soccorso vien subito al porto.

L'artegliaria, come tempesta, fiocca

contra chi vuole al buon Ruggier far torto:

sì che gli venne d'ogni parte aita,

tal che salvò la libertà e la vita.

52

Giunte son quattro donne in su la spiaggia,

che subito ha mandate Logistilla:

la valorosa Andronica e la saggia

Fronesia e l'onestissima Dicilla

e Sofrosina casta, che, come aggia

quivi a far più che l'altre, arde e sfavilla.

L'esercito ch'al mondo è senza pare,

del castello esce, e si distende al mare.

53

Sotto il castel ne la tranquilla foce

di molti e grossi legni era una armata,

ad un botto di squilla, ad una voce

giorno e notte a battaglia apparecchiata.

E così fu la pugna aspra ed atroce,

e per acqua e per terra, incominciata;

per cui fu il regno sottosopra volto,

ch'avea già Alcina alla sorella tolto.

54

Oh di quante battaglie il fin successe

diverso a quel che si credette inante!

Non sol ch'Alcina alor non riavesse,

come stimossi, il fugitivo amante;

ma dele navi che pur dianzi spesse

fur sì, ch'a pena il mar ne capia tante,

fuor de la fiamma che tutt'altre avampa,

con un legnetto sol misera scampa.

55

Fuggesi Alcina, e sua misera gente

arsa e presa riman, rotta e sommersa.

D'aver Ruggier perduto, ella si sente

via più doler che d'altra cosa aversa:

notte e dì per lui geme amaramente,

e lacrime per lui dagli occhi versa;

e per dar fine a tanto aspro martire,

spesso si duol di non poter morire.

56

Morir non puote alcuna fata mai,

fin che 'l sol gira, o il ciel non muta stilo.

Se ciò non fosse, era il dolore assai

per muover Cloto ad inasparle il filo;

o, qual Didon, finia col ferro i guai;

o la regina splendida del Nilo

avria imitata con mortifer sonno:

ma le fate morir sempre non ponno.

57

Torniamo a quel di eterna gloria degno

Ruggiero; e Alcina stia ne la sua pena.

Dico di lui, che poi che fuor del legno

si fu condutto in più sicura arena,

Dio ringraziando che tutto il disegno

gli era successo, al mar voltò la schiena;

ed affrettando per l'asciutto il piede,

alla rocca ne va che quivi siede.

58

Né la più forte ancor né la più bella

mai vide occhio mortal prima né dopo.

Son di più prezzo le mura di quella,

che se diamante fossino o piropo.

Di tai gemme qua giù non si favella:

ed a chi vuol notizia averne, è d'uopo

che vada quivi; che non credo altrove,

se non forse su in ciel, se ne ritruove.

59

Quel che più fa che lor si inchina e cede

ogn'altra gemma, è che, mirando in esse,

l'uom sin in mezzo all'anima si vede;

vede suoi vizi e sue virtudi espresse,

sì che a lusinghe poi di sé non crede,

né a chi dar biasmo a torto gli volesse:

fassi, mirando allo specchio lucente

se stesso, conoscendosi, prudente.

60

Il chiaro lume lor, ch'imita il sole,

manda splendore in tanta copia intorno,

che chi l'ha, ovunque sia, sempre che vuole,

Febo, mal grado tuo, si può far giorno.

Né mirabil vi son le pietre sole;

ma la materia e l'artificio adorno

contendon sì, che mal giudicar puossi

qual de le due eccellenze maggior fossi.

61

Sopra gli altissimi archi, che puntelli

parean che del ciel fossino a vederli,

eran giardin sì spaziosi e belli,

che saria al piano anco fatica averli.

Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli

si puon veder fra i luminosi merli,

ch'adorni son l'estate e il verno tutti

di vaghi fiori e di maturi frutti.

62

Di così nobili arbori non suole

prodursi fuor di questi bei giardini,

né di tai rose o di simil viole,

di gigli, di amaranti o di gesmini.

Altrove appar come a un medesmo sole

e nasca e viva, e morto il capo inchini,

e come lasci vedovo il suo stelo

il fior suggetto al variar del cielo:

63

ma quivi era perpetua la verdura,

perpetua la beltà de' fiori eterni:

non che benignità de la Natura

sì temperatamente li governi;

ma Logistilla con suo studio e cura,

senza bisogno de' moti superni

(quel che agli altri impossibile parea),

sua primavera ognor ferma tenea.

64

Logistilla mostrò molto aver grato

ch'a lei venisse un sì gentil signore;

e comandò che fosse accarezzato,

e che studiasse ognun di fargli onore.

Gran pezzo inanzi Astolfo era arrivato,

che visto da Ruggier fu di buon core.

Fra pochi giorni venner gli altri tutti,

ch'a l'esser lor Melissa avea ridutti.

65

Poi che si fur posati un giorno e dui,

venne Ruggiero alla fata prudente

col duca Astolfo, che non men di lui

avea desir di riveder Ponente.

Melissa le parlò per amendui;

e supplica la fata umilemente,

che li consigli, favorisca e aiuti,

sì che ritornin donde eran venuti.

66

Disse la fata: — Io ci porrò il pensiero,

e fra dui dì te li darò espediti. —

Discorre poi tra sé, come Ruggiero,

e dopo lui, come quel duca aiti:

conchiude infin che 'l volator destriero

ritorni il primo agli aquitani liti;

ma prima vuol che se gli faccia un morso,

con che lo volga, e gli raffreni il corso.

67

Gli mostra come egli abbia a far, se vuole

che poggi in alto, e come a far che cali;

e come, se vorrà che in giro vole,

o vada ratto, o che si stia su l'ali:

e quali effetti il cavallier far suole

di buon destriero in piana terra, tali

facea Ruggier che mastro ne divenne,

per l'aria, del destrier ch'avea le penne.

68

Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,

da la fata gentil comiato prese,

alla qual restò poi sempre congiunto

di grande amore; e uscì di quel paese.

Prima di lui che se n'andò in buon punto,

e poi dirò come il guerriero inglese

tornasse con più tempo e più fatica

al magno Carlo ed alla corte amica.

69

Quindi partì Ruggier, ma non rivenne

per quella via che fe' già suo mal grado,

allor che sempre l'ippogrifo il tenne

sopra il mare, e terren vide di rado:

ma potendogli or far batter le penne

di qua di là, dove più gli era a grado,

volse al ritorno far nuovo sentiero,

come, schivando Erode, i Magi fero.

70

Al venir quivi, era, lasciando Spagna,

venuto India a trovar per dritta riga,

là dove il mare oriental la bagna;

dove una fata avea con l'altra briga.

Or veder si dispose altra campagna,

che quella dove i venti Eolo istiga,

e finir tutto il cominciato tondo,

per aver, come il sol, girato il mondo.

71

Quinci il Cataio, e quindi Mangiana

sopra il gran Quinsaì vide passando:

volò sopra l'Imavo, e Sericana

lasciò a man destra; e sempre declinando

da l'iperborei Sciti a l'onda ircana,

giunse alle parti di Sarmazia: e quando

fu dove Asia da Europa si divide,

Russi e Pruteni e la Pomeria vide.

72

Ben che di Ruggier fosse ogni desire

di ritornare a Bradamante presto;

pur, gustato il piacer ch'avea di gire

cercando il mondo, non restò per questo,

ch'alli Pollacchi, agli Ungari venire

non volesse anco, alli Germani, e al resto

di quella boreale orrida terra:

e venne al fin ne l'ultima Inghilterra.

73

Non crediate, Signor, che però stia

per sì lungo camin sempre su l'ale:

ogni sera all'albergo se ne gìa,

schivando a suo poter d'alloggiar male.

E spese giorni e mesi in questa via,

sì di veder la terra e il mar gli cale.

Or presso a Londra giunto una matina,

sopra Tamigi il volator declina.

74

Dove ne' prati alla città vicini

vide adunati uomini d'arme e fanti,

ch'a suon di trombe e a suon di tamburini

venian, partiti a belle schiere, avanti

il buon Rinaldo, onor de' paladini;

del qual, se vi ricorda, io dissi inanti,

che mandato da Carlo, era venuto

in queste parti a ricercar aiuto.

75

Giunse a punto Ruggier, che si facea

la bella mostra fuor di quella terra;

e per sapere il tutto, ne chiedea

un cavallier, ma scese prima in terra:

e quel, ch'affabil era, gli dicea

che di Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra

e de l'isole intorno eran le schiere

che quivi alzate avean tante bandiere:

76

e finita la mostra che faceano,

alla marina se distenderanno,

dove aspettati per solcar l'Oceano

son dai navili che nel porto stanno.

I Franceschi assediati si ricreano,

sperando in questi che a salvar li vanno.

— Ma acciò tu te n'informi pienamente,

io ti distinguerò tutta la gente.

77

Tu vedi ben quella bandiera grande,

ch'insieme pon la fiordaligi e i pardi:

quella il gran capitano all'aria spande,

e quella han da seguir gli altri stendardi.

Il suo nome, famoso in queste bande,

è Leonetto, il fior de li gagliardi,

di consiglio e d'ardire in guerra mastro,

del re nipote, e duca di Lincastro.

78

La prima, appresso il gonfalon reale,

che 'l vento tremolar fa verso il monte,

e tien nel campo verde tre bianche ale,

porta Ricardo, di Varvecia conte.

Del duca di Glocestra è quel segnale,

c'ha duo corna di cervio e mezza fronte.

Del duca di Chiarenza è quella face;

quel arbore è del duca d'Eborace.

79

Vedi in tre pezzi una spezzata lancia:

gli è 'l gonfalon del duca di Nortfozia.

La fulgure è del buon conte di Cancia;

il grifone è del conte di Pembrozia.

Il duca di Sufolcia ha la bilancia.

Vedi quel giogo che due serpi assozia:

è del conte d'Esenia, e la ghirlanda

in campo azzurro ha quel di Norbelanda.

80

Il conte d'Arindelia è quel c'ha messo

in mar quella barchetta che s'affonda.

Vedi il marchese di Barclei; e appresso

di Marchia il conte e il conte di Ritmonda:

il primo porta in bianco un monte fesso,

l'altro la palma, il terzo un pin ne l'onda.

Quel di Dorsezia è conte, e quel d'Antona,

che l'uno ha il carro, e l'altro la corona.

81

Il falcon che sul nido i vanni inchina,

porta Raimondo, il conte di Devonia.

Il giallo e negro ha quel di Vigorina;

il can quel d'Erbia un orso quel d'Osonia.

La croce che là vedi cristallina,

è del ricco prelato di Battonia.

Vedi nel bigio una spezzata sedia:

è del duca Ariman di Sormosedia.

82

Gli uomini d'arme e gli arcieri a cavallo

di quarantaduomila numer fanno.

Sono duo tanti, o di cento non fallo,

quelli ch'a piè ne la battaglia vanno.

Mira quei segni, un bigio, un verde, un giallo,

e di nero e d'azzur listato un panno:

Gofredo, Enrigo, Ermante ed Odoardo

guidan pedoni, ognun col suo stendardo.

83

Duca di Bocchingamia è quel dinante;

Enrigo ha la contea di Sarisberia;

signoreggia Burgenia il vecchio Ermante;

quello Odoardo è conte di Croisberia.

Questi alloggiati più verso levante

sono gl'Inglesi. Or volgeti all'Esperia,

dove si veggion trentamila Scotti,

da Zerbin, figlio del lor re, condotti.

84

Vedi tra duo unicorni il gran leone,

che la spada d'argento ha ne la zampa:

quell'è del re di Scozia il gonfalone;

il suo figliol Zerbino ivi s'accampa.

Non è un sì bello in tante altre persone:

natura il fece, e poi roppe la stampa.

Non è in cui tal virtù, tal grazia luca,

o tal possanza: ed è di Roscia duca.

85

Porta in azzurro una dorata sbarra

il conte d'Ottonlei ne lo stendardo.

L'altra bandiera è del duca di Marra,

che nel travaglio porta il leopardo.

Di più colori e di più augei bizzarra

mira l'insegna d'Alcabrun gagliardo,

che non è duca, conte, né marchese,

ma primo nel salvatico paese.

86

Del duca di Trasfordia è quella insegna,

dove è l'augel ch'al sol tien gli occhi franchi.

Lurcanio conte, ch'in Angoscia regna,

porta quel tauro, c'ha duo veltri ai fianchi.

Vedi là il duca d'Albania, che segna

il campo di colori azzurri e bianchi.

Quel avoltor, ch'un drago verde lania,

è l'insegna del conte di Boccania.

87

Signoreggia Forbesse il forte Armano,

che di bianco e di nero ha la bandiera;

ed ha il conte d'Erelia a destra mano,

che porta in campo verde una lumiera.

Or guarda gl'Ibernesi appresso il piano:

sono duo squadre; e il conte di Childera

mena la prima, e il conte di Desmonda

da fieri monti ha tratta la seconda.

88

Ne lo stendardo il primo ha un pino ardente;

l'altro nel bianco una vermiglia banda.

Non dà soccorso a Carlo solamente

la terra inglese, e la Scozia e l'Irlanda;

ma vien di Svezia e di Norvegia gente,

da Tile, e fin da la remota Islanda:

da ogni terra, insomma, che là giace,

nimica naturalmente di pace.

89

Sedicimila sono, o poco manco,

de le spelonche usciti e de le selve;

hanno piloso il viso, il petto, il fianco,

e dossi e braccia e gambe, come belve.

Intorno allo stendardo tutto bianco

par che quel pian di lor lance s'inselve:

così Moratto il porta, il capo loro,

per dipingerlo poi di sangue Moro. —

90

Mentre Ruggier di quella gente bella,

che per soccorrer Francia si prepara,

mira le varie insegne e ne favella,

e dei signor britanni i nomi impara;

uno ed un altro a lui, per mirar quella

bestia sopra cui siede, unica o rara,

maraviglioso corre e stupefatto;

e tosto il cerchio intorno gli fu fatto.

91

Sì che per dare ancor più maraviglia,

e per pigliarne il buon Ruggier più gioco,

al volante corsier scuote la briglia,

e con gli sproni ai fianchi il tocca un poco:

quel verso il ciel per l'aria il camin piglia,

e lascia ognuno attonito in quel loco.

Quindi Ruggier, poi che di banda in banda

vide gl'Inglesi, andò verso l'Irlanda.

92

E vide Ibernia fabulosa, dove

il santo vecchiarel fece la cava,

in che tanta mercé par che si truove,

che l'uom vi purga ogni sua colpa prava.

Quindi poi sopra il mare il destrier muove

là dove la minor Bretagna lava:

e nel passar vide, mirando a basso,

Angelica legata al nudo sasso.

93

Al nudo sasso, all'Isola del pianto;

che l'Isola del pianto era nomata

quella che da crudele e fiera tanto

ed inumana gente era abitata,

che (come io vi dicea sopra nel canto)

per vari liti sparsa iva in armata

tutte le belle donne depredando,

per farne a un mostro poi cibo nefando.

94

Vi fu legata pur quella matina,

dove venìa per trangugiarla viva

quel smisurato mostro, orca marina,

che di aborrevole esca si nutriva.

Dissi di sopra, come fu rapina

di quei che la trovaro in su la riva

dormire al vecchio incantatore a canto,

ch'ivi l'avea tirata per incanto.

95

La fiera gente inospitale e cruda

alla bestia crudel nel lito espose

la bellissima donna, così ignuda

come Natura prima la compose.

Un velo non ha pure, in che richiuda

i bianchi gigli e le vermiglie rose,

da non cader per luglio o per dicembre,

di che son sparse le polite membre.

96

Creduto avria che fosse statua finta

o d'alabastro o d'altri marmi illustri

Ruggiero, e su lo scoglio così avinta

per artificio di scultori industri;

se non vedea la lacrima distinta

tra fresche rose e candidi ligustri

far rugiadose le crudette pome,

e l'aura sventolar l'aurate chiome.

97

E come ne' begli occhi gli occhi affisse,

de la sua Bradamante gli sovvenne.

Pietade e amore a un tempo lo trafisse,

e di piangere a pena si ritenne;

e dolcemente alla donzella disse,

poi che del suo destrier frenò le penne:

— O donna, degna sol de la catena

con chi i suoi servi Amor legati mena,

98

e ben di questo e d'ogni male indegna,

chi è quel crudel che con voler perverso

d'importuno livor stringendo segna

di queste belle man l'avorio terso? —

Forza è ch'a quel parlare ella divegna

quale è di grana un bianco avorio asperso,

di sé vedendo quelle parti ignude,

ch'ancor che belle sian, vergogna chiude.

99

E coperto con man s'avrebbe il volto,

se non eran legate al duro sasso;

ma del pianto, ch'almen non l'era tolto,

lo sparse, e si sforzò di tener basso.

E dopo alcun' signozzi il parlar sciolto,

incominciò con fioco suono e lasso:

ma non seguì; che dentro il fe' restare

il gran rumor che si sentì nel mare.

100

Ecco apparir lo smisurato mostro

mezzo ascoso ne l'onda e mezzo sorto.

Come sospinto suol da borea o d'ostro

venir lungo navilio a pigliar porto,

così ne viene al cibo che l'è mostro

la bestia orrenda; e l'intervallo è corto.

La donna è mezza morta di paura;

né per conforto altrui si rassicura.

101

Tenea Ruggier la lancia non in resta,

ma sopra mano, e percoteva l'orca.

Altro non so che s'assimigli a questa,

ch'una gran massa che s'aggiri e torca;

né forma ha d'animal, se non la testa,

c'ha gli occhi e i denti fuor, come di porca.

Ruggier in fronte la ferìa tra gli occhi;

ma par che un ferro o un duro sasso tocchi.

102

Poi che la prima botta poco vale,

ritorna per far meglio la seconda.

L'orca, che vede sotto le grandi ale

l'ombra di qua e di là correr su l'onda,

lascia la preda certa litorale,

e quella vana segue furibonda:

dietro quella si volve e si raggira.

Ruggier giù cala, e spessi colpi tira.

103

Come d'alto venendo aquila suole,

ch'errar fra l'erbe visto abbia la biscia,

o che stia sopra un nudo sasso al sole,

dove le spoglie d'oro abbella e liscia;

non assalir da quel lato la vuole

onde la velenosa e soffia e striscia,

ma da tergo la adugna, e batte i vanni,

acciò non se le volga e non la azzanni:

104

così Ruggier con l'asta e con la spada,

non dove era de' denti armato il muso,

ma vuol che 'l colpo tra l'orecchie cada,

or su le schene, or ne la coda giuso.

Se la fera si volta, ei muta strada,

ed a tempo giù cala, e poggia in suso:

ma come sempre giunga in un diaspro,

non può tagliar lo scoglio duro ed aspro.

105

Simil battaglia fa la mosca audace

contra il mastin nel polveroso agosto,

o nel mese dinanzi o nel seguace,

l'uno di spiche e l'altro pien di mosto:

negli occhi il punge e nel grifo mordace,

volagli intorno e gli sta sempre accosto;

e quel suonar fa spesso il dente asciutto:

ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.

106

Sì forte ella nel mar batte la coda,

che fa vicino al ciel l'acqua inalzare;

tal che non sa se l'ale in aria snoda,

o pur se 'l suo destrier nuota nel mare.

Gli è spesso che disia trovarsi a proda;

che se lo sprazzo in tal modo ha a durare,

teme sì l'ale inaffi all'ippogrifo,

che brami invano avere o zucca o schifo.

107

Prese nuovo consiglio, e fu il migliore,

di vincer con altre arme il mostro crudo:

abbarbagliar lo vuol con lo splendore

ch'era incantato nel coperto scudo.

Vola nel lito; e per non fare errore,

alla donna legata al sasso nudo

lascia nel minor dito de la mano

l'annel, che potea far l'incanto vano:

108

dico l'annel che Bradamante avea,

per liberar Ruggier, tolto a Brunello,

poi per trarlo di man d'Alcina rea,

mandato in India per Melissa a quello.

Melissa (come dianzi io vi dicea)

in ben di molti adoperò l'annello;

indi l'avea a Ruggier restituito,

dal qual poi sempre fu portato in dito.

109

Lo dà ad Angelica ora, perché teme

che del suo scudo il fulgurar non viete,

e perché a lei ne sien difesi insieme

gli occhi che già l'avean preso alla rete.

Or viene al lito e sotto il ventre preme

ben mezzo il mar la smisurata cete.

Sta Ruggiero alla posta, e lieva il velo;

e par ch'aggiunga un altro sole al cielo.

110

Ferì negli occhi l'incantato lume

di quella fera, e fece al modo usato.

Quale o trota o scaglion va giù pel fiume

c'ha con calcina il montanar turbato,

tal si vedea ne le marine schiume

il mostro orribilmente riversciato.

Di qua di là Ruggier percuote assai,

ma di ferirlo via non truova mai.

111

La bella donna tuttavolta priega

ch'invan la dura squama oltre non pesti.

— Torna, per Dio, signor: prima mi slega

(dicea piangendo), che l'orca si desti:

portami teco e in mezzo il mar mi anniega:

non far ch'in ventre al brutto pesce io resti. —

Ruggier, commosso dunque al giusto grido,

slegò la donna, e la levò dal lido.

112

Il destrier punto, ponta i piè all'arena

e sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;

e porta il cavalliero in su la schena,

e la donzella dietro in su la groppa.

Così privò la fera de la cena

per lei soave e delicata troppa.

Ruggier si va volgendo, e mille baci

figge nel petto e negli occhi vivaci.

113

Non più tenne la via, come propose

prima, di circundar tutta la Spagna;

ma nel propinquo lito il destrier pose,

dove entra in mar più la minor Bretagna.

Sul lito un bosco era di querce ombrose,

dove ognor par che Filomena piagna;

ch'in mezzo avea un pratel con una fonte,

e quinci e quindi un solitario monte.

114

Quivi il bramoso cavallier ritenne

l'audace corso, e nel pratel discese;

e fe' raccorre al suo destrier le penne,

ma non a tal che più le avea distese.

Del destrier sceso, a pena si ritenne

di salir altri; ma tennel l'arnese:

l'arnese il tenne, che bisognò trarre,

e contra il suo disir messe le sbarre.

115

Frettoloso, or da questo or da quel canto

confusamente l'arme si levava.

Non gli parve altra volta mai star tanto;

che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.

Ma troppo è lungo ormai, Signor, il canto,

e forse ch'anco l'ascoltar vi grava:

sì ch'io differirò l'istoria mia

in altro tempo che più grata sia.

CANTO UNDICESIMO

1

Quantunque debil freno a mezzo il corso

animoso destrier spesso raccolga,

raro è però che di ragione il morso

libidinosa furia a dietro volga,

quando il piacere ha in pronto; a guisa d'orso

che dal mel non sì tosto si distolga,

poi che gli n'è venuto odore al naso,

o qualche stilla ne gustò sul vaso.

2

Qual ragion fia che 'l buon Ruggier raffrene,

sì che non voglia ora pigliar diletto

d'Angelica gentil che nuda tiene

nel solitario e commodo boschetto?

Di Bradamante più non gli soviene,

che tanto aver solea fissa nel petto:

e se gli ne sovien pur come prima,

pazzo è se questa ancor non prezza e stima;

3

con la qual non saria stato quel crudo

Zenocrate di lui più continente.

Gittato avea Ruggier l'asta e lo scudo,

e si traea l'altre arme impaziente;

quando abbassando pel bel corpo ignudo

la donna gli occhi vergognosamente,

si vide in dito il prezioso annello

che già le tolse ad Albracca Brunello.

4

Questo è l'annel ch'ella portò già in Francia

la prima volta che fe' quel camino

col fratel suo, che v'arrecò la lancia,

la qual fu poi d'Astolfo paladino.

Con questo fe' gl'incanti uscire in ciancia

di Malagigi al petron di Merlino;

con questo Orlando ed altri una matina

tolse di servitù di Dragontina;

5

con questo uscì invisibil de la torre

dove l'avea richiusa un vecchio rio.

A che voglio io tutte sue prove accorre,

se le sapete voi così come io?

Brunel sin nel giron lel venne a torre;

ch'Agramante d'averlo ebbe disio.

Da indi in qua sempre Fortuna a sdegno

ebbe costei, fin che le tolse il regno.

6

Or che sel vede, come ho detto, in mano,

sì di stupore e d'allegrezza è piena,

che quasi dubbia di sognarsi invano,

agli occhi, alla man sua dà fede a pena.

Del dito se lo leva, e a mano a mano

sel chiude in bocca: e in men che non balena,

così dagli occhi di Ruggier si cela,

come fa il sol quando la nube il vela.

7

Ruggier pur d'ogn'intorno riguardava,

e s'aggirava a cerco come un matto;

ma poi che de l'annel si ricordava,

scornato vi rimase e stupefatto:

e la sua inavvertenza bestemiava,

e la donna accusava di quello atto

ingrato e discortese, che renduto

in ricompensa gli era del suo aiuto.

8

— Ingrata damigella, è questo quello

guiderdone (dicea), che tu mi rendi?

che più tosto involar vogli l'annello,

ch'averlo in don? Perché da me nol prendi?

Non pur quel, ma lo scudo e il destrier snello

e me ti dono, e come vuoi mi spendi;

sol che 'l bel viso tuo non mi nascondi.

Io so, crudel, che m'odi, e non rispondi. —

9

Così dicendo, intorno alla fontana

brancolando n'andava come cieco.

Oh quante volte abbracciò l'aria vana,

sperando la donzella abbracciar seco!

Quella, che s'era già fatta lontana,

mai non cessò d'andar, che giunse a un speco

che sotto un monte era capace e grande,

dove al bisogno suo trovò vivande.

10

Quivi un vecchio pastor, che di cavalle

un grande armento avea, facea soggiorno.

Le iumente pascean giù per la valle

le tenere erbe ai freschi rivi intorno.

Di qua di là da l'antro erano stalle,

dove fuggìano il sol del mezzo giorno.

Angelica quel dì lunga dimora

là dentro fece, e non fu vista ancora.

11

E circa il vespro, poi che rifrescossi,

e le fu aviso esser posata assai,

in certi drappi rozzi aviluppossi,

dissimil troppo ai portamenti gai,

che verdi, gialli, persi, azzurri e rossi

ebbe, e di quante fogge furon mai.

Non le può tor però tanto umil gonna,

che bella non rassembri e nobil donna.

12

Taccia chi loda Fillide, o Neera,

o Amarilli, o Galatea fugace;

che d'esse alcuna sì bella non era,

Titiro e Melibeo, con vostra pace.

La bella donna tra' fuor de la schiera

de le iumente una che più le piace.

Allora allora se le fece inante

un pensier di tornarsene in Levante.

13

Ruggiero intanto, poi ch'ebbe gran pezzo

indarno atteso s'ella si scopriva,

e che s'avide del suo error da sezzo,

che non era vicina e non l'udiva;

dove lasciato avea il cavallo, avezzo

in cielo e in terra, a rimontar veniva:

e ritrovò che s'avea tratto il morso,

e salia in aria a più libero corso.

14

Fu grave e mala aggiunta all'altro danno

vedersi anco restar senza l'augello.

Questo, non men che 'l feminile inganno,

gli preme al cor; ma più che questo e quello,

gli preme e fa sentir noioso affanno

l'aver perduto il prezioso annello;

per le virtù non tanto ch'in lui sono,

quanto che fu de la sua donna dono.

15

Oltremodo dolente si ripose

indosso l'arme, e lo scudo alle spalle;

dal mar slungossi, e per le piaggie erbose

prese il camin verso una larga valle,

dove per mezzo all'alte selve ombrose

vide il più largo e 'l più segnato calle.

Non molto va, ch'a destra, ove più folta

è quella selva, un gran strepito ascolta.

16

Strepito ascolta e spaventevol suono

d'arme percosse insieme; onde s'affretta

tra pianta e pianta, e trova dui, che sono

a gran battaglia in poca piazza e stretta.

Non s'hanno alcun riguardo né perdono,

per far, non so di che, dura vendetta.

L'uno è gigante, alla sembianza fiero;

ardito l'altro e franco cavalliero.

17

E questo con lo scudo e con la spada,

di qua di là saltando, si difende,

perché la mazza sopra non gli cada,

con che il gigante a due man sempre offende.

Giace morto il cavallo in su la strada.

Ruggier si ferma, e alla battaglia attende;

e tosto inchina l'animo, e disia

che vincitore il cavallier ne sia.

18

Non che per questo gli dia alcun aiuto;

ma si tira da parte, e sta a vedere.

Ecco col baston grave il più membruto

sopra l'elmo a due man del minor fere.

De la percossa è il cavallier caduto:

l'altro, che 'l vide attonito giacere,

per dargli morte l'elmo gli dislaccia;

e fa sì che Ruggier lo vede in faccia.

19

Vede Ruggier de la sua dolce e bella

e carissima donna Bradamante

scoperto il viso; e lei vede esser quella

a cui dar morte vuol l'empio gigante:

sì che a battaglia subito l'appella,

e con la spada nuda si fa inante:

ma quel, che nuova pugna non attende,

la donna tramortita in braccio prende;

20

e se l'arreca in spalla, e via la porta,

come lupo talor piccolo agnello,

o l'aquila portar ne l'ugna torta

suole o colombo o simile altro augello.

Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,

e vien correndo a più poter; ma quello

con tanta fretta i lunghi passi mena,

che con gli occhi Ruggier lo segue a pena.

21

Così correndo l'uno, e seguitando

l'altro, per un sentiero ombroso e fosco,

che sempre si venìa più dilatando,

in un gran prato uscir fuor di quel bosco.

Non più di questo; ch'io ritorno a Orlando,

che 'l fulgur che portò già il re Cimosco,

avea gittato in mar nel maggior fondo,

acciò mai più non si trovasse al mondo.

22

Ma poco ci giovò: che 'l nimico empio

de l'umana natura, il qual del telo

fu l'inventor, ch'ebbe da quel l'esempio,

ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo;

con quasi non minor di quello scempio

che ci diè quando Eva ingannò col melo,

lo fece ritrovar da un negromante,

al tempo de' nostri avi, o poco inante.

23

La machina infernal, di più di cento

passi d'acqua ove stè ascosa molt'anni,

al sommo tratta per incantamento,

prima portata fu tra gli Alamanni;

li quali uno ed un altro esperimento

facendone, e il demonio a' nostri danni

assuttigliando lor via più la mente,

ne ritrovaro l'uso finalmente.

24

Italia e Francia e tutte l'altre bande

del mondo han poi la crudele arte appresa.

Alcuno il bronzo in cave forme spande,

che liquefatto ha la fornace accesa;

bùgia altri il ferro; e chi picciol, chi grande

il vaso forma, che più e meno pesa:

e qual bombarda e qual nomina scoppio,

qual semplice cannon, qual cannon doppio;

25

qual sagra, qual falcon, qual colubrina

sento nomar, come al suo autor più agrada;

che 'l ferro spezza, e i marmi apre e ruina,

e ovunque passa si fa dar la strada.

Rendi, miser soldato, alla fucina

per tutte l'arme c'hai, fin alla spada;

e in spalla un scoppio o un arcobugio prendi;

che senza, io so, non toccherai stipendi.

26

Come trovasti, o scelerata e brutta

invenzion, mai loco in uman core?

Per te la militar gloria è distrutta,

per te il mestier de l'arme è senza onore;

per te è il valore e la virtù ridutta,

che spesso par del buono il rio migliore:

non più la gagliardia, non più l'ardire

per te può in campo al paragon venire.

27

Per te son giti ed anderan sotterra

tanti signori e cavallieri tanti,

prima che sia finita questa guerra,

che 'l mondo, ma più Italia ha messo in pianti;

che s'io v'ho detto, il detto mio non erra,

che ben fu il più crudele e il più di quanti

mai furo al mondo ingegni empi e maligni,

ch'imaginò sì abominosi ordigni.

28

E crederò che Dio, perché vendetta

ne sia in eterno, nel profondo chiuda

del cieco abisso quella maladetta

anima, appresso al maladetto Giuda.

Ma seguitiamo il cavallier ch'in fretta

brama trovarsi all'isola d'Ebuda,

dove le belle donne e delicate

son per vivanda a un marin mostro date.

29

Ma quanto avea più fretta il paladino,

tanto parea che men l'avesse il vento.

Spiri o dal lato destro o dal mancino,

o ne le poppe, sempre è così lento,

che si può far con lui poco camino;

e rimanea talvolta in tutto spento:

soffia talor sì averso, che gli è forza

o di tornare, o d'ir girando all'orza.

30

Fu volontà di Dio che non venisse

prima che 'l re d'Ibernia in quella parte,

acciò con più facilità seguisse

quel ch'udir vi farò fra poche carte.

Sopra l'isola sorti, Orlando disse

al suo nochiero: — Or qui potrai fermarte,

e 'l battel darmi; che portar mi voglio

senz'altra compagnia sopra lo scoglio.

31

E voglio la maggior gomona meco,

e l'ancora maggior ch'abbi sul legno:

io ti farò veder perché l'arreco,

se con quel mostro ad affrontar mi vegno. —

Gittar fe' in mare il palischermo seco,

con tutto quel ch'era atto al suo disegno.

Tutte l'arme lasciò, fuor che la spada;

e vêr lo scoglio, sol, prese la strada.

32

Si tira i remi al petto, e tien le spalle

volte alla parte ove discender vuole;

a guisa che del mare o de la valle

uscendo al lito, il salso granchio suole.

Era ne l'ora che le chiome gialle

la bella Aurora avea spiegate al Sole,

mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso,

non senza sdegno di Titon geloso.

33

Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto

potria gagliarda man gittare un sasso,

gli pare udire e non udire un pianto;

sì all'orecchie gli vien debole e lasso.

Tutto si volta sul sinistro canto;

e posto gli occhi appresso all'onde al basso,

vede una donna, nuda come nacque,

legata a un tronco; e i piè le bagnan l'acque.

34

Perché gli è ancor lontana, e perché china

la faccia tien, non ben chi sia discerne.

Tira in fretta ambi i remi, e s'avicina

con gran disio di più notizia averne.

Ma muggiar sente in questo la marina,

e rimbombar le selve e le caverne:

gonfiansi l'onde; ed ecco il mostro appare,

che sotto il petto ha quasi ascoso il mare.

35

Come d'oscura valle umida ascende

nube di pioggia e di tempesta pregna,

che più che cieca notte si distende

per tutto 'l mondo, e par che 'l giorno spegna;

così nuota la fera, e del mar prende

tanto, che si può dir che tutto il tegna:

fremono l'onde. Orlando in sé raccolto,

la mira altier, né cangia cor né volto.

36

E come quel ch'avea il pensier ben fermo

di quanto volea far, si mosse ratto;

e perché alla donzella essere schermo,

e la fera assalir potesse a un tratto,

entrò fra l'orca e lei col palischermo,

nel fodero lasciando il brando piatto:

l'ancora con la gomona in man prese;

poi con gran cor l'orribil mostro attese.

37

Tosto che l'orca s'accostò, e scoperse

nel schifo Orlando con poco intervallo,

per ingiottirlo tanta bocca aperse,

ch'entrato un uomo vi saria a cavallo.

Si spinse Orlando inanzi, e se gl'immerse

con quella ancora in gola, e s'io non fallo,

col battello anco; e l'ancora attaccolle

e nel palato e ne la lingua molle:

38

sì che né più si puon calar di sopra,

né alzar di sotto le mascelle orrende.

Così chi ne le mine il ferro adopra,

la terra, ovunque si fa via, suspende,

che subita ruina non lo cuopra,

mentre malcauto al suo lavoro intende.

Da un amo all'altro l'ancora è tanto alta,

che non v'arriva Orlando, se non salta.

39

Messo il puntello, e fattosi sicuro

che 'l mostro più serrar non può la bocca,

stringe la spada, e per quel antro oscuro

di qua e di là con tagli e punte tocca.

Come si può, poi che son dentro al muro

giunti i nimici, ben difender rocca;

così difender l'orca si potea

dal paladin che ne la gola avea.

40

Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia,

e mostra i fianchi e le scagliose schene;

or dentro vi s'attuffa, e con la pancia

muove dal fondo e fa salir l'arene.

Sentendo l'acqua il cavallier di Francia,

che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene:

lascia l'ancora fitta, e in mano prende

la fune che da l'ancora depende.

41

E con quella ne vien nuotando in fretta

verso lo scoglio; ove fermato il piede,

tira l'ancora a sé, ch'in bocca stretta

con le due punte il brutto mostro fiede.

L'orca a seguire il canape è costretta

da quella forza ch'ogni forza eccede,

da quella forza che più in una scossa

tira, ch'in dieci un argano far possa.

42

Come toro selvatico ch'al corno

gittar si senta un improvviso laccio,

salta di qua di là, s'aggira intorno,

si colca e lieva, e non può uscir d'impaccio;

così fuor del suo antico almo soggiorno

l'orca tratta per forza di quel braccio,

con mille guizzi e mille strane ruote

segue la fune, e scior non se ne puote.

43

Di bocca il sangue in tanta copia fonde,

che questo oggi il mar Rosso si può dire,

dove in tal guisa ella percuote l'onde,

ch'insino al fondo le vedreste aprire;

ed or ne bagna il cielo, e il lume asconde

del chiaro sol: tanto le fa salire.

Rimbombano al rumor ch'intorno s'ode,

le selve, i monti e le lontane prode.

44

Fuor de la grotta il vecchio Proteo, quando

ode tanto rumor, sopra il mare esce;

e visto entrare e uscir de l'orca Orlando,

e al lito trar sì smisurato pesce,

fugge per l'alto oceano, obliando

lo sparso gregge: e sì il tumulto cresce,

che fatto al carro i suoi delfini porre,

quel dì Nettuno in Etiopia corre.

45

Con Melicerta in collo Ino piangendo,

e le Nereide coi capelli sparsi,

Glauci e Tritoni, e gli altri, non sappiendo

dove, chi qua chi là van per salvarsi.

Orlando al lito trasse il pesce orrendo,

col qual non bisognò più affaticarsi;

che pel travaglio e per l'avuta pena,

prima morì, che fosse in su l'arena.

46

De l'isola non pochi erano corsi

a riguardar quella battaglia strana;

i quai da vana religion rimorsi,

così sant'opra riputar profana:

e dicean che sarebbe un nuovo torsi

Proteo nimico, e attizzar l'ira insana,

da farli porre il marin gregge in terra,

e tutta rinovar l'antica guerra;

47

e che meglio sarà di chieder pace

prima all'offeso dio, che peggio accada;

e questo si farà, quando l'audace

gittato in mare a placar Proteo vada.

Come dà fuoco l'una a l'altra face,

e tosto alluma tutta una contrada,

così d'un cor ne l'altro si difonde

l'ira ch'Orlando vuol gittar ne l'onde.

48

Chi d'una fromba e chi d'un arco armato,

chi d'asta, chi di spada, al lito scende;

e dinanzi e di dietro e d'ogni lato,

lontano e appresso, a più poter l'offende.

Di sì bestiale insulto e troppo ingrato

gran meraviglia il paladin si prende:

pel mostro ucciso ingiuria far si vede,

dove aver ne sperò gloria e mercede.

49

Ma come l'orso suol, che per le fiere

menato sia da Rusci o da Lituani,

passando per la via, poco temere

l'importuno abbaiar di picciol cani,

che pur non se li degna di vedere;

così poco temea di quei villani

il paladin, che con un soffio solo

ne potrà fracassar tutto lo stuolo.

50

E ben si fece far subito piazza

che lor si volse, e Durindana prese.

S'avea creduto quella gente pazza

che le dovesse far poche contese,

quando né indosso gli vedea corazza,

né scudo in braccio, né alcun altro arnese;

ma non sapea che dal capo alle piante

dura la pelle avea più che diamante.

51

Quel che d'Orlando agli altri far non lece,

di far degli altri a lui già non è tolto.

Trenta n'uccise, e furo in tutto diece

botte, o se più, non le passò di molto.

Tosto intorno sgombrar l'arena fece;

e per slegar la donna era già volto,

quando nuovo tumulto e nuovo grido

fe' risuonar da un'altra parte il lido.

52

Mentre avea il paladin da questa banda

così tenuto i barbari impediti,

eran senza contrasto quei d'Irlanda

da più parte ne l'isola saliti;

e spenta ogni pietà, strage nefanda

di quel popul facean per tutti i liti:

fosse iustizia, o fosse crudeltade,

né sesso riguardavano né etade.

53

Nessun ripar fan gl'isolani, o poco;

parte, ch'accolti son troppo improviso,

parte, che poca gente ha il picciol loco,

e quella poca è di nessun aviso.

L'aver fu messo a sacco; messo fuoco

fu ne le case: il populo fu ucciso:

le mura fur tutte adeguate al suolo:

non fu lasciato vivo un capo solo.

54

Orlando, come gli appertenga nulla

l'alto rumor, le strida e la ruina,

viene a colei che su la pietra brulla

avea da divorar l'orca marina.

Guarda, e gli par conoscer la fanciulla;

e più gli pare, e più che s'avicina:

gli pare Olimpia: ed era Olimpia certo,

che di sua fede ebbe sì iniquo merto.

55

Misera Olimpia! a cui dopo lo scorno

che gli fe' Amore, anco Fortuna cruda

mandò i corsari (e fu il medesmo giorno),

che la portaro all'isola d'Ebuda.

Riconosce ella Orlando nel ritorno

che fa allo scoglio: ma perch'ella è nuda,

tien basso il capo; e non che non gli parli,

ma gli occhi non ardisce al viso alzarli.

56

Orlando domandò ch'iniqua sorte

l'avesse fatta all'isola venire

di là dove lasciata col consorte

lieta l'avea, quanto si può più dire.

— Non so (disse ella) s'io v'ho, che la morte

voi mi schivaste, grazie a riferire,

o da dolermi che per voi non sia

oggi finita la miseria mia.

57

Io v'ho da ringraziar ch'una maniera

di morir mi schivaste troppo enorme;

che troppo saria enorme, se la fera

nel brutto ventre avesse avuto a porme.

Ma già non vi ringrazio ch'io non pera;

che morte sol può di miseria torme:

ben vi ringrazierò, se da voi darmi

quella vedrò, che d'ogni duol può trarmi. —

58

Poi con gran pianto seguitò, dicendo

come lo sposo suo l'avea tradita;

che la lasciò su l'isola dormendo,

donde ella poi fu dai corsar rapita.

E mentre ella parlava, rivolgendo

s'andava in quella guisa che scolpita

o dipinta è Diana ne la fonte,

che getta l'acqua ad Ateone in fronte;

59

che, quanto può, nasconde il petto e 'l ventre,

più liberal dei fianchi e de le rene.

Brama Orlando ch'in porto il suo legno entre;

che lei, che sciolta avea da le catene,

vorria coprir d'alcuna veste. Or mentre

ch'a questo è intento, Oberto sopraviene,

Oberto il re d'Ibernia, ch'avea inteso

che 'l marin mostro era sul lito steso;

60

e che nuotando un cavallier era ito

a porgli in gola un'ancora assai grave;

e che l'avea così tirato al lito,

come si suol tirar contr'acqua nave.

Oberto, per veder se riferito

colui da chi l'ha inteso, il vero gli have,

se ne vien quivi; e la sua gente intanto

arde e distrugge Ebuda in ogni canto.

61

Il re d'Ibernia, ancor che fosse Orlando,

di sangue tinto, e d'acqua molle e brutto,

brutto del sangue che si trasse quando

uscì de l'orca in ch'era entrato tutto,

pel conte l'andò pur raffigurando;

tanto più che ne l'animo avea indutto,

tosto che del valor sentì la nuova,

ch'altri ch'Orlando non faria tal pruova.

62

Lo conoscea, perch'era stato infante

d'onore in Francia, e se n'era partito

per pigliar la corona, l'anno inante,

del padre suo ch'era di vita uscito.

Tante volte veduto, e tante e tante

gli avea parlato, ch'era in infinito.

Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,

trattasi la celata ch'avea in testa.

63

Non meno Orlando di veder contento

si mostrò il re, che 'l re di veder lui.

Poi che furo a iterar l'abbracciamento

una o due volte tornati amendui,

narrò ad Oberto Orlando il tradimento

che fu fatto alla giovane, e da cui

fatto le fu; dal perfido Bireno,

che via d'ogn'altro lo dovea far meno.

64

Le prove gli narrò, che tante volte

ella d'amarlo dimostrato avea:

come i parenti e le sustanze tolte

le furo, e al fin per lui morir volea;

e ch'esso testimonio era di molte,

e renderne buon conto ne potea.

Mentre parlava, i begli occhi sereni

de la donna di lagrime eran pieni.

65

Era il bel viso suo, quale esser suole

da primavera alcuna volta il cielo,

quando la pioggia cade, e a un tempo il sole

si sgombra intorno il nubiloso velo.

E come il rosignuol dolci carole

mena nei rami alor del verde stelo,

così alle belle lagrime le piume

si bagna Amore, e gode al chiaro lume.

66

E ne la face de' begli occhi accende

l'aurato strale, e nel ruscello amorza,

che tra vermigli e bianchi fiori scende:

e temprato che l'ha, tira di forza

contra il garzon, che né scudo difende,

né maglia doppia, né ferrigna scorza;

che mentre sta a mirar gli occhi e le chiome,

si sente il cor ferito, e non sa come.

67

Le bellezze d'Olimpia eran di quelle

che son più rare: e non la fronte sola,

gli occhi e le guance e le chiome avea belle,

la bocca, il naso, gli omeri e la gola;

ma discendendo giù da le mammelle,

le parti che solea coprir la stola,

fur di tanta eccellenza, ch'anteporse

a quante n'avea il mondo potean forse.

68

Vinceano di candor le nievi intatte,

ed eran più ch'avorio a toccar molli:

le poppe ritondette parean latte

che fuor dei giunchi allora allora tolli.

Spazio fra lor tal discendea, qual fatte

esser veggiàn fra picciolini colli

l'ombrose valli, in sua stagione amene,

che 'l verno abbia di nieve allora piene.

69

I rilevati fianchi e le belle anche,

e netto più che specchio il ventre piano,

pareano fatti, e quelle coscie bianche,

da Fidia a torno, o da più dotta mano.

Di quelle parti debbovi dir anche,

che pur celare ella bramava invano?

Dirò insomma, ch'in lei dal capo al piede,

quant'esser può beltà, tutta si vede.

70

Se fosse stata ne le valli Idee

vista dal Pastor frigio, io non so quanto

Vener, sebben vincea quell'altre dee,

portato avesse di bellezza il vanto:

né forse ito saria ne le Amiclee

contrade esso a violar l'ospizio santo;

ma detto avria: — Con Menelao ti resta,

Elena pur; ch'altra io non vo' che questa. —

71

E se fosse costei stata a Crotone,

quando Zeusi l'imagine far volse,

che por dovea nel tempio di Iunone,

e tante belle nude insieme accolse;

e che, per una farne in perfezione,

da chi una parte e da chi un'altra tolse:

non avea da torre altra che costei;

che tutte le bellezze erano in lei.

72

Io non credo che mai Bireno, nudo

vedesse quel bel corpo; ch'io son certo

che stato non saria mai così crudo,

che l'avesse lasciata in quel deserto.

Ch'Oberto se n'accende, io vi concludo,

tanto che 'l fuoco non può star coperto.

Si studia consolarla, e darle speme

ch'uscirà in bene il mal ch'ora la preme:

73

e le promette andar seco in Olanda;

né fin che ne lo stato la rimetta,

e ch'abbia fatto iusta e memoranda

di quel periuro e traditor vendetta,

non cesserà con ciò che possa Irlanda,

e lo farà quanto potrà più in fretta.

Cercare intanto in quelle case e in queste

facea di gonne e di feminee veste.

74

Bisogno non sarà, per trovar gonne,

ch'a cercar fuor de l'isola si mande;

ch'ogni dì se n'avea da quelle donne

che de l'avido mostro eran vivande.

Non fe' molto cercar, che ritrovonne

di varie fogge Oberto copia grande;

e fe' vestir Olimpia, e ben gl'increbbe

non la poter vestir come vorrebbe.

75

Ma né sì bella seta o sì fin'oro

mai Fiorentini industri tesser fenno;

né chi ricama fece mai lavoro,

postovi tempo, diligenza e senno,

che potesse a costui parer decoro,

se lo fêsse Minerva o il dio di Lenno,

e degno di coprir sì belle membre,

che forza è ad or ad or se ne rimembre.

76

Per più rispetti il paladino molto

si dimostrò di questo amor contento:

ch'oltre che 'l re non lascerebbe asciolto

Bireno andar di tanto tradimento,

sarebbe anch'esso per tal mezzo tolto

di grave e di noioso impedimento,

quivi non per Olimpia, ma venuto

per dar, se v'era, alla sua donna aiuto.

77

Ch'ella non v'era si chiarì di corto,

ma già non si chiarì se v'era stata;

perché ogn'uomo ne l'isola era morto,

né un sol rimaso di sì gran brigata.

Il dì seguente si partir del porto,

e tutti insieme andaro in una armata.

Con loro andò in Irlanda il paladino;

che fu per gire in Francia il suo camino.

78

A pena un giorno si fermò in Irlanda;

non valser preghi a far che più vi stesse:

Amor, che dietro alla sua donna il manda,

di fermarvisi più non gli concesse.

Quindi si parte; e prima raccomanda

Olimpia al re, che servi le promesse:

ben che non bisognasse; che gli attenne

molto più, che di far non si convenne.

79

Così fra pochi dì gente raccolse;

e fatto lega col re d'Inghilterra

e con l'altro di Scozia, gli ritolse

Olanda, e in Frisa non gli lasciò terra;

ed a ribellione anco gli volse

la sua Selandia: e non finì la guerra,

che gli diè morte; né però fu tale

la pena, ch'al delitto andasse eguale.

80

Olimpia Oberto si pigliò per moglie,

e di contessa la fe' gran regina.

Ma ritorniamo al paladin che scioglie

nel mar le vele, e notte e dì camina;

poi nel medesmo porto le raccoglie,

donde pria le spiegò ne la marina:

e sul suo Brigliadoro armato salse,

e lasciò dietro i venti e l'onde salse.

81

Credo che 'l resto di quel verno cose

facesse degne di tenerne conto;

ma fur sin a quel tempo sì nascose,

che non è colpa mia s'or non le conto;

perché Orlando a far l'opre virtuose,

più che a narrarle poi, sempre era pronto:

né mai fu alcun de li suoi fatti espresso,

se non quando ebbe i testimoni appresso.

82

Passò il resto del verno così cheto,

che di lui non si seppe cosa vera:

ma poi che 'l sol ne l'animal discreto

che portò Friso, illuminò la sfera,

e Zefiro tornò soave e lieto

a rimenar la dolce primavera;

d'Orlando usciron le mirabil pruove

coi vaghi fiori e con l'erbette nuove.

83

Di piano in monte, e di campagna in lido,

pien di travaglio e di dolor ne gìa;

quando all'entrar d'un bosco, un lungo grido,

un alto duol l'orecchie gli ferìa.

Spinge il cavallo, e piglia il brando fido,

e donde viene il suon, ratto s'invia:

ma diferisco un'altra volta a dire

quel che seguì, se mi vorrete udire.

CANTO DODICESIMO

1

Cerere, poi che da la madre Idea

tornando in fretta alla solinga valle,

là dove calca la montagna Etnea

al fulminato Encelado le spalle,

la figlia non trovò dove l'avea

lasciata fuor d'ogni segnato calle;

fatto ch'ebbe alle guance, al petto, ai crini

e agli occhi danno, al fin svelse duo pini;

2

e nel fuoco gli accese di Vulcano,

e diè lor non potere esser mai spenti:

e portandosi questi uno per mano

sul carro che tiravan dui serpenti,

cercò le selve, i campi, il monte, il piano,

le valli, i fiumi, li stagni, i torrenti,

la terra e 'l mare; e poi che tutto il mondo

cercò di sopra, andò al tartareo fondo.

3

S'in poter fosse stato Orlando pare

all'Eleusina dea, come in disio,

non avria, per Angelica cercare,

lasciato o selva o campo o stagno o rio

o valle o monte o piano o terra o mare,

il cielo e 'l fondo de l'eterno oblio;

ma poi che 'l carro e i draghi non avea,

la gìa cercando al meglio che potea.

4

L'ha cercata per Francia: or s'apparecchia

per Italia cercarla e per Lamagna,

per la nuova Castiglia e per la vecchia,

e poi passare in Libia il mar di Spagna.

Mentre pensa così, sente all'orecchia

una voce venir, che par che piagna:

si spinge inanzi; e sopra un gran destriero

trottar si vede innanzi un cavalliero,

5

che porta in braccio e su l'arcion davante

per forza una mestissima donzella.

Piange ella, e si dibatte, e fa sembiante

di gran dolore; ed in soccorso appella

il valoroso principe d'Anglante;

che come mira alla giovane bella,

gli par colei, per cui la notte e il giorno

cercato Francia avea dentro e d'intorno.

6

Non dico ch'ella fosse, ma parea

Angelica gentil ch'egli tant'ama.

Egli, che la sua donna e la sua dea

vede portar sì addolorata e grama,

spinto da l'ira e da la furia rea,

con voce orrenda il cavallier richiama;

richiama il cavalliero e gli minaccia,

e Brigliadoro a tutta briglia caccia.

7

Non resta quel fellon, né gli risponde,

all'alta preda, al gran guadagno intento,

e sì ratto ne va per quelle fronde,

che saria tardo a seguitarlo il vento.

L'un fugge, e l'altro caccia; e le profonde

selve s'odon sonar d'alto lamento.

Correndo usciro in un gran prato; e quello

avea nel mezzo un grande e ricco ostello.

8

Di vari marmi con suttil lavoro

edificato era il palazzo altiero.

Corse dentro alla porta messa d'oro

con la donzella in braccio il cavalliero.

Dopo non molto giunse Brigliadoro,

che porta Orlando disdegnoso e fiero.

Orlando, come è dentro, gli occhi gira;

né più il guerrier, né la donzella mira.

9

Subito smonta, e fulminando passa

dove più dentro il bel tetto s'alloggia:

corre di qua, corre di là, né lassa

che non vegga ogni camera, ogni loggia.

Poi che i segreti d'ogni stanza bassa

ha cerco invan, su per le scale poggia;

e non men perde anco a cercar di sopra,

che perdessi di sotto, il tempo e l'opra.

10

D'oro e di seta i letti ornati vede:

nulla de muri appar né de pareti;

che quelle, e il suolo ove si mette il piede,

son da cortine ascose e da tapeti.

Di su di giù va il conte Orlando e riede;

né per questo può far gli occhi mai lieti

che riveggiano Angelica, o quel ladro

che n'ha portato il bel viso leggiadro.

11

E mentre or quinci or quindi invano il passo

movea, pien di travaglio e di pensieri,

Ferraù, Brandimarte e il re Gradasso,

re Sacripante ed altri cavallieri

vi ritrovò, ch'andavano alto e basso,

né men facean di lui vani sentieri;

e si ramaricavan del malvagio

invisibil signor di quel palagio.

12

Tutti cercando il van, tutti gli dànno

colpa di furto alcun che lor fatt'abbia:

del destrier che gli ha tolto, altri è in affanno;

ch'abbia perduta altri la donna, arrabbia;

altri d'altro l'accusa: e così stanno,

che non si san partir di quella gabbia;

e vi son molti, a questo inganno presi,

stati le settimane intiere e i mesi.

13

Orlando, poi che quattro volte e sei

tutto cercato ebbe il palazzo strano,

disse fra sé: — Qui dimorar potrei,

gittare il tempo e la fatica invano:

e potria il ladro aver tratta costei

da un'altra uscita, e molto esser lontano. —

Con tal pensiero uscì nel verde prato,

dal qual tutto il palazzo era aggirato.

14

Mentre circonda la casa silvestra,

tenendo pur a terra il viso chino,

per veder s'orma appare, o da man destra

o da sinistra, di nuovo camino;

si sente richiamar da una finestra:

e leva gli occhi; e quel parlar divino

gli pare udire, e par che miri il viso,

che l'ha da quel che fu, tanto diviso.

15

Pargli Angelica udir, che supplicando

e piangendo gli dica: — Aita, aita!

la mia virginità ti raccomando

più che l'anima mia, più che la vita.

Dunque in presenza del mio caro Orlando

da questo ladro mi sarà rapita?

più tosto di tua man dammi la morte,

che venir lasci a sì infelice sorte. —

16

Queste parole una ed un'altra volta

fanno Orlando tornar per ogni stanza,

con passione e con fatica molta,

ma temperata pur d'alta speranza.

Talor si ferma, ed una voce ascolta,

che di quella d'Angelica ha sembianza

(e s'egli è da una parte, suona altronde),

che chieggia aiuto; e non sa trovar donde.

17

Ma tornando a Ruggier, ch'io lasciai quando

dissi che per sentiero ombroso e fosco

il gigante e la donna seguitando,

in un gran prato uscito era del bosco;

io dico ch'arrivò qui dove Orlando

dianzi arrivò, se 'l loco riconosco.

Dentro la porta il gran gigante passa:

Ruggier gli è appresso, e di seguir non lassa.

18

Tosto che pon dentro alla soglia il piede,

per la gran corte e per le logge mira;

né più il gigante né la donna vede,

e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira.

Di su di giù va molte volte e riede;

né gli succede mai quel che desira:

né si sa imaginar dove sì tosto

con la donna il fellon si sia nascosto.

19

Poi che revisto ha quattro volte e cinque

di su di giù camere e logge e sale,

pur di nuovo ritorna, e non relinque

che non ne cerchi fin sotto le scale.

Con speme al fin che sian ne le propinque

selve, si parte: ma una voce, quale

richiamò Orlando, lui chiamò non manco;

e nel palazzo il fe' ritornar anco.

20

Una voce medesma, una persona

che paruta era Angelica ad Orlando,

parve a Ruggier la donna di Dordona,

che lo tenea di sé medesmo in bando.

Se con Gradasso o con alcun ragiona

di quei ch'andavan nel palazzo errando,

a tutti par che quella cosa sia,

che più ciascun per sé brama e desia.

21

Questo era un nuovo e disusato incanto

ch'avea composto Atlante di Carena,

perché Ruggier fosse occupato tanto

in quel travaglio, in quella dolce pena,

che 'l mal'influsso n'andasse da canto,

l'influsso ch'a morir giovene il mena.

Dopo il castel d'acciar, che nulla giova,

e dopo Alcina, Atlante ancor fa pruova.

22

Non pur costui, ma tutti gli altri ancora,

che di valore in Francia han maggior fama,

acciò che di lor man Ruggier non mora,

condurre Atlante in questo incanto trama.

E mentre fa lor far quivi dimora,

perché di cibo non patischin brama,

sì ben fornito avea tutto il palagio,

che donne e cavallier vi stanno ad agio.

23

Ma torniamo ad Angelica, che seco

avendo quell'annel mirabil tanto,

ch'in bocca a veder lei fa l'occhio cieco,

nel dito, l'assicura da l'incanto;

e ritrovato nel montano speco

cibo avendo e cavalla e veste e quanto

le fu bisogno, avea fatto disegno

di ritornare in India al suo bel regno.

24

Orlando volentieri o Sacripante

voluto avrebbe in compania: non ch'ella

più caro avesse l'un che l'altro amante;

anzi di par fu a' lor disii ribella:

ma dovendo, per girsene in Levante,

passar tante città, tante castella,

di compagnia bisogno avea e di guida,

né potea aver con altri la più fida.

25

Or l'uno or l'altro andò molto cercando,

prima ch'indizio ne trovasse o spia,

quando in cittade, e quando in ville, e quando

in alti boschi, e quando in altra via.

Fortuna al fin là dove il conte Orlando,

Ferraù e Sacripante era, la invia,

con Ruggier, con Gradasso ed altri molti

che v'avea Atlante in strano intrico avolti.

26

Quivi entra, che veder non la può il mago,

e cerca il tutto, ascosa dal suo annello;

e trova Orlando e Sacripante vago

di lei cercare invan per quello ostello.

Vede come, fingendo la sua immago,

Atlante usa gran fraude a questo e a quello.

Chi tor debba di lor, molto rivolve

nel suo pensier, né ben se ne risolve.

27

Non sa stimar chi sia per lei migliore,

il conte Orlando o il re dei fier Circassi.

Orlando la potrà con più valore

meglio salvar nei perigliosi passi:

ma se sua guida il fa, sel fa signore;

ch'ella non vede come poi l'abbassi,

qualunque volta, di lui sazia, farlo

voglia minore, o in Francia rimandarlo.

28

Ma il Circasso depor, quando le piaccia,

potrà, se ben l'avesse posto in cielo.

Questa sola cagion vuol ch'ella il faccia

sua scorta, e mostri avergli fede e zelo.

L'annel trasse di bocca, e di sua faccia

levò dagli occhi a Sacripante il velo.

Credette a lui sol dimostrarsi, e avenne

ch'Orlando e Ferraù le sopravenne.

29

Le sopravenne Ferraù ed Orlando;

che l'uno e l'altro parimente giva

di su di giù, dentro e di fuor cercando

del gran palazzo lei, ch'era lor diva.

Corser di par tutti alla donna, quando

nessuno incantamento gli impediva:

perché l'annel ch'ella si pose in mano,

fece d'Atlante ogni disegno vano.

30

L'usbergo indosso aveano e l'elmo in testa

dui di questi guerrier, dei quali io canto;

né notte o dì, dopo ch'entraro in questa

stanza, l'aveano mai messi da canto;

che facile a portar, come la vesta,

era lor, perché in uso l'avean tanto.

Ferraù il terzo era anco armato, eccetto

che non avea né volea avere elmetto,

31

fin che quel non avea, che 'l paladino

tolse Orlando al fratel del re Troiano;

ch'allora lo giurò, che l'elmo fino

cercò de l'Argalia nel fiume invano:

e se ben quivi Orlando ebbe vicino,

né però Ferraù pose in lui mano;

avenne, che conoscersi tra loro

non si poter, mentre là dentro foro.

32

Era così incantato quello albergo,

ch'insieme riconoscer non poteansi.

Né notte mai né dì, spada né usbergo

né scudo pur dal braccio rimoveansi.

I lor cavalli con la sella al tergo,

pendendo i morsi da l'arcion, pasceansi

in una stanza, che presso all'uscita,

d'orzo e di paglia sempre era fornita.

33

Atlante riparar non sa né puote,

ch'in sella non rimontino i guerrieri

per correr dietro alle vermiglie gote,

all'auree chiome ed a' begli occhi neri

de la donzella, ch'in fuga percuote

la sua iumenta, perché volentieri

non vede li tre amanti in compagnia,

che forse tolti un dopo l'altro avria.

34

E poi che dilungati dal palagio

gli ebbe sì, che temer più non dovea

che contra lor l'incantator malvagio

potesse oprar la sua fallacia rea;

l'annel che le schivò più d'un disagio,

tra le rosate labra si chiudea:

donde lor sparve subito dagli occhi,

e gli lasciò come insensati e sciocchi.

35

Come che fosse il suo primier disegno

di voler seco Orlando o Sacripante,

ch'a ritornar l'avessero nel regno

di Galafron ne l'ultimo Levante;

le vennero amendua subito a sdegno,

e si mutò di voglia in uno istante:

e senza più obligarsi o a questo o a quello,

pensò bastar per amendua il suo annello.

36

Volgon pel bosco or quinci or quindi in fretta

quelli scherniti la stupida faccia;

come il cane talor, se gli è intercetta

o lepre o volpe, a cui dava la caccia,

che d'improviso in qualche tana stretta

o in folta macchia o in un fosso si caccia.

Di lor si ride Angelica proterva,

che non è vista, e i lor progressi osserva.

37

Per mezzo il bosco appar sol una strada:

credono i cavallier che la donzella

inanzi a lor per quella se ne vada;

che non se ne può andar, se non per quella.

Orlando corre, e Ferraù non bada,

né Sacripante men sprona e puntella.

Angelica la briglia più ritiene,

e dietro lor con minor fretta viene.

38

Giunti che fur, correndo, ove i sentieri

a perder si venian ne la foresta,

e cominciar per l'erba i cavallieri

a riguardar se vi trovavan pesta;

Ferraù, che potea fra quanti altieri

mai fosser, gir con la corona in testa,

si volse con mal viso agli altri dui,

e gridò lor: — Dove venite vui?

39

Tornate a dietro, o pigliate altra via,

se non volete rimaner qui morti:

né in amar né in seguir la donna mia

si creda alcun, che compagnia comporti. —

Disse Orlando al Circasso: — Che potria

più dir costui, s'ambi ci avesse scorti

per le più vili e timide puttane

che da conocchie mai traesser lane? —

40

Poi volto a Ferraù, disse: — Uom bestiale,

s'io non guardassi che senza elmo sei,

di quel c'hai detto, s'hai ben detto o male,

senz'altra indugia accorger ti farei. —

Disse il Spagnuol: — Di quel ch'a me non cale,

perché pigliarne tu cura ti dei?

Io sol contra ambidui per far son buono

quel che detto ho, senza elmo come sono. —

41

— Deh (disse Orlando al re di Circassia),

in mio servigio a costui l'elmo presta,

tanto ch'io gli abbia tratta la pazzia;

ch'altra non vidi mai simile a questa. —

Rispose il re: — Chi più pazzo saria?

Ma se ti par pur la domanda onesta,

prestagli il tuo; ch'io non sarò men atto,

che tu sia forse, a castigare un matto. —

42

Soggiunse Ferraù: — Sciocchi voi, quasi

che, se mi fosse il portar elmo a grado,

voi senza non ne fosse già rimasi;

che tolti i vostri avrei, vostro mal grado.

Ma per narrarvi in parte li miei casi,

per voto così senza me ne vado,

ed anderò, fin ch'io non ho quel fino

che porta in capo Orlando paladino. —

43

— Dunque (rispose sorridente il conte)

ti pensi a capo nudo esser bastante

far ad Orlando quel che in Aspramonte

egli già fece al figlio d'Agolante?

Anzi credo io, se tel vedessi a fronte,

ne tremeresti dal capo alle piante;

non che volessi l'elmo, ma daresti

l'altre arme a lui di patto, che tu vesti. —

44

Il vantator Spagnuol disse: — Già molte

fiate e molte ho così Orlando astretto,

che facilmente l'arme gli avrei tolte,

quante indosso n'avea, non che l'elmetto;

e s'io nol feci, occorrono alle volte

pensier che prima non s'aveano in petto:

non n'ebbi, già fu, voglia; or l'aggio, e spero

che mi potrà succeder di leggiero. —

45

Non potè aver più pazienza Orlando

e gridò: — Mentitor, brutto marrano,

in che paese ti trovasti, e quando,

a poter più di me con l'arme in mano?

Quel paladin, di che ti vai vantando,

son io, che ti pensavi esser lontano.

Or vedi se tu puoi l'elmo levarme,

o s'io son buon per torre a te l'altre arme.

46

Né da te voglio un minimo vantaggio. —

Così dicendo, l'elmo si disciolse,

e lo suspese a un ramuscel di faggio;

e quasi a un tempo Durindana tolse.

Ferraù non perdè di ciò il coraggio:

trasse la spada, e in atto si raccolse,

onde con essa e col levato scudo

potesse ricoprirsi il capo nudo.

47

Così li duo guerrieri incominciaro,

lor cavalli aggirando, a volteggiarsi;

e dove l'arme si giungeano, e raro

era più il ferro, col ferro a tentarsi.

Non era in tutto 'l mondo un altro paro

che più di questo avessi ad accoppiarsi:

pari eran di vigor, pari d'ardire;

né l'un né l'altro si potea ferire.

48

Ch'abbiate, Signor mio, già inteso estimo,

che Ferraù per tutto era fatato,

fuor che là dove l'alimento primo

piglia il bambin nel ventre ancor serrato:

e fin che del sepolcro il tetro limo

la faccia gli coperse, il luogo armato

usò portar, dove era il dubbio, sempre

di sette piastre fatte a buone tempre.

49

Era ugualmente il principe d'Anglante

tutto fatato, fuor che in una parte:

ferito esser potea sotto le piante;

ma le guardò con ogni studio ed arte.

Duro era il resto lor più che diamante

(se la fama dal ver non si diparte);

e l'uno e l'altro andò, più per ornato

che per bisogno, alle sue imprese armato.

50

S'incrudelisce e inaspra la battaglia,

d'orrore in vista e di spavento piena.

Ferraù, quando punge e quando taglia,

né mena botta che non vada piena:

ogni colpo d'Orlando o piastra o maglia

e schioda e rompe ed apre e a straccio mena.

Angelica invisibile lor pon mente,

sola a tanto spettacolo presente.

51

Intanto il re di Circassia, stimando

che poco inanzi Angelica corresse,

poi ch'attaccati Ferraù ed Orlando

vide restar, per quella via si messe,

che si credea che la donzella, quando

da lor disparve, seguitata avesse:

sì che a quella battaglia la figliuola

di Galafron fu testimonia sola.

52

Poi che, orribil come era e spaventosa,

l'ebbe da parte ella mirata alquanto,

e che le parve assai pericolosa

così da l'un come da l'altro canto;

di veder novità voluntarosa,

disegnò l'elmo tor, per mirar quanto

fariano i duo guerrier, vistosel tolto;

ben con pensier di non tenerlo molto.

53

Ha ben di darlo al conte intenzione;

ma se ne vuole in prima pigliar gioco.

L'elmo dispicca, e in grembio se lo pone,

e sta a mirare i cavallieri un poco.

Di poi si parte, e non fa lor sermone;

e lontana era un pezzo da quel loco,

prima ch'alcun di lor v'avesse mente:

sì l'uno e l'altro era ne l'ira ardente.

54

Ma Ferraù, che prima v'ebbe gli occhi,

si dispiccò da Orlando, e disse a lui:

— Deh come n'ha da male accorti e sciocchi

trattati il cavallier ch'era con nui!

Che premio fia ch'al vincitor più tocchi,

se 'l bel elmo involato n'ha costui? —

Ritrassi Orlando, e gli occhi al ramo gira:

non vede l'elmo, e tutto avampa d'ira.

55

E nel parer di Ferraù concorse,

che 'l cavallier che dianzi era con loro

se lo portasse; onde la briglia torse,

e fe' sentir gli sproni a Brigliadoro.

Ferraù che del campo il vide torse,

gli venne dietro; e poi che giunti foro

dove ne l'erba appar l'orma novella

ch'avea fatto il Circasso e la donzella,

56

prese la strada alla sinistra il conte

verso una valle, ove il Circasso era ito:

si tenne Ferraù più presso al monte,

dove il sentiero Angelica avea trito.

Angelica in quel mezzo ad una fonte

giunta era, ombrosa e di giocondo sito,

ch'ognun che passa, alle fresche ombre invita,

né, senza ber, mai lascia far partita.

57

Angelica si ferma alle chiare onde,

non pensando ch'alcun le sopravegna;

e per lo sacro annel che la nasconde,

non può temer che caso rio le avegna.

A prima giunta in su l'erbose sponde

del rivo l'elmo a un ramuscel consegna;

poi cerca, ove nel bosco è miglior frasca,

la iumenta legar, perché si pasca.

58

Il cavallier di Spagna, che venuto

era per l'orme, alla fontana giunge.

Non l'ha sì tosto Angelica veduto,

che gli dispare, e la cavalla punge.

L'elmo, che sopra l'erba era caduto,

ritor non può, che troppo resta lunge.

Come il pagan d'Angelica s'accorse,

tosto vêr lei pien di letizia corse.

59

Gli sparve, come io dico, ella davante,

come fantasma al dipartir del sonno.

Cercando egli la va per quelle piante

né i miseri occhi più veder la ponno.

Bestemiando Macone e Trivigante,

e di sua legge ogni maestro e donno,

ritornò Ferraù verso la fonte,

u' ne l'erba giacea l'elmo del conte.

60

Lo riconobbe, tosto che mirollo,

per lettere ch'avea scritte ne l'orlo;

che dicean dove Orlando guadagnollo,

e come e quando, ed a chi fe' deporlo.

Armossene il pagano il capo e il collo,

che non lasciò, pel duol ch'avea, di torlo;

pel duol ch'avea di quella che gli sparve,

come sparir soglion notturne larve.

61

Poi ch'allacciato s'ha il buon elmo in testa,

aviso gli è, che a contentarsi a pieno,

sol ritrovare Angelica gli resta,

che gli appar e dispar come baleno.

Per lei tutta cercò l'alta foresta:

e poi ch'ogni speranza venne meno

di più poterne ritrovar vestigi,

tornò al campo spagnuol verso Parigi;

62

temperando il dolor che gli ardea il petto,

di non aver sì gran disir sfogato,

col refrigerio di portar l'elmetto

che fu d'Orlando, come avea giurato.

Dal conte, poi che 'l certo gli fu detto,

fu lungamente Ferraù cercato;

né fin quel dì dal capo gli lo sciolse,

che fra duo ponti la vita gli tolse.

63

Angelica invisibile e soletta

via se ne va, ma con turbata fronte;

che de l'elmo le duol, che troppa fretta

le avea fatto lasciar presso alla fonte.

— Per voler far quel ch'a me far non spetta

(tra sé dicea), levato ho l'elmo al conte:

questo, pel primo merito, è assai buono

di quanto a lui pur ubligata sono.

64

Con buona intenzione (e sallo Idio),

ben che diverso e tristo effetto segua,

io levai l'elmo: e solo il pensier mio

fu di ridur quella battaglia a triegua;

e non che per mio mezzo il suo disio

questo brutto Spagnuol oggi consegua. —

Così di sé s'andava lamentando

d'aver de l'elmo suo privato Orlando.

65

Sdegnata e malcontenta la via prese,

che le parea miglior, verso Oriente.

Più volte ascosa andò, talor palese,

secondo era oportuno, infra la gente.

Dopo molto veder molto paese,

giunse in un bosco, dove iniquamente

fra duo compagni morti un giovinetto

trovò, ch'era ferito in mezzo il petto.

66

Ma non dirò d'Angelica or più inante;

che molte cose ho da narrarvi prima:

né sono a Ferraù né a Sacripante,

sin a gran pezzo per donar più rima.

Da lor mi leva il principe d'Anglante,

che di sé vuol che inanzi agli altri esprima

le fatiche e gli affanni che sostenne

nel gran disio, di che a fin mai non venne.

67

Alla prima città ch'egli ritruova

(perché d'andare occulto avea gran cura)

si pone in capo una barbuta nuova,

senza mirar s'ha debil tempra o dura:

sia qual si vuol, poco gli nuoce o giova;

sì ne la fatagion si rassicura.

Così coperto seguita l'inchiesta;

né notte, o giorno, o pioggia, o sol l'arresta.

68

Era ne l'ora, che trae i cavalli

Febo del mar con rugiadoso pelo,

e l'Aurora di fior vermigli e gialli

venìa spargendo d'ogn'intorno il cielo;

e lasciato le stelle aveano i balli,

e per partirsi postosi già il velo:

quando appresso a Parigi un dì passando,

mostrò di sua virtù gran segno Orlando.

69

In dua squadre incontrossi: e Manilardo

ne reggea l'una, il Saracin canuto,

re di Norizia, già fiero e gagliardo,

or miglior di consiglio che d'aiuto;

guidava l'altra sotto il suo stendardo

il re di Tremisen, ch'era tenuto

tra gli Africani cavallier perfetto:

Alzirdo fu, da chi 'l conobbe, detto.

70

Questi con l'altro esercito pagano

quella invernata avean fatto soggiorno,

chi presso alla città, chi più lontano,

tutti alle ville o alle castella intorno:

ch'avendo speso il re Agramante invano,

per espugnar Parigi, più d'un giorno,

volse tentar l'assedio finalmente,

poi che pigliar non lo potea altrimente.

71

E per far questo avea gente infinita;

che oltre a quella che con lui giunt'era,

e quella che di Spagna avea seguita

del re Marsilio la real bandiera

molta di Francia n'avea al soldo unita;

che da Parigi insino alla riviera

d'Arli, con parte di Guascogna (eccetto

alcune rocche) avea tutto suggetto.

72

Or cominciando i trepidi ruscelli

a sciorre il freddo giaccio in tiepide onde,

e i prati di nuove erbe, e gli arbuscelli

a rivestirsi di tenera fronde;

ragunò il re Agramante tutti quelli

che seguian le fortune sue seconde,

per farsi rassegnar l'armata torma;

indi alle cose sue dar miglior forma.

73

A questo effetto il re di Tremisenne

con quel de la Norizia ne venìa,

per là giungere a tempo, ove si tenne

poi conto d'ogni squadra o buona o ria.

Orlando a caso ad incontrar si venne

(come io v'ho detto) in questa compagnia,

cercando pur colei, come egli era uso,

che nel carcer d'Amor lo tenea chiuso.

74

Come Alzirdo appressar vide quel conte

che di valor non avea pari al mondo,

in tal sembiante, in sì superba fronte,

che 'l dio de l'arme a lui parea secondo;

restò stupito alle fattezze conte,

al fiero sguardo, al viso furibondo:

e lo stimò guerrier d'alta prodezza;

ma ebbe del provar troppa vaghezza.

75

Era giovane Alzirdo, ed arrogante

per molta forza, e per gran cor pregiato.

Per giostrar spinse il suo cavallo inante:

meglio per lui, se fosse in schiera stato;

che ne lo scontro il principe d'Anglante

lo fe' cader per mezzo il cor passato.

Giva in fuga il destrier di timor pieno,

che su non v'era chi reggesse il freno.

76

Levasi un grido subito ed orrendo,

che d'ogn'intorno n'ha l'aria ripiena,

come si vede il giovene, cadendo,

spicciar il sangue di sì larga vena.

La turba verso il conte vien fremendo

disordinata, e tagli e punte mena;

ma quella è più, che con pennuti dardi

tempesta il fior dei cavallier gagliardi.

77

Con qual rumor la setolosa frotta

correr da monti suole o da campagne,

se 'l lupo uscito di nascosa grotta,

o l'orso sceso alle minor montagne,

un tener porco preso abbia talotta,

che con grugnito e gran stridor si lagne;

con tal lo stuol barbarico era mosso

verso il conte, gridando: — Addosso, addosso! —

78

Lance, saette e spade ebbe l'usbergo

a un tempo mille, e lo scudo altretante:

chi gli percuote con la mazza il tergo,

chi minaccia da lato, e chi davante.

Ma quel, ch'al timor mai non diede albergo,

estima la vil turba e l'arme tante,

quel che dentro alla mandra, all'aer cupo,

il numer de l'agnelle estimi il lupo.

79

Nuda avea in man quella fulminea spada

che posti ha tanti Saracini a morte:

dunque chi vuol di quanta turba cada

tenere il conto, ha impresa dura e forte.

Rossa di sangue già correa la strada,

capace a pena a tante genti morte;

perché né targa né capel difende

la fatal Durindana, ove discende,

80

né vesta piena di cotone, o tele

che circondino il capo in mille vòlti.

Non pur per l'aria gemiti e querele,

ma volan braccia e spalle e capi sciolti.

Pel campo errando va Morte crudele

in molti, vari, e tutti orribil volti;

e tra sé dice: — In man d'Orlando valci

Durindana per cento de mie falci. —

81

Una percossa a pena l'altra aspetta.

Ben tosto cominciar tutti a fuggire;

e quando prima ne veniano in fretta

(perch'era sol, credeanselo inghiottire),

non è chi per levarsi de la stretta

l'amico aspetti, e cerchi insieme gire:

chi fugge a piedi in qua, chi colà sprona;

nessun domanda se la strada è buona.

82

Virtude andava intorno con lo speglio

che fa veder ne l'anima ogni ruga:

nessun vi si mirò, se non un veglio

a cui il sangue l'età, non l'ardir, sciuga.

Vide costui quanto il morir sia meglio,

che con suo disonor mettersi in fuga:

dico il re di Norizia; onde la lancia

arrestò contra il paladin di Francia.

83

E la roppe alla penna de lo scudo

del fiero conte, che nulla si mosse.

Egli ch'avea alla posta il brando nudo,

re Manilardo al trapassar percosse.

Fortuna l'aiutò; che 'l ferro crudo

in man d'Orlando al venir giù voltosse:

tirare i colpi a filo ognor non lece;

ma pur di sella stramazzar lo fece.

84

Stordito de l'arcion quel re stramazza:

non si rivolge Orlando a rivederlo;

che gli altri taglia, tronca, fende, amazza;

a tutti pare in su le spalle averlo.

Come per l'aria, ove han sì larga piazza,

fuggon li storni da l'audace smerlo,

così di quella squadra ormai disfatta

altri cade, altri fugge, altri s'appiatta.

85

Non cessò pria la sanguinosa spada,

che fu di viva gente il campo voto.

Orlando è in dubbio a ripigliar la strada,

ben che gli sia tutto il paese noto.

O da man destra o da sinistra vada,

il pensier da l'andar sempre è remoto:

d'Angelica cercar, fuor ch'ove sia,

teme, e di far sempre contraria via.

86

Il suo camin (di lei chiedendo spesso)

or per li campi or per le selve tenne:

e sì come era uscito di se stesso,

uscì di strada; e a piè d'un monte venne,

dove la notte fuor d'un sasso fesso

lontan vide un splendor batter le penne.

Orlando al sasso per veder s'accosta,

se quivi fosse Angelica reposta.

87

Come nel bosco de l'umil ginepre,

o ne la stoppia alla campagna aperta,

quando si cerca la paurosa lepre

per traversati solchi e per via incerta,

si va ad ogni cespuglio, ad ogni vepre,

se per ventura vi fosse coperta;

così cercava Orlando con gran pena

la donna sua, dove speranza il mena.

88

Verso quel raggio andando in fretta il conte,

giunse ove ne la selva si diffonde

da l'angusto spiraglio di quel monte,

ch'una capace grotta in sé nasconde;

e trova inanzi ne la prima fronte

spine e virgulti, come mura e sponde,

per celar quei che ne la grotta stanno,

da chi far lor cercasse oltraggio e danno.

89

Di giorno ritrovata non sarebbe,

ma la facea di notte il lume aperta.

Orlando pensa ben quel ch'esser debbe;

pur vuol saper la cosa anco più certa.

Poi che legato fuor Brigliadoro ebbe,

tacito viene alla grotta coperta:

e fra li spessi rami ne la buca

entra, senza chiamar chi l'introduca.

90

Scende la tomba molti gradi al basso,

dove la viva gente sta sepolta.

Era non poco spazioso il sasso

tagliato a punte di scarpelli in volta;

né di luce diurna in tutto casso,

ben che l'entrata non ne dava molta;

ma ve ne venìa assai da una finestra

che sporgea in un pertugio da man destra.

91

In mezzo la spelonca, appresso a un fuoco,

era una donna di giocondo viso;

quindici anni passar dovea di poco,

quanto fu al conte, al primo sguardo, aviso:

ed era bella sì, che facea il loco

salvatico parere un paradiso;

ben ch'avea gli occhi di lacrime pregni,

del cor dolente manifesti segni.

92

V'era una vecchia; e facean gran contese

(come uso feminil spesso esser suole),

ma come il conte ne la grotta scese,

finiron le dispùte e le parole.

Orlando a salutarle fu cortese

(come con donne sempre esser si vuole),

ed elle si levaro immantinente,

e lui risalutar benignamente.

93

Gli è ver che si smarriro in faccia alquanto,

come improviso udiron quella voce,

e insieme entrare armato tutto quanto

vider là dentro un uom tanto feroce.

Orlando domandò qual fosse tanto

scortese, ingiusto, barbaro ed atroce,

che ne la grotta tenesse sepolto

un sì gentile ed amoroso volto.

94

La vergine a fatica gli rispose,

interrotta da fervidi signiozzi,

che dai coralli e da le preziose

perle uscir fanno i dolci accenti mozzi.

Le lacrime scendean tra gigli e rose,

là dove avien ch'alcuna se n'inghiozzi.

Piacciavi udir ne l'altro canto il resto,

Signor, che tempo è ormai di finir questo.

CANTO TREDICESIMO

1

Ben furo aventurosi i cavallieri

ch'erano a quella età, che nei valloni,

ne le scure spelonche e boschi fieri,

tane di serpi, d'orsi e di leoni,

trovavan quel che nei palazzi altieri

a pena or trovar puon giudici buoni:

donne, che ne la lor più fresca etade

sien degne d'aver titol di beltade.

2

Di sopra vi narrai che ne la grotta

avea trovato Orlando una donzella,

e che la dimandò ch'ivi condotta

l'avesse: or seguitando, dico ch'ella,

poi che più d'un signiozzo l'ha interrotta,

con dolce e suavissima favella

al conte fa le sue sciagure note,

con quella brevità che meglio puote.

3

— Ben che io sia certa (dice), o cavalliero,

ch'io porterò del mio parlar supplizio,

perché a colui che qui m'ha chiusa, spero

che costei ne darà subito indizio;

pur son disposta non celarti il vero,

e vada la mia vita in precipizio.

E ch'aspettar poss'io da lui più gioia,

che 'l si disponga un dì voler ch'io muoia?

4

Isabella sono io, che figlia fui

del re mal fortunato di Gallizia.

Ben dissi fui; ch'or non son più di lui,

ma di dolor, d'affanno e di mestizia.

Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui

dolermi più che de la sua nequizia,

che dolcemente nei principi applaude,

e tesse di nascosto inganno e fraude.

5

Già mi vivea di mia sorte felice,

gentil, giovane, ricca, onesta e bella:

vile e povera or sono, or infelice;

e s'altra è peggior sorte, io sono in quella.

Ma voglio sappi la prima radice

che produsse quel mal che mi flagella;

e ben ch'aiuto poi da te non esca,

poco non mi parrà, che te n'incresca.

6

Mio patre fe' in Baiona alcune giostre,

esser denno oggimai dodici mesi.

Trasse la fama ne le terre nostre

cavallieri a giostrar di più paesi.

Fra gli altri (o sia ch'Amor così mi mostre,

o che virtù pur se stessa palesi)

mi parve da lodar Zerbino solo,

che del gran re di Scozia era figliuolo.

7

Il qual poi che far pruove in campo vidi

miracolose di cavalleria,

fui presa del suo amore; e non m'avidi,

ch'io mi conobbi più non esser mia.

E pur, ben che 'l suo amor così mi guidi,

mi giova sempre avere in fantasia

ch'io non misi il mio core in luogo immondo,

ma nel più degno e bel ch'oggi sia al mondo.

8

Zerbino di bellezza e di valore

sopra tutti i signori era eminente.

Mostrammi, e credo mi portasse amore,

e che di me non fosse meno ardente.

Non ci mancò chi del commune ardore

interprete fra noi fosse sovente,

poi che di vista ancor fummo disgiunti;

che gli animi restar sempre congiunti.

9

Però che dato fine alla gran festa,

il mio Zerbino in Scozia fe' ritorno.

Se sai che cosa è amor, ben sai che mesta

restai, di lui pensando notte e giorno;

ed era certa che non men molesta

fiamma intorno al suo cor facea soggiorno.

Egli non fece al suo disio più schermi,

se non che cercò via di seco avermi.

10

E perché vieta la diversa fede

(essendo egli cristiano, io saracina)

ch'al mio padre per moglie non mi chiede,

per furto indi levarmi si destina.

Fuor de la ricca mia patria, che siede

tra verdi campi allato alla marina,

aveva un bel giardin sopra una riva,

che colli intorno e tutto il mar scopriva.

11

Gli parve il luogo a fornir ciò disposto,

che la diversa religion ci vieta;

e mi fa saper l'ordine che posto

avea di far la nostra vita lieta.

Appresso a Santa Marta avea nascosto

con gente armata una galea secreta,

in guardia d'Odorico di Biscaglia,

in mare e in terra mastro di battaglia.

12

Né potendo in persona far l'effetto,

perch'egli allora era dal padre antico

a dar soccorso al re di Francia astretto,

manderia in vece sua questo Odorico,

che fra tutti i fedeli amici eletto

s'avea pel più fedele e pel più amico:

e bene esser dovea, se i benefici

sempre hanno forza d'acquistar gli amici.

13

Verria costui sopra un navilio armato,

al terminato tempo indi a levarmi.

E così venne il giorno disiato,

che dentro il mio giardin lasciai trovarmi.

Odorico la notte, accompagnato

di gente valorosa all'acqua e all'armi,

smontò ad un fiume alla città vicino,

e venne chetamente al mio giardino.

14

Quindi fui tratta alla galea spalmata,

prima che la città n'avesse avisi.

De la famiglia ignuda e disarmata

altri fuggiro, altri restaro uccisi,

parte captiva meco fu menata.

Così da la mia terra io mi divisi,

con quanto gaudio non ti potrei dire,

sperando in breve il mio Zerbin fruire.

15

Voltati sopra Mongia eramo a pena,

quando ci assalse alla sinistra sponda

un vento che turbò l'aria serena,

e turbò il mare, e al ciel gli levò l'onda.

Salta un maestro ch'a traverso mena,

e cresce ad ora ad ora, e soprabonda;

e cresce e soprabonda con tal forza,

che val poco alternar poggia con orza.

16

Non giova calar vele, e l'arbor sopra

corsia legar, né ruinar castella;

che ci veggian mal grado portar sopra

acuti scogli, appresso alla Rocella.

Se non ci aiuta quel che sta di sopra,

ci spinge in terra la crudel procella.

Il vento rio ne caccia in maggior fretta,

che d'arco mai non si aventò saetta.

17

Vide il periglio il Biscaglino, e a quello

usò un rimedio che fallir suol spesso:

ebbe ricorso subito al battello;

calossi, e me calar fece con esso.

Sceser dui altri, e ne scendea un drappello,

se i primi scesi l'avesser concesso;

ma con le spade li tenner discosto,

tagliar la fune, e ci allargammo tosto.

18

Fummo gittati a salvamento al lito

noi che nel palischermo eramo scesi;

periron gli altri col legno sdrucito;

in preda al mare andar tutti gli arnesi.

All'eterna Bontade, all'infinito

Amor, rendendo grazie, le man stesi,

che non m'avessi dal furor marino

lasciato tor di riveder Zerbino.

19

Come ch'io avessi sopra il legno e vesti

lasciato e gioie e l'altre cose care,

pur che la speme di Zerbin mi resti,

contenta son che s'abbi il resto il mare.

Non sono, ove scendemo, i liti pesti

d'alcun sentier, né intorno albergo appare;

ma solo il monte, al qual mai sempre fiede

l'ombroso capo il vento, e 'l mare il piede.

20

Quivi il crudo tiranno Amor, che sempre

d'ogni promessa sua fu disleale,

e sempre guarda come involva e stempre

ogni nostro disegno razionale,

mutò con triste e disoneste tempre

mio conforto in dolor, mio bene in male;

che quell'amico, in chi Zerbin si crede,

di desire arse, ed agghiacciò di fede.

21

O che m'avesse in mar bramata ancora,

né fosse stato a dimostrarlo ardito,

o cominciassi il desiderio allora

che l'agio v'ebbe dal solingo lito;

disegnò quivi senza più dimora

condurre a fin l'ingordo suo appetito;

ma prima da sé torre un de li dui

che nel battel campati eran con nui.

22

Quell'era omo di Scozia, Almonio detto,

che mostrava a Zerbin portar gran fede;

e commendato per guerrier perfetto

da lui fu, quando ad Odorico il diede.

Disse a costui, che biasmo era e difetto,

se mi traeano alla Rocella a piede;

e lo pregò ch'inanti volesse ire

a farmi incontra alcun ronzin venire.

23

Almonio, che di ciò nulla temea,

immantinente inanzi il camin piglia

alla città che 'l bosco ci ascondea,

e non era lontana oltra sei miglia.

Odorico scoprir sua voglia rea

all'altro finalmente si consiglia;

sì perché tor non se lo sa d'appresso,

sì perché avea gran confidenza in esso.

24

Era Corebo di Bilbao nomato

quel di ch'io parlo, che con noi rimase;

che da fanciullo picciolo allevato

s'era con lui ne le medesme case.

Poter con lui communicar l'ingrato

pensiero il traditor si persuase,

sperando ch'ad amar saria più presto

il piacer de l'amico, che l'onesto.

25

Corebo, che gentile era e cortese,

non lo potè ascoltar senza gran sdegno:

lo chiamò traditore, e gli contese

con parole e con fatti il rio disegno.

Grande ira all'uno e all'altro il core accese,

e con le spade nude ne fer segno.

Al trar de' ferri, io fui da la paura

volta a fuggir per l'alta selva oscura.

26

Odorico, che maestro era di guerra,

in pochi colpi a tal vantaggio venne,

che per morto lasciò Corebo in terra,

e per le mie vestigie il camin tenne.

Prestògli Amor (se 'l mio creder non erra),

acciò potesse giungermi, le penne;

e gl'insegnò molte lusinghe e prieghi,

con che ad amarlo e compiacer mi pieghi.

27

Ma tutto è indarno; che fermata e certa

più tosto era a morir, ch'a satisfarli.

Poi ch'ogni priego, ogni lusinga esperta

ebbe e minacce, e non potean giovarli,

si ridusse alla forza a faccia aperta.

Nulla mi val che supplicando parli

de la fé ch'avea in lui Zerbino avuta,

e ch'io ne le sue man m'era creduta.

28

Poi che gittar mi vidi i prieghi invano,

né mi sperare altronde altro soccorso,

e che più sempre cupido e villano

a me venìa, come famelico orso;

io mi difesi con piedi e con mano,

ed adopra'vi sin a l'ugne e il morso:

pela'gli il mento, e gli graffiai la pelle,

con stridi che n'andavano alle stelle.

29

Non so se fosse caso, o li miei gridi

che si doveano udir lungi una lega,

o pur ch'usati sian correre ai lidi

quando navilio alcun si rompe o anniega;

sopra il monte una turba apparir vidi,

e questa al mare e verso noi si piega.

Come la vede il Biscaglin venire,

lascia l'impresa, e voltasi a fuggire.

30

Contra quel disleal mi fu adiutrice

questa turba, signor; ma a quella image

che sovente in proverbio il vulgo dice:

cader de la padella ne le brage.

Gli è ver ch'io non son stata sì infelice,

né le lor menti ancor tanto malvage,

ch'abbino violata mia persona:

non che sia in lor virtù, né cosa buona.

31

Ma perché se mi serban, come io sono,

vergine, speran vendermi più molto.

Finito è il mese ottavo e viene il nono,

che fu il mio vivo corpo qui sepolto.

Del mio Zerbino ogni speme abbandono;

che già, per quanto ho da lor detti accolto,

m'han promessa e venduta a un mercadante,

che portare al soldan mi de' in Levante. —

32

Così parlava la gentil donzella;

e spesso con signiozzi e con sospiri

interrompea l'angelica favella,

da muovere a pietade aspidi e tiri.

Mentre sua doglia così rinovella,

o forse disacerba i suoi martiri,

da venti uomini entrar ne la spelonca,

armati chi di spiedo e chi di ronca.

33

Il primo d'essi, uom di spietato viso,

ha solo un occhio, e sguardo scuro e bieco;

l'altro, d'un colpo che gli avea reciso

il naso e la mascella, è fatto cieco.

Costui vedendo il cavalliero assiso

con la vergine bella entro allo speco,

volto a' compagni, disse: — Ecco augel nuovo,

a cui non tesi, e ne la rete il truovo. —

34

Poi disse al conte: — Uomo non vidi mai

più commodo di te, né più opportuno.

Non so se ti se' apposto, o se lo sai

perché te l'abbia forse detto alcuno,

che sì bell'arme io desiava assai,

e questo tuo leggiadro abito bruno.

Venuto a tempo veramente sei,

per riparare agli bisogni miei. —

35

Sorrise amaramente, in piè salito,

Orlando, e fe' risposta al mascalzone:

— Io ti venderò l'arme ad un partito

che non ha mercadante in sua ragione. —

Del fuoco, ch'avea appresso, indi rapito

pien di fuoco e di fumo uno stizzone,

trasse, e percosse il malandrino a caso,

dove confina con le ciglia il naso.

36

Lo stizzone ambe le palpebre colse,

ma maggior danno fe' ne la sinistra;

che quella parte misera gli tolse,

che de la luce sola, era ministra.

Né d'acciecarlo contentar si volse

il colpo fier, s'ancor non lo registra

tra quelli spirti che con suoi compagni

fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.

37

Ne la spelonca una gran mensa siede

grossa duo palmi, e spaziosa in quadro,

che sopra un mal pulito e grosso piede,

cape con tutta la famiglia il ladro.

Con quell'agevolezza che si vede

gittar la canna lo Spagnuol leggiadro,

Orlando il grave desco da sé scaglia

dove ristretta insieme è la canaglia.

38

A chi'l petto, a chi'l ventre, a chi la testa,

a chi rompe le gambe, a chi le braccia;

di ch'altri muore, altri storpiato resta:

chi meno è offeso, di fuggir procaccia.

Così talvolta un grave sasso pesta

e fianchi e lombi, e spezza capi e schiaccia,

gittato sopra un gran drapel di biscie,

che dopo il verno al sol si goda e liscie.

39

Nascono casi, e non saprei dir quanti:

una muore, una parte senza coda,

un'altra non si può muover davanti,

e 'l deretano indarno aggira e snoda;

un'altra, ch'ebbe più propizi i santi,

striscia fra l'erbe, e va serpendo a proda.

Il colpo orribil fu, ma non mirando,

poi che lo fece il valoroso Orlando.

40

Quei che la mensa o nulla o poco offese

(e Turpin scrive a punto che fur sette),

ai piedi raccomandan sue difese:

ma ne l'uscita il paladin si mette;

e poi che presi gli ha senza contese,

le man lor lega con la fune istrette,

con una fune al suo bisogno destra,

che ritrovò ne la casa silvestra.

41

Poi li trascina fuor de la spelonca,

dove facea grande ombra un vecchio sorbo.

Orlando con la spada i rami tronca,

e quelli attacca per vivanda al corbo.

Non bisognò catena in capo adonca;

che per purgare il mondo di quel morbo,

l'arbor medesmo gli uncini prestolli,

con che pel mento Orlando ivi attaccolli.

42

La donna vecchia, amica a' malandrini,

poi che restar tutti li vide estinti,

fuggì piangendo e con le mani ai crini,

per selve e boscherecci labirinti.

Dopo aspri e malagevoli camini,

a gravi passi e dal timor sospinti,

in ripa un fiume in un guerrier scontrosse;

ma diferisco a ricontar chi fosse:

43

e torno all'altra, che si raccomanda

al paladin che non la lasci sola;

e dice di seguirlo in ogni banda.

Cortesemente Orlando la consola;

e quindi, poi ch'uscì con la ghirlanda

di rose adorna e di purpurea stola

la bianca Aurora al solito camino,

partì con Isabella il paladino.

44

Senza trovar cosa che degna sia

d'istoria, molti giorni insieme andaro;

e finalmente un cavallier per via,

che prigione era tratto, riscontraro.

Chi fosse, dirò poi; ch'or me ne svia

tal, di chi udir non vi sarà men caro:

la figliuola d'Amon, la qual lasciai

languida dianzi in amorosi guai.

45

La bella donna, disiando invano

ch'a lei facesse il suo Ruggier ritorno,

stava a Marsilia, ove allo stuol pagano

dava da travagliar quasi ogni giorno;

il qual scorrea, rubando in monte e in piano,

per Linguadoca e per Provenza intorno:

ed ella ben facea l'ufficio vero

di savio duca e d'ottimo guerriero.

46

Standosi quivi, e di gran spazio essendo

passato il tempo che tornare a lei

il suo Ruggier dovea, né lo vedendo,

vivea in timor di mille casi rei.

Un dì fra gli altri, che di ciò piangendo

stava solinga, le arrivò colei

che portò ne l'annel la medicina

che sanò il cor ch'avea ferito Alcina.

47

Come a sé ritornar senza il suo amante,

dopo sì lungo termine, la vede,

resta pallida e smorta, e sì tremante,

che non ha forza di tenersi in piede:

ma la maga gentil le va davante

ridendo, poi che del timor s'avede;

e con viso giocondo la conforta,

qual aver suol chi buone nuove apporta.

48

— Non temer (disse) di Ruggier, donzella,

ch'è vivo e sano, e come suol, t'adora;

ma non è già in sua libertà; che quella

pur gli ha levata il tuo nemico ancora:

ed è bisogno che tu monti in sella,

se brami averlo, e che mi segui or ora;

che se mi segui, io t'aprirò la via

donde per te Ruggier libero fia. —

49

E seguitò, narrandole di quello

magico error che gli avea ordito Atlante:

che simulando d'essa il viso bello,

che captiva parea del rio gigante,

tratto l'avea ne l'incantato ostello,

dove sparito poi gli era davante;

e come tarda con simile inganno

le donne e i cavallier che di là vanno.

50

A tutti par, l'incantator mirando,

mirar quel che per sé brama ciascuno,

donna, scudier, compagno, amico; quando

il desiderio uman non è tutto uno.

Quindi il palagio van tutti cercando

con lungo affanno, senza frutto alcuno;

e tanta è la speranza e il gran disire

del ritrovar, che non ne san partire.

51

Come tu giungi (disse) in quella parte

che giace presso all'incantata stanza,

verrà l'incantatore a ritrovarte,

che terrà di Ruggiero ogni sembianza;

e ti farà parer con sua mal'arte,

ch'ivi lo vinca alcun di più possanza,

acciò che tu per aiutarlo vada

dove con gli altri poi ti tenga a bada.

52

Acciò l'inganni, in che son tanti e tanti

caduti, non ti colgan, sie avertita,

che se ben di Ruggier viso e sembianti

ti parrà di veder, che chieggia aita,

non gli dar fede tu; ma, come avanti

ti vien, fagli lasciar l'indegna vita:

né dubitar perciò che Ruggier muoia,

ma ben colui che ti dà tanta noia.

53

Ti parrà duro assai, ben lo conosco,

uccidere un che sembri il tuo Ruggiero:

pur non dar fede all'occhio tuo, che losco

farà l'incanto, e celeragli il vero.

Fermati, pria ch'io ti conduca al bosco,

sì che poi non si cangi il tuo pensiero;

che sempre di Ruggier rimarrai priva,

se lasci per viltà che 'l mago viva. —

54

La valorosa giovane, con questa

intenzion che 'l fraudolente uccida,

a pigliar l'arme ed a seguire è presta

Melissa; che sa ben quanto l'è fida.

Quella, or per terren culto, or per foresta,

a gran giornate e in gran fretta la guida,

cercando alleviarle tuttavia

con parlar grato la noiosa via.

55

E più di tutti i bei ragionamenti,

spesso le ripetea ch'uscir di lei

e di Ruggier doveano gli eccellenti

principi e gloriosi semidei.

Come a Melissa fossino presenti

tutti i secreti degli eterni dei,

tutte le cose ella sapea predire,

ch'avean per molti seculi a venire.

56

— Deh, come, o prudentissima mia scorta

(dicea a la maga l'inclita donzella),

molti anni prima tu m'hai fatta accorta

di tanta mia viril progenie bella;

così d'alcuna donna mi conforta,

che di mia stirpe sia, s'alcuna in quella

metter si può tra belle e virtuose. —

E la cortese maga le rispose:

57

— Da te uscir veggio le pudiche donne,

madri d'imperatori e di gran regi,

reparatrici e solide colonne

di case illustri e di domìni egregi;

che men degne non son ne le lor gonne,

ch'in arme i cavallier, di sommi pregi,

di pietà, di gran cor, di gran prudenza,

di somma e incomparabil continenza.

58

E s'io avrò da narrarti di ciascuna

che ne la stirpe tua sia d'onor degna,

troppo sarà; ch'io non ne veggio alcuna

che passar con silenzio mi convegna.

Ma ti farò, tra mille, scelta d'una

o di due coppie, acciò ch'a fin ne vegna.

Ne la spelonca perché nol dicesti?

che l'imagini ancor vedute avresti.

59

De la tua chiara stirpe uscirà quella

d'opere illustri e di bei studi amica,

ch'io non so ben se più leggiadra e bella

mi debba dire, o più saggia e pudica,

liberale e magnanima Isabella,

che del bel lume suo dì e notte aprica

farà la terra che sul Menzo siede,

a cui la madre d'Ocno il nome diede:

60

dove onorato e splendido certame

avrà col suo dignissimo consorte,

chi di lor più le virtù prezzi ed ame,

e chi meglio apra a cortesia le porte.

S'un narrerà ch'al Taro e nel Reame

fu a liberar da' Galli Italia forte;

l'altra dirà: — Sol perché casta visse

Penelope, non fu minor d'Ulisse. —

61

Gran cose e molte in brevi detti accolgo

di questa donna e più dietro ne lasso,

che in quelli dì ch'io mi levai dal volgo,

mi fe' chiare Merlin dal cavo sasso.

E s'in questo gran mar la vela sciolgo,

di lunga Tifi in navigar trapasso.

Conchiudo in somma, ch'ella avrà, per dono,

de la virtù e del ciel, ciò ch'è di buono.

62

Seco avrà la sorella Beatrice,

a cui si converrà tal nome a punto:

ch'essa non sol del ben che qua giù lice,

per quel che viverà, toccherà il punto;

ma avrà forza di far seco felice,

fra tutti i ricchi duci, il suo congiunto,

il qual, come ella poi lascerà il mondo,

così de l'infelici andrà nel fondo.

63

E Moro e Sforza e Viscontei colubri,

lei viva, formidabili saranno

da l'iperboree nievi ai lidi rubri,

da l'Indo ai monti ch'al tuo mar via danno:

lei morta, andran col regno degl'Insubri,

e con grave di tutta Italia danno,

in servitute; e fia stimata, senza

costei, ventura la somma prudenza.

64

Vi saranno altre ancor, ch'avranno il nome

medesmo, e nasceran molt'anni prima:

di ch'una s'ornerà le sacre chiome

de la corona di Pannonia opima;

un'altra, poi che le terrene some

lasciate avrà, fia ne l'ausonio clima

collocata nel numer de le dive,

ed avrà incensi e imagini votive.

65

De l'altre tacerò; che, come ho detto,

lungo sarebbe a ragionar di tante;

ben che per sé ciascuna abbia suggetto

degno, ch'eroica e chiara tuba cante.

Le Bianche, le Lucrezie io terrò in petto,

e le Costanze e l'altre, che di quante

splendide case Italia reggeranno,

reparatrici e madri ad esser hanno.

66

Più ch'altre fosser mai, le tue famiglie

saran ne le lor donne aventurose;

non dico in quella più de le lor figlie,

che ne l'alta onestà de le lor spose.

E acciò da te notizia anco si piglie

di questa parte che Merlin mi espose,

forse perch'io 'l dovessi a te ridire,

ho di parlarne non poco desire.

67

E dirò prima di Ricciarda, degno

esempio di fortezza e d'onestade:

vedova rimarrà, giovane, a sdegno

di Fortuna; il che spesso ai buoni accade.

I figli, privi del paterno regno,

esuli andar vedrà in strane contrade,

fanciulli in man degli aversari loro;

ma infine avrà il suo male amplo ristoro.

68

De l'alta stirpe d'Aragone antica

non tacerò la splendida regina,

di cui né saggia sì, né sì pudica

veggio istoria lodar greca o latina,

né a cui Fortuna più si mostri amica:

poi che sarà da la Bontà divina

elletta madre a parturir la bella

progenie, Alfonso, Ippolito e Isabella.

69

Costei sarà la saggia Leonora,

che nel tuo felice arbore s'inesta.

Che ti dirò de la seconda nuora,

succeditrice prossima di questa?

Lucrezia Borgia, di cui d'ora in ora

le beltà, la virtù, la fama onesta

e la fortuna crescerà, non meno

che giovin pianta in morbido terreno.

70

Qual lo stagno all'argento, il rame all'oro,

il campestre papavero alla rosa,

pallido salce al sempre verde alloro,

dipinto vetro a gemma preziosa;

tal a costei, ch'ancor non nata onoro,

sarà ciascuna insino a qui famosa

di singular beltà, di gran prudenza,

e d'ogni altra lodevole eccellenza.

71

E sopra tutti gli altri incliti pregi

che le saranno e a viva e a morta dati,

si loderà che di costumi regi

Ercole e gli altri figli avrà dotati,

e dato gran principio ai ricchi fregi

di che poi s'orneranno in toga e armati;

perché l'odor non se ne va sì in fretta,

ch'in nuovo vaso, o buono o rio, si metta.

72

Non voglio ch'in silenzio anco Renata

di Francia, nuora di costei, rimagna,

di Luigi il duodecimo re nata,

e de l'eterna gloria di Bretagna.

Ogni virtù ch'in donna mai sia stata,

di poi che 'l fuoco scalda e l'acqua bagna,

e gira intorno il cielo, insieme tutta

per Renata adornar veggio ridutta.

73

Lungo sarà che d'Alda di Sansogna

narri, o de la contessa di Celano,

o di Bianca Maria di Catalogna,

o de la figlia del re sicigliano,

o de la bella Lippa da Bologna,

e d'altre; che s'io vo' di mano in mano

venirtene dicendo le gran lode,

entro in un alto mar che non ha prode. —

74

Poi che le raccontò la maggior parte

de la futura stirpe a suo grand'agio,

più volte e più le replicò de l'arte

ch'avea tratto Ruggier dentro al palagio.

Melissa si fermò, poi che fu in parte

vicina al luogo del vecchio malvagio;

e non le parve di venir più inante,

acciò veduta non fosse da Atlante.

75

E la donzella di nuovo consiglia

di quel che mille volte ormai l'ha detto.

La lascia sola; e quella oltre a dua miglia

non cavalcò per un sentiero istretto,

che vide quel ch'al suo Ruggier simiglia;

e dui giganti di crudele aspetto

intorno avea, che lo stringean sì forte,

ch'era vicino esser condotto a morte.

76

Come la donna in tal periglio vede

colui che di Ruggiero ha tutti i segni,

subito cangia in sospizion la fede,

subito oblia tutti i suoi bei disegni.

Che sia in odio a Melissa Ruggier crede,

per nuova ingiuria e non intesi sdegni,

e cerchi far con disusata trama

che sia morto da lei che così l'ama.

77

Seco dicea: — Non è Ruggier costui,

che col cor sempre, ed or con gli occhi veggio?

e s'or non veggio e non conosco lui,

che mai veder o mai conoscer deggio?

perché voglio io de la credenza altrui

che la veduta mia giudichi peggio?

Che senza gli occhi ancor, sol per se stesso

può il cor sentir se gli è lontano o appresso. —

78

Mentre che così pensa, ode la voce

che le par di Ruggier, chieder soccorso;

e vede quello a un tempo, che veloce

sprona il cavallo e gli ralenta il morso,

e l'un nemico e l'altro suo feroce,

che lo segue e lo caccia a tutto corso.

Di lor seguir la donna non rimase,

che si condusse all'incantate case.

79

De le quai non più tosto entrò le porte,

che fu sommersa nel commune errore.

Lo cercò tutto per vie dritte e torte

invan di su e di giù, dentro e di fuore;

né cessa notte o dì, tanto era forte

l'incanto: e fatto avea l'incantatore,

che Ruggier vede sempre e gli favella,

né Ruggier lei, né lui riconosce ella.

80

Ma lasciàn Bradamante, e non v'incresca

udir che così resti in quello incanto;

che quando sarà il tempo ch'ella n'esca,

la farò uscire, e Ruggiero altretanto.

Come raccende il gusto il mutar esca,

così mi par che la mia istoria, quanto

or qua or là più variata sia,

meno a chi l'udirà noiosa fia.

81

Di molte fila esser bisogno parme

a condur la gran tela ch'io lavoro.

E però non vi spiaccia d'ascoltarme,

come fuor de le stanze il popul Moro

davanti al re Agramante ha preso l'arme,

che, molto minacciando ai Gigli d'oro,

lo fa assembrare ad una mostra nuova,

per saper quanta gente si ritruova.

82

Perch'oltre i cavallieri, oltre i pedoni

ch'al numero sottratti erano in copia,

mancavan capitani, e pur de' buoni,

e di Spagna e di Libia e d'Etiopia,

e le diverse squadre e le nazioni

givano errando senza guida propia;

per dare e capo ed ordine a ciascuna,

tutto il campo alla mostra si raguna.

83

In supplimento de le turbe uccise

ne le battaglie e ne' fieri conflitti,

l'un signore in Ispagna, e l'altro mise

in Africa, ove molti n'eran scritti;

e tutti alli lor ordini divise,

e sotto i duci lor gli ebbe diritti.

Differirò, Signor, con grazia vostra,

ne l'altro canto l'ordine e la mostra.

CANTO QUATTORDICESIMO

1

Nei molti assalti e nei crudel conflitti,

ch'avuti avea con Francia, Africa e Spagna,

morti erano infiniti, e derelitti

al lupo, al corvo, all'aquila griffagna;

e ben che i Franchi fossero più afflitti,

che tutta avean perduta la campagna;

più si doleano i Saracin, per molti

principi e gran baron ch'eran lor tolti.

2

Ebbon vittorie così sanguinose,

che lor poco avanzò di che allegrarsi.

E se alle antique le moderne cose,

invitto Alfonso, denno assimigliarsi;

la gran vittoria, onde alle virtuose

opere vostre può la gloria darsi,

di ch'aver sempre lacrimose ciglia

Ravenna debbe, a queste s'assimiglia:

3

quando cedendo Morini e Picardi,

l'esercito normando e l'aquitano,

voi nel mezzo assaliste gli stendardi

del quasi vincitor nimico ispano,

seguendo voi quei gioveni gagliardi,

che meritar con valorosa mano

quel dì da voi, per onorati doni,

l'else indorate e gl'indorati sproni.

4

Con sì animosi petti che vi foro

vicini o poco lungi al gran periglio,

crollaste sì le ricche Giande d'oro,

sì rompeste il baston giallo e vermiglio,

ch'a voi si deve il trionfale alloro,

che non fu guasto né sfiorato il Giglio.

D'un'altra fronde v'orna anco la chioma

l'aver serbato il suo Fabrizio a Roma.

5

La gran Colonna del nome romano,

che voi prendeste, e che servaste intera,

vi dà più onor che se di vostra mano

fosse caduta la milizia fiera,

quanta n'ingrassa il campo ravegnano,

e quanta se n'andò senza bandiera

d'Aragon, di Castiglia e di Navarra,

veduto non giovar spiedi né carra.

6

Quella vittoria fu più di conforto,

che d'allegrezza; perché troppo pesa

contra la gioia nostra il veder morto

il capitan di Francia e de l'impresa;

e seco avere una procella absorto

tanti principi illustri, ch'a difesa

dei regni lor, dei lor confederati,

di qua da le fredd'Alpi eran passati.

7

Nostra salute, nostra vita in questa

vittoria suscitata si conosce,

che difende che 'l verno e la tempesta

di Giove irato sopra noi non crosce:

ma né goder potiam, né farne festa,

sentendo i gran ramarichi e l'angosce,

ch'in veste bruna e lacrimosa guancia

le vedovelle fan per tutta Francia.

8

Bisogna che proveggia il re Luigi

di nuovi capitani alle sue squadre,

che per onor de l'aurea Fiordaligi

castighino le man rapaci e ladre,

che suore, e frati e bianchi e neri e bigi

violato hanno, e sposa e figlia e madre;

gittato in terra Cristo in sacramento,

per torgli un tabernaculo d'argento.

9

O misera Ravenna, t'era meglio

ch'al vincitor non fêssi resistenza;

far ch'a te fosse inanzi Brescia speglio,

che tu lo fossi a Arimino e a Faenza.

Manda, Luigi, il buon Traulcio veglio,

ch'insegni a questi tuoi più continenza,

e conti lor quanti per simil torti

stati ne sian per tutta Italia morti.

10

Come di capitani bisogna ora

che 'l re di Francia al campo suo proveggia,

così Marsilio ed Agramante allora,

per dar buon reggimento alla sua greggia,

dai lochi dove il verno fe' dimora,

vuol ch'in campagna all'ordine si veggia;

perché vedendo ove bisogno sia,

guida e governo ad ogni schiera dia.

11

Marsilio prima, e poi fece Agramante

passar la gente sua schiera per schiera.

I Catalani a tutti gli altri inante

di Dorifebo van con la bandiera.

Dopo vien, senza il suo re Folvirante,

che per man di Rinaldo già morto era,

la gente di Navarra; e lo re ispano

halle dato Isolier per capitano.

12

Balugante del popul di Leone,

Grandonio cura degli Algarbi piglia;

il fratel di Marsilio, Falsirone,

ha seco armata la minor Castiglia.

Seguon di Madarasso il gonfalone

quei che lasciato han Malaga e Siviglia,

dal mar di Gade a Cordova feconda

le verdi ripe ovunque il Beti inonda.

13

Stordilano e Tesira e Baricondo,

l'un dopo l'altro, mostra la sua gente:

Granata al primo, Ulisbona al secondo,

e Maiorica al terzo è ubidiente.

Fu d'Ulisbona re (tolto dal mondo

Larbin) Tesira, di Larbin parente.

Poi vien Galizia, che sua guida, in vece

di Maricoldo, Serpentino fece.

14

Quei di Tolledo e quei di Calatrava,

di ch'ebbe Sinagon già la bandiera,

con tutta quella gente che si lava

in Guadiana e bee de la riviera,

l'audace Matalista governava;

Bianzardin quei d'Asturga in una schiera

con quei di Salamanca e di Piagenza,

d'Avila, di Zamora e di Palenza.

15

Di quei di Saragosa e de la corte

del re Marsilio ha Ferraù il governo:

tutta la gente è ben armata e forte.

In questi è Malgarino, Balinverno,

Malzarise e Morgante, ch'una sorte

avea fatto abitar paese esterno;

che, poi che i regni lor lor furon tolti,

gli avea Marsilio in corte sua raccolti.

16

In questa è di Marsilio il gran bastardo,

Follicon d'Almeria, con Doriconte,

Bavarte e Largalifa ed Analardo,

ed Archidante il sagontino conte,

e Lamirante e Langhiran gagliardo,

e Malagur ch'avea l'astuzie pronte,

ed altri ed altri, di quai penso, dove

tempo sarà, di far veder le pruove.

17

Poi che passò l'esercito di Spagna

con bella mostra inanzi al re Agramante,

con la sua squadra apparve alla campagna

il re d'Oran, che quasi era gigante.

L'altra che vien, per Martasin si lagna,

il qual morto le fu da Bradamante;

e si duol ch'una femina si vanti

d'aver ucciso il re de' Garamanti.

18

Segue la terza schiera di Marmonda,

ch'Argosto morto abbandonò in Guascogna:

a questa un capo, come alla seconda

e come anco alla quarta, dar bisogna.

Quantunque il re Agramante non abonda

di capitani, pur ne finge e sogna:

dunque Buraldo, Ormida, Arganio elesse,

e dove uopo ne fu, guida li messe.

19

Diede ad Arganio quei di Libicana,

che piangean morto il negro Dudrinasso.

Guida Brunello i suoi di Tingitana,

con viso nubiloso e ciglio basso;

che, poi che ne la selva non lontana

dal castel ch'ebbe Atlante in cima al sasso,

gli fu tolto l'annel da Bradamante,

caduto era in disgrazia al re Agramante:

20

e se 'l fratel di Ferraù, Isoliero,

ch'a l'arbore legato ritrovollo,

non facea fede inanzi al re del vero,

avrebbe dato in su le forche un crollo.

Mutò, a' prieghi di molti, il re pensiero,

già avendo fatto porgli il laccio al collo:

gli lo fece levar, ma riserbarlo

pel primo error; che poi giurò impiccarlo:

21

sì ch'avea causa di venir Brunello

col viso mesto e con la testa china.

Seguia poi Farurante, e dietro a quello

eran cavalli e fanti di Maurina.

Venìa Libanio appresso, il re novello:

la gente era con lui di Constantina;

però che la corona e il baston d'oro

gli ha dato il re, che fu di Pinadoro.

22

Con la gente d'Esperia Soridano,

e Dorilon ne vien con quei di Setta;

ne vien coi Nasamoni Puliano.

Quelli d'Amonia il re Agricalte affretta;

Malabuferso quelli di Fizano.

Da Finadurro è l'altra squadra retta,

che di Canaria viene e di Marocco;

Balastro ha quei che fur del re Tardocco.

23

Due squadre, una di Mulga, una d'Arzilla,

seguono: e questa ha 'l suo signore antico;

quella n'è priva; e però il re sortilla,

e diella a Corineo suo fido amico.

E così de la gente d'Almansilla,

ch'ebbe Tanfirion, fe' re Caico;

diè quella di Getulia a Rimedonte.

Poi vien con quei di Cosca Balinfronte.

24

Quell'altra schiera è la gente di Bolga:

suo re è Clarindo, e già fu Mirabaldo.

Vien Baliverzo, il qual vuò che tu tolga

di tutto il gregge pel maggior ribaldo.

Non credo in tutto il campo si disciolga

bandiera ch'abbia esercito più saldo

de l'altra, con che segue il re Sobrino,

né più di lui prudente Saracino.

25

Quei di Bellamarina, che Gualciotto

solea guidare, or guida il re d'Algieri

Rodomonte, e di Sarza, che condotto

di nuovo avea pedoni e cavallieri;

che mentre il sol fu nubiloso sotto

il gran centauro e i corni orridi e fieri,

fu in Africa mandato da Agramante,

onde venuto era tre giorni inante.

26

Non avea il campo d'Africa più forte,

né Saracin più audace di costui:

e più temean le parigine porte,

ed avean più cagion di temer lui,

che Marsilio, Agramante e la gran corte

ch'avea seguito in Francia questi dui:

e più d'ogni altro che facesse mostra,

era nimico de la fede nostra.

27

Vien Prusione, il re de l'Alvaracchie;

poi quel de la Zumara, Dardinello.

Non so s'abbiano o nottole o cornacchie,

o altro manco ed importuno augello,

il qual dai tetti e da le fronde gracchie

futuro mal, predetto a questo e a quello,

che fissa in ciel nel dì seguente è l'ora

che l'uno e l'altro in quella pugna muora.

28

In campo non aveano altri a venire,

che quei di Tremisenne e di Norizia;

né si vedea alla mostra comparire

il segno lor, né dar di sé notizia.

Non sapendo Agramante che si dire,

né che pensar di questa lor pigrizia,

uno scudiero al fin gli fu condutto

del re di Tremisen, che narrò il tutto.

29

E gli narrò ch'Alzirdo e Manilardo

con molti altri de' suoi giaceano al campo.

— Signor (diss'egli), il cavallier gagliardo

ch'ucciso ha i nostri, ucciso avria il tuo campo,

se fosse stato a torsi via più tardo

di me, ch'a pena ancor così ne scampo.

Fa quel de' cavallieri e de' pedoni,

che 'l lupo fa di capre e di montoni. —

30

Era venuto pochi giorni avante

nel campo del re d'Africa un signore;

né in Ponente era, né in tutto Levante,

di più forza di lui, né di più core.

Gli facea grande onore il re Agramante,

per esser costui figlio e successore

in Tartaria del re Agrican gagliardo:

suo nome era il feroce Mandricardo.

31

Per molti chiari gesti era famoso,

e di sua fama tutto il mondo empìa;

ma lo facea più d'altro glorioso,

ch'al castel de la fata di Soria

l'usbergo avea acquistato luminoso

ch'Ettor troian portò mille anni pria,

per strana e formidabile aventura,

che 'l ragionarne pur mette paura.

32

Trovandosi costui dunque presente

a quel parlar, alzò l'ardita faccia;

e si dispose andare immantinente,

per trovar quel guerrier, dietro alla traccia.

Ritenne occulto il suo pensiero in mente,

o sia perché d'alcun stima non faccia,

o perché tema, se 'l pensier palesa,

ch'un altro inanzi a lui pigli l'impresa.

33

Allo scudier fe' dimandar come era

la sopravesta di quel cavalliero.

Colui rispose: — Quella è tutta nera,

lo scudo nero, e non ha alcun cimiero. —

E fu, Signor, la sua risposta vera,

perché lasciato Orlando avea il quartiero;

che come dentro l'animo era in doglia,

così imbrunir di fuor volse la spoglia.

34

Marsilio a Mandricardo avea donato

un destrier baio a scorza di castagna,

con gambe e chiome nere; ed era nato

di frisa madre e d'un villan di Spagna.

Sopra vi salta Mandricardo armato,

e galoppando va per la campagna;

e giura non tornare a quelle schiere

se non truova il campion da l'arme nere.

35

Molta incontrò de la paurosa gente

che da le man d'Orlando era fuggita,

chi del figliuol, chi del fratel dolente,

ch'inanzi agli occhi suoi perdè la vita.

Ancora la codarda e trista mente

ne la pallida faccia era sculpita;

ancor, per la paura che avuta hanno,

pallidi, muti ed insensati vanno.

36

Non fe' lungo camin, che venne dove

crudel spettaculo ebbe ed inumano,

ma testimonio alle mirabil pruove

che fur raconte inanzi al re africano.

Or mira questi, or quelli morti, e muove,

e vuol le piaghe misurar con mano,

mosso da strana invidia ch'egli porta

al cavallier ch'avea la gente morta.

37

Come lupo o mastin ch'ultimo giugne

al bue lasciato morto da' villani,

che truova sol le corna, l'ossa e l'ugne,

del resto son sfamati augelli e cani;

riguarda invano il teschio che non ugne:

così fa il crudel barbaro in que' piani.

Per duol bestemmia, e mostra invidia immensa,

che venne tardi a così ricca mensa.

38

Quel giorno e mezzo l'altro segue incerto

il cavallier dal negro, e ne domanda.

Ecco vede un pratel d'ombre coperto,

che sì d'un alto fiume si ghirlanda,

che lascia a pena un breve spazio aperto,

dove l'acqua si torce ad altra banda.

Un simil luogo con girevol onda

sotto Ocricoli il Tevere circonda.

39

Dove entrar si potea, con l'arme indosso

stavano molti cavallieri armati.

Chiede il pagan, chi gli avea in stuol sì grosso,

ed a che effetto insieme ivi adunati.

Gli fe' risposta il capitano, mosso

dal signoril sembiante e da' fregiati

d'oro e di gemme arnesi di gran pregio,

che lo mostravan cavalliero egregio.

40

— Dal nostro re siàn (disse) di Granata

chiamati in compagnia de la figliuola,

la quale al re di Sarza ha maritata,

ben che di ciò la fama ancor non vola.

Come appresso la sera racchetata

la cicaletta sia, ch'or s'ode sola,

avanti al padre fra l'ispane torme

la condurremo: intanto ella si dorme. —

41

Colui, che tutto il mondo vilipende,

disegna di veder tosto la pruova,

se quella gente o bene o mal difende

la donna, alla cui guardia si ritruova.

Disse: — Costei, per quanto se n'intende,

è bella; e di saperlo ora mi giova.

A lei mi mena, o falla qui venire;

ch'altrove mi convien subito gire. —

42

— Esser per certo dei pazzo solenne, —

rispose il Granatin, né più gli disse.

Ma il Tartaro a ferir tosto lo venne

con l'asta bassa, e il petto gli trafisse;

che la corazza il colpo non sostenne,

e forza fu che morto in terra gisse.

L'asta ricovra il figlio d'Agricane,

perché altro da ferir non gli rimane.

43

Non porta spada né baston; che quando

l'arme acquistò, che fu d'Ettor troiano,

perché trovò che lor mancava il brando,

gli convenne giurar (né giurò invano)

che fin che non togliea quella d'Orlando,

mai non porrebbe ad altra spada mano:

Durindana ch'Almonte ebbe in gran stima,

e Orlando or porta, Ettor portava prima.

44

Grande è l'ardir del Tartaro, che vada

con disvantaggio tal contra coloro,

gridando: — Chi mi vuol vietar la strada? —

E con la lancia si cacciò tra loro.

Chi l'asta abbassa, e chi tra' fuor la spada;

e d'ogn'intorno subito gli foro.

Egli ne fece morir una frotta,

prima che quella lancia fosse rotta.

45

Rotta che se la vede, il gran troncone

che resta intero, ad ambe mani afferra;

e fa morir con quel tante persone,

che non fu vista mai più crudel guerra.

Come tra' Filistei l'ebreo Sansone

con la mascella che levò di terra,

scudi spezza, elmi schiaccia, e un colpo spesso

spenge i cavalli ai cavallieri appresso.

46

Correno a morte que' miseri a gara,

né perché cada l'un, l'altro andar cessa;

che la maniera del morire, amara

lor par più assai che non è morte istessa.

Patir non ponno che la vita cara

tolta lor sia da un pezzo d'asta fessa,

e sieno sotto alle picchiate strane

a morir giunti, come biscie o rane.

47

Ma poi ch'a spese lor si furo accorti

che male in ogni guisa era morire,

sendo già presso alli duo terzi morti,

tutto l'avanzo cominciò a fuggire.

Come del proprio aver via se gli porti,

il Saracin crudel non può patire

ch'alcun di quella turba sbigottita

da lui partir si debba con la vita.

48

Come in palude asciutta dura poco

stridula canna, o in campo àrrida stoppia

contra il soffio di borea e contra il fuoco

che 'l cauto agricultore insieme accoppia,

quando la vaga fiamma occupa il loco,

e scorre per li solchi, e stride e scoppia;

così costor contra la furia accesa

di Mandricardo fan poca difesa.

49

Poscia ch'egli restar vede l'entrata,

che mal guardata fu, senza custode;

per la via che di nuovo era segnata

ne l'erba, e al suono dei ramarchi ch'ode,

viene a veder la donna di Granata,

se di bellezze è pari alle sue lode:

passa tra i corpi de la gente morta,

dove gli dà, torcendo, il fiume porta.

50

E Doralice in mezzo il prato vede

(che così nome la donzella avea),

la qual, suffolta da l'antico piede

d'un frassino silvestre, si dolea.

Il pianto, come un rivo che succede

di viva vena, nel bel sen cadea;

e nel bel viso si vedea che insieme

de l'altrui mal si duole, e del suo teme.

51

Crebbe il timor, come venir lo vide

di sangue brutto e con faccia empia e oscura,

e 'l grido sin al ciel l'aria divide,

di sé e de la sua gente per paura;

che, oltre i cavallier, v'erano guide,

che de la bella infante aveano cura,

maturi vecchi, e assai donne e donzelle

del regno di Granata, e le più belle.

52

Come il Tartaro vede quel bel viso

che non ha paragone in tutta Spagna,

e c'ha nel pianto (or ch'esser de' nel riso?)

tesa d'Amor l'inestricabil ragna;

non sa se vive in terra o in paradiso:

né de la sua vittoria altro guadagna,

se non che in man de la sua prigioniera

si dà prigione, e non sa in qual maniera.

53

A lei però non si concede tanto,

che del travaglio suo le doni il frutto;

ben che piangendo ella dimostri, quanto

possa donna mostrar, dolore e lutto.

Egli, sperando volgerle quel pianto

in sommo gaudio, era disposto al tutto

menarla seco; e sopra un bianco ubino

montar la fece, e tornò al suo camino.

54

Donne e donzelle e vecchi ed altra gente,

ch'eran con lei venuti di Granata,

tutti licenziò benignamente,

dicendo: — Assai da me fia accompagnata;

io mastro, io balia, io le sarò sergente

in tutti i suoi bisogni: a Dio brigata. —

Così, non gli possendo far riparo,

piangendo e sospirando se n'andaro;

55

tra lor dicendo: — Quanto doloroso

ne sarà il padre, come il caso intenda!

quanta ira, quanto duol ne avrà il suo sposo!

oh come ne farà vendetta orrenda!

Deh, perché a tempo tanto bisognoso

non è qui presso a far che costui renda

il sangue illustre del re Stordilano,

prima che se lo porti più lontano? —

56

De la gran preda il Tartaro contento,

che fortuna e valor gli ha posta inanzi,

di trovar quel dal negro vestimento

non par ch'abbia la fretta ch'avea dianzi.

Correva dianzi: or viene adagio e lento;

e pensa tuttavia dove si stanzi,

dove ritruovi alcun commodo loco,

per esalar tanto amoroso foco.

57

Tuttavolta conforta Doralice,

ch'avea di pianto e gli occhi e 'l viso molle:

compone e finge molte cose, e dice

che per fama gran tempo ben le volle;

e che la patria, e il suo regno felice

che 'l nome di grandezza agli altri tolle,

lasciò, non per vedere o Spagna o Francia,

ma sol per contemplar sua bella guancia.

58

— Se per amar, l'uom debbe essere amato,

merito il vostro amor; che v'ho amat'io:

se per stirpe, di me chi è meglio nato?

che 'l possente Agrican fu il padre mio:

se per ricchezza, chi ha di me più stato?

che di dominio io cedo solo a Dio:

se per valor, credo oggi aver esperto

ch'esser amato per valore io merto. —

59

Queste parole ed altre assai, ch'Amore

a Mandricardo di sua bocca ditta,

van dolcemente a consolar il core

de la donzella di paura afflitta.

Il timor cessa, e poi cessa il dolore

che le avea quasi l'anima trafitta.

Ella comincia con più pazienza

a dar più grata al nuovo amante udienza;

60

poi con risposte più benigne molto

a mostrarsegli affabile e cortese,

e non negargli di fermar nel volto

talor le luci di pietade accese:

onde il pagan, che da lo stral fu colto

altre volte d'Amor, certezza prese,

non che speranza, che la donna bella

non saria a' suo' desir sempre ribella.

61

Con questa compagnia lieto e gioioso,

che sì gli satisfà, sì gli diletta,

essendo presso all'ora ch'a riposo

la fredda notte ogni animale alletta,

vedendo il sol già basso e mezzo ascoso,

comminciò a cavalcar con maggior fretta;

tanto ch'udì sonar zuffoli e canne,

e vide poi fumar ville e capanne.

62

Erano pastorali alloggiamenti,

miglior stanza e più commoda, che bella.

Quivi il guardian cortese degli armenti

onorò il cavalliero e la donzella,

tanto che si chiamar da lui contenti;

che non pur per cittadi e per castella,

ma per tuguri ancora e per fenili

spesso si trovan gli uomini gentili.

63

Quel che fosse dipoi fatto all'oscuro

tra Doralice e il figlio d'Agricane,

a punto racontar non m'assicuro;

sì ch'al giudicio di ciascun rimane.

Creder si può che ben d'accordo furo;

che si levar più allegri la dimane,

e Doralice ringraziò il pastore,

che nel suo albergo le avea fatto onore.

64

Indi d'uno in un altro luogo errando,

si ritrovaro al fin sopra un bel fiume

che con silenzio al mar va declinando,

e se vada o se stia, mal si prosume;

limpido e chiaro sì, ch'in lui mirando,

senza contesa al fondo porta il lume.

In ripa a quello, a una fresca ombra e bella,

trovar dui cavallieri e una donzella.

65

Or l'alta fantasia, ch'un sentier solo

non vuol ch'i'segua ognor, quindi mi guida,

e mi ritorna ove il moresco stuolo

assorda di rumor Francia e di grida,

d'intorno il padiglione ove il figliuolo

del re Troiano il santo Impero sfida,

e Rodomonte audace se gli vanta

arder Parigi e spianar Roma santa.

66

Venuto ad Agramante era all'orecchio,

che già l'Inglesi avean passato il mare:

però Marsilio e il re del Garbo vecchio

e gli altri capitan fece chiamare.

Consiglian tutti a far grande apparecchio,

sì che Parigi possino espugnare.

Ponno esser certi che più non s'espugna,

se nol fan prima che l'aiuto giugna.

67

Già scale innumerabili per questo

da' luoghi intorno avea fatto raccorre,

ed asse e travi, e vimine contesto,

che lo poteano a diversi usi porre;

e navi e ponti: e più facea che 'l resto,

il primo e il secondo ordine disporre

a dar l'assalto; ed egli vuol venire

tra quei che la città denno assalire.

68

L'imperatore il dì che 'l dì precesse

de la battaglia, fe' dentro a Parigi

per tutto celebrare uffici e messe

a preti, a frati bianchi, neri e bigi;

e le gente che dianzi eran confesse,

e di man tolte agl'inimici stigi,

tutti communicar, non altramente

ch'avessino a morir il dì seguente.

69

Ed egli tra baroni e paladini,

principi ed oratori, al maggior tempio

con molta religione a quei divini

atti intervenne, e ne diè agli altri esempio.

Con le man giunte e gli occhi al ciel supini,

disse: — Signor, ben ch'io sia iniquo ed empio,

non voglia tua bontà, pel mio fallire,

che 'l tuo popul fedele abbia a patire.

70

E se gli è tuo voler ch'egli patisca,

e ch'abbia il nostro error degni supplici,

almeno la punizion si differisca

sì, che per man non sia de' tuoi nemici;

che quando lor d'uccider noi sortisca,

che nome avemo pur d'esser tuo' amici,

i pagani diran che nulla puoi,

che perir lasci i partigiani tuoi.

71

E per un che ti sia fatto ribelle,

cento ti si faran per tutto il mondo;

tal che la legge falsa di Babelle

caccerà la tua fede e porrà al fondo.

Difendi queste genti, che son quelle

che 'l tuo sepulcro hanno purgato e mondo

da' brutti cani, e la tua santa Chiesa

con li vicari suoi spesso difesa.

72

So che i meriti nostri atti non sono

a satisfare al debito d'un'oncia;

né devemo sperar da te perdono,

se riguardiamo a nostra vita sconcia:

ma se vi aggiugni di tua grazia il dono,

nostra ragion fia ragguagliata e concia;

né del tuo aiuto disperar possiamo,

qualor di tua pietà ci ricordiamo. —

73

Così dicea l'imperator devoto,

con umiltade e contrizion di core.

Giunse altri prieghi e convenevol voto

al gran bisogno e all'alto suo splendore.

Non fu il caldo pregar d'effetto voto;

però che 'l genio suo, l'angel migliore,

i prieghi tolse e spiegò al ciel le penne,

ed a narrare al Salvator li venne.

74

E furo altri infiniti in quello instante

da tali messagger portati a Dio;

che come gli ascoltar l'anime sante,

dipinte di pietade il viso pio,

tutte miraro il sempiterno Amante,

e gli mostraro il commun lor disio,

che la giusta orazion fosse esaudita

del populo cristian che chiede aita.

75

E la Bontà ineffabile, ch'invano

non fu pregata mai da cor fedele,

leva gli occhi pietosi, e fa con mano

cenno che venga a sé l'angel Michele.

— Va (gli disse) all'esercito cristiano

che dianzi in Picardia calò le vele,

e al muro di Parigi l'appresenta

sì, che 'l campo nimico non lo senta.

76

Truova prima il Silenzio, e da mia parte

gli di' che teco a questa impresa venga;

ch'egli ben proveder con ottima arte

saprà di quanto proveder convenga.

Fornito questo, subito va in parte

dove il suo seggio la Discordia tenga:

dille che l'esca e il fucil seco prenda,

e nel campo de' Mori il fuoco accenda;

77

e tra quei che vi son detti più forti

sparga tante zizzanie e tante liti,

che combattano insieme; ed altri morti,

altri ne sieno presi, altri feriti,

e fuor del campo altri lo sdegno porti

sì che il lor re poco di lor s'aiti. —

Non replica a tal detto altra parola

il benedetto augel, ma dal ciel vola.

78

Dovunque drizza Michel angel l'ale,

fuggon le nubi, e torna il ciel sereno.

Gli gira intorno un aureo cerchio, quale

veggiàn di notte lampeggiar baleno.

Seco pensa tra via, dove si cale

il celeste corrier per fallir meno

a trovar quel nimico di parole,

a cui la prima commission far vuole.

79

Vien scorrendo ov'egli abiti, ov'egli usi;

e se accordaro infin tutti i pensieri,

che de frati e de monachi rinchiusi

lo può trovare in chiese e in monasteri,

dove sono i parlari in modo esclusi,

che 'l Silenzio, ove cantano i salteri,

ove dormeno, ove hanno la piatanza,

e finalmente è scritto in ogni stanza.

80

Credendo quivi ritrovarlo, mosse

con maggior fretta le dorate penne;

e di veder ch'ancor Pace vi fosse,

Quiete e Carità, sicuro tenne.

Ma da la opinion sua ritrovosse

tosto ingannato, che nel chiostro venne:

non è Silenzio quivi; e gli fu ditto

che non v'abita più, fuor che in iscritto.

81

Né Pietà, né Quiete, né Umiltade,

né quivi Amor, né quivi Pace mira.

Ben vi fur già, ma ne l'antiqua etade;

che le cacciar Gola, Avarizia ed Ira,

Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade.

Di tanta novità l'angel si ammira:

andò guardando quella brutta schiera,

e vide ch'anco la Discordia v'era.

82

Quella che gli avea detto il Padre eterno,

dopo il Silenzio, che trovar dovesse.

Pensato avea di far la via d'Averno,

che si credea che tra' dannati stesse;

e ritrovolla in questo nuovo inferno

(ch'il crederia?) tra santi uffici e messe.

Par di strano a Michel ch'ella vi sia,

che per trovar credea di far gran via.

83

La conobbe al vestir di color cento,

fatto a liste inequali ed infinite,

ch'or la cuoprono or no; che i passi e 'l vento

le giano aprendo, ch'erano sdrucite.

I crini avea qual d'oro e qual d'argento,

e neri e bigi, e aver pareano lite;

altri in treccia, altri in nastro eran raccolti,

molti alle spalle, alcuni al petto sciolti.

84

Di citatorie piene e di libelli,

d'esamine e di carte di procure

avea le mani e il seno, e gran fastelli

di chiose, di consigli e di letture;

per cui le facultà de' poverelli

non sono mai ne le città sicure.

Aveva dietro e dinanzi e d'ambi i lati,

notai, procuratori ed avocati.

85

La chiama a sé Michele, e le commanda

che tra i più forti Saracini scenda,

e cagion truovi, che con memoranda

ruina insieme a guerreggiar gli accenda.

Poi del Silenzio nuova le domanda:

facilmente esser può ch'essa n'intenda,

sì come quella ch'accendendo fochi

di qua e di là, va per diversi lochi.

86

Rispose la Discordia: — Io non ho a mente

in alcun loco averlo mai veduto:

udito l'ho ben nominar sovente,

e molto commendarlo per astuto.

Ma la Fraude, una qui di nostra gente,

che compagnia talvolta gli ha tenuto,

penso che dir te ne saprà novella; —

e verso una alzò il dito, e disse: — È quella. —

87

Avea piacevol viso, abito onesto,

un umil volger d'occhi, un andar grave,

un parlar sì benigno e sì modesto,

che parea Gabriel che dicesse: Ave.

Era brutta e deforme in tutto il resto:

ma nascondea queste fattezze prave

con lungo abito e largo; e sotto quello,

attosicato avea sempre il coltello.

88

Domanda a costei l'angelo, che via

debba tener, sì che 'l Silenzio truove.

Disse la Fraude: — Già costui solia

fra virtudi abitare, e non altrove,

con Benedetto e con quelli d'Elia

ne le badie, quando erano ancor nuove:

fe' ne le scuole assai de la sua vita

al tempo di Pitagora e d'Archita.

89

Mancati quei filosofi e quei santi

che lo solean tener pel camin ritto,

dagli onesti costumi ch'avea inanti,

fece alle sceleraggini tragitto.

Cominciò andar la notte con gli amanti,

indi coi ladri, e fare ogni delitto.

Molto col Tradimento egli dimora:

veduto l'ho con l'Omicidio ancora.

90

Con quei che falsan le monete ha usanza

di ripararsi in qualche buca scura.

Così spesso compagni muta e stanza,

che 'l ritrovarlo ti saria ventura;

ma pur ho d'insegnartelo speranza:

se d'arrivare a mezza notte hai cura

alla casa del Sonno, senza fallo

potrai (che quivi dorme) ritrovallo. —

91

Ben che soglia la Fraude esser bugiarda,

pur è tanto il suo dir simile al vero,

che l'angelo le crede; indi non tarda

a volarsene fuor del monastero.

Tempra il batter de l'ale, e studia e guarda

giungere in tempo al fin del suo sentiero,

ch'alla casa del Sonno, che ben dove

era sapea, questo Silenzio truove.

92

Giace in Arabia una valletta amena,

lontana da cittadi e da villaggi,

ch'all'ombra di duo monti è tutta piena

d'antiqui abeti e di robusti faggi.

Il sole indarno il chiaro dì vi mena;

che non vi può mai penetrar coi raggi,

sì gli è la via da folti rami tronca:

e quivi entra sotterra una spelonca.

93

Sotto la negra selva una capace

e spaziosa grotta entra nel sasso,

di cui la fronte l'edera seguace

tutta aggirando va con storto passo.

In questo albergo il grave Sonno giace;

l'Ozio da un canto corpulento e grasso,

da l'altro la Pigrizia in terra siede,

che non può andare, e mal reggersi in piede.

94

Lo smemorato Oblio sta su la porta:

non lascia entrar, né riconosce alcuno;

non ascolta imbasciata, né riporta;

e parimente tien cacciato ognuno.

Il Silenzio va intorno, e fa la scorta:

ha le scarpe di feltro, e 'l mantel bruno;

ed a quanti n'incontra, di lontano,

che non debban venir, cenna con mano.

95

Se gli accosta all'orecchio e pianamente

l'angel gli dice: — Dio vuol che tu guidi

a Parigi Rinaldo con la gente

che per dar, mena, al suo signor sussidi:

ma che lo facci tanto chetamente,

ch'alcun de' Saracin non oda i gridi;

sì che più tosto che ritruovi il calle

la Fama d'avisar, gli abbia alle spalle. —

96

Altrimente il Silenzio non rispose,

che col capo accennando che faria;

e dietro ubidiente se gli pose;

e furo al primo volo in Picardia.

Michel mosse le squadre coraggiose,

e fe' lor breve un gran tratto di via;

sì che in un dì a Parigi le condusse,

né alcun s'avide che miracol fusse.

97

Discorreva il Silenzio, e tuttavolta,

e dinanzi alle squadre e d'ogn'intorno

facea girare un'alta nebbia in volta,

ed avea chiaro ogn'altra parte il giorno;

e non lasciava questa nebbia folta,

che s'udisse di fuor tromba né corno:

poi n'andò tra' pagani, e menò seco

un non so che, ch'ognun fe' sordo e cieco.

98

Mentre Rinaldo in tal fretta venìa,

che ben parea da l'angelo condotto,

e con silenzio tal, che non s'udia

nel campo saracin farsene motto;

il re Agramante avea la fanteria

messo ne' borghi di Parigi, e sotto

le minacciate mura in su la fossa,

per far quel dì l'estremo di sua possa.

99

Chi può contar l'esercito che mosso

questo dì contro Carlo ha 'l re Agramante,

conterà ancora in su l'ombroso dosso

del silvoso Apennin tutte le piante;

dirà quante onde, quando è il mar più grosso,

bagnano i piedi al mauritano Atlante;

e per quanti occhi il ciel le furtive opre

degli amatori a mezza notte scuopre.

100

Le campane si sentono a martello

di spessi colpi e spaventosi tocche;

si vede molto, in questo tempio e in quello,

alzar di mano e dimenar di bocche.

Se 'l tesoro paresse a Dio sì bello,

come alle nostre openioni sciocche,

questo era il dì che 'l santo consistoro

fatto avria in terra ogni sua statua d'oro.

101

S'odon ramaricare i vecchi giusti,

che s'erano serbati in quelli affanni,

e nominar felici i sacri busti

composti in terra già molti e molt'anni.

Ma gli animosi gioveni robusti

che miran poco i lor propinqui danni,

sprezzando le ragion de' più maturi,

di qua di là vanno correndo a' muri.

102

Quivi erano baroni e paladini,

re, duci, cavallier, marchesi e conti,

soldati forestieri e cittadini,

per Cristo e pel suo onore a morir pronti;

che per uscire adosso ai Saracini,

pregan l'imperator ch'abbassi i ponti.

Gode egli di veder l'animo audace,

ma di lasciarli uscir non li compiace.

103

E li dispone in oportuni lochi,

per impedire ai barbari la via:

là si contenta che ne vadan pochi,

qua non basta una grossa compagnia;

alcuni han cura maneggiare i fuochi,

le machine altri, ove bisogno sia.

Carlo di qua di là non sta mai fermo:

va soccorrendo, e fa per tutto schermo.

104

Siede Parigi in una gran pianura,

ne l'ombilico a Francia, anzi nel core;

gli passa la riviera entro le mura,

e corre, ed esce in altra parte fuore.

Ma fa un'isola prima, e v'assicura

de la città una parte, e la migliore;

l'altre due (ch'in tre parti è la gran terra)

di fuor la fossa, e dentro il fiume serra.

105

Alla città, che molte miglia gira,

da molte parti si può dar battaglia:

ma perché sol da un canto assalir mira,

né volentier l'esercito sbarraglia,

oltre il fiume Agramante si ritira

verso ponente, acciò che quindi assaglia;

però che né cittade né campagna

ha dietro, se non sua, fin alla Spagna.

106

Dovunque intorno il gran muro circonda,

gran munizioni avea già Carlo fatte,

fortificando d'argine ogni sponda

con scannafossi dentro e case matte;

onde entra ne la terra, onde esce l'onda,

grossissime catene aveva tratte;

ma fece, più ch'altrove, provedere

là dove avea più causa di temere.

107

Con occhi d'Argo il figlio di Pipino

previde ove assalir dovea Agramante;

e non fece disegno il Saracino,

a cui non fosse riparato inante.

Con Ferraù, Isoliero, Serpentino,

Grandonio, Falsirone e Balugante,

e con ciò che di Spagna avea menato,

restò Marsilio alla campagna armato.

108

Sobrin gli era a man manca in ripa a Senna,

con Pulian, con Dardinel d'Almonte,

col re d'Oran, ch'esser gigante accenna,

lungo sei braccia dai piedi alla fronte.

Deh perché a muover men son io la penna,

che quelle genti a muover l'arme pronte?

che 'l re di Sarza, pien d'ira e di sdegno,

grida e bestemmia e non può star più a segno.

109

Come assalire o vasi pastorali,

o le dolci reliquie de' convivi

soglion con rauco suon di stridule ali

le impronte mosche a' caldi giorni estivi;

come li storni a rosseggianti pali

vanno de mature uve: così quivi,

empiendo il ciel di grida e di rumori,

veniano a dare il fiero assalto i Mori.

110

L'esercito cristian sopra le mura

con lance, spade e scure e pietre e fuoco

difende la città senza paura,

e il barbarico orgoglio estima poco;

e dove Morte uno ed un altro fura,

non è chi per viltà ricusi il loco.

Tornano i Saracin giù ne le fosse

a furia di ferite e di percosse.

111

Non ferro solamente vi s'adopra,

ma grossi massi, e merli integri e saldi,

e muri dispiccati con molt'opra,

tetti di torri, e gran pezzi di spaldi.

L'acque bollenti che vengon di sopra,

portano a' Mori insupportabil caldi;

e male a questa pioggia si resiste,

ch'entra per gli elmi, e fa acciecar le viste.

112

E questa più nocea che 'l ferro quasi:

or che de' far la nebbia di calcine?

or che doveano far li ardenti vasi

con olio e zolfo e peci e trementine?

I cerchi in munizion non son rimasi,

che d'ogn'intorno hanno di fiamma il crine:

questi, scagliati per diverse bande,

mettono a' Saracini aspre ghirlande.

113

Intanto il re di Sarza avea cacciato

sotto le mura la schiera seconda,

da Buraldo, da Ormida accompagnato,

quel Garamante, e questo di Marmonda.

Clarindo e Soridan gli sono allato,

né par che 'l re di Setta si nasconda;

segue il re di Marocco e quel di Cosca,

ciascun perché il valor suo si conosca.

114

Ne la bandiera, ch'è tutta vermiglia,

Rodomonte di Sarza il leon spiega,

che la feroce bocca ad una briglia

che gli pon la sua donna, aprir non niega.

Al leon sé medesimo assimiglia;

e per la donna che lo frena e lega,

la bella Doralice ha figurata,

figlia di Stordilan re di Granata:

115

quella che tolto avea, come io narrava,

re Mandricardo, e dissi dove e a cui.

Era costei che Rodomonte amava

più che 'l suo regno e più che gli occhi sui;

e cortesia e valor per lei mostrava,

non già sapendo ch'era in forza altrui:

se saputo l'avesse, allora allora

fatto avria quel che fe' quel giorno ancora.

116

Sono appoggiate a un tempo mille scale,

che non han men di dua per ogni grado.

Spinge il secondo quel ch'inanzi sale;

che 'l terzo lui montar fa suo mal grado.

Chi per virtù, chi per paura vale:

convien ch'ognun per forza entri nel guado;

che qualunche s'adagia, il re d'Algiere,

Rodomonte crudele, uccide o fere.

117

Ognun dunque si sforza di salire

tra il fuoco e le ruine in su le mura.

Ma tutti gli altri guardano, se aprire

veggiano passo ove sia poca cura:

sol Rodomonte sprezza di venire,

se non dove la via meno è sicura.

Dove nel caso disperato e rio

gli altri fan voti, egli bestemmia Dio.

118

Armato era d'un forte duro usbergo,

che fu di drago una scagliosa pelle.

Di questo già si cinse il petto e 'l tergo

quello avol suo ch'edificò Babelle,

e si pensò cacciar de l'aureo albergo,

e torre a Dio il governo de le stelle:

l'elmo e lo scudo fece far perfetto,

e il brando insieme; e solo a questo effetto.

119

Rodomonte non già men di Nembrotte

indomito, superbo e furibondo,

che d'ire al ciel non tarderebbe a notte,

quando la strada si trovasse al mondo,

quivi non sta a mirar s'intere o rotte

sieno le mura, o s'abbia l'acqua fondo:

passa la fossa, anzi la corre e vola,

ne l'acqua e nel pantan fin alla gola.

120

Di fango brutto, e molle d'acqua vanne

tra il foco e i sassi e gli archi e le balestre,

come andar suol tra le palustri canne

de la nostra Mallea porco silvestre,

che col petto, col grifo e con le zanne

fa, dovunque si volge, ample finestre.

Con lo scudo alto il Saracin sicuro

ne vien sprezzando il ciel, non che quel muro.

121

Non sì tosto all'asciutto è Rodomonte,

che giunto si sentì su le bertresche,

che dentro alla muraglia facean ponte

capace e largo alle squadre francesche.

Or si vede spezzar più d'una fronte,

far chieriche maggior de le fratesche,

braccia e capi volare; e ne la fossa

cader da' muri una fiumana rossa.

122

Getta il pagan lo scudo, e a duo man prende

la crudel spada, e giunge il duca Arnolfo.

Costui venìa di là dove discende

l'acqua del Reno nel salato golfo.

Quel miser contra lui non si difende

meglio che faccia contra il fuoco il zolfo;

e cade in terra, e dà l'ultimo crollo,

dal capo fesso un palmo sotto il collo.

123

Uccide di rovescio in una volta

Anselmo, Oldrado, Spineloccio e Prando:

il luogo stretto e la gran turba folta

fece girar sì pienamente il brando.

Fu la prima metade a Fiandra tolta,

l'altra scemata al populo normando.

Divise appresso da la fronte al petto,

ed indi al ventre, il maganzese Orghetto.

124

Getta da' merli Andropono e Moschino

giù ne la fossa: il primo è sacerdote;

non adora il secondo altro che 'l vino,

e le bigonce a un sorso n'ha già vuote.

Come veneno e sangue viperino

l'acque fuggia quanto fuggir si puote:

or quivi muore; e quel che più l'annoia,

è 'l sentir che nell'acqua se ne muoia.

125

Tagliò in due parti il provenzal Luigi,

e passò il petto al tolosano Arnaldo.

Di Torse Oberto, Claudio, Ugo e Dionigi

mandar lo spirto fuor col sangue caldo;

e presso a questi, quattro da Parigi,

Gualtiero, Satallone, Odo ed Ambaldo,

ed altri molti: ed io non saprei come

di tutti nominar la patria e il nome.

126

La turba dietro a Rodomonte presta

le scale appoggia, e monta in più d'un loco.

Quivi non fanno i Parigin più testa;

che la prima difesa lor val poco.

San ben ch'agli nemici assai più resta

dentro da fare, e non l'avran da gioco;

perché tra il muro e l'argine secondo

discende il fosso orribile e profondo.

127

Oltra che i nostri facciano difesa

dal basso all'alto, e mostrino valore;

nuova gente succede alla contesa

sopra l'erta pendice interiore,

che fa con lance e con saette offesa

alla gran moltitudine di fuore,

che credo ben, che saria stata meno,

se non v'era il figliuol del re Ulieno.

128

Egli questi conforta, e quei riprende,

e lor mal grado inanzi se gli caccia:

ad altri il petto, ad altri il capo fende,

che per fuggir veggia voltar la faccia.

Molti ne spinge ed urta; alcuni prende

pei capelli, pel collo e per le braccia:

e sozzopra là giù tanti ne getta,

che quella fossa a capir tutti è stretta.

129

Mentre lo stuol de' barbari si cala,

anzi trabocca al periglioso fondo,

ed indi cerca per diversa scala

di salir sopra l'argine secondo;

il re di Sarza (come avesse un'ala

per ciascun de' suoi membri) levò il pondo

di sì gran corpo e con tant'arme indosso,

e netto si lanciò di là dal fosso.

130

Poco era men di trenta piedi, o tanto,

ed egli il passò destro come un veltro,

e fece nel cader strepito, quanto

avesse avuto sotto i piedi il feltro:

ed a questo ed a quello affrappa il manto,

come sien l'arme di tenero peltro,

e non di ferro, anzi pur sien di scorza:

tal la sua spada, e tanta è la sua forza!

131

In questo tempo i nostri, da chi tese

l'insidie son ne la cava profonda,

che v'han scope e fascine in copia stese,

intorno a quai di molta pece abonda

(né però alcuna si vede palese,

ben che n'è piena l'una e l'altra sponda

dal fondo cupo insino all'orlo quasi),

e senza fin v'hanno appiattati vasi,

132

qual con salnitro, qual con oglio, quale

con zolfo, qual con altra simil esca;

i nostri in questo tempo, perché male

ai Saracini il folle ardir riesca,

ch'eran nel fosso, e per diverse scale

credean montar su l'ultima bertresca;

udito il segno da oportuni lochi,

di qua e di là fenno avampare i fochi.

133

Tornò la fiamma sparsa tutta in una,

che tra una ripa e l'altra ha 'l tutto pieno;

e tanto ascende in alto, ch'alla luna

può d'appresso asciugar l'umido seno.

Sopra si volve oscura nebbia e bruna,

che 'l sole adombra, e spegne ogni sereno.

Sentesi un scoppio in un perpetuo suono,

simile a un grande e spaventoso tuono.

134

Aspro concento, orribile armonia

d'alte querele, d'ululi e di strida

de la misera gente che peria

nel fondo per cagion de la sua guida,

istranamente concordar s'udia

col fiero suon de la fiamma omicida.

Non più, Signor, non più di questo canto;

ch'io son già rauco e vo' posarmi alquanto.

CANTO QUINDICESIMO

1

Fu il vincer sempremai laudabil cosa,

vincasi o per fortuna o per ingegno:

gli è ver che la vittoria sanguinosa

spesso far suole il capitan men degno;

e quella eternamente è gloriosa,

e dei divini onori arriva al segno,

quando servando i suoi senza alcun danno,

si fa che gl'inimici in rotta vanno.

2

La vostra, Signor mio, fu degna loda,

quando al Leone, in mar tanto feroce,

ch'avea occupata l'una e l'altra proda

del Po, da Francolin sin alla foce,

faceste sì, ch'ancor che ruggir l'oda,

s'io vedrò voi, non tremerò alla voce.

Come vincer si de', ne dimostraste;

ch'uccideste i nemici, e noi salvaste.

3

Questo il pagan, troppo in suo danno audace,

non seppe far; che i suoi nel fosso spinse,

dove la fiamma subita e vorace

non perdonò ad alcun, ma tutti estinse.

A tanti non saria stato capace

tutto il gran fosso, ma il fuoco restrinse,

restrinse i corpi e in polve li ridusse,

acciò ch'abile a tutti il luogo fusse.

4

Undicimila ed otto sopra venti

si ritrovar ne l'affocata buca,

che v'erano discesi malcontenti;

ma così volle il poco saggio duca.

Quivi fra tanto lume or sono spenti,

e la vorace fiamma li manuca:

e Rodomonte, causa del mal loro,

se ne va esente da tanto martoro:

5

che tra' nemici alla ripa più interna

era passato d'un mirabil salto.

Se con gli altri scendea ne la caverna,

questo era ben il fin d'ogni suo assalto.

Rivolge gli occhi a quella valle inferna;

e quando vede il fuoco andar tant'alto,

e di sua gente il pianto ode e lo strido,

bestemmia il ciel con spaventoso grido.

6

Intanto il re Agramante mosso avea

impetuoso assalto ad una porta;

che, mentre la crudel battaglia ardea

quivi ove è tanta gente afflitta e morta,

quella sprovista forse esser credea

di guardia, che bastasse alla sua scorta.

Seco era il re d'Arzilla Bambirago,

e Baliverzo, d'ogni vizio vago;

7

e Corineo di Mulga, e Prusione,

il ricco re dell'Isole beate;

Malabuferso che la regione

tien di Fizan, sotto continua estate;

altri signori, ed altre assai persone

esperte ne la guerra e bene armate;

e molti ancor senza valore e nudi,

che 'l cor non s'armerian con mille scudi.

8

Trovò tutto il contrario al suo pensiero

in questa parte il re de' Saracini:

perché in persona il capo de l'Impero

v'era, re Carlo, e de' suoi paladini,

re Salamone ed il danese Ugiero,

ed ambo i Guidi ed ambo gli Angelini,

e 'l duca di Bavera e Ganelone,

e Berlengier e Avolio e Avino e Otone;

9

gente infinita poi di minor conto,

de' Franchi, de' Tedeschi e de' Lombardi,

presente il suo signor, ciascuno pronto

a farsi riputar fra i più gagliardi.

Di questo altrove io vo' rendervi conto;

ch'ad un gran duca è forza ch'io riguardi,

il qual mi grida, e di lontano accenna,

e priega ch'io nol lasci ne la penna.

10

Gli è tempo ch'io ritorni ove lasciai

l'aventuroso Astolfo d'Inghilterra,

che 'l lungo esilio avendo in odio ormai,

di desiderio ardea de la sua terra;

come gli n'avea data pur assai

speme colei ch'Alcina vinse in guerra.

Ella di rimandarvilo avea cura

per la via più espedita e più sicura.

11

E così una galea fu apparechiata,

di che miglior mai non solcò marina;

e perché ha dubbio per tutta fiata,

che non gli turbi il suo viaggio Alcina,

vuol Logistilla che con forte armata

Andronica ne vada e Sofrosina,

tanto che nel mar d'Arabi, o nel golfo

de' Persi, giunga a salvamento Astolfo.

12

Più tosto vuol che volteggiando rada

gli Sciti e gl'Indi e i regni nabatei,

e torni poi per così lunga strada

a ritrovar i Persi e gli Eritrei;

che per quel boreal pelago vada,

che turban sempre iniqui venti e rei,

e sì, qualche stagion, pover di sole,

che starne senza alcuni mesi suole.

13

La fata, poi che vide acconcio il tutto,

diede licenza al duca di partire,

avendol prima ammaestrato e istrutto

di cose assai, che fôra lungo a dire;

e per schivar che non sia più ridutto

per arte maga, onde non possa uscire,

un bello ed util libro gli avea dato,

che per suo amore avesse ognora allato.

14

Come l'uom riparar debba agl'incanti

mostra il libretto che costei gli diede:

dove ne tratta o più dietro o più inanti,

per rubrica e per indice si vede.

Un altro don gli fece ancor, che quanti

doni fur mai, di gran vantaggio eccede:

e questo fu d'orribil suono un corno,

che fa fugire ognun che l'ode intorno.

15

Dico che 'l corno è di sì orribil suono,

ch'ovunque s'oda, fa fuggir la gente:

non può trovarsi al mondo un cor sì buono,

che possa non fuggir come lo sente:

rumor di vento e di termuoto, e 'l tuono,

a par del suon di questo, era niente.

Con molto riferir di grazie, prese

da la fata licenza il buono Inglese.

16

Lasciando il porto e l'onde più tranquille,

con felice aura ch'alla poppa spira,

sopra le ricche e populose ville

de l'odorifera India il duca gira,

scoprendo a destra ed a sinistra mille

isole sparse; e tanto va, che mira

la terra di Tomaso, onde il nocchiero

più a tramontana poi volge il sentiero.

17

Quasi radendo l'aurea Chersonesso,

la bella armata il gran pelago frange:

e costeggiando i ricchi liti, spesso

vede come nel mar biancheggi il Gange;

e Traprobane vede e Cori appresso;

e vede il mar che fra i duo liti s'ange.

Dopo gran via furo a Cochino, e quindi

usciro fuor dei termini degl'Indi.

18

Scorrendo il duca il mar con sì fedele

e sì sicura scorta, intender vuole,

e ne domanda Andronica, se de le

parti c'han nome dal cader del sole,

mai legno alcun che vada a remi e a vele,

nel mare orientale apparir suole;

e s'andar può senza toccar mai terra,

chi d'India scioglia, in Francia o in Inghilterra.

19

— Tu déi sapere (Andronica risponde)

che d'ogn'intorno il mar la terra abbraccia;

e van l'una ne l'altra tutte l'onde,

sia dove bolle o dove il mar s'aggiaccia;

ma perché qui davante si difonde,

e sotto il mezzodì molto si caccia

la terra d'Etiopia, alcuno ha detto

ch'a Nettuno ir più inanzi ivi è interdetto.

20

Per questo del nostro indico levante

nave non è che per Europa scioglia;

né si muove d'Europa navigante

ch'in queste nostre parti arrivar voglia.

Il ritrovarsi questa terra avante,

e questi e quelli al ritornare invoglia;

che credono, veggendola sì lunga,

che con l'altro emisperio si congiunga.

21

Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire

da l'estreme contrade di ponente

nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire

la strada ignota infin al dì presente:

altri volteggiar l'Africa, e seguire

tanto la costa de la negra gente,

che passino quel segno onde ritorno

fa il sole a noi, lasciando il Capricorno;

22

e ritrovar del lungo tratto il fine,

che questo fa parer dui mar diversi;

e scorrer tutti i liti e le vicine

isole d'Indi, d'Arabi e di Persi:

altri lasciar le destre e le mancine

rive che due per opra Erculea fersi;

e del sole imitando il camin tondo,

ritrovar nuove terre e nuovo mondo.

23

Veggio la santa croce, e veggio i segni

imperial nel verde lito eretti:

veggio altri a guardia dei battuti legni,

altri all'acquisto del paese eletti:

veggio da dieci cacciar mille, e i regni

di là da l'India ad Aragon suggetti;

e veggio i capitan di Carlo quinto,

dovunque vanno, aver per tutto vinto.

24

Dio vuol ch'ascosa antiquamente questa

strada sia stata, e ancor gran tempo stia;

né che prima si sappia, che la sesta

e la settima età passata sia:

e serba a farla al tempo manifesta,

che vorrà porre il mondo a monarchia,

sotto il più saggio imperatore e giusto,

che sia stato o sarà mai dopo Augusto.

25

Del sangue d'Austria e d'Aragon io veggio

nascer sul Reno alla sinistra riva

un principe, al valor del qual pareggio

nessun valor, di cui si parli o scriva.

Astrea veggio per lui riposta in seggio,

anzi di morta ritornata viva;

e le virtù che cacciò il mondo, quando

lei cacciò ancora, uscir per lui di bando.

26

Per questi merti la Bontà suprema

non solamente di quel grande impero

ha disegnato ch'abbia diadema

ch'ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo;

ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema,

che mai né al sol né all'anno apre il sentiero:

e vuol che sotto a questo imperatore

solo un ovile sia, solo un pastore.

27

E perch'abbian più facile successo

gli ordini in cielo eternamente scritti,

gli pon la somma Providenza appresso

in mare e in terra capitani invitti.

Veggio Hernando Cortese, il qualo ha messo

nuove città sotto i cesarei editti,

e regni in Oriente sì remoti,

ch'a noi, che siamo in India, non son noti.

28

Veggio Prosper Colonna, e di Pescara

veggio un marchese, e veggio dopo loro

un giovene del Vasto, che fan cara

parer la bella Italia ai Gigli d'oro:

veggio ch'entrare inanzi si prepara

quel terzo agli altri a guadagnar l'alloro:

come buon corridor ch'ultimo lassa

le mosse, e giunge, e inanzi a tutti passa.

29

Veggio tanto il valor, veggio la fede

tanta d'Alfonso (che 'l suo nome è questo),

ch'in così acerba età, che non eccede

dopo il vigesimo anno ancora il sesto,

l'imperator l'esercito gli crede,

il qual salvando, salvar non che 'l resto,

ma farsi tutto il mondo ubidiente

con questo capitan sarà possente.

30

Come con questi, ovunque andar per terra

si possa, accrescerà l'imperio antico;

così per tutto il mar, ch'in mezzo serra

di là l'Europa e di qua l'Afro aprico,

sarà vittorioso in ogni guerra,

poi ch'Andrea Doria s'avrà fatto amico.

Questo è quel Doria che fa dai pirati

sicuro il vostro mar per tutti i lati.

31

Non fu Pompeio a par di costui degno,

se ben vinse e cacciò tutti i corsari;

però che quelli al più possente regno

che fosse mai, non poteano esser pari:

ma questo Doria, sol col proprio ingegno

e proprie forze purgherà quei mari;

sì che da Calpe al Nilo, ovunque s'oda

il nome suo, tremar veggio ogni proda.

32

Sotto la fede entrar, sotto la scorta

di questo capitan di ch'io ti parlo,

veggio in Italia, ove da lui la porta

gli sarà aperta, alla corona Carlo.

Veggio che 'l premio che di ciò riporta,

non tien per sé, ma fa alla patria darlo:

con prieghi ottien ch'in libertà la metta,

dove altri a sé l'avria forse suggetta.

33

Questa pietà, ch'egli alla patria mostra,

è degna di più onor d'ogni battaglia

ch'in Francia o in Spagna o ne la terra vostra

vincesse Iulio, o in Africa o in Tessaglia.

Né il grande Ottavio, né chi seco giostra

di par, Antonio, in più onoranza saglia

pei gesti suoi; ch'ogni lor laude amorza

l'avere usato alla lor patria forza.

34

Questi ed ogn'altro che la patria tenta

di libera far serva, si arrosisca;

né dove il nome d'Andrea Doria senta,

di levar gli occhi in viso d'uomo ardisca.

Veggio Carlo che 'l premio gli augumenta;

ch'oltre quel ch'in commun vuol che fruisca,

gli dà la ricca terra ch'ai Normandi

sarà principio a farli in Puglia grandi.

35

A questo capitan non pur cortese

il magnanimo Carlo ha da mostrarsi,

ma a quanti avrà ne le cesaree imprese

del sangue lor non ritrovati scarsi.

D'aver città, d'aver tutto un paese

donato a un suo fedel, più ralegrarsi

lo veggio, e a tutti quei che ne son degni,

che d'acquistar nuov'altri imperi e regni. —

36

Così de le vittorie, le qual, poi

ch'un gran numero d'anni sarà corso,

daranno a Carlo i capitani suoi,

facea col duca Andronica discorso:

e la compagna intanto ai venti eoi

viene allentando e raccogliendo il morso;

e fa ch'or questo or quel propizio l'esce,

e come vuol li minuisce e cresce.

37

Veduto aveano intanto il mar de' Persi

come in sì largo spazio si dilaghi;

onde vicini in pochi giorni fersi

al golfo che nomar gli antiqui Maghi.

Quivi pigliaro il porto, e fur conversi

con la poppa alla ripa i legni vaghi;

quindi sicur d'Alcina e di sua guerra,

Astolfo il suo camin prese per terra.

38

Passò per più d'un campo e più d'un bosco,

per più d'un monte e per più d'una valle;

ove ebbe spesso, all'aer chiaro e al fosco,

i ladroni or inanzi or alle spalle.

Vide leoni, e draghi pien di tosco,

ed altre fere attraversarsi il calle;

ma non sì tosto avea la bocca al corno,

che spaventati gli fuggian d'intorno.

39

Vien per l'Arabia ch'è detta Felice,

ricca di mirra e d'odorato incenso,

che per suo albergo l'unica fenice

eletto s'ha di tutto il mondo immenso;

fin che l'onda trovò vendicatrice

già d'Israel, che per divin consenso

Faraone sommerse e tutti i suoi:

e poi venne alla terra degli Eroi.

40

Lungo il fiume Traiano egli cavalca

su quel destrier ch'al mondo è senza pare,

che tanto leggiermente e corre e valca,

che ne l'arena l'orma non n'appare:

l'erba non pur, non pur la nieve calca;

coi piedi asciutti andar potria sul mare;

e sì si stende al corso, e sì s'affretta,

che passa e vento e folgore e saetta.

41

Questo è il destrier che fu de l'Argalia,

che di fiamma e di vento era concetto;

e senza fieno e biada, si nutria

de l'aria pura, e Rabican fu detto.

Venne, seguendo il Duca la sua via,

dove dà il Nilo a quel fiume ricetto;

e prima che giugnesse in su la foce,

vide un legno venire a sé veloce.

42

Naviga in su la poppa uno eremita

con bianca barba, a mezzo il petto lunga,

che sopra il legno il paladino invita,

e: — Figliuol mio (gli grida da la lunga),

se non t'è in odio la tua propria vita,

se non brami che morte oggi ti giunga,

venir ti piaccia su quest'altra arena;

ch'a morir quella via dritto ti mena.

43

Tu non andrai più che sei miglia inante,

che troverai la saguinosa stanza

dove s'alberga un orribil gigante

che d'otto piedi ogni statura avanza.

Non abbia cavallier né viandante

di partirsi da lui, vivo, speranza:

ch'altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia,

molti ne squarta, e vivo alcun ne 'ngoia.

44

Piacer, fra tanta crudeltà, si prende

d'una rete ch'egli ha, molto ben fatta:

poco lontana al tetto suo la tende,

e ne la trita polve in modo appiatta,

che chi prima nol sa, non la comprende,

tanto è sottil, tanto egli ben l'adatta:

e con tai gridi i peregrin minaccia,

che spaventati dentro ve li caccia.

45

E con gran risa, aviluppati in quella

se li strascina sotto il suo coperto;

né cavallier riguarda né donzella,

o sia di grande o sia di picciol merto:

e mangiata la carne, e la cervella

succhiate e 'l sangue, dà l'ossa al deserto;

e de l'umane pelli intorno intorno

fa il suo palazzo orribilmente adorno.

46

Prendi quest'altra via, prendila, figlio,

che fin al mar ti fia tutta sicura. —

— Io ti ringrazio, padre, del consiglio

(rispose il cavallier senza paura),

ma non istimo per l'onor periglio,

di ch'assai più che de la vita ho cura.

Per far ch'io passi, invan tu parli meco;

anzi vo al dritto a ritrovar lo speco.

47

Fuggendo, posso con disnor salvarmi;

ma tal salute ho più che morte a schivo.

S'io vi vo, al peggio che potrà incontrarmi,

fra molti resterò di vita privo;

ma quando Dio così mi drizzi l'armi,

che colui morto, ed io rimanga vivo,

sicura a mille renderò la via:

sì che l'util maggior che 'l danno fia.

48

Metto all'incontro la morte d'un solo

alla salute di gente infinita. —

— Vattene in pace (rispose), figliuolo;

Dio mandi in difension de la tua vita

l'arcangelo Michel dal sommo polo: —

e benedillo il semplice eremita.

Astolfo lungo il Nil tenne la strada,

sperando più nel suon che ne la spada.

49

Giace tra l'alto fiume e la palude

picciol sentier nell'arenosa riva:

la solitaria casa lo richiude,

d'umanitade e di commercio priva.

Son fisse intorno teste e membra nude

de l'infelice gente che v'arriva.

Non v'è finestra, non v'è merlo alcuno,

onde penderne almen non si veggia uno.

50

Qual ne le alpine ville o ne' castelli

suol cacciator che gran perigli ha scorsi,

su le porte attaccar l'irsute pelli,

l'orride zampe e i grossi capi d'orsi;

tal dimostrava il fier gigante quelli

che di maggior virtù gli erano occorsi.

D'altri infiniti sparse appaion l'ossa;

ed è di sangue uman piena ogni fossa.

51

Stassi Caligorante in su la porta;

che così ha nome il dispietato mostro

ch'orna la sua magion di gente morta,

come alcun suol di panni d'oro o d'ostro.

Costui per gaudio a pena si comporta,

come il duca lontan se gli è dimostro;

ch'eran duo mesi, e il terzo ne venìa,

che non fu cavallier per quella via.

52

Vêr la palude, ch'era scura e folta

di verdi canne, in gran fretta ne viene;

che disegnato avea correre in volta,

e uscir al paladin dietro alle schene;

che ne la rete, che tenea sepolta

sotto la polve, di cacciarlo ha spene,

come avea fatto gli altri peregrini

che quivi tratto avean lor rei destini.

53

Come venire il paladin lo vede,

ferma il destrier, non senza gran sospetto

che vada in quelli lacci a dar del piede,

di che il buon vecchiarel gli avea predetto.

Quivi il soccorso del suo corno chiede,

e quel sonando fa l'usato effetto:

nel cor fere il gigante che l'ascolta,

di tal timor, ch'a dietro i passi volta.

54

Astolfo suona, e tuttavolta bada;

che gli par sempre che la rete scocchi.

Fugge il fellon, né vede ove si vada;

che, come il core, avea perduti gli occhi.

Tanta è la tema, che non sa far strada,

che ne li propri aguati non trabocchi:

va ne la rete; e quella si disserra,

tutto l'annoda, e lo distende in terra.

55

Astolfo, ch'andar giù vede il gran peso,

già sicuro per sé, v'accorre in fretta;

e con la spada in man, d'arcion disceso,

va per far di mill'anime vendetta.

Poi gli par che s'uccide un che sia preso,

viltà, più che virtù, ne sarà detta;

che legate le braccia, i piedi e il collo

gli vede sì, che non può dare un crollo.

56

Avea la rete già fatta Vulcano

di sottil fil d'acciar, ma con tal arte,

che saria stata ogni fatica invano

per ismagliarne la più debol parte;

ed era quella che già piedi e mano

avea legate a Venere ed a Marte.

La fe' il geloso, e non ad altro effetto,

che per pigliarli insieme ambi nel letto.

57

Mercurio al fabbro poi la rete invola;

che Cloride pigliar con essa vuole,

Cloride bella che per l'aria vola

dietro all'Aurora, all'apparir del sole,

e dal raccolto lembo de la stola

gigli spargendo va, rose e viole.

Mercurio tanto questa ninfa attese,

che con la rete in aria un dì la prese.

58

Dove entra in mare il gran fiume etiopo,

par che la dea presa volando fosse.

Poi nei tempio d'Anubide a Canopo

la rete molti seculi serbosse.

Caligorante tremila anni dopo,

di là, dove era sacra, la rimosse:

se ne portò la rete il ladrone empio,

ed arse la cittade, e rubò il tempio.

59

Quivi adattolla in modo in su l'arena,

che tutti quei ch'avean da lui la caccia

vi davan dentro; ed era tocca a pena,

che lor legava e collo e piedi e braccia.

Di questa levò Astolfo una catena,

e le man dietro a quel fellon n'allaccia;

le braccia e 'l petto in guisa gli ne fascia,

che non può sciorsi: indi levar lo lascia,

60

dagli altri nodi avendol sciolto prima,

ch'era tornato uman più che donzella.

Di trarlo seco e di mostrarlo stima

per ville, per cittadi e per castella.

Vuol la rete anco aver, di che né lima

né martel fece mai cosa più bella:

ne fa somier colui ch'alla catena

con pompa trionfal dietro si mena.

61

L'elmo e lo scudo anche a portar gli diede,

come a valletto, e seguitò il camino,

di gaudio empiendo, ovunque metta il piede,

ch'ir possa ormai sicuro il peregrino.

Astolfo se ne va tanto, che vede

ch'ai sepolcri di Memfi è già vicino,

Memfi per le piramidi famoso:

vede all'incontro il Cairo populoso.

62

Tutto il popul correndo si traea

per vedere il gigante smisurato.

— Come è possibil (l'un l'altro dicea)

che quel piccolo il grande abbia legato? —

Astolfo a pena inanzi andar potea,

tanto la calca il preme da ogni lato:

e come cavallier d'alto valore

ognun l'ammira, e gli fa grande onore.

63

Non era grande il Cairo così allora,

come se ne ragiona a nostra etade:

che 'l populo capir, che vi dimora,

non puon diciottomila gran contrade;

e che le case hanno tre palchi, e ancora

ne dormono infiniti in su le strade;

e che 'l soldano v'abita un castello

mirabil di grandezza, e ricco e bello;

64

e che quindicimila suoi vasalli,

che son cristiani rinegati tutti,

con mogli, con famiglie e con cavalli

ha sotto un tetto sol quivi ridutti.

Astolfo veder vuole ove s'avalli,

e quanto il Nilo entri nei salsi flutti

a Damiata; ch'avea quivi inteso,

qualunque passa restar morto o preso.

65

Però ch'in ripa al Nilo in su la foce

si ripara un ladron dentro una torre,

ch'a paesani e a peregrini nuoce,

e fin al Cairo, ognun rubando scorre.

Non gli può alcun resistere; ed ha voce

che l'uom gli cerca invan la vita torre:

centomila ferite egli ha già avuto,

né ucciderlo però mai s'è potuto.

66

Per veder se può far rompere il filo

alla Parca di lui, sì che non viva,

Astolfo viene a ritrovare Orrilo

(così avea nome), e a Damiata arriva;

ed indi passa ove entra in mare il Nilo,

e vede la gran torre in su la riva,

dove s'alberga l'anima incantata

che d'un folletto nacque e d'una fata.

67

Quivi ritruova che crudel battaglia

era tra Orrilo e dui guerrieri accesa.

Orrilo è solo; e sì que' dui travaglia,

ch'a gran fatica gli puon far difesa:

e quando in arme l'uno e l'altro vaglia,

a tutto il mondo la fama palesa.

Questi erano i dui figli d'Oliviero,

Grifone il bianco ed Aquilante il nero.

68

Gli è ver che 'l negromante venuto era

alla battaglia con vantaggio grande;

che seco tratto in campo avea una fera,

la qual si truova solo in quelle bande:

vive sul lito e dentro alla rivera;

e i corpi umani son le sue vivande,

de le persone misere ed incaute

de viandanti e d'infelici naute.

69

La bestia ne l'arena appresso al porto

per man dei duo fratei morta giacea;

e per questo ad Orril non si fa torto,

s'a un tempo l'uno e l'altro gli nocea.

Più volte l'han smembrato e non mai morto,

né, per smembrarlo, uccider si potea;

che se tagliato o mano o gamba gli era,

la rapiccava, che parea di cera.

70

Or fin a' denti il capo gli divide

Grifone, or Aquilante fin al petto.

Egli dei colpi lor sempre si ride:

s'adiran essi, che non hanno effetto.

Chi mai d'alto cader l'argento vide,

che gli alchimisti hanno mercurio detto,

e sparger e raccor tutti i suo' membri,

sentendo di costui, se ne rimembri.

71

Se gli spiccano il capo, Orrilo scende,

né cessa brancolar fin che lo truovi;

ed or pel crine ed or pel naso il prende,

lo salda al collo, e non so con che chiovi.

Piglial talor Grifone, e 'l braccio stende,

nel fiume il getta, e non par ch'anco giovi;

che nuota Orrilo al fondo come un pesce,

e col suo capo salvo alla ripa esce.

72

Due belle donne onestamente ornate,

l'una vestita a bianco e l'altra a nero,

che de la pugna causa erano state,

stavano a riguardar l'assalto fiero.

Queste eran quelle due benigne fate

ch'avean notriti i figli d'Oliviero,

poi che li trasson teneri citelli

dai curvi artigli di duo grandi augelli,

73

che rapiti gli avevano a Gismonda,

e portati lontan dal suo paese.

Ma non bisogna in ciò ch'io mi diffonda,

ch'a tutto il mondo è l'istoria palese;

ben che l'autor nel padre si confonda,

ch'un per un altro (io non so come) prese.

Or la battaglia i duo gioveni fanno,

che le due donne ambi pregati n'hanno.

74

Era in quel clima già sparito il giorno,

all'isole ancor alto di Fortuna;

l'ombre avean tolto ogni vedere a torno

sotto l'incerta e mal compresa luna;

quando alla rocca Orril fece ritorno,

poi ch'alla bianca e alla sorella bruna

piacque di differir l'aspra battaglia

fin che 'l sol nuovo all'orizzonte saglia.

75

Astolfo, che Grifone ed Aquilante,

ed all'insegne e più al ferir gagliardo,

riconosciuto avea gran pezzo inante,

lor non fu altiero a salutar né tardo.

Essi vedendo che quel che 'l gigante

traea legato, era il baron dal pardo

(che così in corte era quel duca detto),

raccolser lui con non minore affetto.

76

Le donne a riposare i cavallieri

menaro a un lor palagio indi vicino.

Donzelle incontra vennero e scudieri

con torchi accesi, a mezzo del camino.

Diero a chi n'ebbe cura i lor destrieri,

trassonsi l'arme; e dentro un bel giardino

trovar ch'apparechiata era la cena

ad una fonte limpida ed amena.

77

Fan legare il gigante alla verdura

Con un'altra catena molto grossa

ad una quercia di molt'anni dura,

che non si romperà per una scossa;

e da dieci sergenti averne cura,

che la notte discior non se ne possa,

ed assalirli, e forse far lor danno,

mentre sicuri e senza guardia stanno.

78

All'abondante e sontuosa mensa,

dove il manco piacer fur le vivande,

del ragionar gran parte si dispensa

sopra d'Orrilo e del miracol grande,

che quasi par un sogno a chi vi pensa,

ch'or capo or braccio a terra se gli mande,

ed egli lo raccolga e lo raggiugna,

e più feroce ognor torni alla pugna.

79

Astolfo nel suo libro avea già letto

(quel ch'agl'incanti riparare insegna)

ch'ad Orril non trarrà l'alma del petto

fin ch'un crine fatal nel capo tegna;

ma, se lo svelle o tronca, fia costretto

che suo mal grado fuor l'alma ne vegna.

Questo ne dice il libro; ma non come

conosca il crine in così folte chiome.

80

Non men de la vittoria si godea,

che se n'avesse Astolfo già la palma;

come chi speme in pochi colpi avea

svellere il crine al negromante e l'alma.

Però di quella impresa promettea

tor su gli omeri suoi tutta la salma:

Orril farà morir, quando non spiaccia

ai duo fratei, ch'egli la pugna faccia.

81

Ma quei gli danno volentier l'impresa,

certi che debbia affaticarsi invano.

Era già l'altra aurora in cielo ascesa,

quando calò dai muri Orrilo al piano.

Tra il duca e lui fu la battaglia accesa:

la mazza l'un, l'altro ha la spada in mano.

Di mille attende Astolfo un colpo trarne,

che lo spirto gli sciolga da la carne.

82

Or cader gli fa il pugno con la mazza,

or l'uno or l'altro braccio con la mano;

quando taglia a traverso la corazza,

e quando il va troncando a brano a brano:

ma ricogliendo sempre de la piazza

va le sue membra Orrilo, e si fa sano.

S'in cento pezzi ben l'avesse fatto,

redintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.

83

Al fin di mille colpi un gli ne colse

sopra le spalle ai termini del mento:

la testa e l'elmo dal capo gli tolse,

né fu d'Orrilo a dismontar più lento.

La sanguinosa chioma in man s'avolse,

e risalse a cavallo in un momento;

e la portò correndo incontra 'l Nilo,

che riaver non la potesse Orrilo.

84

Quel sciocco, che del fatto non s'accorse,

per la polve cercando iva la testa:

ma come intese il corridor via torse,

portare il capo suo per la foresta;

immantinente al suo destrier ricorse,

sopra vi sale, e di seguir non resta.

Volea gridare: — Aspetta, volta, volta! —

ma gli avea il duca già la bocca tolta.

85

Pur, che non gli ha tolto anco le calcagna

si riconforta, e segue a tutta briglia.

Dietro il lascia gran spazio di campagna

quel Rabican che corre a maraviglia.

Astolfo intanto per la cuticagna

va da la nuca fin sopra le ciglia

cercando in fretta, se 'l crine fatale

conoscer può, ch'Orril tiene immortale.

86

Fra tanti e innumerabili capelli,

un più de l'altro non si stende o torce:

qual dunque Astolfo sceglierà di quelli,

che per dar morte al rio ladron raccorce?

— Meglio è (disse) che tutti io tagli o svelli: —

né si trovando aver rasoi né force,

ricorse immantinente alla sua spada,

che taglia sì, che si può dir che rada.

87

E tenendo quel capo per lo naso,

dietro e dinanzi lo dischioma tutto.

Trovò fra gli altri quel fatale a caso:

si fece il viso allor pallido e brutto,

travolse gli occhi, e dimostrò all'occaso,

per manifesti segni, esser condutto;

e 'l busto che seguia troncato al collo,

di sella cadde, e diè l'ultimo crollo.

88

Astolfo, ove le donne e i cavallieri

lasciato avea, tornò col capo in mano,

che tutti avea di morte i segni veri,

e mostrò il tronco ove giacea lontano.

Non so ben se lo vider volentieri,

ancor che gli mostrasser viso umano;

che la intercetta lor vittoria forse

d'invidia ai duo germani il petto morse.

89

Né che tal fin quella battuglia avesse,

credo più fosse alle due donne grato.

Queste, perché più in lungo si traesse

de' duo fratelli il doloroso fato

ch'in Francia par ch'in breve esser dovesse,

con loro Orrilo avean quivi azzuffato,

con speme di tenerli tanto a bada,

che la trista influenza se ne vada.

90

Tosto che 'l castellan di Damiata

certificossi ch'era morto Orrilo,

la columba lasciò, ch'avea legata

sotto l'ala la lettera col filo.

Quella andò al Cairo; ed indi fu lasciata

un'altra altrove, come quivi è stilo:

sì che in pochissime ore andò l'aviso

per tutto Egitto, ch'era Orrilo ucciso.

91

Il duca, come al fin trasse l'impresa,

confortò molto i nobili garzoni,

ben che da sé v'avean la voglia intesa,

né bisognavan stimuli né sproni,

che per difender de la santa Chiesa

e del romano Imperio le ragioni,

lasciasser le battaglie d'Oriente,

e cercassino onor ne la lor gente.

92

Così Grifone ed Aquilante tolse

ciascuno da la sua donna licenza;

le quali, ancor che lor ne 'ncrebbe e dolse,

non vi seppon però far resistenza.

Con essi Astolfo a man destra si volse;

che si deliberar far riverenza

ai santi luoghi ove Dio in carne visse,

prima che verso Francia si venisse.

93

Potuto avrian pigliar la via mancina,

ch'era più dilettevole e più piana,

e mai non si scostar da la marina;

ma per la destra andaro orrida e strana,

perché l'alta città di Palestina

per questa sei giornate è men lontana.

Acqua si truova ed erba in questa via:

di tutti gli altri ben v'è carestia.

94

Sì che prima ch'entrassero in viaggio,

ciò che lor bisognò, fecion raccorre,

e carcar sul gigante il carriaggio,

ch'avria portato in collo anco una torre.

Al finir del camino aspro e selvaggio,

da l'alto monte alla lor vista occorre

la santa terra, ove il superno Amore

lavò col proprio sangue il nostro errore.

95

Trovano in su l'entrar de la cittade

un giovene gentil, lor conoscente,

Sansonetto da Meca, oltre l'etade,

ch'era nel primo fior, molto prudente;

d'alta cavalleria, d'alta bontade

famoso, e riverito fra la gente.

Orlando lo converse a nostra fede,

e di sua man battesmo anco gli diede.

96

Quivi lo trovan che disegna a fronte

del calife d'Egitto una fortezza;

e circondar vuole il Calvario monte

di muro di duo miglia di lunghezza.

Da lui raccolti fur con quella fronte

che può d'interno amor dar più chiarezza,

e dentro accompagnati, e con grande agio

fatti alloggiar nel suo real palagio.

97

Avea in governo egli la terra, e in vece

di Carlo vi reggea l'imperio giusto.

Il duca Astolfo a costui dono fece

di quel sì grande e smisurato busto,

ch'a portar pesi gli varrà per diece

bestie da soma, tanto era robusto.

Diegli Astolfo il gigante, e diegli appresso

la rete ch'in sua forza l'avea messo.

98

Sansonetto all'incontro al duca diede

per la spada una cinta ricca e bella;

e diede spron per l'uno e l'altro piede,

che d'oro avean la fibbia e la girella;

ch'esser del cavallier stati si crede,

che liberò dal drago la donzella:

al Zaffo avuti con molt'altro arnese

Sansonetto gli avea, quando lo prese.

99

Purgati de lor colpe a un monasterio

che dava di sé odor di buoni esempi,

de la passion di Cristo ogni misterio

contemplando n'andar per tutti i tempi

ch'or con eterno obbrobrio e vituperio

agli cristiani usurpano i Mori empi.

L'Europa è in arme, e di far guerra agogna

in ogni parte, fuor ch'ove bisogna.

100

Mentre avean quivi l'animo divoto,

a perdonanze e a cerimonie intenti,

un peregrin di Grecia, a Grifon noto,

novelle gli arrecò gravi e pungenti,

dal suo primo disegno e lungo voto

troppo diverse e troppo differenti;

e quelle il petto gl'infiammaron tanto,

che gli scacciar l'orazion da canto.

101

Amava il cavallier, per sua sciagura,

una donna ch'avea nome Orrigille:

di più bel volto e di miglior statura

non se ne sceglierebbe una fra mille;

ma disleale e di sì rea natura,

che potresti cercar cittadi e ville,

la terra ferma e l'isole del mare,

né credo ch'una le trovassi pare.

102

Ne la città di Costantin lasciata

grave l'avea di febbre acuta e fiera.

Or quando rivederla alla tornata

più che mai bella, e di goderla spera,

ode il meschin, ch'in Antiochia andata

dietro un suo nuovo amante ella se n'era,

non le parendo ormai di più patire

ch'abbia in sì fresca età sola a dormire.

103

Da indi in qua ch'ebbe la trista nuova,

sospirava Grifon notte e dì sempre.

Ogni piacer ch'agli altri aggrada e giova,

par ch'a costui più l'animo distempre:

pensilo ognun, ne li cui danni pruova

Amor, se li suoi strali han buone tempre.

Ed era grave sopra ogni martire,

che 'l mal ch'avea si vergognava a dire.

104

Questo, perché mille fiate inante

già ripreso l'avea di quello amore,

di lui più saggio, il fratello Aquilante,

e cercato colei trargli del core,

colei ch'al suo giudicio era di quante

femine rie si trovin la peggiore.

Grifon l'escusa, se 'l fratel la danna;

e le più volte il parer proprio inganna.

105

Però fece pensier, senza parlarne

con Aquilante, girsene soletto

sin dentro d'Antiochia, e quindi trarne

colei che tratto il cor gli avea del petto;

trovar colui che gli l'ha tolta, e farne

vendetta tal, che ne sia sempre detto.

Dirò, come ad effetto il pensier messe,

nell'altro canto, e ciò che ne successe.

CANTO SEDICESIMO

1

Gravi pene in amor si provan molte,

di che patito io n'ho la maggior parte,

e quelle in danno mio sì ben raccolte,

ch'io ne posso parlar come per arte.

Però s'io dico e s'ho detto altre volte,

e quando in voce e quando in vive carte,

ch'un mal sia lieve, un altro acerbo e fiero,

date credenza al mio giudicio vero.

2

Io dico e dissi, e dirò fin ch'io viva,

che chi si truova in degno laccio preso,

se ben di sé vede sua donna schiva,

se in tutto aversa al suo desire acceso;

se bene Amor d'ogni mercede il priva,

poscia che 'l tempo e la fatica ha speso;

pur ch'altamente abbia locato il core,

pianger non de', se ben languisce e muore.

3

Pianger de' quel che già sia fatto servo

di duo vaghi occhi e d'una bella treccia,

sotto cui si nasconda un cor protervo,

che poco puro abbia con molta feccia.

Vorria il miser fuggire; e come cervo

ferito, ovunque va, porta la freccia:

ha di se stesso e del suo amor vergogna,

né l'osa dire, e invan sanarsi agogna.

4

In questo caso è il giovene Grifone,

che non si può emendare, e il suo error vede,

vede quanto vilmente il suo cor pone

in Orrigille iniqua e senza fede;

pur dal mal uso è vinta la ragione,

e pur l'arbitrio all'appetito cede:

perfida sia quantunque, ingrata e ria,

sforzato è di cercar dove ella sia.

5

Dico, la bella istoria ripigliando,

ch'uscì de la città secretamente,

né parlarne s'ardì col fratel, quando

ripreso invan da lui ne fu sovente.

Verso Rama, a sinistra declinando,

prese la via più piana e più corrente.

Fu in sei giorni a Damasco di Soria;

indi verso Antiochia se ne gìa.

6

Scontrò presso a Damasco il cavalliero

a cui donato aveva Orrigille il core:

e convenian di rei costumi in vero,

come ben si convien l'erba col fiore;

che l'uno e l'altro era di cor leggiero,

perfido l'uno e l'altro e traditore;

e copria l'uno e l'altro il suo difetto,

con danno altrui, sotto cortese aspetto.

7

Come io vi dico, il cavallier venìa

s'un gran destrier con molta pompa armato:

la perfida Orrigille in compagnia,

in un vestire azzur d'oro fregiato,

e duo valletti, donde si servia

a portar elmo e scudo, aveva allato;

come quel che volea con bella mostra

comparire in Damasco ad una giostra.

8

Una splendida festa che bandire

fece il re di Damasco in quelli giorni,

era cagion di far quivi venire

i cavallier quanto potean più adorni.

Tosto che la puttana comparire

vede Grifon, ne teme oltraggi e scorni:

sa che l'amante suo non è sì forte,

che contra lui l'abbia a campar da morte.

9

Ma sì come audacissima e scaltrita,

ancor che tutta di paura trema,

s'acconcia il viso, e sì la voce aita,

che non appar in lei segno di tema.

Col drudo avendo già l'astuzia ordita,

corre, e fingendo una letizia estrema,

verso Grifon l'aperte braccia tende,

lo stringe al collo, e gran pezzo ne pende.

10

Dopo, accordando affettuosi gesti

alla suavità de le parole,

dicea piangendo: — Signor mio, son questi

debiti premi a chi t'adora e cole?

che sola senza te già un anno resti,

e va per l'altro, e ancor non te ne duole?

E s'io stava aspettare il suo ritorno,

non so se mai veduto avrei quel giorno!

11

Quando aspettava che di Nicosia,

dove tu te n'andasti alla gran corte,

tornassi a me che con la febbre ria

lasciata avevi in dubbio de la morte,

intesi che passato eri in Soria:

il che a patir mi fu sì duro e forte,

che non sapendo come io ti seguissi,

quasi il cor di man propria mi traffissi.

12

Ma Fortuna di me con doppio dono

mostra d'aver, quel che non hai tu, cura:

mandommi il fratel mio, col quale io sono

sin qui venuta del mio onor sicura;

ed or mi manda questo incontro buono

di te, ch'io stimo sopra ogni aventura:

e bene a tempo il fa; che più tardando,

morta sarei, te, signor mio, bramando. —

13

E seguitò la donna fraudolente,

di cui l'opere fur più che di volpe,

la sua querela così astutamente,

che riversò in Grifon tutte le colpe.

Gli fa stimar colui, non che parente,

ma che d'un padre seco abbia ossa e polpe:

e con tal modo sa tesser gl'inganni,

che men verace par Luca e Giovanni.

14

Non pur di sua perfidia non riprende

Grifon la donna iniqua più che bella;

non pur vendetta di colui non prende,

che fatto s'era adultero di quella:

ma gli par far assai, se si difende

che tutto il biasmo in lui non riversi ella;

e come fosse suo cognato vero,

d'accarezzar non cessa il cavalliero.

15

E con lui se ne vien verso le porte

di Damasco, e da lui sente tra via,

che là dentro dovea splendida corte

tenere il ricco re de la Soria;

e ch'ognun quivi, di qualunque sorte,

o sia cristiano, o d'altra legge sia,

dentro e di fuori ha la città sicura

per tutto il tempo che la festa dura.

16

Non però son di seguitar sì intento

l'istoria de la perfida Orrigille,

ch'a' giorni suoi non pur un tradimento

fatto agli amanti avea, ma mille e mille;

ch'io non ritorni a riveder dugento

mila persone, o più de le scintille

del fuoco stuzzicato, ove alle mura

di Parigi facean danno e paura.

17

Io vi lasciai, come assaltato avea

Agramante una porta de la terra,

che trovar senza guardia si credea:

né più riparo altrove il passo serra;

perché in persona Carlo la tenea,

ed avea seco i mastri de la guerra,

duo Guidi, duo Angelini; uno Angeliero,

Avino, Avolio, Otone e Berlingiero.

18

Inanzi a Carlo, inanzi al re Agramante

l'un stuolo e l'altro si vuol far vedere,

ove gran loda, ove mercé abondante

si può acquistar, facendo il suo dovere.

I Mori non però fer pruove tante,

che par ristoro al danno abbiano avere;

perché ve ne restar morti parecchi,

ch'agli altri fur di folle audacia specchi.

19

Grandine sembran le spesse saette

dal muro sopra gli nimici sparte.

Il grido insin al ciel paura mette,

che fa la nostra e la contraria parte.

Ma Carlo un poco ed Agramante aspette;

ch'io vo' cantar de l'africano Marte,

Rodomonte terribile ed orrendo,

che va per mezzo la città correndo.

20

Non so, Signor, se più vi ricordiate,

di questo Saracin tanto sicuro,

che morte le sue genti avea lasciate

tra il secondo riparo e 'l primo muro,

da la rapace fiamma devorate,

che non fu mai spettacolo più oscuro.

Dissi ch'entrò d'un salto ne la terra

sopra la fossa che la cinge e serra.

21

Quando fu noto il Saracino atroce

all'arme istrane, alla scagliosa pelle,

là dove i vecchi e 'l popul men feroce

tendean l'orecchie a tutte le novelle,

levossi un pianto, un grido, un'alta voce,

con un batter di man ch'andò alle stelle;

e chi poté fuggir non vi rimase,

per serrarsi ne' templi e ne le case.

22

Ma questo a pochi il brando rio conciede,

ch'intorno ruota il Saracin robusto.

Qui fa restar con mezza gamba un piede,

là fa un capo sbalzar lungi dal busto;

l'un tagliare a traverso se gli vede,

dal capo all'anche un altro fender giusto:

e di tanti ch'uccide, fere e caccia,

non se gli vede alcun segnare in faccia.

23

Quel che la tigre de l'armento imbelle

ne' campi ircani o là vicino al Gange,

o 'l lupo de le capre e de l'agnelle

nel monte che Tifeo sotto si frange;

quivi il crudel pagan facea di quelle

non dirò squadre, non dirò falange,

ma vulgo e populazzo voglio dire,

degno, prima che nasca, di morire.

24

Non ne trova un che veder possa in fronte,

fra tanti che ne taglia, fora e svena.

Per quella strada che vien dritto al ponte

di san Michel, sì popolata e piena,

corre il fiero e terribil Rodomonte,

e la sanguigna spada a cerco mena:

non riguarda né al servo né al signore,

né al giusto ha più pietà ch'al peccatore.

25

Religion non giova al sacerdote,

né la innocenza al pargoletto giova:

per sereni occhi o per vermiglie gote

mercé né donna né donzella truova:

la vecchiezza si caccia e si percuote;

né quivi il Saracin fa maggior pruova

di gran valor, che di gran crudeltade;

che non discerne sesso, ordine, etade.

26

Non pur nel sangue uman l'ira si stende

de l'empio re, capo e signor degli empi,

ma contra i tetti ancor, sì che n'incende

le belle case e i profanati tempi.

Le case eran, per quel che se n'intende,

quasi tutte di legno in quelli tempi:

e ben creder si può; ch'in Parigi ora

de le diece le sei son così ancora.

27

Non par, quantunque il fuoco ogni cosa arda,

che sì grande odio ancor saziar si possa.

Dove s'aggrappi con le mani, guarda,

sì che ruini un tetto ad ogni scossa.

Signor, avete a creder che bombarda

mai non vedeste a Padova sì grossa,

che tanto muro possa far cadere,

quanto fa in una scossa il re d'Algiere.

28

Mentre quivi col ferro il maledetto

e con le fiamme facea tanta guerra,

se di fuor Agramante avesse astretto,

perduta era quel dì tutta la terra:

ma non v'ebbe agio; che gli fu interdetto

dal paladin che venìa d'Inghilterra

col populo alle spalle inglese e scotto,

dal Silenzio e da l'angelo condotto.

29

Dio volse che all'entrar che Rodomonte

fe' ne la terra, e tanto fuoco accese,

che presso ai muri il fior di Chiaramonte,

Rinaldo, giunse, e seco il campo inglese.

Tre leghe sopra avea gittato il ponte,

e torte vie da man sinistra prese;

che disegnando i barbari assalire,

il fiume non l'avesse ad impedire.

30

Mandato avea seimila fanti arcieri

sotto l'altiera insegna d'Odoardo,

e duomila cavalli, e più, leggieri

dietro alla guida d'Ariman gagliardo;

e mandati gli avea per li sentieri

che vanno e vengon dritto al mar picardo,

ch'a porta San Martino e San Dionigi

entrassero a soccorso di Parigi.

31

I cariaggi e gli altri impedimenti

con lor fece drizzar per questa strada.

Egli con tutto il resto de le genti

più sopra andò girando la contrada.

Seco avean navi e ponti ed argumenti

da passar Senna che non ben si guada.

Passato ognuno, e dietro i ponti rotti,

ne le lor schiere ordinò Inglesi e Scotti.

32

Ma prima quei baroni e capitani

Rinaldo intorno avendosi ridutti,

sopra la riva ch'alta era dai piani

sì, che poteano udirlo e veder tutti,

disse: — Signor, ben a levar le mani

avete a Dio, che qui v'abbia condutti,

acciò, dopo un brevissimo sudore,

sopra ogni nazion vi doni onore.

33

Per voi saran dui principi salvati,

se levate l'assedio a quelle porte:

il vostro re, che voi sete ubligati

da servitù difendere e da morte;

ed uno imperator de' più lodati

che mai tenuto al mondo abbiano corte;

e con loro altri re, duci e marchesi,

signori e cavallier di più paesi.

34

Sì che, salvando una città, non soli

Parigini ubligati vi saranno,

che molto più che per li propri duoli,

timidi, afflitti e sbigottiti stanno

per le lor mogli e per li lor figliuoli

ch'a un medesmo pericolo seco hanno,

e per le sante vergini richiuse,

ch'oggi non sien dei voti lor deluse:

35

dico, salvando voi questa cittade,

v'ubligate non solo i Parigini,

ma d'ogn'intorno tutte le contrade.

Non parlo sol dei populi vicini;

ma non è terra per Cristianitade,

che non abbia qua dentro cittadini:

sì che, vincendo, avete da tenere

che più che Francia v'abbia obligo avere.

36

Se donavan gli antiqui una corona

a chi salvasse a un cittadin la vita,

or che degna mercede a voi si dona,

salvando multitudine infinita?

Ma se da invidia o da viltà sì buona

e sì santa opra rimarrà impedita,

credetemi che prese quelle mura,

né Italia né Lamagna anco è sicura;

37

né qualunque altra parte ove s'adori

quel che volse per noi pender sul legno.

Né voi crediate aver lontani i Mori,

né che pel mar sia forte il vostro regno:

che s'altre volte quelli, uscendo fuori

di Zibeltaro e de l'Erculeo segno,

riportar prede da l'isole vostre,

che faranno or, s'avran le terre nostre?

38

Ma quando ancor nessuno onor, nessuno

util v'inanimasse a questa impresa,

commun debito è ben soccorrer l'uno

l'altro, che militiàn sotto una Chiesa.

Ch'io non vi dia rotti i nemici, alcuno

non sia chi tema, e con poca contesa;

che gente male esperta tutta parmi,

senza possanza, senza cor, senz'armi. —

39

Poté con queste e con miglior ragioni,

con parlare espedito e chiara voce

eccitar quei magnanimi baroni

Rinaldo, e quello esercito feroce:

e fu, com'è in proverbio, aggiunger sproni

al buon corsier che già ne va veloce.

Finito il ragionar, fece le schiere

muover pian pian sotto le lor bandiere.

40

Senza strepito alcun, senza rumore

fa il tripartito esercito venire:

lungo il fiume a Zerbin dona l'onore

di dover prima i barbari assalire;

e fa quelli d'Irlanda con maggiore

volger di via più tra campagna gire;

e i cavallieri e i fanti d'Inghilterra

col duca di Lincastro in mezzo serra.

41

Drizzati che gli ha tutti al lor camino,

cavalca il paladin lungo la riva,

e passa inanzi al buon duca Zerbino

e a tutto il campo che con lui veniva;

tanto ch'al re d'Orano e al re Sobrino

e agli altri lor compagni soprarriva,

che mezzo miglio appresso a quei di Spagna

guardavan da quel canto la campagna.

42

L'esercito cristian che con sì fida

e sì sicura scorta era venuto,

ch'ebbe il Silenzio e l'angelo per guida,

non poté ormai patir più di star muto.

Sentiti gli nimici, alzò le grida,

e de le trombe udir fe' il suono arguto:

e con l'alto rumor ch'arrivò al cielo,

mandò ne l'ossa a' Saracini il gelo.

43

Rinaldo inanzi agli altri il destrier punge;

e con la lancia per cacciarla in resta

lascia gli Scotti un tratto d'arco lunge,

ch'ogni indugio a ferir sì lo molesta.

Come groppo di vento talor giunge,

che si tra' dietro un'orrida tempesta,

tal fuor di squadra il cavallier gagliardo

venìa spronando il corridor Baiardo.

44

Al comparir del paladin di Francia,

dan segno i Mori alle future angosce:

tremare a tutti in man vedi la lancia,

i piedi in staffa, e ne l'arcion le cosce.

Re Puliano sol non muta guancia,

che questo esser Rinaldo non conosce;

né pensando trovar sì duro intoppo,

gli muove il destrier contra di galoppo:

45

e su la lancia nel partir si stringe,

e tutta in sé raccoglie la persona;

poi con ambo gli sproni il destrier spinge,

e le redine inanzi gli abandona.

Da l'altra parte il suo valor non finge,

e mostra in fatti quel ch'in nome suona,

quanto abbia nel giostrare e grazia ed arte,

il figliuolo d'Amone, anzi di Marte.

46

Furo al segnar degli aspri colpi, pari,

che si posero i ferri ambi alla testa:

ma furo in arme ed in virtù dispari,

che l'un via passa, e l'altro morto resta.

Bisognan di valor segni più chiari,

che por con leggiadria la lancia in resta:

ma fortuna anco più bisogna assai;

che senza, val virtù raro o non mai.

47

La buona lancia il paladin racquista,

e verso il re d'Oran ratto si spicca,

che la persona avea povera e trista

di cor, ma d'ossa e di gran polpe ricca.

Questo por tra bei colpi si può in lista,

ben ch'in fondo allo scudo gli l'appicca:

e chi non vuol lodarlo, abbialo escuso,

perché non si potea giunger più in suso.

48

Non lo ritien lo scudo, che non entre,

ben che fuor sia d'acciar, dentro di palma;

e che da quel gran corpo uscir pel ventre

non faccia l'inequale e piccola alma.

Il destrier che portar si credea, mentre

durasse il lungo dì, sì grave salma,

riferì in mente sua grazie a Rinaldo,

ch'a quello incontro gli schivò un gran caldo.

49

Rotta l'asta, Rinaldo il destrier volta

tanto legger, che fa sembrar ch'abbia ale;

e dove la più stretta e maggior folta

stiparsi vede, impetuoso assale.

Mena Fusberta sanguinosa in volta

che fa l'arme parer di vetro frale:

tempra di ferro il suo tagliar non schiva,

che non vada a trovar la carne viva.

50

Ritrovar poche tempre e pochi ferri

può la tagliente spada, ove s'incappi,

ma targhe, altre di cuoio, altre di cerri,

giupe trapunte e attorcigliati drappi.

Giusto è ben dunque che Rinaldo atterri

qualunque assale, e fori e squarci e affrappi;

che non più si difende da sua spada,

ch'erba da falce, o da tempesta biada.

51

La prima schiera era già messa in rotta,

quando Zerbin con l'antiguardia arriva.

Il cavallier inanzi alla gran frotta

con la lancia arrestata ne veniva.

La gente sotto il suo pennon condotta,

con non minor fierezza lo seguiva:

tanti lupi parean, tanti leoni

ch'andassero assalir capre o montoni.

52

Spinse a un tempo ciascuno il suo cavallo,

poi che fur presso; e sparì immantinente

quel breve spazio, quel poco intervallo

che si vedea fra l'una e l'altra gente.

Non fu sentito mai più strano ballo;

che ferian gli Scozzesi solamente:

solamente i pagani eran distrutti,

come sol per morir fosser condutti.

53

Parve più freddo ogni pagan che ghiaccio;

parve ogni Scotto più che fiamma caldo.

I Mori si credean ch'avere il braccio

dovesse ogni cristian, ch'ebbe Rinaldo.

Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio,

senza aspettar che lo 'nvitasse araldo:

de l'altra squadra questa era migliore

di capitano, d'arme e di valore.

54

D'Africa v'era la men trista gente;

ben che né questa ancor gran prezzo vaglia.

Dardinel la sua mosse incontinente,

e male armata, e peggio usa in battaglia;

ben ch'egli in capo avea l'elmo lucente,

e tutto era coperto a piastra e a maglia.

Io credo che la quarta miglior sia,

con la qual Isolier dietro venìa.

55

Trasone intanto, il buon duca di Marra,

che ritrovarsi all'alta impresa gode,

ai cavallieri suoi leva la sbarra,

e seco invita alle famose lode,

poi ch'Isolier con quelli di Navarra

entrar ne la battaglia vede ed ode.

Poi mosse Ariodante la sua schiera,

che nuovo duca d'Albania fatt'era.

56

L'alto rumor de le sonore trombe,

de' timpani e de' barbari stromenti,

giunti al continuo suon d'archi, di frombe,

di machine, di ruote e di tormenti;

e quel di che più par che 'l ciel ribombe,

gridi, tumulti, gemiti e lamenti;

rendeno un alto suon ch'a quel s'accorda,

con che i vicin, cadendo, il Nilo assorda.

57

Grande ombra d'ogn'intorno il cielo involve,

nata dal saettar de li duo campi;

l'alito, il fumo del sudor, la polve

par che ne l'aria oscura nebbia stampi.

Or qua l'un campo, or l'altro là si volve:

vedresti or come un segua, or come scampi;

ed ivi alcuno, o non troppo diviso,

rimaner morto ove ha il nimico ucciso.

58

Dove una squadra per stanchezza è mossa,

un'altra si fa tosto andare inanti.

Di qua di là la gente d'arme ingrossa:

là cavallieri, e qua si metton fanti.

La terra che sostien l'assalto, è rossa:

mutato ha il verde ne' sanguigni manti;

e dov'erano i fiori azzurri e gialli,

giaceno uccisi or gli uomini e i cavalli.

59

Zerbin facea le più mirabil pruove

che mai facesse di sua età garzone:

l'esercito pagan che 'ntorno piove,

taglia ed uccide e mena a destruzione.

Ariodante alle sue genti nuove

mostra di sua virtù gran paragone;

e dà di sé timore e meraviglia

a quelli di Navarra e di Castiglia.

60

Chelindo e Mosco, i duo figli bastardi

del morto Calabrun re d'Aragona,

ed un che reputato fra' gagliardi

era, Calamidor da Barcelona,

s'avean lasciato a dietro gli stendardi;

e credendo acquistar gloria e corona

per uccider Zerbin, gli furo adosso;

e ne' fianchi il destrier gli hanno percosso.

61

Passato da tre lance il destrier morto

cade; ma il buon Zerbin subito è in piede;

ch'a quei ch'al suo cavallo han fatto torto,

per vendicarlo va dove gli vede:

e prima a Mosco, al giovene inaccorto,

che gli sta sopra, e di pigliar sel crede,

mena di punta, e lo passa nel fianco,

e fuor di sella il caccia freddo e bianco.

62

Poi che si vide tor, come di furto,

Chelindo il fratel suo, di furor pieno

venne a Zerbino, e pensò dargli d'urto;

ma gli prese egli il corridor pel freno:

trasselo in terra, onde non è mai surto,

e non mangiò mai più biada né fieno;

che Zerbin sì gran forza a un colpo mise,

che lui col suo signor d'un taglio uccise.

63

Come Calamidor quel colpo mira,

volta la briglia per levarsi in fretta;

ma Zerbin dietro un gran fendente tira,

dicendo: — Traditore, aspetta, aspetta! —

Non va la botta ove n'andò la mira,

non che però lontana vi si metta;

lui non poté arrivar, ma il destrier prese

sopra la groppa, e in terra lo distese.

64

Colui lascia il cavallo, e via carpone

va per campar, ma poco gli successe;

che venne caso che 'l duca Trasone

gli passò sopra, e col peso l'oppresse.

Ariodante e Lurcanio si pone

dove Zerbino è fra le genti spesse;

e seco hanno altri e cavallieri e conti,

che fanno ogn'opra che Zerbin rimonti.

65

Menava Ariodante il brando in giro,

e ben lo seppe Artalico e Margano;

ma molto più Etearco e Casimiro

la possanza sentir di quella mano:

i primi duo feriti se ne giro,

rimaser gli altri duo morti sul piano.

Lurcanio fa veder quanto sia forte;

che fere, urta, riversa e mette a morte.

66

Non crediate, Signor, che fra campagna

pugna minor che presso al fiume sia,

né ch'a dietro l'esercito rimagna,

che di Lincastro il buon duca seguia.

Le bandiere assalì questo di Spagna,

e molto ben di par la cosa gìa;

che fanti, cavallieri e capitani

di qua e di là sapean menar le mani.

67

Dinanzi vien Oldrado e Fieramonte,

un duca di Glocestra, un d'Eborace;

con lor Ricardo, di Varvecia conte,

e di Chiarenza il duca, Enrigo audace.

Han Matalista e Follicone a fronte,

e Baricondo ed ogni lor seguace.

Tiene il primo Almeria, tiene il secondo

Granata, tien Maiorca Baricondo.

68

La fiera pugna un pezzo andò di pare,

che vi si discernea poco vantaggio.

Vedeasi or l'uno or l'altro ire e tornare,

come le biade al ventolin di maggio,

o come sopra 'l lito un mobil mare

or viene or va, né mai tiene un viaggio.

Poi che fortuna ebbe scherzato un pezzo,

dannosa ai Mori ritornò da sezzo.

69

Tutto in un tempo il duca di Glocestra

a Matalista fa votar l'arcione;

ferito a un tempo ne la spalla destra

Fieramonte riversa Follicone:

e l'un pagano e l'altro si sequestra,

e tra gl'Inglesi se ne va prigione.

E Baricondo a un tempo riman senza

vita per man del duca di Chiarenza.

70

Indi i pagani tanto a spaventarsi,

indi i fedeli a pigliar tanto ardire,

che quei non facean altro che ritrarsi

e partirsi da l'ordine e fuggire,

e questi andar inanzi ed avanzarsi

sempre terreno, e spingere e seguire:

e se non vi giungea chi lor dié aiuto,

il campo da quel lato era perduto.

71

Ma Ferraù, che sin qui mai non s'era

dal re Marsilio suo troppo disgiunto,

quando vide fuggir quella bandiera,

e l'esercito suo mezzo consunto,

spronò il cavallo, e dove ardea più fiera

la battaglia, lo spinse; e arrivò a punto

che vide dal destrier cadere in terra

col capo fesso Olimpio da la Serra;

72

un giovinetto che col dolce canto,

concorde al suon de la cornuta cetra,

d'intenerire un cor si dava vanto,

ancor che fosse più duro che pietra.

Felice lui, se contentar di tanto

onor sapeasi, e scudo, arco e faretra

aver in odio, e scimitarra e lancia,

che lo fecer morir giovine in Francia!

73

Quando lo vide Ferraù cadere,

che solea amarlo e avere in molta estima,

si sente di lui sol via più dolere,

che di mill'altri che periron prima:

e sopra chi l'uccise in modo fere,

che gli divide l'elmo da la cima

per la fronte, per gli occhi e per la faccia,

per mezzo il petto, e morto a terra il caccia.

74

Né qui s'indugia; e il brando intorno ruota,

ch'ogni elmo rompe, ogni lorica smaglia;

a chi segna la fronte, a chi la gota,

ad altri il capo, ad altri il braccio taglia;

or questo or quel di sangue e d'alma vota:

e ferma da quel canto la battaglia,

onde la spaventata ignobil frotta

senza ordine fuggia spezzata e rotta.

75

Entrò ne la battaglia il re Agramante,

d'uccider gente e di far pruove vago;

e seco ha Baliverzo, Farurante,

Prusion, Soridano e Bambirago.

Poi son le genti senza nome tante,

che del lor sangue oggi faranno un lago,

che meglio conterei ciascuna foglia,

quando l'autunno gli arbori ne spoglia.

76

Agramante dal muro una gran banda

di fanti avendo e di cavalli tolta,

col re di Feza subito li manda,

che dietro ai padiglion piglin la volta,

e vadano ad opporsi a quei d'Irlanda,

le cui squadre vedea con fretta molta,

dopo gran giri e larghi avolgimenti,

venir per occupar gli alloggiamenti.

77

Fu 'l re di Feza ad esequir ben presto;

ch'ogni tardar troppo nociuto avria.

Raguna intanto il re Agramante il resto;

parte le squadre, e alla battaglia invia.

Egli va al fiume; che gli par ch'in questo

luogo del suo venir bisogno sia:

e da quel canto un messo era venuto

del re Sobrino a domandare aiuto.

78

Menava in una squadra più di mezzo

il campo dietro; e sol del gran rumore

tremar gli Scotti, e tanto fu il ribrezzo,

ch'abbandonavan l'ordine e l'onore.

Zerbin, Lurcanio e Ariodante in mezzo

vi restar soli incontra a quel furore;

e Zerbin, ch'era a pié, vi peria forse,

ma 'l buon Rinaldo a tempo se n'accorse.

79

Altrove intanto il paladin s'avea

fatto inanzi fuggir cento bandiere.

Or che l'orecchie la novella rea

del gran periglio di Zerbin gli fere,

ch'a piedi fra la gente cirenea

lasciato solo aveano le sue schiere,

volta il cavallo, e dove il campo scotto

vede fuggir, prende la via di botto.

80

Dove gli Scotti ritornar fuggendo

vede, s'appara, e grida: — Or dove andate?

perché tanta viltade in voi comprendo,

che a sì vil gente il campo abbandonate?

Ecco le spoglie, de le quali intendo

ch'esser dovean le vostre chiese ornate.

Oh che laude, oh che gloria, che 'l figliuolo

del vostro re si lasci a piedi e solo! —

81

D'un suo scudier una grossa asta afferra,

e vede Prusion poco lontano,

re d'Alvaracchie, e adosso se gli serra,

e de l'arcion lo porta morto al piano.

Morto Agricalte e Bambirago atterra:

dopo fere aspramante Soridano;

e come gli altri l'avria messo a morte,

se nel ferir la lancia era più forte.

82

Stringe Fusberta, poi che l'asta è rotta,

e tocca Serpentin, quel da la Stella.

Fatate l'arme avea, ma quella botta

pur tramortito il manda fuor di sella.

E così al duca de la gente scotta

fa piazza intorno spaziosa e bella;

sì che senza contesa un destrier puote

salir di quei che vanno a selle vote.

83

E ben si ritrovò salito a tempo,

che forse nol facea, se più tardava:

perché Agramante e Dardinello a un tempo,

Sobrin col re Balastro v'arrivava.

Ma egli, che montato era per tempo,

di qua e di là col brando s'aggirava,

mandando or questo or quel giù ne l'inferno

a dar notizia del viver moderno.

84

Il buon Rinaldo, il quale a porre in terra

i più dannosi avea sempre riguardo,

la spada contra il re Agramante afferra,

che troppo gli parea fiero e gagliardo

(facea egli sol più che mille altri guerra);

e se gli spinse adosso con Baiardo:

lo fere a un tempo ed urta di traverso,

sì che lui col destrier manda riverso.

85

Mentre di fuor con sì crudel battaglia,

odio, rabbia, furor l'un l'altro offende,

Rodomonte in Parigi il popul taglia,

le belle case e i sacri templi accende.

Carlo, ch'in altra parte si travaglia,

questo non vede, e nulla ancor ne 'ntende:

Odoardo raccoglie ed Arimanno

ne la città, col lor popul britanno.

86

A lui venne un scudier pallido in volto,

che potea a pena trar del petto il fiato.

— Ahimè! signor, ahimè — replica molto,

prima ch'abbia a dir altro incominciato:

— Oggi il romano Imperio, oggi è sepolto;

oggi ha il suo popul Cristo abandonato:

il demonio dal cielo è piovuto oggi,

perché in questa città più non s'alloggi.

87

Satanasso (perch'altri esser non puote)

strugge e ruina la città infelice.

Volgiti e mira le fumose ruote

de la rovente fiamma predatrice;

ascolta il pianto che nel ciel percuote;

e faccian fede a quel che 'l servo dice.

Un solo è quel ch'a ferro e a fuoco strugge

la bella terra, e inanzi ognun gli fugge. —

88

Quale è colui che prima oda il tumulto,

e de le sacre squille il batter spesso,

che vegga il fuoco a nessun altro occulto,

ch'a sé, che più gli tocca, e gli è più presso;

tal è il re Carlo, udendo il nuovo insulto,

e conoscendol poi con l'occhio istesso:

onde lo sforzo di sua miglior gente

al grido drizza e al gran rumor che sente.

89

Dei paladini e dei guerrier più degni

Carlo si chiama dietro una gran parte,

e vêr la piazza fa drizzare i segni;

che 'l pagan s'era tratto in quella parte.

Ode il rumor, vede gli orribil segni

di crudeltà, l'umane membra sparte.

Ora non più: ritorni un'altra volta

chi voluntier la bella istoria ascolta.

CANTO DICIASSETTESIMO

1

Il giusto Dio, quando i peccati nostri

hanno di remission passato il segno,

acciò che la giustizia sua dimostri

uguale alla pietà, spesso dà regno

a tiranni atrocissimi ed a mostri,

e dà lor forza e di mal fare ingegno.

Per questo Mario e Silla pose al mondo,

e duo Neroni e Caio furibondo,

2

Domiziano e l'ultimo Antonino;

e tolse da la immonda e bassa plebe,

ed esaltò all'imperio Massimino;

e nascer prima fe' Creonte a Tebe;

e dié Mezenzio al populo Agilino,

che fe' di sangue uman grasse le glebe;

e diede Italia a tempi men remoti

in preda agli Unni, ai Longobardi, ai Goti.

3

Che d'Atila dirò? che de l'iniquo

Ezzellin da Roman? che d'altri cento?

che dopo un lungo andar sempre in obliquo,

ne manda Dio per pena e per tormento.

Di questo abbiàn non pur al tempo antiquo,

ma ancora al nostro, chiaro esperimento,

quando a noi, greggi inutili e malnati,

ha dato per guardian lupi arrabbiati:

4

a cui non par ch'abbi a bastar lor fame,

ch'abbi il lor ventre a capir tanta carne;

e chiaman lupi di più ingorde brame

da boschi oltramontani a divorarne.

Di Trasimeno l'insepulto ossame

e di Canne e di Trebia poco parne

verso quel che le ripe e i campi ingrassa,

dov'Ada e Mella e Ronco e Tarro passa.

5

Or Dio consente che noi siàn puniti

da populi di noi forse peggiori,

per li multiplicati ed infiniti

nostri nefandi, obbrobriosi errori.

Tempo verrà ch'a depredar lor liti

andremo noi, se mai saren migliori,

e che i peccati lor giungano al segno,

che l'eterna Bontà muovano a sdegno.

6

Doveano allora aver gli eccessi loro

di Dio turbata la serena fronte,

che scórse ogni lor luogo il Turco e 'l Moro

con stupri, uccision, rapine ed onte:

ma più di tutti gli altri danni, foro

gravati dal furor di Rodomonte.

Dissi ch'ebbe di lui la nuova Carlo,

e che 'n piazza venia per ritrovarlo.

7

Vede tra via la gente sua troncata,

arsi i palazzi, e ruinati i templi,

gran parte de la terra desolata;

mai non si vider sì crudeli esempli.

— Dove fuggite, turba spaventata?

Non è tra voi chi 'l danno suo contempli?

Che città, che refugio più vi resta,

quando si perda sì vilmente questa?

8

Dunque un uom solo in vostra terra preso,

cinto di mura onde non può fuggire,

si partirà che non l'avrete offeso,

quando tutti v'avrà fatto morire? —

Così Carlo dicea, che d'ira acceso

tanta vergogna non potea patire.

E giunse dove inanti alla gran corte

vide il pagan por la sua gente a morte.

9

Quivi gran parte era del populazzo,

sperandovi trovare aiuto, ascesa;

perché forte di mura era il palazzo,

con munizion da far lunga difesa.

Rodomonte, d'orgoglio e d'ira pazzo,

solo s'avea tutta la piazza presa:

e l'una man, che prezza il mondo poco,

ruota la spada, e l'altra getta il fuoco.

10

E de la regal casa, alta e sublime,

percuote e risuonar fa le gran porte.

Gettan le turbe da le eccelse cime

e merli e torri, e si metton per morte.

Guastare i tetti non è alcun che stime;

e legne e pietre vanno ad una sorte,

lastre e colonne, e le dorate travi

che furo in prezzo agli lor padri e agli avi.

11

Sta su la porta il re d'Algier, lucente

di chiaro acciar che 'l capo gli arma e 'l busto,

come uscito di tenebre serpente,

poi c'ha lasciato ogni squalor vetusto,

del nuovo scoglio altiero, e che si sente

ringiovenito e più che mai robusto:

tre lingue vibra, ed ha negli occhi foco;

dovunque passa, ogn'animal dà loco.

12

Non sasso, merlo, trave, arco o balestra,

né ciò che sopra il Saracin percuote,

ponno allentar la sanguinosa destra

che la gran porta taglia, spezza e scuote:

e dentro fatto v'ha tanta finestra,

che ben vedere e veduto esser puote

dai visi impressi di color di morte,

che tutta piena quivi hanno la corte.

13

Suonar per gli alti e spaziosi tetti

s'odono gridi e feminil lamenti:

l'afflitte donne, percotendo i petti,

corron per casa pallide e dolenti;

e abbraccian gli usci e i geniali letti

che tosto hanno a lasciare a strane genti.

Tratta la cosa era in periglio tanto,

quando 'l re giunse, e suoi baroni accanto.

14

Carlo si volse a quelle man robuste

ch'ebbe altre volte a gran bisogni pronte.

— Non sète quelli voi, che meco fuste

contra Agolante (disse) in Aspramonte?

Sono le forze vostre ora sì fruste,

che, s'uccideste lui, Troiano e Almonte

con centomila, or ne temete un solo

pur di quel sangue e pur di quello stuolo?

15

Perché debbo vedere in voi fortezza

ora minor ch'io la vedessi allora?

Mostrate a questo can vostra prodezza,

a questo can che gli uomini devora.

Un magnanimo cor morte non prezza,

presta o tarda che sia, pur che ben muora.

Ma dubitar non posso ove voi sète,

che fatto sempre vincitor m'avete. —

16

Al fin de le parole urta il destriero,

con l'asta bassa, al Saracino adosso.

Mossesi a un tratto il paladino Ugiero,

a un tempo Namo ed Ulivier si è mosso,

Avino, Avolio, Otone e Berlingiero,

ch'un senza l'altro mai veder non posso:

e ferir tutti sopra a Rodomonte

e nel petto e nei fianchi e ne la fronte.

17

Ma lasciamo, per Dio, Signore, ormai

di parlar d'ira e di cantar di morte;

e sia per questa volta detto assai

del Saracin non men crudel che forte:

che tempo è ritornar dov'io lasciai

Grifon, giunto a Damasco in su le porte

con Orrigille perfida, e con quello

ch'adulter era, e non di lei fratello.

18

De le più ricche terre di Levante,

de le più populose e meglio ornate

si dice esser Damasco, che distante

siede a Ierusalem sette giornate,

in un piano fruttifero e abondante,

non men giocondo il verno, che l'estate.

A questa terra il primo raggio tolle

de la nascente aurora un vicin colle.

19

Per la città duo fiumi cristallini

vanno inaffiando per diversi rivi

un numero infinito di giardini,

non mai di fior, non mai di fronde privi.

Dicesi ancor, che macinar molini

potrian far l'acque lanfe che son quivi;

e chi va per le vie vi sente, fuore

di tutte quelle case, uscire odore.

20

Tutta coperta è la strada maestra

di panni di diversi color lieti;

e d'odorifera erba, e di silvestra

fronda la terra e tutte le pareti.

Adorna era ogni porta, ogni finestra

di finissimi drappi e di tapeti,

ma più di belle e ben ornate donne

di ricche gemme e di superbe gonne.

21

Vedeasi celebrar dentr'alle porte,

in molti lochi, solazzevol balli;

il popul, per le vie, di miglior sorte

maneggiar ben guarniti e bei cavalli:

facea più bel veder la ricca corte

de' signor, de' baroni e de' vasalli,

con ciò che d'India e d'eritree maremme

di perle aver si può, d'oro e di gemme.

22

Venia Grifone e la sua compagnia

mirando e quinci e quindi il tutto ad agio,

quando fermolli un cavalliero in via,

e gli fece smontare a un suo palagio;

e per l'usanza e per sua cortesia

di nulla lasciò lor patir disagio.

Li fe' nel bagno entrar, poi con serena

fronte gli accolse a sontuosa cena.

23

E narrò lor come il re Norandino,

re di Damasco e di tutta Soria,

fatto avea il paesano e 'l peregrino

ch'ordine avesse di cavalleria,

alla giostra invitar, ch'al matutino

del dì sequente in piazza si faria;

e che s'avean valor pari al sembiante,

potrian mostrarlo senza andar più inante.

24

Ancor che quivi non venne Grifone

a questo effetto, pur lo 'nvito tenne;

che qual volta se n'abbia occasione,

mostrar virtude mai non disconvenne.

Interrogollo poi de la cagione

di quella festa, e s'ella era solenne

usata ogn'anno, o pure impresa nuova

del re ch'i suoi veder volesse in pruova.

25

Rispose il cavallier: — La bella festa

s'ha da far sempre ad ogni quarta luna:

de l'altre che verran, la prima è questa:

ancora non se n'è fatta più alcuna.

Sarà in memoria che salvò la testa

il re in tal giorno da una gran fortuna,

dopo che quattro mesi in doglie e 'n pianti

sempre era stato, e con la morte inanti.

26

Ma per dirvi la cosa pienamente,

il nostro re, che Norandin s'appella,

molti e molt'anni ha avuto il core ardente

de la leggiadra e sopra ogn'altra bella

figlia del re di Cipro: e finalmente

avutala per moglie, iva con quella,

con cavallieri e donne in compagnia;

e dritto avea il camin verso Soria.

27

Ma poi che fummo tratti a piene vele

lungi dal porto nel Carpazio iniquo,

la tempesta saltò tanto crudele,

che sbigottì sin al padrone antiquo.

Tre dì e tre notti andammo errando ne le

minacciose onde per camino obliquo.

Uscimo al fin nel lito stanchi e molli,

tra freschi rivi, ombrosi e verdi colli.

28

Piantare i padiglioni, e le cortine

fra gli arbori tirar facemo lieti.

S'apparechiano i fuochi e le cucine;

le mense d'altra parte in su tapeti.

Intanto il re cercando alle vicine

valli era andato e a' boschi più secreti,

se ritrovasse capre o daini o cervi;

e l'arco gli portar dietro duo servi.

29

Mentre aspettamo, in gran piacer sedendo,

che da cacciar ritorni il signor nostro,

vedemo l'Orco a noi venir correndo

lungo il lito del mar, terribil mostro.

Dio vi guardi, signor, che 'l viso orrendo

de l'Orco agli occhi mai vi sia dimostro:

meglio è per fama aver notizia d'esso,

ch'andargli, si che lo veggiate, appresso.

30

Non gli può comparir quanto sia lungo,

sì smisuratamente è tutto grosso.

In luogo d'occhi, di color di fungo

sotto la fronte ha duo coccole d'osso.

Verso noi vien (come vi dico) lungo

il lito, e par ch'un monticel sia mosso.

Mostra le zanne fuor, come fa il porco;

ha lungo il naso, il sen bavoso e sporco.

31

Correndo viene, e 'l muso a guisa porta

che 'l bracco suol, quando entra in su la traccia.

Tutti che lo veggiam, con faccia smorta

in fuga andamo ove il timor ne caccia.

Poco il veder lui cieco ne conforta,

quando, fiutando sol, par che più faccia,

ch'altri non fa, ch'abbia odorato e lume:

e bisogno al fuggire eran le piume.

32

Corron chi qua chi là; ma poco lece

da lui fuggir, veloce più che 'l Noto.

Di quaranta persone, a pena diece

sopra il navilio si salvaro a nuoto.

Sotto il braccio un fastel d'alcuni fece,

né il grembio si lasciò né il seno voto;

un suo capace zaino empissene anco,

che gli pendea, come a pastor, dal fianco.

33

Portòci alla sua tana il mostro cieco,

cavata in lito al mar dentr'uno scoglio.

Di marmo così bianco è quello speco,

come esser soglia ancor non scritto foglio.

Quivi abitava una matrona seco,

di dolor piena in vista e di cordoglio;

ed avea in compagnia donne e donzelle

d'ogni età, d'ogni sorte, e brutte e belle.

34

Era presso alla grotta in ch'egli stava,

quasi alla cima del giogo superno,

un'altra non minor di quella cava,

dove del gregge suo facea governo.

Tanto n'avea, che non si numerava;

e n'era egli il pastor l'estate e 'l verno.

Ai tempi suoi gli apriva e tenea chiuso,

per spasso che n'avea, più che per uso.

35

L'umana carne meglio gli sapeva:

e prima il fa veder ch'all'antro arrivi;

che tre de' nostri giovini ch'aveva,

tutti li mangia, anzi trangugia vivi.

Viene alla stalla, e un gran sasso ne leva:

ne caccia il gregge, e noi riserra quivi.

Con quel sen va dove il suol far satollo,

sonando una zampogna ch'avea in collo.

36

Il signor nostro intanto ritornato

alla marina, il suo danno comprende;

che truova gran silenzio in ogni lato,

voti frascati, padiglioni e tende.

Né sa pensar chi sì l'abbia rubato;

e pien di gran timore al lito scende,

onde i nocchieri suoi vede in disparte

sarpar lor ferri e in opra por le sarte.

37

Tosto ch'essi lui veggiono sul lito,

il palischermo mandano a levarlo:

ma non sì tosto ha Norandino udito

de l'Orco che venuto era a rubarlo,

che, senza più pensar, piglia partito,

dovunque andato sia, di seguitarlo.

Vedersi tor Lucina sì gli duole,

ch'o racquistarla, o non più viver vuole.

38

Dove vede apparir lungo la sabbia

la fresca orma, ne va con quella fretta

con che lo spinge l'amorosa rabbia,

fin che giunge alla tana ch'io v'ho detta;

ove con tema la maggior che s'abbia

a patir mai, l'Orco da noi s'aspetta:

ad ogni suono di sentirlo parci,

ch'affamato ritorni a divorarci.

39

Quivi Fortuna il re da tempo guida,

che senza l'Orco in casa era la moglie.

Come ella 'l vede: — Fuggine! (gli grida)

misero te, se l'Orco ti ci coglie! —

— Coglia (disse) o non coglia, o salvi o uccida,

che miserrimo i' sia non mi si toglie.

Disir mi mena, e non error di via,

c'ho di morir presso alla moglie mia. —

40

Poi seguì, dimandandole novella

di quei che prese l'Orco in su la riva;

prima degli altri, di Lucina bella,

se l'avea morta, o la tenea captiva.

La donna umanamente gli favella,

e lo conforta, che Lucina è viva,

e che non è alcun dubbio ch'ella muora;

che mai femina l'Orco non divora.

41

— Esser di ciò argumento ti poss'io,

e tutte queste donne che son meco:

né a me né a lor mai l'Orco è stato rio,

pur che non ci scostian da questo speco.

A chi cerca fuggir, pon grave fio;

né pace mai puon ritrovar più seco:

o le sotterra vive, o l'incatena,

o fa star nude al sol sopra l'arena.

42

Quando oggi egli portò qui la tua gente,

le femine dai maschi non divise;

ma, sì come gli avea, confusamente

dentro a quella spelonca tutti mise.

Sentirà a naso il sesso differente.

Le donne non temer che sieno uccise:

gli uomini, siene certo; ed empieranne

di quattro, il giorno, o sei, l'avide canne.

43

Di levar lei di qui non ho consiglio

che dar ti possa; e contentar ti puoi

che ne la vita sua non è periglio:

starà qui al ben e al mal ch'avremo noi.

Ma vattene, per Dio, vattene, figlio,

che l'Orco non ti senta e non t'ingoi.

Tosto che giunge, d'ogn'intorno annasa,

e sente sin a un topo che sia in casa. —

44

Rispose il re, non si voler partire,

se non vedea la sua Lucina prima;

e che più tosto appresso a lei morire,

che viverne lontan, faceva stima.

Quando vede ella non potergli dire

cosa che 'l muova da la voglia prima,

per aiutarlo fa nuovo disegno,

e ponvi ogni sua industria, ogni suo ingegno.

45

Morte avea in casa, e d'ogni tempo appese,

con lor mariti, assai capre ed agnelle,

onde a sé ed alle sue facea le spese;

e dal tetto pendea più d'una pelle.

La donna fe' che 'l re del grasso prese,

ch'avea un gran becco intorno alle budelle,

e che se n'unse dal capo alle piante,

fin che l'odor cacciò ch'egli ebbe inante.

46

E poi che 'l tristo puzzo aver le parve,

di che il fetido becco ognora sape,

piglia l'irsuta pelle, e tutto entrarve

lo fe'; ch'ella è sì grande che lo cape.

Coperto sotto a così strane larve,

facendol gir carpon, seco lo rape

là dove chiuso era d'un sasso grave

de la sua donna il bel viso soave.

47

Norandino ubidisce; ed alla buca

de la spelonca ad aspettar si mette,

acciò col gregge dentro si conduca;

e fin a sera disiando stette.

Ode la sera il suon de la sambuca,

con che 'nvita a lassar l'umide erbette,

e ritornar le pecore all'albergo

il fier pastor che lor venìa da tergo.

48

Pensate voi se gli tremava il core,

quando l'Orco sentì che ritornava,

e che 'l viso crudel pieno d'orrore

vide appressare all'uscio de la cava;

ma poté la pietà più che 'l timore:

s'ardea, vedete, o se fingendo amava.

Vien l'Orco inanzi, e leva il sasso, ed apre:

Norandino entra fra pecore e capre.

49

Entrato il gregge, l'Orco a noi descende;

ma prima sopra sé l'uscio si chiude.

Tutti ne va fiutando: al fin duo prende;

che vuol cenar de le lor carni crude.

Al rimembrar di quelle zanne orrende,

non posso far ch'ancor non trieme e sude.

Partito l'Orco, il re getta la gonna

ch'avea di becco, e abbraccia la sua donna.

50

Dove averne piacer deve e conforto,

vedendol quivi, ella n'ha affanno e noia:

lo vede giunto ov'ha da restar morto;

e non può far però ch'essa non muoia.

— Con tutto 'l mal (diceagli) ch'io supporto,

signor, sentia non mediocre gioia,

che ritrovato non t'eri con nui

quando da l'Orco oggi qui tratta fui.

51

Che se ben il trovarmi ora in procinto

d'uscir di vita m'era acerbo e forte;

pur mi sarei, come è commune istinto,

dogliuta sol de la mia trista sorte:

ma ora, o prima o poi che tu sia estinto,

più mi dorrà la tua che la mia morte. —

E seguitò, mostrando assai più affanno

di quel di Norandin, che del suo danno.

52

— La speme (disse il re) mi fa venire,

c'ho di salvarti, e tutti questi teco:

e s'io nol posso far, meglio è morire,

che senza te, mio sol, viver poi cieco.

Come io ci venni, mi potrò partire;

e voi tutt'altri ne verrete meco,

se non avrete, come io non ho avuto,

schivo a pigliare odor d'animal bruto. —

53

La fraude insegnò a noi, che contra il naso

de l'Orco insegnò a lui la moglie d'esso;

di vestirci le pelli, in ogni caso

ch'egli ne palpi ne l'uscir del fesso.

Poi che di questo ognun fu persuaso;

quanti de l'un, quanti de l'altro sesso

ci ritroviamo, uccidian tanti becchi,

quelli che più fetean, ch'eran più vecchi.

54

Ci ungemo i corpi di quel grasso opimo

che ritroviamo all'intestina intorno,

e de l'orride pelli ci vestimo.

Intanto uscì da l'aureo albergo il giorno.

Alla spelonca, come apparve il primo

raggio del sol, fece il pastor ritorno;

e dando spirto alle sonore canne,

chiamò il suo gregge fuor de le capanne.

55

Tenea la mano al buco de la tana,

acciò col gregge non uscissin noi:

ci prendea al varco; e quando pelo o lana

sentia sul dosso, ne lasciava poi.

Uomini e donne uscimmo per sì strana

strada, coperti dagl'irsuti cuoi:

e l'Orco alcun di noi mai non ritenne,

fin che con gran timor Lucina venne.

56

Lucina, o fosse perch'ella non volle

ungersi come noi, che schivo n'ebbe;

o ch'avesse l'andar più lento e molle,

che l'imitata bestia non avrebbe;

o quando l'Orco la groppa toccolle,

gridasse per la tema che le accrebbe;

o che se le sciogliessero le chiome;

sentita fu, né ben so dirvi come.

57

Tutti eravam sì intenti al caso nostro,

che non avemmo gli occhi agli altrui fatti.

Io mi rivolsi al grido; e vidi il mostro

che già gl'irsuti spogli le avea tratti,

e fattola tornar nel cavo chiostro.

Noi altri dentro a nostre gonne piatti

col gregge andamo ove 'l pastor ci mena,

tra verdi colli in una piaggia amena.

58

Quivi attendiamo infin che steso all'ombra

d'un bosco opaco il nasuto Orco dorma.

Chi lungo il mar, chi verso 'l monte sgombra:

sol Norandin non vuol seguir nostr'orma.

L'amor de la sua donna sì lo 'ngombra,

ch'alla grotta tornar vuol fra la torma,

né partirsene mai sin alla morte,

se non racquista la fedel consorte:

59

che quando dianzi avea all'uscir del chiuso

vedutala restar captiva sola,

fu per gittarsi, dal dolor confuso,

spontaneamente al vorace Orco in gola;

e si mosse, e gli corse infino al muso,

né fu lontano a gir sotto la mola:

ma pur lo tenne in mandra la speranza

ch'avea di trarla ancor di quella stanza.

60

La sera, quando alla spelonca mena

il gregge l'Orco, e noi fuggiti sente,

e c'ha da rimaner privo di cena,

chiama Lucina d'ogni mal nocente,

e la condanna a star sempre in catena

allo scoperto in sul sasso eminente.

Vedela il re per sua cagion patire,

e si distrugge, e sol non può morire.

61

Matina e sera l'infelice amante

la può veder come s'affliga e piagna;

che le va misto fra le capre avante,

torni alla stalla o torni alla campagna.

Ella con viso mesto e supplicante

gli accenna che per Dio non vi rimagna,

perché vi sta a gran rischio de la vita,

né però a lei può dare alcuna aita.

62

Così la moglie ancor de l'Orco priega

il re che se ne vada, ma non giova;

che d'andar mai senza Lucina niega,

e sempre più costante si ritruova.

In questa servitude, in che lo lega

Pietate e Amor, stette con lunga pruova

tanto, ch'a capitar venne a quel sasso

il figlio d'Agricane e 'l re Gradasso.

63

Dove con loro audacia tanto fenno,

che liberaron la bella Lucina;

ben che vi fu aventura più che senno:

e la portar correndo alla marina;

e al padre suo, che quivi era, la denno:

e questo fu ne l'ora matutina,

che Norandin con l'altro gregge stava

a ruminar ne la montana cava.

64

Ma poi che 'l giorno aperta fu la sbarra,

e seppe il re la donna esser partita

(che la moglie de l'Orco gli lo narra),

e come a punto era la cosa gita;

grazie a Dio rende, e con voto n'inarra,

ch'essendo fuor di tal miseria uscita,

faccia che giunga onde per arme possa,

per prieghi o per tesoro, esser riscossa.

65

Pien di letizia va con l'altra schiera

del simo gregge, e viene ai verdi paschi;

e quivi aspetta fin ch'all'ombra nera

il mostro per dormir ne l'erba caschi.

Poi ne vien tutto il giorno e tutta sera;

e al fin sicur che l'Orco non lo 'ntaschi,

sopra un navilio monta in Satalia;

e son tre mesi ch'arrivò in Soria.

66

In Rodi, in Cipro, e per città e castella

e d'Africa e d'Egitto e di Turchia,

il re cercar fe' di Lucina bella;

né fin l'altr'ieri aver ne poté spia.

L'altr'ier n'ebbe dal suocero novella,

che seco l'avea salva in Nicosia,

dopo che molti dì vento crudele

era stato contrario alle sue vele.

67

Per allegrezza de la buona nuova

prepara il nostro re la ricca festa;

e vuol ch'ad ogni quarta luna nuova,

una se n'abbia a far simile a questa:

che la memoria rifrescar gli giova

dei quattro mesi che 'n irsuta vesta

fu tra il gregge de l'Orco; e un giorno, quale

sarà dimane, uscì di tanto male.

68

Questo ch'io v'ho narrato, in parte vidi,

in parte udi' da chi trovossi al tutto;

dal re, vi dico, che calende ed idi

vi stette, fin che volse in riso il lutto:

e se n'udite mai far altri gridi,

direte a chi gli fa, che mal n'è istrutto. —

Il gentiluomo in tal modo a Grifone

de la festa narrò l'alta cagione.

69

Un gran pezzo di notte si dispensa

dai cavallieri in tal ragionamento;

e conchiudon ch'amore e pietà immensa

mostrò quel re con grande esperimento.

Andaron, poi che si levar da mensa,

ove ebbon grato e buono alloggiamento.

Nel seguente matin sereno e chiaro,

al suon de l'allegrezze si destaro.

70

Vanno scorrendo timpani e trombette,

e ragunando in piazza la cittade.

Or, poi che de cavalli e de carrette

e ribombar de gridi odon le strade,

Grifon le lucide arme si rimette,

che son di quelle che si trovan rade;

che l'avea impenetrabili e incantate

la Fata bianca di sua man temprate.

71

Quel d'Antiochia, più d'ogn'altro vile,

armossi seco, e compagnia gli tenne.

Preparate avea lor l'oste gentile

nerbose lance, e salde e grosse antenne,

e del suo parentado non umìle

compagnia tolta; e seco in piazza venne;

e scudieri a cavallo, e alcuni a piede,

a tal servigi attissimi, lor diede.

72

Giunsero in piazza, e trassonsi in disparte,

né pel campo curar far di sé mostra,

per veder meglio il bel popul di Marte,

ch'ad uno, o a dua, o a tre, veniano in giostra.

Chi con colori accompagnati ad arte

letizia o doglia alla sua donna mostra;

chi nel cimier, chi nel dipinto scudo

disegna Amor, se l'ha benigno o crudo.

73

Soriani in quel tempo aveano usanza

d'armarsi a questa guisa di Ponente.

Forse ve gli inducea la vicinanza

che de' Franceschi avean continuamente,

che quivi allor reggean la sacra stanza

dove in carne abitò Dio onnipotente;

ch'ora i superbi e miseri cristiani,

con biasmi lor, lasciano in man de' cani.

74

Dove abbassar dovrebbono la lancia

in augumento de la santa fede,

tra lor si dan nel petto e ne la pancia

a destruzion del poco che si crede.

Voi, gente ispana, e voi, gente di Francia,

volgete altrove, e voi, Svizzeri, il piede,

e voi, Tedeschi, a far più degno acquisto;

che quanto qui cercate è già di Cristo.

75

Se Cristianissimi esser voi volete,

e voi altri Catolici nomati,

perché di Cristo gli uomini uccidete?

perché de' beni lor son dispogliati?

Perché Ierusalem non riavete,

che tolto è stato a voi da' rinegati?

Perché Costantinopoli e del mondo

la miglior parte occupa il Turco immondo?

76

Non hai tu, Spagna, l'Africa vicina,

che t'ha via più di questa Italia offesa?

E pur, per dar travaglio alla meschina,

lasci la prima tua sì bella impresa.

O d'ogni vizio fetida sentina,

dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa

ch'ora di questa gente, ora di quella

che già serva ti fu, sei fatta ancella?

77

Se 'l dubbio di morir ne le tue tane,

Svizzer, di fame, in Lombardia ti guida,

e tra noi cerchi o chi ti dia del pane,

o, per uscir d'inopia, chi t'uccida;

le richezze del Turco hai non lontane:

caccial d'Europa, o almen di Grecia snida;

così potrai o del digiuno trarti,

o cader con più merto in quelle parti.

78

Quel ch'a te dico, io dico al tuo vicino

tedesco ancor; là le richezze sono,

che vi portò da Roma Costantino:

portonne il meglio, e fe' del resto dono.

Pattolo ed Ermo onde si tra' l'or fino,

Migdonia e Lidia, e quel paese buono

per tante laudi in tante istorie noto,

non è, s'andar vi vuoi, troppo remoto.

79

Tu, gran Leone, a cui premon le terga

de le chiavi del ciel le gravi some,

non lasciar che nel sonno si sommerga

Italia, se la man l'hai ne le chiome.

Tu sei Pastore; e Dio t'ha quella verga

data a portare, e scelto il fiero nome,

perché tu ruggi, e che le braccia stenda,

sì che dai lupi il grege tuo difenda.

80

Ma d'un parlar ne l'altro, ove sono ito

sì lungi, dal camin ch'io faceva ora?

Non lo credo però sì aver smarrito,

ch'io non lo sappia ritrovare ancora.

Io dicea ch'in Soria si tenea il rito

d'armarsi, che i Franceschi aveano allora:

sì che bella in Damasco era la piazza

di gente armata d'elmo e di corazza.

81

Le vaghe donne gettano dai palchi

sopra i giostranti fior vermigli e gialli,

mentre essi fanno a suon degli oricalchi

levare a salti ed aggirar cavalli.

Ciascuno, o bene o mal ch'egli cavalchi,

vuol far quivi vedersi, e sprona e dàlli:

di ch'altri ne riporta pregio e lode;

mentre altri a riso, e gridar dietro s'ode.

82

De la giostra era il prezzo un'armatura

che fu donata al re pochi dì inante,

che su la strada ritrovò a ventura,

ritornando d'Armenia, un mercatante.

Il re di nobilissima testura

le sopraveste all'arme aggiunse, e tante

perle vi pose intorno e gemme ed oro,

che la fece valer molto tesoro.

83

Se conosciute il re quell'arme avesse,

care avute l'avria sopra ogni arnese;

né in premio de la giostra l'avria messe,

come che liberal fosse e cortese.

Lungo saria chi raccontar volesse

chi l'avea sì sprezzate e vilipese,

che 'n mezzo de la strada le lasciasse,

preda chiunque o inanzi o indietro andasse.

84

Di questo ho da contarvi più di sotto:

or dirò di Grifon, ch'alla sua giunta

un paio e più di lance trovò rotto,

menato più d'un taglio e d'una punta.

Dei più cari e più fidi al re fur otto

che quivi insieme avean lega congiunta;

gioveni; in arme pratichi ed industri,

tutti o signori o di famiglie illustri.

85

Quei rispondean ne la sbarrata piazza

per un dì, ad uno ad uno, a tutto 'l mondo,

prima con lancia, e poi con spada o mazza,

fin ch'al re di guardarli era giocondo;

e si foravan spesso la corazza:

per giuoco in somma qui facean, secondo

fan gli nimici capitali, eccetto

che potea il re partirli a suo diletto.

86

Quel d'Antiochia, un uom senza ragione,

che Martano il codardo nominosse,

come se de la forza di Grifone,

poi ch'era seco, participe fosse,

audace entrò nel marziale agone;

e poi da canto ad aspettar fermosse,

sin che finisce una battaglia fiera

che tra duo cavallier cominciata era.

87

Il signor di Seleucia, di quell'uno,

ch'a sostener l'impresa aveano tolto,

combattendo in quel tempo con Ombruno,

lo ferì d'una punta in mezzo 'l volto,

sì che l'uccise: e pietà n'ebbe ognuno,

perché buon cavallier lo tenean molto;

ed oltra la bontade, il più cortese

non era stato in tutto quel paese.

88

Veduto ciò, Martano ebbe paura

che parimente a sé non avvenisse;

e ritornando ne la sua natura,

a pensar cominciò come fugisse.

Grifon, che gli era appresso e n'avea cura,

lo spinse pur, poi ch'assai fece e disse,

contra un gentil guerrier che s'era mosso,

come si spinge il cane al lupo adosso;

89

che dieci passi gli va dietro o venti,

e poi si ferma, ed abbaiando guarda

come digrigni i minacciosi denti,

come negli occhi orribil fuoco gli arda.

Quivi ov'erano e principi presenti

e tanta gente nobile e gagliarda,

fuggì lo 'ncontro il timido Martano,

e torse 'l freno e 'l capo a destra mano.

90

Pur la colpa potea dar al cavallo,

chi di scusarlo avesse tolto il peso;

ma con la spada poi fe' sì gran fallo,

che non l'avria Demostene difeso.

Di carta armato par, non di metallo;

sì teme da ogni colpo essere offeso.

Fuggesi al fine, e gli ordini disturba,

ridendo intorno a lui tutta la turba.

91

Il batter de le mani, il grido intorno

se gli levò del populazzo tutto.

Come lupo cacciato, fe' ritorno

Martano in molta fretta al suo ridutto.

Resta Grifone; e gli par de lo scorno

del suo compagno esser macchiato e brutto:

esser vorrebbe stato in mezzo il foco,

più tosto che trovarsi in questo loco.

92

Arde nel core, e fuor nel viso avampa,

come sia tutta sua quella vergogna;

perché l'opere sue di quella stampa

vedere aspetta il populo ed agogna:

sì che rifulga chiara più che lampa

sua virtù, questa volta gli bisogna;

ch'un'oncia, un dito sol d'error che faccia,

per la mala impression parrà sei braccia.

93

Già la lancia avea tolta su la coscia

Grifon, ch'errare in arme era poco uso:

spinse il cavallo a tutta briglia, e poscia

ch'alquanto andato fu, la messe suso,

e portò nel ferire estrema angoscia

al baron di Sidonia, ch'andò giuso.

Ognun maravigliando in pié si leva;

che 'l contrario di ciò tutto attendeva.

94

Tornò Grifon con la medesma antenna,

che 'ntiera e ferma ricovrata avea,

ed in tre pezzi la roppe alla penna

de lo scudo al signor di Lodicea.

Quel per cader tre volte e quattro accenna,

che tutto steso alla groppa giacea:

pur rilevato al fin la spada strinse,

voltò il cavallo, e vêr Grifon si spinse.

95

Grifon, che 'l vede in sella, e che non basta

sì fiero incontro perché a terra vada,

dice fra sé: — Quel che non poté l'asta,

in cinque colpi o 'n sei farà la spada. —

E su la tempia subito l'attasta

d'un dritto tal, che par che dal ciel cada;

e un altro gli accompagna e un altro appresso,

tanto che l'ha stordito e in terra messo.

96

Quivi erano d'Apamia duo germani,

soliti in giostra rimaner di sopra,

Tirse e Corimbo; ed ambo per le mani

del figlio d'Uliver cader sozzopra.

L'uno gli arcion lascia allo scontro vani;

con l'altro messa fu la spada in opra.

Già per commun giudicio si tien certo

che di costui fia de la giostra il merto.

97

Ne la lizza era entrato Salinterno,

gran diodarro e maliscalco regio,

e che di tutto 'l regno avea il governo,

e di sua mano era guerriero egregio.

Costui, sdegnoso ch'un guerriero esterno

debba portar di quella giostra il pregio,

piglia una lancia, e verso Grifon grida,

e molto minacciandolo lo sfida.

98

Ma quel con un lancion gli fa risposta,

ch'avea per lo miglior fra dieci eletto,

e per non far error, lo scudo apposta,

e via lo passa e la corazza e 'l petto:

passa il ferro crudel tra costa e costa,

e fuor pel tergo un palmo esce di netto.

Il colpo, eccetto al re, fu a tutti caro;

ch'ognuno odiava Salinterno avaro.

99

Grifone, appresso a questi, in terra getta

duo di Damasco, Ermofilo e Carmondo.

La milizia del re dal primo è retta;

del mar grande almiraglio è quel secondo.

Lascia allo scontro l'un la sella in fretta:

adosso all'altro si riversa il pondo

del rio destrier, che sostener non puote

l'alto valor con che Grifon percuote.

100

Il signor di Seleucia ancor restava,

miglior guerrier di tutti gli altri sette;

e ben la sua possanza accompagnava

con destrier buono e con arme perfette.

Dove de l'elmo la vista si chiava,

l'asta allo scontro l'uno e l'altro mette;

pur Grifon maggior colpo al pagan diede,

che lo fe' staffeggiar dal manco piede.

101

Gittaro i tronchi, e si tornaro adosso

pieni di molto ardir coi brandi nudi.

Fu il pagan prima da Grifon percosso

d'un colpo che spezzato avria gl'incudi.

Con quel fender si vide e ferro ed osso

d'un ch'eletto s'avea tra mille scudi;

e se non era doppio e fin l'arnese,

ferìa la coscia ove cadendo scese.

102

Ferì quel di Seleucia alla visera

Grifone a un tempo; e fu quel colpo tanto,

che l'avria aperta e rotta, se non era

fatta, come l'altr'arme, per incanto.

Gli è un perder tempo che 'l pagan più fera:

così son l'arme dure in ogni canto:

e 'n più parti Grifon già fessa e rotta

ha l'armatura a lui, né perde botta.

103

Ognun potea veder quanto di sotto

il signor di Seleucia era a Grifone;

e se partir non li fa il re di botto,

quel che sta peggio, la vita vi pone.

Fe' Norandino alla sua guardia motto

ch'entrasse a distaccar l'aspra tenzone.

Quindi fu l'uno, e quindi l'altro tratto;

e fu lodato il re di sì buon atto.

104

Gli otto che dianzi avean col mondo impresa,

e non potuto durar poi contra uno,

avendo mal la parte lor difesa,

usciti eran dal campo ad uno ad uno.

Gli altri ch'eran venuti a lor contesa,

quivi restar senza contrasto alcuno,

avendo lor Grifon, solo, interrotto

quel che tutti essi avean da far contra otto.

105

E durò quella festa così poco,

ch'in men d'un'ora il tutto fatto s'era:

ma Norandin, per far più lungo il giuoco

e per continuarlo infino a sera,

dal palco scese, e fe' sgombrare il loco;

e poi divise in due la grossa schiera,

indi, secondo il sangue e la lor prova,

gli andò accoppiando, e fe' una giostra nova.

106

Grifone intanto avea fatto ritorno

alla sua stanza pien d'ira e di rabbia

e più gli preme di Martan lo scorno

che non giova l'onor ch'esso vinto abbia.

Quivi, per tor l'obbrobrio ch'avea intorno,

Martano adopra le mendaci labbia:

e l'astuta e bugiarda meretrice,

come meglio sapea, gli era adiutrice.

107

O sì o no che 'l giovin gli credesse,

pur la scusa accettò, come discreto:

e pel suo meglio allora allora elesse

quindi levarsi tacito e secreto,

per tema che, se 'l populo vedesse

Martano comparir, non stesse cheto.

Così per una via nascosa e corta

usciro al camin lor fuor de la porta.

108

Grifone, o ch'egli o che 'l cavallo fosse

stanco, o gravasse il sonno pur le ciglia,

al primo albergo che trovar, fermosse,

che non erano andati oltre a dua miglia.

Si trasse l'elmo, e tutto disarmosse,

e trar fece a' cavalli e sella e briglia;

e poi serrossi in camera soletto,

e nudo per dormire entrò nel letto.

109

Non ebbe così tosto il capo basso,

che chiuse gli occhi, e fu dal sonno oppresso

così profundamente, che mai tasso

né ghiro mai s'addormentò quanto esso.

Martano in tanto ed Orrigille a spasso

entraro in un giardin ch'era lì appresso;

ed un inganno ordir, che fu il più strano

che mai cadesse in sentimento umano.

110

Martano disegnò torre il destriero,

i panni e l'arme che Grifon s'ha tratte;

e andare inanzi al re pel cavalliero

che tante pruove avea giostrando fatte.

L'effetto ne seguì, fatto il pensiero:

tolle il destrier più candido che latte,

scudo e cimiero ed arme e sopraveste,

e tutte di Grifon l'insegne veste.

111

Con gli scudieri e con la donna, dove

era il popolo ancora, in piazza venne;

e giunse a tempo che finian le pruove

di girar spade e d'arrestare antenne.

Commanda il re che 'l cavallier si truove,

che per cimier avea le bianche penne,

bianche le vesti e bianco il corridore;

che 'l nome non sapea del vincitore.

112

Colui ch'indosso il non suo cuoio aveva,

come l'asino già quel del leone,

chiamato, se n'andò, come attendeva,

a Norandino, in loco di Grifone.

Quel re cortese incontro se gli leva,

l'abbraccia e bacia, e allato se lo pone:

né gli basta onorarlo e dargli loda,

che vuol che 'l suo valor per tutto s'oda.

113

E fa gridarlo al suon degli oricalchi

vincitor de la giostra di quel giorno.

L'alta voce ne va per tutti i palchi,

che 'l nome indegno udir fa d'ogn'intorno.

Seco il re vuol ch'a par a par cavalchi,

quando al palazzo suo poi fa ritorno;

e di sua grazia tanto gli comparte,

che basteria, se fosse Ercole o Marte.

114

Bello ed ornato alloggiamento dielli

in corte, ed onorar fece con lui

Orrigille anco; e nobili donzelli

mandò con essa, e cavallieri sui.

Ma tempo è ch'anco di Grifon favelli,

il qual né dal compagno né d'altrui

temendo inganno, addormentato s'era,

né mai si risvegliò fin alla sera.

115

Poi che fu desto, e che de l'ora tarda

s'accorse, uscì di camera con fretta,

dove il falso cognato e la bugiarda

Orrigille lasciò con l'altra setta;

e quando non gli truova, e che riguarda

non v'esser l'arme né i panni, sospetta;

ma il veder poi più sospettoso il fece

l'insegne del compagno in quella vece.

116

Sopravien l'oste, e di colui l'informa

che già gran pezzo, di bianch'arme adorno,

con la donna e col resto de la torma

avea ne la città fatto ritorno.

Truova Grifone a poco a poco l'orma

ch'ascosa gli avea Amor fin a quel giorno;

e con suo gran dolor vede esser quello

adulter d'Orrigille, e non fratello.

117

Di sua sciocchezza indarno ora si duole,

ch'avendo il ver dal peregrino udito,

lasciato mutar s'abbia alle parole

di chi l'avea più volte già tradito.

Vendicar si potea, né seppe; or vuole

l'inimico punir, che gli è fuggito;

ed è costretto con troppo gran fallo

a tor di quel vil uom l'arme e 'l cavallo.

118

Eragli meglio andar senz'arme e nudo,

che porsi indosso la corazza indegna,

o ch'imbracciar l'abominato scudo,

o por su l'elmo la beffata insegna;

ma per seguir la meretrice e 'l drudo,

ragione in lui pari al disio non regna.

A tempo venne alla città, ch'ancora

il giorno avea quasi di vivo un'ora.

119

Presso alla porta ove Grifon venìa,

siede a sinistra un splendido castello,

che, più che forte e ch'a guerre atto sia,

di ricche stanze è accommodato e bello.

I re, i signori, i primi di Soria

con alte donne in un gentil drappello

celebravano quivi in loggia amena

la real sontuosa e lieta cena.

120

La bella loggia sopra 'l muro usciva

con l'alta rocca fuor de la cittade;

e lungo tratto di lontan scopriva

i larghi campi e le diverse strade.

Or che Grifon verso la porta arriva

con quell'arme d'obbrobrio e di viltade,

fu con non troppa aventurosa sorte

dal re veduto e da tutta la corte:

121

e riputato quel di ch'avea insegna,

mosse le donne e i cavallieri a riso.

Il vil Martano, come quel che regna

in gran favor, dopo 'l re è 'l primo assiso,

e presso a lui la donna di sé degna;

dai quali Norandin con lieto viso

volse saper chi fosse quel codardo

che così avea al suo onor poco riguardo;

122

che dopo una sì trista e brutta pruova,

con tanta fronte or gli tornava inante.

Dicea: — Questa mi par cosa assai nuova,

ch'essendo voi guerrier degno e prestante,

costui compagno abbiate, che non truova,

di viltà, pari in terra di Levante.

Il fate forse per mostrar maggiore,

per tal contrario, il vostro alto valore.

123

Ma ben vi giuro per gli eterni dei,

che se non fosse ch'io riguardo a vui,

la publica ignominia gli farei,

ch'io soglio fare agli altri pari a lui.

Perpetua ricordanza gli darei,

come ognor di viltà nimico fui.

Ma sappia, s'impunito se ne parte,

grado a voi che 'l menaste in questa parte. —

124

Colui che fu de tutti i vizi il vaso,

rispose: — Alto signor, dir non sapria

chi sia costui; ch'io l'ho trovato a caso,

venendo d'Antiochia, in su la via.

Il suo sembiante m'avea persuaso

che fosse degno di mia compagnia;

ch'intesa non n'avea pruova né vista,

se non quella che fece oggi assai trista.

125

La qual mi spiacque sì, che restò poco,

che per punir l'estrema sua viltade,

non gli facessi allora allora un gioco,

che non toccasse più lance né spade:

ma ebbi, più ch'a lui, rispetto al loco,

e riverenza a vostra maestade.

Né per me voglio che gli sia guadagno

l'essermi stato un giorno o dua compagno:

126

di che contaminato anco esser parme;

e sopra il cor mi sarà eterno peso,

se, con vergogna del mestier de l'arme,

io lo vedrò da noi partire illeso:

e meglio che lasciarlo, satisfarme

potrete, se sarà d'un merlo impeso;

e fia lodevol opra e signorile,

perch'el sia esempio e specchio ad ogni vile. —

127

Al detto suo Martano Orrigille have,

senza accennar, confermatrice presta.

— Non son (rispose il re) l'opre sì prave,

ch'al mio parer v'abbia d'andar la testa.

Voglio per pena del peccato grave,

che sol rinuovi al populo la festa. —

E tosto a un suo baron, che fe' venire,

impose quanto avesse ad esequire.

128

Quel baron molti armati seco tolse,

ed alla porta de la terra scese;

e quivi con silenzio li raccolse,

e la venuta di Grifone attese:

e ne l'entrar sì d'improviso il colse,

che fra i duo ponti a salvamento il prese;

e lo ritenne con beffe e con scorno

in una oscura stanza insin al giorno.

129

Il Sole a pena avea il dorato crine

tolto di grembio alla nutrice antica,

e cominciava da le piagge alpine

a cacciar l'ombre e far la cima aprica;

quando temendo il vil Martan ch'al fine

Grifone ardito la sua causa dica,

e ritorni la colpa ond'era uscita,

tolse licenza, e fece indi partita,

130

trovando idonia scusa al priego regio,

che non stia allo spettacolo ordinato.

Altri doni gli avea fatto, col pregio

de la non sua vittoria, il signor grato;

e sopra tutto un amplo privilegio,

dov'era d'altri onori al sommo ornato.

Lasciànlo andar; ch'io vi prometto certo,

che la mercede avrà secondo il merto.

131

Fu Grifon tratto a gran vergogna in piazza,

quando più si trovò piena di gente.

Gli avean levato l'elmo e la corazza,

e lasciato in farsetto assai vilmente;

e come il conducessero alla mazza,

posto l'avean sopra un carro eminente,

che lento lento tiravan due vacche

da lunga fame attenuate e fiacche.

132

Venian d'intorno alla ignobil quadriga

vecchie sfacciate e disoneste putte,

di che n'era una ed or un'altra auriga,

e con gran biasmo lo mordeano tutte.

Lo poneano i fanciulli in maggior briga,

che, oltre le parole infami e brutte,

l'avrian coi sassi insino a morte offeso,

se dai più saggi non era difeso.

133

L'arme che del suo male erano state

cagion, che di lui fer non vero indicio,

da la coda del carro strascinate

patian nel fango debito supplicio.

Le ruote inanzi a un tribunal fermate

gli fero udir de l'altrui maleficio

la sua ignominia, che 'n sugli occhi detta

gli fu, gridando un publico trombetta.

134

Lo levar quindi, e lo mostrar per tutto

dinanzi a templi, ad officine e a case,

dove alcun nome scelerato e brutto,

che non gli fosse detto, non rimase.

Fuor de la terra all'ultimo cundutto

fu da la turba, che si persuase

bandirlo e cacciare indi a suon di busse,

non conoscendo ben ch'egli si fusse.

135

Sì tosto a pena gli sferraro i piedi

e liberargli l'una e l'altra mano,

che tor lo scudo ed impugnar gli vedi

la spada, che rigò gran pezzo il piano.

Non ebbe contra sé lance né spiedi;

che senz'arme venìa il populo insano.

Ne l'altro canto diferisco il resto;

che tempo è omai, Signor, di finir questo.

CANTO DICIOTTESIMO

1

Magnanimo Signore, ogni vostro atto

ho sempre con ragion laudato e laudo:

ben che col rozzo stil duro e mal atto

gran parte de la gloria vi defraudo.

Ma più de l'altre una virtù m'ha tratto,

a cui col core e con la lingua applaudo;

che s'ognun truova in voi ben grata udienza,

non vi truova però facil credenza.

2

Spesso in difesa del biasmato assente

indur vi sento una ed un'altra scusa,

o riserbargli almen, fin che presente

sua causa dica, l'altra orecchia chiusa;

e sempre, prima che dannar la gente,

vederla in faccia, e udir la ragion ch'usa;

differir anco e giorni e mesi ed anni,

prima che giudicar negli altrui danni.

3

Se Norandino il simil fatto avesse,

fatto a Grifon non avria quel che fece.

A voi utile e onor sempre successe:

denigrò sua fama egli più che pece.

Per lui sue genti a morte furon messe;

che fe' Grifone in dieci tagli, e in diece

punte che trasse pien d'ira e bizzarro,

che trenta ne cascaro appresso al carro.

4

Van gli altri in rotta ove il timor li caccia,

chi qua chi là, pei campi e per le strade;

e chi d'entrar ne la città procaccia,

e l'un su l'altro ne la porta cade.

Grifon non fa parole e non minaccia;

ma lasciando lontana ogni pietade,

mena tra il vulgo inerte il ferro intorno,

e gran vendetta fa d'ogni suo scorno.

5

Di quei che primi giunsero alla porta,

che le piante a levarsi ebbeno pronte,

parte, al bisogno suo molto più accorta

che degli amici, alzò subito il ponte;

piangendo parte, o con la faccia smorta

fuggendo andò senza mai volger fronte,

e ne la terra per tutte le bande

levò grido e tumulto e rumor grande.

6

Grifon gagliardo duo ne piglia in quella

che 'l ponte si levò per lor sciagura.

Sparge de l'uno al campo le cervella;

che lo percuote ad una cote dura:

prende l'altro nel petto, e l'arrandella

in mezzo alla città sopra le mura.

Scorse per l'ossa ai terrazzani il gelo,

quando vider colui venir dal cielo.

7

Fur molti che temer che 'l fier Grifone

sopra le mura avesse preso un salto.

Non vi sarebbe più confusione,

s'a Damasco il soldan desse l'assalto.

Un muover d'arme, un correr di persone,

e di talacimanni un gridar d'alto,

e di tamburi un suon misto e di trombe

il mondo assorda, e 'l ciel par ne rimbombe.

8

Ma voglio a un'altra volta differire

a ricontar ciò che di questo avenne.

Del buon re Carlo mi convien seguire,

che contra Rodomonte in fretta venne,

il qual le genti gli facea morire.

Io vi dissi ch'al re compagnia tenne

il gran Danese e Namo ed Oliviero

e Avino e Avolio e Otone e Berlingiero.

9

Otto scontri di lance, che da forza

di tali otto guerrier cacciati foro,

sostenne a un tempo la scagliosa scorza

di ch'avea armato il petto il crudo Moro.

Come legno si drizza, poi che l'orza

lenta il nochier che crescer sente il Coro,

così presto rizzossi Rodomonte

dai colpi che gittar doveano un monte.

10

Guido, Ranier, Ricardo, Salamone,

Ganelon traditor, Turpin fedele,

Angioliero, Angiolino, Ughetto, Ivone,

Marco e Matteo dal pian di san Michele,

e gli otto di che dianzi fei menzione,

son tutti intorno al Saracin crudele,

Arimanno e Odoardo d'Inghilterra,

ch'entrati eran pur dianzi ne la terra.

11

Non così freme in su lo scoglio alpino

di ben fondata rocca alta parete,

quando il furor di borea o di garbino

svelle dai monti il frassino e l'abete;

come freme d'orgoglio il Saracino,

di sdegno acceso e di sanguigna sete:

e com'a un tempo è il tuono e la saetta,

così l'ira de l'empio e la vendetta.

12

Mena alla testa a quel che gli è più presso,

che gli è il misero Ughetto di Dordona:

lo pone in terra insino ai denti fesso,

come che l'elmo era di tempra buona.

Percosso fu tutto in un tempo anch'esso

da molti colpi in tutta la persona;

ma non gli fan più ch'all'incude l'ago:

sì duro intorno ha lo scaglioso drago.

13

Furo tutti i ripar, fu la cittade

d'intorno intorno abandonata tutta;

che la gente alla piazza, dove accade

maggior bisogno, Carlo avea ridutta.

Corre alla piazza da tutte le strade

la turba, a chi il fuggir sì poco frutta.

La persona del re sì i cori accende,

ch'ognun prend'arme, ognuno animo prende.

14

Come se dentro a ben rinchiusa gabbia

d'antiqua leonessa usata in guerra,

perch'averne piacere il popul abbia,

talvolta il tauro indomito si serra;

i leoncin che veggion per la sabbia

come altiero e mugliando animoso erra,

e veder sì gran corna non son usi,

stanno da parte timidi e confusi:

15

ma se la fiera madre a quel si lancia,

e ne l'orecchio attacca il crudel dente,

vogliono anch'essi insanguinar la guancia,

e vengono in soccorso arditamente;

chi morde al tauro il dosso e chi la pancia:

così contra il pagan fa quella gente.

Da tetti e da finestre e più d'appresso

sopra gli piove un nembo d'arme e spesso.

16

Dei cavallieri e de la fanteria

tanta è la calca, ch'a pena vi cape.

La turba che vi vien per ogni via,

v'abbonda ad or ad or spessa come ape;

che quando, disarmata e nuda, sia

più facile a tagliar che torsi o rape,

non la potria, legata a monte a monte,

in venti giorni spenger Rodomonte.

17

Al pagan, che non sa come ne possa

venir a capo, omai quel gioco incresce.

Poco, per far di mille, o di più, rossa

la terra intorno, il populo discresce.

Il fiato tuttavia più se gl'ingrossa,

sì che comprende al fin che, se non esce

or c'ha vigore e in tutto il corpo è sano,

vorrà da tempo uscir, che sarà invano.

18

Rivolge gli occhi orribili, e pon mente

che d'ogn'intorno sta chiusa l'uscita;

ma con ruina d'infinita gente

l'aprirà tosto, e la farà espedita.

Ecco, vibrando la spada tagliente,

che vien quel empio, ove il furor lo 'nvita,

ad assalire il nuovo stuol britanno,

che vi trasse Odoardo ed Arimanno.

19

Chi ha visto in piazza rompere steccato,

a cui la folta turba ondeggi intorno,

immansueto tauro accaneggiato,

stimulato e percosso tutto 'l giorno;

che 'l popul se ne fugge ispaventato,

ed egli or questo or quel leva sul corno:

pensi che tale o più terribil fosse

il crudele African quando si mosse.

20

Quindici o venti ne tagliò a traverso,

altritanti lasciò del capo tronchi,

ciascun d'un colpo sol dritto o riverso;

che viti o salci par che poti e tronchi.

Tutto di sangue il fier pagano asperso,

lasciando capi fessi e bracci monchi,

e spalle e gambe ed altre membra sparte,

ovunque il passo volga, al fin si parte.

21

De la piazza si vede in guisa torre,

che non si può notar ch'abbia paura;

ma tuttavolta col pensier discorre,

dove sia per uscir via più sicura.

Capita al fin dove la Senna corre

sotto all'isola, e va fuor de le mura.

La gente d'arme e il popul fatto audace

lo stringe e incalza, e gir nol lascia in pace.

22

Qual per le selve nomade o massile

cacciata va la generosa belva,

ch'ancor fuggendo mostra il cor gentile,

e minacciosa e lenta si rinselva;

tal Rodomonte, in nessun atto vile,

da strana circondato e fiera selva

d'aste e di spade e di volanti dardi,

si tira al fiume a passi lunghi e tardi.

23

E sì tre volte e più l'ira il sospinse,

ch'essendone già fuor, vi tornò in mezzo,

ove di sangue la spada ritinse,

e più di cento ne levò di mezzo.

Ma la ragione al fin la rabbia vinse

di non far sì, ch'a Dio n'andasse il lezzo;

e da la ripa, per miglior consiglio,

si gittò all'acqua, e uscì di gran periglio.

24

Con tutte l'arme andò per mezzo l'acque,

come s'intorno avesse tante galle.

Africa, in te pare a costui non nacque,

ben che d'Anteo ti vanti e d'Anniballe.

Poi che fu giunto a proda, gli dispiacque,

che si vide restar dopo le spalle

quella città ch'avea trascorsa tutta,

e non l'avea tutta arsa né distrutta.

25

E sì lo rode la superbia e l'ira,

che, per tornarvi un'altra volta, guarda,

e di profondo cor geme e sospira,

né vuolne uscir, che non la spiani ed arda.

Ma lungo il fiume, in questa furia, mira

venir chi l'odio estingue e l'ira tarda.

Chi fosse io vi farò ben tosto udire;

ma prima un'altra cosa v'ho da dire.

26

Io v'ho da dir de la Discordia altiera,

a cui l'angel Michele avea commesso

ch'a battaglia accendesse e a lite fiera

quei che più forti avea Agramante appresso.

Uscì de' frati la medesma sera,

avendo altrui l'ufficio suo commesso:

lasciò la Fraude a guerreggiare il loco,

fin che tornasse, e a mantenervi il fuoco.

27

E le parve ch'andria con più possanza,

se la Superbia ancor seco menasse;

e perché stavan tutte in una stanza,

non fu bisogno ch'a cercar l'andasse.

La Superbia v'andò, ma non che sanza

la sua vicaria il monaster lasciasse:

per pochi dì che credea starne assente,

lasciò l'Ipocrisia locotenente.

28

L'implacabil Discordia in compagnia

de la Superbia si messe in camino,

e ritrovò che la medesma via

facea, per gire al campo saracino,

l'afflitta e sconsolata Gelosia;

e venìa seco un nano piccolino,

il qual mandava Doralice bella

al re di Sarza a dar di sé novella.

29

Quando ella venne a Mandricardo in mano

(ch'io v'ho già raccontato e come e dove),

tacitamente avea commesso al nano,

che ne portasse a questo re le nuove.

Ella sperò che nol saprebbe invano,

ma che far si vedria mirabil pruove,

per riaverla con crudel vendetta

da quel ladron che gli l'avea intercetta.

30

La Gelosia quel nano avea trovato;

e la cagion del suo venir compresa,

a caminar se gli era messa allato,

parendo d'aver luogo a questa impresa.

Alla Discordia ritrovar fu grato

la Gelosia; ma più quando ebbe intesa

la cagion del venir, che le potea

molto valere in quel che far volea.

31

D'inimicar con Rodomonte il figlio

del re Agrican le pare aver suggetto:

troverà a sdegnar gli altri altro consiglio;

a sdegnar questi duo questo è perfetto.

Col nano se ne vien dove l'artiglio

del fier pagano avea Parigi astretto;

e capitaro a punto in su la riva,

quando il crudel del fiume a nuoto usciva.

32

Tosto che riconobbe Rodomonte

costui de la sua donna esser messaggio,

estinse ogn'ira, e serenò la fronte,

e si sentì brillar dentro il coraggio.

Ogn'altra cosa aspetta che gli conte,

prima ch'alcuno abbia a lei fatto oltraggio.

Va contra il nano, e lieto gli domanda:

— Ch'è de la donna nostra? ove ti manda? —

33

Rispose il nano: — Né più tua né mia

donna dirò quella ch'è serva altrui.

Ieri scontrammo un cavallier per via,

che ne la tolse, e la menò con lui. —

A quello annunzio entrò la Gelosia,

fredda come aspe, ed abbracciò costui.

Seguita il nano, e narragli in che guisa

un sol l'ha presa, e la sua gente uccisa.

34

L'acciaio allora la Discordia prese,

e la pietra focaia, e picchiò un poco,

e l'esca sotto la Superbia stese,

e fu attaccato in un momento il fuoco;

e sì di questo l'anima s'accese

del Saracin, che non trovava loco:

sospira e freme con sì orribil faccia,

che gli elementi e tutto il ciel minaccia.

35

Come la tigre, poi ch'invan discende

nel voto albergo, e per tutto s'aggira,

e i cari figli all'ultimo comprende

essergli tolti, avampa di tant'ira,

a tanta rabbia, a tal furor s'estende,

che né a monte né a rio né a notte mira;

né lunga via, né grandine raffrena

l'odio che dietro al predator la mena:

36

così furendo il Saracin bizzarro

si volge al nano, e dice: — Or là t'invia; —

e non aspetta né destrier né carro,

e non fa motto alla sua compagnia.

Va con più fretta che non va il ramarro,

quando il ciel arde, a traversar la via.

Destrier non ha, ma il primo tor disegna,

sia di chi vuol, ch'ad incontrar lo vegna.

37

La Discordia ch'udì questo pensiero,

guardò, ridendo, la Superbia, e disse

che volea gire a trovare un destriero

che gli apportasse altre contese e risse;

e far volea sgombrar tutto il sentiero,

ch'altro che quello in man non gli venisse:

e già pensato avea dove trovarlo.

Ma costei lascio, e torno a dir di Carlo.

38

Poi ch'al partir del Saracin si estinse

Carlo d'intorno il periglioso fuoco,

tutte le genti all'ordine ristrinse.

Lascionne parte in qualche debol loco:

adosso il resto ai Saracini spinse,

per dar lor scacco, e guadagnarsi il giuoco;

e gli mandò per ogni porta fuore,

da San Germano infin a San Vittore.

39

E commandò ch'a porta San Marcello,

dov'era gran spianata di campagna,

aspettasse l'un l'altro, e in un drappello

si ragunasse tutta la compagna.

Quindi animando ognuno a far macello

tal, che sempre ricordo ne rimagna,

ai lor ordini andar fe' le bandiere,

e di battaglia dar segno alle schiere.

40

Il re Agramante in questo mezzo in sella,

mal grado dei cristian, rimesso s'era;

e con l'inamorato d'Isabella

facea battaglia perigliosa e fiera:

col re Sobrin Lurcanio si martella:

Rinaldo incontra avea tutta una schiera;

e con virtude e con fortuna molta

l'urta, l'apre, ruina e mette in volta.

41

Essendo la battaglia in questo stato,

l'imperatore assalse il retroguardo

dal canto ove Marsilio avea fermato

il fior di Spagna intorno al suo stendardo.

Con fanti in mezzo e cavallieri allato,

re Carlo spinse il suo popul gagliardo

con tal rumor di timpani e di trombe,

che tutto 'l mondo par che ne rimbombe.

42

Cominciavan le schiere a ritirarse

de' Saracini, e si sarebbon volte

tutte a fuggir, spezzate, rotte e sparse,

per mai più non potere esser raccolte;

ma 'l re Grandonio e Falsiron comparse,

che stati in maggior briga eran più volte,

e Balugante e Serpentin feroce,

e Ferraù che lor dicea a gran voce:

43

— Ah (dicea) valentuomini, ah compagni,

ah fratelli, tenete il luogo vostro.

I nimici faranno opra di ragni,

se non manchiamo noi del dover nostro.

Guardate l'alto onor, gli ampli guadagni

che Fortuna, vincendo, oggi ci ha mostro:

guardate la vergogna e il danno estremo,

ch'essendo vinti, a patir sempre avremo. —

44

Tolto in quel tempo una gran lancia avea,

e contra Berlingier venne di botto,

che sopra Largaliffa combattea,

e l'elmo ne la fronte gli avea rotto:

gittollo in terra, e con la spada rea

appresso a lui ne fe' cader forse otto.

Per ogni botta almanco, che disserra,

cader fa sempre un cavalliero in terra.

45

In altra parte ucciso avea Rinaldo

tanti pagan, ch'io non potrei contarli.

Dinanzi a lui non stava ordine saldo:

vedreste piazza in tutto 'l campo darli.

Non men Zerbin, non men Lurcanio è caldo:

per modo fan, ch'ognun sempre ne parli:

questo di punta avea Balastro ucciso,

e quello a Finadur l'elmo diviso.

46

L'esercito d'Alzerbe avea il primiero,

che poco inanzi aver solea Tardocco;

l'altro tenea sopra le squadre impero

di Zamor e di Saffi e di Marocco.

— Non è tra gli Africani un cavalliero

che di lancia ferir sappia o di stocco? —

mi si potrebbe dir: ma passo passo

nessun di gloria degno a dietro lasso.

47

Del re de la Zumara non si scorda

il nobil Dardinel figlio d'Almonte,

che con la lancia Uberto da Mirforda,

Claudio dal Bosco, Elio e Dulfin dal Monte,

e con la spada Anselmo da Stanforda,

e da Londra Raimondo e Pinamonte

getta per terra (ed erano pur forti),

dui storditi, un piagato, e quattro morti.

48

Ma con tutto 'l valor che di sé mostra,

non può tener sì ferma la sua gente,

sì ferma, ch'aspettar voglia la nostra

di numero minor, ma più valente.

Ha più ragion di spada e più di giostra

e d'ogni cosa a guerra appertinente.

Fugge la gente maura, di Zumara,

di Setta, di Marocco e di Canara.

49

Ma più degli altri fuggon quei d'Alzerbe,

a cui s'oppose il nobil giovinetto;

ed or con prieghi, or con parole acerbe

ripor lor cerca l'animo nel petto.

— S'Almonte meritò ch'in voi si serbe

di lui memoria, or ne vedrò l'effetto:

io vedrò (dicea lor) se me, suo figlio,

lasciar vorrete in così gran periglio.

50

State, vi priego per mia verde etade,

in cui solete aver sì larga speme:

deh non vogliate andar per fil di spade,

ch'in Africa non torni di noi seme.

Per tutto ne saran chiuse le strade,

se non andiam raccolti e stretti insieme:

troppo alto muro e troppo larga fossa

è il monte e il mar, pria che tornar si possa.

51

Molto è meglio morir qui, ch'ai supplici

darsi e alla discrezion di questi cani.

State saldi, per Dio, fedeli amici;

che tutti son gli altri rimedi vani.

Non han di noi più vita gli nimici;

più d'un'alma non han, più di due mani. —

Così dicendo, il giovinetto forte

al conte d'Otonlei diede la morte.

52

Il rimembrare Almonte così accese

l'esercito african che fuggia prima,

che le braccia e le mani in sue difese

meglio, che rivoltar le spalle, estima.

Guglielmo da Burnich era uno Inglese

maggior di tutti, e Dardinello il cima,

e lo pareggia agli altri; e apresso taglia

il capo ad Aramon di Cornovaglia.

53

Morto cadea questo Aramone a valle;

e v'accorse il fratel per dargli aiuto:

ma Dardinel l'aperse per le spalle

fin giù dove lo stomaco è forcuto.

Poi forò il ventre a Bogio da Vergalle,

e lo mandò del debito assoluto:

avea promesso alla moglier fra sei

mesi, vivendo, di tornare a lei.

54

Vide non lungi Dardinel gagliardo

venir Lurcanio, ch'avea in terra messo

Dorchin, passato ne la gola, e Gardo

per mezzo il capo e insin ai denti fesso;

e ch'Alteo fuggir volse, ma fu tardo,

Alteo ch'amò quanto il suo core istesso;

che dietro alla collottola gli mise

il fier Lurcanio un colpo che l'uccise.

55

Piglia una lancia, e va per far vendetta,

dicendo al suo Macon (s'udir lo puote),

che se morto Lurcanio in terra getta,

ne la moschea ne porrà l'arme vote.

Poi traversando la campagna in fretta,

con tanta forza il fianco gli percuote,

che tutto il passa sin all'altra banda;

ed ai suoi, che lo spoglino, commanda.

56

Non è da domandarmi, se dolere

se ne dovesse Ariodante il frate;

se desiasse di sua man potere

por Dardinel fra l'anime dannate:

ma nol lascian le genti adito avere,

non men de le 'nfedel le battezzate.

Vorria pur vendicarsi, e con la spada

di qua di là spianando va la strada.

57

Urta, apre, caccia, atterra, taglia e fende

qualunque lo 'mpedisce o gli contrasta.

E Dardinel che quel disire intende,

a volerlo saziar già non sovrasta:

ma la gran moltitudine contende

con questa ancora, e i suoi disegni guasta.

Se' Mori uccide l'un, l'altro non manco

gli Scotti uccide e il campo inglese e 'l franco.

58

Fortuna sempremai la via lor tolse,

che per tutto quel dì non s'accozzaro.

A più famosa man serbar l'un volse;

che l'uomo il suo destin fugge di raro.

Ecco Rinaldo a questa strada volse,

perch'alla vita d'un non sia riparo:

ecco Rinaldo vien: Fortuna il guida

per dargli onor che Dardinello uccida.

59

Ma sia per questa volta detto assai

dei gloriosi fatti di Ponente.

Tempo è ch'io torni ove Grifon lasciai,

che tutto d'ira e di disdegno ardente

facea, con più timor ch'avesse mai,

tumultuar la sbigottita gente.

Re Norandino a quel rumor corso era

con più di mille armati in una schiera.

60

Re Norandin con la sua corte armata,

vedendo tutto 'l populo fuggire,

venne alla porta in battaglia ordinata,

e quella fece alla sua giunta aprire.

Grifone intanto avendo già cacciata

da sé la turba sciocca e senza ardire,

la sprezzata armatura in sua difesa

(qual la si fosse) avea di nuovo presa;

61

e presso a un tempio ben murato e forte,

che circondato era d'un'alta fossa,

in capo un ponticel si fece forte,

perché chiuderlo in mezzo alcun non possa.

Ecco, gridando e minacciando forte,

fuor de la porta esce una squadra grossa.

L'animoso Grifon non muta loco,

e fa sembiante che ne tema poco.

62

E poi ch'avicinar questo drappello

si vide, andò a trovarlo in su la strada;

e molta strage fattane e macello

(che menava a due man sempre la spada),

ricorso avea allo stretto ponticello,

e quindi li tenea non troppo a bada:

di nuovo usciva e di nuovo tornava;

e sempre orribil segno vi lasciava.

63

Quando di dritto e quando di riverso

getta or pedoni or cavallieri in terra.

Il popul contra lui tutto converso

più e più sempre inaspera la guerra.

Teme Grifone al fin restar sommerso:

sì cresce il mar che d'ogn'intorno il serra;

e ne la spalla e ne la coscia manca

è già ferito, e pur la lena manca.

64

Ma la virtù, ch'ai suoi spesso soccorre,

gli fa appo Norandin trovar perdono.

Il re, mentre al tumulto in dubbio corre,

vede che morti già tanti ne sono:

vede le piaghe che di man d'Ettorre

pareano uscite: un testimonio buono,

che dianzi esso avea fatto indegnamente

vergogna a un cavallier molto eccellente.

65

Poi, come gli è più presso, e vede in fronte

quel che la gente a morte gli ha condutta,

e fattosene avanti orribil monte,

e di quel sangue il fosso e l'acqua brutta;

gli è aviso di veder proprio sul ponte

Orazio sol contra Toscana tutta:

e per suo onore, e perché gli ne 'ncrebbe,

ritrasse i suoi, né gran fatica v'ebbe.

66

Ed alzando la man nuda e senz'arme,

antico segno di tregua o di pace,

disse a Grifon: — Non so, se non chiamarme

d'avere il torto, e dir che mi dispiace:

ma il mio poco giudicio, e lo istigarme

altrui, cadere in tanto error mi face.

Quel che di fare io mi credea al più vile

guerrier del mondo, ho fatto al più gentile.

67

E se bene alla ingiuria ed a quell'onta

ch'oggi fatta ti fu per ignoranza,

l'onor che ti fai qui s'adegua e sconta,

o (per più vero dir) supera e avanza;

la satisfazion ci serà pronta

a tutto mio sapere e mia possanza,

quando io conosca di poter far quella

per oro o per cittadi o per castella.

68

Chiedimi la metà di questo regno,

ch'io son per fartene oggi possessore;

che l'alta tua virtù non ti fa degno

di questo sol, ma ch'io ti doni il core:

e la tua mano in questo mezzo, pegno

di fé mi dona e di perpetuo amore. —

Così dicendo, da cavallo scese,

e vêr Grifon la destra mano stese.

69

Grifon, vedendo il re fatto benigno

venirgli per gittar le braccia al collo,

lasciò la spada e l'animo maligno,

e sotto l'anche ed umile abbracciollo.

Lo vide il re di due piaghe sanguigno,

e tosto fe' venir chi medicollo;

indi portar ne la cittade adagio,

e riposar nel suo real palagio.

70

Dove, ferito, alquanti giorni, inante

che si potesse armar, fece soggiorno.

Ma lascio lui, ch'al suo frate Aquilante

ed ad Astolfo in Palestina torno,

che di Grifon, poi che lasciò le sante

mura, cercare han fatto più d'un giorno

in tutti i lochi in Solima devoti,

e in molti ancor da la città remoti.

71

Or né l'uno né l'altro è sì indovino,

che di Grifon possa saper che sia:

ma venne lor quel Greco peregrino,

nel ragionare, a caso a darne spia,

dicendo ch'Orrigille avea il camino

verso Antiochia preso di Soria,

d'un nuovo drudo, ch'era di quel loco,

di subito arsa e d'improviso fuoco.

72

Dimandògli Aquilante, se di questo

così notizia avea data a Grifone:

e come l'affermò, s'avisò il resto,

perché fosse partito, e la cagione.

Ch'Orrigille ha seguito è manifesto

in Antiochia con intenzione

di levarla di man del suo rivale

con gran vendetta e memorabil male.

73

Non tolerò Aquilante che 'l fratello

solo e senz'esso a quell'impresa andasse;

e prese l'arme, e venne dietro a quello:

ma prima pregò il duca che tardasse

l'andata in Francia ed al paterno ostello,

fin ch'esso d'Antiochia ritornasse.

Scende al Zaffo e s'imbarca, che gli pare

e più breve e miglior la via del mare.

74

Ebbe un ostro—silocco allor possente

tanto nel mare, e sì per lui disposto,

che la terra del Surro il dì seguente

vide e Saffetto, un dopo l'altro tosto.

Passa Barutti e il Zibeletto, e sente

che da man manca gli è Cipro discosto.

A Tortosa da Tripoli, e alla Lizza

e al golfo di Laiazzo il camin drizza.

75

Quindi a levante fe' il nocchier la fronte

del navilio voltar snello e veloce;

ed a sorger n'andò sopra l'Oronte,

e colse il tempo, e ne pigliò la foce.

Gittar fece Aquilante in terra il ponte,

e n'uscì armato sul destrier feroce;

e contra il fiume il camin dritto tenne,

tanto ch'in Antiochia se ne venne.

76

Di quel Martano ivi ebbe ad informarse;

ed udì ch'a Damasco se n'era ito

con Orrigille, ove una giostra farse

dovea solenne per reale invito.

Tanto d'andargli dietro il desir l'arse,

certo che 'l suo german l'abbia seguito,

che d'Antiochia anco quel dì si tolle;

ma già per mar più ritornar non volle.

77

Verso Lidia e Larissa il camin piega:

resta più sopra Aleppe ricca e piena.

Dio, per mostrar ch'ancor di qua non niega

mercede al bene, ed al contrario pena,

Martano appresso a Mamuga una lega

ad incontrarsi in Aquilante mena.

Martano si facea con bella mostra

portare inanzi il pregio de la giostra.

78

Pensò Aquilante al primo comparire,

che 'l vil Martano il suo fratello fosse;

che l'ingannaron l'arme, e quel vestire

candido più che nievi ancor non mosse:

e con quell'oh! che d'allegrezza dire

si suole, incominciò; ma poi cangiosse

tosto di faccia e di parlar, ch'appresso

s'avide meglio, che non era desso.

79

Dubitò che per fraude di colei

ch'era con lui, Grifon gli avesse ucciso;

e: — Dimmi (gli gridò) tu ch'esser déi

un ladro e un traditor, come n'hai viso,

onde hai quest'arme avute? onde ti sei

sul buon destrier del mio fratello assiso?

Dimmi se 'l mio fratello è morto o vivo;

come de l'arme e del destrier l'hai privo. —

80

Quando Orrigille udì l'irata voce,

a dietro il palafren per fuggir volse;

ma di lei fu Aquilante più veloce,

e fecela fermar, volse o non volse.

Martano al minacciar tanto feroce

del cavallier, che sì improviso il colse,

pallido triema, come al vento fronda,

né sa quel che si faccia o che risponda.

81

Grida Aquilante, e fulminar non resta,

e la spada gli pon dritto alla strozza;

e giurando minaccia che la testa

ad Orrigille e a lui rimarrà mozza,

se tutto il fatto non gli manifesta.

Il mal giunto Martano alquanto ingozza,

e tra sé volve se può sminuire

sua grave colpa, e poi comincia a dire:

82

— Sappi, signor, che mia sorella è questa,

nata di buona e virtuosa gente,

ben che tenuta in vita disonesta

l'abbia Grifone obbrobriosamente:

e tale infamia essendomi molesta,

né per forza sentendomi possente

di torla a sì grande uom, feci disegno

d'averla per astuzia e per ingegno.

83

Tenni modo con lei, ch'avea desire

di ritornare a più lodata vita,

ch'essendosi Grifon messo a dormire,

chetamente da lui fêsse partita.

Così fece ella; e perché egli a seguire

non n'abbia, ed a turbar la tela ordita,

noi lo lasciammo disarmato e a piedi;

e qua venuti siàn, come tu vedi. —

84

Poteasi dar di somma astuzia vanto,

che colui facilmente gli credea;

e, fuor che 'n torgli arme e destrier e quanto

tenesse di Grifon, non gli nocea;

se non volea pulir sua scusa tanto,

che la facesse di menzogna rea:

buona era ogn'altra parte, se non quella

che la femina a lui fosse sorella.

85

Avea Aquilante in Antiochia inteso

essergli concubina, da più genti;

onde gridando, di furore acceso:

— Falsissimo ladron, tu te ne menti! —

un pugno gli tirò di tanto peso,

che ne la gola gli cacciò duo denti:

e senza più contesa, ambe le braccia

gli volge dietro, e d'una fune allaccia;

86

e parimente fece ad Orrigille,

ben che in sua scusa ella dicesse assai.

Quindi li trasse per casali e ville,

né li lasciò fin a Damasco mai;

e de le miglia mille volte mille

tratti gli avrebbe con pene e con guai,

fin ch'avesse trovato il suo fratello,

per farne poi come piacesse a quello.

87

Fece Aquilante lor scudieri e some

seco tornare, ed in Damasco venne,

e trovò di Grifon celebre il nome

per tutta la città batter le penne:

piccoli e grandi, ognun sapea già come

egli era, che sì ben corse l'antenne,

ed a cui tolto fu con falsa mostra

dal compagno la gloria de la giostra.

88

Il popul tutto al vil Martano infesto,

l'uno all'altro additandolo, lo scuopre.

— Non è (dicean), non è il ribaldo questo,

che si fa laude con l'altrui buone opre?

e la virtù di chi non è ben desto,

con la sua infamia e col suo obbrobrio copre?

Non è l'ingrata femina costei,

la qual tradisce i buoni e aiuta i rei? —

89

Altri dicean: — Come stan bene insieme

segnati ambi d'un marchio e d'una razza! —

Chi li bestemmia, chi lor dietro freme,

chi grida: — Impicca, abrucia, squarta, amazza! —

La turba per veder s'urta, si preme,

e corre inanzi alle strade, alla piazza.

Venne la nuova al re, che mostrò segno

d'averla cara più ch'un altro regno.

90

Senza molti scudier dietro o davante,

come si ritrovò, si mosse in fretta,

e venne ad incontrarsi in Aquilante,

ch'avea del suo Grifon fatto vendetta;

e quello onora con gentil sembiante,

seco lo 'nvita, e seco lo ricetta;

di suo consenso avendo fatto porre

i duo prigioni in fondo d'una torre.

91

Andaro insieme ove del letto mosso

Grifon non s'era, poi che fu ferito,

che vedendo il fratel, divenne rosso;

che ben stimò ch'avea il suo caso udito.

E poi che motteggiando un poco adosso

gli andò Aquilante, messero a partito

di dare a quelli duo iusto martoro,

venuti in man degli avversari loro.

92

Vuole Aquilante, vuole il re che mille

strazi ne sieno fatti; ma Grifone

(perché non osa dir sol d'Orrigille)

all'uno e all'altro vuol che si perdone.

Disse assai cose, e molto ben ordille;

fugli risposto; or per conclusione

Martano è disegnato in mano al boia,

ch'abbia a scoparlo, e non però che moia.

93

Legar lo fanno, e non tra' fiori e l'erba,

e per tutto scopar l'altra matina.

Orrigille captiva si riserba

fin che ritorni la bella Lucina,

al cui saggio parere, o lieve o acerba,

rimetton quei signor la disciplina.

Quivi stette Aquilante a ricrearsi

fin che 'l fratel fu sano e poté armarsi.

94

Re Norandin, che temperato e saggio

divenuto era dopo un tanto errore,

non potea non aver sempre il coraggio

di penitenza pieno e di dolore,

d'aver fatto a colui danno ed oltraggio,

che degno di mercede era e d'onore:

sì che dì e notte avea il pensiero intento

par farlo rimaner di sé contento.

95

E statuì nel publico cospetto

de la città, di tanta ingiuria rea,

con quella maggior gloria ch'a perfetto

cavallier per un re dar si potea,

di rendergli quel premio ch'intercetto

con tanto inganno il traditor gli avea:

e perciò fe' bandir per quel paese,

che faria un'altra giostra indi ad un mese.

96

Di ch'apparecchio fa tanto solenne,

quanto a pompa real possibil sia:

onde la Fama con veloci penne

portò la nuova per tutta Soria;

ed in Fenicia e in Palestina venne,

e tanto, ch'ad Astolfo ne diè spia,

il qual col viceré deliberosse

che quella giostra senza lor non fosse.

97

Per guerrier valoroso e di gran nome

la vera istoria Sansonetto vanta.

Gli diè battesmo Orlando, e Carlo (come

v'ho detto) a governar la Terra Santa.

Astolfo con costui levò le some,

per ritrovarsi ove la Fama canta,

sì che d'intorno n'ha piena ogni orecchia,

ch'in Damasco la giostra s'apparecchia.

98

Or cavalcando per quelle contrade

con non lunghi viaggi, agiati e lenti,

per ritrovarsi freschi alla cittade

poi di Damasco il dì de' torniamenti,

scontraro in una croce di due strade

persona ch'al vestire e a' movimenti

avea sembianza d'uomo, e femin' era,

ne le battaglie a maraviglia fiera.

99

La vergine Marfisa si nomava,

di tal valor, che con la spada in mano

fece più volte al gran signor di Brava

sudar la fronte e a quel di Montalbano;

e 'l dì e la notte armata sempre andava

di qua di là cercando in monte e in piano

con cavallieri erranti riscontrarsi,

ed immortale e gloriosa farsi.

100

Com'ella vide Astolfo e Sansonetto,

ch'appresso le venian con l'arme indosso,

prodi guerrier le parvero all'aspetto;

ch'erano ambeduo grandi e di buono osso:

e perché di provarsi avria diletto,

per isfidarli avea il destrier già mosso;

quando, affissando l'occhio più vicino,

conosciuto ebbe il duca paladino.

101

De la piacevolezza le sovenne

del cavallier, quando al Catai seco era:

e lo chiamò per nome, e non si tenne

la man nel guanto, e alzossi la visiera;

e con gran festa ad abbracciarlo venne,

come che sopra ogn'altra fosse altiera.

Non men da l'altra parte riverente

fu il paladino alla donna eccellente.

102

Tra lor si domandaron di lor via:

e poi ch'Astolfo, che prima rispose,

narrò come a Damasco se ne gìa,

dove le genti in arme valorose

avea invitato il re de la Soria

a dimostrar lor opre virtuose;

Marfisa, sempre a far gran pruove accesa,

— Voglio esser con voi (disse) a questa impresa. —

103

Sommamente ebbe Astolfo grata questa

compagna d'arme, e così Sansonetto.

Furo a Damasco il dì inanzi la festa,

e di fuora nel borgo ebbon ricetto:

e sin all'ora che dal sonno desta

l'Aurora il vecchiarel già suo diletto,

quivi si riposar con maggior agio,

che se smontati fossero al palagio.

104

E poi che 'l nuovo sol lucido e chiaro

per tutto sparsi ebbe i fulgenti raggi,

la bella donna e i duo guerrier s'armaro,

mandato avendo alla città messaggi;

che, come tempo fu, lor rapportaro

che per veder spezzar frassini e faggi

re Norandino era venuto al loco

ch'avea costituito al fiero gioco.

105

Senza più indugio alla città ne vanno,

e per la via maestra alla gran piazza,

dove aspettando il real segno stanno

quinci e quindi i guerrier di buona razza.

I premi che quel giorno si daranno

a chi vince, è uno stocco ed una mazza

guerniti riccamente, e un destrier, quale

sia convenevol dono a un signor tale.

106

Avendo Norandin fermo nel core

che, come il primo pregio, il secondo anco,

e d'ambedue le giostre il sommo onore

si debba guadagnar Grifone il bianco;

per dargli tutto quel ch'uom di valore

dovrebbe aver, né debbe far con manco,

posto con l'arme in questo ultimo pregio

ha stocco e mazza e destrier molto egregio.

107

L'arme che ne la giostra fatta dianzi

si doveano a Grifon che 'l tutto vinse,

e che usurpate avea con tristi avanzi

Martano che Grifone esser si finse,

quivi si fece il re pendere inanzi,

e il ben guernito stocco a quelle cinse,

e la mazza all'arcion del destrier messe,

perché Grifon l'un pregio e l'altro avesse.

108

Ma che sua intenzione avesse effetto

vietò quella magnanima guerriera,

che con Astolfo e col buon Sansonetto

in piazza nuovamente venuta era.

Costei, vedendo l'arme ch'io v'ho detto,

subito n'ebbe conoscenza vera:

però che già sue furo, e l'ebbe care

quanto si suol le cose ottime e rare;

109

ben che l'avea lasciate in su la strada

a quella volta che le fur d'impaccio,

quando per riaver sua buona spada

correa dietro a Brunel degno di laccio.

Questa istoria non credo che m'accada

altrimenti narrar; però la taccio.

Da me vi basti intendere a che guisa

quivi trovasse l'arme sue Marfisa.

110

Intenderete ancor, che come l'ebbe

riconosciute a manifeste note,

per altro che sia al mondo, non le avrebbe

lasciate un dì di sua persona vote.

Se più tenere un modo o un altro debbe

per racquistarle, ella pensar non puote:

ma se gli accosta a un tratto, e la man stende,

e senz'altro rispetto se le prende;

111

e per la fretta ch'ella n'ebbe, avenne

ch'altre ne prese, altre mandonne in terra.

Il re, che troppo offeso se ne tenne,

con uno sguardo sol le mosse guerra;

che 'l popul, che l'ingiuria non sostenne,

per vendicarlo e lance e spade afferra,

non rammentando ciò ch'i giorni inanti

nocque il dar noia ai cavallieri erranti.

112

Né fra vermigli fiori, azzurri e gialli

vago fanciullo alla stagion novella,

né mai si ritrovò fra suoni e balli

più volentieri ornata donna e bella;

che fra strepito d'arme e di cavalli,

e fra punte di lance e di quadrella,

dove si sparga sangue e si dia morte,

costei si truovi, oltre ogni creder forte.

113

Spinge il cavallo, e ne la turba sciocca

con l'asta bassa impetuosa fere;

e chi nel collo e chi nel petto imbrocca,

e fa con l'urto or questo or quel cadere:

poi con la spada uno ed un altro tocca,

e fa qual senza capo rimanere,

e qual rotto, e qual passato al fianco,

e qual del braccio privo o destro o manco.

114

L'ardito Astolfo e il forte Sansonetto,

ch'avean con lei vestita e piastra e maglia,

ben che non venner già per tal effetto,

pur, vedendo attaccata la battaglia,

abbassan la visiera de l'elmetto,

e poi la lancia per quella canaglia;

ed indi van con la tagliente spada

di qua di là facendosi far strada.

115

I cavallieri di nazion diverse,

ch'erano per giostrar quivi ridutti,

vedendo l'arme in tal furor converse,

e gli aspettati giuochi in gravi lutti

(che la cagion ch'avesse di dolerse

la plebe irata non sapeano tutti,

né ch'al re tanta ingiuria fosse fatta),

stavan con dubbia mente e stupefatta.

116

Di ch'altri a favorir la turba venne,

che tardi poi non se ne fu a pentire;

altri, a cui la città più non attenne

che gli stranieri, accorse a dipartire;

altri, più saggio, in man la briglia tenne,

mirando dove questo avesse a uscire.

Di quelli fu Grifone ed Aquilante,

che per vendicar l'arme andaro inante.

117

Essi vedendo il re che di veneno

avea le luci inebriate e rosse,

ed essendo da molti istrutti a pieno

de la cagion che la discordia mosse,

e parendo a Grifon che sua, non meno

che del re Norandin, l'ingiuria fosse;

s'avean le lance fatte dar con fretta,

e venian fulminando alla vendetta.

118

Astolfo d'altra parte Rabicano

venìa spronando a tutti gli altri inante,

con l'incantata lancia d'oro in mano,

ch'al fiero scontro abbatte ogni giostrante.

Ferì con essa e lasciò steso al piano

prima Grifone, e poi trovò Aquilante;

e de lo scudo toccò l'orlo a pena,

che lo gittò riverso in su l'arena.

119

I cavallier di pregio e di gran pruova

votan le selle inanzi a Sansonetto.

L'uscita de la piazza il popul truova:

il re n'arrabbia d'ira e di dispetto.

Con la prima corazza e con la nuova

Marfisa intanto, e l'uno e l'altro elmetto,

poi che si vide a tutti dare il tergo,

vincitrice venìa verso l'albergo.

120

Astolfo e Sansonetto non fur lenti

a seguitarla, e seco a ritornarsi

verso la porta (che tutte le genti

gli davan loco), ed al rastrel fermarsi.

Aquilante e Grifon, troppo dolenti

di vedersi a uno incontro riversarsi,

tenean per gran vergogna il capo chino,

né ardian venire inanzi a Norandino.

121

Presi e montati c'hanno i lor cavalli,

spronano dietro agli nimici in fretta.

Li segue il re con molti suoi vasalli,

tutti pronti o alla morte o alla vendetta.

La sciocca turba grida: — Dàlli dàlli —;

e sta lontana, e le novelle aspetta.

Grifone arriva ove volgean la fronte

i tre compagni, ed avean preso il ponte.

122

A prima giunta Astolfo raffigura,

ch'avea quelle medesime divise,

avea il cavallo, avea quella armatura

ch'ebbe dal dì ch'Orril fatale uccise.

Né miratol, né posto gli avea cura,

quando in piazza a giostrar seco si mise:

quivi il conobbe e salutollo; e poi

gli domandò de li compagni suoi;

123

e perché tratto avean quell'arme a terra,

portando al re sì poca riverenza.

Di suoi compagni il duca d'Inghilterra

diede a Grifon non falsa conoscenza:

de l'arme ch'attaccate avean la guerra,

disse che non n'avea troppa scienza;

ma perché con Marfisa era venuto,

dar le volea con Sansonetto aiuto.

124

Quivi con Grifon stando il paladino,

viene Aquilante, e lo conosce tosto

che parlar col fratel l'ode vicino,

e il voler cangia, ch'era mal disposto.

Giungean molti di quei di Norandino,

ma troppo non ardian venire accosto;

e tanto più, vedendo i parlamenti,

stavano cheti, e per udire intenti.

125

Alcun ch'intende quivi esser Marfisa,

che tiene al mondo il vanto in esser forte,

volta il cavallo, e Norandino avisa

che s'oggi non vuol perder la sua corte,

proveggia, prima che sia tutta uccisa,

di man trarla a Tesifone e alla Morte;

perché Marfisa veramente è stata,

che l'armatura in piazza gli ha levata.

126

Come re Norandino ode quel nome

così temuto per tutto Levante,

che facea a molti anco arricciar le chiome,

ben che spesso da lor fosse distante,

è certo che ne debbia venir come

dice quel suo, se non provede inante;

però gli suoi, che già mutata l'ira

hanno in timore, a sé richiama e tira.

127

Da l'altra parte i figli d'Oliviero

con Sansonetto e col figliuol d'Otone,

supplicando a Marfisa, tanto fero,

che si diè fine alla crudel tenzone.

Marfisa, giunta al re, con viso altiero

disse: — Io non so, signor, con che ragione

vogli quest'arme dar, che tue non sono,

al vincitor de le tue giostre in dono.

128

Mie sono l'arme, e 'n mezzo de la via

che vien d'Armenia, un giorno le lasciai,

perché seguire a piè mi convenia

un rubator che m'avea offesa assai:

e la mia insegna testimon ne fia,

che qui si vede, se notizia n'hai. —

E la mostrò ne la corazza impressa,

ch'era in tre parti una corona fessa.

129

— Gli è ver (rispose il re) che mi fur date,

son pochi dì, da un mercatante armeno;

e se voi me l'avesse domandate,

l'avreste avute, o vostre o no che sièno;

ch'avenga ch'a Grifon già l'ho donate,

ho tanta fede in lui, che nondimeno,

acciò a voi darle avessi anche potuto,

volentieri il mio don m'avria renduto.

130

Non bisogna allegar, per farmi fede

che vostre sien, che tengan vostra insegna:

basti il dirmelo voi; che vi si crede

più ch'a qual altro testimonio vegna.

Che vostre sian vostr'arme si concede

alla virtù di maggior premio degna.

Or ve l'abbiate, e più non si contenda;

e Grifon maggior premio da me prenda. —

131

Grifon che poco a cor avea quell'arme,

ma gran disio che 'l re si satisfaccia,

gli disse: — Assai potete compensarme,

se mi fate saper ch'io vi compiaccia. —

Tra sé disse Marfisa: — Esser qui parme

l'onor mio in tutto: — e con benigna faccia

volle a Grifon de l'arme esser cortese;

e finalmente in don da lui le prese.

132

Ne la città con pace e con amore

tornaro, ove le feste raddoppiarsi.

Poi la giostra si fe', di che l'onore

e 'l pregio Sansonetto fece darsi;

ch'Astolfo e i duo fratelli e la migliore

di lor, Marfisa, non volson provarsi,

cercando, com'amici e buon compagni,

che Sansonetto il pregio ne guadagni.

133

Stati che sono in gran piacere e in festa

con Norandino otto giornate o diece,

perché l'amor di Francia gli molesta,

che lasciar senza lor tanto non lece,

tolgon licenza; e Marfisa, che questa

via disiava, compagnia lor fece.

Marfisa avuto avea lungo disire

al paragon dei paladin venire;

134

e far esperienza se l'effetto

si pareggiava a tanta nominanza.

Lascia un altro in suo loco Sansonetto,

che di Ierusalem regga la stanza.

Or questi cinque in un drappello eletto,

che pochi pari al mondo han di possanza,

licenziati dal re Norandino,

vanno a Tripoli e al mar che v'è vicino.

135

E quivi una caracca ritrovaro,

che per Ponente mercanzie raguna.

Per loro e pei cavalli s'accordaro

con un vecchio patron ch'era da Luna.

Mostrava d'ogn'intorno il tempo chiaro,

ch'avrian per molti dì buona fortuna.

Sciolser dal lito, avendo aria serena,

e di buon vento ogni lor vela piena.

136

L'isola sacra all'amorosa dea

diede lor sotto un'aria il primo porto,

che non ch'a offender gli uomini sia rea,

ma stempra il ferro, e quivi è 'l viver corto.

Cagion n'è un stagno: e certo non dovea

Natura a Famagosta far quel torto

d'appressarvi Costanza acre e maligna,

quando al resto di Cipro è sì benigna.

137

Il grave odor che la palude esala

non lascia al legno far troppo soggiorno.

Quindi a un greco—levante spiegò ogni ala,

volando da man destra a Cipro intorno,

e surse a Pafo, e pose in terra scala;

e i naviganti uscir nel lito adorno,

chi per merce levar, chi per vedere

la terra d'amor piena e di piacere.

138

Dal mar sei miglia o sette, a poco a poco

si va salendo inverso il colle ameno.

Mirti e cedri e naranci e lauri il loco,

e mille altri soavi arbori han pieno.

Serpillo e persa e rose e gigli e croco

spargon da l'odorifero terreno

tanta suavità, ch'in mar sentire

la fa ogni vento che da terra spire.

139

Da limpida fontana tutta quella

piaggia rigando va un ruscel fecondo.

Ben si può dir che sia di Vener bella

il luogo dilettevole e giocondo;

che v'è ogni donna affatto, ogni donzella

piacevol più ch'altrove sia nel mondo:

e fa la dea che tutte ardon d'amore,

giovani e vecchie, infino all'ultime ore.

140

Quivi odono il medesimo ch'udito

di Lucina e de l'Orco hanno in Soria,

e come di tornare ella a marito

facea nuovo apparecchio in Nicosia.

Quindi il padrone (essendosi espedito,

e spirando buon vento alla sua via)

l'ancore sarpa, e fa girar la proda

verso ponente, ed ogni vela snoda.

141

Al vento di maestro alzò la nave

le vele all'orza, ed allargossi in alto.

Un ponente—libecchio, che soave

parve a principio e fin che 'l sol stette alto,

e poi si fe' verso la sera grave,

le leva incontra il mar con fiero assalto,

con tanti tuoni e tanto ardor di lampi,

che par che 'l ciel si spezzi e tutto avampi.

142

Stendon le nubi un tenebroso velo

che né sole apparir lascia né stella.

Di sotto il mar, di sopra mugge il cielo,

il vento d'ogn'intorno, e la procella

che di pioggia oscurissima e di gelo

i naviganti miseri flagella:

e la notte più sempre si diffonde

sopra l'irate e formidabil onde.

143

I naviganti a dimostrare effetto

vanno de l'arte in che lodati sono:

chi discorre fischiando col fraschetto,

e quanto han gli altri a far, mostra col suono;

chi l'ancore apparechia da rispetto,

e chi al mainare e chi alla scotta è buono;

chi 'l timone, chi l'arbore assicura,

chi la coperta di sgombrare ha cura.

144

Crebbe il tempo crudel tutta la notte,

caliginosa e più scura ch'inferno.

Tien per l'alto il padrone, ove men rotte

crede l'onde trovar, dritto il governo;

e volta ad or ad or contra le botte

del mar la proda, e de l'orribil verno,

non senza speme mai che, come aggiorni,

cessi fortuna, o più placabil torni.

145

Non cessa e non si placa, e più furore

mostra nel giorno, se pur giorno è questo,

che si conosce al numerar de l'ore,

non che per lume già sia manifesto.

Or con minor speranza e più timore

si dà in poter del vento il padron mesto:

volta la poppa all'onde, e il mar crudele

scorrendo se ne va con umil vele.

146

Mentre Fortuna in mar questi travaglia,

non lascia anco posar quegli altri in terra,

che sono in Francia, ove s'uccide e taglia

coi Saracini il popul d'Inghilterra.

Quivi Rinaldo assale, apre e sbaraglia

le schiere avverse, e le bandiere atterra.

Dissi di lui, che 'l suo destrier Baiardo

mosso avea contra a Dardinel gagliardo.

147

Vide Rinaldo il segno del quartiero,

di che superbo era il figliuol d'Almonte;

e lo stimò gagliardo e buon guerriero,

che concorrer d'insegna ardia col conte.

Venne più appresso, e gli parea più vero;

ch'avea d'intorno uomini uccisi a monte.

— Meglio è (gridò) che prima io svella e spenga

questo mal germe, che maggior divenga. —

148

Dovunque il viso drizza il paladino,

levasi ognuno, e gli dà larga strada;

né men sgombra il fedel, che 'l Saracino,

sì reverita è la famosa spada.

Rinaldo, fuor che Dardinel meschino,

non vede alcuno, e lui seguir non bada.

Grida: — Fanciullo, gran briga ti diede

chi ti lasciò di questo scudo erede.

149

Vengo a te per provar, se tu m'attendi,

come ben guardi il quartier rosso e bianco;

che s'ora contra me non lo difendi,

difender contra Orlando il potrai manco. —

Rispose Dardinello: — Or chiaro apprendi

che s'io lo porto, il so difender anco;

e guadagnar più onor, che briga, posso

del paterno quartier candido e rosso.

150

Perché fanciullo io sia, non creder farme

però fuggire, o che 'l quartier ti dia:

la vita mi torrai, se mi toi l'arme;

ma spero in Dio ch'anzi il contrario fia.

Sia quel che vuol, non potrà alcun biasmarme

che mai traligni alla progenie mia. —

Così dicendo, con la spada in mano

assalse il cavallier da Montalbano.

151

Un timor freddo tutto 'l sangue oppresse,

che gli Africani aveano intorno al core,

come vider Rinaldo che si messe

con tanta rabbia incontra a quel signore,

con quanta andria un leon ch'al prato avesse

visto un torel ch'ancor non senta amore.

Il primo che ferì, fu 'l Saracino;

ma picchiò invan su l'elmo di Mambrino.

152

Rise Rinaldo, e disse: — Io vo' tu senta,

s'io so meglio di te trovar la vena. —

Sprona, e a un tempo al destrier la briglia allenta,

e d'una punta con tal forza mena,

d'una punta ch'al petto gli appresenta,

che gli la fa apparir dietro alla schena.

Quella trasse, al tornar, l'alma col sangue:

di sella il corpo uscì freddo ed esangue.

153

Come purpureo fior languendo muore,

che 'l vomere al passar tagliato lassa;

o come carco di superchio umore

il papaver ne l'orto il capo abbassa:

così, giù de la faccia ogni colore

cadendo, Dardinel di vita passa;

passa di vita, e fa passar con lui

l'ardire e la virtù de tutti i sui.

154

Qual soglion l'acque per umano ingegno

stare ingorgate alcuna volta e chiuse,

che quando lor vien poi rotto il sostegno,

cascano, e van con gran rumor difuse;

tal gli African, ch'avean qualche ritegno

mentre virtù lor Dardinello infuse,

ne vanno or sparti in questa parte e in quella,

che l'han veduto uscir morto di sella.

155

Chi vuol fuggir, Rinaldo fuggir lassa,

ed attende a cacciar chi vuol star saldo.

Si cade ovunque Ariodante passa,

che molto va quel dì presso a Rinaldo.

Altri Lionetto, altri Zerbin fracassa,

a gara ognuno a far gran prove caldo.

Carlo fa il suo dover, lo fa Oliviero,

Turpino e Guido e Salamone e Ugiero.

156

I Mori fur quel giorno in gran periglio

che 'n Pagania non ne tornasse testa;

ma 'l saggio re di Spagna dà di piglio,

e se ne va con quel che in man gli resta.

Restar in danno tien miglior consiglio,

che tutti i denar perdere e la vesta:

meglio è ritrarsi e salvar qualche schiera,

che, stando, esser cagion che 'l tutto pèra.

157

Verso gli alloggiamenti i segni invia,

ch'eron serrati d'argine e di fossa,

con Stordilan, col re d'Andologia,

col Portughese in una squadra grossa.

Manda a pregar il re di Barbaria,

che si cerchi ritrar meglio che possa;

e se quel giorno la persona e 'l loco

potrà salvar, non avrà fatto poco.

158

Quel re che si tenea spacciato al tutto,

né mai credea più riveder Biserta,

che con viso sì orribile e sì brutto

unquanco non avea Fortuna esperta,

s'allegrò che Marsilio avea ridutto

parte del campo in sicurezza certa:

ed a ritrarsi cominciò, e a dar volta

alle bandiere, e fe' sonar raccolta.

159

Ma la più parte de la gente rotta

né tromba né tambur né segno ascolta:

tanta fu la viltà, tanta la dotta,

ch'in Senna se ne vide affogar molta.

Il re Agramante vuol ridur la frotta:

seco ha Sobrino, e van scorrendo in volta;

e con lor s'affatica ogni buon duca,

che nei ripari il campo si riduca.

160

Ma né il re, né Sobrin, né duca alcuno

con prieghi, con minacce, con affanno

ritrar può il terzo, non ch'io dica ognuno,

dove l'insegne mal seguite vanno.

Morti o fuggiti ne son dua, per uno

che ne rimane, e quel non senza danno:

ferito è chi di dietro e chi davanti;

ma travagliati e lassi tutti quanti.

161

E con gran tema fin dentro alle porte

dei forti alloggiamenti ebbon la caccia:

ed era lor quel luogo anco mal forte,

con ogni proveder che vi si faccia

(che ben pigliar nel crin la buona sorte

Carlo sapea, quando volgea la faccia),

se non venia la notte tenebrosa,

che staccò il fatto, ed acquetò ogni cosa;

162

dal Creator accelerata forse,

che de la sua fattura ebbe pietade.

Ondeggiò il sangue per campagna, e corse

come un gran fiume, e dilagò le strade.

Ottantamila corpi numerorse,

che fur quel dì messi per fil di spade.

Villani e lupi uscir poi de le grotte

a dispogliargli e a devorar la notte.

163

Carlo non torna più dentro alla terra,

ma contra gli nimici fuor s'accampa,

ed in assedio le lor tende serra,

ed alti e spessi fuochi intorno avampa.

Il pagan si provede, e cava terra,

fossi e ripari e bastioni stampa;

va rivedendo, e tien le guardie deste,

né tutta notte mai l'arme si sveste.

164

Tutta la notte per gli alloggiamenti

dei malsicuri Saracini oppressi

si versan pianti, gemiti e lamenti,

ma quanto più si può, cheti e soppressi.

Altri, perché gli amici hanno e i parenti

lasciati morti, ed altri per se stessi,

che son feriti, e con disagio stanno:

ma più è la tema del futuro danno.

165

Duo Mori ivi fra gli altri si trovaro,

d'oscura stirpe nati in Tolomitta;

de' quai l'istoria, per esempio raro

di vero amore, è degna esser descritta.

Cloridano e Medor si nominaro,

ch'alla fortuna prospera e alla afflitta

aveano sempre amato Dardinello,

ed or passato in Francia il mar con quello.

166

Cloridan, cacciator tutta sua vita,

di robusta persona era ed isnella:

Medoro avea la guancia colorita

e bianca e grata ne la età novella;

e fra la gente a quella impresa uscita

non era faccia più gioconda e bella:

occhi avea neri, e chioma crespa d'oro:

angel parea di quei del sommo coro.

167

Erano questi duo sopra i ripari

con molti altri a guardar gli alloggiamenti,

quando la Notte fra distanze pari

mirava il ciel con gli occhi sonnolenti.

Medoro quivi in tutti i suoi parlari

non può far che 'l signor suo non rammenti,

Dardinello d'Almonte, e che non piagna

che resti senza onor ne la campagna.

168

Volto al compagno, disse: — O Cloridano,

io non ti posso dir quanto m'incresca

del mio signor, che sia rimaso al piano,

per lupi e corbi, ohimé! troppo degna esca.

Pensando come sempre mi fu umano,

mi par che quando ancor questa anima esca

in onor di sua fama, io non compensi

né sciolga verso lui gli oblighi immensi.

169

Io voglio andar, perché non stia insepulto

in mezzo alla campagna, a ritrovarlo:

e forse Dio vorrà ch'io vada occulto

là dove tace il campo del re Carlo.

Tu rimarrai; che quando in ciel sia sculto

ch'io vi debba morir, potrai narrarlo:

che se Fortuna vieta sì bell'opra,

per fama almeno il mio buon cor si scuopra. —

170

Stupisce Cloridan, che tanto core,

tanto amor, tanta fede abbia un fanciullo:

e cerca assai, perché gli porta amore,

di fargli quel pensiero irrito e nullo;

ma non gli val, perch'un sì gran dolore

non riceve conforto né trastullo.

Medoro era disposto o di morire,

o ne la tomba il suo signor coprire.

171

Veduto che nol piega e che nol muove,

Cloridan gli risponde: — E verrò anch'io,

anch'io vuo' pormi a sì lodevol pruove,

anch'io famosa morte amo e disio.

Qual cosa sarà mai che più mi giove,

s'io resto senza te, Medoro mio?

Morir teco con l'arme è meglio molto,

che poi di duol, s'avvien che mi sii tolto. —

172

Così disposti, messero in quel loco

le successive guardie, e se ne vanno.

Lascian fosse e steccati, e dopo poco

tra' nostri son, che senza cura stanno.

Il campo dorme, e tutto è spento il fuoco,

perché dei Saracin poca tema hanno.

Tra l'arme e' carriaggi stan roversi,

nel vin, nel sonno insino agli occhi immersi.

173

Fermossi alquanto Cloridano, e disse:

— Non son mai da lasciar l'occasioni.

Di questo stuol che 'l mio signor trafisse,

non debbo far, Medoro, occisioni?

Tu, perché sopra alcun non ci venisse,

gli occhi e l'orecchi in ogni parte poni;

ch'io m'offerisco farti con la spada

tra gli nimici spaziosa strada. —

174

Così disse egli, e tosto il parlar tenne,

ed entrò dove il dotto Alfeo dormia,

che l'anno inanzi in corte a Carlo venne,

medico e mago e pien d'astrologia:

ma poco a questa volta gli sovenne;

anzi gli disse in tutto la bugia.

Predetto egli s'avea, che d'anni pieno

dovea morire alla sua moglie in seno:

175

ed or gli ha messo il cauto Saracino

la punta de la spada ne la gola.

Quattro altri uccide appresso all'indovino,

che non han tempo a dire una parola:

menzion dei nomi lor non fa Turpino,

e 'l lungo andar le lor notizie invola:

dopo essi Palidon da Moncalieri,

che sicuro dormia fra duo destrieri.

176

Poi se ne vien dove col capo giace

appoggiato al barile il miser Grillo:

avealo voto, e avea creduto in pace

godersi un sonno placido e tranquillo.

Troncògli il capo il Saracino audace:

esce col sangue il vin per uno spillo,

di che n'ha in corpo più d'una bigoncia;

e di ber sogna, e Cloridan lo sconcia.

177

E presso a Grillo, un Greco ed un Tedesco

spenge in dui colpi, Andropono e Conrado,

che de la notte avean goduto al fresco

gran parte, or con la tazza, ora col dado:

felici, se vegghiar sapeano a desco

fin che de l'Indo il sol passassi il guado.

Ma non potria negli uomini il destino,

se del futuro ognun fosse indovino.

178

Come impasto leone in stalla piena,

che lunga fame abbia smacrato e asciutto,

uccide, scanna, mangia, a strazio mena

l'infermo gregge in sua balìa condutto;

così il crudel pagan nel sonno svena

la nostra gente, e fa macel per tutto.

La spada di Medoro anco non ebe;

ma si sdegna ferir l'ignobil plebe.

179

Venuto era ove il duca di Labretto

con una dama sua dormia abbracciato;

e l'un con l'altro si tenea sì stretto,

che non saria tra lor l'aere entrato.

Medoro ad ambi taglia il capo netto.

Oh felice morire! oh dolce fato!

che come erano i corpi, ho così fede

ch'andar l'alme abbracciate alla lor sede.

180

Malindo uccise e Ardalico il fratello,

che del conte di Fiandra erano figli;

e l'uno e l'altro cavallier novello

fatto avea Carlo, e aggiunto all'arme i gigli,

perché il giorno amendui d'ostil macello

con gli stocchi tornar vide vermigli:

e terre in Frisa avea promesso loro,

e date avria; ma lo vietò Medoro.

181

Gl'insidiosi ferri eran vicini

ai padiglioni che tiraro in volta

al padiglion di Carlo i paladini,

facendo ognun la guardia la sua volta;

quando da l'empia strage i Saracini

trasson le spade, e diero a tempo volta;

ch'impossibil lor par, tra sì gran torma,

che non s'abbia a trovar un che non dorma.

182

E ben che possan gir di preda carchi,

salvin pur sé, che fanno assai guadagno.

Ove più creda aver sicuri i varchi

va Cloridano, e dietro ha il suo compagno.

Vengon nel campo, ove fra spade ed archi

e scudi e lance in un vermiglio stagno

giaccion poveri e ricchi, e re e vassalli,

e sozzopra con gli uomini i cavalli.

183

Quivi dei corpi l'orrida mistura,

che piena avea la gran campagna intorno,

potea far vaneggiar la fedel cura

dei duo compagni insino al far del giorno,

se non traea fuor d'una nube oscura,

a' prieghi di Medor, la Luna il corno.

Medoro in ciel divotamente fisse

verso la Luna gli occhi, e così disse:

184

— O santa dea, che dagli antiqui nostri

debitamente sei detta triforme;

ch'in cielo, in terra e ne l'inferno mostri

l'alta bellezza tua sotto più forme,

e ne le selve, di fere e di mostri

vai cacciatrice seguitando l'orme;

mostrami ove 'l mio re giaccia fra tanti,

che vivendo imitò tuoi studi santi. —

185

La luna a quel pregar la nube aperse

(o fosse caso o pur la tanta fede),

bella come fu allor ch'ella s'offerse,

e nuda in braccio a Endimion si diede.

Con Parigi a quel lume si scoperse

l'un campo e l'altro; e 'l monte e 'l pian si vede:

si videro i duo colli di lontano,

Martire a destra, e Lerì all'altra mano,

186

Rifulse lo splendor molto più chiaro

ove d'Almonte giacea morto il figlio.

Medoro andò, piangendo, al signor caro;

che conobbe il quartier bianco e vermiglio:

e tutto 'l viso gli bagnò d'amaro

pianto, che n'avea un rio sotto ogni ciglio,

in sì dolci atti, in sì dolci lamenti,

che potea ad ascoltar fermare i venti.

187

Ma con sommessa voce e a pena udita;

non che riguardi a non si far sentire,

perch'abbia alcun pensier de la sua vita,

più tosto l'odia, e ne vorrebbe uscire:

ma per timor che non gli sia impedita

l'opera pia che quivi il fe' venire.

Fu il morto re sugli omeri sospeso

di tramendui, tra lor partendo il peso.

188

Vanno affrettando i passi quanto ponno,

sotto l'amata soma che gl'ingombra.

E già venìa chi de la luce è donno

le stelle a tor del ciel, di terra l'ombra;

quando Zerbino, a cui del petto il sonno

l'alta virtude, ove è bisogno, sgombra,

cacciato avendo tutta notte i Mori,

al campo si traea nei primi albori.

189

E seco alquanti cavallieri avea,

che videro da lunge i dui compagni.

Ciascuno a quella parte si traea,

sperandovi trovar prede e guadagni.

— Frate, bisogna (Cloridan dicea)

gittar la soma, e dare opra ai calcagni;

che sarebbe pensier non troppo accorto,

perder duo vivi per salvar un morto. —

190

E gittò il carco, perché si pensava

che 'l suo Medoro il simil far dovesse:

ma quel meschin, che 'l suo signor più amava,

sopra le spalle sue tutto lo resse.

L'altro con molta fretta se n'andava,

come l'amico a paro o dietro avesse:

se sapea di lasciarlo a quella sorte,

mille aspettate avria, non ch'una morte.

191

Quei cavallier, con animo disposto

che questi a render s'abbino o a morire,

chi qua chi là si spargono, ed han tosto

preso ogni passo onde si possa uscire.

Da loro il capitan poco discosto,

più degli altri è sollicito a seguire;

ch'in tal guisa vedendoli temere,

certo è che sian de le nimiche schiere.

192

Era a quel tempo ivi una selva antica,

d'ombrose piante spessa e di virgulti,

che, come labirinto, entro s'intrica

di stretti calli e sol da bestie culti.

Speran d'averla i duo pagan sì amica,

ch'abbi a tenerli entro a' suoi rami occulti.

Ma chi del canto mio piglia diletto,

un'altra volta ad ascoltarlo aspetto.

CANTO DICIANNOVESIMO

1

Alcun non può saper da chi sia amato,

quando felice in su la ruota siede:

però c'ha i veri e i finti amici a lato,

che mostran tutti una medesma fede.

Se poi si cangia in tristo il lieto stato,

volta la turba adulatrice il piede;

e quel che di cor ama riman forte,

ed ama il suo signor dopo la morte.

2

Se, come il viso, si mostrasse il core,

tal ne la corte è grande e gli altri preme,

e tal è in poca grazia al suo signore,

che la lor sorte muteriano insieme.

Questo umil diverria tosto il maggiore:

staria quel grande infra le turbe estreme.

Ma torniamo a Medor fedele e grato,

che 'n vita e in morte ha il suo signore amato.

3

Cercando già nel più intricato calle

il giovine infelice di salvarsi;

ma il grave peso ch'avea su le spalle,

gli facea uscir tutti i partiti scarsi.

Non conosce il paese, e la via falle,

e torna fra le spine a invilupparsi.

Lungi da lui tratto al sicuro s'era

l'altro, ch'avea la spalla più leggiera.

4

Cloridan s'è ridutto ove non sente

di chi segue lo strepito e il rumore:

ma quando da Medor si vede assente,

gli pare aver lasciato a dietro il core.

— Deh, come fui (dicea) sì negligente,

deh, come fui sì di me stesso fuore,

che senza te, Medor, qui mi ritrassi,

né sappia quando o dove io ti lasciassi! —

5

Così dicendo, ne la torta via

de l'intricata selva si ricaccia;

ed onde era venuto si ravvia,

e torna di sua morte in su la traccia.

Ode i cavalli e i gridi tuttavia,

e la nimica voce che minaccia:

all'ultimo ode il suo Medoro, e vede

che tra molti a cavallo è solo a piede.

6

Cento a cavallo, e gli son tutti intorno:

Zerbin commanda e grida che sia preso.

L'infelice s'aggira com'un torno,

e quanto può si tien da lor difeso,

or dietro quercia, or olmo, or faggio, or orno,

né si discosta mai dal caro peso.

L'ha riposato al fin su l'erba, quando

regger nol puote, e gli va intorno errando:

7

come orsa, che l'alpestre cacciatore

ne la pietrosa tana assalita abbia,

sta sopra i figli con incerto core,

e freme in suono di pietà e di rabbia:

ira la 'nvita e natural furore

a spiegar l'ugne e a insanguinar le labbia;

amor la 'ntenerisce, e la ritira

a riguardare ai figli in mezzo l'ira.

8

Cloridan, che non sa come l'aiuti,

e ch'esser vuole a morir seco ancora,

ma non ch'in morte prima il viver muti,

che via non truovi ove più d'un ne mora;

mette su l'arco un de' suoi strali acuti,

e nascoso con quel sì ben lavora,

che fora ad uno Scotto le cervella,

e senza vita il fa cader di sella.

9

Volgonsi tutti gli altri a quella banda

ond'era uscito il calamo omicida.

Intanto un altro il Saracin ne manda,

perché 'l secondo a lato al primo uccida;

che mentre in fretta a questo e a quel domanda

chi tirato abbia l'arco, e forte grida,

lo strale arriva e gli passa la gola,

e gli taglia pel mezzo la parola.

10

Or Zerbin, ch'era il capitano loro,

non poté a questo aver più pazienza.

Con ira e con furor venne a Medoro,

dicendo: — Ne farai tu penitenza. —

Stese la mano in quella chioma d'oro,

e strascinollo a sé con violenza:

ma come gli occhi a quel bel volto mise,

gli ne venne pietade, e non l'uccise.

11

Il giovinetto si rivolse a' prieghi,

e disse: — Cavallier, per lo tuo Dio,

non esser sì crudel, che tu mi nieghi

ch'io sepelisca il corpo del re mio.

Non vo' ch'altra pietà per me ti pieghi,

né pensi che di vita abbi disio:

ho tanta di mia vita, e non più, cura,

quanta ch'al mio signor dia sepultura.

12

E se pur pascer vòi fiere ed augelli,

che 'n te il furor sia del teban Creonte,

fa lor convito di miei membri, e quelli

sepelir lascia del figliuol d'Almonte. —

Così dicea Medor con modi belli,

e con parole atte a voltare un monte;

e sì commosso già Zerbino avea,

che d'amor tutto e di pietade ardea.

13

In questo mezzo un cavallier villano,

avendo al suo signor poco rispetto,

ferì con una lancia sopra mano

al supplicante il delicato petto.

Spiacque a Zerbin l'atto crudele e strano;

tanto più, che del colpo il giovinetto

vide cader sì sbigottito e smorto,

che 'n tutto giudicò che fosse morto.

14

E se ne sdegnò in guisa e se ne dolse,

che disse: — Invendicato già non fia! —

e pien di mal talento si rivolse

al cavallier che fe' l'impresa ria:

ma quel prese vantaggio, e se gli tolse

dinanzi in un momento, e fuggì via.

Cloridan, che Medor vede per terra,

salta del bosco a discoperta guerra.

15

E getta l'arco, e tutto pien di rabbia

tra gli nimici il ferro intorno gira,

più per morir, che per pensier ch'egli abbia

di far vendetta che pareggi l'ira.

Del proprio sangue rosseggiar la sabbia

fra tante spade, e al fin venir si mira;

e tolto che si sente ogni potere,

si lascia a canto al suo Medor cadere.

16

Seguon gli Scotti ove la guida loro

per l'alta selva alto disdegno mena,

poi che lasciato ha l'uno e l'altro Moro,

l'un morto in tutto, e l'altro vivo a pena.

Giacque gran pezzo il giovine Medoro,

spicciando il sangue da sì larga vena,

che di sua vita al fin saria venuto,

se non sopravenia chi gli diè aiuto.

17

Gli sopravenne a caso una donzella,

avolta in pastorale ed umil veste,

ma di real presenza e in viso bella,

d'alte maniere e accortamente oneste.

Tanto è ch'io non ne dissi più novella,

ch'a pena riconoscer la dovreste:

questa, se non sapete, Angelica era,

del gran Can del Catai la figlia altiera.

18

Poi che 'l suo annello Angelica riebbe,

di che Brunel l'avea tenuta priva,

in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,

ch'esser parea di tutto 'l mondo schiva.

Se ne va sola, e non si degnerebbe

compagno aver qual più famoso viva:

si sdegna a rimembrar che già suo amante

abbia Orlando nomato, o Sacripante.

19

E sopra ogn'altro error via più pentita

era del ben che già a Rinaldo volse,

troppo parendole essersi avilita,

ch'a riguardar sì basso gli occhi volse.

Tant'arroganza avendo Amor sentita,

più lungamente comportar non volse:

dove giacea Medor, si pose al varco,

e l'aspettò, posto lo strale all'arco.

20

Quando Angelica vide il giovinetto

languir ferito, assai vicino a morte,

che del suo re che giacea senza tetto,

più che del proprio mal si dolea forte;

insolita pietade in mezzo al petto

si sentì entrar per disusate porte,

che le fe' il duro cor tenero e molle,

e più, quando il suo caso egli narrolle.

21

E rivocando alla memoria l'arte

ch'in India imparò già di chirugia

(che par che questo studio in quella parte

nobile e degno e di gran laude sia;

e senza molto rivoltar di carte,

che 'l patre ai figli ereditario il dia),

si dispose operar con succo d'erbe,

ch'a più matura vita lo riserbe.

22

E ricordossi che passando avea

veduta un'erba in una piaggia amena;

fosse dittamo, o fosse panacea,

o non so qual, di tal effetto piena,

che stagna il sangue, e de la piaga rea

leva ogni spasmo e perigliosa pena.

La trovò non lontana, e quella colta,

dove lasciato avea Medor, diè volta.

23

Nel ritornar s'incontra in un pastore

ch'a cavallo pel bosco ne veniva,

cercando una iuvenca, che già fuore

duo dì di mandra e senza guardia giva.

Seco lo trasse ove perdea il vigore

Medor col sangue che del petto usciva;

e già n'avea di tanto il terren tinto,

ch'era omai presso a rimanere estinto.

24

Del palafreno Angelica giù scese,

e scendere il pastor seco fece anche.

Pestò con sassi l'erba, indi la prese,

e succo ne cavò fra le man bianche;

ne la piaga n'infuse, e ne distese

e pel petto e pel ventre e fin a l'anche:

e fu di tal virtù questo liquore,

che stagnò il sangue, e gli tornò il vigore;

25

e gli diè forza, che poté salire

sopra il cavallo che 'l pastor condusse.

Non però volse indi Medor partire

prima ch'in terra il suo signor non fusse.

E Cloridan col re fe' sepelire;

e poi dove a lei piacque si ridusse.

Ed ella per pietà ne l'umil case

del cortese pastor seco rimase.

26

Né fin che nol tornasse in sanitade,

volea partir: così di lui fe' stima,

tanto se intenerì de la pietade

che n'ebbe, come in terra il vide prima.

Poi vistone i costumi e la beltade,

roder si sentì il cor d'ascosa lima;

roder si sentì il core, e a poco a poco

tutto infiammato d'amoroso fuoco.

27

Stava il pastore in assai buona e bella

stanza, nel bosco infra duo monti piatta,

con la moglie e coi figli; ed avea quella

tutta di nuovo e poco inanzi fatta.

Quivi a Medoro fu per la donzella

la piaga in breve a sanità ritratta:

ma in minor tempo si sentì maggiore

piaga di questa avere ella nel core.

28

Assai più larga piaga e più profonda

nel cor sentì da non veduto strale,

che da' begli occhi e da la testa bionda

di Medoro aventò l'Arcier c'ha l'ale.

Arder si sente, e sempre il fuoco abonda;

e più cura l'altrui che 'l proprio male:

di sé non cura, e non è ad altro intenta,

ch'a risanar chi lei fere e tormenta.

29

La sua piaga più s'apre e più incrudisce,

quanto più l'altra si ristringe e salda.

Il giovine si sana: ella languisce

di nuova febbre, or agghiacciata, or calda.

Di giorno in giorno in lui beltà fiorisce:

la misera si strugge, come falda

strugger di nieve intempestiva suole,

ch'in loco aprico abbia scoperta il sole.

30

Se di disio non vuol morir, bisogna

che senza indugio ella se stessa aiti:

e ben le par che di quel ch'essa agogna,

non sia tempo aspettar ch'altri la 'nviti.

Dunque, rotto ogni freno di vergogna,

la lingua ebbe non men che gli occhi arditi:

e di quel colpo domandò mercede,

che, forse non sapendo, esso le diede.

31

O conte Orlando, o re di Circassia,

vostra inclita virtù, dite, che giova?

Vostro alto onor dite in che prezzo sia,

o che mercé vostro servir ritruova.

Mostratemi una sola cortesia

che mai costei v'usasse, o vecchia o nuova,

per ricompensa e guidardone e merto

di quanto avete già per lei sofferto.

32

Oh se potessi ritornar mai vivo,

quanto ti parria duro, o re Agricane!

che già mostrò costei sì averti a schivo

con repulse crudeli ed inumane.

O Ferraù, o mille altri ch'io non scrivo,

ch'avete fatto mille pruove vane

per questa ingrata, quanto aspro vi fôra,

s'a costu' in braccio voi la vedesse ora!

33

Angelica a Medor la prima rosa

coglier lasciò, non ancor tocca inante:

né persona fu mai sì aventurosa,

ch'in quel giardin potesse por le piante.

Per adombrar, per onestar la cosa,

si celebrò con cerimonie sante

il matrimonio, ch'auspice ebbe Amore,

e pronuba la moglie del pastore.

34

Fersi le nozze sotto all'umil tetto

le più solenni che vi potean farsi;

e più d'un mese poi stero a diletto

i duo tranquilli amanti a ricrearsi.

Più lunge non vedea del giovinetto

la donna, né di lui potea saziarsi;

né, per mai sempre pendergli dal collo,

il suo disir sentia di lui satollo.

35

Se stava all'ombra o se del tetto usciva,

avea dì e notte il bel giovine a lato:

matino e sera or questa or quella riva

cercando andava, o qualche verde prato:

nel mezzo giorno un antro li copriva,

forse non men di quel commodo e grato,

ch'ebber, fuggendo l'acque, Enea e Dido,

de' lor secreti testimonio fido.

36

Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto

vedesse ombrare o fonte o rivo puro,

v'avea spillo o coltel subito fitto;

così, se v'era alcun sasso men duro:

ed era fuori in mille luoghi scritto,

e così in casa in altritanti il muro,

Angelica e Medoro, in vari modi

legati insieme di diversi nodi.

37

Poi che le parve aver fatto soggiorno

quivi più ch'a bastanza, fe' disegno

di fare in India del Catai ritorno,

e Medor coronar del suo bel regno.

Portava al braccio un cerchio d'oro, adorno

di ricche gemme, in testimonio e segno

del ben che 'l conte Orlando le volea;

e portato gran tempo ve l'avea.

38

Quel donò già Morgana a Ziliante,

nel tempo che nel lago ascoso il tenne;

ed esso, poi ch'al padre Monodante,

per opra e per virtù d'Orlando venne,

lo diede a Orlando: Orlando ch'era amante,

di porsi al braccio il cerchio d'or sostenne,

avendo disegnato di donarlo

alla regina sua di ch'io vi parlo.

39

Non per amor del paladino, quanto

perch'era ricco e d'artificio egregio,

caro avuto l'avea la donna tanto,

che più non si può aver cosa di pregio.

Se lo serbò ne l'Isola del pianto,

non so già dirvi con che privilegio,

là dove esposta al marin mostro nuda

fu da la gente inospitale e cruda.

40

Quivi non si trovando altra mercede

ch'al buon pastor ed alla moglie dessi,

che serviti gli avea con sì gran fede

dal dì che nel suo albergo si fur messi,

levò dal braccio il cerchio e gli lo diede,

e volse per suo amor che lo tenessi.

Indi saliron verso la montagna

che divide la Francia da la Spagna.

41

Dentro a Valenza o dentro a Barcellona

per qualche giorno avea pensato porsi,

fin che accadesse alcuna nave buona

che per Levante apparecchiasse a sciorsi.

Videro il mar scoprir sotto a Girona

ne lo smontar giù dei montani dorsi;

e costeggiando a man sinistra il lito,

a Barcellona andar pel camin trito.

42

Ma non vi giunser prima, ch'un uom pazzo

giacer trovato in su l'estreme arene,

che, come porco, di loto e di guazzo

tutto era brutto e volto e petto e schene.

Costui si scagliò lor come cagnazzo

ch'assalir forestier subito viene;

e diè lor noia, e fu per far lor scorno.

Ma di Marfisa a ricontarvi torno.

43

Di Marfisa, d'Astolfo, d'Aquilante,

di Grifone e degli altri io vi vuo' dire,

che travagliati, e con la morte inante,

mal si poteano incontra il mar schermire:

che sempre più superba e più arrogante

crescea fortuna le minacce e l'ire;

e già durato era tre dì lo sdegno,

né di placarsi ancor mostrava segno.

44

Castello e ballador spezza e fracassa

l'onda nimica e 'l vento ognor più fiero:

se parte ritta il verno pur ne lassa,

la taglia e dona al mar tutta il nocchiero.

Chi sta col capo chino in una cassa

su la carta appuntando il suo sentiero

a lume di lanterna piccolina,

e chi col torchio giù ne la sentina.

45

Un sotto poppe, un altro sotto prora

si tiene inanzi l'oriuol da polve:

e torna a rivedere ogni mezz'ora

quanto è già corso, ed a che via si volve:

indi ciascun con la sua carta fuora

a mezza nave il suo parer risolve,

là dove a un tempo i marinari tutti

sono a consiglio dal padron ridutti.

46

Chi dice: — Sopra Linmissò venuti

siamo, per quel ch'io trovo, alle seccagne; —

chi: — Di Tripoli appresso i sassi acuti,

dove il mar le più volte i legni fragne; —

chi dice: — Siamo in Satalia perduti,

per cui più d'un nocchier sospira e piagne. —

Ciascun secondo il parer suo argomenta,

ma tutti ugual timor preme e sgomenta.

47

Il terzo giorno con maggior dispetto

gli assale il vento, e il mar più irato freme;

e l'un ne spezza e portane il trinchetto,

e 'l timon l'altro, e chi lo volge insieme.

Ben è di forte e di marmoreo petto

e più duro ch'acciar, ch'ora non teme.

Marfisa, che già fu tanto sicura,

non negò che quel giorno ebbe paura.

48

Al monte Sinaì fu peregrino,

a Gallizia promesso, a Cipro, a Roma,

al Sepolcro, alla Vergine d'Ettino,

e se celebre luogo altro si noma.

Sul mare intanto, e spesso al ciel vicino

l'afflitto e conquassato legno toma,

di cui per men travaglio avea il padrone

fatto l'arbor tagliar de l'artimone.

49

E colli e casse e ciò che v'è di grave

gitta da prora e da poppe e da sponde;

e fa tutte sgombrar camere e giave,

e dar le ricche merci all'avide onde.

Altri attende alle trombe, e a tor di nave

l'acque importune, e il mar nel mar rifonde;

soccorre altri in sentina, ovunque appare

legno da legno aver sdrucito il mare.

50

Stero in questo travaglio, in questa pena

ben quattro giorni, e non avean più schermo;

e n'avria avuto il mar vittoria piena,

poco più che 'l furor tenesse fermo:

ma diede speme lor d'aria serena

la disiata luce di santo Ermo,

ch'in prua s'una cocchina a por si venne;

che più non v'erano arbori né antenne.

51

Veduto fiammeggiar la bella face,

s'inginocchiaro tutti i naviganti,

e domandaro il mar tranquillo e pace

con umidi occhi e con voci tremanti.

La tempesta crudel, che pertinace

fu sin allora, non andò più inanti:

Maestro e Traversia più non molesta,

e sol del mar tiràn Libecchio resta.

52

Questo resta sul mar tanto possente,

e da la negra bocca in modo esala,

ed è con lui sì il rapido corrente

de l'agitato mar ch'in fretta cala,

che porta il legno più velocemente,

che pelegrin falcon mai facesse ala,

con timor del nocchier ch'al fin del mondo

non lo trasporti, o rompa, o cacci al fondo.

53

Rimedio a questo il buon nocchier ritruova,

che commanda gittar per poppa spere,

e caluma la gomona, e fa pruova

di duo terzi del corso ritenere.

Questo consiglio, e più l'augurio giova

di chi avea acceso in proda le lumiere:

questo il legno salvò che peria forse,

e fe' ch'in alto mar sicuro corse.

54

Nel golfo di Laiazzo invêr Soria

sopra una gran città si trovò sorto,

e sì vicino al lito, che scopria

l'uno e l'altro castel che serra il porto.

Come il padron s'accorse de la via

che fatto avea, ritornò in viso smorto;

che né porto pigliar quivi volea,

né stare in alto, né fuggir potea.

55

Né potea stare in alto, né fuggire,

che gli arbori e l'antenne avea perdute:

eran tavole e travi pel ferire

del mar, sdrucite, macere e sbattute.

E 'l pigliar porto era un voler morire,

o perpetuo legarsi in servitute;

che riman serva ogni persona, o morta,

che quivi errore o ria fortuna porta.

56

E 'l stare in dubbio era con gran periglio

che non salisser genti de la terra

con legni armati, e al suo desson di piglio,

mal atto a star sul mar, non ch'a far guerra.

Mentre il padron non sa pigliar consiglio,

fu domandato da quel d'Inghilterra,

chi gli tenea sì l'animo suspeso,

e perché già non avea il porto preso.

57

Il padron narrò lui che quella riva

tutta tenean le femine omicide,

di quai l'antiqua legge ognun ch'arriva

in perpetuo tien servo, o che l'uccide;

e questa sorte solamente schiva

chi nel campo dieci uomini conquide,

e poi la notte può assaggiar nel letto

diece donzelle con carnal diletto.

58

E se la prima pruova gli vien fatta,

e non fornisca la seconda poi,

egli vien morto, e chi è con lui si tratta

da zappatore o da guardian di buoi.

Se di far l'uno e l'altro è persona atta,

impetra libertade a tutti i suoi;

a sé non già, c'ha da restar marito

di diece donne, elette a suo appetito.

59

Non poté udire Astolfo senza risa

de la vicina terra il rito strano.

Sopravien Sansonetto, e poi Marfisa,

indi Aquilante, e seco il suo germano.

Il padron parimente lor divisa

la causa che dal porto il tien lontano:

— Voglio (dicea) che inanzi il mar m'affoghi,

ch'io senta mai di servitude i gioghi. —

60

Del parer del padrone i marinari

e tutti gli altri naviganti furo;

ma Marfisa e' compagni eran contrari,

che, più che l'acque, il lito avean sicuro.

Via più il vedersi intorno irati i mari,

che centomila spade, era lor duro.

Parea lor questo e ciascun altro loco

dov'arme usar potean, da temer poco.

61

Bramavano i guerrier venire a proda,

ma con maggior baldanza il duca inglese;

che sa, come del corno il rumor s'oda,

sgombrar d'intorno si farà il paese.

Pigliare il porto l'una parte loda,

e l'altra il biasma, e sono alle contese;

ma la più forte in guisa il padron stringe,

ch'al porto, suo malgrado, il legno spinge.

62

Già, quando prima s'erano alla vista

de la città crudel sul mar scoperti,

veduto aveano una galea provista

di molta ciurma e di nochieri esperti

venire al dritto a ritrovar la trista

nave, confusa di consigli incerti;

che, l'alta prora alle sua poppe basse

legando, fuor de l'empio mar la trasse.

63

Entrar nel porto remorchiando, e a forza

di remi più che per favor di vele;

però che l'alternar di poggia e d'orza

avea levato il vento lor crudele.

Intanto ripigliar la dura scorza

i cavallieri e il brando lor fedele;

ed al padrone ed a ciascun che teme

non cessan dar con lor conforti speme.

64

Fatto è 'l porto a sembianza d'una luna,

e gira più di quattro miglia intorno:

seicento passi è in bocca, ed in ciascuna

parte una rocca ha nel finir del corno.

Non teme alcuno assalto di fortuna,

se non quando gli vien dal mezzogiorno.

A guisa di teatro se gli stende

la città a cerco, e verso il poggio ascende.

65

Non fu quivi sì tosto il legno sorto

(già l'aviso era per tutta la terra),

che fur seimila femine sul porto,

con gli archi in mano, in abito di guerra;

e per tor de la fuga ogni conforto,

tra l'una rocca e l'altra il mar si serra:

da navi e da catene fu rinchiuso,

che tenean sempre istrutte a cotal uso.

66

Una che d'anni alla Cumea d'Apollo

poté uguagliarsi e alla madre d'Ettorre,

fe' chiamare il padrone, e domandollo

se si volean lasciar la vita torre,

o se voleano pur al giogo il collo,

secondo la costuma, sottoporre.

Degli dua l'uno aveano a torre: o quivi

tutti morire, o rimaner captivi.

67

— Gli è ver (dicea) che s'uom si ritrovasse

tra voi così animoso e così forte,

che contra dieci nostri uomini osasse

prender battaglia, e desse lor la morte,

e far con diece femine bastasse

per una notte ufficio di consorte;

egli si rimarria principe nostro,

e gir voi ne potreste al camin vostro.

68

E sarà in vostro arbitrio il restar anco,

vogliate o tutti o parte; ma con patto,

che chi vorrà restare, e restar franco,

marito sia per diece femine atto.

Ma quando il guerrier vostro possa manco

dei dieci che gli fian nimici a un tratto,

o la seconda pruova non fornisca,

vogliàn voi siate schiavi, egli perisca. —

69

Dove la vecchia ritrovar timore

credea nei cavallier, trovò baldanza;

che ciascun si tenea tal feritore,

che fornir l'uno e l'altro avea speranza:

ed a Marfisa non mancava il core,

ben che mal atta alla seconda danza;

ma dove non l'aitasse la natura,

con la spada supplir stava sicura.

70

Al padron fu commessa la risposta,

prima conchiusa per commun consiglio:

ch'avean chi lor potria di sé a lor posta

ne la piazza e nel letto far periglio.

Levan l'offese, ed il nocchier s'accosta,

getta la fune e le fa dar di piglio;

e fa acconciare il ponte, onde i guerrieri

escono armati, e tranno i lor destrieri.

71

E quindi van per mezzo la cittade,

e vi ritruovan le donzelle altiere,

succinte cavalcar per le contrade,

ed in piazza armeggiar come guerriere.

Né calciar quivi spron, né cinger spade,

né cosa d'arme puoi gli uomini avere,

se non dieci alla volta, per rispetto

de l'antiqua costuma ch'io v'ho detto.

72

Tutti gli altri alla spola, all'aco, al fuso,

al pettine ed all'aspo sono intenti,

con vesti feminil che vanno giuso

insin al piè, che gli fa molli e lenti.

Si tengono in catena alcuni ad uso

d'arar la terra o di guardar gli armenti.

Son pochi i maschi, e non son ben, per mille

femine, cento, fra cittadi e ville.

73

Volendo tôrre i cavallieri a sorte

chi di lor debba, per commune scampo

l'una decina in piazza porre a morte,

e poi l'altra ferir ne l'altro campo;

non disegnavan di Marfisa forte,

stimando che trovar dovesse inciampo

ne la seconda giostra de la sera,

ch'ad averne vittoria abil non era.

74

Ma con gli altri esser volse ella sortita:

or sopra lei la sorte in somma cade.

Ella dicea: — Prima v'ho a por la vita,

che v'abbiate a por voi la libertade;

ma questa spada (e lor la spada addita,

che cinta avea) vi do per securtade

ch'io vi sciorrò tutti gl'intrichi al modo

che fe' Alessandro il gordiano nodo.

75

Non vuo' mai più che forestier si lagni

di questa terra, fin che 'l mondo dura. —

Così disse; e non potero i compagni

torle quel che le dava sua aventura.

Dunque, o ch'in tutto perda, o lor guadagni

la libertà, le lasciano la cura.

Ella di piastre già guernita e maglia,

s'appresentò nel campo alla battaglia.

76

Gira una piazza al sommo de la terra,

di gradi a seder atti intorno chiusa;

che solamente a giostre, a simil guerra,

a cacce, a lotte, e non ad altro s'usa:

quattro porte ha di bronzo, onde si serra.

Quivi la moltitudine confusa

de l'armigere femine si trasse;

e poi fu detto a Marfisa ch'entrasse.

77

Entrò Marfisa s'un destrier leardo,

tutto sparso di macchie e di rotelle,

di piccol capo e d'animoso sguardo,

d'andar superbo e di fattezze belle.

Pel maggiore e più vago e più gagliardo,

di mille che n'avea con briglie e selle,

scelse in Damasco, e realmente ornollo,

ed a Marfisa Norandin donollo.

78

Da mezzogiorno e da la porta d'austro

entrò Marfisa; e non vi stette guari,

ch'appropinquare e risonar pel claustro

udì di trombe acuti suoni e chiari:

e vide poi di verso il freddo plaustro

entrar nel campo i dieci suoi contrari.

Il primo cavallier ch'apparve inante,

di valer tutto il resto avea sembiante.

79

Quel venne in piazza sopra un gran destriero,

che, fuor ch'in fronte e nel piè dietro manco,

era, più che mai corbo, oscuro e nero:

nel piè e nel capo avea alcun pelo bianco.

Del color del cavallo il cavalliero

vestito, volea dir che, come manco

del chiaro era l'oscuro, era altretanto

il riso in lui verso l'oscuro pianto.

80

Dato che fu de la battaglia il segno,

nove guerrier l'aste chinaro a un tratto:

ma quel dal nero ebbe il vantaggio a sdegno;

si ritirò, né di giostrar fece atto.

Vuol ch'alle leggi inanzi di quel regno,

ch'alla sua cortesia, sia contrafatto.

Si tra' da parte e sta a veder le pruove

ch'una sola asta farà contra a nove.

81

Il destrier, ch'avea andar trito e soave,

portò all'incontro la donzella in fretta,

che nel corso arrestò lancia sì grave,

che quattro uomini avriano a pena retta.

L'avea pur dianzi al dismontar di nave

per la più salda in molte antenne eletta.

Il fier sembiante con ch'ella si mosse,

mille facce imbiancò, mille cor scosse.

82

Aperse al primo che trovò sì il petto,

che fôra assai che fosse stato nudo:

gli passò la corazza e il soprapetto,

ma prima un ben ferrato e grosso scudo.

Dietro le spalle un braccio il ferro netto

si vide uscir: tanto fu il colpo crudo.

Quel fitto ne la lancia a dietro lassa,

e sopra gli altri a tutta briglia passa.

83

E diede d'urto a chi venìa secondo,

ed a chi terzo sì terribil botta,

che rotto ne la schiena uscir del mondo

fe' l'uno e l'altro, e de la sella a un'otta;

sì duro fu l'incontro e di tal pondo,

sì stretta insieme ne venìa la frotta.

Ho veduto bombarde a quella guisa

le squadre aprir, che fe' lo stuol Marfisa.

84

Sopra di lei più lance rotte furo;

ma tanto a quelli colpi ella si mosse,

quanto nel giuoco de le cacce un muro

si muova a' colpi de le palle grosse.

L'usbergo suo di tempra era sì duro,

che non gli potean contra le percosse;

e per incanto al fuoco de l'Inferno

cotto, e temprato all'acque fu d'Averno.

85

Al fin del campo il destrier tenne e volse,

e fermò alquanto: e in fretta poi lo spinse

incontra gli altri, e sbarragliolli e sciolse,

e di lor sangue insin all'elsa tinse.

All'uno il capo, all'altro il braccio tolse;

e un altro in guisa con la spada cinse,

che 'l petto in terra andò col capo ed ambe

le braccia, e in sella il ventre era e le gambe.

86

Lo partì, dico, per dritta misura,

de le coste e de l'anche alle confine,

e lo fe' rimaner mezza figura,

qual dinanzi all'imagini divine,

poste d'argento, e più di cera pura

son da genti lontane e da vicine,

ch'a ringraziarle e sciorre il voto vanno

de le domande pie ch'ottenute hanno.

87

Ad uno che fuggia, dietro si mise,

né fu a mezzo la piazza, che lo giunse;

e 'l capo e 'l collo in modo gli divise,

che medico mai più non lo raggiunse.

In somma tutti un dopo l'altro uccise,

o ferì sì ch'ogni vigor n'emunse;

e fu sicura che levar di terra

mai più non si potrian per farle guerra.

88

Stato era il cavallier sempre in un canto,

che la decina in piazza avea condutta;

però che contra un solo andar con tanto

vantaggio opra gli parve iniqua e brutta.

Or che per una man torsi da canto

vide sì tosto la compagna tutta,

per dimostrar che la tardanza fosse

cortesia stata e non timor, si mosse.

89

Con man fe' cenno di volere, inanti

che facesse altro, alcuna cosa dire;

e non pensando in sì viril sembianti

che s'avesse una vergine a coprire,

le disse; — Cavalliero, omai di tanti

esser déi stanco, c'hai fatto morire;

e s'io volessi, più di quel che sei,

stancarti ancor, discortesia farei.

90

Che ti risposi in sino al giorno nuovo,

e doman torni in campo, ti concedo.

Non mi fia onor se teco oggi mi pruovo,

che travagliato e lasso esser ti credo. —

— Il travagliare in arme non m'è nuovo,

né per sì poco alla fatica cedo

(disse Marfisa); e spero ch'a tuo costo

io ti farò di questo aveder tosto.

91

De la cortese offerta ti ringrazio,

ma riposare ancor non mi bisogna;

e ci avanza del giorno tanto spazio,

ch'a porlo tutto in ozio è pur vergogna. —

Rispose il cavallier: — Fuss'io sì sazio

d'ogn'altra cosa che 'l mio core agogna,

come t'ho in questo da saziar; ma vedi

che non ti manchi il dì più che non credi. —

92

Così disse egli, e fe' portare in fretta

due grosse lance, anzi due gravi antenne;

ed a Marfisa dar ne fe' l'eletta:

tolse l'altra per sé, ch'indietro venne.

Già sono in punto, ed altro non s'aspetta

ch'un alto suon che lor la giostra accenne.

Ecco la terra e l'aria e il mar rimbomba

nel mover loro al primo suon di tromba.

93

Trar fiato, bocca aprir, o battere occhi

non si vedea de' riguardanti alcuno:

tanto a mirare a chi la palma tocchi

dei duo campioni, intento era ciascuno.

Marfisa, acciò che de l'arcion trabocchi,

sì che mai non si levi, il guerrier bruno,

drizza la lancia; e il guerrier bruno forte

studia non men di por Marfisa a morte.

94

Le lance ambe di secco e suttil salce,

non di cerro sembrar grosso ed acerbo,

così n'andaro in tronchi fin al calce;

e l'incontro ai destrier fu sì superbo,

che parimente parve da una falce

de le gambe esser lor tronco ogni nerbo.

Cadero ambi ugualmente; ma i campioni

fur presti a disbrigarsi dagli arcioni.

95

A mille cavallieri alla sua vita

al primo incontro avea la sella tolta

Marfisa, ed ella mai non n'era uscita;

e n'uscì, come udite, a questa volta.

Del caso strano non pur sbigottita,

ma quasi fu per rimanerne stolta.

Parve anco strano al cavallier dal nero,

che non solea cader già di leggiero.

96

Tocca avean nel cader la terra a pena,

che furo in piedi e rinovar l'assalto.

Tagli e punte a furor quivi si mena,

quivi ripara or scudo, or lama, or salto.

Vada la botta vota o vada piena,

l'aria ne stride e ne risuona in alto.

Quelli elmi, quelli usberghi, quelli scudi

mostrar ch'erano saldi più ch'incudi.

97

Se de l'aspra donzella il braccio è grave,

né quel del cavallier nimico è lieve.

Ben la misura ugual l'un da l'altro have:

quanto a punto l'un dà, tanto riceve.

Chi vol due fiere audaci anime brave,

cercar più là di queste due non deve,

né cercar più destrezza né più possa;

che n'han tra lor quanto più aver si possa.

98

Le donne, che gran pezzo mirato hanno

continuar tante percosse orrende,

e che nei cavallier segno d'affanno

e di stanchezza ancor non si comprende;

dei duo miglior guerrier lode lor danno,

che sien tra quanto il mar sua braccia estende.

Par lor che, se non fosser più che forti,

esser dovrian sol del travaglio morti.

99

Ragionando tra sé, dicea Marfisa:

— Buon fu per me, che costui non si mosse;

ch'andava a risco di restarne uccisa,

se dianzi stato coi compagni fosse,

quando io mi truovo a pena a questa guisa

di potergli star contra alle percosse. —

Così dice Marfisa; e tuttavolta

non resta di menar la spada in volta.

100

— Buon fu per me (dicea quell'altro ancora),

che riposar costui non ho lasciato.

Difender me ne posso a fatica ora

che de la prima pugna è travagliato.

Se fin al nuovo dì facea dimora

a ripigliar vigor, che saria stato?

Ventura ebbi io, quanto più possa aversi,

che non volesse tor quel ch'io gli offersi. —

101

La battaglia durò fin alla sera,

né chi avesse anco il meglio era palese;

né l'un né l'altro più senza lumiera

saputo avria come schivar l'offese.

Giunta la notte, all'inclita guerriera

fu primo a dir il cavallier cortese:

— Che faren, poi che con ugual fortuna

n'ha sopragiunti la notte importuna?

102

Meglio mi par che 'l viver tuo prolunghi

almeno insino a tanto che s'aggiorni.

Io non posso concederti che aggiunghi

fuor ch'una notte picciola ai tua giorni.

E di ciò che non gli abbi aver più lunghi,

la colpa sopra me non vuo' che torni:

torni pur sopra alla spietata legge

del sesso feminil che 'l loco regge.

103

Se di te duolmi e di quest'altri tuoi,

lo sa colui che nulla cosa ha oscura.

Con tuoi compagni star meco tu puoi:

con altri non avrai stanza sicura;

perché la turba, a cu' i mariti suoi

oggi uccisi hai, già contra te congiura.

Ciascun di questi a cui dato hai la morte,

era di diece femine consorte.

104

Del danno c'han da te ricevut'oggi,

disian novanta femine vendetta:

sì che se meco ad albergar non poggi,

questa notte assalito esser t'aspetta. —

Disse Marfisa: — Accetto che m'alloggi,

con sicurtà che non sia men perfetta

in te la fede e la bontà del core,

che sia l'ardire e il corporal valore.

105

Ma che t'incresca che m'abbi ad uccidere,

ben ti può increscere anco del contrario.

Fin qui non credo che l'abbi da ridere,

perch'io sia men di te duro avversario.

O la pugna seguir vogli o dividere,

o farla all'uno o all'altro luminario,

ad ogni cenno pronta tu m'avrai,

e come ed ogni volta che vorrai. —

106

Così fu differita la tenzone

fin che di Gange uscisse il nuovo albore,

e si restò senza conclusione

chi d'essi duo guerrier fosse il migliore.

Ad Aquilante venne ed a Grifone

e così agli altri il liberal signore,

e li pregò che fin al nuovo giorno

piacesse lor di far seco soggiorno.

107

Tenner lo 'nvito senza alcun sospetto:

indi, a splendor de bianchi torchi ardenti,

tutti saliro ov'era un real tetto,

distinto in molti adorni alloggiamenti.

Stupefatti al levarsi de l'elmetto,

mirandosi, restaro i combattenti;

che 'l cavallier, per quanto apparea fuora,

non eccedeva i diciotto anni ancora.

108

Si maraviglia la donzella, come

in arme tanto un giovinetto vaglia;

si maraviglia l'altro, ch'alle chiome

s'avede con chi avea fatto battaglia:

e si domandan l'un con l'altro il nome,

e tal debito tosto si ragguaglia.

Ma come si nomasse il giovinetto,

ne l'altro canto ad ascoltar v'aspetto.

CANTO VENTESIMO

1

Le donne antique hanno mirabil cose

fatto ne l'arme e ne le sacre muse;

e di lor opre belle e gloriose

gran lume in tutto il mondo si diffuse.

Arpalice e Camilla son famose,

perché in battaglia erano esperte ed use;

Safo e Corinna, perché furon dotte,

splendono illustri, e mai non veggon notte.

2

Le donne son venute in eccellenza

Di ciascun'arte ove hanno posto cura;

e qualunque all'istorie abbia avvertenza,

ne sente ancor la fama non oscura.

Se 'l mondo n'è gran tempo stato senza,

non però sempre il mal influsso dura;

e forse ascosi han lor debiti onori

l'invidia o il non saper degli scrittori.

3

Ben mi par di veder ch'al secol nostro

tanta virtù fra belle donne emerga,

che può dare opra a carte ed ad inchiostro,

perché nei futuri anni si disperga,

e perché, odiose lingue, il mal dir vostro

con vostra eterna infamia si sommerga:

e le lor lode appariranno in guisa,

che di gran lunga avanzeran Marfisa.

4

Or pur tornando a lei, questa donzella

al cavallier che l'usò cortesia,

de l'esser suo non niega dar novella,

quando esso a lei voglia contar chi sia.

Sbrigossi tosto del suo debito ella:

tanto il nome di lui saper disia.

— Io son (disse) Marfisa: — e fu assai questo;

che si sapea per tutto 'l mondo il resto.

5

L'altro comincia, poi che tocca a lui,

con più proemio a darle di sé conto,

dicendo: — Io credo che ciascun di vui

abbia de la mia stirpe il nome in pronto;

che non pur Francia e Spagna e i vicin sui,

ma l'India, l'Etiopia e il freddo Ponto

han chiara cognizion di Chiaramonte,

onde uscì il cavallier ch'uccise Almonte,

6

quel ch'a Chiariello e al re Mambrino

diede la morte, e il regno lor disfece.

Di questo sangue, dove ne l'Eusino

l'Istro ne vien con otto corna o diece,

al duca Amone, il qual già peregrino

vi capitò, la madre mia mi fece:

e l'anno è ormai ch'io la lasciai dolente,

per gire in Francia a ritrovar mia gente.

7

Ma non potei finire il mio viaggio,

che qua mi spinse un tempestoso Noto.

Son dieci mesi o più che stanza v'aggio,

che tutti i giorni e tutte l'ore noto.

Nominato son io Guidon Selvaggio,

di poca pruova ancora e poco noto.

Uccisi qui Argilon da Melibea

con dieci cavallier che seco avea.

8

Feci la pruova ancor de le donzelle:

così n'ho diece a' miei piaceri allato;

ed alla scelta mia son le più belle,

e son le più gentil di questo stato.

E queste reggo e tutte l'altre; ch'elle

di sé m'hanno governo e scettro dato:

così daranno a qualunque altro arrida

Fortuna sì, che la decina ancida. —

9

I cavallier domandano a Guidone,

com'ha sì pochi maschi il tenitoro;

e s'alle moglie hanno suggezione,

come esse l'han negli altri lochi a loro.

Disse Guidon: — Più volte la cagione

udita n'ho da poi che qui dimoro;

e vi sarà, secondo ch'io l'ho udita,

da me, poi che v'aggrada, riferita.

10

Al tempo che tornar dopo anni venti

da Troia i Greci (che durò l'assedio

dieci, e dieci altri da contrari venti

furo agitati in mar con troppo tedio),

trovar che le lor donne agli tormenti

di tanta assenza avean preso rimedio:

tutte s'avean gioveni amanti eletti,

per non si raffreddar sole nei letti.

11

Le case lor trovaro i Greci piene

de l'altrui figli; e per parer commune

perdonano alle mogli, che san bene

che tanto non potean viver digiune:

ma ai figli degli adulteri conviene

altrove procacciarsi altre fortune;

che tolerar non vogliono i mariti

che più alle spese lor sieno notriti.

12

Sono altri esposti, altri tenuti occulti

da le lor madri e sostenuti in vita.

In vane squadre quei ch'erano adulti

feron, chi qua chi là, tutti partita.

Per altri l'arme son, per altri culti

gli studi e l'arti; altri la terra trita;

serve altri in corte; altri è guardian di gregge,

come piace a colei che qua giù regge.

13

Partì fra gli altri un giovinetto, figlio

di Clitemnestra, la crudel regina,

di diciotto anni, fresco come un giglio,

o rosa colta allor di su la spina.

Questi, armato un suo legno, a dar di piglio

si pose e a depredar per la marina

in compagnia di cento giovinetti

del tempo suo, per tutta Grecia eletti.

14

I Cretesi, in quel tempo che cacciato

il crudo Idomeneo del regno aveano,

e per assicurarsi il nuovo stato,

d'uomini e d'arme adunazion faceano;

fero con bon stipendio lor soldato

Falanto (così al giovine diceano),

e lui con tutti quei che seco avea,

poser per guardia alla città Dictea.

15

Fra cento alme città ch'erano in Creta,

Dictea più ricca e più piacevol era,

di belle donne ed amorose lieta,

lieta di giochi da matino a sera:

e com'era ogni tempo consueta

d'accarezzar la gente forestiera,

fe' a costor sì, che molto non rimase

a fargli anco signor de le lor case.

16

Eran gioveni tutti e belli affatto

(che 'l fior di Grecia avea Falanto eletto):

sì ch'alle belle donne, al primo tratto

che v'apparir, trassero i cor del petto.

Poi che non men che belli, ancora in fatto

si dimostrar buoni e gagliardi al letto,

si fero ad esse in pochi dì sì grati,

che sopra ogn'altro ben n'erano amati.

17

Finita che d'accordo è poi la guerra

per cui stato Falanto era condutto,

e lo stipendio militar si serra,

sì che non v'hanno i gioveni più frutto,

e per questo lasciar voglion la terra;

fan le donne di Creta maggior lutto,

e per ciò versan più dirotti pianti,

che se i lor padri avesson morti avanti.

18

Da le lor donne i gioveni assai foro,

ciascun per sé, di rimaner pregati:

né volendo restare, esse con loro

n'andar, lasciando e padri e figli e frati,

di ricche gemme e di gran summa d'oro

avendo i lor dimestici spogliati;

che la pratica fu tanto secreta,

che non sentì la fuga uomo di Creta.

19

Sì fu propizio il vento, sì fu l'ora

commoda, che Falanto a fuggir colse,

che molte miglia erano usciti fuora,

quando del danno suo Creta si dolse.

Poi questa spiaggia, inabitata allora,

trascorsi per fortuna li raccolse.

Qui si posaro, e qui sicuri tutti

meglio del furto lor videro i frutti.

20

Questa lor fu per dieci giorni stanza

di piaceri amorosi tutta piena.

Ma come spesso avvien, che l'abondanza

seco in cor giovenil fastidio mena,

tutti d'accordo fur di restar sanza

femine, e liberarsi di tal pena;

che non è soma da portar sì grave,

come aver donna, quando a noia s'have.

21

Essi che di guadagno e di rapine

eran bramosi, e di dispendio parchi,

vider ch'a pascer tante concubine,

d'altro che d'aste avean bisogno e d'archi:

sì che sole lasciar qui le meschine,

e se n'andar di lor ricchezze carchi

là dove in Puglia in ripa al mar poi sento

ch'edificar la terra di Tarento.

22

Le donne, che si videro tradite

dai loro amanti in che più fede aveano,

restar per alcun dì sì sbigottite,

che statue immote in lito al mar pareano.

Visto poi che da gridi e da infinite

lacrime alcun profitto non traeano,

a pensar cominciaro e ad aver cura

come aiutarsi in tanta lor sciagura.

23

E proponendo in mezzo i lor pareri,

altre diceano: in Creta è da tornarsi;

e più tosto all'arbitrio de' severi

padri e d'offesi lor mariti darsi,

che nei deserti liti e boschi fieri,

di disagio e di fame consumarsi.

Altre dicean che lor saria più onesto

affogarsi nel mar, che mai far questo;

24

e che manco mal era meretrici

andar pel mondo, andar mendiche o schiave,

che se stesse offerire agli supplici

di ch'eran degne l'opere lor prave.

Questi e simil partiti le infelici

si proponean, ciascun più duro e grave.

Tra loro al fine una Orontea levosse,

ch'origine traea dal re Minosse;

25

la più gioven de l'artre e la più bella

e la più accorta, e ch'avea meno errato:

amato avea Falanto, e a lui pulzella

datasi, e per lui il padre avea lasciato.

Costei mostrando in viso ed in favella

il magnanimo cor d'ira infiammato,

redarguendo di tutte altre il detto,

suo parer disse, e fe' seguirne effetto.

26

Di questa terra a lei non parve torsi,

che conobbe feconda e d'aria sana,

e di limpidi fiumi aver discorsi,

di selve opaca, e la più parte piana;

con porti e foci, ove dal mar ricorsi

per ria fortuna avea la gente estrana,

ch'or d'Africa portava, ora d'Egitto

cose diverse e necessarie al vitto.

27

Qui parve a lei fermarsi, e far vendetta

del viril sesso che le avea sì offese:

vuol ch'ogni nave, che da venti astretta

a pigliar venga porto in suo paese,

a sacco, a sangue, a fuoco al fin si metta;

né de la vita a un sol si sia cortese.

Così fu detto e così fu concluso,

e fu fatta la legge e messa in uso.

28

Come turbar l'aria sentiano, armate

le femine correan su la marina,

da l'implacabile Orontea guidate,

che diè lor legge e si fe' lor regina:

e de le navi ai liti lor cacciate

faceano incendi orribili e rapina,

uom non lasciando vivo, che novella

dar ne potesse o in questa parte o in quella.

29

Così solinghe vissero qualch'anno

aspre nimiche del sesso virile:

ma conobbero poi, che 'l proprio danno

procaccierian, se non mutavan stile;

che se di lor propagine non fanno,

sarà lor legge in breve irrita e vile,

e mancherà con l'infecondo regno,

dove di farla eterna era il disegno.

30

Sì che, temprando il suo rigore un poco

scelsero, in spazio di quattro anni interi,

di quanti capitaro in questo loco

dieci belli e gagliardi cavallieri,

che per durar ne l'amoroso gioco

contr'esse cento fosser buon guerrieri.

Esse in tutto eran cento; e statuito

ad ogni lor decina fu un marito.

31

Prima ne fur decapitati molti

che riusciro al paragon mal forti.

Or questi dieci a buona pruova tolti,

del letto e del governo ebbon consorti;

facendo lor giurar che, se più colti

altri uomini verriano in questi porti,

essi sarian che, spenta ogni pietade,

li porriano ugualmente a fil di spade.

32

Ad ingrossare, ed a figliar appresso

le donne, indi a temere incominciaro

che tanti nascerian del viril sesso,

che contra lor non avrian poi riparo;

e al fine in man degli uomini rimesso

saria il governo ch'elle avean sì caro:

sì ch'ordinar, mentre eran gli anni imbelli,

far sì, che mai non fosson lor ribelli.

33

Acciò il sesso viril non le soggioghi,

uno ogni madre vuol la legge orrenda,

che tenga seco; gli altri, o li suffoghi,

o fuor del regno li permuti o venda.

Ne mandano per questo in vari luoghi:

e a chi gli porta dicono che prenda

femine, se a baratto aver ne puote;

se non, non torni almen con le man vote.

34

Né uno ancora alleverian, se senza

potesson fare, e mantenere il gregge.

Questa è quanta pietà, quanta clemenza

più ai suoi ch'agli altri usa l'iniqua legge:

gli altri condannan con ugual sentenza;

e solamente in questo si corregge,

che non vuol che, secondo il primiero uso,

le femine gli uccidano in confuso.

35

Se dieci o venti o più persone a un tratto

vi fosser giunte, in carcere eran messe:

e d'una al giorno, e non di più, era tratto

il capo a sorte, che perir dovesse

nel tempio orrendo ch'Orontea avea fatto,

dove un altare alla Vendetta eresse;

e dato all'un de' dieci il crudo ufficio

per sorte era di farne sacrificio.

36

Dopo molt'anni alle ripe omicide

a dar venne di capo un giovinetto,

la cui stirpe scendea dal buono Alcide,

di gran valor ne l'arme, Elbanio detto.

Qui preso fu, ch'a pena se n'avide,

come quel che venìa senza sospetto;

e con gran guardia in stretta parte chiuso,

con gli altri era serbato al crudel uso.

37

Di viso era costui bello e giocondo,

e di maniere e di costumi ornato,

e di parlar sì dolce e sì facondo,

ch'un aspe volentier l'avria ascoltato:

sì che, come di cosa rara al mondo,

de l'esser suo fu tosto rapportato

ad Alessandra figlia d'Orontea,

che di molt'anni grave anco vivea.

38

Orontea vivea ancora; e già mancate

tutt'eran l'altre ch'abitar qui prima:

e diece tante e più n'erano nate,

e in forza eran cresciute e in maggior stima;

né tra diece fucine che serrate

stavan pur spesso, avean più d'una lima;

e dieci cavallieri anco avean cura

di dare a chi venìa fiera aventura.

39

Alessandra, bramosa di vedere

il giovinetto ch'avea tante lode,

da la sua matre in singular piacere

impetra sì, ch'Elbanio vede ed ode;

e quando vuol partirne, rimanere

si sente il core ove è chi 'l punge e rode:

legar si sente e non sa far contesa,

e al fin dal suo prigion si trova presa.

40

Elbanio disse a lei: — Se di pietade

s'avesse, donna, qui notizia ancora,

come se n'ha per tutt'altre contrade,

dovunque il vago sol luce e colora;

io vi osarei, per vostr'alma beltade

ch'ogn'animo gentil di sé inamora,

chiedervi in don la vita mia, che poi

saria ognor presto a spenderla per voi.

41

Or quando fuor d'ogni ragion qui sono

privi d'umanitade i cori umani,

non vi domanderò la vita in dono,

che i prieghi miei so ben che sarian vani;

ma che da cavalliero, o tristo o buono

ch'io sia, possi morir con l'arme in mani,

e non come dannato per giudicio,

o come animal bruto in sacrificio. —

42

Alessandra gentil, ch'umidi avea,

per la pietà del giovinetto, i rai,

rispose: — Ancor che più crudele e rea

sia questa terra, ch'altra fosse mai;

non concedo però che qui Medea

ogni femina sia, come tu fai:

e quando ogn'altra così fosse ancora,

me sola di tant'altre io vo' trar fuora.

43

E se ben per adietro io fossi stata

empia e crudel, come qui sono tante,

dir posso che suggetto ove mostrata

per me fosse pietà, non ebbi avante.

Ma ben sarei di tigre più arrabbiata,

e più duro avre' il cor che di diamante,

se non m'avesse tolto ogni durezza

tua beltà, tuo valor, tua gentilezza.

44

Così non fosse la legge più forte,

che contra i peregrini è statuita,

come io non schiverei con la mia morte

di ricomprar la tua più degna vita.

Ma non è grado qui di sì gran sorte,

che ti potesse dar libera aita;

e quel che chiedi ancor, ben che sia poco,

difficile ottener fia in questo loco.

45

Pur io vedrò di far che tu l'ottenga,

ch'abbi inanzi al morir questo contento;

ma mi dubito ben che te n'avenga,

tenendo il morir lungo, più tormento. —

Suggiunse Elbanio: — Quando incontra io venga

a dieci armato, di tal cor mi sento,

che la vita ho speranza di salvarme,

e uccider lor, se tutti fosser arme. —

46

Alessandra a quel detto non rispose

se non un gran sospiro, e dipartisse,

e portò nel partir mille amorose

punte nel cor, mai non sanabil, fisse.

Venne alla madre, e voluntà le pose

di non lasciar che 'l cavallier morisse,

quando si dimostrasse così forte,

che, solo, avesse posto i dieci a morte.

47

La regina Orontea fece raccorre

il suo consiglio, e disse: — A noi conviene

sempre il miglior che ritroviamo, porre

a guardar nostri porti e nostre arene;

e per saper chi ben lasciar, chi torre,

prova è sempre da far quando gli avviene;

per non patir con nostro danno a torto,

che regni il vile, e chi ha valor sia morto.

48

A me par, se a voi par, che statuito

sia, ch'ogni cavallier per lo avvenire,

che fortuna abbia tratto al nostro lito,

prima ch'al tempio si faccia morire,

possa egli sol, se gli piace il partito,

incontra i dieci alla battaglia uscire;

e se di tutti vincerli è possente,

guardi egli il porto, e seco abbia altra gente.

49

Parlo così, perché abbian qui un prigione

che par che vincer dieci s'offerisca.

Quando, sol, vaglia tante altre persone,

dignissimo è, per Dio, che s'esaudisca.

Così in contrario avrà punizione,

quando vaneggi e temerario ardisca. —

Orontea fine al suo parlar qui pose,

a cui de le più antique una rispose:

50

— La principal cagion ch'a far disegno

sul comercio degli uomini ci mosse,

non fu perch'a difender questo regno

del loro aiuto alcun bisogno fosse;

che per far questo abbiamo ardire e ingegno

da noi medesme, e a sufficienza posse:

così senza sapessimo far anco,

che non venisse il propagarci a manco!

51

Ma poi che senza lor questo non lece,

tolti abbiàn, ma non tanti, in compagnia,

che mai ne sia più d'uno incontra diece,

sì ch'aver di noi possa signoria.

Per conciper di lor questo si fece,

non che di lor difesa uopo ci sia.

La lor prodezza sol ne vaglia in questo,

e sieno ignavi e inutili nel resto.

52

Tra noi tenere un uom che sia sì forte,

contrario è in tutto al principal disegno.

Se può un solo a dieci uomini dar morte,

quante donne farà stare egli al segno?

Se i dieci nostri fosser di tal sorte,

il primo dì n'avrebbon tolto il regno.

Non è la via di dominar, se vuoi

por l'arme in mano a chi può più di noi.

53

Pon mente ancor, che quando così aiti

Fortuna questo tuo, che i dieci uccida,

di cento donne che de' lor mariti

rimarran prive, sentirai le grida.

Se vuol campar, proponga altri partiti,

ch'esser di dieci gioveni omicida.

Pur, se per far con cento donne è buono

quel che dieci fariano, abbi perdono. —

54

Fu d'Artemia crudel questo il parere

(così avea nome), e non mancò per lei

di far nel tempio Elbanio rimanere

scannato inanzi agli spietati dèi.

Ma la madre Orontea che compiacere

volse alla figlia, replicò a colei

altre ed altre ragioni, e modo tenne

che nel senato il suo parer s'ottenne.

55

L'aver Elbanio di bellezza il vanto

sopra ogni cavallier che fosse al mondo,

fu nei cor de le giovani di tanto,

ch'erano in quel consiglio, e di tal pondo,

che 'l parer de le vecchie andò da canto,

che con Artemia volean far secondo

l'ordine antiquo; né lontan fu molto

ad esser per favore Elbanio assolto.

56

Di perdonargli in somma fu concluso,

ma poi che la decina avesse spento,

e che ne l'altro assalto fosse ad uso

di diece donne buono, e non di cento.

Di carcer l'altro giorno fu dischiuso;

e avuto arme e cavallo a suo talento,

contra dieci guerrier, solo, si mise,

e l'uno appresso all'altro in piazza uccise.

57

Fu la notte seguente a prova messo

contra diece donzelle ignudo e solo,

dove ebbe all'ardir suo sì buon successo,

che fece il saggio di tutto lo stuolo.

E questo gli acquistò tal grazia appresso

ad Orontea, che l'ebbe per figliuolo;

e gli diede Alessandra e l'altre nove

con ch'avea fatto le notturne prove.

58

E lo lasciò con Alessandra bella,

che poi diè nome a questa terra, erede,

con patto, ch'a servare egli abbia quella

legge, ed ogn'altro che da lui succede:

che ciascun che già mai sua fiera stella

farà qui por lo sventurato piede,

elegger possa, o in sacrificio darsi,

o con dieci guerrier, solo, provarsi.

59

E se gli avvien che 'l dì gli uomini uccida,

la notte con le femine si provi;

e quando in questo ancor tanto gli arrida

la sorte sua, che vincitor si trovi,

sia del femineo stuol principe e guida,

e la decina a scelta sua rinovi,

con la qual regni, fin ch'un altro arrivi,

che sia più forte, e lui di vita privi.

60

Appresso a duamila anni il costume empio

si è mantenuto, e si mantiene ancora;

e sono pochi giorni che nel tempio

uno infelice peregrin non mora.

Se contra dieci alcun chiede, ad esempio

d'Elbanio, armarsi (che ve n'è talora),

spesso la vita al primo assalto lassa;

né di mille uno all'altra prova passa.

61

Pur ci passano alcuni, ma sì rari,

che su le dita annoverar si ponno.

Uno di questi fu Argilon: ma guari

con la decina sua non fu qui donno;

che cacciandomi qui venti contrari,

gli occhi gli chiusi in sempiterno sonno.

Così fossi io con lui morto quel giorno,

prima che viver servo in tanto scorno.

62

Che piaceri amorosi e riso e gioco,

che suole amar ciascun de la mia etade,

le purpure e le gemme e l'aver loco

inanzi agli altri ne la sua cittade,

potuto hanno, per Dio, mai giovar poco

all'uom che privo sia di libertade:

e 'l non poter mai più di qui levarmi,

servitù grave e intolerabil parmi.

63

Il vedermi lograr dei miglior anni

il più bel fiore in sì vile opra e molle,

tiemmi il cor sempre in stimulo e in affanni,

ed ogni gusto di piacer mi tolle.

La fama del mio sangue spiega i vanni

per tutto 'l mondo, e fin al ciel s'estolle;

che forse buona parte anch'io n'avrei,

s'esser potessi coi fratelli miei.

64

Parmi ch'ingiuria il mio destin mi faccia,

avendomi a sì vil servigio eletto;

come chi ne l'armento il destrier caccia,

il qual d'occhi o di piedi abbia difetto,

o per altro accidente che dispiaccia,

sia fatto all'arme e a miglior uso inetto:

né sperando io, se non per morte, uscire

di sì vil servitù, bramo morire. —

65

Guidon qui fine alle parole pose,

e maledì quel giorno per isdegno,

il qual dei cavallieri e de le spose

gli diè vittoria in acquistar quel regno.

Astolfo stette a udire, e si nascose

tanto, che si fe' certo a più d'un segno,

che, come detto avea, questo Guidone

era figliol del suo parente Amone.

66

Poi gli rispose: — Io sono il duca inglese,

il tuo cugino Astolfo; — ed abbracciollo,

e con atto amorevole e cortese,

non senza sparger lagrime, baciollo.

— Caro parente mio, non più palese

tua madre ti potea por segno al collo;

ch'a farne fede che tu sei de' nostri,

basta il valor che con la spada mostri. —

67

Guidon, ch'altrove avria fatto gran festa

d'aver trovato un sì stretto parente,

quivi l'accolse con la faccia mesta,

perché fu di vedervilo dolente.

Se vive, sa ch'Astolfo schiavo resta,

né il termine è più là che 'l dì seguente;

se fia libero Astolfo, ne more esso:

sì che 'l ben d'uno è il mal de l'altro espresso.

68

Gli duol che gli altri cavallieri ancora

abbia, vincendo, a far sempre captivi;

né più, quando esso in quel contrasto mora,

potrà giovar che servitù lor schivi:

che se d'un fango ben gli porta fuora,

e poi s'inciampi come all'altro arrivi,

avrà lui senza pro vinto Marfisa;

ch'essi pur ne fien schiavi, ed ella uccisa.

69

Da l'altro canto avea l'acerba etade,

la cortesia e il valor del giovinetto

d'amore intenerito e di pietade

tanto a Marfisa ed ai compagni il petto,

che, con morte di lui lor libertade

esser dovendo, avean quasi a dispetto:

e se Marfisa non può far con manco

ch'uccider lui, vuol essa morir anco.

70

Ella disse a Guidon: — Vientene insieme

con noi, ch'a viva forza usciren quinci. —

— Deh (rispose Guidon) lascia ogni speme

di mai più uscirne, o perdi meco o vinci. —

Ella suggiunse: — Il mio cor mai non teme

di non dar fine a cosa che cominci;

né trovar so la più sicura strada

di quella ove mi sia guida la spada.

71

Tal ne la piazza ho il tuo valor provato,

che, s'io son teco, ardisco ad ogn'impresa.

Quando la turba intorno allo steccato

sarà domani in sul teatro ascesa,

io vo' che l'uccidian per ogni lato,

o vada in fuga o cerchi far difesa,

e ch'agli lupi e agli avoltoi del loco

lasciamo i corpi, e la cittade al fuoco. —

72

Suggiunse a lei Guidon: — Tu m'avrai pronto

a seguitarti ed a morirti a canto,

ma vivi rimaner non facciàn conto;

bastar ne può di vendicarci alquanto:

che spesso diecimila in piazza conto

del popul feminile, ed altretanto

resta a guardare e porto e rocca e mura,

né alcuna via d'uscir trovo sicura. —

73

Disse Marfisa: — E molto più sieno elle

degli uomini che Serse ebbe già intorno,

e sieno più de l'anime ribelle

ch'uscir del ciel con lor perpetuo scorno;

se tu sei meco, o almen non sie con quelle,

tutte le voglio uccidere in un giorno. —

Guidon suggiunse: — Io non ci so via alcuna

ch'a valer n'abbia, se non val quest'una.

74

Ne può sola salvar, se ne succede,

quest'una ch'io dirò, ch'or mi soviene.

Fuor ch'alle donne, uscir non si concede,

né metter piede in su le salse arene:

e per questo commettermi alla fede

d'una de le mie donne mi conviene,

del cui perfetto amor fatta ho sovente

più pruova ancor, ch'io non farò al presente.

75

Non men di me tormi costei disia

di servitù, pur che ne venga meco,

che così spera, senza compagnia

de le rivali sue, ch'io viva seco.

Ella nel porto o fuste o saettia

farà ordinar, mentre è ancor l'aer cieco,

che i marinai vostri troveranno

acconcia a navigar, come vi vanno.

76

Dietro a me tutti in un drappel ristretti,

cavallieri, mercanti e galeotti,

ch'ad albergarvi sotto a questi tetti

meco, vostra merce, sète ridotti,

avrete a farvi amplo sentier coi petti,

se del nostro camin siamo interrotti:

così spero, aiutandoci le spade,

ch'io vi trarrò de la crudel cittade. —

77

— Tu fa come ti par (disse Marfisa),

ch'io son per me d'uscir di qui sicura.

Più facil fia che di mia mano uccisa

la gente sia, che è dentro a queste mura,

che mi veggi fuggire, o in altra guisa

alcun possa notar ch'abbi paura.

Vo' uscir di giorno, e sol per forza d'arme;

che per ogn'altro modo obbrobrio parme.

78

S'io ci fossi per donna conosciuta,

so ch'avrei da le donne onore e pregio;

e volentieri io ci sarei tenuta

e tra le prime forse del collegio:

ma con costoro essendoci venuta,

non ci vo' d'essi aver più privilegio.

Troppo error fôra ch'io mi stessi o andassi

libera, e gli altri in servitù lasciassi. —

79

Queste parole ed altre seguitando,

mostrò Marfisa che 'l rispetto solo

ch'avea al periglio de' compagni (quando

potria loro il suo ardir tornare in duolo),

la tenea che con alto e memorando

segno d'ardir non assalia lo stuolo:

e per questo a Guidon lascia la cura

d'usar la via che più gli par sicura.

80

Guidon la notte con Aleria parla

(così avea nome la più fida moglie),

né bisogno gli fu molto pregarla,

che la trovò disposta alle sue voglie.

Ella tolse una nave e fece armarla,

e v'arrecò le sue più ricche spoglie,

fingendo di volere al nuovo albore

con le compagne uscire in corso fuore.

81

Ella avea fatto nel palazzo inanti

spade e lance arrecar, corazze e scudi,

onde armar si potessero i mercanti

e i galeotti ch'eran mezzo nudi.

Altri dormiro, ed altri ster vegghianti,

compartendo tra lor gli ozi e gli studi;

spesso guardando, e pur con l' arme indosso,

se l'oriente ancor si facea rosso.

82

Dal duro volto de la terra il sole

non tollea ancora il velo oscuro ed atro;

a pena avea la licaonia prole

per li solchi del ciel volto l'aratro:

quando il femineo stuol, che veder vuole

il fin de la battaglia, empì il teatro,

come ape del suo claustro empie la soglia,

che mutar regno al nuovo tempo voglia.

83

Di trombe, di tambur, di suon de corni

il popul risonar fa cielo e terra,

così citando il suo signor, che torni

a terminar la cominciata guerra.

Aquilante e Grifon stavano adorni

de le lor arme, e il duca d'Inghilterra,

Guidon, Marfisa, Sansonetto e tutti

gli altri, chi a piedi e chi a cavallo istrutti.

84

Per scender dal palazzo al mare e al porto,

la piazza traversar si convenia,

né v'era altro camin lungo né corto:

così Guidon disse alla compagnia.

E poi che di ben far molto conforto

lor diede, entrò senza rumore in via;

e ne la piazza, dove il popul era,

s'appresentò con più di cento in schiera.

85

Molto affrettando i suoi compagni, andava

Guidone all'altra porta per uscire:

ma la gran moltitudine che stava

intorno armata, e sempre atta a ferire,

pensò, come lo vide che menava

seco quegli altri, che volea fuggire;

e tutta a un tratto agli archi suoi ricorse,

e parte, onde s'uscia, venne ad opporse.

86

Guidone e gli altri cavallier gagliardi,

e sopra tutti lor Marfisa forte,

al menar de le man non furon tardi,

e molto fer per isforzar le porte:

ma tanta e tanta copia era dei dardi

che, con ferite dei compagni e morte,

pioveano lor di sopra e d'ogn'intorno,

ch'al fin temean d'averne danno e scorno.

87

D'ogni guerrier l'usbergo era perfetto;

che se non era, avean più da temere.

Fu morto il destrier sotto a Sansonetto;

quel di Marfisa v'ebbe a rimanere.

Astolfo tra sé disse: — Ora, ch'aspetto

che mai mi possa il corno più valere?

Io vo' veder, poi che non giova spada,

s'io so col corno assicurar la strada. —

88

Come aiutar ne le fortune estreme

sempre si suol, si pone il corno a bocca.

Par che la terra e tutto 'l mondo trieme,

quando l'orribil suon ne l'aria scocca.

Sì nel cor de la gente il timor preme,

che per disio di fuga si trabocca

giù del teatro sbigottita e smorta,

non che lasci la guardia de la porta.

89

Come talor si getta e si periglia

e da finestra e da sublime loco

l'esterrefatta subito famiglia,

che vede appresso e d'ogn'intorno il fuoco,

che mentre le tenea gravi le ciglia

il pigro sonno, crebbe a poco a poco:

così messa la vita in abandono,

ognun fuggia lo spaventoso suono.

90

Di qua di là, di su di giù smarrita

surge la turba, e di fuggir procaccia.

Son più di mille a un tempo ad ogni uscita:

cascano a monti, e l'una l'altra impaccia.

In tanta calca perde altra la vita;

da palchi e da finestre altra si schiaccia:

più d'un braccio si rompe e d'una testa,

di ch'altra morta, altra storpiata resta.

91

Il pianto e 'l grido insino al ciel saliva,

d'alta ruina misto e di fraccasso.

Affretta, ovunque il suon del corno arriva,

la turba spaventata in fuga il passo.

Se udite dir che d'ardimento priva

la vil plebe si mostri e di cor basso,

non vi maravigliate, che natura

è de la lepre aver sempre paura.

92

Ma che direte del già tanto fiero

cor di Marfisa e di Guidon Selvaggio?

dei dua giovini figli d'Oliviero,

che già tanto onoraro il lor lignaggio?

Già centomila avean stimato un zero;

e in fuga or se ne van senza coraggio,

come conigli, o timidi colombi

a cui vicino alto rumor rimbombi.

93

Così noceva ai suoi come agli strani

la forza che nel corno era incantata.

Sansonetto, Guidone e i duo germani

fuggon dietro a Marfisa spaventata;

né fuggendo ponno ir tanto lontani,

che lor non sia l'orecchia anco intronata.

Scorre Astolfo la terra in ogni lato,

dando via sempre al corno maggior fiato.

94

Chi scese al mare, e chi poggiò su al monte,

e chi tra i boschi ad occultar si venne:

alcuna, senza mai volger la fronte,

fuggir per dieci dì non si ritenne:

uscì in tal punto alcuna fuor del ponte,

ch'in vita sua mai più non vi rivenne.

Sgombraro in modo e piazze e templi e case,

che quasi vota la città rimase.

95

Marfisa e 'l bon Guidone e i duo fratelli

e Sansonetto, pallidi e tremanti,

fuggiano inverso il mare, e dietro a quelli

fuggian i marinari e i mercatanti;

ove Aleria trovar, che, fra i castelli,

loro avea un legno apparecchiato inanti.

Quindi, poi ch'in gran fretta li raccolse,

diè i remi all'acqua ed ogni vela sciolse.

96

Dentro e d'intorno il duca la cittade

avea scorsa dai colli insino all'onde;

fatto avea vote rimaner le strade:

ognun lo fugge, ognun se gli nasconde.

Molte trovate fur, che per viltade

s'eran gittate in parti oscure e immonde;

e molte, non sappiendo ove s'andare,

messesi a nuoto ed affogate in mare.

97

Per trovare i compagni il duca viene,

che si credea di riveder sul molo.

Si volge intorno, e le deserte arene

guarda per tutto, e non v'appare un solo.

Leva più gli occhi, e in alto a vele piene

da sé lontani andar li vede a volo:

sì che gli convien fare altro disegno

al suo camin, poi che partito è il legno.

98

Lasciamolo andar pur — né vi rincresca

che tanta strada far debba soletto

per terra d'infedeli e barbaresca,

dove mai non si va senza sospetto:

non è periglio alcuno, onde non esca

con quel suo corno, e n'ha mostrato effetto; —

e dei compagni suoi pigliamo cura,

ch'al mar fuggian tremando di paura.

99

A piena vela si cacciaron lunge

da la crudele e sanguinosa spiaggia:

e poi che di gran lunga non li giunge

l'orribil suon ch'a spaventar più gli aggia,

insolita vergogna sì gli punge,

che, com'un fuoco, a tutti il viso raggia.

L'un non ardisce a mirar l'altro, e stassi

tristo, senza parlar, con gli occhi bassi.

100

Passa il nocchiero, al suo viaggio intento,

e Cipro e Rodi, e giù per l'onda egea

da sé vede fuggire isole cento

col periglioso capo di Malea;

e con propizio ed immutabil vento

asconder vede la greca Morea;

volta Sicilia, e per lo mar Tirreno

costeggia de l'Italia il lito ameno:

101

e sopra Luna ultimamente sorse,

dove lasciato avea la sua famiglia.

Dio ringraziando che 'l pelago corse

senza più danno, il noto lito piglia.

Quindi un nochier trovar per Francia sciorse,

il qual di venir seco li consiglia:

e nel suo legno ancor quel dì montaro,

ed a Marsilia in breve si trovaro.

102

Quivi non era Bradamante allora,

ch'aver solea governo del paese;

che se vi fosse, a far seco dimora

gli avria sforzati con parlar cortese.

Sceser nel lito, e la medesima ora

dai quattro cavallier congedo prese

Marfisa, e da la donna del Selvaggio;

e pigliò alla ventura il suo viaggio,

103

dicendo che lodevole non era

ch'andasser tanti cavallieri insieme:

che gli storni e i colombi vanno in schiera,

i daini e i cervi e ogn'animal che teme;

ma l'audace falcon, l'aquila altiera,

che ne l'aiuto altrui non metton speme

orsi, tigri, leon, soli ne vanno;

che di più forza alcun timor non hanno.

104

Nessun degli altri fu di quel pensiero;

sì ch'a lei sola toccò a far partita.

Per mezzo i boschi e per strano sentiero

dunque ella se n'andò sola e romita.

Grifone il bianco ed Aquilante il nero

pigliar con gli altri duo la via più trita,

e giunsero a un castello il dì seguente,

dove albergati fur cortesemente.

105

Cortesemente dico in apparenza,

ma tosto vi sentir contrario effetto;

che 'l signor del castel, benivolenza

fingendo e cortesia, lor dè ricetto:

e poi la notte, che sicuri senza

timor dormian, gli fe' pigliar nel letto;

né prima li lasciò, che d'osservare

una costuma ria li fe' giurare.

106

Ma vo' seguir la bellicosa donna,

prima, Signor, che di costor più dica.

Passò Druenza, il Rodano e la Sonna,

e venne a piè d'una montagna aprica.

Quivi lungo un torrente, in negra gonna

vide venire una femina antica,

che stanca e lassa era di lunga via,

ma via più afflitta di malenconia.

107

Questa è la vecchia che solea servire

ai malandrin nel cavernoso monte,

là dove alta giustizia fe' venire

e dar lor morte il paladino conte.

La vecchia, che timore ha di morire

per le cagion che poi vi saran conte,

già molti dì va per via oscura e fosca,

fuggendo ritrovar chi la conosca.

108

Quivi d'estrano cavallier sembianza

l'ebbe Marfisa all'abito e all'arnese;

e perciò non fuggì, com'avea usanza

fuggir dagli altri ch'eran del paese;

anzi con sicurezza e con baldanza

si fermò al guado, e di lontan l'attese:

al guado del torrente, ove trovolla,

la vecchia le uscì incontra e salutolla.

109

Poi la pregò che seco oltr'a quell'acque

ne l'altra ripa in groppa la portasse.

Marfisa che gentil fu da che nacque,

di là dal fiumicel seco la trasse;

e portarla anch'un pezzo non le spiacque,

fin ch'a miglior camin la ritornasse,

fuor d'un gran fango; e al fin di quel sentiero

si videro all'incontro un cavalliero.

110

Il cavallier su ben guernita sella,

di lucide arme e di bei panni ornato,

verso il fiume venìa da una donzella

e da un solo scudiero accompagnato.

La donna ch'avea seco era assai bella,

ma d'altiero sembiante e poco grato,

tutta d'orgoglio e di fastidio piena,

del cavallier ben degna che la mena.

111

Pinabello, un de' conti maganzesi,

era quel cavallier ch'ella avea seco;

quel medesmo che dianzi a pochi mesi

Bradamante gittò nel cavo speco.

Quei sospir, quei singulti così accesi,

quel pianto che lo fe' già quasi cieco,

tutto fu per costei ch'or seco avea,

che 'l negromante allor gli ritenea.

112

Ma poi che fu levato di sul colle

l'incantato castel del vecchio Atlante,

e che poté ciascuno ire ove volle,

per opra e per virtù di Bradamante;

costei, ch'agli disii facile e molle

di Pinabel sempre era stata inante,

si tornò a lui, ed in sua compagnia

da un castello ad un altro or se ne gìa.

113

E sì come vezzosa era e mal usa,

quando vide la vecchia di Marfisa,

non si poté tenere a bocca chiusa

di non la motteggiar con beffe e risa.

Marfisa altiera, appresso a cui non s'usa

sentirsi oltraggio in qualsivoglia guisa,

rispose d'ira accesa alla donzella,

che di lei quella vecchia era più bella;

114

e ch'al suo cavallier volea provallo,

con patto di poi torre a lei la gonna

e il palafren ch'avea, se da cavallo

gittava il cavallier di ch'era donna.

Pinabel che faria, tacendo, fallo,

di risponder con l'arme non assonna:

piglia lo scudo e l'asta, e il destrier gira,

poi vien Marfisa a ritrovar con ira.

115

Marfisa incontra una gran lancia afferra,

e ne la vista a Pinabel l'arresta,

e sì stordito lo riversa in terra,

che tarda un'ora a rilevar la testa.

Marfisa vincitrice de la guerra,

fe' trarre a quella giovane la vesta,

ed ogn'altro ornamento le fe' porre,

e ne fe' il tutto alla sua vecchia torre:

116

e di quel giovenile abito volse

che si vestisse e se n'ornasse tutta;

e fe' che 'l palafreno anco si tolse,

che la giovane avea quivi condutta.

Indi al preso camin con lei si volse,

che quant'era più ornata, era più brutta.

Tre giorni se n'andar per lunga strada,

senza far cosa onde a parlar m'accada.

117

Il quarto giorno un cavallier trovaro,

che venìa in fretta galoppando solo.

Se di saper chi sia forse v'è caro,

dicovi ch'è Zerbin, di re figliuolo,

di virtù esempio e di bellezza raro,

che se stesso rodea d'ira e di duolo

di non aver potuto far vendetta

d'un che gli avea gran cortesia interdetta.

118

Zerbino indarno per la selva corse

dietro a quel suo che gli avea fatto oltraggio;

ma sì a tempo colui seppe via torse,

sì seppe nel fuggir prender vantaggio,

sì il bosco e sì una nebbia lo soccorse,

ch'avea offuscato il matutino raggio,

che di man di Zerbin si levò netto,

fin che l'ira e il furor gli uscì del petto.

119

Non poté, ancor che Zerbin fosse irato,

tener, vedendo quella vecchia, il riso;

che gli parea dal giovenile ornato

troppo diverso il brutto antiquo viso;

ed a Marfisa, che le venìa a lato,

disse: — Guerrier, tu sei pien d'ogni aviso,

che damigella di tal sorte guidi,

che non temi trovar chi te la invidi.

120

Avea la donna (se la crespa buccia

può darne indicio) più de la Sibilla,

e parea, così ornata, una bertuccia,

quando per muover riso alcun vestilla;

ed or più brutta par, che si coruccia,

e che dagli occhi l'ira le sfavilla:

ch'a donna non si fa maggior dispetto,

che quando o vecchia o brutta le vien detto.

121

Mostrò turbarse l'inclita donzella,

per prenderne piacer, come si prese;

e rispose a Zerbin: — Mia donna è bella,

per Dio, via più che tu non sei cortese;

come ch'io creda che la tua favella

da quel che sente l'animo non scese:

tu fingi non conoscer sua beltade,

per escusar la tua somma viltade.

122

E chi saria quel cavallier, che questa

sì giovane e sì bella ritrovasse

senza più compagnia ne la foresta,

e che di farla sua non si provasse? —

— Sì ben (disse Zerbin) teco s'assesta,

che saria mal ch'alcun te la levasse;

ed io per me non son così indiscreto,

che te ne privi mai; stanne pur lieto.

123

S'in altro conto aver vuoi a far meco,

di quel ch'io vaglio son per farti mostra;

ma per costei non mi tener sì cieco,

che solamente far voglia una giostra.

O brutta o bella sia, restisi teco:

non vo' partir tanta amicizia vostra.

Ben vi sète accoppiati: io giurerei,

com'ella è bella, tu gagliardo sei. —

124

Suggiunse a lui Marfisa: — Al tuo dispetto

di levarmi costei provar convienti.

Non vo' patir ch'un sì leggiadro aspetto

abbi veduto, e guadagnar nol tenti. —

Rispose a lei Zerbin — Non so a ch'effetto

l'uom si metta a periglio e si tormenti,

per riportarne una vittoria, poi,

che giovi al vinto, e al vincitore annoi. —

125

— Se non ti par questo partito buono,

te ne do un altro, e ricusar nol dei

(disse a Zerbin Marfisa): che s'io sono

vinto da te, m'abbia a restar costei;

ma s'io te vinco, a forza te la dono.

Dunque provian chi de' star senza lei:

se perdi, converrà che tu le faccia

compagnia sempre, ovunque andar le piaccia. —

126

— E così sia, — Zerbin rispose; e volse

a pigliar campo subito il cavallo.

Si levò su le staffe e si raccolse

fermo in arcione, e per non dare in fallo,

lo scudo in mezzo alla donzella colse;

ma parve urtasse un monte di metallo:

ed ella in guisa a lui toccò l'elmetto,

che stordito il mandò di sella netto.

127

Troppo spiacque a Zerbin l'esser caduto,

ch'in altro scontro mai più non gli avvenne,

e n'avea mille e mille egli abbattuto;

ed a perpetuo scorno se lo tenne.

Stette per lungo spazio in terra muto;

e più gli dolse poi che gli sovenne

ch'avea promesso e che gli convenia

aver la brutta vecchia in compagnia.

128

Tornando a lui la vincitrice in sella,

disse ridendo: — Questa t'appresento;

e quanto più la veggio e grata e bella,

tanto, ch'ella sia tua, più mi contento.

Or tu in mio loco sei campion di quella;

ma la tua fé non se ne porti il vento,

che per sua guida e scorta tu non vada

(come hai promesso) ovunque andar l'aggrada. —

129

Senza aspettar risposta urta il destriero

per la foresta, e subito s'imbosca.

Zerbin, che la stimava un cavalliero,

dice alla vecchia: — Fa ch'io lo conosca. —

Ed ella non gli tiene ascoso il vero,

onde sa che lo 'ncende e che l'attosca:

— Il colpo fu di man d'una donzella,

che t'ha fatto votar (disse) la sella.

130

Per suo valor costei debitamente

usurpa a' cavallieri e scudo e lancia;

e venuta è pur dianzi d'Oriente

per assaggiare i paladin di Francia. —

Zerbin di questo tal vergogna sente,

che non pur tinge di rossor la guancia,

ma restò poco di non farsi rosso

seco ogni pezzo d'arme ch'avea indosso.

131

Monta a cavallo, e se stesso rampogna

che non seppe tener strette le cosce.

Tra sé la vecchia ne sorride, e agogna

di stimularlo e di più dargli angosce.

Gli ricorda ch'andar seco bisogna:

e Zerbin, ch'ubligato si conosce,

l'orecchie abbassa, come vinto e stanco

destrier c'ha in bocca il fren, gli sproni al fianco.

132

E sospirando: — Ohimè, Fortuna fella

(dicea), che cambio è questo che tu fai?

Colei che fu sopra le belle bella,

ch'esser meco dovea, levata m'hai.

Ti par ch'in luogo ed in ristor di quella

si debba por costei ch'ora mi dai?

Stare in danno del tutto era men male,

che fare un cambio tanto diseguale.

133

Colei che di bellezze e di virtuti

unqua non ebbe e non avrà mai pare,

sommersa e rotta tra gli scogli acuti

hai data ai pesci ed agli augei del mare;

e costei che dovria già aver pasciuti

sotterra i vermi, hai tolta a perservare

dieci o venti anni più che non devevi,

per dar più peso agli mie' affanni grevi. —

134

Zerbin così parlava; né men tristo

in parole e in sembianti esser parea

di questo nuovo suo sì odioso acquisto,

che de la donna che perduta avea.

La vecchia, ancor che non avesse visto

mai più Zerbin, per quel ch'ora dicea,

s'avvide esser colui di che notizia

le diede già Issabella di Galizia.

135

Se 'l vi ricorda quel ch'avete udito,

costei da la spelonca ne veniva,

dove Issabella, che d'amor ferito

Zerbino avea, fu molti dì captiva.

Più volte ella le avea già riferito

come lasciasse la paterna riva,

e come rotta in mar da la procella,

si salvasse alla spiaggia di Rocella.

136

E sì spesso dipinto di Zerbino

le avea il bel viso e le fattezze conte,

ch'ora udendol parlare, e più vicino

gli occhi alzandogli meglio ne la fronte,

vide esser quel per cui sempre meschino

fu d'Issabella il cor nel cavo monte;

che di non veder lui più si lagnava,

che d'esser fatta ai malandrini schiava.

137

La vecchia, dando alle parole udienza,

che con sdegno e con duol Zerbino versa,

s'avede ben ch'egli ha falsa credenza

che sia Issabella in mar rotta e sommersa:

e ben ch'ella del certo abbia scienza,

per non lo rallegrar, pur la perversa

quel che far lieto lo potria, gli tace,

e sol gli dice quel che gli dispiace.

138

— Odi tu (gli disse ella), tu che sei

cotanto altier, che sì mi scherni e sprezzi,

se sapessi che nuova ho di costei

che morta piangi, mi faresti vezzi:

ma più tosto che dirtelo, torrei

che mi strozzassi o fêssi in mille pezzi;

dove, s'eri vêr me più mansueto,

forse aperto t'avrei questo secreto. —

139

Come il mastin che con furor s'aventa

adosso al ladro, ad achetarsi è presto,

che quello o pane o cacio gli appresenta,

o che fa incanto appropriato a questo;

così tosto Zerbino umil diventa,

e vien bramoso di sapere il resto,

che la vecchia gli accenna che di quella,

che morta piange, gli sa dir novella.

140

E volto a lei con più piacevol faccia,

la supplica, la prega, la scongiura

per gli uomini, per Dio, che non gli taccia

quanto ne sappia, o buona o ria ventura.

— Cosa non udirai che pro ti faccia

(disse la vecchia pertinace e dura):

non è Issabella, come credi, morta;

ma viva sì, ch'a' morti invidia porta.

141

È capitata in questi pochi giorni

che non n'udisti, in man di più di venti;

sì che, qualora anco in man tua ritorni,

ve' se sperar di corre il fior convienti. —

Ah vecchia maladetta, come adorni

la tua menzogna! e tu sai pur se menti.

Se ben in man de venti ell'era stata,

non l'avea alcun però mai violata.

142

Dove l'avea veduta domandolle

Zerbino, e quando, ma nulla n'invola;

che la vecchia ostinata più non volle

a quel c'ha detto aggiungere parola.

Prima Zerbin le fece un parlar molle,

poi minacciolle di tagliar la gola:

ma tutto è invan ciò che minaccia e prega;

che non può far parlar la brutta strega.

143

Lasciò la lingua all'ultimo in riposo

Zerbin, poi che 'l parlar gli giovò poco;

per quel ch'udito avea, tanto geloso,

che non trovava il cor nel petto loco;

d'Issabella trovar sì disioso,

che saria per vederla ito nel fuoco:

ma non poteva andar più che volesse

colei, poi ch'a Marfisa lo promesse.

144

E quindi per solingo e strano calle,

dove a lei piacque, fu Zerbin condotto;

né per o poggiar monte o scender valle,

mai si guardaro in faccia o si fer motto.

Ma poi ch'al mezzodì volse le spalle

il vago sol, fu il lor silenzio rotto

da un cavallier che nel cammin scontraro.

Quel che seguì, ne l'altro canto è chiaro.

CANTO VENTUNESIMO

1

Né fune intorto crederò che stringa

soma così, né così legno chiodo,

come la fé ch'una bella alma cinga

del suo tenace indissolubil nodo.

Né dagli antiqui par che si dipinga

la santa Fé vestita in altro modo,

che d'un vel bianco che la cuopra tutta:

ch'un sol punto, un sol neo la può far brutta.

2

La fede unqua non debbe esser corrotta,

o data a un solo, o data insieme a mille;

e così in una selva, in una grotta,

lontan da le cittadi e da le ville,

come dinanzi a tribunali, in frotta

di testimon, di scritti e di postille,

senza giurare o segno altro più espresso,

basti una volta che s'abbia promesso.

3

Quella servò, come servar si debbe

in ogni impresa, il cavallier Zerbino:

e quivi dimostrò che conto n'ebbe,

quando si tolse dal proprio camino

per andar con costei, la qual gl'increbbe,

come s'avesse il morbo sì vicino,

o pur la morte istessa; ma potea,

più che 'l disio, quel che promesso avea.

4

Dissi di lui, che di vederla sotto

la sua condotta tanto al cor gli preme,

che n'arrabbia di duol, né le fa motto,

e vanno muti e taciturni insieme:

dissi che poi fu quel silenzio rotto,

ch'al mondo il sol mostrò le ruote estreme,

da un cavalliero aventuroso errante,

ch'in mezzo del camin lor si fe' inante.

5

La vecchia che conobbe il cavalliero,

ch'era nomato Ermonide d'Olanda,

che per insegna ha ne lo scudo nero

attraversata una vermiglia banda,

posto l'orgoglio e quel sembiante altiero,

umilmente a Zerbin si raccomanda,

e gli ricorda quel ch'esso promise

alla guerriera ch'in sua man la mise.

6

Perché di lei nimico e di sua gente

era il guerrier che contra lor venìa:

ucciso ad essa avea il padre innocente,

e un fratello che solo al mondo avia;

e tuttavolta far del rimanente,

come degli altri, il traditor disia.

— Fin ch'alla guardia tua, donna, mi senti

(dicea Zerbin), non vo' che tu paventi. —

7

Come più presso il cavallier si specchia

in quella faccia che sì in odio gli era:

— O di combatter meco t'apparecchia

(gridò con voce minacciosa e fiera),

o lascia la difesa de la vecchia,

che di mia man secondo il merto pera.

Se combatti per lei, rimarrai morto;

che così avviene a chi s'appiglia al torto. —

8

Zerbin cortesemente a lui risponde

che gli è desir di bassa e mala sorte,

ed a cavalleria non corrisponde

che cerchi dare ad una donna morte:

se pur combatter vuol, non si nasconde;

ma che prima consideri ch'importe

ch'un cavallier, com'era egli, gentile,

voglia por man nel sangue feminile,

9

Queste gli disse e più parole invano;

e fu bisogno al fin venire a' fatti.

Poi che preso a bastanza ebbon del piano,

tornarsi incontra a tutta briglia ratti.

Non van sì presti i razzi fuor di mano,

ch'al tempo son de le allegrezze tratti,

come andaron veloci i duo destrieri

ad incontrare insieme i cavallieri.

10

Ermonide d'Olanda segnò basso,

che per passare il destro fianco attese:

ma la sua debol lancia andò in fracasso,

e poco il cavallier di Scozia offese.

Non fu già l'altro colpo vano e casso:

roppe lo scudo, e sì la spalla prese,

che la forò da l'uno all'altro lato,

e riversar fe' Ermonide sul prato.

11

Zerbin che si pensò d'averlo ucciso,

di pietà vinto, scese in terra presto,

e levò l'elmo da lo smorto viso;

e quel guerrier, come dal sonno desto,

senza parlar guardò Zerbino fiso;

e poi gli disse: — Non m'è già molesto

ch'io sia da te abbattuto, ch'ai sembianti

mostri esser fior de' cavallier erranti;

12

ma ben mi duol che questo per cagione

d'una femina perfida m'avviene,

a cui non so come tu sia campione,

che troppo al tuo valor si disconviene.

E quando tu sapessi la cagione

ch'a vendicarmi di costei mi mene,

avresti, ognor che rimembrassi, affanno

d'aver, per campar lei, fatto a me danno.

13

E se spirto a bastanza avrò nel petto

ch'io il possa dir (ma del contrario temo),

io ti farò veder ch'in ogni effetto

scelerata è costei più ch'in estremo.

Io ebbi già un fratel che giovinetto

d'Olanda si partì, donde noi semo,

e si fece d'Eraclio cavalliero,

ch'allor tenea de' Greci il sommo impero.

14

Quivi divenne intrinseco e fratello

d'un cortese baron di quella corte,

che nei confin di Servia avea un castello

di sito ameno e di muraglia forte.

Nomossi Argeo colui di ch'io favello,

di questa iniqua femina consorte,

la quale egli amò sì, che passò il segno

ch'a un uom si convenia, come lui, degno.

15

Ma costei, più volubile che foglia

quando l'autunno è più priva d'umore,

che l' freddo vento gli arbori ne spoglia

e le soffia dinanzi al suo furore;

verso il marito cangiò tosto voglia,

che fisso qualche tempo ebbe nel core;

e volse ogni pensiero, ogni disio

d'acquistar per amante il fratel mio.

16

Ma né sì saldo all'impeto marino

l'Acrocerauno d'infamato nome,

né sta sì duro incontra borea il pino

che rinovato ha più di cento chiome,

che quanto appar fuor de lo scoglio alpino,

tanto sotterra ha le radici; come

il mio fratello a' prieghi di costei,

nido de tutti i vizi infandi e rei.

17

Or, come avviene a un cavallier ardito,

che cerca briga e la ritrova spesso,

fu in una impresa il mio fratel ferito,

molto al castel del suo compagno appresso,

dove venir senza aspettare invito

solea, fosse o non fosse Argeo con esso;

e dentro a quel per riposar fermosse

tanto che del suo mal libero fosse.

18

Mentre egli quivi si giacea, convenne

ch'in certa sua bisogna andasse Argeo.

Tosto questa sfacciata a tentar venne

il mio fratello, ed a sua usanza feo;

ma quel fedel non oltre più sostenne

avere ai fianchi un stimulo sì reo:

elesse, per servar sua fede a pieno,

di molti mal quel che gli parve meno.

19

Tra molti mal gli parve elegger questo:

lasciar d'Argeo l'intrinsichezza antiqua;

lungi andar sì, che non sia manifesto

mai più il suo nome alla femina iniqua.

Ben che duro gli fosse, era più onesto

che satisfare a quella voglia obliqua,

o ch'accusar la moglie al suo signore,

da cui fu amata a par del proprio core.

20

E de le sue ferite ancora infermo

l'arme si veste, e del castel si parte;

e con animo va costante e fermo

di non mai più tornare in quella parte.

Ma che gli val? ch'ogni difesa e schermo

gli disipa Fortuna con nuova arte;

ecco il marito che ritorna intanto,

e trova la moglier che fa gran pianto,

21

e scapigliata e con la faccia rossa;

e le domanda di che sia turbata.

Prima ch'ella a rispondere sia mossa,

pregar si lascia più d'una fiata,

pensando tuttavia come si possa

vendicar di colui che l'ha lasciata:

e ben convenne al suo mobile ingegno

cangiar l'amore in subitano sdegno.

22

— Deh (disse al fine), a che l'error nascondo

c'ho commesso, signor, ne la tua assenza?

che quando ancora io 'l celi a tutto 'l mondo,

celar nol posso alla mia coscienza.

L'alma che sente il suo peccato immondo,

pate dentro da sé tal penitenza,

ch'avanza ogn'altro corporal martire

che dar mi possa alcun del mio fallire;

23

quando fallir sia quel che si fa a forza:

ma sia quel che si vuol, tu sappil'anco;

poi con la spada da la immonda scorza

scioglie lo spirto imaculato e bianco,

e le mie luci eternamente ammorza;

che dopo tanto vituperio, almanco

tenerle basse ognor non mi bisogni,

e di ciascun ch'io vegga, io mi vergogni.

24

Il tuo compagno ha l'onor mio distrutto:

questo corpo per forza ha violato;

e perché teme ch'io ti narri il tutto,

or si parte il villan senza commiato. —

In odio con quel dir gli ebbe ridutto

colui che più d'ogn'altro gli fu grato.

Argeo lo crede, ed altro non aspetta;

ma piglia l'arme e corre a far vendetta.

25

E come quel ch'avea il paese noto,

lo giunse che non fu troppo lontano;

che 'l mio fratello, debole ed egroto,

senza sospetto se ne gìa pian piano:

e brevemente, in un loco remoto

pose, per vendicarsene, in lui mano.

Non trova il fratel mio scusa che vaglia;

ch'in somma Argeo con lui vuol la battaglia.

26

Era l'un sano e pien di nuovo sdegno,

infermo l'altro, ed all'usanza amico:

sì ch'ebbe il fratel mio poco ritegno

contra il compagno fattogli nimico.

Dunque Filandro di tal sorte indegno

(de l'infelice giovene ti dico:

così avea nome), non sofrendo il peso

di sì fiera battaglia, restò preso.

27

— Non piaccia a Dio che mi conduca a tale

il mio giusto furore e il tuo demerto

(gli disse Argeo), che mai sia omicidiale

di te ch'amava; e me tu amavi certo,

ben che nel fin me l'hai mostrato male;

pur voglio a tutto il mondo fare aperto

che, come fui nel tempo de l'amore,

così ne l'odio son di te migliore.

28

Per altro modo punirò il tuo fallo,

che le mie man più nel tuo sangue porre. —

Così dicendo, fece sul cavallo

di verdi rami una bara comporre,

e quasi morto in quella riportallo

dentro al castello in una chiusa torre,

dove in perpetuo per punizione

candannò l'innocente a star prigione.

29

Non però ch'altra cosa avesse manco,

che la libertà prima del partire;

perché nel resto, come sciolto e franco

vi comandava e si facea ubidire.

Ma non essendo ancor l'animo stanco

di questa ria del suo pensier fornire,

quasi ogni giorno alla prigion veniva;

ch'avea le chiavi, e a suo piacer l'apriva:

30

e movea sempre al mio fratello assalti,

e con maggiore audacia che di prima.

— Questa tua fedeltà (dicea) che valti,

poi che perfidia per tutto si stima?

Oh che trionfi gloriosi ed alti!

oh che superbe spoglie e preda opima!

oh che merito al fin te ne risulta,

se, come a traditore, ognun t'insulta!

31

Quanto utilmente, quanto con tuo onore

m'avresti dato quel che da te volli!

Di questo sì ostinato tuo rigore

la gran mercé che tu guadagni, or tolli:

in prigion sei, né crederne uscir fuore,

se la durezza tua prima non molli.

Ma quando mi compiacci, io farò trama

di racquistarti e libertade e fama. —

32

— No, no (disse Filandro) aver mai spene

che non sia, come suol, mia vera fede,

se ben contra ogni debito mi avviene

ch'io ne riporti sì dura mercede,

e di me creda il mondo men che bene:

basta che inanti a quel che 'l tutto vede

e mi può ristorar di grazia eterna,

chiara la mia innocenza si discerna.

33

Se non basta ch'Argeo mi tenga preso,

tolgami ancor questa noiosa vita.

Forse non mi fia il premio in ciel conteso

de la buona opra, qui poco gradita.

Forse egli, che da me si chiama offeso,

quando sarà quest'anima partita,

s'avedrà poi d'avermi fatto torto,

e piangerà il fedel compagno morto. —

34

Così più volte la sfacciata donna

tenta Filandro, e torna senza frutto.

Ma il cieco suo desir, che non assonna

del scelerato amor traer costrutto,

cercando va più dentro ch'alla gonna

suoi vizi antiqui, e ne discorre il tutto.

Mille pensier fa d'uno in altro modo,

prima che fermi in alcun d'essi il chiodo.

35

Stette sei mesi che non messe piede,

come prima facea, ne la prigione;

di che il miser Filandro e spera e crede

che costei più non gli abbia affezione.

Ecco Fortuna, al mal propizia, diede

a questa scelerata occasione

di metter fin con memorabil male

al suo cieco appetito irrazionale.

36

Antiqua nimicizia avea il marito

con un baron detto Morando il bello,

che, non v'essendo Argeo, spesso era ardito

di correr solo, e sin dentro al castello;

ma s'Argeo v'era, non tenea lo 'nvito,

né s'accostava a dieci miglia a quello.

Or, per poterlo indur che ci venisse,

d'ire in Ierusalem per voto disse.

37

Disse d'andare; e partesi ch'ognuno

lo vede, e fa di ciò sparger le grida:

né il suo pensier, fuor che la moglie, alcuno

puote saper; che sol di lei si fida.

Torna poi nel castello all'aer bruno,

né mai, se non la notte, ivi s'annida;

e con mutate insegne al nuovo albore,

senza vederlo alcun, sempre esce fuore.

38

Se ne va in questa e in quella parte errando,

e volteggiando al suo castello intorno,

pur per veder se credulo Morando

volesse far, come solea, ritorno.

Stava il dì tutto alla foresta; e quando

ne la marina vedea ascoso il giorno,

venìa al castello, e per nascose porte

lo togliea dentro l'infedel consorte.

39

Crede ciascun, fuor che l'iniqua moglie,

che molte miglia Argeo lontan si trove.

Dunque il tempo oportuno ella si toglie:

al fratel mio va con malizie nuove.

Ha di lagrime a tutte le sue voglie

un nembo che dagli occhi al sen le piove.

— Dove potrò (dicea) trovare aiuto,

che in tutto l'onor mio non sia perduto?

40

E col mio quel del mio marito insieme,

il qual se fosse qui, non temerei.

Tu conosci Morando, e sai se teme,

quando Argeo non ci sente, omini e dei.

Questi or pregando, or minacciando, estreme

prove fa tuttavia, né alcun de' miei

lascia che non contamini, per trarmi

a' suoi desii, né so s'io potrò aitarmi.

41

Or c'ha inteso il partir del mio consorte,

e ch'al ritorno non sarà sì presto,

ha avuto ardir d'entrar ne la mia corte

senza altra scusa e senz'altro pretesto;

che se ci fosse il mio signor per sorte,

non sol non avria audacia di far questo,

ma non si terria ancor, per Dio, sicuro

d'appressarsi a tre miglia a questo muro.

42

E quel che già per messi ha ricercato,

oggi me l'ha richiesto a fronte a fronte,

e con tai modi, che gran dubbio è stato

de lo avvenirmi disonore ed onte,

e se non che parlar dolce gli ho usato,

e finto le mie voglie alle sue pronte,

saria a forza, di quel suto rapace,

che spera aver per mie parole in pace.

43

Promesso gli ho, non già per osservargli

(che fatto per timor, nullo è il contratto);

ma la mia intenzion fu per vietargli

quel che per forza avrebbe allora fatto.

Il caso è qui: tu sol pòi rimediargli;

del mio onor altrimenti sarà tratto,

e di quel del mio Argeo, che già m'hai detto

aver o tanto, o più che 'l proprio, a petto.

44

E se questo mi nieghi, io dirò dunque

ch'in te non sia la fé di che ti vanti;

ma che fu sol per crudeltà, qualunque

volta hai sprezzati i miei supplici pianti;

non per rispetto alcun d'Argeo, quantunque

m'hai questo scudo ognora opposto inanti.

Saria stato tra noi la cosa occulta;

ma di qui aperta infamia mi risulta. —

45

— Non si convien (disse Filandro) tale

prologo a me, per Argeo mio disposto.

Narrami pur quel che tu vuoi, che quale

sempre fui, di sempre essere ho proposto;

e ben ch'a torto io ne riporti male,

a lui non ho questo peccato imposto.

Per lui son pronto andare anco alla morte,

e siami contra il mondo e la mia sorte. —

46

Rispose l'empia: — Io voglio che tu spenga

colui che 'l nostro disonor procura.

Non temer ch'alcun mal di ciò t'avenga;

ch'io te ne mostrerò la via sicura.

Debbe egli a me tornar come rivenga

su l'ora terza la notte più scura;

e fatto un segno de ch'io l'ho avvertito,

io l'ho a tor dentro, che non sia sentito.

47

A te non graverà prima aspettarme

ne la camera mia dove non luca,

tanto che dispogliar gli faccia l'arme,

e quasi nudo in man te lo conduca. —

Così la moglie conducesse parme

il suo marito alla tremenda buca;

se per dritto costei moglie s'appella,

più che furia infernal crudele e fella.

48

Poi che la notte scelerata venne,

fuor trasse il mio fratel con l'arme in mano;

e ne l'oscura camera lo tenne,

fin che tornasse il miser castellano.

Come ordine era dato, il tutto avvenne;

che 'l consiglio del mal va raro invano.

Così Filandro il buon Argeo percosse,

che si pensò che quel Morando fosse.

49

Con esso un colpo il capo fesse e il collo;

ch'elmo non v'era, e non vi fu riparo.

Pervenne Argeo, senza pur dare un crollo,

de la misera vita al fine amaro:

e tal l'uccise, che mai non pensollo,

né mai l'avria creduto: oh caso raro!

che cercando giovar, fece all'amico

quel di che peggio non si fa al nimico.

50

Poscia ch'Argeo non conosciuto giacque,

rende a Gabrina il mio fratel la spada.

Gabrina è il nome di costei, che nacque

sol per tradire ognun che in man le cada.

Ella, che 'l ver fin a quell'ora tacque,

vuol che Filandro a riveder ne vada

col lume in mano il morto ond'egli è reo:

e gli dimostra il suo compagno Argeo.

51

E gli minaccia poi, se non consente

all'amoroso suo lungo desire,

di palesare a tutta quella gente

quel ch'egli ha fatto, e nol può contradire;

e lo farà vituperosamente

come assassino e traditor morire:

e gli ricorda che sprezzar la fama

non de', se ben la vita sì poco ama.

52

Pien di paura e di dolor rimase

Filandro, poi che del suo error s'accorse.

Quasi il primo furor gli persuase

d'uccider questa, e stette un pezzo in forse:

e se non che ne le nimiche case

si ritrovò (che la ragion soccorse),

non si trovando avere altr'arme in mano,

coi denti la stracciava a brano a brano.

53

Come ne l'alto mar legno talora,

che da duo venti sia percosso e vinto,

ch'ora uno inanzi l'ha mandato, ed ora

un altro al primo termine respinto,

e l'han girato da poppa e da prora,

dal più possente al fin resta sospinto;

così Filandro, tra molte contese

de' duo pensieri, al manco rio s'apprese.

54

Ragion gli dimostrò il pericol grande,

oltre al morir, del fine infame e sozzo,

se l'omicidio nel castel si spande;

e del pensare il termine gli è mozzo.

Voglia o non voglia, al fin convien che mande

l'amarissimo calice nel gozzo.

Pur finalmente ne l'afflitto core

più de l'ostinazion poté il timore.

55

Il timor del supplicio infame e brutto

prometter fece con mille scongiuri,

che faria di Gabrina il voler tutto,

se di quel luogo se partian sicuri.

Così per forza colse l'empia il frutto

del suo desire, e poi lasciar quei muri.

Così Filandro a noi fece ritorno,

di sé lasciando in Grecia infamia e scorno.

56

E portò nel cor fisso il suo compagno

che così scioccamente ucciso avea,

per far con sua gran noia empio guadagno

d'una Progne crudel, d'una Medea.

E se la fede e il giuramento, magno

e duro freno, non lo ritenea,

come al sicuro fu, morta l'avrebbe;

ma, quanto più si puote, in odio l'ebbe.

57

Non fu da indi in qua rider mai visto:

tutte le sue parole erano meste,

sempre sospir gli uscian dal petto tristo,

ed era divenuto un nuovo Oreste,

poi che la madre uccise e il sacro Egisto,

e che l'ultrice Furie ebbe moleste.

E senza mai cessar, tanto l'afflisse

questo dolor, ch'infermo al letto il fisse.

58

Or questa meretrice, che si pensa

quanto a quest'altro suo poco sia grata,

muta la fiamma già d'amore intensa

in odio, in ira ardente ed arrabbiata;

né meno è contra al mio fratello accensa,

che fosse contra Argeo la scelerata:

e dispone tra sé levar dal mondo,

come il primo marito, anco il secondo.

59

Un medico trovò d'inganni pieno,

sufficiente ed atto a simil uopo,

che sapea meglio uccider di veneno,

che risanar gl'infermi di silopo;

e gli promesse, inanzi più che meno

di quel che domandò, donargli, dopo

ch'avesse con mortifero liquore

levatole dagli occhi il suo signore.

60

Già in mia presenza e d'altre più persone

venìa col tosco in mano il vecchio ingiusto,

dicendo ch'era buona pozione

da ritornare il mio fratel robusto.

Ma Gabrina con nuova intenzione,

pria che l'infermo ne turbasse il gusto,

per torsi il consapevole d'appresso,

o per non dargli quel ch'avea promesso,

61

la man gli prese, quando a punto dava

la tazza dove il tosco era celato,

dicendo: — Ingiustamente è se 'l ti grava

ch'io tema per costui c'ho tanto amato.

Voglio esser certa che bevanda prava

tu non gli dia, né succo avelenato;

e per questo mi par che 'l beveraggio

non gli abbi a dar, se non ne fai tu il saggio. —

62

Come pensi, signor, che rimanesse

il miser vecchio conturbato allora?

La brevità del tempo sì l'oppresse,

che pensar non poté che meglio fôra;

pur, per non dar maggior sospetto, elesse

il calice gustar senza dimora:

e l'infermo, seguendo una tal fede,

tutto il resto pigliò, che si gli diede.

63

Come sparvier che nel piede grifagno

tenga la starna e sia per trarne pasto,

dal can che si tenea fido compagno,

ingordamente è sopragiunto e guasto;

così il medico intento al rio guadagno,

donde sperava aiuto ebbe contrasto.

Odi di summa audacia esempio raro!

e così avvenga a ciascun altro avaro.

64

Fornito questo, il vecchio s'era messo,

per ritornare alla sua stanza, in via,

ed usar qualche medicina appresso,

che lo salvasse da la peste ria;

ma da Gabrina non gli fu concesso,

dicendo non voler ch'andasse pria

che 'l succo ne lo stomaco digesto

il suo valor facesse manifesto.

65

Pregar non val, né far di premio offerta,

che lo voglia lasciar quindi partire.

Il disperato, poi che vede certa

la morte sua, né la poter fuggire,

ai circostanti fa la cosa aperta;

né la seppe costei troppo coprire.

E così quel che fece agli altri spesso,

quel buon medico al fin fece a se stesso:

66

e sequitò con l'alma quella ch'era

già de mio frate caminata inanzi.

Noi circostanti, che la cosa vera

del vecchio udimmo, che fe' pochi avanzi,

pigliammo questa abominevol fera,

più crudel di qualunque in selva stanzi;

e la serrammo in tenebroso loco,

per condannarla al meritato foco. —

67

Questo Ermonide disse, e più voleva

seguir, com'ella di prigion levossi;

ma il dolor de la piaga sì l'aggreva,

che pallido ne l'erba riversossi.

Intanto duo scudier, che seco aveva,

fatto una bara avean di rami grossi:

Ermonide si fece in quella porre;

ch'indi altrimente non si potea torre.

68

Zerbin col cavallier fece sua scusa,

che gl'increscea d'averli fatto offesa;

ma, come pur tra cavallieri s'usa,

colei che venìa seco avea difesa:

ch'altrimente sua fé saria confusa;

perché, quando in sua guardia l'avea presa,

promesse a sua possanza di salvarla

contra ognun che venisse a disturbarla.

69

E s'in altro potea gratificargli,

prontissimo offeriase alla sua voglia.

Rispose il cavallier, che ricordargli

sol vuol, che da Gabrina si discioglia

prima ch'ella abbia cosa a machinargli,

di ch'esso indarno poi si penta e doglia.

Gabrina tenne sempre gli occhi bassi,

perché non ben risposta al vero dassi.

70

Con la vecchia Zerbin quindi partisse

al già promesso debito viaggio;

e tra sé tutto il dì la maledisse,

che far gli fece a quel barone oltraggio.

Ed or che pel gran mal che gli ne disse

chi lo sapea, di lei fu istrutto e saggio,

se prima l'avea a noia e a dispiacere,

or l'odia sì che non la può vedere.

71

Ella che di Zerbin sa l'odio a pieno,

né in mala voluntà vuole esser vinta,

un'oncia a lui non ne riporta meno:

la tien di quarta, e la rifà di quinta.

Nel cor era gonfiata di veneno,

e nel viso altrimente era dipinta.

Dunque ne la concordia ch'io vi dico,

tenean lor via per mezzo il bosco antico.

72

Ecco, volgendo il sol verso la sera,

udiron gridi e strepiti e percosse,

che facean segno di battaglia fiera

che, quanto era il rumor, vicina fosse.

Zerbino, per veder la cosa ch'era,

verso il rumore in gran fretta si mosse:

non fu Gabrina lenta a seguitarlo.

Di quel ch'avvenne, all'altro canto io parlo.

CANTO VENTIDUESIMO

1

Cortesi donne e grate al vostro amante,

voi che d'un solo amor sète contente,

come che certo sia, fra tante e tante,

che rarissime siate in questa mente;

non vi dispiaccia quel ch'io dissi inante,

quando contra Gabrina fui sì ardente,

e s'ancor son per spendervi alcun verso,

di lei biasmando l'animo perverso.

2

Ella era tale; e come imposto fummi

da chi può in me, non preterisco il vero.

Per questo io non oscuro gli onor summi

d'una e d'un'altra ch'abbia il cor sincero.

Quel che 'l Maestro suo per trenta nummi

diede a' Iudei, non nocque a Ianni o a Piero;

né d'Ipermestra è la fama men bella,

se ben di tante inique era sorella.

3

Per una che biasmar cantando ardisco

(che l'ordinata istoria così vuole),

lodarne cento incontra m'offerisco,

e far lor virtù chiara più che 'l sole.

Ma tornando al lavor che vario ordisco,

ch'a molti, lor mercé, grato esser suole,

del cavallier di Scozia io vi dicea,

ch'un alto grido appresso udito avea.

4

Fra due montagne entrò in un stretto calle

onde uscia il grido, e non fu molto inante,

che giunse dove in una chiusa valle

si vide un cavallier morto davante.

Chi sia dirò; ma prima dar le spalle

a Francia voglio, e girmene in Levante,

tanto ch'io trovi Astolfo paladino,

che per Ponente avea preso il camino.

5

Io lo lasciai ne la città crudele,

onde col suon del formidabil corno

avea cacciato il populo infedele,

e gran periglio toltosi d'intorno,

ed a' compagni fatto alzar le vele,

e dal lito fuggir con grave scorno.

Or seguendo di lui, dico che prese

la via d'Armenia, e uscì di quel paese.

6

E dopo alquanti giorni in Natalia

trovossi, e inverso Bursia il camin tenne;

onde, continuando la sua via

di qua dal mare, in Tracia se ne venne.

Lungo il Danubio andò per l'Ungaria;

e come avesse il suo destrier le penne,

i Moravi e i Boemi passò in meno

di venti giorni e la Franconia e il Reno.

7

Per la selva d'Ardenna in Aquisgrana

giunse e in Barbante, e in Fiandra al fin s'imbarca.

L'aura che soffia verso tramontana,

la vela in guisa in su la prora carca,

ch'a mezzo giorno Astolfo non lontana

vede Inghilterra, ove nel lito varca.

Salta a cavallo, e in tal modo lo punge,

ch'a Londra quella sera ancora giunge.

8

Quivi sentendo poi che 'l vecchio Otone

già molti mesi inanzi era in Parigi,

e che di nuovo quasi ogni barone

avea imitato i suoi degni vestigi;

d'andar subito in Francia si dispone:

e così torna al porto di Tamigi,

onde con le vele alte uscendo fuora,

verso Calessio fe' drizzar la prora.

9

Un ventolin che leggiermente all'orza

ferendo, avea adescato il legno all'onda,

a poco a poco cresce e si rinforza;

poi vien sì, ch'al nocchier ne soprabonda.

Che li volti la poppa al fine è forza;

se non, gli caccerà sotto la sponda.

Per la schena del mar tien dritto il legno,

e fa camin diverso al suo disegno.

10

Or corre a destra, or a sinistra mano,

di qua di là, dove fortuna spinge,

e piglia terra al fin presso a Roano;

e come prima il dolce lito attinge,

fa rimetter la sella a Rabicano,

e tutto s'arma e la spada si cinge.

Prende il camino, ed ha seco quel corno

che gli val più che mille uomini intorno.

11

E giunse, traversando una foresta,

a piè d'un colle ad una chiara fonte,

ne l'ora che 'l monton di pascer resta,

chiuso in capanna, o sotto un cavo monte.

E dal gran caldo e da la sete infesta

vinto, si trasse l'elmo da la fronte;

legò il destrier tra le più spesse fronde,

e poi venne per bere alle fresche onde.

12

Non avea messo ancor le labra in molle,

ch'un villanel che v'era ascoso appresso,

sbuca fuor d'una macchia, e il destrier tolle,

sopra vi sale, e se ne va con esso.

Astolfo il rumor sente, e'l capo estolle;

e poi che 'l danno suo vede sì espresso,

lascia la fonte, e sazio senza bere,

gli va dietro correndo a più potere.

13

Quel ladro non si stende a tutto corso,

che dileguato si saria di botto;

ma or lentando or raccogliendo il morso,

se ne va di galoppo e di buon trotto.

Escon del bosco dopo un gran discorso;

e l'uno e l'altro al fin si fu ridotto

là dove tanti nobili baroni

eran senza prigion più che prigioni.

14

Dentro il palagio il villanel si caccia

con quel destrier che i venti al corso adegua.

Forza è ch'Astolfo, il qual lo scudo impaccia,

l'elmo e l'altr'arme, di lontan lo segua.

Pur giunge anch'egli, e tutta quella traccia

che fin qui avea seguita, si dilegua;

che più né Rabican né 'l ladro vede,

e gira gli occhi, e indarno affretta il piede;

15

affretta il piede e va cercando invano

e le logge e le camere e le sale;

ma per trovare il perfido villano,

di sua fatica nulla si prevale.

Non sa dove abbia ascoso Rabicano,

quel suo veloce sopra ogni animale;

e senza frutto alcun tutto quel giorno

cercò di su di giù, dentro e d'intorno.

16

Confuso e lasso d'aggirarsi tanto,

s'avvide che quel loco era incantato;

e del libretto ch'avea sempre a canto,

che Logistilla in India gli avea dato,

acciò che, ricadendo in nuovo incanto,

potessi aitarsi, si fu ricordato:

all'indice ricorse, e vide tosto

a quante carte era il rimedio posto.

17

Del palazzo incantato era difuso

scritto nel libro; e v'eran scritti i modi

di fare il mago rimaner confuso,

e a tutti quei prigion di sciorre i nodi.

Sotto la soglia era uno spirto chiuso,

che facea questi inganni e queste frodi:

e levata la pietra ov'è sepolto,

per lui sarà il palazzo in fumo sciolto.

18

Desideroso di condurre a fine

il paladin sì gloriosa impresa,

non tarda più che 'l braccio non inchine

a provar quanto il grave marmo pesa.

Come Atlante le man vede vicine

per far che l'arte sua sia vilipesa,

sospettoso di quel che può avvenire,

lo va con nuovi incanti ad assalire.

19

Lo fa con diaboliche sue larve

parer da quel diverso, che solea:

gigante ad altri, ad altri un villan parve,

ad altri un cavallier di faccia rea.

Ognuno in quella forma in che gli apparve

nel bosco il mago, il paladin vedea;

sì che per riaver quel che gli tolse

il mago, ognuno al paladin si volse.

20

Ruggier, Gradasso, Iroldo, Bradamante,

Brandimarte, Prasildo, altri guerrieri

in questo nuovo error si fero inante,

per distruggere il duca accesi e fieri.

Ma ricordossi il corno in quello istante,

che fe' loro abbassar gli animi altieri.

Se non si soccorrea col grave suono,

morto era il paladin senza perdono.

21

Ma tosto che si pon quel corno a bocca

e fa sentire intorno il suono orrendo,

a guisa dei colombi, quando scocca

lo scoppio, vanno i cavallier fuggendo.

Non meno al negromante fuggir tocca,

non men fuor de la tana esce temendo

pallido e sbigottito, e se ne slunga

tanto, che 'l suono orribil non lo giunga.

22

Fuggì il guardian coi suo' prigioni; e dopo

de le stalle fuggir molti cavalli,

ch'altro che fune a ritenerli era uopo,

e seguiro i patron per vari calli.

In casa non restò gatta né topo

al suon che par che dica: Dàlli, dàlli.

Sarebbe ito con gli altri Rabicano,

se non ch'all'uscir venne al duca in mano.

23

Astolfo, poi ch'ebbe cacciato il mago,

levò di su la soglia il grave sasso,

e vi ritrovò sotto alcuna imago,

ed altre cose che di scriver lasso:

e di distrugger quello incanto vago,

di ciò che vi trovò, fece fraccasso,

come gli mostra il libro che far debbia;

e si sciolse il palazzo in fumo e in nebbia.

24

Quivi trovò che di catena d'oro

di Ruggiero il cavallo era legato,

parlo di quel che 'l negromante moro

per mandarlo ad Alcina gli avea dato;

a cui poi Logistilla fe' il lavoro

del freno, ond'era in Francia ritornato,

e girato da l'India all'Inghilterra

tutto avea il lato destro de la terra.

25

Non so se vi ricorda che la briglia

lasciò attaccata all'arbore quel giorno

che nuda da Ruggier sparì la figlia

di Galafrone, e gli fe' l'alto scorno.

Fe' il volante destrier, con maraviglia

di chi lo vide, al mastro suo ritorno;

e con lui stette infin al giorno sempre,

che de l'incanto fur rotte le tempre.

26

Non potrebbe esser stato più giocondo

d'altra aventura Astolfo, che di questa;

che per cercar la terra e il mar, secondo

ch'avea desir, quel ch'a cercar gli resta,

e girar tutto in pochi giorni il mondo,

troppo venìa questo ippogrifo a sesta.

Sapea egli ben quanto a portarlo era atto,

che l'avea altrove assai provato in fatto.

27

Quel giorno in India lo provò, che tolto

da la savia Melissa fu di mano

a quella scelerata che travolto

gli avea in mirto silvestre il viso umano:

e ben vide e notò come raccolto

gli fu sotto la briglia il capo vano

da Logistilla, e vide come istrutto

fosse Ruggier di farlo andar per tutto.

28

Fatto disegno l'ippogrifo torsi,

la sella sua, ch'appresso avea, gli messe;

e gli fece, levando da più morsi

una cosa ed un'altra, un che lo resse;

che dei destrier ch'in fuga erano corsi,

quivi attaccate eran le briglie spesse.

Ora un pensier di Rabicano solo

lo fa tardar che non si leva a volo.

29

D'amar quel Rabicano avea ragione;

che non v'era un miglior per correr lancia,

e l'avea da l'estrema regione

de l'India cavalcato insin in Francia.

Pensa egli molto; e in somma si dispone

darne più tosto ad un suo amico mancia,

che, lasciandolo quivi in su la strada,

se l'abbia il primo ch'a passarvi accada.

30

Stava mirando se vedea venire

pel bosco o cacciatore o alcun villano,

da cui far si potesse indi seguire

a qualche terra, e trarvi Rabicano.

Tutto quel giorno e sin all'apparire

de l'altro stette riguardando invano.

L'altro matin, ch'era ancor l'aer fosco,

veder gli parve un cavallier pel bosco.

31

Ma mi bisogna, s'io vo' dirvi il resto,

ch'io trovi Ruggier prima e Bradamante.

Poi che si tacque il corno, e che da questo

loco la bella coppia fu distante,

guardò Ruggiero, e fu a conoscer presto

quel che fin qui gli avea nascoso Atlante:

fatto avea Atlante che fin a quell'ora

tra lor non s'eran conosciuti ancora.

32

Ruggier riguarda Bradamante, ed ella

riguarda lui con alta maraviglia,

che tanti dì l'abbia offuscato quella

illusion sì l'animo e le ciglia.

Ruggiero abbraccia la sua donna bella,

che più che rosa ne divien vermiglia;

e poi di su la bocca i primi fiori

cogliendo vien dei suoi beati amori.

33

Tornaro ad iterar gli abbracciamenti

mille fiate, ed a tenersi stretti

i duo felici amanti, e sì contenti,

ch'a pena i gaudi lor capiano i petti.

Molto lor duol che per incantamenti,

mentre che fur negli errabondi tetti,

tra lor non s'eran mai riconosciuti,

e tanti lieti giorni eran perduti.

34

Bradamante, disposta di far tutti

i piaceri che far vergine saggia

debbia ad un suo amator, sì che di lutti,

senza il suo onore offendere, il sottraggia;

dice a Ruggier, se a dar gli ultimi frutti

lei non vuol sempre aver dura e selvaggia,

la faccia domandar per buoni mezzi

al padre Amon: ma prima si battezzi.

35

Ruggier, che tolto avria non solamente

viver cristiano per amor di questa,

com'era stato il padre, e antiquamente

l'avolo e tutta la sua stirpe onesta;

ma, per farle piacere, immantinente

data le avria la vita che gli resta:

— Non che ne l'acqua (disse), ma nel fuoco

per tuo amor porre il capo mi fia poco. —

36

Per battezzarsi dunque, indi per sposa

la donna aver, Ruggier si messe in via,

guidando Bradamante a Vallombrosa

(così fu nominata una badia

ricca e bella, né men religiosa,

e cortese a chiunque vi venìa);

e trovaro all'uscir de la foresta

donna che molto era nel viso mesta.

37

Ruggier, che sempre uman, sempre cortese

era a ciascun, ma più alle donne molto,

come le belle lacrime comprese

cader rigando il delicato volto,

n'ebbe pietade, e di disir s'accese

di saper il suo affanno; ed a lei volto,

dopo onesto saluto, domandolle

perch'avea sì di pianto il viso molle.

38

Ed ella, alzando i begli umidi rai,

umanissimamente gli rispose,

e la cagion de' suoi penosi guai,

poi che le domandò, tutta gli espose.

— Gentil signor (disse ella), intenderai

che queste guance son sì lacrimose

per la pietà ch'a un giovinetto porto,

ch'in un castel qui presso oggi fia morto.

39

Amando una gentil giovane e bella,

che di Marsilio re di Spagna è figlia,

sotto un vel bianco e in feminil gonella,

finta la voce e il volger de le ciglia,

egli ogni notte si giacea con quella,

senza darne sospetto alla famiglia:

ma sì secreto alcuno esser non puote,

ch'al lungo andar non sia chi 'l vegga e note.

40

Se n'accorse uno, e ne parlò con dui;

gli dui con altri, insin ch'al re fu detto.

Venne un fedel del re l'altr'ieri a nui,

che questi amanti fe' pigliar nel letto;

e ne la rocca gli ha fatto ambedui

divisamente chiudere in distretto:

né credo per tutto oggi ch'abbia spazio

il gioven, che non mora in pena e in strazio.

41

Fuggita me ne son per non vedere

tal crudeltà; che vivo l'arderanno:

né cosa mi potrebbe più dolere,

che faccia di sì bel giovine il danno;

né potrò aver giamai tanto piacere,

che non si volga subito in affanno,

che de la crudel fiamma mi rimembri,

ch'abbia arsi i belli e delicati membri. —

42

Bradamante ode, e par ch'assai le prema

questa novella, e molto il cor l'annoi;

né par che men per quel dannato tema,

che se fosse uno dei fratelli suoi.

Né certo la paura in tutto scema

era di causa, come io dirò poi.

Si volse ella a Ruggiero, e disse: — Parme

ch'in favor di costui sien le nostr'arme. —

43

E disse a quella mesta: — Io ti conforto

che tu vegga di porci entro alle mura,

che se 'l giovine ancor non avran morto,

più non l'uccideran, stanne sicura. —

Ruggiero, avendo il cor benigno scorto

de la sua donna e la pietosa cura,

sentì tutto infiammarsi di desire

di non lasciare il giovine morire.

44

Ed alla donna, a cui dagli occhi cade

un rio di pianto, dice: — Or che s'aspetta?

Soccorrer qui, non lacrimare accade:

fa ch'ove è questo tuo, pur tu ci metta.

Di mille lance trar, di mille spade

tel promettian, pur che ci meni in fretta:

ma studia il passo più che puoi, che tarda

non sia l'aita, e intanto il fuoco l'arda. —

45

L'alto parlare e la fiera sembianza

di quella coppia a maraviglia ardita,

ebbon di tornar forza la speranza

colà dond'era già tutta fuggita;

ma perch'ancor, più che la lontananza,

temeva il ritrovar la via impedita,

e che saria per questo indarno presa,

stava la donna in sé tutta sospesa.

46

Poi disse lor: — Facendo noi la via

che dritta e piana va fin a quel loco,

credo ch'a tempo vi si giungeria,

che non sarebbe ancora acceso il fuoco:

ma gir convien per così torta e ria,

che 'l termine d'un giorno saria poco

a riuscirne; e quando vi saremo,

che troviam morto il giovine mi temo. —

47

— E perché non andian (disse Ruggiero)

per la più corta? — E la donna rispose:

— Perché un castel de' conti da Pontiero

tra via si trova, ove un costume pose,

non son tre giorni ancora, iniquo e fiero

a cavallieri e a donne aventurose,

Pinabello, il peggior uomo che viva,

figliuol del conte Anselmo d'Altariva.

48

Quindi né cavallier né donna passa,

che se ne vada senza ingiuria e danni:

l'uno e l'altro a piè resta; ma vi lassa

il guerrier l'arme, e la donzella i panni.

Miglior cavallier lancia non abbassa,

e non abbassò in Francia già molt'anni,

di quattro che giurato hanno al castello

la legge mantener di Pinabello.

49

Come l'usanza (che non è più antiqua

di tre dì) cominciò, vi vo' narrare;

e sentirete se fu dritta o obliqua

cagion che i cavallier fece giurare.

Pinabello ha una donna così iniqua,

così bestial, ch'al mondo è senza pare;

che con lui, non so dove, andando un giorno,

ritrovò un cavallier che le fe' scorno.

50

Il cavallier, perché da lei beffato

fu d'una vecchia che portava in groppa,

giostrò con Pinabel ch'era dotato

di poca forza e di superbia troppa;

ed abbattello, e lei smontar nel prato

fece, e provò s'andava dritta o zoppa:

lasciolla a piede, e fe' de la gonella

di lei vestir l'antiqua damigella.

51

Quella ch'a piè rimase, dispettosa,

e di vendetta ingorda e sitibonda,

congiunta a Pinabel che d'ogni cosa

dove sia da mal far, ben la seconda,

né giorno mai, né notte mai riposa,

e dice che non fia mai più gioconda,

se mille cavallieri e mille donne

non mette a piedi, e lor tolle arme e gonne.

52

Giunsero il dì medesmo, come accade,

quattro gran cavallieri ad un suo loco,

li quai di rimotissime contrade

venuti a queste parti eran di poco;

di tal valor, che non ha nostra etade

tant'altri buoni al bellicoso gioco:

Aquilante, Grifone e Sansonetto,

ed un Guidon Selvaggio giovinetto.

53

Pinabel con sembiante assai cortese

al castel ch'io v'ho detto gli raccolse.

La notte poi tutti nel letto prese,

e presi tenne; e prima non li sciolse,

che li fece giurar ch'un anno e un mese

(questo fu a punto il termine che tolse)

stariano quivi, e spogliarebbon quanti

vi capitasson cavallieri erranti;

54

e le donzelle ch'avesson con loro

porriano a piedi, e torrian lor le vesti.

Così giurar, così costretti foro

ad osservar, ben che turbati e mesti.

Non par che fin a qui contra costoro

alcun possa giostrar, ch'a piè non resti:

e capitati vi sono infiniti,

ch'a piè e senz'arme se ne son partiti.

55

È ordine tra lor, che chi per sorte

esce fuor prima, vada a correr solo:

ma se trova il nimico così forte,

che resti in sella, e getti lui nel suolo,

sono ubligati gli altri infin a morte

pigliar l'impresa tutti in uno stuolo.

Vedi or, se ciascun d'essi è così buono,

quel ch'esser de', se tutti insieme sono.

56

Poi non conviene all'importanza nostra

che ne vieta ogni indugio, ogni dimora,

che punto vi fermiate a quella giostra;

e presuppongo che vinciate ancora,

che vostra alta presenza lo dimostra,

ma non è cosa da fare in un'ora;

ed è gran dubbio che 'l giovine s'arda,

se tutto oggi a soccorrerlo si tarda. —

57

Disse Ruggier: — Non riguardiamo a questo:

facciàn nui quel che si può far per nui;

abbia chi regge il ciel cura del resto,

o la Fortuna, se non tocca a lui.

Ti fia per questa giostra manifesto,

se buoni siamo d'aiutar colui

che per cagion sì debole e sì lieve,

come n'hai detto, oggi bruciar si deve. —

58

Senza risponder altro, la donzella

si messe per la via ch'era più corta.

Più di tre miglia non andar per quella,

che si trovaro al ponte ed alla porta

dove si perdon l'arme e la gonnella,

e de la vita gran dubbio si porta.

Al primo apparir lor, di su la rocca

è chi duo botti la campana tocca.

59

Ed ecco de la porta con gran fretta,

trottando s'un ronzino, un vecchio uscìo;

e quel venìa gridando: — Aspetta aspetta:

restate olà, che qui si paga il fio:

e se l'usanza non v'è stata detta,

che qui si tiene, or ve la vo' dir io. —

E contar loro incominciò di quello

costume, che servar fa Pinabello.

60

Poi seguitò, volendo dar consigli,

com'era usato agli altri cavallieri:

— Fate spogliar la donna (dicea), figli,

e voi l'arme lasciateci e i destrieri;

e non vogliate mettervi a perigli

d'andare incontra a tai quattro guerrieri.

Per tutto vesti, arme e cavalli s'hanno:

la vita sol mai non ripara il danno. —

61

— Non più (disse Ruggier), non più; ch'io sono

del tutto informatissimo, e qui venni

per far prova di me, se così buono

in fatti son, come nel cor mi tenni.

Arme, vesti e cavallo altrui non dono,

s'altro non sento che minacce e cenni;

e son ben certo ancor, che per parole

il mio compagno le sue dar non vuole.

62

Ma, per Dio, fa ch'io vegga tosto in fronte

quei che ne voglion torre arme e cavallo;

ch'abbiamo da passar anco quel monte,

e qui non si può far troppo intervallo. —

Rispose il vecchio: — Eccoti fuor del ponte

chi vien per farlo: — e non lo disse in fallo;

ch'un cavallier n'uscì, che sopraveste

vermiglie avea, di bianchi fior conteste.

63

Bradamante pregò molto Ruggiero

che le lasciasse in cortesia l'assunto

di gittar de la sella il cavalliero,

ch'avea di fiori il bel vestir trapunto;

ma non poté impetrarlo, e fu mestiero

a lei far ciò che Ruggier volse a punto.

Egli volse l'impresa tutta avere,

e Bradamante si stesse a vedere.

64

Ruggiero al vecchio domandò chi fosse

questo primo ch'uscia fuor de la porta.

— È Sansonetto (disse); che le rosse

veste conosco e i bianchi fior che porta. —

L'uno di qua, l'altro di là si mosse

senza parlarsi, e fu l'indugia corta;

che s'andaro a trovar coi ferri bassi,

molto affrettando i lor destrieri i passi.

65

In questo mezzo de la rocca usciti

eran con Pinabel molti pedoni,

presti per levar l'arme ed espediti

ai cavallier ch'uscian fuor degli arcioni.

Veniansi incontra i cavallieri arditi,

fermando in su le reste i gran lancioni,

grossi duo palmi, di nativo cerro,

che quasi erano uguali insino al ferro.

66

Di tali n'avea più d'una decina

fatto tagliar di su lor ceppi vivi

Sansonetto a una selva indi vicina,

e portatone duo per giostrar quivi.

Aver scudo e corazza adamantina

bisogna ben, che le percosse schivi.

Aveane fatto dar, tosto che venne,

l'uno a Ruggier, l'altro per sé ritenne.

67

Con questi, che passar dovean gl'incudi

(sì ben ferrate avean le punte estreme),

di qua e di là fermandoli agli scudi,

a mezzo il corso si scontraro insieme.

Quel di Ruggiero, che i demòni ignudi

fece sudar, poco del colpo teme:

de lo scudo vo' dir che fece Atlante,

de le cui forze io v'ho già detto inante.

68

Io v'ho già detto che con tanta forza

l'incantato splendor negli occhi fere,

ch'al discoprirsi ogni veduta ammorza,

e tramortito l'uom fa rimanere:

perciò, s'un gran bisogno non lo sforza,

d'un vel coperto lo solea tenere.

Si crede ch'anco impenetrabil fosse,

poi ch'a questo incontrar nulla si mosse.

69

L'altro, ch'ebbe l'artefice men dotto,

il gravissimo colpo non sofferse.

Come tocco da fulmine, di botto

diè loco al ferro, e pel mezzo s'aperse;

diè loco al ferro, e quel trovò di sotto

il braccio ch'assai mal si ricoperse;

sì che ne fu ferito Sansonetto,

e de la sella tratto al suo dispetto.

70

E questo il primo fu di quei compagni

che quivi mantenean l'usanza fella,

che de le spoglie altrui non fe' guadagni,

e ch'alla giostra uscì fuor de la sella.

Convien chi ride, anco talor si lagni,

e Fortuna talor trovi ribella.

Quel da la rocca, replicando il botto,

ne fece agli altri cavallieri motto.

71

S'era accostato Pinabello intanto

a Bradamante, per saper chi fusse

colui che con prodezza e valor tanto

il cavallier del suo castel percusse.

La giustizia di Dio, per dargli quanto

era il merito suo, vi lo condusse

su quel destrier medesimo ch'inante

tolto avea per inganno a Bradamante.

72

Fornito a punto era l'ottavo mese

che, con lei ritrovandosi a camino,

(se 'l vi raccorda) questo Maganzese

la gittò ne la tomba di Merlino,

quando da morte un ramo la difese,

che seco cadde, anzi il suo buon destino;

e trassene, credendo ne lo speco

ch'ella fosse sepolta, il destrier seco.

73

Bradamante conosce il suo cavallo,

e conosce per lui l'iniquo conte;

e poi ch'ode la voce, e vicino hallo

con maggiore attenzion mirato in fronte:

— Questo è il traditor (disse), senza fallo,

che procacciò di farmi oltraggio ed onte:

ecco il peccato suo, che l'ha condutto

ove avrà de' suoi merti il premio tutto. —

74

Il minacciare e il por mano alla spada

fu tutto a un tempo, e lo aventarsi a quello;

ma inanzi tratto gli levò la strada,

che non poté fuggir verso il castello.

Tolta è la speme ch'a salvar si vada,

come volpe alla tana, Pinabello.

Egli gridando e senza mai far testa,

fuggendo si cacciò ne la foresta.

75

Pallido e sbigottito il miser sprona,

che posto ha nel fuggir l'ultima speme.

L'animosa donzella di Dordona

gli ha il ferro ai fianchi, e lo percuote e preme:

vien con lui sempre, e mai non l'abbandona.

Grande è il rumore, e il bosco intorno geme.

Nulla al castel di questo ancor s'intende,

però ch'ognuno a Ruggier solo attende.

76

Gli altri tre cavallier de la fortezza

intanto erano usciti in su la via;

ed avean seco quella male avezza

che v'avea posta la costuma ria.

A ciascun di lor tre, che 'l morir prezza

più ch'aver vita che con biasmo sia,

di vergogna arde il viso, e il cor di duolo,

che tanti ad assalir vadano un solo.

77

La crudel meretrice ch'avea fatto

por quella iniqua usanza ed osservarla,

il giuramento lor ricorda e il patto

ch'essi fatti l'avean, di vendicarla.

— Se sol con questa lancia te gli abbatto,

perché mi vòi con altre accompagnarla?

(dicea Guidon Selvaggio): e s'io ne mento,

levami il capo poi, ch'io son contento. —

78

Così dicea Grifon, così Aquilante.

Giostrar da sol a sol volea ciascuno,

e preso e morto rimanere inante

ch'incontra un sol volere andar più d'uno.

La donna dicea loro: — A che far tante

parole qui senza profitto alcuno?

Per torre a colui l'arme io v'ho qui tratti,

non per far nuove leggi e nuovi patti.

79

Quando io v'avea in prigione, era da farme

queste escuse, e non ora, che son tarde.

Voi dovete il preso ordine servarme,

non vostre lingue far vane e bugiarde. —

Ruggier gridava lor: — Eccovi l'arme,

ecco il destrier c'ha nuovo e sella e barde;

i panni de la donna eccovi ancora:

se li volete, a che più far dimora? —

80

La donna del castel da un lato preme,

Ruggier da l'altro li chiama e rampogna,

tanto ch'a forza si spiccaro insieme,

ma nel viso infiammati di vergogna.

Dinanzi apparve l'uno e l'altro seme

del marchese onorato di Borgogna;

ma Guidon, che più grave ebbe il cavallo,

venìa lor dietro con poco intervallo.

81

Con la medesima asta con che avea

Sansonetto abbattuto, Ruggier viene,

coperto da lo scudo che solea

Atlante aver sui monti di Pirene:

dico quello incantato, che splendea

tanto, ch'umana vista nol sostiene;

a cui Ruggier per l'ultimo soccorso

nei più gravi perigli avea ricorso.

82

Ben che sol tre fiate bisognolli,

e certo in gran perigli, usarne il lume:

le prime due, quando dai regni molli

si trasse a più lodevole costume;

la terza, quando i denti mal satolli

lasciò de l'orca alle marine spume,

che dovean devorar la bella nuda

che fu a chi la campò poi così cruda.

83

Fuor che queste tre volte, tutto 'l resto

lo tenea sotto un velo in modo ascoso,

ch'a discoprirlo esser potea ben presto,

che del suo aiuto fosse bisognoso.

Quivi alla giostra ne venìa con questo,

come io v'ho detto ancora, sì animoso,

che quei tre cavallier che vedea inanti,

manco temea che pargoletti infanti.

84

Ruggier scontra Grifone, ove la penna

de lo scudo alla vista si congiunge.

Quel di cader da ciascun lato accenna,

ed al fin cade, e resta al destrier lunge.

Mette allo scudo a lui Grifon l'antenna;

ma pel traverso e non pel dritto giunge:

e perché lo trovò forbito e netto,

l'andò strisciando, e fe' contrario effetto.

85

Roppe il velo e squarciò, che gli copria

lo spaventoso ed incantato lampo,

al cui splendor cader si convenia

con gli occhi ciechi, e non vi s'ha alcun scampo.

Aquilante, ch'a par seco venìa,

stracciò l'avanzo, e fe' lo scudo vampo.

Lo splendor ferì gli occhi ai duo fratelli

ed a Guidon, che correa dopo quelli.

86

Chi di qua, chi di là cade per terra:

lo scudo non pur lor gli occhi abbarbaglia,

ma fa che ogn'altro senso attonito erra.

Ruggier, che non sa il fin de la battaglia,

volta il cavallo; e nel voltare afferra

la spada sua che sì ben punge e taglia:

e nessun vede che gli sia all'incontro,

che tutti eran caduti a quello scontro.

87

I cavallieri e insieme quei ch'a piede

erano usciti, e così le donne anco,

e non meno i destrieri in guisa vede,

che par che per morir battano il fianco.

Prima si maraviglia, e poi s'avvede

che 'l velo ne pendea dal lato manco:

dico il velo di seta, in che solea

chiuder la luce di quel caso rea.

88

Presto si volge, e nel voltar, cercando

con gli occhi va l'amata sua guerriera;

e vien là dove era rimasa, quando

la prima giostra cominciata s'era.

Pensa ch'andata sia (non la trovando)

a vietar che quel giovine non pera,

per dubbio ch'ella ha forse che non s'arda

in questo mezzo ch'a giostrar si tarda.

89

Fra gli altri che giacean vede la donna,

la donna che l'avea quivi guidato.

Dinanzi se la pon, sì come assonna,

e via cavalca tutto conturbato.

D'un manto ch'essa avea sopra la gonna,

poi ricoperse lo scudo incantato;

e i sensi riaver le fece, tosto

che 'l nocivo splendore ebbe nascosto.

90

Via se ne va Ruggier con faccia rossa

che, per vergogna, di levar non osa:

gli par ch'ognuno improverar gli possa

quella vittoria poco gloriosa.

— Ch'emenda poss'io fare, onde rimossa

mi sia una colpa tanto obbrobriosa?

che ciò ch'io vinsi mai, fu per favore,

diran, d'incanti, e non per mio valore. —

91

Mentre così pensando seco giva,

venne in quel che cercava a dar di cozzo;

che 'n mezzo de la strada soprarriva

dove profondo era cavato un pozzo.

Quivi l'armento alla calda ora estiva

si ritraea, poi ch'avea pieno il gozzo.

Disse Ruggiero: — Or proveder bisogna,

che non mi facci, o scudo, più vergogna.

92

Più non starai tu meco; e questo sia

l'ultimo biasmo c'ho d'averne al mondo. —

Così dicendo, smonta ne la via:

piglia una grossa pietra e di gran pondo,

e la lega allo scudo, ed ambi invia

per l'alto pozzo a ritrovarne il fondo;

e dice: — Costà giù statti sepulto,

e teco stia sempre il mio obbrobrio occulto. —

93

Il pozzo è cavo, e pieno al sommo d'acque:

grieve è lo scudo, e quella pietra grieve.

Non si fermò fin che nel fondo giacque:

sopra si chiuse il liquor molle e lieve.

Il nobil atto e di splendor non tacque

la vaga Fama, e divulgollo in breve;

e di rumor n'empì, suonando il corno,

e Francia e Spagna e le province intorno.

94

Poi che di voce in voce si fe' questa

strana aventura in tutto il mondo nota,

molti guerrier si missero all'inchiesta

e di parte vicina e di remota:

ma non sapean qual fosse la foresta

dove nel pozzo il sacro scudo nuota;

che la donna che fe' l'atto palese,

dir mai non volse il pozzo né il paese.

95

Al partir che Ruggier fe' dal castello,

dove avea vinto con poca battaglia;

che i quattro gran campion di Pinabello

fece restar come uomini di paglia;

tolto lo scudo, avea levato quello

lume che gli occhi e gli animi abbarbaglia:

e quei che giaciuti eran come morti,

pieni di meraviglia eran risorti.

96

Né per tutto quel giorno si favella

altro fra lor, che de lo strano caso,

e come fu che ciascun d'essi a quella

orribil luce vinto era rimaso.

Mentre parlan di questo, la novella

vien lor di Pinabel giunto all'occaso:

che Pinabello è morto hanno l'aviso,

ma non sanno però chi l'abbia ucciso.

97

L'ardita Bradamante in questo mezzo

giunto avea Pinabello a un passo stretto;

e cento volte gli avea fin a mezzo

messo il brando pei fianchi e per lo petto.

Tolto ch'ebbe dal mondo il puzzo e 'l lezzo

che tutto intorno avea il paese infetto,

le spalle al bosco testimonio volse

con quel destrier che già il fellon le tolse.

98

Volse tornar dove lasciato avea

Ruggier; né seppe mai trovar la strada.

Or per valle or per monte s'avvolgea:

tutta quasi cercò quella contrada.

Non volse mai la sua fortuna rea,

che via trovasse onde a Ruggier si vada.

Questo altro canto ad ascoltare aspetto

chi de l'istoria mia prende diletto.

CANTO VENTITREESIMO

1

Studisi ognun giovare altrui; che rade

volte il ben far senza il suo premio fia:

e se pur senza, almen non te ne accade

morte né danno né ignominia ria.

Chi nuoce altrui, tardi o per tempo cade

il debito a scontar, che non s'oblia.

Dice il proverbio, ch'a trovar si vanno

gli uomini spesso, e i monti fermi stanno.

2

Or vedi quel ch'a Pinabello avviene

per essersi portato iniquamente:

è giunto in somma alle dovute pene,

dovute e giuste alla sua ingiusta mente.

E Dio, che le più volte non sostiene

veder patire a torto uno innocente,

salvò la donna; e salverà ciascuno

che d'ogni fellonia viva digiuno.

3

Credette Pinabel questa donzella

già d'aver morta, e colà giù sepulta;

né la pensava mai veder, non ch'ella

gli avesse a tor degli error suoi la multa.

Né il ritrovarsi in mezzo le castella

del padre, in alcun util gli risulta.

Quivi Altaripa era tra monti fieri

vicina al tenitorio di Pontieri.

4

Tenea quell'Altaripa il vecchio conte

Anselmo, di ch'uscì questo malvagio,

che, per fuggir la man di Chiaramonte,

d'amici e di soccorso ebbe disagio.

La donna al traditore a piè d'un monte

tolse l'indegna vita a suo grande agio;

che d'altro aiuto quel non si provede,

che d'alti gridi e di chiamar mercede.

5

Morto ch'ella ebbe il falso cavalliero

che lei voluto avea già porre a morte,

volse tornare ove lasciò Ruggiero;

ma non lo consentì sua dura sorte,

che la fe' traviar per un sentiero

che la portò dov'era spesso e forte,

dove più strano e più solingo il bosco,

lasciando il sol già il mondo all'aer fosco.

6

Né sappiendo ella ove potersi altrove

la notte riparar, si fermò quivi

sotto le frasche in su l'erbette nuove,

parte dormendo, fin che 'l giorno arrivi,

parte mirando ora Saturno or Giove,

Venere e Marte e gli altri erranti divi;

ma sempre, o vegli o dorma, con la mente

contemplando Ruggier come presente.

7

Spesso di cor profondo ella sospira,

di pentimento e di dolor compunta,

ch'abbia in lei, più ch'amor, potuto l'ira.

— L'ira (dicea) m'ha dal mio amor disgiunta:

almen ci avessi io posta alcuna mira,

poi ch'avea pur la mala impresa assunta,

di saper ritornar donde io veniva;

che ben fui d'occhi e di memoria priva. —

8

Queste ed altre parole ella non tacque,

e molto più ne ragionò col core.

Il vento intanto di sospiri, e l'acque

di pianto facean pioggia di dolore.

Dopo una lunga aspettazion pur nacque

in oriente il disiato albore:

ed ella prese il suo destrier ch'intorno

giva pascendo, ed andò contra il giorno.

9

Né molto andò, che si trovò all'uscita

del bosco, ove pur dianzi era il palagio,

là dove molti dì l'avea schernita

con tanto error l'incantator malvagio.

Ritrovò quivi Astolfo, che fornita

la briglia all'ippogrifo avea a grande agio,

e stava in gran pensier di Rabicano,

per non sapere a chi lasciarlo in mano.

10

A caso si trovò che fuor di testa

l'elmo allor s'avea tratto il paladino;

sì che tosto ch'uscì de la foresta,

Bradamante conobbe il suo cugino.

Di lontan salutollo, e con gran festa

gli corse, e l'abbracciò poi più vicino;

e nominossi, ed alzò la visiera,

e chiaramente fe' veder ch'ell'era.

11

Non potea Astolfo ritrovar persona

a chi il suo Rabican meglio lasciasse,

perché dovesse averne guardia buona

e renderglielo poi come tornasse,

de la figlia del duca di Dordona;

e parvegli che Dio gli la mandasse.

Vederla volentier sempre solea,

ma pel bisogno or più ch'egli n'avea.

12

Da poi che due o tre volte ritornati

fraternamente ad abbracciar si foro,

e si for l'uno a l'altro domandati

con molta affezion de l'esser loro,

Astolfo disse: — Ormai, se dei pennati

vo' 'l paese cercar, troppo dimoro: —

ed aprendo alla donna il suo pensiero,

veder le fece il volator destriero.

13

A lei non fu di molta maraviglia

veder spiegare a quel destrier le penne;

ch'altra volta, reggendogli la briglia

Atlante incantator, contra le venne;

e le fece doler gli occhi e le ciglia:

sì fisse dietro a quel volar le tenne

quel giorno, che da lei Ruggier lontano

portato fu per camin lungo e strano.

14

Astolfo disse a lei, che le volea

dar Rabican, che sì nel corso affretta,

che, se scoccando l'arco si movea,

si solea lasciar dietro la saetta;

e tutte l'arme ancor, quante n'avea,

che vuol che a Montalban gli le rimetta,

e gli le serbi fin al suo ritorno;

che non gli fanno or di bisogno intorno.

15

Volendosene andar per l'aria a volo,

aveasi a far quanto potea più lieve.

Tiensi la spada e 'l corno, ancor che solo

bastargli il corno ad ogni risco deve.

Bradamante la lancia che 'l figliuolo

portò di Galafrone, anco riceve;

la lancia che di quanti ne percuote

fa le selle restar subito vote.

16

Salito Astolfo sul destrier volante,

lo fa mover per l'aria lento lento;

indi lo caccia sì, che Bradamante

ogni vista ne perde in un momento.

Così si parte col pilota inante

il nochier che gli scogli teme e 'l vento;

e poi che 'l porto e i liti a dietro lassa,

spiega ogni vela e inanzi ai venti passa.

17

La donna, poi che fu partito il duca,

rimase in gran travaglio de la mente;

che non sa come a Montalban conduca

l'armatura e il destrier del suo parente;

però che 'l cuor le cuoce e le manuca

l'ingorda voglia e il desiderio ardente

di riveder Ruggier, che, se non prima,

a Vallombrosa ritrovar lo stima.

18

Stando quivi suspesa, per ventura

si vede inanzi giungere un villano,

dal qual fa rassettar quella armatura,

come si puote, e por su Rabicano;

poi di menarsi dietro gli diè cura

i duo cavalli, un carco e l'altro a mano:

ella n'avea duo prima; ch'avea quello

sopra il qual levò l'altro a Pinabello.

19

Di Vallombrosa pensò far la strada,

che trovar quivi il suo Ruggier ha speme;

ma qual più breve o qual miglior vi vada,

poco discerne, e d'ire errando teme.

Il villan non avea de la contrada

pratica molta; ed erreranno insieme.

Pur andare a ventura ella si messe,

dove pensò che 'l loco esser dovesse.

20

Di qua di là si volse, né persona

incontrò mai da domandar la via.

Si trovò uscir del bosco in su la nona

dove un castel poco lontan scoprìa,

il qual la cima a un monticel corona.

Lo mira, e Montalban le par che sia:

ed era certo Montalbano; e in quello

avea la matre ed alcun suo fratello.

21

Come la donna conosciuto ha il loco,

nel cor s'attrista, e più ch'i' non so dire:

sarà scoperta, se si ferma un poco,

né più le sarà lecito a partire;

se non si parte, l'amoroso foco

l'arderà sì, che la farà morire:

non vedrà più Ruggier, né farà cosa

di quel ch'era ordinato a Vallombrosa.

22

Stette alquanto a pensar; poi si risolse

di voler dar a Montalban le spalle:

e verso la badia pur si rivolse,

che quindi ben sapea qual era il calle.

Ma sua fortuna, o buona o trista, volse

che prima ch'ella uscisse de la valle,

scontrasse Alardo, un de' fratelli sui;

né tempo di celarsi ebbe da lui.

23

Veniva da partir gli alloggiamenti

per quel contado a cavallieri e a fanti;

ch'ad istanza di Carlo nuove genti

fatto avea de le terre circostanti.

I saluti e i fraterni abbracciamenti

con le grate accoglienze andaro inanti;

e poi, di molte cose a paro a paro

tra lor parlando, in Montalban tornaro.

24

Entrò la bella donna in Montalbano,

dove l'avea con lacrimosa guancia

Beatrice molto desiata invano,

e fattone cercar per tutta Francia.

Or quivi i baci e il giunger mano a mano

di matre e di fratelli estimò ciancia

verso gli avuti con Ruggier complessi,

ch'avrà ne l'alma eternamente impressi.

25

Non potendo ella andar, fece pensiero

ch'a Vallombrosa altri in suo nome andasse

immantinente ad avisar Ruggiero

de la cagion ch'andar lei non lasciasse;

e lui pregar (s'era pregar mestiero)

che quivi per suo amor si battezzasse,

e poi venisse a far quanto era detto,

sì che si desse al matrimonio effetto.

26

Pel medesimo messo fe' disegno

di mandar a Ruggiero il suo cavallo,

che gli solea tanto esser caro: e degno

d'essergli caro era ben senza fallo;

che non s'avria trovato in tutto 'l regno

dei Saracin, né sotto il signor Gallo,

più bel destrier di questo o più gagliardo,

eccetti Brigliador, soli, e Baiardo.

27

Ruggier, quel dì che troppo audace ascese

su l'ippogrifo, e verso il ciel levosse,

lasciò Frontino, e Bradamante il prese

(Frontino, che 'l destrier così nomosse);

mandollo a Montalbano, e a buone spese

tener lo fece, e mai non cavalcosse,

se non per breve spazio e a picciol passo;

sì ch'era più che mai lucido e grasso.

28

Ogni sua donna tosto, ogni donzella

pon seco in opra, e con suttil lavoro

fa sopra seta candida e morella

tesser ricamo di finissimo oro;

e di quel cuopre ed orna briglia e sella

del buon destrier: poi sceglie una di loro

figlia di Callitrefia sua nutrice,

d'ogni secreto suo fida uditrice.

29

Quanto Ruggier l'era nel core impresso,

mille volte narrato avea a costei;

la beltà, la virtude, i modi d'esso

esaltato l'avea fin sopra i dei.

A sé chiamolla, e disse: — Miglior messo

a tal bisogno elegger non potrei;

che di te né più fido né più saggio

imbasciator, Ippalca mia, non aggio. —

30

Ippalca la donzella era nomata.

— Va, — le dice, e l'insegna ove de' gire;

e pienamente poi l'ebbe informata

di quanto avesse al suo signore a dire;

e far la scusa se non era andata

al monaster: che non fu per mentire;

ma che Fortuna, che di noi potea

più che noi stessi, da imputar s'avea.

31

Montar la fece s'un ronzino, e in mano

la ricca briglia di Frontin le messe:

e se sì pazzo alcuno o sì villano

trovasse, che levar le lo volesse;

per fargli a una parola il cervel sano,

di chi fosse il destrier sol gli dicesse;

che non sapea sì ardito cavalliero,

che non tremasse al nome di Ruggiero.

32

Di molte cose l'ammonisce e molte,

che trattar con Ruggier abbia in sua vece;

le qual poi ch'ebbe Ippalca ben raccolte,

si pose in via, né più dimora fece.

Per strade e campi e selve oscure e folte

cavalcò de le miglia più di diece;

che non fu a darle noia chi venisse,

né a domandarla pur dove ne gisse.

33

A mezzo il giorno, nel calar d'un monte,

in una stretta e malagevol via

si venne ad incontrar con Rodomonte,

ch'armato un piccol nano e a piè seguia.

Il Moro alzò vêr lei l'altiera fronte,

e bestemmiò l'eterna Ierarchia,

poi che sì bel destrier, sì bene ornato,

non avea in man d'un cavallier trovato.

34

Avea giurato che 'l primo cavallo

torria per forza, che tra via incontrasse.

Or questo è stato il primo; e trovato hallo

più bello e più per lui, che mai trovasse:

ma torlo a una donzella gli par fallo;

e pur agogna averlo, e in dubbio stasse.

Lo mira, lo contempla, e dice spesso:

— Deh perché il suo signor non è con esso! —

35

— Deh ci fosse egli! (gli rispose Ippalca)

che ti faria cangiar forse pensiero.

Assai più di te val chi lo cavalca,

né lo pareggia al mondo altro guerriero. —

— Chi è (le disse il Moro) che sì calca

l'onore altrui? — Rispose ella: — Ruggiero. —

E quel suggiunse: — Adunque il destrier voglio,

poi ch'a Ruggier, sì gran campion, lo toglio.

36

Il qual, se sarà ver, come tu parli,

che sia sì forte, e più d'ogn'altro vaglia,

non che il destrier, ma la vettura darli

converrammi, e in suo albitrio fia la taglia.

Che Rodomonte io sono, hai da narrarli,

e che, se pur vorrà meco battaglia,

mi troverà; ch'ovunque io vada o stia,

mi fa sempre apparir la luce mia.

37

Dovunque io vo, sì gran vestigio resta,

che non lo lascia il fulmine maggiore. —

Così dicendo, avea tornate in testa

le redine dorate al corridore:

sopra gli salta; e lacrimosa e mesta

rimane Ippalca, e spinta dal dolore

minaccia Rodomonte e gli dice onta:

non l'ascolta egli, e su pel poggio monta.

38

Per quella via dove lo guida il nano

per trovar Mandricardo e Doralice,

gli viene Ippalca dietro di lontano,

e lo bestemmia sempre e maledice.

Ciò che di questo avvenne, altrove è piano.

Turpin, che tutta questa istoria dice,

fa qui digresso, e torna in quel paese

dove fu dianzi morto il Maganzese.

39

Dato avea a pena a quel loco le spalle

la figliuola d'Amon, ch'in fretta gìa,

che v'arrivò Zerbin per altro calle

con la fallace vecchia in compagnia:

e giacer vide il corpo ne la valle

del cavallier, che non sa già chi sia;

ma, come quel ch'era cortese e pio,

ebbe pietà del caso acerbo e rio.

40

Giaceva Pinabello in terra spento,

versando il sangue per tante ferite,

ch'esser doveano assai, se più di cento

spade in sua morte si fossero unite.

Il cavallier di Scozia non fu lento

per l'orme che di fresco eran scolpite

a porsi in avventura, se potea

saper chi l'omicidio fatto avea.

41

Ed a Gabrina dice che l'aspette;

che senza indugio a lei farà ritorno.

Ella presso al cadavero si mette,

e fissamente vi pon gli occhi intorno;

perché, se cosa v'ha che le dilette,

non vuol ch'un morto invan più ne sia adorno,

come colei che fu, tra l'altre note,

quanto avara esser più femina puote.

42

Se di portarne il furto ascosamente

avesse avuto modo o alcuna speme,

la sopravesta fatta riccamente

gli avrebbe tolta, e le bell'arme insieme.

Ma quel che può celarsi agevolmente,

si piglia, e 'l resto fin al cor le preme.

Fra l'altre spoglie un bel cinto levonne,

e se ne legò i fianchi infra due gonne.

43

Poco dopo arrivò Zerbin, ch'avea

seguito invan di Bradamante i passi,

perché trovò il sentier che si torcea

in molti rami ch'ivano alti e bassi:

e poco ormai del giorno rimanea,

né volea al buio star fra quelli sassi;

e per trovare albergo diè le spalle

con l'empia vecchia alla funesta valle.

44

Quindi presso a dua miglia ritrovaro

un gran castel che fu detto Altariva,

dove per star la notte si fermaro,

che già a gran volo inverso il ciel saliva.

Non vi ster molto, ch'un lamento amaro

l'orecchie d'ogni parte lor feriva;

e veggon lacrimar da tutti gli occhi,

come la cosa a tutto il popul tocchi.

45

Zerbino dimandonne, e gli fu detto

che venut'era al cont'Anselmo aviso,

che fra duo monti in un sentiero istretto

giacea il suo figlio Pinabello ucciso.

Zerbin, per non ne dar di sé sospetto,

di ciò si finge nuovo, e abbassa il viso;

ma pensa ben, che senza dubbio sia

quel ch'egli trovò morto in su la via.

46

Dopo non molto la bara funèbre

giunse, a splendor di torchi e di facelle,

là dove fece le strida più crebre

con un batter di man gire alle stelle,

e con più vena fuor de le palpèbre

le lacrime inundar per le mascelle:

ma più de l'altre nubilose ed atre

era la faccia del misero patre.

47

Mentre apparecchio si facea solenne

di grandi esequie e di funèbri pompe,

secondo il modo ed ordine che tenne

l'usanza antiqua e ch'ogni età corrompe;

da parte del signore un bando venne,

che tosto il popular strepito rompe,

e promette gran premio a chi dia aviso

chi stato sia che gli abbia il figlio ucciso.

48

Di voce in voce e d'una in altra orecchia

il grido e 'l bando per la terra scorse,

fin che l'udì la scelerata vecchia

che di rabbia avanzò le tigri e l'orse;

e quindi alla ruina s'apparecchia

di Zerbino, o per l'odio che gli ha forse,

o per vantarsi pur, che sola priva

d'umanitade in uman corpo viva;

49

o fosse pur per guadagnarsi il premio:

a ritrovar n'andò quel signor mesto;

e dopo un verisimil suo proemio,

gli disse che Zerbin fatto avea questo:

e quel bel cinto si levò di gremio,

che 'l miser padre a riconoscer presto,

appresso il testimonio e tristo uffizio

de l'empia vecchia, ebbe per chiaro indizio.

50

E lacrimando al ciel leva le mani,

che 'l figliuol non sarà senza vendetta.

Fa circundar l'albergo ai terrazzani;

che tutto 'l popul s'è levato in fretta.

Zerbin che gli nimici aver lontani

si crede, e questa ingiuria non aspetta,

dal conte Anselmo, che si chiama offeso

tanto da lui, nel primo sonno è preso;

51

e quella notte in tenebrosa parte

incatenato, e in gravi ceppi messo.

Il sole ancor non ha le luci sparte,

che l'ingiusto supplicio è già commesso;

che nel loco medesimo si squarte,

dove fu il mal c'hanno imputato ad esso.

Altra esamina in ciò non si facea:

bastava che 'l signor così credea.

52

Poi che l'altro matin la bella Aurora

l'aer seren fe' bianco e rosso e giallo,

tutto 'l popul gridando: — Mora, mora, —

vien per punir Zerbin del non suo fallo.

Lo sciocco vulgo l'accompagna fuora,

senz'ordine, chi a piede e chi a cavallo,

e 'l cavallier di Scozia a capo chino

ne vien legato in s'un piccol ronzino.

53

Ma Dio, che spesso gl'innocenti aiuta,

né lascia mai ch'in sua bontà si fida,

tal difesa gli avea già proveduta,

che non v'è dubbio più ch'oggi s'uccida.

Quivi Orlando arrivò, la cui venuta

alla via del suo scampo gli fu guida.

Orlando giù nel pian vide la gente

che trae a morte il cavallier dolente.

54

Era con lui quella fanciulla, quella

che ritrovò ne la selvaggia grotta,

del re galego la figlia Issabella,

in poter già de' malandrin condotta,

poi che lasciato avea ne la procella

del truculento mar la nave rotta:

quella che più vicino al core avea

questo Zerbin, che l'alma onde vivea.

55

Orlando se l'avea fatta compagna,

poi che de la caverna la riscosse.

Quando costei li vide alla campagna,

domandò Orlando, chi la turba fosse.

— Non so, — diss'egli; e poi su la montagna

lasciolla, e verso il pian ratto si mosse.

Guardò Zerbino, ed alla vista prima

lo giudicò baron di molta stima.

56

E fattosegli appresso, domandollo

per che cagione e dove il menin preso.

Levò il dolente cavalliero il collo,

e meglio avendo il paladino inteso,

rispose il vero; e così ben narrollo,

che meritò dal conte esser difeso.

Bene avea il conte alle parole scorto

ch'era innocente, e che moriva a torto.

57

E poi che 'ntese che commesso questo

era dal conte Anselmo d'Altariva,

fu certo ch'era torto manifesto;

ch'altro da quel fellon mai non deriva.

Ed oltre a ciò, l'uno era all'altro infesto

per l'antiquissimo odio che bolliva

tra il sangue di Maganza e di Chiarmonte;

e tra lor eran morti e danni ed onte.

58

— Slegate il cavallier (gridò), canaglia,

(il conte a' masnadieri), o ch'io v'uccido. —

— Chi è costui che sì gran colpi taglia?

(rispose un che parer volle il più fido).

Se di cera noi fussimo o di paglia,

e di fuoco egli, assai fôra quel grido. —

E venne contra il paladin di Francia:

Orlando contra lui chinò la lancia.

59

La lucente armatura il Maganzese,

che levata la notte avea a Zerbino,

e postasela indosso, non difese

contro l'aspro incontrar del paladino.

Sopra la destra guancia il ferro prese:

l'elmo non passò già, perch'era fino;

ma tanto fu de la percossa il crollo,

che la vita gli tolse e roppe il collo.

60

Tutto in un corso, senza tor di resta

la lancia, passò un altro in mezzo 'l petto:

quivi lasciolla, e la mano ebbe presta

a Durindana; e nel drappel più stretto

a chi fece due parti de la testa,

a chi levò dal busto il capo netto;

forò la gola a molti; e in un momento

n'uccise e messe in rotta più di cento.

61

Più del terzo n'ha morto, e 'l resto caccia

e taglia e fende e fiere e fora e tronca.

Chi lo scudo, e chi l'elmo che lo 'mpaccia,

e chi lascia lo spiedo e chi la ronca;

chi al lungo, chi al traverso il camin spaccia;

altri s'appiatta in bosco, altri in spelonca.

Orlando, di pietà questo dì privo,

a suo poter non vuol lasciarne un vivo.

62

Di cento venti (che Turpin sottrasse

il conto), ottanta ne periro almeno.

Orlando finalmente si ritrasse

dove a Zerbin tremava il cor nel seno.

S'al ritornar d'Orlando s'allegrasse,

non si potria contare in versi a pieno.

Se gli saria per onorar prostrato;

ma si trovò sopra il ronzin legato.

63

Mentre ch'Orlando, poi che lo disciolse,

l'aiutava a ripor l'arme sue intorno,

ch'al capitan de la sbirraglia tolse,

che per suo mal se n'era fatto adorno;

Zerbino gli occhi ad Issabella volse,

che sopra il colle avea fatto soggiorno,

e poi che de la pugna vide il fine,

portò le sue bellezze più vicine.

64

Quando apparir Zerbin si vide appresso

la donna che da lui fu amata tanto,

la bella donna che per falso messo

credea sommersa, e n'ha più volte pianto;

com'un ghiaccio nel petto gli sia messo,

sente dentro aggelarsi, e triema alquanto:

ma tosto il freddo manca, ed in quel loco

tutto s'avampa d'amoroso fuoco.

65

Di non tosto abbracciarla lo ritiene

la riverenza del signor d'Anglante;

perché si pensa, e senza dubbio tiene

ch'Orlando sia de la donzella amante.

Così cadendo va di pene in pene,

e poco dura il gaudio ch'ebbe inante:

il vederla d'altrui peggio sopporta,

che non fe' quando udì ch'ella era morta.

66

E molto più gli duol che sia in podesta

del cavalliero a cui cotanto debbe;

perché volerla a lui levar né onesta

né forse impresa facile sarebbe.

Nessuno altro da sé lassar con questa

preda partir senza romor vorrebbe:

ma verso il conte il suo debito chiede

che se lo lasci por sul collo il piede.

67

Giunsero taciturni ad una fonte,

dove smontaro e fer qualche dimora.

Trassesi l'elmo il travagliato conte,

ed a Zerbin lo fece trarre ancora.

Vede la donna il suo amatore in fronte,

e di subito gaudio si scolora;

poi torna come fiore umido suole

dopo gran pioggia all'apparir del sole.

68

E senza indugio e senza altro rispetto

corre al suo caro amante, e il collo abbraccia;

e non può trar parola fuor del petto,

ma di lacrime il sen bagna e la faccia.

Orlando attento all'amoroso affetto,

senza che più chiarezza se gli faccia,

vide a tutti gl'indizi manifesto

ch'altri esser, che Zerbin, non potea questo.

69

Come la voce aver poté Issabella,

non bene asciutta ancor l'umida guancia,

sol de la molta cortesia favella,

che l'avea usata il paladin di Francia.

Zerbino, che tenea questa donzella

con la sua vita pare a una bilancia,

si getta a' piè del conte, e quello adora

come a chi gli ha due vite date a un'ora.

70

Molti ringraziamenti e molte offerte

erano per seguir tra i cavallieri,

se non udian sonar le vie coperte

dagli arbori di frondi oscuri e neri.

Presti alle teste lor, ch'eran scoperte,

posero gli elmi, e presero i destrieri:

ed ecco un cavalliero e una donzella

lor sopravien, ch'a pena erano in sella.

71

Era questo guerrier quel Mandricardo

che dietro Orlando in fretta si condusse

per vendicar Alzirdo e Manilardo,

che 'l paladin con gran valor percusse:

quantunque poi lo seguitò più tardo;

che Doralice in suo poter ridusse,

la quale avea con un troncon di cerro

tolta a cento guerrier carchi di ferro.

72

Non sapea il Saracin però, che questo,

ch'egli seguia, fosse il signor d'Anglante:

ben n'avea indizio e segno manifesto

ch'esser dovea gran cavalliero errante.

A lui mirò più ch'a Zerbino, e presto

gli andò con gli occhi dal capo alle piante;

e i dati contrasegni ritrovando,

disse: — Tu se' colui ch'io vo cercando.

73

Sono omai dieci giorni (gli soggiunse)

che di cercar non lascio i tuo' vestigi:

tanto la fama stimolommi e punse,

che di te venne al campo di Parigi,

quando a fatica un vivo sol vi giunse

di mille che mandasti ai regni stigi;

e la strage contò, che da te venne

sopra i Norizi e quei di Tremisenne.

74

Non fui, come lo seppi, a seguir lento,

e per vederti e per provarti appresso:

e perché m'informai del guernimento

c'hai sopra l'arme, io so che tu sei desso;

e se non l'avessi anco, e che fra cento

per celarti da me ti fossi messo,

il tuo fiero sembiante mi faria

chiaramente veder che tu quel sia. —

75

— Non si può (gli rispose Orlando) dire

che cavallier non sii d'alto valore;

però che sì magnanimo desire

non mi credo albergasse in umil core.

Se 'l volermi veder ti fa venire,

vo' che mi veggi dentro, come fuore:

mi leverò questo elmo da le tempie,

acciò ch'a punto il tuo desire adempie.

76

Ma poi che ben m'avrai veduto in faccia,

all'altro desiderio ancora attendi:

resta ch'alla cagion tu satisfaccia,

che fa che dietro questa via mi prendi;

che veggi se 'l valor mio si confaccia

a quel sembiante fier che sì commendi. —

— Orsù (disse il pagano), al rimanente;

ch'al primo ho satisfatto interamente. —

77

Il conte tuttavia dal capo al piede

va cercando il pagan tutto con gli occhi:

mira ambi i fianchi, indi l'arcion; né vede

pender né qua né là mazze né stocchi.

Gli domanda di ch'arme si provede,

s'avvien che con la lancia in fallo tocchi.

Rispose quel: — Non ne pigliar tu cura:

così a molt'altri ho ancor fatto paura.

78

Ho sacramento di non cinger spada,

fin ch'io non tolgo Durindana al conte;

e cercando lo vo per ogni strada,

acciò più d'una posta meco sconte.

Lo giurai (se d'intenderlo t'aggrada)

quando mi posi quest'elmo alla fronte,

il qual con tutte l'altr'arme ch'io porto,

era d'Ettòr, che già mill'anni è morto.

79

La spada sola manca alle buone arme:

come rubata fu, non ti so dire.

Or che la porti il paladino, parme;

e di qui vien ch'egli ha sì grande ardire.

Ben penso, se con lui posso accozzarme,

fargli il mal tolto ormai ristituire.

Cercolo ancor, che vendicar disio

il famoso Agrican genitor mio.

80

Orlando a tradimento gli diè morte:

ben so che non potea farlo altrimente. —

Il conte più non tacque, e gridò forte:

— E tu e qualunque il dice, se ne mente.

Ma quel che cerchi t'è venuto in sorte:

io sono Orlando, e uccisil giustamente;

e questa è quella spada che tu cerchi,

che tua sarà, se con virtù la merchi.

81

Quantunque sia debitamente mia,

tra noi per gentilezza si contenda:

né voglio in questa pugna ch'ella sia

più tua che mia; ma a un arbore s'appenda.

Levala tu liberamente via,

s'avvien che tu m'uccida o che mi prenda. —

Così dicendo, Durindana prese,

e 'n mezzo il campo a un arbuscel l'appese.

82

Già l'un da l'altro è dipartito lunge,

quanto sarebbe un mezzo tratto d'arco:

già l'uno contra l'altro il destrier punge,

né de le lente redine gli è parco:

già l'uno e l'altro di gran colpo aggiunge

dove per l'elmo la veduta ha varco.

Parveno l'aste, al rompersi, di gielo;

e in mille schegge andar volando al cielo.

83

L'una e l'altra asta è forza che si spezzi;

che non voglion piegarsi i cavallieri,

i cavallier che tornano coi pezzi

che son restati appresso i calci interi.

Quelli, che sempre fur nel ferro avezzi,

or, come duo villan per sdegno fieri

nel partir acque o termini de prati,

fan crudel zuffa di duo pali armati.

84

Non stanno l'aste a quattro colpi salde,

e mancan nel furor di quella pugna.

Di qua e di là si fan l'ire più calde;

né da ferir lor resta altro che pugna.

Schiodano piastre, e straccian maglie e falde,

pur che la man, dove s'aggraffi, giugna.

Non desideri alcun, perché più vaglia,

martel più grave o più dura tanaglia.

85

Come può il Saracin ritrovar sesto

di finir con suo onore il fiero invito?

Pazzia sarebbe il perder tempo in questo,

che nuoce al feritor più ch'al ferito.

Andò alle strette l'uno e l'altro, e presto

il re pagano Orlando ebbe ghermito:

lo strigne al petto; e crede far le prove

che sopra Anteo fe' già il figliol di Giove.

86

Lo piglia con molto impeto a traverso:

quando lo spinge, e quando a sé lo tira;

ed è ne la gran colera sì immerso,

ch'ove resti la briglia poco mira.

Sta in sé raccolto Orlando, e ne va verso

il suo vantaggio, e alla vittoria aspira:

gli pon la cauta man sopra le ciglia

del cavallo, e cader ne fa la briglia.

87

Il Saracino ogni poter vi mette,

che lo soffoghi, o de l'arcion lo svella:

negli urti il conte ha le ginocchia strette;

né in questa parte vuol piegar né in quella.

Per quel tirar che fa il pagan, costrette

le cingie son d'abandonar la sella.

Orlando è in terra, e a pena sel conosce:

ch'i piedi ha in staffa, e stringe ancor le cosce.

88

Con quel rumor ch'un sacco d'arme cade,

risuona il conte, come il campo tocca.

Il destrier c'ha la testa in libertade,

quello a chi tolto il freno era di bocca,

non più mirando i boschi che le strade,

con ruinoso corso si trabocca,

spinto di qua e di là dal timor cieco;

e Mandricardo se ne porta seco.

89

Doralice che vede la sua guida

uscir dal campo e torlesi d'appresso,

e mal restarne senza si confida,

dietro, correndo, il suo ronzin gli ha messo.

Il pagan per orgoglio al destrier grida,

e con mani e con piedi il batte spesso;

e, come non sia bestia, lo minaccia

perché si fermi, e tuttavia più il caccia.

90

La bestia, ch'era spaventosa e poltra,

sanza guardarsi ai piè, corre a traverso.

Già corso avea tre miglia, e seguiva oltra,

s'un fosso a quel desir non era avverso;

che, sanza aver nel fondo o letto o coltra,

riceve l'uno e l'altro in sé riverso.

Diè Mandricardo in terra aspra percossa;

né però si fiaccò né si roppe ossa.

91

Quivi si ferma il corridore al fine,

ma non si può guidar, che non ha freno.

Il Tartaro lo tien preso nel crine,

e tutto è di furore e d'ira pieno.

Pensa, e non sa quel che di far destine.

— Pongli la briglia del mio palafreno

(la donna gli dicea); che non è molto

il mio feroce, o sia col freno o sciolto. —

92

Al Saracin parea discortesia

la proferta accettar di Doralice;

ma fren gli farà aver per altra via

Fortuna a' suoi disii molto fautrice.

Quivi Gabrina scelerata invia,

che, poi che di Zerbin fu traditrice,

fuggia, come la lupa che lontani

oda venire i cacciatori e i cani.

93

Ella avea ancora indosso la gonnella,

e quei medesimi giovenili ornati

che furo alla vezzosa damigella

di Pinabel, per lei vestir, levati;

ed avea il palafreno anco di quella,

dei buon del mondo e degli avantaggiati.

La vecchia sopra il Tartaro trovosse,

ch'ancor non s'era accorta che vi fosse.

94

L'abito giovenil mosse la figlia

di Stordilano, e Mandricardo a riso,

vedendolo a colei che rassimiglia

a un babuino, a un bertuccione in viso.

Disegna il Saracin torle la briglia

pel suo destriero, e riuscì l'aviso.

Toltogli il morso, il palafren minaccia,

gli grida, lo spaventa, e in fuga il caccia.

95

Quel fugge per la selva, e seco porta

la quasi morta vecchia di paura

per valli e monti e per via dritta e torta,

per fossi e per pendici alla ventura.

Ma il parlar di costei sì non m'importa,

ch'io non debba d'Orlando aver più cura,

ch'alla sua sella ciò ch'era di guasto,

tutto ben racconciò sanza contrasto.

96

Rimontò sul destriero, e ste' gran pezzo

a riguardar che 'l Saracin tornasse.

Nol vedendo apparir, volse da sezzo

egli esser quel ch'a ritrovarlo andasse;

ma, come costumato e bene avezzo,

non prima il paladin quindi si trasse,

che con dolce parlar grato e cortese

buona licenza dagli amanti prese.

97

Zerbin di quel partir molto si dolse;

di tenerezza ne piangea Issabella:

voleano ir seco, ma il conte non volse

lor compagnia, ben ch'era e buona e bella;

e con questa ragion se ne disciolse,

ch'a guerrier non è infamia sopra quella

che, quando cerchi un suo nimico, prenda

compagno che l'aiuti e che 'l difenda.

98

Li pregò poi, che quando il Saracino,

prima ch'in lui, si riscontrasse in loro,

gli dicesser ch'Orlando avria vicino

ancor tre giorni per quel tenitoro;

ma dopo, che sarebbe il suo camino

verso le 'nsegne dei bei gigli d'oro,

per esser con l'esercito di Carlo,

acciò, volendol, sappia onde chiamarlo.

99

Quelli promiser farlo volentieri,

e questa e ogn'altra cosa al suo comando.

Feron camin diverso i cavallieri,

di qua Zerbino, e di là il conte Orlando.

Prima che pigli il conte altri sentieri,

all'arbor tolse, e a sé ripose il brando;

e dove meglio col pagan pensosse

di potersi incontrare, il destrier mosse.

100

Lo strano corso che tenne il cavallo

del Saracin pel bosco senza via,

fece ch'Orlando andò duo giorni in fallo,

né lo trovò, né poté averne spia.

Giunse ad un rivo che parea cristallo,

ne le cui sponde un bel pratel fioria,

di nativo color vago e dipinto,

e di molti e belli arbori distinto.

101

Il merigge facea grato l'orezzo

al duro armento ed al pastore ignudo;

sì che né Orlando sentia alcun ribrezzo,

che la corazza avea, l'elmo e lo scudo.

Quivi egli entrò per riposarvi in mezzo;

e v'ebbe travaglioso albergo e crudo,

e più che dir si possa empio soggiorno,

quell'infelice e sfortunato giorno.

102

Volgendosi ivi intorno, vide scritti

molti arbuscelli in su l'ombrosa riva.

Tosto che fermi v'ebbe gli occhi e fitti,

fu certo esser di man de la sua diva.

Questo era un di quei lochi già descritti,

ove sovente con Medor veniva

da casa del pastore indi vicina

la bella donna del Catai regina.

103

Angelica e Medor con cento nodi

legati insieme, e in cento lochi vede.

Quante lettere son, tanti son chiodi

coi quali Amore il cor gli punge e fiede.

Va col pensier cercando in mille modi

non creder quel ch'al suo dispetto crede:

ch'altra Angelica sia, creder si sforza,

ch'abbia scritto il suo nome in quella scorza.

104

Poi dice: — Conosco io pur queste note:

di tal'io n'ho tante vedute e lette.

Finger questo Medoro ella si puote:

forse ch'a me questo cognome mette. —<