The Project Gutenberg EBook of I pazzi, by Roberto Bracco

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Title: I pazzi

Author: Roberto Bracco

Release Date: January 23, 2011 [EBook #35048]

Language: Italian

Character set encoding: ISO-8859-1

*** START OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK I PAZZI ***




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ROBERTO BRACCO

I PAZZI

DRAMMA IN QUATTRO ATTI

 
 

1922
REMO SANDRON — Editore
Libraio della R. Casa
MILANO - PALERMO - NAPOLI - GENOVA - BOLOGNA - TORINO - FIRENZE

Copyright by Roberto Bracco 1922 in the United States of America.


PROPRIETÀ LETTERARIA


I diritti di riproduzione, di traduzione, ecc. sono riservati per tutti i paesi, non escluso il Regno di Svezia e quello di Norvegia.


È assolutamente proibito di rappresentare questa produzione senza il consenso scritto dell'Autore (Art. 14 del Testo Unico 17 Settembre 1882).

firma dell'autore

Off. Tip. Sandron — 119 — I — 100522.


INDICE

PREAMBOLO
PERSONAGGI DEL DRAMMA
PRIMO ATTO
SECONDO ATTO
TERZO ATTO
QUARTO ATTO


[5]

PREAMBOLO

Ho voluto graziare questo dramma che gemeva nel prefunerario cassetto delle mie cose inedite e condannate a un rogo piú o meno lontano, perché, leggendolo (evidentemente lo avevo scritto, ma non lo avevo letto mai) ho ritrovate, vive e cospicue, sotto la polvere d'una affrettata negligenza scettica, le ragioni donde mi germinò nella commossa fantasia. Esso è, in vero, — quale che sia il valore estetico che contenga — la continuazione, il compimento, la sintesi, il culmine sillogistico di molte opere mie d'indole tragica, forse non pregevoli e tuttavia non spregiate e non ancora a me discare. E mi sembra che ciò debba risultar netto a chiunque abbia avuta la cortesia di guardare al cammino che io, illuso [6] o disilluso, alacre o accidioso, ho percorso fin qui nel campo scenico, tra la volubilità delle platee e quella della ribalta, sempre serbandomi piú tenero dei miei lettori che non delle une e dell'altra, sempre sognando un po'... un teatro senza teatro. (È una mia antica e fissa idea che si possa non destinare al teatro — cioè alla rappresentazione — un'opera a cui si sia data l'impronta della scena. Non è forse presumibile che l'artista abbia prescelta questa impronta soltanto perché è quella piú vicina a una forma di vita?...)

Il costrutto del dramma graziato, che, mediante il salvacondotto della tipografia, potrà liberamente vivere o vivacchiare e morire di morte naturale e che si aderge a compiere la sagoma d'una piramide racchiudente le già vissute opere cui ho accennato, non è da enunciare in una baldanzosa conclusione, né in una sbandierabile sentenza, ma bensí in due interrogazioni, trepide e pur pungenti:

— Dove finisce, nell'animale umano, la saggezza e dove comincia la follia?

— Quali sono, nel nostro mondo, i pazzi e quali sono i savii?

Ecco, nella trama e nella sostanza, il mio [7] dramma, che le due interrogazioni rivolge a me stesso e all'umanità.

L'umanità non risponde. E non rispondo nemmeno io. Quattro volte cala il velario sulla controversa vicenda inscenata. L'ultima volta cala lasciando che le due interrogazioni proseguano, vie piú aguzze, a pungere l'umanità e me, come in una eco perpetua.

L'Arte non offre, non indica, non suscita soluzioni di problemi che anche la Filosofia invano affisa o sviscera o espone scevri di scorie. Al piú al piú, si sforza di tradurli in visioni che parlino alla sensibilità, senza troppo incomodare la mente.

I pazzi del mio dramma sono appunto una visione composta dall'Arte: — dalla povera Arte di un pazzo... o di un savio.

Roberto Bracco

Febbraio, 1922.


[9]

I PERSONAGGI DEL DRAMMA

Sonia Zarowska
Ulrico Nargutta
Francesco Floriani
Agnese Floriani

Il professor Antonio Bernardi
Lorenzo Gemmi
Il Signor Lemms
Un Agente della Polizia
Suora Marta
Il Guardiano — d'una Casa di Salute
Le Ricoverate
Una cameriera

[11]

PRIMO ATTO

Lo studio del dottor Francesco Floriani.

Nella parete di fondo, una porta che dà in un salotto. Una porta — in secondo piano — a sinistra. Dallo stesso lato — in primo piano — uno scrittoio, con la relativa seggiola a bracciuoli, di cui la spalliera è accostata al muro, e un divano che, formando un angolo con lo scrittoio, si stende parallelo alla parete di fondo fin quasi al centro della stanza. Qualche tavolino, qualche seggiola a sdraio, qualche seggiola leggera. Un'altra porta — in primo piano — a destra. Ampie librerie. Sullo scrittoio, libri, carte, fascicoli, l'apparecchio del telefono, i bottoni della soneria elettrica e una grande fotografia: [12] la fotografia di Agnese Floriani, in una cornice finemente intarsiata.

Una severa signorilità.

I.

(Francesco è seduto allo scrittoio. Agnese è seduta sul divano. Tacciono entrambi, cogitabondi, in una greve tristezza.)

(Il tintinnio del telefono risuona indiscreto.)

Francesco

(contrariato — avvicina il microfono.) Pronto. (Pausa.) Io sono il dottor Floriani. E lei?... Chi è lei?... (Ascolta. Pausa.) Non sento. Un po' piú forte, prego. (Ascolta. Pausa.) Cosa dice?... (Ascolta. Pausa.) Ah, ho capito finalmente! Dice d'essere una mentecatta. Se desidera di consultarmi, venga pure. Ricevo di solito dalle 15 alle 17. (Ascolta. Pausa.) Non desidera di consultarmi? E che vuole da me? Si sbrighi! Che vuole?... (Ascolta. Pausa.) Non vuole niente! E allora perché mi ha chiamato?... (Ascolta. Pausa.) Esattissimo! Ammiro la sua perspicacia. È insensato domandarle il movente dei suoi atti o delle idee che [13] le passano pel capo. Neanche ai savii bisognerebbe rivolgere di simili domande. La ossequio. (Ripone il microfono sul cavalletto.)

(Agnese e Francesco tacciono ancora. Ciascuno dei due è intento al silenzio dell'altro.)

Francesco

... E abbiamo, una volta di piú, taciuto abbastanza, dopo di avere, una volta di piú, abbastanza parlato. Torna alle tue occupazioni, tu, come, alla men peggio, io tornerò alle mie. Tant'è: o parlando o tacendo, noi ci aggiriamo in un laberinto: nel piú intricato dei laberinti. Avremmo, forse, potuto uscirne solamente se fosse crollato il tuo ermetico orgoglio. Esso è incrollabile, perché custodito dall'istinto. Non troveremo mai una via di uscita.

Agnese

(con un accento coraggioso che squarcia la tristezza) Io l'ho trovata!

Francesco

Non lo credo.

[14]

Agnese

Sí, l'ho trovata.

Francesco

Sei presa da uno sdegno che sempre piú allontana da te e da me la probabilità di trovarla.

Agnese

L'ho trovata, l'ho trovata, Francesco!

Francesco

Ma che stai per propormi, Agnese?! Tu mi fai tremare. Una perfida temerità lampeggia nei tuoi occhi.

Agnese

Perfida, no: astiosa, bensí, e ribelle, come la temerità di chi, all'approssimarsi di un immane pericolo immeritato, insorge con tutte le sue forze per superarlo e per trionfarne!

Francesco

Quale sarebbe la via di uscita che hai trovata?

[15]

Agnese

Noi dobbiamo separarci.

Francesco

(in un afflusso d' amarezza) Questo sai volere, raccogliendo le mie angosce e i miei gemiti? Questo sai offrirmi per placarmi, tu che sei stata per me la donna unica e che hai assorbita tutta la mia essenza di uomo? Ah, che desolazione! E che miseria!

Agnese

Io ti ripeto, ogni giorno, ogni giorno, che nulla mi ha mutata, che nulla mi muterà mai. Te lo ripeto a fronte alta e con la voce ferma. E a fronte alta, come una martire cristiana, subisco di essere dilaniata dalla tua diffidenza che non si determina in nessun perché, che non parte da nessuna circostanza visibile, che non denunzia nessun segno di defezione del mio cuore e dei miei sensi nei nostri rapporti coniugali. Somiglia al coltello di un chirurgo capriccioso caparbio audace e inesperto che si ostini a sbrandellare le carni di un corpo sano per cercarvi una rovina che non c'è. È uno [16] scempio inaudito! Io sono stanca! Non ne posso piú! Non ne posso piú! Non resisto piú! E anche tu sei stanco!... Sei stanco della tua travagliata e vana inchiesta. Sei stanco della tua crudeltà che ti ha logorato non meno di quanto abbia logorato me. Eppure continui a non aver fiducia nella interezza del mio affetto di moglie e d'amante, e quotidianamente la tua diffidenza ricomincia a dilaniare, a sbrandellare... No! No! È troppo! Noi ci separeremo, e Dio, se vuole, ci assisterà!

Francesco

Sta' tranquilla, Agnese. Ci separeremo. (Con apparente calma) Che per molti motivi questa soluzione sia logica non me lo dissimulo. E se non fosse o non mi sembrasse logica?... A me basterebbe a renderla necessaria il fatto stesso che tu la proponi. Dicendo: «separiamoci», tu schianti i pochi puntelli dell'edificio sconnesso. E non c'è piú modo di sorreggerlo!... (Svoltando) Fortunatamente, non abbiamo figli. È stata una beffa infame che il destino ha gettata sui bollori della nostra unione. Nondimeno, ora, per noi è una sagace fortuna. Senza figli, il separarci sarà la cosa piú spiccia e piú semplice [17] del mondo: spiccia e semplice come sono, in generale, le grandi tragedie della vita!... (Si leva, si morde un pugno, cammina per la stanza, sbandato. Poi, si ferma.) E cosí, in due minuti, tutto è accomodato, tutto è definito. Non piú legami, non piú controlli di sentimenti e di pensieri. Non piú lo scempio inaudito!... Ciascuno di noi due non apparterrà che a sé medesimo. Tu ti porterai via la tua verità salvandola dalle mie intransigenti e cupide investigazioni. E io resterò vedovo, saturandomi d'un rancore innocuo per te e guardando discendere in un baratro, insieme col passato, la mia povera felicità ridotta in frantumi.

Agnese

E non anche la mia, forse?... Non anche la mia?... Dillo! Dillo!

[18]

II.

Suora Marta

(dalla sinistra, prima d'entrare) Permesso?

Francesco

(ricomponendosi) Avanti, Suora Marta. Che c'è?

Suora Marta

(entrando) Il professor Bernardi ha quasi terminata la sua visita alle ricoverate.

Francesco

(battendosi la fronte con la mano) Ah già! C'è la visita del professor Bernardi!...

Suora Marta

(comprende di essere — involontariamente — importuna.) Ma non si scomodi, direttore. Il professor Bernardi mi ha raccomandata di comunicarle che, se lei ha da fare, egli non vuole disturbarla. Ha soggiunto che, dovendo trattenersi ancora in questa città, avrebbe il tempo di ritornare per salutarla.

[19]

Francesco

Piú o meno, ho sempre da fare.

Suora Marta

Gli riferirò che lei si scusa per oggi.

Francesco

No, Suora, no. Che penserebbe di me?... Io non l'ho accompagnato durante la sua ispezione scientifica affinché il contegno delle ricoverate non risentisse della mia presenza, della mia immediata vigilanza. E mi pare che egli abbia apprezzata questa mia scrupolosità. Ma adesso mi è doveroso parlargli, mi è doveroso di stare un po' con lui. Gli direte che io lo aspetto qui o che mi faccia avvertire appena si sarà sbrigato.

Suora Marta

Sta benissimo. (Via.)

Francesco

Ed eccomi assillato, eccomi vessato dai miei doveri e dalle mie responsabilità quando vorrei [20] potermi sottrarre a tutto quello che mi ricorda di essere vivo!

Agnese

(già in piedi) Le tue responsabilità e i tuoi doveri sono provvidenziali oggi e saranno provvidenziali in avvenire. Non lamentartene. Io te l'invidio!... T'impediranno di abbatterti. Impegneranno le tue ore in un'attività che, per quanto imposta, ti sarà poi di sollievo.

Francesco

(acido, e torvo) Mi condanneranno a uno sforzo di sdoppiamento: a uno sforzo in cui corre il rischio di spezzarsi chi non possegga l'elasticità di coscienza per la quale è facile infingersi o mentire! (Un intervallo.) E siamo intesi.

Agnese

Siamo intesi davvero, Francesco! (Tutta raccolta, esce.)

[21]

Francesco

(tra sé — scervellandosi)... Ghermire quello che è dentro l'involucro che si può toccare, quel che è al di là della fisonomia e dei gesti che si vedono, al di là della voce e della parola che si odono: questo è il problema insolubile!...

III.

Bernardi

(nella stanza contigua, a sinistra) Grazie, gentilissima Suora, e non mi dimentichi!

Francesco

(si sforza di assumere un atteggiamento di cordiale cortesia e gli va incontro.) Favorisca, Professore! Favorisca!

Bernardi

(avanzandosi) Sono a lei, collega. (È un uomo sulla cinquantina. Alto. Magro. Adusto. Elegante. Disinvolto. Barbetta a punta, brizzolata. Naso lungo, arcuato. Sopracciglia convergenti. [22] Sguardo fosforescente, penetrante. Ha un po' un'aria da Mefistofele bonario. Il suo sorriso è buono. Parla con aristocratica affabilità e con ricercatezza, ascoltandosi, assaporando la frase fiorita arguta.)

Francesco

Ella mi ha sospettato di tanta indifferenza da rinunziare a mietere súbito le sue impressioni e a darle súbito qualche schiarimento! Mi faceva torto.

Bernardi

Pardon!... L'indifferenza è spesso un'affermazione di serenità. Mi sarebbe parsa legittima in lei. E anche piú legittima mi sarebbe parsa una piú limitata tolleranza della mia indiscrezione.

Francesco

Un linguaggio cosí umile è paradossale sulla bocca dell'insigne professor Antonio Bernardi.

[23]

Bernardi

Una vera indiscrezione è stata la visita che ella mi ha consentita. Ciò che giustifica l'indiscrezione è la speciale fama di cui Ella gode e di cui è circondato questo monastico rifugio della psicopatia femminile. Una attrattiva irresistibile!

Francesco

(con dignitosa modestia) La fama di cui godo?... Io sono l'ultimo arrivato.

Bernardi

Last not least, come sottilmente dicono gl'inglesi.

Francesco

Ma è certo che questo rifugio non è che l'abbozzo di una Casa di Salute.

Bernardi

Protesto, collega! Molto piú di un abbozzo!

[24]

Francesco

Minuscola. Rachitica. Incompleta. E mi cruccio di non avere i mezzi per ampliarne la capacità ospitale, per svilupparne l'efficienza.

Bernardi

Già troppa la sua abnegazione! È notorio che ella giuoca e perde alla roulette dell'altruismo tutte le sue entrate di possidente.

Francesco

Mio padre mi lasciò un titolo di conte che ho seppellito e un po' di proprietà che onoro col dedicarne le non larghe rendite a un'opera di soccorso.

Bernardi

E non trova appoggi finanziarii per una fondazione d'indole cosí filantropica?!

Francesco

Cercandone, forse ne troverei. Ma avendo voluto adottare dei metodi esclusivamente miei, [25] ho dovuto serbare al Ricovero un carattere di personale esperimento e di personale filantropia. Inferme che paghino, difatti, non ne ammetto se non in linea eccezionale, e sempre che io abbia un posto disponibile l'offro a qualche inferma povera o accolgo gratuitamente quella che mi sia portata, come una naufraga, dalla marea delle sue sventure.

Bernardi

Tutto ciò è sublime!

Francesco

No, non è sublime. C'è in me — gliel'ho confessato — un'ambizione di autonomia, una ostinata insubordinatezza.

Bernardi

Anche questa «insubordinatezza» accede alla sublimità. Nella cura della follia o della semi-follia ella si è proposto di sostituire l'influsso dell'Idealismo ai dettami positivistici. Verso le vie del cielo! Coelum accipere!

[26]

Francesco

Mettiamo i punti sugl'i, Professore. Non vorrei che mi si tacciasse di cecità. Secondo me, l'Idealismo è creatore o coefficiente di coesione morale, e, secondo me, coesione morate è sanità della mente, è vigoria dell'anima. Io sostituisco l'influsso dell'Idealismo ai dettami positivistici solamente quando la causa della follia o della semi-follia non permanga nel dominio del clinico e quando, perciò, il positivismo onesto non abbia nulla da fare. Idealista, sí. Cieco, no.

Bernardi

Evidentissimo, perdiana!

Francesco

Tuttavia, lo so che nel campo della scienza ufficiale io non sono che un reprobo, un traditore.

Bernardi

La scienza ufficiale è in piena bancarotta, non vale la pena di esserle devoto.

[27]

Francesco

M'incoraggia a tradirla proprio lei che è un ortodosso?

Bernardi

Un miscredente, sono! Un malinconico miscredente! La piú nera miscredenza mi si è infiltrata dentro e non mi lascia piú. Sono da compiangere, io. Lei, almeno, può illudersi di utilizzare il suo idealismo procedendo da un punto di partenza che, après tout, non è arbitrario. Si chiama psichiatria la dottrina che riguarda le malattie mentali. La parola stessa di questa denominazione già implica che in origine la sede di tali malattie è stata ritenuta la psiche, ovverosia l'anima, che sarebbe il cosiddetto principio spirituale della vita. Ella ha quindi il diritto di concludere: curiamo l'anima. E ha, inoltre, quello di ridere in faccia ai psichiatri incondizionatamente materialisti che della vita ostentano rinnegare il principio spirituale, mentre, per tacito consenso, lo ammettono nella denominazione della loro dottrina. Il guaio grosso è per me, che ho professato [28] il positivismo e ogni giorno ne ho costatato il fiasco, che era, poi, il mio fiasco! Non sapevo piú da che parte voltarmi. Interrogavo i fatti a uno a uno per cavarne l'indicazione di una cura diritta e razionale. Fatica da Sisifo! Il positivismo applicato alla psichiatria è un ammasso di preconcetti cristallizzati, i quali danno sempre ai fatti le medesime fisonomie, false e bugiarde. E poiché essi mi restavano addosso, appiccicati come crittogame, e non c'era mezzo di espellerli, i fatti mi restavano davanti come sfingi perverse, a confondermi, a sfidarmi, a dileggiarmi, a provarmi l'inanità della mia scienza, a irritarmi fino alle piú estreme conseguenze. Le attesto che talvolta ho sentito d'impazzire anch'io.

Francesco

E no, Professore! Questa è una iperbole! Una triste iperbole!

Bernardi

(spiccando le sillabe) «Ho sentito — ripeto — d'impazzire anch'io». Mi esprimo con esattezza [29] storica, egregio collega. Mi è accaduto precisamente di avvertire i prodromi di uno squilibrio cerebrale. Se ne meraviglia molto?... Ci asterremo, per altro, dall'asserire che sia un caso originalissimo. Parecchi squilibrî cerebrali, latenti o flagranti, contristano la famiglia dei psichiatri, e non è mai da escludere la possibilità che un medico di pazzi impazzisca.

Francesco

(con un lieve sorriso) Ma ella ha i connotati della piú solida e piú resistente saggezza.

Bernardi

L'opinione plebea che molti savi sembrino pazzi e viceversa... non è del tutto infondata.

Francesco

L'esperienza discerne.

Bernardi

Discerne sempre — me lo consenta — attraverso la stalattite del nostro convenzionalismo. [30] Noi non sappiamo differenziare la follia dalla saggezza che per quei connotati i quali proprio noi abbiamo attribuiti all'una e all'altra.

Francesco

(turbandosi) Il suo scetticismo inesauribile sconforta e disorienta... E nessuno può esserne piú sconfortato e piú disorientato di me. (Con un distacco di voluta disinvoltura) Ma, Dio buono, non l'ho ancora invitata a sedere. Prego... Prego.... Meglio tardi che mai.

Bernardi

... Non m'ero accorto di stare in piedi. Siederò.

(Seggono sul divano.)

Francesco

(scusandosi) Vivo da un pezzo fuori del mondo. Comincio a perdere le abitudini della buona educazione.

Bernardi

C'è da compiacersene. La buona educazione è ingannevole come il belletto.

[31]

Francesco

E le sue impressioni, dunque?

Bernardi

Non se ne disinteressa neppure dopo che mi sono cosí cordialmente discreditato?

Francesco

Non è uomo lei da discreditarsi in cinque minuti.

Bernardi

Ma vedrà che altri cinque mi basteranno. Partie remise, a breve scadenza! Le mie impressioni ... Devo premettere che, da quando ho avuta la visione chiara della inettitudine in cui mi dibattevo, ho piantata la mia clientela, mi son munito di una valigia e mi son dato a un faticoso tourisme. A cinquant'anni — l'età classica dei lauri e dei riposi accademici — io faccio un modesto viaggio... d'istruzione. Vado attorno per conoscere la clientela altrui e l'altrui esercizio professionale con [32] la speranza d'imbattermi in qualcosa che mi dia un po' di nuovo nudrimento. Ero bene informato dei suoi criterî, emergenti dal libro che ella ha scritto in collaborazione col compianto Paolo Gemmi — un idealista che, morendo di suicidio, non ha di certo corroborato l'Idealismo — e, quantunque io aborrissi ferocemente quei criterî come astrazioni teoriche, varcando la soglia della sua Casa di Salute ho armistiziata la mia ostilità, con una tendenza conciliativa. Mi son detto: «Chi sa!... Vediamo di che si tratta, de visu et auditu.» E piú mi ha ammansito la sua spontanea decisione di non presenziare i miei colloqui con le ricoverate. I nevrastenici, i nevropatici, gli aberrati, gli alienati, e perfino gli ebeti, alla presenza del medico curante — particolarmente se sia anche il loro benefattore — , serbano, come per un mimetismo servile, un contegno che non corrisponde davvero al loro grado di mentalità. Somigliano — diciamolo pure — alle bestie in cospetto del padrone che le abbia ammaestrate. Sicché, ella eliminava l'esibizione degli effetti effimeri e illusorî. Bellissimo gesto!

[33]

Francesco

Un gesto di rudimentale lealtà.

Bernardi

Ed oltremodo lieto ero che, tutto sommato, un inconsueto ottimismo mi scortasse.

Francesco

Ebbene?

Bernardi

Mi affretto a dichiararle che i primi scandagli mi hanno pienamente soddisfatto. Riscontravo in quelle menti un assetto singolare, una notevolissima coordinazione nei rapporti col mondo esteriore, uno svolgimento del pensiero abbastanza vicino alla continuità logica. Ma, purtroppo, egregio e caro collega, la insistenza della mia ispezione ha mutati in ortiche i fiori còlti dal mio neo-ottimismo. Dubbi su dubbi!...

Francesco

Gradirei qualche esempio, Professore.

[34]

Bernardi

Piuttosto li riassumo e glieli sottometto in forma interrogativa, con la piú nitida schiettezza. Non sono forse — domando io — irreperibili o dissipati, in quelle menti, i segni della personalità e del libero arbitrio? Convinto di avere piú o meno raddrizzate dieci, dodici, quindici menti, non le ha, forse, ella, invece, soppresse o represse in una specie di uniformità, quasi che le abbia chiuse in tanti astucci simili? E questi risultati non sarebbero forse dovuti... a un potere formidabile della sua volontà, in cui la vecchia scienza riscontrerebbe di leggieri una influenza tutta positivistica e tutta divergente dall'influsso di quell'idealismo che ella, in buona fede, intende di utilizzare?... Ecco le ortiche, collega.

Francesco

Se ella, professore, si trattenesse qui una intera giornata, si persuaderebbe che l'uniformità subisce tante variazioni quante sono le mie ospiti. Gli elementi che compongono la loro personalità — l'origine, l'atavismo, il temperamento, le condizioni sociali, le efflorescenze [35] della vita vissuta — si modificano, ma non spariscono. La cura dell'anima vuole e può aspirare a rendere fissa e predominante, in dieci, in dodici, in quindici cervelli una forza direttiva unica che tende a salvarli: non vuole e non può staccarli dalla esistenza individuale, dagli elementi che la compongono. E se ella, trattenendosi qui una intera giornata, mi stesse accanto, si persuaderebbe che questa forza direttiva non è determinata da un potere formidabile della mia volontà, il quale minacci il libero arbitrio come il potere d'un ipnotizzatore, ma sibbene da una dolce disciplina genuinamente educativa che avvia alla bontà, all'orrore per il peccato, alla fraternità cristiana, alle gioie del benessere fornito dalla virtù!

Bernardi

... Una certa dose di haschich, servita a cento mussulmani diversi, discopre ugualmente a ognuno di essi il paradiso di Maometto!... Ma non badi alle mie divagazioni... e, soprattutto, non pensi che io ardisca di combatterla nelle sue trincere. La malattia dell'autocritica fa dell'«insigne professore Antonio Bernardi» [36] un fantaccino disarmato e sprovveduto di umor bellico. Non rintuzzo, non polemizzo, e, timidamente, mi ritraggo.

Francesco

Ahimé!... Sono io indotto a polemizzare! Polemizzo, le garantisco, piú con me stesso che con lei. E polemizzano cosí tutti coloro che temono d'errare. I dubbi da lei esposti trovano un propizio terreno nella mia coscienza, dove... (una densa mestizia lo adombra) ogni dubbio molto facilmente alligna.

Bernardi

(vivace) In altri termini, siamo tra noi meno lontani che non sembri, e ben presto cammineremo a braccetto su una via di mezzo. Ella avrà continuato a sperimentare, io avrò continuato a istruirmi. Saremo — non se ne accori — piú inetti di oggi. Ma auguriamoci che, ciò non ostante, accompagnandoci a vicenda, riesciremo ad affrancarci dai dubbii spinosi e quindi dal timore d'errare.

[37]

Francesco

Sarebbe un beneficio per chi ha bisogno dell'opera nostra.

Bernardi

Sarebbe un beneficio per noi, collega! L'uomo che non teme d'errare è probabilmente un imbecille, ma è sempre un uomo felice. E sur ça, prendo congedo.

Francesco

(dissimula un moto di sollievo, facendo atto di sollecita condiscendenza.)

(Si alzano. Si stringono la mano.)

Bernardi

Le proffero toto corde, Francesco Floriani, la mia amicizia e la mia gratitudine.

Francesco

Rifiuto la gratitudine, accetto l'amicizia. (Scorciando) La sua carrozza, Professore, è al cancello del giardino?

[38]

Bernardi

No. L'ho lasciata giú, alla svolta. Ho voluto discendere lí per ammirare dappresso il marmoreo angioletto che addita, con l'indice teso, l'asilo salutare.

Francesco

Una puerilità.

Bernardi

Un gentile simbolo poetico.

Francesco

(precedendolo verso il fondo) Per di qua, Professore. Da questa parte troverà piú presto la sua carrozza.

Bernardi

Non si dovrebbe scegliere la via piú breve uscendo da un luogo donde si esce a malincuore...

Francesco

(sulla porta gli dà il passo. E via, con lui.)

[39]

IV.

Il Guardiano

(entra, zelantissimo, dalla sinistra, togliendosi il berretto.) Signor Direttore... (È un omino attempato, segaligno, arzillo, col naso aguzzo, con gli occhietti neri, tondi, mobilissimi, lucidi.) (Guarda attorno.) Non c'è... (Consulta il suo orologio.) Le quindici e tre minuti! (Severo) A quest'ora non dovrebbe muoversi dal suo studio. (Consulta di nuovo l'orologio.) Precisamente: le quindici e tre minuti! (Ricorda, brontolando, gli ordini del Direttore:) «Dalle quindici alle diciassette ricevo tutti. Annunzierai chiunque chieda di essere ricevuto.» E poi?... Non c'è! (Scontento ed energico, chiama:) Signor Direttore!... Signor Direttore!...

Francesco

(dal fondo) Perché gridi cosí, Michele?

Il Guardiano

Per chiamarvi.

[40]

Francesco

Di': che vuoi?

Il Guardiano

Che voglio?... Eseguo i vostri ordini con l'orologio alla mano. (Lo cava fuori ancora una volta) «Dalle quindici alle diciassette ricevo tutti. Annunzierai chiunque chieda di esser ricevuto.»

Francesco

Oggi, no.

Il Guardiano

(burbero) Oggi, no?!... E non mi avete avvertito! Voi rimettete la testa sul collo a coloro che l'hanno perduta, e a me la fate perdere.

Francesco

Non chiacchierare troppo. Michele, e modera il tuo zelo. Chi c'è di là?

[41]

Il Guardiano

Un tale a cui non garbava di declinare il suo nome. Pretendeva di non essere annunziato. Pareva che entrasse in un caffè, in una trattoria, o peggio. — «Di qui, senza nome, non si passa!» — «Io sono sempre passato e passerò.» — «E io, da sei mesi che mi pregio di stare al servizio del dottor Francesco Floriani come custode della sua Casa di Salute, non vi ho mai visto. Voi non passerete!»

Francesco

Ti lodo, Michele, ma adesso non ti dispiaccia di abbreviare.

Il Guardiano

L'ho messo alle strette e finalmente mi ha incaricato di annunziare (calcando le parole:) «Ulrico Nargutta, ex pazzo.»

Francesco

(con una certa emozione) Ulrico Nargutta!... Fallo passare! Fallo passare immediatamente!... [42] È come una persona di famiglia. Sii molto riguardoso con lui; e gli permetterai di entrare e di uscire quando vorrà.

Il Guardiano

Non devo annunziare — caso mai — nessun altro?

Francesco

Nessun altro. Vai, Michele! Non indugiare di piú.

Il Guardiano

(con autorità) E mi raccomando: niente contrordini.

Francesco

Niente contrordini, non dubitare.

Il Guardiano

(impettito e minaccioso) Si presenti anche il signor Domineddio, lo mando al Diavolo!

[43]

Francesco

(tra sé) Venga, venga il mio vecchio amico! Con lui non sarò obbligato a reprimermi, a mascherarmi... (S'appressa alla porta dalla quale è uscita Agnese, e v'inoltra lo sguardo.)

V.

Ulrico

(comparisce dal lato opposto, e si ferma profilandosi in una comica prosopopea.) Ulrico Nargutta, ex pazzo!

Francesco

(si volta. — Non si raccapezza.) Tu sei Ulrico?!

Ulrico

Ne sono sicuro.

Francesco

In fede mia, incontrandoti per istrada, non avrei potuto ravvisarti. Lascia che ti abbracci, [44] disertore! Ho molto piacere di averti recuperato.

Ulrico

Recuperatissimo!

Francesco

(abbracciandolo) Ma ti sei proprio costruito un altro aspetto!

Ulrico

S'intende bene! Non piú capelli lunghi, non piú la selvatica vegetazione della barba e dei baffi, viso limpido, bocca sorridente, un elegante monocolo che rende vezzoso l'occhio piú guercio: tutto un insieme conveniente e quasi attraente. Veste nuova per l'uomo rinnovato! Il pazzo che tu non sapesti guarire non c'è piú. Fammi le tue congratulazioni, e dichiara che come medico sei una bestia.

Francesco

Lo dichiaro volentieri, e non esito a congratularmi con te.

[45]

Ulrico

Non ci vediamo, su per giú, da un anno, a misura di calendario.

Francesco

E non c'è stato mezzo di rintracciarti. Io ignoro sempre la tua abitazione.

Ulrico

Per lo piú, la ignoro anche io!

Francesco

E in quest'anno?...

Ulrico

Metamorfosi! Metamorfosi e guarigione completa! Ti prego di credere che sei al cospetto del piú savio degli uomini!

Francesco

Non è inverosimile.

[46]

Ulrico

Mi sono guarito da me, caro il mio dottore!

Francesco

Neppur questo è inverosimile.

Ulrico

Ma il merito — spieghiamoci — non è tutto mio.

Francesco

Sei modesto!

Ulrico

Mi son fatto consigliare... Indovina da chi.

Francesco

Non indovino. Dimmelo.

Ulrico

Mi son fatto consigliare dall'umanità.

[47]

Francesco

Il consiglio dell'umanità è la somma di parecchi milioni di consigli.

Ulrico

Ma rettifico: da una parte dell'umanità mi son fatto consigliare.

Francesco

Dalla migliore.

Ulrico

Dalla peggiore! (Siede a cavalcioni su una seggiola.) Mi attengo, t'avverto, al giudizio corrente, tanto per capirci.

Francesco

Il che, peraltro, non è indispensabile.

Ulrico

Secondo il giudizio corrente, è la parte peggiore dell'umanità quella nella quale funzionano [48] brutalmente il sangue, la carne, i nuclei nervosi, i cinque sensi con le loro volubilità e attribuzioni cooperative, e nella quale è disseccata o ridotta a proporzioni minime la vita morale. Io ho aboliti tutti gli accidenti della vita morale, da cui provengono le nostre inquietudini, le nostre incontentabilità, le nostre sofferenze, i dibattiti, gli attriti, gli stenti, gli sforzi che scombussolano il nostro essere fino allo sfasciamento, fino alla follia. Neghi che questa sia la genesi della follia?.....

Francesco

(senza approfondire) No.

Ulrico

Io mi sono brutalizzato. Non leggo, non scrivo, non studio, non penso, non m'interesso di ciò che sta oltre la superficie delle cose, non ho piú nessuna delle curiosità e delle esigenze che avevo quando ero un animale superiore. Di che mi occupo io durante le ventiquattro ore della piroetta terrestre intorno al sole?... Mi occupo dei miei bisogni e desiderii materiali [49] per soddisfarli con la massima scrupolosità. Una volta — te ne rammenti? — il mio desiderio piú ansioso, il mio piú impellente bisogno era di trovare l'onestà nel sesso femminile. Mi affannavo a cercarla. Mai vistane neppure la coda! Me ne affliggevo! Me ne disperavo! Che strazio! Che sventura! Che tragedia!... Io non la trovavo o perché non è mai attecchita tra le discendenti di Eva o perché non l'avevo mai conosciuta e, naturalmente, non potevo identificarla. Ma tutto questo è stato da me spazzato via insieme con i peli che mi deturpavano il volto. La mia esistenza è diventata esclusivamente fisica. «Mi tocco, dunque esisto!» E crepi Cartesio! Cerco quello che conosco, quello che so identificare, quello che è visibile e palpabile, quello che non è punto arduo trovare. (Animandosi) E me la godo! Me la godo a meraviglia! Tu, per guarirmi, t'incocciavi a nudrire, attraverso l'organismo, il mio spirito. Ignorante! Dovevi, al contrario, avere l'abilità di ucciderlo. Io l'ho ucciso! (Si frega le mani, ridendo) Eh eh eh eh!....

[50]

Francesco

(sedendogli dirimpetto) Mio buon Ulrico, tu sei un pazzo come prima. La sola differenza è questa: che prima eri un pazzo di cattivo umore, e adesso sei un pazzo di umor gaio..., almeno in apparenza.

Ulrico

Per me, il tuo giudizio non vale un fico secco! Non te l'ho chiesto e non sono venuto con l'intenzione di chiedertelo. Non sono venuto con l'intenzione di consultarti. Io son venuto, viceversa, per dare a te i miei lumi, per sorvegliare la tua salute, per mettermi alle tue costole, intento a diventare, all'occorrenza, il tuo medico, il tuo frenologo. E mi accorgo di avere avuto una ottima ispirazione. Io ti trovo ammalato, molto ammalato! Tu presenti un quadro patologico allarmante, e devi impensierirtene. — L'epoca è triste, amico mio, per i psichiatri del genere al quale tu appartieni. Il tuo correligionario Paolo Gemmi — hai visto? — se n'è andato in cielo o altrove motu proprio! Non mi era simpatico. Quindi non [51] deploro la sua assenza definitiva. Ma còstato, con ponderazione, lo sfasciamento, lo sconquasso psicologico per cui egli si è liquidato mediante un colpo di rivoltella.

Francesco

Tu ripeti, a proposito del povero Paolo, la solita fantasticheria generica che corre per le bocche di tutti quando la causa d'un suicidio non è stata rivelata dal suicida.

Ulrico

Nel caso di lui non è una fantasticheria. Si tratta di un caso lampante d'incongruenza. Egli non era uno storpio, non era un tubercolotico, non era un diabetico, non era un vecchio asmatico, disponeva di parecchi quattrini, di parecchio ingegno, d'una certa gloriola acquistata senza troppa fatica: dunque per nessun motivo ragionevole poteva averne le tasche piene, e chi sa in quali aspirazioni extraterrene, in quale smaniosa alchimia andò a consumarsi e a smarrire la ragione. Ma per te sono qua io! Sei fortunato. Ringraziami d'essere capitato [52] in tempo!... Vediamo un po'. Che ti senti? Che ti pare di sentirti?

Francesco

(si rannuvola, si alza. — Passeggia, torcendo tra le dita la catenella dell'orologio.)

Ulrico

Non mi rispondi? Non puoi indicarmi i sintomi del tuo male? Non mi dài gli elementi per la diagnosi? Li coglierò io stesso con la mia speciosa radioscopia e con l'ausilio del ricordo che ho delle tue note caratteristiche. (Riflette.) La piú spiccata era l'amore per tua moglie: — un amore incommensurabile e ininterrottamente afflittivo. Quando, nelle tue ore di studio, non affliggeva lei in carne ed ossa, ne affliggeva l'effigie!... E vedo che la sua fotografia è tuttora lí, appiccicata al tuo scrittoio. (Va a prenderla e se la mette davanti allo sguardo.) Bella donna, non c'è che dire! Bella e giovanissima! Piacerebbe anche a me se non fosse tua moglie!... (Osserva) Continui a mutare la cornice di tanto in tanto. Sempre una [53] piú preziosa dell'altra. (Ripone la fotografia sullo scrittoio.) Sicché: le cose stanno come stavano. Il punto di partenza della mia diagnosi dev'essere questo: «tu ami tua moglie come l'amavi».

Francesco

(tornando a sedere) Bada che ti sbagli.

Ulrico

L'ameresti di piú?... Santo Iddio, sarebbe spaventevole!

Francesco

La detesto!

Ulrico

Oh, caspita!... (Lo fissa.) Hai scoperto che ti tradisce? Hai scoperto che ha un amante?

Francesco

Se avessi scoperto di essere tradito, non so quale enormezza avrei commessa.

[54]

Ulrico

(ironico) Avresti avuto il diritto di ammazzarla!

Francesco

(convinto) Ah, sí!

Ulrico

Il diritto è quella istituzione per la quale, quando che vogliamo, ci si cava il gusto di dare qualche fastidio al prossimo senza fargli le scuse. E, abbi pazienza, chiariscimi la situazione. Dal momento che tua moglie ti è fedele, perché la detesti?

Francesco

Non avermi tradito... non significa che mi è fedele.

Ulrico

Ti è infedele... col pensiero?

Francesco

Ne ho il sospetto.

[55]

Ulrico

Per il semplice sospetto d'una infedeltà platonica, tu detesti colei che hai tanto amata? Non è giusto. (Col tono di chi dissimula di pigliare in giro qualcuno) Avresti dovuto innanzi tutto sincerarti. Sarebbe stato approssimativamente giusto detestarla dopo di aver bene accertato l'adulterio del pensiero.

Francesco

(traboccando) E come si fa a guardare nel cervello altrui? Come si fa a sorprendere la verità che vi si appiatta se perfino quella che è nel cervello nostro talvolta ci si nasconde?

Ulrico

(si frega le mani, ridendo) Eh eh eh eh!... Precisamente! È alquanto piú complicato che sorprendere il baco in una ciliegia bacata!

Francesco

(tutto agitato dalle sue idee, che ribollono) Dal primo balenio del sospetto ho frugato nel cervello [56] di lei con l'acume, col rigore e con l'accanimento d'un poliziotto che frughi nel nascondiglio di un malfattore. Nulla ne ho cavato fuori che avesse la precisa vivezza della verità assoluta. La fatica che ella compiva per affermare di essermi fedelissima poteva parere una fatica compiuta per nascondermi la sua infedeltà o per ingannare sé stessa. Ogni protesta poteva parere una trepida difesa. Ogni lagrima poteva parere versata pel dolore d'una rinunzia. Ogni «sí» aveva anche il suono di un «no». Ogni «no» aveva anche il suono di un «sí». La verità qual era? dov'era?... Non è giusto che io detesti colei che ho tanto amata?... La giustizia non c'entra. Il mio sentimento non è una punizione, non è una condanna, non è un'accusa. Io la detesto senza accusarla, senza giudicarla. La detesto per la sua incapacità di debellare il mio sospetto. E di questa incapacità si è confessata proponendomi la separazione.

Ulrico

Vi separerete?!

[57]

Francesco

Dovevo bene accettare la sua proposta. L'ho accettata.

(Pausa.)

Ulrico

(con un'aria da medico accorto e dotto) Amico mio, il tuo male non è molto diverso dal male che io mi vanto di aver superato. L'origine di entrambi i mali?... Un egoismo esuberante. L'egoismo fa la buona salute se resta nel campo della praticità, se resta nel campo della materialità, in cui tutto è riconoscibile, tutto è distinguibile, tutto è piú o meno facile ottenere. Ma se sconfina e va a caccia di quel che non si distingue, di quel che non si vede e che forse non è mai esistito, se ambisce ad afferrare l'inafferrabile, produce sconvolgimenti gravissimi, che, per giunta, si propagano intorno con una irradiazione catastrofica. Tu non ti sei accontentato di chiedere a tua moglie la fedeltà del corpo. Hai preteso da lei la fedeltà del pensiero, cioè della mente, cioè del [58] cuore, cioè dell'anima, cioè del diavolo che ti porti, con la relativa prova concreta inconfutabile matematica! Conseguenza fatale: sconvolgimento e irradiazione catastrofica! Adori tua moglie e la detesti, la vuoi e non la vuoi, l'accusi e non l'accusi, ti torturi e la torturi, soffri e la costringi a soffrire, impazzisci e la costringi a impazzire. Io non avevo una moglie. L'egoismo mio non si specializzava. Esso riguardava tutte le donne che passavo in rassegna pretendendo di trovare l'onestà con la relativa prova concreta inconfutabile matematica. Non le torturavo troppo perché riuscivano sempre a svignarsela. L'irradiazione mancava. Ma, intanto, mi torturavo io. Detestavo, adoravo, soffrivo, impazzivo, — impazzii! Mi sono curato, e ora non soffro piú, non adoro piú, non detesto piú!... E sai quel che ho fatto?... (Si accalora, si elettrizza) Come scelgo i cibi, i vini e i liquori che piú mi letificano, ho scelta la mia donna nelle immense fucine dell'abbrutimento. Giuro che non ce n'è un'altra di piú bassa carata sulla faccia della terra! La mia donna è mia perché è di tutti. Ha verso di me il merito insigne di piacermi infinitamente, e, se il saperla di tutti mi desse un [59] qualunque senso di pena o di ribrezzo o di gelosia o di rancore, temerei di non aver conseguita la perfezione! (Ride) Eh eh eh eh! (Poi, con una scrosciante violenza) Brutalizzarsi, mio caro! Questa è la cura!

Francesco

(ha un brivido di nausea, e mormora:) Potrebbe essere vero!...

Ulrico

(dopo una breve pausa) Ho chiacchierato troppo. E quindi ho sete. Non di acqua, beninteso. Ho sete di absinthe: il liquido che piú mi è omogeneo. In casa tua certamente non ce n'è. Vo' a berne in una buvette qualunque. Mi accompagni?

Francesco

(lugubre) Ti accompagno. E beverò anch'io.

Ulrico

Bravo!

[60]

Francesco

(si leva. — Preme un bottone della soneria elettrica.)

Una Cameriera

(dalla destra) Ha chiamato?

Francesco

Dite alla signora che esco. E portatemi il mio cappello.

(La Cameriera va.)

Ulrico

... E a quando la separazione?

Francesco

Dipenderà da lei.

Ulrico

(incredulo) Se hai sinceramente accettata la sua proposta, meglio non ritardare.

[61]

Francesco

Sono preparato, io! Non lo vedi che sono preparato?

Ulrico

(rude) E un taglio netto ha da essere!

Francesco

Lo so.

Ulrico

Si applica molto cloroformio, ed energicamente si esegue.

La Cameriera

(ritornando e porgendo il cappello a Francesco) La Signora la pregherebbe di attendere un momento.

Francesco

(accigliandosi) Attenderò.

(La Cameriera si ritira.)

[62]

Ulrico

Pare che ti tocchi di litigare ancora un po' con tua moglie. Trastullerò la sete con una sigaretta e mi tratterrò pazientemente in giardino, purché la cosa non vada troppo per le lunghe.

Francesco

No, Ulrico! Tu mi farai il favore di non allontanarti. La presenza tua eviterà a me e a lei un'altra eventuale discussione, lacerante e oramai inutile.

Ulrico

Allora, stai tranquillo: non mi muovo di qui. Duro come una sentinella!

VI.

Agnese

(entra dolorosa e rigida. — Non riconosce Ulrico. — Resta interdetta.) Ti credevo solo.

[63]

Ulrico

I miei omaggi, Signora!

Agnese

(saluta, incerta, con un cenno del capo.)

Francesco

È Ulrico Nargutta...

Agnese

(con cordialità poco espansiva) Voi, Ulrico?... Perdonatemi di non avervi riconosciuto. Vi vedo dopo un anno d'assenza... E siete cosí trasformato!

Ulrico

Piú che trasformato, Signora! Del Nargutta di una volta non sopravvivono che l'amicizia da cui egli era legato al dottor Francesco Floriani e la devozione da cui era legato alla consorte di lui.

[64]

Francesco

(ad Agnese) Che hai da comunicarmi con tanta fretta?

Agnese

(reticente) ... Una mia decisione. Ma...

Francesco

Ulrico è informato di tutto. È naturale che io non abbia voluto celare a un intimo e sperimentato amico di casa ciò che tra breve non sarà un segreto per nessuno. Puoi parlare liberamente.

Agnese

(noncurante e altera: non sdegnosa, non iraconda) Per conto mio, non ho nulla da celare a un amico di casa, e non avrei nulla da celare neanche a una folla di estranei. Sicché, accolgo il tuo invito di parlare liberamente. La decisione che ho presa è di lasciarti oggi stesso.

[65]

Francesco

(con esasperata meraviglia) Oggi stesso?!

Agnese

Quando rincaserai, io sarò già via.

Francesco

Ma questa è una fuga! È una fuga, Agnese! Tu fuggi.

Agnese

Sí, fuggo.

Francesco

E quale fatto nuovo o quale allarme t'induce a fuggire cosí?... Ti sono sembrato, a un tratto, un manigoldo? un delinquente? un nemico?

Agnese

Non riempire la tua voce di parole da fanciullo! Io profitto d'un impulso che certo prima di domani sarà svanito.

[66]

Ulrico

(borbotta in sordina:) Approvo.

Agnese

(concitata) Fuggo per non aspettare l'ora della resipiscenza, per non aspettare l'ora della mia e della tua viltà; fuggo per schivare, soprattutto, la tregua ingannatrice della notte che alla viltà della transazione ci trascina; fuggo perché, se non fuggissi, se non ti lasciassi oggi fuggendo, non ti lascerei, credo, mai piú, e non avrebbe piú fine il conflitto che miseramente distrugge la nostra esistenza e la nostra dignità! Sii forte, Francesco, come sono io, e non impedirmi di fuggire.

Francesco

(terreo, appena reggendosi in piedi) Non te lo impedisco.

(Un silenzio.)

[67]

Ulrico

(senza accorgersene, si è scostato. — Ora, dal fondo, assiste, attentissimo, e, suo malgrado, pietoso, «al taglio netto». Ha davvero l'atteggiamento di chi assista a un'audace operazione cerusica.)

Francesco

E dove andrai?... Dove andrai?... Alla ventura?...

Agnese

Parto per Firenze. E lí abiterò la modesta casetta in campagna che era il mio piccolo patrimonio di orfana.

Francesco

(stentando a esprimersi) Io esigo... che, almeno, tu viva in una certa agiatezza. Permetterai, spero, che io te ne sia garante, che io ne assuma l'impegno.

Agnese

La vita di solitudine a cui mi dispongo rifiuterebbe l'agiatezza che non somigliasse un [68] poco alla povertà. E poi... pensa che sempre caro mi fu destinare i nostri risparmi all'opera umanitaria della tua generosità e del tuo ingegno. Desidero che questo contributo non manchi e non diminuisca. Continuerà ad essere, in parte, l'obolo mio.

Francesco

Sarò scrupoloso interprete del tuo desiderio.

Agnese

Ti ringrazio. E addio! (Con fermezza eroica, gli stende la mano in una profferta di leale commiato.)

Francesco

(con pari fermezza istantanea, gliela stringe nella sua.) Addio, Agnese.

(Tutti e due, solenni, si guardano con gli occhi tristi che si vietano le lagrime.)

(Qualche lagrima, invece, vela gli occhi di Ulrico.)

[69] (Le mani di Agnese e di Francesco si staccano l'una dall'altra, sbianchite, cadenti.)

Agnese

(non sa piú dominarsi, ed esce veloce.)

Francesco

(come colpito da un proiettile al petto, cade a sedere di piombo su una sedia che gli è vicina.)

Ulrico

(non osa accorrere. — Gli si gelano le vene. — Indi, reagendo con una specie di rabbia, emette una voce acre stridula sferzante:) Vieni o non vieni?

Francesco

(si leva súbito, ma senza fiato, senza sguardo.) Vengo.

Sipario.


[71]

SECONDO ATTO

Un piccolo salotto — tipicamente equivoco. Un'aria di roba vecchia e raccozzata.

Non grossi mobili. Un leggero tavolinetto tondo, con su una sigariera. Una mensola, con su bottigliette di liquori e bicchierini. Qualche sedia, parecchie poltrone di forme diverse. Molti specchi corrosi, screziati, uno dei quali è piú alto e sorge dall'impiantito. Un gran divano: cioè, uno di quei divani che si chiamano «alla turca»; basso, larghissimo, senza spalliera, senza piedi, carico di cuscini. Un drappeggio di cattivo gusto incornicia lo specchio piú alto e guernisce lo stipite di una porta in fondo, da cui si accede a un corridoio. Predomina il rosso in svariati toni: vivido, smortito, vermiglio, cremisino, paonazzo, [72] quasi arancione, quasi roseo, quasi amaranto. Questa varietà è distribuita sulla tappezzeria della porta e della specchiera, sulla stoffa del divano, su i cuscini, sulle poltrone, sul tappeto frusto e rappezzato che copre in parte il pavimento, su certi sbrendoli attaccati ai muri per addobbo.

Alla parete laterale di sinistra è — in primo piano — una porticina un po' misteriosa di minime dimensioni. Alla parete opposta un'altra porta, di dimensioni normali. In un angolo, il braccio d'un fantoccio di legno raffigurante un moro regge una lampadina elettrica.

Dal soffitto penzola un gruppo di quattro grosse lampadine di vetro turchino.

I.

Sera.

La porta, in fondo, è chiusa. È soltanto accesa la lampadina del moro, di cui biancheggiano i denti in uno stupido sorriso immobile. — Nella scarsa luce si spande fantasticamente la sinfonietta del rosso. — Sul divano dorme Sonia Zarowska. — Bella. Biondissima. Pallida, d'un pallore latteo. E nel pallore sembrano morti i suoi occhi sigillati dal sonno, orlati di bistro e [73] cinti da un cerchietto livido. — Non è distesa, né supina. Il suo corpo si sprofonda nei cuscini, bisbeticamente scomposto. Dalla stretta e succinta veste nera, che è cosparsa di lucide pagliuzze cangianti, tutte si rivelano le membra torte e squinternate. Una gamba è scoperta fino al ginocchio, e tra il nero della veste e il rosso dei cuscini risalta il grigio perla della calza velina. — Un mantello è a terra, aggrovigliato, presso il divano. Un tocchetto bizzarro è, capovolto, su una sedia.

Sonia

(si svoltola. Sogna, brontola:)... Roastbeef con patate! (Pausa)... Un cocktail!... (Poi, un barbuglio senza parole. E piú niente. — Si svoltola di nuovo. Agita un braccio. Brontola piú vivacemente:) Vile gendarme!... Per te non voglio danzare!... (Si stende, sbracalata) Puff!... Antipatico!... Antipatico!... Puff!... (Si accheta.)

(Silenzio.)

(La porta, in fondo, si apre un po'.)

[74]

II.

Ulrico

(sulla soglia, fa capolino.) Sonia!... Soniuccia!... (Tra sé:) Dorme come un ghiro. (Le si avvicina, la osserva.) Ubbriaca? Benissimo!

Francesco

(che seguiva Ulrico, è rimasto, circospetto, esitante, di là dalla soglia, nel corridoio poco illuminato.)

(Tutti e due hanno i cappelli calcati in testa, indossano paltò invernali.)

Ulrico

(a Francesco) Entrata libera e senza agguati, senza insidie! Trabocchetti non ce ne sono.

Francesco

(fa qualche passo. Non entra ancora.)

Ulrico

Ma, insomma, chi ti trattiene? Chi si permette di trattenerti?... L'ombra della tua consorte?... [75] Sono già due mesi che sei separato da lei: della sua ombra dovresti sbarazzarti. O, almeno, non dovresti darle retta. Avanzati, dottore!

Francesco

(si avanza, sempre circospetto. Per un atto abituale, si cava il cappello.)

Ulrico

Ti cavi il cappello rispettosamente?... Ti ringrazio per Sonia Zarowska e ti ringrazio per me, giacché io qui sono un po' in casa mia. Difatti, vedi: (gli mostra una chiave) questa è la chiave unica della porticina, diciamo cosí, privata. (Indica la porticina.) Un vero vantaggio da padrone di casa, perbacco! Non mi costa gran che e ho il diritto d'entrare senza incomodare nessuno, da mezzanotte in poi, quando cioè la porta della scala ufficiale è chiusa alle conoscenze avventizie. E appunto in qualità di padrone di casa, quantunque a scartamento ridotto, ti prego di metterti a sedere. (Gli piglia di mano il cappello, lo posa in un canto.) [76] Cedo a te la mia poltrona preferita (una larga e comoda poltrona). Siedi, siedi a tuo bell'agio, e consentimi di presentarti, in uno dei suoi atteggiamenti personalissimi, il piú mansueto, il piú semplice e il piú utile campione del sesso femminile.

Francesco

(a guisa di un automa, si è seduto. Guarda Sonia con la coda dell'occhio. Ha una contrazione di disgusto.)

Ulrico

(riavvicinandosi a lei) Esemplare grand prix! Non sciarade, non rompicapi psicologici, non scenografia intellettuale!... Origine slava, con radici nel vecchio semplicismo analogo. Trasmigrazione casuale, come d'un sughero in balia del mare. Acclimatazione per inerzia. Intelligenza primitiva. Capacità a delinquere, ma non oltre i limiti di qualche lieve danno pecuniario. Assoluta impossibilità d'amare e di tollerare d'essere amata. E, dalla punta dei piedi a quella dei capelli, completa idoneità [77] ai riti del piacere. Un ghiribizzo di Fidia impersonato da una sciocca del secolo ventesimo, intanfato nella suburra di tutti i tempi! Ecco la donna che ho scelta, ecco la donna delle mie ore fiammanti. (La contempla.) Dormi, dormi, ignobile bestiolina sublime! Tu abbandoni il bel corpo inverecondo al sonno della ubbriachezza, e io, beato, ti contemplo, benedicendoti una volta di piú!

Francesco

(tace, oppresso, appesito.)

Ulrico

(gli striscia dietro, come un folletto maligno e gli scuote una spalla.) Su, su, povero malato!... Per curarti ti ho introdotto dove meglio sbocciano la mia saggezza e la mia felicità, e tu disdegni e ti riavvolgi nella tua asfissiante tetraggine?... Respira a pieni polmoni l'aria ossigenata che ti offro! Apri gli occhi sul prezioso piccolo mostro fascinatore. Comincia a comprenderlo. Comincia a valutarlo. E, soprattutto, non incepparti nella prevenzione [78] di urtare la mia suscettività. Ti rammenti di quello che ti dissi quando venni ad annunziarti d'essere rinsavito?... «Se non m'infischiassi che la mia donna è di tutti, temerei di non aver conseguita la perfezione!» E nulla mi seduce di piú che il cimentarmi nell'esperimento supremo. Assistere alla concorrenza dell'amico fraterno!... (Spampana con enfasi presuntuosa, modificandolo per l'occasione, il popolare verso dantesco:) «Qui si parrà la mia nobilitate»!

Francesco

(flemmatico) Il cinismo che ostenti è ristucchevole, ma per fortuna è anche falso.

Ulrico

E mettimi alla prova!

Francesco

A quale prova?... Tu non sei tanto ottuso da non intendere che costei non può essere [79] per me — al piú al piú — che un oggetto di osservazione e di studio.

Ulrico

(si eccita, si frega le mani, ride) Eh eh eh eh!... Da cosa nasce cosa! Nella vita, come nella chimica, date certe circostanze, due corpi eterogenei diventano combinabili da un momento all'altro.

Francesco

Va' là che sei il piú candido degli impostori!

Ulrico

Ah, questo mi dici?!... Mi dai dell'impostore? Mi disconosci? Mi stuzzichi? Mi provochi?... E sai in che modo rispondo io alla tua provocazione?

Francesco

Mi è indifferente, caro!

[80]

Ulrico

(con una stizza paradossale) Io ti lascio nella tana del mostro, consegnandoti cosí ai suoi fascini, e me ne vado a cena! (Esce rapido dal fondo chiudendo i battenti con veemenza.)

Francesco

(levandosi come spaventato) Ma no! Aspetta, imbecille! Io solo, qui, non voglio restare!

Ulrico

(di fuori, grida, ride, sghignazza.) Brutalizzarsi! Brutalizzarsi!

Francesco

(gridando anche lui, cerca il cappello) Aspetta! Ti ordino di aspettare! (Col cappello in mano si slancia verso il fondo.)

Ulrico

(allontanandosi) Brutalizzarsi o morire!...

[81]

III.

Sonia

(si sveglia) Chi è là?

Francesco

(è arrestato da quel «chi è là» presso l'uscio, di cui stava per aprire i battenti. — Si volta. — Indugia imbarazzato.)

Sonia

Chi sei?

Francesco

Non un ladro.

(Una pausa.)

Sonia

Ti conosco o non ti conosco?

Francesco

No no, non mi conoscete.

[82]

Sonia

(ancora intorpidita dal sonno) È la prima volta che ti vedo?

Francesco

La prima volta.

Sonia

E tu?... Dove mi hai veduta? Quando mi hai veduta?

Francesco

Mai.

Sonia

E, senza avermi mai veduta, vieni a farmi una visita?

Francesco

Ulrico Nargutta mi ha condotto.

[83]

Sonia

Ah, ecco: ti ha condotto lui! (Comincia a schiarirsi.) E quei gridi che mi hanno svegliata?... Che erano quei gridi?...

Francesco

(balbetta:) Ho alzato la voce inconsideratamente.

Sonia

Non t'eri accorto che dormivo?

Francesco

Me n'ero accorto.

Sonia

È tanto dolce dormire!

Francesco

Mi duole d'avervi disturbata.

Sonia

(si sgranchisce) Ti duole?... Che me ne importa che ti duole?... Non è un rimedio.

[84]

Francesco

Avete ragione. Del resto, la colpa non è tutta mia. Il mio amico mi ha costretto a gridare, e lui stesso ha ecceduto: ha fatto del chiasso.

Sonia

Avete litigato?

Francesco

Non è stato un litigio.

Sonia

E che è stato? Raccontami. Raccontami.

Francesco

Nulla da raccontarvi. Sciocchezze!

Sonia

E com'è che lui non è qui?

Francesco

È scappato via all'improvviso.

[85]

Sonia

Perché è scappato via?

Francesco

... Un suo capriccio... Uno dei suoi scherzi bizzarri...

Sonia

Ma, già, io credo che quello lí non abbia la testa a posto.

Francesco

(ironico) È una ipotesi da non escludere.

Sonia

Entra, esce, scappa, torna. Sempre cosí! Non ha mai requie. Scommetto che tornerà súbito.

Francesco

Speriamo!

Sonia

E sei rimasto attaccato all'uscio?... Non ti accomodi?

[86]

Francesco

(confuso e garbato come se stesse al cospetto d'una signora) Ero sul punto d'andarmene quando vi siete svegliata.

Sonia

Adesso, è fatta. Non ho piú sonno, adesso.

Francesco

Voi non avete piú sonno, ma io non mi tratterrò. Non ho menomamente l'intenzione di trattenermi.

Sonia

(di scatto) Oh, bella, ti sono antipatica!

Francesco

... Non è mica per questo che mi tarda d'andarmene.

Sonia

Se non è antipatia, che può essere?... Paura?... Tu hai paura di me?

[87]

Francesco

Non è antipatia e non è paura.

Sonia

È paura, è paura! Non negare! Hai l'aria di un topo in trappola!

Francesco

Vi assicuro che voi equivocate. Gli è che sono a disagio. E non c'è' altro. (Alla sua inesperienza sembra ch'egli debba giustificarsi. Parla disordinato, con un certo orgasmo.) D'altronde, è pur naturale ch'io sia a disagio. Le mie abitudini son troppo diverse da quelle che consentono di venire qui spensieratamente e di svagarvisi in piena libertà. E, poi, vivo cosí lontano, io, dal vostro ambiente!... Ulrico Nargutta si era affaticato a descrivervi, a illustrarvi, a esaltarvi; si era per giunta intestato di condurmi da voi, e io... mi son lasciato condurre... un po' per curiosità e un po' per una specie di passiva obbedienza. Lo deploro per me e lo deploro per voi.

[88]

Sonia

E che hai concluso con tutto il tuo imbroglio di chiacchiere?... Il fatto è che, se te ne vai, mi offendi.

Francesco

Ma che c'entra l'offendere?

Sonia

Sí, mi offendi. Tu non hai competenza. Non puoi giudicare. Ti giuro che mi offendi.

Francesco

Non ho alcun motivo di volere arrecarvi offesa. E non ne ho il diritto. (Tituba. — Apre un po' le braccia remissivamente.) Resterò ancora qualche minuto affinché non riteniate che mi permetta d'offendervi proprio io, a cui siete completamente innocua.

Sonia

E non stare in piedi, ti prego, come si sta in un bar per prendere un caffè! Che diavolo!...

[89]

Francesco

Un'altra offesa?... Non starò in piedi.

Sonia

Vedrai che ti terrò buona compagnia.

Francesco

È un'ottima intenzione, ma alquanto problematica. (Paziente, rassegnato, siede di nuovo, lontano da lei, su una seggiola qualunque, gettando il cappello su un'altra seggiola.)

Sonia

Puff!... Che rospo! (Si alza, tuttora fiaccata dall'ubriachezza, con le gambe malsecure, cascante, flaccida, sciatta e pur provocante nella nera guaina stellata di faville, attraverso di cui si delinea il giovane corpo sinuoso. La gran massa di capelli d'oro sbiadito è tutta arruffata ed erta sull'occipite, come un fantastico colbacco. — Ella si accosta al tavolino. Tira fuori dalla sigariera una sigaretta, l'accende con disinvoltura maschile, aspirando il fumo [90] avidamente e lo caccia dal naso, le cui narici si dilatano. — Alle spalle di Francesco, fumando, lo osserva.)

Francesco

(si sente guardato e, poiché ciò lo stringe viepiú nell'impaccio, tenta di far deviare l'attenzione petulante di lei.) Da parecchio tempo avete amicizia con Ulrico Nargutta?

Sonia

Con Ulrico Nargutta?... Da quattro o cinque mesi.

Francesco

Un bel po'! E, oramai, gli siete divenuta indispensabile, nevvero?

Sonia

Senza le donne, gli uomini s'impiccherebbero.

Francesco

Ne convengo. Ma... domandavo se egli si sia tanto legato a voi da non potersene piú distaccare.

[91]

Sonia

Pare di sí. Gli piaccio.

Francesco

Solamente?

Sonia

Gli piaccio piú di tutte le altre donne.

Francesco

E da parte vostra?

Sonia

Da parte mia, che cosa?

Francesco

Non avete una speciale affezione per lui?

Sonia

Non capisco... Che vuol dire «una speciale affezione»?

[92]

Francesco

Non siete legata a lui come egli è legato voi?

Sonia

Anche lui piace a me.

Francesco

Piú di tutti gli altri uomini?

Sonia

Questo, poi, non lo so.

Francesco

Dovreste pur saperlo.

Sonia

Dovrei pur saperlo?!... Non capisco.

Francesco

È assurdo che non lo sappiate.

[93]

Sonia

E non lo so, non lo so! Che ho da farci? Mi secchi. Smettila!

Francesco

La smetto, sí. Vi rivolgevo qualche parola... per non tacere.

Sonia

Che un tipo come te parli o taccia, è tutt'uno!

Francesco

Se è tutt'uno, preferisco di tacere.

Sonia

Puff!... Puff!... Che brutto rospo!

Francesco

(accenna un gesto che significa: tanto, non c'è rimedio!)

(Un silenzio.)

[94]

Sonia

Non fumi, tu?

Francesco

No, non fumo.

Sonia

Tutta l'umanità fuma. È una stravaganza non fumare.

Francesco

Forse, è una stravaganza.

Sonia

Una stravaganza idiota!

Francesco

Una stravaganza idiota.

(Un silenzio.)

[95]

Sonia

(sfiorandogli i capelli con le dita) Oh, guarda! Hai dei capelli bianchi! Ulrico Nargutta non ne ha. Parecchi ne hai, tu.

Francesco

E aumentano di giorno in giorno.

Sonia

Non te ne affliggere. I capelli non contano.

Francesco

Io non me ne affliggo di certo.

Sonia

E se tu non fossi un brutto rospo, saresti abbastanza simpatico.

Francesco

(bonario) Troppa indulgenza!

Sonia

(di palo in frasca) E sei celibe o sei ammogliato?

[96]

Francesco

(incupisce) ... Ammogliato.

Sonia

Ah!... Questa è la vera ragione per cui stai sulle spine!... Sei ammogliato? Evvia! Stupido!... Chi è che potrebbe accusarti a tua moglie? Scaccia gli spauracchi!... (Pausa.) — (Poi insinuante) Vuoi che ti faccia... la danza?: la danza di Sàlome?... Io stessa mi accompagno, sai, col canto a bocca chiusa.

Francesco

Ma no, ma no! Ve ne dispenso.

Sonia

(si addolora del rifiuto. — Ritenta:)... E con la luce blu te la faccio. Vedi: ho lí, apposta, le lampadine colorate di blu. Allora — dicono — è piú suggestiva. Vuoi?

Francesco

Vi ripeto che ve ne dispenso.

[97]

Sonia

Hai torto. Sono brava.

Francesco

Non ne dubito. Io ve ne dispenso per non abusare del vostro zelo. Mi sembrate già stanca. Vi risparmio un fastidio. Vi risparmio una fatica.

Sonia

(meravigliatissima — si sforza di pensare. — Gradisce. — Sorride di gradimento.) Questo è molto carino!... Nessuno mi è stato mai tanto cortese! Ma per me non è una fatica, non è un fastidio. Anzi!... Ci trovo gusto. Spesso, quando sono sola, mi tolgo di dosso il vestito inutile e mi metto a danzare davanti allo specchio. Fin da ragazza ho danzato cosí, e fin da ragazza ci ho trovato gusto.

Francesco

Fin da ragazza?! Cioè?... Quanti anni avevate?

[98]

Sonia

Pochi potevo averne. Ne avevo dodici, ne avevo tredici...

Francesco

Probabilmente, qualcuno v'istigava, qualcuno v'insegnava...... Chi v'insegnava?

Sonia

(vantandosi) M'insegnava una danzatrice della Maison Rouge: l'amica del mio patrigno.

Francesco

E il vostro patrigno lo permetteva?

Sonia

Sicuro che lo permetteva! Restava a lungo a vedermi danzare e mi divorava con gli occhi.

Francesco

(ha un moto di ribrezzo e di sdegno) È orribile!

[99]

Sonia

È orribile?... Non capisco... S'intende che doveva compiacersi. Non ero uno sgorbio, non ero un fuscellino. Ero un fresco bocciuolo di cardenia! Non mi credi?

Francesco

Vi credo.

Sonia

Uno scultore celebre, che mi copiò tale e quale, non so piú quante volte, dal capo ai piedi, soleva chiamarmi: la piccola Venere.

Francesco

Facevate anche la modella a quell'età?

Sonia

Non la facevo che con lui. Di nascosto la facevo. Andavo da lui invece di andare alla scuola. Un bell'uomo era!... Aveva un viso da Nazareno con certi sguardi vellutati, che io sentivo sulla pelle quando posavo.

[100]

Francesco

E come vi premiava, come si disobbligava lo scultore celebre?

Sonia

Mi dava il caviale, la grappa, il cognac. Perfino lo sciampagna mi dava.

Francesco

Tutta gente infame e malefica!

Sonia

(si smarrisce e trema un poco) Infame e malefica, no!... Io non capisco... Non capisco... Che male ne avevo?

Francesco

E vostra madre? Non vi sorvegliava mai, vostra madre? Non badava mai a voi?

Sonia

(quasi passiva) Mia madre non esisteva piú. Era morta all'ospedale.

[101]

Francesco

(triste, compassionevole) In conclusione, voi siete... una povera creatura!

Sonia

(sempre piú smarrendosi e tremando) Io?! Perché sono una povera creatura?...

Francesco

Non vi preoccupate di quello che dico. Non ne vale la pena.

Sonia

Ma io non capisco... Fammi capire... Fammi capire...

IV.

Una voce

(sgarbata, spadroneggiante — chiama di fuori:) Sonia Zarowska! Sonia Zarowska!

[102]

Francesco

(turbandosi, levandosi) Si chiede di voi. Mi si troverà qui. Ciò è molto noioso. Dovevo, peraltro, prevederlo.

Sonia

Io non rispondo e non lascio entrare.

Francesco

Non ve lo consento.

Sonia

Me lo consento io.

Francesco

Non è giusto che io vi sequestri.

Sonia

Ti farei uscire per questa porticina, se ne avessi la chiave...

La Voce

Sonia Zarowska, preparatevi a ricevermi. Sono un agente della polizia.

[103]

Sonia

(aggrotta la fronte. Appare contrariata, ma non impappinata.)

Francesco

(turbandosi maggiormente, si domina.) Questo, poi, non era prevedibile, ed è anche piú noioso. È insopportabilmente noioso!

Sonia

Si tratterà di qualche equivoco. Mi sbrigherò in pochi minuti. Tu ti chiudi nella stanza accanto, e aspetterai che mi sbrighi.

Francesco

Potrebbe incogliermi peggio. Mi conviene piú di non rimpiattarmi. Fate entrare súbito!

La Voce

Ma, sangue di un demonio, è inutile che fingete di non udire! E vi avverto che non sono disposto a perdere il mio tempo. Aprite!

[104]

Sonia

Eh!... Quante parole per niente! Entra! Entra! Non c'è la spranga alla porta!

L'Agente

(spalanca i battenti con una certa irruenza, e si ferma.)

(Dietro di lui, è un uomo sulla quarantina, vestito con precisa e sobria eleganza, dal volto scialbo e allampanato, dagli occhi incolori e vitrei: — il signor Edgardo Lemms. Nulla di losco. S'indovina, vedendolo, che è una persona per bene. — Resterà attentissimo, ma impassibile, inalterabile.)

Francesco

(si fa da parte, senza aver l'aria di nascondersi.)

Sonia

(si trova, ritta, presso il divano. Sbircia di traverso l'Agente e l'uomo che gli è dietro.)

[105]

L'Agente

(al signor Lemms) La identificate?

Lemms

Perfettamente.

L'Agente

Venite, venite. Staremo a vedere se lei ammette d'aver cenato con voi.

(Si avanzano tutti e due. Si accorgono di Francesco. L'Agente gli getta un'occhiata di competenza. Non si toglie il cappello. Il signor Lemms abbozza un saluto, e si toglie il cappello.)

L'Agente

(a Sonia) Compiacetevi di rispondere, Sonia Zarowska. Stavate, circa tre ore fa, a cena col signor Edgardo Lemms, in una saletta particolare del Falchetto d'oro?

Sonia

Edgardo Lemms sarebbe il nome di quel signore là?

[106]

L'Agente

Appunto. E rispondetemi.

Sonia

Rispondo di sí. Con quel signore sono stata a cena dove hai detto.

L'Agente

Egli vi accusa di avergli rubato il portafogli.

Sonia

(non si scompone e si stringe nelle spalle) Uhm!

L'Agente

Evidentemente, il signor Lemms, dopo aver pagato il conto,... si è distratto, o è stato distratto da voi. Egli ha lasciato il portafogli sulla tavola, e voi ve ne siete impossessata, profittando... della distrazione.

Sonia

Io non me ne ricordo.

[107]

L'Agente

I ladri non hanno mai buona memoria.

Sonia

Avevo tanto bevuto!

L'Agente

Intendete dire che eravate ubbriaca!... Eh, lo so! Voi state già architettando il vostro piano di difesa! (A Lemms) Furba, l'amica!... (Poi, a lei) Ma è ridicolo sostenere che abbiate dimenticato d'aver commesso un furto perché in quel momento eravate ubbriaca. È ridicolo, cara Sonia Zarowska!

Francesco

(intervenendo, riservato e affabile) La memoria è una delle piú dirette attività della coscienza. Difatti, per misurare il grado di coscienza, da cento a zero, in qualcuno di cui si suppone che abbia corso il pericolo di perderla tutta o parzialmente, uno dei primi e piú arguti mezzi è di sperimentarne la memoria. Intanto, è incontestabile [108] che la coscienza venga soppressa dall'ubbriachezza grave, la quale, nelle sue manifestazioni, nei suoi effetti, rassomiglia alla completa follia. Io, anzi, la chiamerei: una follia incidentale.

Lemms

(ha ascoltato con deferenza, e approva:) Perfettamente.

Sonia

(ha ascoltato con un vano sforzo di comprensione e ha tremato alla parola «follia».)

L'Agente

(ha ascoltato, squadrando Francesco con ostilità.) Vi consta, signor Lemms, che Sonia Zarowska aveva bevuto molto?

Lemms

Moltissimo.

L'Agente

Ma non era una ubbriachezza grave se è stata digerita in tre ore.

[109]

Francesco

Io non giurerei che ella ne sia del tutto libera. Comunque, mi parrebbe opportuno considerare che, negli ubbriachi abitualmente recidivi, proprio questa abitudine fa sí che il sonno basti ad affrettare il ritorno dello stato normale: — normale, beninteso, in rapporto al quadro permanente degli alcoolizzati. E io attesto di aver trovata pocanzi Sonia Zarowska immersa in un profondo sonno.

L'Agente

(a Francesco, con una calma intorbidita di sorda minaccia) Voi insistete nell'interloquire, egregio signore, senza che io vi abbia interrogato.

Francesco

Chiedo scusa.

L'Agente

Avrete la bontà di favorirmi il vostro nome.

[110]

Francesco

Nulla in contrario. (Cava fuori una carta di visita, gliela porge.)

L'Agente

(leggendo, si raccapezza: muta contegno, e, per atto di rispetto, tocca la falda del cappello.) Non potevo immaginare che...

Lemms

(a Francesco, inforcando gli occhiali) Permette?

Francesco

S'accomodi pure.

L'Agente

(mostrando a Lemms la carta di visita) Un professore rinomato.

Lemms

(legge, e s'intravvede nella sua impassibilità una convinta ammirazione.)

[111]

Francesco

Un modesto medico specialista, pel quale non è infruttuoso studiare i vizii e le degenerazioni nei loro covi e nei loro laboratorî.

L'Agente

Che schifo, illustre professore!

Lemms

(quasi tra sé) Non tanto!

Francesco

E spero che la mia professione mi giustifichi anche di non essermi astenuto dall'interloquire. Si era un po' nei miei paraggi.

L'Agente

(con animazione autorevole, dispotica) A ogni modo, il portafogli è sparito, ed è qua che bisognerà cercarlo. (Appellandosi a Francesco come per averne il consenso) È chiaro?

Francesco

Questo non è affar mio.

[112]

L'Agente

(a Sonia) Orbene, a voi! Dovrebbe trovarsi proprio sulla vostra persona. Io non vi perquisisco, a condizione che voi stessa lo cerchiate.

Sonia

(ha seguíto quello che accadeva intorno a lei, assumendo un atteggiamento di sottomissione quando parlava Francesco. Adesso, all'invito dell'Agente, recalcitra:) Sulla mia persona, il portafogli non c'è.

(Non si riesce a intendere se ella sia in buona in mala fede.)

L'Agente

Tanto peggio per voi, sapete! Solamente se stesse sulla vostra persona si potrebbe accettare l'ipotesi del Professore, cioè che, essendovene appropriata quando lavorava la sbornia, non ve ne ricordiate piú. Ma se aveste già provveduto a nasconderlo, come fareste, cretina [113] che siete!, a giustificarvi con la sbornia e con la dimenticanza?

Sonia

Ti ripeto che sulla mia persona non c'è'! (Leva la voce, ringhiosa, furiosa.) Non c'è e non c'è! E io, no, non mi lascio perquisire! Ti proibisco di perquisirmi! (Sfugge allontanandosi dal divano e riparando in un cantuccio.)

(Il divano è rimasto tutto scoperto alla vista dei tre uomini.)

L'Agente

Sangue di un demonio, voi agite a danno vostro!... Mi sembrate un mulo che si affatichi a tirarsi calci alla coda. Perché siete una donna, non volevo perquisirvi, non volevo mettervi le mani addosso. Ma questi signori sono testimoni che voi mi ci obbligate. (Uscendo dai gangheri, si avventa su lei.) Dunque, andiamo! Sottoponetevi alla perquisizione, senza altre chiacchiere!

[114]

Francesco

Fermatevi un momento, per favore.

L'Agente

(desiste, sospeso.)

Francesco

Se i miei occhi non s'ingannano, il portafogli è lí, mezzo conficcato tra i cuscini del divano, dove ella pocanzi dormiva. È minuscolo ed è quasi del colore dei cuscini, il che lo ha reso poco visibile.

(Emerge appena di tra i cuscini rossi un piccolo grazioso portafogli di cuoio rosso.)

Sonia

(mal sorpresa, si protende per vedere.)

Lemms

(sempre impassibile — inforca di nuovo gli occhiali.)

[115]

L'Agente

(dissimulando il disappunto, si avvicina al divano, e con due dita prende il portafogli. Indi, tenendolo in alto, lo mostra al signor Lemms.) È questo il vostro portafogli?

Lemms

Perfettamente.

Francesco

Le sarà cascato dal petto o dalla cintola, quando si è gettata lassù o quando vi si agitava nel sonno. Certo è che, rincasando, non aveva provveduto a nasconderlo.

L'Agente

(al signor Lemms) Dovrebbe contenere?...

Lemms

(rammentandosi a stento)... Lire milletrecento,

L'Agente

(verifica)... Sono mille trecento e sette. (Gli consegna il portafogli.)

[116]

Lemms

Guadagno sette lire.

Sonia

(è tuttora impenetrabile. Dal suo contegno non trapela la consapevolezza, non l'innocenza, non la mortificazione, non il risentimento.)

L'Agente

(obliquo — sottolineando le parole) Con ciò, spieghiamoci, Sonia Zarowska non cessa di dover rispondere dell'accusa di furto.

Lemms

Io mi oppongo.

L'Agente

Voi vi opponete, ma l'autorità procede.

Lemms

Procede a che? Ho riavuto il mio portafogli con sette lire di piú. Mi pare che l'incidente sia esaurito.

[117]

L'Agente

C'è la vostra denunzia.

Lemms

La ritiro.

L'Agente

Trattandosi d'un reato d'azione pubblica, non c'è modo di ritirarla. Deve per forza arrivare davanti alla giustizia.

Lemms

La mia denunzia non è stata raccolta che da voi. Con un prudente sacrificio... reciproco, possiamo metterci d'accordo per non incomodare la giustizia e, soprattutto, per non dare altre noie a questa donna.

L'Agente

(con astuta condiscendenza) Be',... ci penseremo, e ne riparleremo.

Lemms

Perfettamente.

[118]

L'Agente

La prima cosa, intanto, che ho da fare per non avere imbarazzi è di licenziare le due guardie che ho lasciate sul pianerottolo. Vi aspetto in portineria.

Lemms

Vi raggiungo súbito.

L'Agente

(a Francesco) Riverisco, illustre professore!

Francesco

Si conservi.

L'Agente

(esce.)

Lemms

(a Sonia, avvicinandosi) Avete udito, piccina?... Vi saranno risparmiate ulteriori noie. E vi rivedrò volentieri. Quel che mi dispiace è [119] che non siete una ladra sul serio. Sareste piú interessante.

Sonia

(ha l'istantanea sensazione d'una puntura.)

Lemms

(si avvicina a Francesco) Signor medico, sono ben felice d'aver fatta la sua conoscenza.

Francesco

Ella è molto cortese.

Lemms

E, forse, rivedrò anche lei. Potrò venire a chiederle qualche consiglio?

Francesco

Le auguro di non averne bisogno.

Lemms

Sospetto che troppo tardi mi giunga l'augurio.

[120]

Francesco

In tal caso, a sua disposizione.

Lemms

Perfettamente. I miei ossequi.

Francesco

(accenna un inchino.)

Lemms

(via.)

La voce dell'agente

(irritata) Ma, sangue d'un demonio, vi avevo ordinato di piantonare le scale! E dove stavate, invece, dove stavate?!

Alcune voci femminili

(scrosciano, lontanissime, in una sconcia risata.)

[121]

V.

(Un breve silenzio.)

Francesco

(risoluto, quasi brusco) E basta, eh? (Piglia il cappello.)

Sonia

(con l'impulsività di una bambina lo afferra pel braccio.) No! No!...

Francesco

Dio buono, io ho già troppo accondisceso, e voi troppo osate, adesso!

Sonia

Non andare in collera! Senti... Senti... Ti prego... Mi hai cosí bene difesa... Difendimi ancora!

Francesco

Io non ho fatto che secondare e accreditare, con la mia logica, con la mia esperienza, la [122] vostra affermazione di irresponsabilità. Forse mentivate relativamente all'episodio del piccolo crimine di cui vi si accusava. Nondimeno, il difendervi era legittimo, e non me ne pento, poiché, con o senza l'ubbriachezza, voi non siete che una irresponsabile. Ma che piú sperate ch'io faccia per voi?... D'altronde, quel brav'uomo ha iniziato un accordo col zelante accusatore per comperarne il silenzio. Non correte piú alcun pericolo.

Sonia

E per l'avvenire?... Se mi colgono, sono perduta! In carcere, mi mettono! In carcere!

Francesco

E lo spavento del carcere non è piú forte della tentazione di rubare?

Sonia

Quando quella tentazione mi prende e mi si caccia nelle vene, negli occhi, nelle mani, io non ragiono, non rifletto, non ci penso piú al [123] carcere. E tu, difendendomi ancora, dovresti specialmente da quella tentazione difendermi. Questo ti chiedo io.

Francesco

Ma quale scompiglio d'idee! Difendervi da una dubbia accusa, difendervi dalla inclemenza d'un poliziotto è ben diverso che difendervi da una clandestina e tirannica tentazione.

Sonia

Ma è certo che lo puoi.

Francesco

E come sembra a voi ch'io lo possa?

Sonia

Lo puoi con le tue ammonizioni, col tuo comando, con quelle tue parole che dicono cose che soltanto tu sai. Sono parole che là per là fanno tremare, e poi si fissano, amiche, qui, nel cervello, vi restano come inchiodate, e continuano a dire, a dire, a dire...

[124]

Francesco

Voi siete sotto l'impressione del mio utile intervento. Travedete. Fantasticate. La riconoscenza vi abbacina. Le mie ammonizioni, il mio comando, tutto l'aspro repertorio di sapienza, che voi credete soltanto mio e che vi fa tremare, non vi scanserebbero da un triste fascino che vince anche lo spavento del carcere. Agiscono in voi delle forze irresistibili che di voi dispongono illimitatamente e che producono ogni vostro atto, ogni vostro istante di vita. Sono le medesime, ahimé, di cui vive, inconsapevole, il bruto.

Sonia

(trema) Il bruto?!

Francesco

Sí, Sonia Zarowska: il bruto! E finché queste forze irresistibili vi possiederanno, finché esse comporranno la vostra vita, nulla varrà a salvarvi dalle tentazioni alle quali finora avete dovuto cedere. Per potervene difendere, per [125] potervene salvare, un'altra vita bisognerebbe sapere infondervi: una vita che non avesse la sua intima sede nei sensi, una vita interiore, una vita spirituale, quella vita cioè che molti vorrebbero soffocare perché piena di lotte e di tumulti, ma che appunto — tra i confini, s'intende, del nostro raziocinio — differenzia dal bruto l'essere umano.

Sonia

(dibattendosi) Non capisco! Non capisco! Non mi riesce di capire!...

Francesco

(con un pallido sorriso buono) E questa volta sarebbe piú che mai strano se non fosse cosí! (Le mette una mano sulla spalla.) Ma giacché le mie parole vi si fissano, amiche, nel cervello e continuano a dire, a dire, a dire..., voi non dimenticherete quello che ora non capite,... e sarà sempre qualche cosa!... Vi saluto, Sonia Zarowska! Vi saluto! (Pacatamente, accorato e pensoso, si allontana, esce.)

[126]

VI.

Sonia

(non ha piú tentato di trattenerlo, non lo ha seguíto con gli sguardi, non si è mossa, ed è rimasta come tramutata in una statua, assorbita dall'insistente volontà di capire. Per lei piú nulla è intorno. — Quella volontà intensa e vana la distacca dall'atmosfera che la circonda, le aliena la vista e l'udito.)

(Nel corridoio si fa buio.)

Una voce di donna

(rauca, assonnata) Buona notte, bionda!

Sonia

(ripete piano e scandite dalla fatica riflessiva alcune parole di Francesco Floriani.)... «Una vita... che non avesse... la sua intima sede... nei sensi...» (Tace.)

(Trasvola nel silenzio il lieve rumore d'una serratura frugacchiata.)

[127]

Sonia

(non ode.)

(Si apre appena la porticina misteriosa.)

Ulrico

(s'insinua come un'ombra, il cappello all'indietro, il bavero alzato. C'è in lui un che di sinistro e di buffo.)

Sonia

(non vede.)

Ulrico

(è arrestato dall'atteggiamento di lei. Dopo averla affisata curioso e sbieco, raccorciandosi a guisa di chi cerchi di attraversare una folla inosservato e camminando grottescamente cauto, va verso la parete in fondo, dov'è la chiavetta della complice luce elettrica. La gira, e siede a una seggiola addossata a quella parete.)

(Dalle quattro lampadine che penzolano dal centro del soffitto è piovuto, allargandosi in tutta [128] la stanza, un riverbero bluastro che, mescolandosi con la gazzarra del rosso, suscita un fantastico fluttuare di larve violacee.)

Sonia

(dal rapido diffondersi del riverbero bluastro è stata sottratta alla sua riflessione, quasi che una molla le sia scattata dentro. Volgendosi un po', si accorge della presenza di Ulrico.) Sei qua, tu? Non ti ho visto entrare.

Ulrico

Cos'è? Rammollimento contemplativo?

Sonia

Ero sola. Pensavo.

Ulrico

Il che non ti accade spesso.

Sonia

(genuina) È vero: non mi accade spesso.

[129]

Ulrico

Non eri sola, per altro, che da qualche minuto.

Sonia

Difatti, da qualche minuto se ne è andato il tuo amico.

Ulrico

L'ho visto, giú.

Sonia

Che t'ha detto?

Ulrico

Non l'ho interrogato. Mi sono nascosto per non fargli credere che io stessi lí ad aspettarlo.

Sonia

(resta di nuovo astratta.)

Ulrico

E ancora pensi?

[130]

Sonia

No.

Ulrico

Ma non badi a me. Che hai?

Sonia

Niente.

Ulrico

(impaziente — e pur mellifluo e postulante) E non ti parla questa luce? Non ti richiama?

Sonia

Sí.

Ulrico

Non mi frodare, dunque, Soniuccia! È l'ora mia.

Sonia

Sono pronta.

[131]

Ulrico

Oh, bene! bene! (Si accende una sigaretta.)

Sonia

(è sempre allo stesso posto. — Appare quasi inquieta. Poi, a grado a grado, si trasfigura. Il suo volto assume un aspetto di ebete sensualità con una impronta d'involontario maleficio in agguato. Dalla sua bocca, di cui le labbra combaciano, si stende, mugolata, una sottile esarmonica melodia di sapore orientale, che sembra funebre.)

Ulrico

(sporge la testa di tra le spalle alzate, tira giú il monocolo, e punta su lei, spalancati e cupidi, gli occhi storti.)

Sonia

(comincia a convellersi nei fianchi frementi, nelle braccia alquanto aperte in su, e i convellimenti procaci seguono il ritmo morboso della melodia. — Ma súbito l'inquietudine torna a serpeggiarle [132] in tutta la persona. Il suo volto diviene sofferente. Il ritmo si spezzetta. La melodia si affioca. Le muore in gola. — Ella ristà. Le sue braccia cadono inerti.) — (Con una intonazione di scoraggiamento:) No! No! Stasera, no!

Ulrico

(costernato) Sonia?! (Le va di fronte, vivamente, piú per esortarla che per rimproverarla.) Sonia?!

Sonia

(rammaricandosi) Non avertela a male!. Stasera, no!

Ulrico

(sbalordito) Perché?!

Sonia

(non lo sa, e non sa rispondere.)

Ulrico

(immobile, la guarda.)

[133]

Sonia

(come se pregasse per ottenere indulgenza, insiste:) Stasera, no!

Ulrico

(la guarda, la guarda.)

Sipario.



Avvertenza. — Le note del canto; nella pagina 135.

[135]


note del canto di Sonia

[Ascolta]


[137]

TERZO ATTO

Un vestibolo dall'architettura sobria, pulito, bianco, ridente, un po' claustrale, che, per un ampio vano arcuato, aperto nel centro del muro in fondo, comunica con un giardino, non ricco, ma molto alberato. A sinistra una porta che dà accesso all'interno della Casa di Salute. A destra una porta che dà accesso al quartierino abitato da Francesco Floriani. — Dallo stesso lato un tavolino rettangolare e un paio di sedie. Sul tavolino, un registro, l'occorrente per scrivere, un'anfora con qualche fiore, il quadretto della soneria elettrica. Torno torno al vestibolo, come in una sala d'aspetto, una fila di basse scranne. Dalla volta pende una lampada elettrica.

[138]

I.

È il meriggio. Luce nel vestibolo. Luce nel giardino. Le ricoverate della Casa di Salute sono in attesa del loro buon Direttore, sedute sulle scranne o in piedi nel vestibolo, nel giardino, sotto l'arco del vano. Donne giovani, donne giovanissime, donne mature. Vestono un modesto ma decoroso abito grigio: una specie di uniforme. Son pettinate con accurata semplicità. Non manca qualche pettinatura piú ricercata o addirittura graziosa. — Alcune ricoverate sono un po' pallide, smunte, avariate. Altre sembrano sane, quasi floride. Cinque o sei restano appartate, in una tensione bisbetica, rivelata da qualche gesto, da qualche smorfia, o in una sincera tranquillità. — La piú tranquilla è Sonia Zarowska, mite nel viso, piú appartata di tutte, con l'occhio tranquillamente estraneo.

[139]

Suora Marta

(è ritta, in un angolo, oculata, non rigida, non severa.)

(Un vispo chiacchierio fiorisce tra le piú gaie, che formano un gruppo in primo piano:)

— Veramente?

— Da chi l'hai saputo?

— L'ho saputo da lei stessa in un momento in cui pareva trasognata.

— Ballerina, dunque? Ballerina!

— Ballerina, no. Non credo.

— A me piacerebbe di essere una ballerina!

— Meglio attrice, poi, come me... (Declamando:)

Non vuoi col brando uccidermi e coi detti

Mi uccidi, intanto?

— Stai zitta! E non venderci le solite fandonie! Non sei mai stata attrice, tu.

— E lei, se non era ballerina, perché danzava?

— Questo è il mistero!

— Chi sa che danza faceva!

— Caruccia me la figuro nella danza, con quel suo corpo di ninfa amorosa!

[140] — Se la pregassimo di danzare?

— Si rifiuterebbe.

— Tentiamo!

— Tentiamo!

Una del gruppo

(la piú ardita — si avvicina, d'un tratto, imprudentemente, a Sonia.) Avresti la cortesia, piccola buona, di mostrarci come danzavi?

Sonia

(con un sussulto e con un gesto di orrore) Oh!...

Suora Marta

Non le date retta, Sonia Zarowska!

La piú audace.

Almeno una volta, vogliamo vederla danzare, Suora Marta!

(Animazione generale.)

— Sí, sí, vogliamo vederla danzare!

— Vogliamo vederla danzare!

[141]

Quasi tutte

(l'assediano.)

— Sonia! Sonia!

— Piccola buona!

— Solamente una volta!

— Solamente un poco!

— Suvvia!

— Un poco poco!

— Ce ne accontentiamo!

Sonia

No! No! No! No! (Come a schivare l'insistenza, indietreggia e si riduce con la schiena a un muro.)

Suora Marta

(facendosi burbera) Insomma, figliuole! Non è bello che vi sfreniate cosí nell'ora in cui avete piú che mai l'obbligo della disciplina per ascoltare la parola del nostro Direttore.

[142]

II.

(Entra in tempo Francesco Floriani, seguíto da Lorenzo Gemmi: un vecchietto dall'aria signorile, in lutto strettissimo. Sulla sua fisonomia è l'impronta d'una ambascia inesauribile.)

Francesco

(con familiare cordialità) Ma, poiché il vostro Direttore è in ritardo, voi non avete avuto troppo torto se alla disciplina vi siete ribellate. È lui che dà il cattivo esempio.

Sonia

Non è vero.

Tutte

(all'istante, son divenute serie, riguardose, facendo largo al Direttore.)

Sonia

(si è scostata dal muro, ravvivandosi alquanto, rassicurata dalla presenza di lui.)

[143]

Francesco

Sonia Zarowska afferma che non è vero. Evidentemente, con la sua pronta sensibilità, ha intuito che c'è una circostanza a mio discarico. La quale è questa. Mi ha distolto dal quotidiano convegno un fatto che concerne appunto voi e la Casa che vi ospita. E mi è, anzi, grato, oltre che doveroso, darvene conto, in quanto ritengo che ciò varrà a blandirvi il cuore e la mente piú della nostra abituale conversazione. Alla Casa che vi ospita, sostenuta finora dalle mie esigue risorse finanziarie, una piú solida prosperità sarà in avvenire garantita da una generosa elargizione. È il dono d'un uomo elettissimo che fu già un grande amico di quelle tra voi che erano presso di me prima della sua... volontaria scomparsa. (Rivolgendosi a una delle donne per sperimentarne la facoltà mnemonica e quella affettiva) Di chi parlo io, Giulia Vannelli?

Giulia Vannelli

(súbito) Di Paolo Gemmi.

[144]

Francesco

Ve ne ricordate, senza dubbio, rimpiangendolo...

Giulia Vannelli

Era cosí benefico anche lui! cosí degno di starvi accanto!

Francesco

(indagando) E non se ne ricordano egualmente tutte le vostre compagne d'allora?

Alcune

(fanno cenno di sí col capo.)

Un'altra

Sicuro!

Un'altra

Sicuro!

[145]

Un'altra

Con affetto e con reverenza ce ne ricordiamo!

Francesco

(indicando Lorenzo Gemmi) Questi è suo padre.

Lorenzo Gemmi

(che era raccolto in sé stesso, alle spalle di Francesco, ascoltandolo, s'imbarazza ora nel veder convergere sulla propria persona gli sguardi di tutte le Ricoverate incuriosite.)

Francesco

(continuando) È il suo povero padre, che si è affrettato a comunicarmene la lettera testamentaria rinvenuta appena stamane. Dopo d'aver deciso di morire, egli dispose che l'ingente eredità già trasmessagli dall'abnegazione paterna fosse destinata all'opera della quale era stato valido apostolo. Nella medesima lettera — notate — ebbe [146] cura di esprimere la speranza di farsi perdonare da Dio, con quell'estremo atto di carità e di tenerezza, «la folle violazione del maggior dovere d'ogni cristiano»: il dovere, cioè, di aspettare che l'ultima ora sia segnata dai poteri divini. Voi accoglierete religiosamente la generosità la speranza e il monito di Paolo Gemmi. E il suo nome — a cui questo asilo sarà intitolato — voi circonderete d'un culto perenne.

Lorenzo Gemmi

(trattiene le lagrime.)

(Le Donne si piegano in una mesta commozione, Sonia piú di tutte.)

Francesco

Vi vedo commosse. È un dolce suffragio che inviate a quell'anima inquieta.

Lorenzo Gemmi

Vorrei...

[147]

Francesco

Che desiderate, signor Lorenzo?

Lorenzo Gemmi

Vorrei... che l'ispiratrice delle vostre azioni piú nobili fosse informata immediatamente affinché si unisse, nel commemorare il donatore, a queste umili creature.

Francesco

Da qualche tempo, mia moglie non è con me. (Nel suo accento è un recondito spasimo.)

Sonia

(che gli è quasi vicina, lo fissa, con una particolare espressione d'intelligenza.)

Lorenzo Gemmi

(celando una viva sorpresa) Tornerà presto, di certo...

Francesco

Forse, no.

[148]

Lorenzo Gemmi

(discreto nel tono, che quasi protesta) Ella vi è tanto devota!... Vi ama tanto!...

Francesco

Non mai abbastanza si ama, signor Lorenzo!

Lorenzo Gemmi

(rimane soprappensiero.)

Francesco

(alle Donne, tagliando la commozione) E per oggi, mie care, null'altro ho da dirvi. Domani, ve lo prometto, staremo a lungo insieme, e a lungo converseremo. Sicché, rientrate, adesso. Rientrate serenamente per mettervi a lavorare o a leggere come di regola. (Ostentando di celiare) Suora Marta è incaricata di arrabbiarsi se, per caso, non ne avrete voglia. (Alla Suora) Precedetele, precedetele, amica mia. Soltanto il gregge si conduce camminando in coda.

[149]

Suora Marta

(s'inchina e infila l'uscio a sinistra.)

(Tuttead eccezione di Sonias'inchinano anch'esse e, obbedienti, affollandosi presso l'uscio, in ordine perfetto, seguono la Suora.)

Sonia

(è come fermata da una astrazione mentale.)

Francesco

(a Sonia) E voi, non andate?

Sonia

Chi?... Io?... Sí, vado. (Con una vaga titubanza, esce.)

Lorenzo Gemmi

Io vi tolgo l'incomodo, dottore. Provvederemo tra giorni alle pratiche legali per rendere effettiva la donazione.

Francesco

Quando vi piacerà.

[150]

III.

(Giunge Ulrico dal giardino)

Ulrico

(trafelando) Si può?

Francesco

(si volta) Oh, guarda! L'uomo-cometa!

Ulrico

Senza coda.

Francesco

(con disinvoltura non sincera) Avanti! Avanti!... Era tempo che tu tornassi!

Lorenzo Gemmi

(a Francesco) Arrivederci, dunque.

Francesco

Vi accompagno fino al cancello.

[151]

Lorenzo Gemmi

Ma no. Conosco la strada. Vi prego di restare. (Alludendo all'arrivo di Ulrico) Un po' per uno.

Francesco

Per accontentarvi... (Gli stringe le mani con cordiale rispetto.) E non dimenticate la mia venerazione: verso di lui e verso di voi.

Lorenzo Gemmi

Abbiatela tutta per lui, dottore! Io non ne merito.

(Si separano sulla soglia in fondo.)

IV.

Ulrico

(si è gettato a sedere su una panchetta. È stanco, torvo, scarruffato, smagrito. Ha le guance incavate. Ha negli occhi l'incandescenza stramba d'un tizzo ardente su cui si spruzzi, con alterna [152] persistenza, acqua e petrolio. — Il monocolo destinato all'occhio piú guercio gli pende, da un laccio, sul petto.)

Francesco

(osserva la fisonomia di lui. Ne è conturbato. Dissimula, scherzando) E cosí?... Che n'è del programma di ficcare il naso nei fatti miei e d'essere il mio medico cotidiano, all'uso giapponese? Ai primi fiaschi della tua psicoterapia naturalistica, mi hai abbandonato?

Ulrico

Ho dovuto servire il signor me stesso in questi giorni. E sono stati giorni angosciosi.

Francesco

(intuisce, continua a dissimulare.) Tuttora angosciato sei.

Ulrico

Io immagino già la conclusione d'un tuo prevedibile predicozzo. Mi ronzano già nell'orecchio le tue parole: — «Non c'è modo di cavarsela, [153] mio caro Ulrico. Abolisci l'amore, con i suoi tormenti e con i suoi pericoli d'ogni sorta? Caschi dalla padella nella bragia. La femmina a cui ti attacchi sensualmente può lasciarti in asso, o può crepare, o può sparire senza crepare, e allora, nonostante l'abolizione dell'amore, sei anche tu un uomo spacciato!...» (Con sofferente dispetto) Ah, no! Spacciato no, per tutti i diavoli! L'angoscia dei sensi non è meno passeggera d'una cattiva digestione. Lei mi è piaciuta piú delle altre? Me ne piacerà un'altra piú di lei.

La voce della Suora

(si ode di sfuggita) Mi obbligherete a ricorrere al Direttore...

Francesco

(tende lo sguardo verso l'uscio a sinistra. — Indi, prudente, lo chiude)... Sicché?...

Ulrico

Sei nelle nuvole?... Ti disturbo? Sono di troppo? Ho da andarmene? Ho da liberarti della mia presenza?...

[154]

Francesco

Ma, scusa, a che proposito?... Mi è stato tanto gradito il rivederti! Ti ho ricevuto festosamente!... E non ero nelle nuvole quando parlavi. Ero invece attentissimo, e ho compreso quel che dicevi. Ho compreso che sei incappato in un infortunio... a cui non annetti troppa importanza.

Ulrico

... a cui annetto una importanza relativa.

Francesco

Tutto si limita, mi pare, a un episodio, a una parentesi: — le tue dilettazioni di gaudente hanno avuto un arresto momentaneo perché ti è mancata a un tratto Sonia Zarowska. Mi sbaglio?

Ulrico

(stralunando gli occhi) Irreperibile! Assolutamente irreperibile!... Un enigma da far dare [155] la testa nel muro! (Ricorda e racconta:) Mi separo da lei alle nove di sera. Torno alle undici. Entrata libera, come di solito. Illuminazione bianca. Lei, fuori, in giro. Niente di straordinario. Rincaserà tardi? Mi è indifferente. E se non sarà sola, pazienza, me la svignerò, visto o non visto. Nel suo salottino, aspetto un'ora, aspetto due ore, aspetto tre ore. È notte avanzata. Cerco il mio e il suo absinthe. Bevo, ribevo, mi addormento. Mi sveglio all'alba. Lei, ancora fuori. Niente di straordinario. Tuttavia, sono inquieto. Impossibile riaddormentarmi. Fumo, passeggio, apro le finestre, irrompo nel quartierino recondito della padrona, la scuoto nel letto, la strappo dal sonno, le chiedo se dubiti che Sonia abbia preso il volo. La sua risposta è ambigua: «La bionda mi paga giorno per giorno, quindi può andarsene quando vuole.» Dunque, — dico tra me — non è improbabile che se ne sia andata. Ma ritrovo súbito, nel disordine che conosco, la sua biancheria, i suoi abiti, i suoi scarpini, i suoi profumi, i suoi lapis, i suoi cosmetici, e ciò mi rassicura. Ricomincio ad aspettare, con lo sguardo attaccato all'orologio. Il moto delle [156] sfere mi diventa impercettibile. Cosí lento che in non meno di sessanta minuti me ne misura appena uno!... Alle dieci del mattino io sono assalito dal sospetto che Sonia sia stata còlta in flagrante come ladra e messa al fresco. Corro all'ufficio centrale della Questura. Mi appiccico ai funzionari. Li soffoco d'interrogazioni. Il mio sospetto non è punto confermato. Precipito nel buio. E nel buio, senza un barlume che lo attenui, mi do a una caccia affannosa, ininterrotta, vertiginosa, inutile, insensata, che mi stremenzisce, che mi esaurisce. Lo vedi come mi sono ridotto?

Francesco

Lo vedo.

Ulrico

Giorno per giorno, come usava lei, pago la padrona affinché non disponga delle due stanze che lei occupava. Mi reco tutte le sere a visitarle, a guardarle, a sentirle. La sua biancheria, i suoi abiti, i suoi scarpini, i suoi profumi, i suoi lapis, i suoi cosmetici, sono al [157] posto dov'erano, nel medesimo disordine, immobilizzato. Io contemplo e tocco un poco ogni cosa, e bevo gli atomi che se ne distaccano. Non riesco a proibirmelo, ma... ti confesso che ne provo una importuna malinconia. (Gli passa sulle pupille un velo di lagrime inconsapevoli.) Ho ritardato a venire da te... perché avevo ritegno di mostrarmiti in queste condizioni. Oggi, ho superato il ritegno... e sono contento d'essere venuto.

Francesco

(vincendo un'esitazione) Sonia Zarowska è qui.

Ulrico

(con un violento stupore, si alza.) È qui?! È qui, con te?!

Francesco

È nel mio Ricovero, nel mio ospedale.

Ulrico

Ed hai tanto aspettato a dirmelo?!

[158]

Francesco

Mi premeva anzitutto di sapere quale effetto avesse prodotto in te... la dispersione della tua donna. E aggiungo, francamente, che dopo di averlo saputo, se avessi sperato nella possibilità di celarti ch'ella è qui, te lo avrei celato.

Ulrico

Ma come?!... Me lo avresti celato!

Francesco

Te lo avrei celato per scansare lei dai tuoi tentativi di riavvicinamento.

Ulrico

Un'angaria! Una crudeltà!

Francesco

No, Ulrico.

Ulrico

Una crudeltà, sí, una crudeltà da sbirro, una crudeltà da carceriere!

[159]

Francesco

Non avventare di queste sciocchezze, e ascoltami.

Ulrico

Io domando in qual modo si è potuta impigliare nelle tue grinfie! Il tuo indirizzo io non gliel'ho dato. Chi te l'ha condotta? Chi l'ha costretta a recarsi da te?

Francesco

(severo) Se mi ascolti, la tua curiosità sarà soddisfatta.

Ulrico

(stentando a contenere la collera, maltratta il cappello. — Risiede su una seggiola presso il tavolino.)

Francesco

(sedendo poco discosto da lui) Nessuno l'ha costretta. Nessuno l'ha condotta. Si recò da [160] me spontaneamente. Il mio indirizzo, suppongo, lo apprese da un tale che capitò lí, da lei, la sera famosa in cui mi obbligasti a restare in sua compagnia. Costui ebbe agio di leggere la mia carta di visita per un incidente che non ti raccontai perché non era necessario raccontartelo. Quella sera, la pietà, che, sincera e anche soccorrevole, non tardò a succedere in me al disgusto, la riempì d'una intontita ammirazione mista a una specie di caparbia fiducia e ad una esagerata gratitudine.

Ulrico

(con una vivacità comprensiva) Perciò quella sera la trovai eccezionalmente distratta, eccezionalmente sviata!

Francesco

Stammi attento, e non m'interromperei

Ulrico

Ammirazione, fiducia, gratitudine! Tutte cose mai provate da lei!

[161]

Francesco

Mai provate, ne sono convinto come te, ed erano, forse, l'abbozzo vago di una nascitura facoltà mentale. Un che di analogo si riscontra in un bambino il quale abbia notato per la prima volta — che so?... — una fiaccola, un albero, un lembo di mare, un volo di uccello. Ma è ozioso vangare, ora, nel campo delle induzioni. Il fatto è che una mattina — quella, di certo, in cui tu persistevi nell'attesa dopo l'attendere di una notte interminabile — mi si presentò qui in preda a un parossismo straziante. Usciva, indubbiamente, da una lunga orgia. Era satura di alcool. Tra il nero del bistro i suoi occhi incavernati avevano un luccicore vuoto di sguardi. Tra gli avanzi dei colori posticci apparivano le due macchie paonazze degli zigomi accesi e il livido delle labbra gonfie. Contro il letargo che le invadeva le membra lottava in lei come un bisogno di non cedere ad esso; e contro lo scompiglio del suo pensiero semispento lottava la sua volontà fissa di ottenere il mio soccorso. In questa duplice lotta si dibatteva spasimando. Pareva una povera bestiola idrofoba in agonia!

[162]

Ulrico

(soggiogato da quella visione, balbetta:) La volontà fissa di ottenere il soccorso tuo! Perché non quello d'un altro?

Francesco

Perché non un altro le aveva ispirata mai la fiducia a cui ho accennato. L'idea che soltanto io potessi prestarle soccorso era già da lei fermamente acquisita. Oltre di che, ritengo che quel signore dal quale fu letta la mia carta di visita le abbia forniti degli schiarimenti sulla mia professione e sullo scopo di questo Ricovero. Che la demenza cerchi da sé la soglia d'un manicomio è meno insolito di quanto si creda.

Ulrico

(rintuzzando con pervicacia) Sonia Zarowska non era una demente!

Francesco

Era una demente tranquilla, inerte, chiusa nelle forme apatiche della sua corruzione, dei [163] suoi vizi, della sua mania di rubare. Poi, se è vero che un po' di luce sia sopravvenuta a solcare quella sua demenza compatta, appunto questo spiracolo di percezione deve aver mutata la demente tranquilla in una demente agitata, paurosa, impaurita di sé stessa. Ed eccola, in un accesso di agitazione, in una crisi di paura, rivolgersi, anelante, verso il rifugio, verso il manicomio e verso colui del quale conobbe la pietà. (Breve pausa.) Ora, l'agitazione è cessata, ed è cessata la paura. La demente agitata non c'è piú. E non c'è piú, neppure, la demente tranquilla. Il nemico è stato dominato sommergendo in una atmosfera di gentilezze e di caste idealità le losche abitudini contratte, delle quali non si colgono che rare e quasi puerili reminiscenze in qualche parola, in qualche gesto, in qualche atto fugace. Ma non m'illudo che sia la salvezza definitiva. Io temo che il ricordarle vivamente le attrattive ch'ella esercitava su i corrotti e su i corruttori, e su te piú che su gli altri, possa fare in lei ripullulare d'un súbito l'antico veleno non del tutto eliminato. Questa è la ragione per la quale mi sono preoccupato della eventualità [164] che tu la riavvicinassi. Ma, giacché sei rimasto molto impressionato da quanto ti ho esposto, la mia preoccupazione dilegua, e fido in te. Mi prometti di non tentare di riavvicinarla?

Ulrico

(dolorosamente brusco) Non te lo prometto! Non te lo devo promettere!

Francesco

(si percuote un ginocchio, e si leva, infastidito.)

Ulrico

Promettere per non mantenere non sarebbe da galantuomo. E promettere per mantenere, nel caso mio, sarebbe una imbecillità. Riguardo alle mie impressioni, tu hai preso un granchio madornale. Le mie impressioni sono precisamente opposte a quelle che mi hai attribuite. Ciò che mi ha impressionato, ciò che mi ha fatto e mi fa fremere di dolore e di sdegno è [165] che la ostinata stoltezza ideologica, tra cui si aggira la demenza tua, sia riuscita a sconnettere la vita naturale di quella donna e a strappar lei al suo nulla, alla sua pace, alla sua indipendenza, al suo destino — nel quale io mi dissetavo!... Ma, per fortuna, la tua opera è tutt'altro che compiuta. Rilevo questa buona notizia dai tuoi timori. (Ride il suo vecchio riso divenuto piú acre:) Eh eh eh eh!... «L'antico veleno»?!... Parole convenzionali! A chi nuoceva il cosí detto veleno?... Non a lei! Non a nessuno! E a chi nuocerebbe se tornasse a possederla?... A me, intanto, arrecherebbe un gran bene, restituirebbe il bene che ho perduto. E tu mi chiedi che io rinunzii alla speranza che questo si avveri dopo che i tuoi stessi timori mi hanno incitato a sperare?... Non ci rinunzio, no, non ci rinunzio! Io la voglio vedere. Io le voglio parlare. E ti consiglio di astenerti dall'ostacolarmi!

Francesco

(recisamente) Non è inopportuno, Ulrico, che io consigli te di astenerti dal trascendere!

(Un filo di pausa.)

[166]

Ulrico

(quasi pentito — si modera.) Se trascendessi, ne avrei poi un rammarico piú penoso del tuo. Evvia, Francesco! Accontentiamoci un po' reciprocamente. Cediamo un po' tutti e due. Tu accondiscenderai a che io — magari sotto la tua sorveglianza — abbia un colloquio con lei, e, per parte mia, ti garantisco che non mi affaticherò punto a riconquistarla al suo passato. (Traspare ch'egli esprime una temperanza momentanea.) Mi limiterò a interrogarla sulle sue sensazioni attuali, sulle sue intenzioni per l'avvenire, e il risultato di questo colloquio, da cui sarà stimolata la sua sincerità, potrà servire, a guisa di scandaglio, anche a te. Misurerai il valore dei tuoi criterii, la portata dei tuoi metodi. Apprenderai se, dal tuo punto di vista, ella sia già guarita o almeno avviata a guarire o se il mutamento verificatosi non sia che effimero e occasionale. Dovrai riconoscere — ne sono sicuro — l'utilità pratica della tua condiscendenza. E cessiamo di sperperare il nostro tempo, te ne prego! Chiamala!

[167]

Francesco

(paziente, deferente) Io non ho alcun diritto su lei, alcun diritto su te. Ma è incluso nel mio assunto il diritto di proibire che v'incontriate finché ella sarà qui. Tu la vedrai e le parlerai, altrove, senza ambagi d'impegni e di controlli, quando io l'avrò congedata. Non mi ostino a chiederti una rinunzia della quale non sei capace. T'impongo, bensí, una dilazione per non essere il tuo complice.

Ulrico

(levandosi di botto, con allucinata prepotenza) E io ti risparmio di essere il mio complice, poiché basterò io a chiamarla.

Francesco

(adiratamente) Tu abusi dell'ospitalità che ti è concessa! Bada a quello che fai!

Ulrico

(con uno scoppio di stizza che geme di confessione) [168] Hai avuto, a modo tuo, pietà di lei, e non sai averne di me!...

Francesco

(fervido e leale) Ne ho di te, ne ho di te come di lei, a modo mio!

Ulrico

Sí, sí, abuso dell'ospitalità che mi è concessa. E cacciami via, se questo esige la tua pietà!... (Infrenabile, chiama, sbraitando:) Sonia Zarowska! Sonia Zarowska! Sonia Zarowska!

La voce di Sonia

(lontana e vibrante d'immediata sorpresa) Ulrico! Ulrico!

Ulrico

(investendo Francesco) Hai udito come grida il mio nome nonostante il bavaglio della tua tirannia?

[169]

Francesco

(sorgendo con fierezza) Finiscila, adesso! Non tollero piú che tu adoperi un simile linguaggio!

La voce di Suora Marta

(vivacissima) Chiunque sia che vi chiami cosí, restate al vostro posto!

Francesco

(veemente) Lasciatela libera, Suora Marta! Lasciatela andare dove vuole!

Ulrico

(sbraitando piú di prima) Lasciatela libera! Lasciatela libera!

La voce di Sonia

(vicina) Ulrico!...

Francesco

(disdegnoso, a Ulrico) Tu le potrai parlare come meglio ti aggrada. Io non ti sorveglierò! (Fugge per la porta a destra.)

[170]

V.

Sonia

(ancora di dentro) Ulrico! Ulrico!... (Giunge slanciandosi a stringergli le mani.) Ulrico!

Ulrico

(stringendole a lei) Finalmente! Finalmente!...

Sonia

Ti ritrovo? Ti rivedo?...

Ulrico

Mi credevi morto addirittura?

Sonia

Proprio morto di morte non ti credevo.

Ulrico

Mi avevi dimenticato, ecco.

Sonia

Non ti avevo dimenticato.

[171]

Ulrico

Mi pensavi!

Sonia

Ti pensavo, pensando che non esistevi piú.

Ulrico

Ma appena ti ho chiamata, hai sentito berne che tornavo a esistere.

Sonia

Questo ho sentito.

Ulrico

Molta meraviglia?

Sonia

Molta.

Ulrico

Anche molta gioia, se non m'inganno.

[172]

Sonia

Molta.

Ulrico

Non hanno potuto trattenerti dal correre a salutarmi risorto.

Sonia

Non l'hanno potuto.

Ulrico

E perché, dimmi, perché ti pareva che io non esistessi piú?

Sonia

Perché non esisteva piú nessuna delle cose d'allora.

Ulrico

Di allora, cioè di quando?

[173]

Sonia

Di quando si stava cosí spesso insieme.

Ulrico

Tutte sparite, dunque?

Sonia

Tutte sparite.

Ulrico

Da un giorno all'altro?

Sonia

Sparite a poco a poco.

Ulrico

E non le rievochi? Non le rimpiangi?

Sonia

Di tanto in tanto, sí, ma come in sogno.

[174]

Ulrico

(frugando, guardingo) Io credo che ci sia qualcuno che se ne accorge e che ti sgrida.

Sonia

Per esempio, chi?

Ulrico

... Per esempio, Suora Marta, che ti sorveglia continuamente.

Sonia

Non se ne accorge Suora Marta.

Ulrico

(accennando la porta a destra) Oppure se ne accorge lui, che ha la fissazione e la sapienza di scrutare.

Sonia

Nemmeno lui se ne accorge.

[175]

Ulrico

E se, per ipotesi, egli se ne accorgesse?...

Sonia

Si dorrebbe.

Ulrico

E ti toccherebbero, quindi, le durezze della sua severità.

Sonia

Severo, lui?... No, mai!

Ulrico

Non ti assilla, forse, non ti martirizza con i suoi rigori, con le sue costrizioni?

Sonia

No!

Ulrico

Tuttavia, hai l'obbligo d'essergli sottoposta, hai l'obbligo di obbedirgli.

[176]

Sonia

No!

Ulrico

Che tu neghi o non neghi, è certo che qui ti si tiene come in un carcere.

Sonia

No!

Ulrico

Peggio che in un carcere ti si tiene. In un carcere non si perde che la libertà esteriore, mentre qui ti si comanda e ti si spia perfino nel cervello!

Sonia

No!

Ulrico

Io affermo che ne sei stanca! E con me tu fingi, tu fingi, tu mentisci!

[177]

Sonia

No, Ulrico! No! No! No!

Ulrico

(in un muggito di esasperazione — tappandosi gli orecchi con le mani) Ah, sono esecrabili i tuoi «no»! Non farmene udire di piú!

Sonia

(spaventata, si trae indietro. — Resta in pena, sospesa.)

(Un silenzio.)

Ulrico

(scaccia l'ira che lo pervade. Siede. Le parla con una specie di leale remissività.) Riconosco che farnetico. Riconosco che, immaginando costrizioni e martirii, sono in errore. Ma è l'acredine! È la rabbia! È la malignità della rabbia! Ricordo la tua vita d'un tempo non remoto, la ricordo scorrere fluida come un fiume, apportatrice imperturbata di godimenti, tra i [178] rovi e le asperità delle tristezze altrui, degli altrui malori, delle altrui miserie, e in questo ricordare il rimpianto mio, cosí diverso dal tuo, s'inasprisce, si esulcera.

Sonia

(ascolta attentamente.)

Ulrico

In te il rimpianto non è suscettibile di esacerbazioni. È saltuario, scialbo, superficiale, svanente, estraneo al fermento della realtà. «Come in sogno» hai detto, e ti sei espressa con esattezza, poiché, di fatti, ti hanno addormentata nella convinzione che il tuo piccolo mondo d'allora sia sparito per sempre. (Scattando facinoroso) Ma è falso! È falso! La falsità è stato il tuo narcotico!... Esisto io tale qual ero. Lo vedi! Esiste tale qual era tutto ciò che lasciasti! E con la medesima voce con la quale io t'ho chiamata pocanzi, tutto ciò che lasciasti ti ha chiamata e ti chiama!

[179]

Sonia

(ha un lieve fremito. La sua attenzione diviene piú tesa.)

Ulrico

Ti chiamano le tue stanze dove nulla è sparito, dove nulla è mutato dall'ultima sera in cui ne respirasti l'aria iniettata di profumi a te cari e di desiderî; ti chiamano i bizzarri abiti neri che secondavano incantevolmente le seduzioni del tuo corpo serpentino; ti chiamano i fedeli specchi avidi della tua immagine nella ebbrezza della danza; ti chiamano le tue ore senza misura, le tue ore senza albe e senza tramonti, riempite dei tuoi capricci fuori da ogni legge, riempite di abbandoni e di oblii! È tuo, è tuo tutto ciò, ancora tuo, piú tuo di prima. Svegliati, Sonia! Svegliati, e rivivi! Nel sonno che ti avvolge come una cappa di piombo, tu piú non vivi,... tu piú non vivi e non mi fai piú vivere!

[180]

Sonia

(è presa dalle rievocazioni. Le cose di allora le si riavvicinano. Già la sfiora il loro fascino. Le si disegna sul volto un'animazione perplessa. — Interroga, cauta:) Ci sei stato laggiù in questi giorni?

Ulrico

(s'irradia) Non un giorno è trascorso che io non mi ci sia recato. E lungamente ci restavo.

Sonia

Solo solo?

Ulrico

(malinconicamente) Solo solo.

Sonia

Ti piaceva di restarci?

Ulrico

Mi piaceva di soffrire.

[181]

Sonia

Nulla è sparito?

Ulrico

Nulla.

Sonia

Nulla è mutato?

Ulrico

Nulla.

Sonia

(con segretezza) Anch'io rivedrei volentieri le mie stanze, i miei abiti, i miei specchi...

Ulrico

(dissimulando l'emozione che rigurgita) Ti recheresti volentieri laggiù?

Sonia

Soltanto una volta!

[182]

Ulrico

(con subdolo assenso) Soltanto una volta, s'intende! Una fugace visita al passato! Non piú di questo.

Sonia

Non piú di questo.

Ulrico

Io, poi, ti faccio notare che se realmente lo vuoi, non ti sarà troppo difficile.

Sonia

(sottovoce) Non posso.

Ulrico

L'impossibilità è nella tua immaginazione.

Sonia

Non si esce dall'asilo senza il permesso di lui.

Ulrico

Mi hai assicurato che non tiranneggia, che [183] non è severo con te. Gli chiederai il permesso che ritieni indispensabile, e l'otterrai.

Sonia

Per andare laggiù, no, non glielo chiedo! Me ne vergognerei.

Ulrico

Ne farai a meno, ed egli ti assolverà.

Sonia

Mi consigli di uscire di nascosto?

Ulrico

Di tentarlo io ti consiglio.

Sonia

(accesa d'una sinistra reminiscenza) Di nascosto come per rubare?!

Ulrico

Dove salti con la fantasia? Si tratta semplicemente di uno strappo alle consuetudini [184] di clausura. Non è un crimine. Non è un'azione da paragonare a un furto.

Sonia

Sí, ne convengo: un crimine non è.

Ulrico

Dunque, nessun ostacolo, nessun rischio e, soprattutto, nessun rimorso.

Sonia

Tu mi accompagnerai, n'è vero?... Mi devi accompagnare...

Ulrico

È naturale che io t'accompagni.

Sonia

E quando andremo? Quando?

Ulrico

Decidi tu. Non dipende che da te.

[185]

Sonia

Io non so... Io non oso decidere... Forse, oggi stesso potremmo!

Ulrico

(levandosi ebro, esagitato, abbacinato, col respiro mozzo) Ma certamente! Oggi stesso! Oggi stesso!... Perché no?... E non bisogna ritardare!... Egli, a quest'ora, è intento ai suoi studî; la zelante Suora ha avuto l'ordine di risparmiarti il suo zelo; la mia riverita persona si trova già, per caso, a tua disposizione: sarebbe una ingratitudine verso la fortuna non profittare di circostanze cosí favorevoli!

Sonia

(con una esaltazione timorosa e frettolosa) Ebbene, sí! Profittiamone! Profittiamone!... Tu uscirai prima di me... Mi aspetterai alla svolta della strada... Io cercherò di deviare l'attenzione del guardiano... Gli farò credere che si riversa l'acqua dalla fontana, o, meglio, lo pregherò di cogliere per me qualche fiore... Mi è amico: non si negherà... E appena si sarà allontanato [186] dal cancello, io, di corsa, di corsa, a raggiungerti!... Sono contenta, Ulrico, sono tanto contenta! — Vai vai vai vai!

Ulrico

Bada che ti aspetto!... (Si avvia, veloce, sogguardandola un po' diffidente.)

Sonia

(in un lampo di allarme, dà un grido soffocato:) No!

Ulrico

(arrestandosi di colpo) Sonia?!

Sonia

(casca a sedere.)

Ulrico

(accorre) Sonia?!

Sonia

(affaticata, fioca, con negli sguardi e nell'accento una intima solennità) Non mi aspettare... [187] Torna laggiú, se vuoi, ma «solo solo»... come in questi giorni. Io non ci sarò.

Ulrico

(miseramente) Avevi riaperte un poco le ali al volo: le hai richiuse.

Sonia

Laggiú... è il pericolo. Laggiú è la malia dei vizî, la malia del peccato.

Ulrico

(pallidissimo) Parli di peccato?! Parli di vizî?! Due parole che non conoscevi!

Sonia

Furono i miei nemici!

Ulrico

Tu distingui, nella tua vita, i fatti umani a cui si riferiscono le due parole paurose e non tue che hai pronunziate?

[188]

Sonia

(con una istantanea percezione) Li distinguo! Li distinguo! Ero nei vizî e nel peccato. Ora, non piú!

Ulrico

E sei capace, in coscienza, di odiarli? In coscienza sei capace di temerli?

Sonia

Li odio e li temo perché mi benefica l'esserne lontana.

Ulrico

Parole non tue, Sonia! Parole non tue!

Sonia

Lo sento che ne sono beneficata. Lo sento! Non m'inganno!

Ulrico

Cosí ti hanno detto e a te pare che sia.

[189]

Sonia

Io vorrei che tu sapessi capire quello che sento.

Ulrico

Io vorrei che tu me lo facessi capire con parole che fossero veramente tue!

Sonia

(stentando a esprimersi)... È qualche cosa che sta tutta dentro di me: una grande dolcezza dell'anima!

Ulrico

(attonito) Dell'anima!... (Si tortura i capelli con le dita nervose. La sua sensibilità fluttua scompigliata. Il suo pensiero brancola nel vuoto.)

Sonia

(rasserenata, buona, amicale — si leva.) Addio, Ulrico!

[190]

Ulrico

(in un urgente trapasso) Questo addio, Sonia, io lo respingo. (Egli è come colui che sul punto di affogare si rinvigorisce di una suprema energia istintiva per salvarsi.) Lo respingo non per cercare ancora di ricondurti dove si annida il pericolo, non per esortarti ancora a rivivere il passato che hai misconosciuto. Io ti esorto unicamente a non escludermi, a non sacrificarmi, a non distaccarti da me. Eri la donna dei miei piaceri, non sarai piú tale, e non t'inciterò a ridiventarla, non ti biasimerò, non soffrirò. Un'altra donna tu, un altro uomo io. Ti farò abitare una casetta appartata, cheta, gentile, sorridente. Verrò a bussare alla tua porta senza molto insistere, e quando me l'aprirai io te ne sarò grato, e ti terrò compagnia, ci terremo compagnia a vicenda, tu serbandoti come hai imparato a essere, io volendoti sempre piú un bene che non avevo mai immaginato di poterti volere. Questo, questo ti offro, Sonia, con un fervore profondo, e se di ciò che senti nulla è rimasto in te inespresso e inesprimibile, non c'è nessuna ragione, nessuna, per la quale tu debba rifiutare e ridirmi addio.

[191]

Sonia

(è commossa, ma non conquistata. Sulla sua fisonomia si disegna l'implorazione:) Ulrico!...

Ulrico

Rifiuti?... Rifiuti?!... (Prorompendo in un furore cattivo) Ah, non inutilmente ho rimescolato il mistero! (Esce a destra, violento, clamoroso) Vieni, Francesco! Il mio colloquio con Sonia Zarowska è terminato.

Sonia

(in orgasmo) No! Lui, no, te ne supplico! Lui, no!

Ulrico

(di dentro, ancora clamoroso) È necessario che tu venga, e súbito! Vieni! Vieni!

Sonia

(gridando) Ma perché? Ma perché?

[192]

Ulrico

(tornando) I «perché» e i «ma», in un manicomio, fanno cilecca!

VI.

Francesco

(entra — freddo — accigliato — senza guardare.)

Ulrico

(prontamente) Ho bisogno che tu apprenda e che tu giudichi. Ciò che ti dirò è straordinario, è incredibile. Tuttavia, sul mio onore!, non smercio menzogne.

Francesco

Molte cose che a te debbono parere incredibili non sono incredibili. E che tu non smerci menzogne ho la piú ferma persuasione.

Ulrico

In breve. Poiché ella non ha ceduto alle visioni risvegliate in lei dalla prepotenza della [193] mia frenesia e l'ho trovata salda, irremovibile nel suo odio al passato, nella sua volontà di seppellirlo, io le ho sinceramente offerto un avvenire di onestà e di pace, le ho sinceramente promesso di rispettare il suo odio e la sua volontà, le ho sinceramente promesso di volerle bene, di volerle un bene tutto simile a quello che sanno volere a una donna onesta i piú probi degli uomini. Come mi sia accaduto di balzare da un polo all'altro, non me lo domandare. M'imbroglierei a risponderti. Ma mi fulmini Dio o il diavolo se i miei propositi non li ho concepiti e non li ho manifestati in piena lealtà.

Francesco

E lei?

Ulrico

(con un groppo alla gola) Ha rifiutato.

Francesco

Si è lasciata, forse, vincere dalla diffidenza.

[194]

Ulrico

Non dalla diffidenza si è lasciata vincere.

Francesco

Piú che di te, di sé stessa ha diffidato. E non avrebbe dovuto! (A lei) Voi, Sonia, aspettate da me, dal vostro medico, la garanzia della vostra salute morale?... Io non esito a darvela. Voi siete guarita. Ed è un prodigio: — un prodigio non mio. Io non ho fatto che alimentare qualche imprevedibile seme di virtú scorto improvvisamente in voi come nel fondo sconvolto di una piccola bolgia. La guarigione è cosí perfetta che avete potuto resistere all'uomo che piú vi ha desiderata e perfino mutare il suo desiderio... in amore. Egli vi ha promesso di volervi bene. Non ha avuto il coraggio di pronunziare la parola divina. Quel che egli vi ha promesso è piú ampio e migliore. Vi ha promesso di amarvi! E voi, Sonia, lo amerete. Nel vostro corpo strappato agli artigli del vizio e del peccato, un'anima è sorta. Quest'anima è nuova, ed è pura come quella di una adolescente. Dell'amore, dunque, si è [195] dischiusa, nel centro del vostro essere, la piú facile fonte. Il mio buon Ulrico non avrà che da ricercarla.

Sonia

(si è contratta, schiva, ritrosa, con gli occhi bassi.)

Ulrico

(è stato, ed è, intento a sorprenderne le sensazioni.)

(Una breve pausa.)

Francesco

(impassibile, calca, sul tavolino, un bottone della soneria elettrica.)

(Si ode, lievemente, il suono interno.)

Sonia

(ne è tutta percorsa nei nervi.)

Ulrico

(nota quella specie di brivido.)

[196]

VII.

Suora Marta

(entra con sollecitudine) Qualche ordine per me, Direttore?

Francesco

Nessun ordine, Suora. Ho da farvi una comunicazione e da rivolgervi una preghiera. Sonia Zarowska è congedata. Tra pochi minuti non sarà piú nostra ospite.

Sonia

(ha una forte scossa interiore.)

Francesco

(proseguendo) Mi risulta in modo positivo che le sue condizioni psichiche sono tali che le sarebbe superfluo, se non dannoso, costringerla a prolungare la dimora in questo Ricovero. Intanto, mi è impedito di trattenermi con lei per gli ultimi doveri dell'ospitalità. Mi occorre disbrigare molto lavoro, e al piú [197] presto. Voi, Suora, — e questa è la preghiera che vi rivolgo — avrete la cortesia di sostituirmi, come frequentemente desidero. Le sarete accanto col vigile garbo che vi è consueto se ella vorrà salutare le amiche che l'hanno cullata nella loro affezione e la sua cameretta dove per la prima volta ha conosciuto il riposo affrancato dall'insidia. Poi l'accompagnerete fino al cancello del giardino, e lí cederete a Ulrico Nargutta — il quale ne sarà felice — la vostra e la mia prosciolta responsabilità.

Suora Marta

Sta benissimo.

Sonia

(si è curvata nella schiena, simile a un giunco colpito dalla grandine. Il capo le pende in avanti. I suoi occhi, aperti e soffusi di cupezza, non hanno piú battito di ciglia.)

Ulrico

(attraverso lo sconforto, non cessa un attimo di osservarla.)

[198]

Francesco

E voi, che avete, che avete, Sonia? Non deve né attristarvi né avvilirvi il commiato. Deve, invece, rendervi lieta, secura, orgogliosa. Su! Su! Alzate la testa! Alzate la testa con la piú balda lietezza come per una resurrezione, e sia tutto ridente il vostro saluto!

Sonia

(rifugiandosi, a un tratto, presso la Suora) Suora Marta! Suora Marta! Voi siete la madre generosa di noi tutte e a lui, nella generosità, siete sorella. Intercedete voi perché non mi mandi via!

Ulrico

(tagliente) Spetta a me d'intercedere! E sarà una intercessione efficace.

Francesco

(impetuoso) A te spetta di tacere, e tacerai! (Indi a Lei) È inconcepibile che confondiate i provvedimenti suggeritimi da ponderate considerazioni [199] con l'atto di un ostile congedo. Io mi sono proposto di ridonarvi il respiro d'una libertà completa per rafforzare in voi la consapevolezza delle vostre rapide conquiste, della vostra vittoria. Se è per voi troppo nebuloso quel che vi dico, proverò di chiarirvelo.

Sonia

No, non darti piú pena! Sarà di me quello che tu vuoi!... (La cupezza si risolve in lagrime dirotte.) Ti obbedirò.

Francesco

L'obbedienza non l'ho insegnata mai, e non mi piace. Io non ammetto di essere obbedito!

Suora Marta

Queste lagrime, Direttore, chiedono ancora aiuto!

Sonia

Ancora aiuto chiedono, ancora aiuto! La vostra bontà, Suora, lo intende, lo vede. Fate che lo veda la bontà di lui!

[200]

Ulrico

(si abbatte sopra una sedia.)

Francesco

(nonostante una recondita preoccupazione, accondiscende.) Voi sapete, Suora, che spesso mi è di sollievo subordinare le mie decisioni al vostro discernimento. Voi mi consigliate di rinviare il congedo di Sonia Zarowska?

Suora Marta

Mi permetto di consigliarvelo.

Francesco

E sia. Conducetela nella sua camera, e ripetetele bene che rimarrà.

Sonia

(con un recrudescente effluvio di lagrime, si avvinchia a Suora Marta) Tenetemi stretta!... Non mi lasciate!

[201]

Suora Marta

(traendola dolcemente) Non vi lascio, no, figliuola mia!... E cessate di piangere come una bimba sperduta!... Rimarrete. Rimarrete. Il Direttore lo desidera. Non vi si mentisce. Rimarrete...

(Escono.)

VIII.

Ulrico

(pronto, febbricitante, inquisitorio, imponente) E che pensi, adesso, di lei? Parlami, adesso! Che cos'è, a giudizio tuo, quello che in lei abbiamo insieme osservato?

Francesco

(vorrebbe distrigarsi dalla preoccupazione. Non ci riesce. — Finge una certa tranquillità.) A me non è parso di osservare nulla che modificasse l'opinione chiara che ti ho manifestata. Su per giú, siamo lí. «Le sue lagrime chiedono [202] ancora aiuto» ha intuito la Suora. E Sonia Zarowska ha confermato. Non significa, in sostanza, che continua a diffidare di sé?...

Ulrico

(con un preciso gesto del braccio che accentua l'indicazione) L'aiuto, per lei, sei tu! Sempre tu sei! Sempre tu!

Francesco

Perdura il fenomeno cerebrale per cui non può scindere l'idea del soccorso dalla mia persona.

Ulrico

(ricordando con significativa acutezza le parole di Francesco) È sorta un'anima in quel corpo strappato agli artigli del vizio e del peccato — e quell'anima è tua! Ecco il segreto di ciò che accade in lei!

Francesco

(come aggredito) Ma quale assurdità asserisci con codesta fatua pretesa di veggente miracoloso?!

[203]

Ulrico

Non ribellarti e non ti difendere! Nella mia asserzione non è nemmeno l'ombra d'un sospetto che ti accusi. (Levandosi disperato) È tua, solamente tua quell'anima nuova e pura — pura come se fosse di un'adolescente — , perché tu l'hai fatta sorgere, perché da te ne ha lei ricevuto il soffio e l'alimento. Ed io, io, che per lo sperpero quotidiano del suo corpo non provavo ribrezzo, non rancore, non dolore, non il piú lieve morso della gelosia e anzi ne avevo un cinico compiacimento ributtante di cui mi vantavo, ora sono geloso della sua anima, che tu solo possiedi! È una gelosia infinita che non c'è mezzo di placare o di sopire! E sembra una camicia di spine sottili dalle quali si sia ineluttabilmente penetrati fino al midollo!

Francesco

(ambascioso, esortante, fraterno) Ulrico! Ulrico!... Amico mio! Fratello mio!...

[204]

Ulrico

(gettandogli le braccia al collo, dà in una esplosione di pianto puerile.) Della sua anima sono geloso, io, e tu sai, tu sai che non c'è un tormento piú crudele di questo!...

Francesco

Fratello mio!... Fratello mio!...

Sipario.


[205]

QUARTO ATTO

Il vestibolo.

Tra il vespero e la sera. — La lampada è già accesa. Nel giardino va addensandosi la notte. Il lembo di cielo visibile, attraverso il vano, sulle chiome degli alberi, va, man mano, avvivandosi di qualche stella.

I.

(Dall'interno della Casa di Salute si propaga, sommessa, la preghiera dell'Angelus cantata a coro dalle Ricoverate.)

Ulrico e Francesco

(sono seduti presso il tavolino, l'uno di faccia [206] all'altro: tutti e due curvi, oppressi, meditabondi nella acuita ascoltazione che li accomuna.)

La preghiera

(È l'ultima strofa:)

Ancora ancora serbaci, o Signore,

il tuo favore,

d'ogni bene, quaggiú, principio e via.

E cosí sia!

(La melopea si spegne, lasciando nell'aria un'ondulata scia di misticismo.)

(I due amici parlano in un tono di segretezza. Non ne sanno il perché. Non se ne danno ragione.)

Ulrico

La sua voce, l'hai distinta?

Francesco

L'ho distinta, sí.

Ulrico

Anch'io l'ho distinta. E mi ha sorpreso che prettamente modulasse le note d'un canto ascetico [207] quella bocca che sino a qualche mese fa aveva modulate, con esperta lascivia, le note di una danza voluttuosa.

Francesco

Ed era tra tutte le voci la piú carezzevole.

Ulrico

La piú carezzevole e la piú pacata, la piú ferma.

Francesco

Verissimo.

Ulrico

Come spieghi la schietta serenità di lei dopo le emozioni che oggi l'hanno squassata?

Francesco

Ella cantava pregando. E appunto il pregare contribuiva a rasserenarla.

[208]

Ulrico

È diventata cosí mistica, cosí religiosa da trovare la serenità nella preghiera?!

Francesco

È diventata cristiana: — nell'altruismo, le sue aspirazioni; nella temenza di peccare, i suoi spasimi; nella preghiera, il conforto da cui le deriva la serenità.

Ulrico

Converrai che c'è da intontire. Un'atea di quella risma!...

Francesco

Un'atea, no. Non una credente, ma nemmeno un'atea. L'ateismo è un convincimento. Ed è una forza, giacché un convincimento è sempre una forza. Ella non recava in sé nessuna forza, non c'era in lei che una psichica inferiorità, una fiacchezza ignara che vagava e si smarriva nella sua ignoranza. Mi è stato [209] agevole, per questo, fare di lei la piú religiosa delle mie Ricoverate. L'ignoranza dei deboli è un gran vuoto che aspetta d'essere riempito e che la religione può senza fatica riempire.

Ulrico

(ha la mente scompigliata ed esausta, il corpo vinto dalla rilassatezza.) Sarà stato come tu dici! Non discuto... Non ho la capacità di discutere... Del resto, tutto ciò non ha piú alcuna importanza! (Ostenta un gesto noncurante e risolutivo.) Quel che è fatto è fatto! Io ci metto sopra una croce, e la saluto con una voltata di schiena! (Si alza, piglia il cappello.)

Francesco

(impulsivamente) Cos'è? Te ne vai?... Te ne vuoi andare?

(Una pausa.)

Ulrico

(come un infermo abbattuto dalla infermità) Mio caro Francesco, ti ho afflitto, vessato, tormentato [210] senza restrizioni. È tempo che ti liberi. Tu, scusami, dimentica e non ti preoccupare piú di me. Tant'è: sono quasi calmo. L'uragano è dileguato. Lo ha disperso quel supremo pacificatore dei piú gravi cataclismi dell'umanità che è... l'Ineluttabile!... La sola conseguenza che deploro di tutta questa faccenda è che non saprò come impiegare i logori avanzi della mia vita. Ci sarebbe da buttarli via... Ma... vedremo!... Si ha pure da attendere un po' l'impreveduto. Buona notte, Francesco!

Francesco

(alzandosi, rude, imperativo) Ulrico, io non ti permetterò d'allontanarti di qui sinché ci sarà lei.

Ulrico

Non me lo permetterai, perché?

Francesco

Tu la rivedrai! Tu le riparlerai!

Ulrico

E a qual fine?

[211]

Francesco

Per indurla ad amarti, per indurla a seguirti. Non si vince senza combattere. Tu devi vincere!

Ulrico

Queste sono le frasi con cui s'incoraggiano gli eroi delle imprese balorde!

Francesco

Non è mai una impresa balorda l'ostinarsi d'un innamorato nel proposito di farsi amare.

Ulrico

Tutto quello che potevo dirle per farmi amare, io glielo ho detto.

Francesco

Non le hai detto abbastanza. Non hai abbastanza insistito.

Ulrico

La sua indifferenza verso i miei sentimenti, [212] verso la mia persona, è, oramai, insuperabile, e tu lo hai compreso come l'ho compreso io.

Francesco

Il colloquio di oggi è stato troppo brusco, troppo subitaneo, troppo breve, troppo superficiale. Insistere insistere insistere con l'ardente pienezza della tua fiamma nuova! Presto o tardi, il grande amore suscita l'amore!

Ulrico

Non in una donna nella quale l'amore sia già sbocciato con la sua anima stessa!

Francesco

(muggendo sordamente) E dàgli! E dàgli!..

Ulrico

Contro di me ti adiri?!

Francesco

Sono tante scudisciate le tue obiezioni!

[213]

Ulrico

Le mie obiezioni rispecchiano, con esattezza, qualche cosa di cui il tuo acume di scienziato e la tua sensibilità di uomo hanno ben còlta una prova definitiva.

Francesco

(acceso, congestionato) Io mi strapperei il cervello per non pensare d'essere colui che te la toglie! Questo pensiero mi sconvolge, mi terrorizza!

Ulrico

Anche di piú ti sconvolge e ti terrorizza, Francesco, il pensiero che presto o tardi il grande amore suscita l'amore, inquantoché — se proprio credi che ciò sia — non puoi ritenerti inaccessibile a un tale fenomeno.

Francesco

(esaltato di terrore) La tua nefasta gelosia m'impone sempre di piú l'incubo maligno che [214] sorge dall'attaccamento di quella donna! Ma io lo scaccerò! Lo scaccerò come si scaccia il profanatore d'un sacrario! E se non riuscirai tu a farti amare da lei, riuscirò io a farmene odiare! (Si domina. Aduna le idee.)

Ulrico

(inerte, flaccido) Be', non incollerirti di piú. Sono a tua disposizione.

Francesco

Tu sarai ospite mio. E a cominciare da stasera avrai modo di ritentare. Dopo la preghiera dell'Angelus e il raccoglimento che segue, è concessa alle Ricoverate una parentesi di emancipazione affinché esse diano segni espliciti delle loro vicende mentali, dei loro progressi o dei loro regressi. Per Sonia Zarowska è convenuto piú specialmente che la Suora la mandi in giardino se l'aria sia mite. Ciò serve a provarle che merita d'essere trattata come una persona normale e a deviarla dalla tendenza che rivela per la clausura. Oltre di che, sotto il cielo stellato o al chiaro di luna, ella si abbevera [215] di poesia; e la poesia si tramuta, per lo spirito, in ossigeno di bellezza morale. Stasera l'aria è mitissima. In giardino ella sarà tra pochi minuti. Lí, la troverai in condizioni propizie ad ascoltarti. — E adesso vieni con me, buono e paziente. Non sarebbe opportuno che súbito tu t'incontrassi con lei. Bisogna che, in giardino, rimanga un pezzo tutta sola. So quel che dico. Fatti guidare da me.

Ulrico

(con accasciata malinconia) Io il burattino, tu il burattinaio; ma siamo ambedue egualmente grotteschi e miserevoli!

Francesco

(mettendogli, fraterno, una mano sulla nuca) Vieni, vieni, Ulrico! E taci. Non piú sfoghi amari e inutili! Vieni! (Lo conduce via, a destra.)

[216]

II.

(Una strampalata vociferazione anima gradatamente l'atmosfera. Le voci di alcune Ricoverate, in diversi toni e accenti, si succedono e anche si mescolano, dissonanti:)

— Uno due tre quattro cinque...

— Tutti manigoldi! Tutti assassini!

— (una specie di ululato) Aùuu! Aùuu!

— Suora Marta, io sono muta!

— (risate.)

— Oh! che festa! che tempesta!

— (con altisonante slancio declamatorio:)

Non vuoi col brando uccidermi, e coi detti

Mi uccidi, intanto?

— Chi di noi è la piú bella?

— Io!

— Io!

— Io!

Una voce zelante

Andiamo nell'altra sala a chiassare! E sarà [217] bene chiudere la porta!... È serata bisbetica. Se il Direttore ci sente!...

(La piccola gazzarra gaia e tragica si allontana.)

— Uno due tre quattro cinque sei...

— Aùuu! Aùuu!

— (declamazione:)

O morte, o morte,

Cui tanto invoco, al mio dolor tu sorda

Sempre sarai?

— Chi di noi è la piú savia?

(Risponde un mugolio corale, in sordina:)

— Sonia Sonia Sonia Sonia Sonia...

(Silenzio.)

III.

(Comparisce Agnese nel giardino. — Indossa un abito semplice e scuro. Un semplice cappellino, che ha un po' la foggia d'una cuffia monacale, le incornicia la fronte senza alterare le linee del volto, perspicue come quelle d'un cammeo.)

[218]

Agnese

(indugia di là dalla soglia. La febbrile premura che la sospinge è contrastata da un sopravvenuto sgomento. Quando ella si decide a varcare la soglia, un leggero capogiro la squilibra e la costringe ad appoggiarsi a uno spigolo del vano.)

(Si avanza Sonia dalla porta a sinistra che si è appena aperta e si è richiusa.)

Sonia

(nel vedere Agnese, si sofferma con un vivo trasalimento.)

Agnese

(riavendosi, se la trova davanti, a molta distanza, in una strana intensa contemplazione, e, memore delle stranezze che fioriscono tra quelle mura, non si meraviglia.)

Sonia

(persiste nel guardarla, trasfigurandosi, e un [219] culminante moto interiore traspare dalla sua trasfigurazione.)

Agnese

(è attirata da quella persistenza, e, facendo qualche passo verso la giovane che le è ignota, la interroga, rinnovando l'antica consuetudine di rivolgere la parola alle Ricoverate con affettuoso interessamento:) Chi siete voi, cara, che tanto mi guardate?

Sonia

Chi sono io?... Come dirtelo?... Sonia Zarowska mi chiamo, ma non sono piú Sonia Zarowska.

Agnese

Ah, no?

Sonia

Sono tutta diversa, ora, dal mio nome.

[220]

Agnese

(le si accosta, correggendola, garbata, suasiva) Il nome non conta. Siete tutta diversa da quella che eravate.

Sonia

(compiacendosi di essere compresa) Da quella che ero, sono diversa.

Agnese

Una seconda esistenza?!

Sonia

Una seconda esistenza. Ne dubiti?

Agnese

Non ne dubito, cara! Non ne dubito. Alcune circostanze della nostra vita producono in noi profondi mutamenti. Dal bene al male, o dal male al bene. Nel caso vostro, io credo, dal male al bene.

[221]

Sonia

Ma non una circostanza della mia vita mi ha mutata. Mi ha mutata Lui. Solamente Lui.

Agnese

Arguisco che il vostro Lui sia l'uomo filantropico e sapiente che vi ha accolta in questo asilo per prendere cura di voi.

Sonia

Sí, quello è il mio Lui!

Agnese

E dunque?... Le azioni buone o cattive che riceviamo non sono appunto le circostanze che piú influiscono su noi e piú ci trasformano?... L'accoglienza da lui concessavi è stata la circostanza che ha prodotto il vostro salutare mutamento.

Sonia

È giusto, è giusto. Hai ragione. Tu parli [222] con sapienza: con la medesima sapienza che ha Lui. Io da ignorante parlo.

Agnese

E mi guardate!... Ancora mi guardate!?

Sonia

Non disdegnare che ti guardo!

Agnese

No, non disdegno. Perché dovrei disdegnare?

Sonia

Sei cosí in alto!

Agnese

Troppo si affretta la vostra immaginazione a illudervi sulla mia persona! Io vivo nel piú umile cantuccio della terra.

Sonia

(irradiandosi d'ammirazione) E non sei forse tu sua moglie?...

[223]

Agnese

(con un sobbalzo) Come lo avete indovinato che sono sua moglie?

Sonia

Non l'ho indovinato. Ti conosco.

Agnese

Non ci siamo incontrate mai prima di stasera.

Sonia

Ti conosco nel tuo ritratto, presso al quale egli lavora e studia, e ti conosco nella costante adorazione ch'egli ha per te.

Agnese

Ammetto, cara, che un mio ritratto veduto presso di lui vi abbia dato qualche indizio; ma che mi conosciate nella sua adorazione non è che una fantasticheria cortese suggeritavi da un estro sibillino. Voi vi compiacete di fare la zingarella lusingatrice.

[224]

Sonia

Che egli ti adori, io lo so! io lo so!

Agnese

Non potete saperlo, mia buona creatura. Egli non può averlo palesato a voi.

Sonia

Io so di saperlo. Quella adorazione, segreta, mi è entrata a poco a poco nel cuore insieme con la sua voce, con i suoi sguardi, col suo fiato, insieme con la sua tristezza. E, triste e sconsolata, quale egli, segretamente, la sentiva, quell'adorazione, segretamente, quasi mia diventava!

Agnese

(presa e attonita) Quasi vostra!?

Sonia

... Tu eri assente. Eri assente e non morta. Dove ti nascondevi?... Perché ti nascondevi?... [225] Se fossi stata degna di ricondurti a lui, mi sarei data a cercarti, a cercarti, e dovunque ti avrei cercata. Ma ecco che, non cercata da nessuno, non ricondotta da nessuno, tu sei qui. Sei tornata, sei tornata quando piú era provvidenziale che tu tornassi. Sei tornata per la tua volontà e per la tua fede, anche piú fedele e piú amorosa e piú devota di come ti fa il tuo ritratto. Che tu sia benedetta!

Agnese

(ha l'impressione d'un incantesimo o d'un miracolo) Sonia Zarowska!... Insomma, chi siete, chi siete, voi? Chi siete realmente, ora, «tutta diversa da quella che eravate»?... E che cosa è questa vostra generosa dolcezza, che mi si è mossa incontro cosí bizzarra, cosí oltre le facoltà umane?

Sonia

(con uno scatto di cruccio allarmato) Ti sembro io una demente?

[226]

Agnese

(sollecita e tenerissima) Oh, no!... Una demente, no! Non è mai demenza l'impulso di confortare, d'incoraggiare, di augurare. E i vostri occhi sono pieni di un pensiero sicuro e sagace, la vostra fronte è rischiarata dalla piú lucida ispirazione... (La trae a sé, e se la stringe al petto.) No, no, mia piccola grande amica misteriosa, voi non mi sembrate e non siete una demente!

Sonia

(rimpicciolendosi nell'abbraccio) Grazie! Grazie!... E non mi dimenticare, te ne prego! Non mi dimenticare!

[227]

IV.

(Irrompono Francesco e Ulricoche si avviavano verso il vestibolo e, dalla stanza attigua, hanno scorto Agnese.)

Francesco

(vibrante di stupore) Tu qui, Agnese!

(Le due donne si staccano l'una dall'altra con simultanea rapidità.)

Sonia

(come trasportata da una raffica, sparisce nella penombra del giardino.)

Francesco e Ulrico

(oltre che dell'arrivo di Agnese, sono stupiti di aver trovate le due donne unite in un amicale abbraccio.)

Agnese

(ansima, ammutolita da una emozione in cui annegano le sue forze.)

[228]

Francesco

... Non una lettera, non un telegramma che mi avvertisse del tuo arrivo! Non un cenno qualunque che me ne facesse intravvedere la probabilità!... Un proposito repentino deve averti spinta a venire proprio all'improvviso.

Agnese

Un proposito non repentino, ma di cui repentinamente ho sentita improrogabile l'attuazione.

Francesco

E, invece di correre da me appena arrivata, ti trattenevi con una estranea?! In una cordialità cosí confidenziale — per colmo di stranezza — che perfino l'abbracciavi!

Agnese

Quella estranea mi è stata preziosa. Il piú gentile, il piú commovente esemplare dell'Incomprensibile!... Mi è apparsa dinanzi estatica [229] quando io giungevo trepidante, scoraggiata. Il ricordo d'un mio ritratto e una specie d'intuito fatidico le hanno fatto súbito riconoscere in me tua moglie. E, come un piccolo angelo protettore, mi ha misteriosamente circondata d'una infantile effusione nella quale sorrideva la fiducia di sollevare il mio spirito e di ricongiungerlo al tuo. Poi, si è costernata sospettando di sembrarmi una demente, e io... l'abbracciavo per chetarla con un segno della mia tenerezza riconoscente.

Francesco

(accorgendosi che Ulrico è rimasto lí, in disparte) Hai udito, Ulrico? Hai udito?

Ulrico

(si ravviva come per un raggio di sole baluginante nel buio) Ho udito, sí!

Francesco

(cui la presenza di Agnese costringe a velare di disinvoltura l'intenzione del richiamo) In [230] rapporto alle apprensioni che hai per Sonia Zarowska, questo episodio ha un significato speciale e rassicurante.

Ulrico

(elettrizzandosi, scoppiettando di giubilo mal represso) Difatti, modifica, anzi... capovolge l'aspetto delle cose! Si direbbe, presso a poco, che io mi sia sbagliato!... Santodio, che logogrifo è il mondo!... Ma tu tralascia, tralascia di badare alle mie miserie. La signora Agnese è venuta, lo sento, a riprendere il suo posto al tuo fianco, nel tuo cuore... Innumerevoli spiegazioni, mi figuro, dovrete scambiarvi... Io, nel frattempo, me ne starò in giardino... a cavare l'oroscopo dal firmamento, e chi sa!... chi sa!... (Ride nervoso, ma senza amarezza:) Eh eh eh eh!... Giornata memorabile, questa, signora Agnese! Memorabile, dal principio alla fine! Eh eh eh eh!... (Esce dal fondo.)

[231]

V.

(Agnese e Francesco si dispongono, agitati, perplessi e pur contenuti, all'imminente colloquio.)

Francesco

Anzitutto, entra. (Indica la porta a destra.) Io non ti consento di rimanere sul limite della casa dove hai il diritto d'entrare, dove ho il dovere di farti entrare.

Agnese

Entrerò, Francesco, ma non súbito. Prima che ci riuniscano — come sarà inevitabile — i nostri diritti e i nostri doveri nella casa comune, bisogna che stiano l'una di fronte all'altra, in un'ora che escluda appunto i vincoli dei doveri e dei diritti, due sincerità indipendenti e complete.

Francesco

La sincerità mia ha sempre aspettata la tua. E l'aspetta piú che mai!

[232]

Agnese

(si smarrisce nella difficoltà di cominciare a esprimersi. Siede.) Purtroppo, non saprò dire. Non troverò le parole adeguate alla decisione di dirti tutto ciò che esigo sia da te approfondito. È un groviglio di sentimenti, di sensazioni e di idee inestricabile, inesprimibile.

Francesco

Non sono infrequenti i casi in cui non dicono abbastanza le parole. Ma io intenderò piú che esse non diranno se tu hai la ferma volontà ch'io intenda. (Le siede dirimpetto, presso il tavolino.) Fídati, Agnese!

Agnese

... Quale errore, quale errore nella mia fuga! Quale errore nel credere che allontanandomi da te mi sarei liberata dai dubbî tortuosi e dalle indagini prepotenti che la tua esaltazione m'infliggeva!... Quei dubbî e quelle indagini mi raggiunsero, mi perseguitarono, mi dominarono, mi avvolsero: divennero come una [233] rete di acciaio in cui la mia anima fosse rimasta impigliata! Non erano piú nelle tue interrogazioni, nei tuoi occhi, nei tuoi silenzi, ed erano — ahimé, peggio! — in ogni attimo del mio pensiero. Io medesima dubitavo. Io medesima indagavo.

Francesco

(autoritario) Dovevi indagare!

Agnese

Non lo dovevo, Francesco, perché saldamente ricordavo che la mia fedeltà era stata cosí intrinseca ai miei istinti femminili da poter fronteggiare imperterrita le insidie delle piú abili seduzioni, l'assalto dei fascini piú possenti. E ricordavo di piú. Ricordavo... che, nonostante le torture che preparavano il nostro distacco, in una ultima parentesi di ardore, io ti avevo tenuto tra le braccia con l'identica dedizione limpida del mio primo abbandono di sposa!... Ma tu mi avevi comunicato il sospetto che l'infedeltà spunti talvolta fuori dei confini nei quali la considera l'umanità semplice [234] alla quale io appartengo; mi avevi comunicata la febbre di scoprire il seme d'una infedeltà mia fuori delle vie che menano al peccato...

Francesco

(interrompendo) Sono vie che restano ignote a una donna come te.

Agnese

E a furia d'indagare e di dubitare, nella solitudine che contribuiva a farmi cedere alla ossessione, a farmi astrarre dalla prova tangibile della mia innocenza, a cacciarmi in una atmosfera fantastica, simile a quella in cui ho veduto vivere qui tante disgraziate che tu soccorri, io finii con l'accusarmi.

Francesco

(divampando) Di che ti accusasti?... Parla! Di che ti accusasti?...

Agnese

Mi accusai d'una profonda inquietudine per [235] la morte d'un uomo che disperatamente l'aveva voluta.

Francesco

(battendo un pugno sul tavolino) Paolo Gemmi!

Agnese

(ribadisce) Paolo Gemmi.

Francesco

(livido — dilatando le pupille, e in un tono di rapace circospezione) Paolo Gemmi ti amava?

Agnese

(con mitezza) Sí, mi amava.

Francesco

Da lui lo apprendesti?!

Agnese

Lo appresi da lui, attraverso la maschera che egli s'imponeva. Nessun uomo che molto [236] ami una donna da cui non sarà mai amato riesce a dissimularle il solitario amore che lo strugge.

Francesco

Tu sospettasti che per questo suo amore egli si fosse ucciso?!

Agnese

Lo sospettai, e mi fu confermato dal padre, che ne aveva raccolto l'estremo respiro.

Francesco

(attanagliandola) Perché lo interrogasti?

Agnese

Io non lo interrogai, ma le sue lagrime di padre mi vollero consapevole.

Francesco

(col fremito irruente d'una imprecazione) Ti vollero consapevole e t'incatenarono immediatamente all'amore del martire!

[237]

Agnese

No, Francesco! Nulla di quanto accadeva in me somigliava alla rievocazione dell'innamorato sparito. Nulla somigliava a un rimorso, a un pentimento, a un rimpianto profferto alla sua memoria. E perciò, anche sotto il martello della tua inquisizione, la mia coscienza permaneva immobile, altera, integra, estranea al lutto inquieto che serbavo. Solamente piú tardi, ti ripeto, solamente piú tardi io potetti accusarmi! Solamente piú tardi, nel mondo irreale, nel mondo della follia che la coscienza mi aveva offuscata lontano da te, lontano dal nido della mia realtà, questo lutto mi parve quasi colpevole! E cominciai da allora a martoriarmi per il martirio di lui, cominciai a compassionare la disperazione che lo aveva travolto, cominciai a trovarmelo dinanzi, in una larva desolata e sommessamente loquace, e le mie stanche veglie e i miei brevi sonni malati si riempivano di panico, di tremore, di lotte...

Francesco

(con l'aspetto e con l'accento di chi subisca i [238] colpi reiterati d'un ferro aguzzo) Ah!... chi mi darà la forza di resistere a queste fitte atroci?!

Agnese

(mutando) Se è vero che ti è possibile intendere piú che le mie parole non dicano, queste fitte saranno cessate fra qualche istante. Cerca di intendere, Francesco, affinché ti sia dato di voltare le spalle a questi fatti che sono cosí effimeri, cosí trascurabili al paragone di quello, solenne, che sto per rivelarti. Il voto, che durante tre anni di unione avevamo nascosto, fervido e pertinace, in una tacita attesa, si era virtualmente compiuto, come per un decreto ammonitore venuto dall'alto proprio alla vigilia della nostra separazione.

Francesco

(in un confuso sbalordimento) Ma che mi racconti, adesso?!

Agnese

Le lotte contro la povera larva del suicida, [239] contro la pietà che ne avevo, contro il suo amore susurrato dalla voce sinistra della morte... furono presto e improvvisamente troncate dalla letizia di un giorno che mi parve il piú luminoso della mia vita!

Francesco

Tu eri madre?!

Agnese

N'ebbi quel giorno la certezza.

Francesco

(con una incipiente esultanza, mescolata al suo travaglio) Agnese!...

Agnese

Cerca di intendere! Cerca di intendere!... Ero madre per te, per te, e dalle viscere materne si diffondeva in tutto il mio essere l'energia sana e trionfante della fedeltà perfetta che l'allucinazione aveva per poco turbata!

[240]

Francesco

Sí, questo io lo intendo, lo intendo...

Agnese

Ebbene, il tuo cuore non mi si riavvicina ancora? Non ancora, non ancora mi promette la pace che merito?

Francesco

Sono in un vortice, Agnese!... Troppe emozioni in una volta!... Ti chiedo in grazia una sosta!...

Agnese

Una sosta, no!... Ho lungamente tardato a recarti l'annunzio in cui tanto speravo, perché lungamente ho temuto di perdere le mie speranze facendoti l'astrusa confessione che Dio mi aveva comandata. Ma poi, a un tratto, sono corsa a rischiare queste speranze presa da una avidità subitanea e sfrenata di vedere la mia sorte, di vedere il mio avvenire, del quale tu [241] sei l'arbitro. E, giacché hai udito la confessione e l'annunzio, io ti chiedo impaziente che parli la sincerità tua come ha parlato la mia. Mi assicuri tu che presso la culla della nostra creatura torneranno a congiungerci tutte le ragioni sublimi che un tempo ci congiunsero?

Francesco

(dilaniandosi, prorompe in un doloroso furore) Io vorrei almeno tacere e non me lo concedi!... Vorrei tacere! Vorrei tacere!... Quel morto mi rende implacabile col suo amore sovrumano ed eterno!

Agnese

(sorge in piedi irata e fiera. Indi, la fierezza e l'ira svaniscono in uno sconforto muto.)

(Un silenzio.)

Francesco

(umiliato, balbetta:) So di offendere l'eroismo della tua confessione degna d'una santa. So di calpestare il dono che la tua virtú mi ha portato. [242] (China la fronte con l'umiltà d'un peccatore cosciente davanti ad un altare.) So... di essere abominevole!

(Sonia sguscia di tra gli alberi del giardino; e, nelle pieghe della foschia, resta a origliare. — Ulrico, non visto da lei, la segue, sorvegliandola.)

Agnese

...

(assorta nella sua disillusione, lentamente scandisce:) Sicché: questa la mia sorte, questo il mio avvenire! Accanto a te, senza di te!... Mi rassegnerò. (Scrolla il capo triste.) Ed ecco: entro nella casa «dove ho il diritto di entrare, dove hai il dovere di farmi entrare». (Esce a destra — ammantata di dignitosa tristezza.)

[243]

VI.

Francesco

(è tuttora seduto, concentrato nella umiliazione, il mento sul petto, lo sguardo a terra.)

Ulrico

(acquattandosi, sparisce dietro il fogliame.)

Sonia

(si avanza piano, insicura dei suoi passi, con nella fisonomia una incisa espressione di compatimento soccorrevole. Vicino a lui, s'inginocchia, unendo palma a palma, in un gesto supplice.)

Francesco

(ne ha un urto e un brivido. Si rizza, scostandosi.) Che fate voi in codesto atteggiamento?!

Sonia

Imploro!

[244]

Francesco

Implorate che cosa?

Sonia

Nulla per me.

Francesco

E allora nulla avete da implorare!

Sonia

Non l'hai vista infelice? E non sei tu anche piú infelice di lei?... Da te imploro ciò che ella ha certamente implorato.

Francesco

Smettete! Alzatevi!

Sonia

(obbediente, si alza.)

[245]

Francesco

E ritiratevi! Mi date molestia!... D'altronde, è l'ora del riposo. Già forse riposano le vostre compagne. Mi spiacerebbe che Suora Marta si incomodasse a cercare di voi. E badate: mai piú implorazioni indiscrete come quella che avete osato di rivolgermi! Tra mia moglie e me, voi non siete nessuna!

Sonia

Non giudicarmi troppo male! Ascoltami!

Francesco

Non c'è bisogno ch'io vi ascolti. Ritiratevi, Sonia! Vi ordino di ritirarvi!

Sonia

Ascoltami! Ascoltami! (Tutta palpiti nella insistenza)... Tu mi hai congedata oggi, dicendomi che ero guarita. Non mi pareva che fosse vero, e t'ho pregato di farmi restare. Ma stasera mi pare vero. Mi accorgo che è vero. Mi [246] sento veramente guarita. E sono pronta a lasciarti. Me ne andrò. Me ne andrò domattina all'alba. E anche súbito potrei andarmene. Per questo, vedi, per questo mi abbrucia il desiderio di saperti incamminato, insieme con lei, verso la gioia, verso la felicità. Se io ne avessi la sicurezza, il mio cuore sarebbe docile e forte, e ti saluterei tranquilla, senza piangere, senza soffrire...

Francesco

(pervaso dalla soavità ch'ella emana, se ne difende, e reagisce con brutale asprezza.) Basta, Sonia! Basta! Basta! Non voglio commuovermi per le vostre ansie inopportune! Non voglio, non voglio piú udire il suono della vostra voce!

Sonia

Perché mi tratti cosí?... Perché mi disprezzi tanto?...

(Un intervallo — doloroso.)

[247]

Francesco

(arrendendosi) Non vi disprezzo. Vi giuro che non vi disprezzo!... Avrei respinta l'inframmettenza d'una sorella come ho respinta la vostra. Io eccedo nel manifestare i miei ritegni, la mia intolleranza. Le parole che mi vengono alle labbra sono convulse, inconsulte, ingiuste. Me ne rammarico. Me ne pento. E, poiché l'affetto che nudrite per me v'impedirebbe di lasciarmi con tranquillità prima di sapermi conciliato con le speranze legittime che hanno qui ricondotto mia moglie, mi piego a rendervi conto di ciò che, in ogni caso, non potrebbe riguardarvi. Vi garantisco, dunque, che, da questo momento, io mi dedicherò a rinsaldare la mia convivenza con lei. Vi garantisco che la nostra felicità coniugale sarà, comunque, ricostruita. Da voi stessa mi è stato mostrato... che m'incalza la necessità di riaggrapparmi, per la mia salvezza, all'unica donna che io debba amare e che abbia il diritto di amarmi!..... Come vedete, dopo che mi avete tante volte immeritamente circondato della vostra riconoscenza, siete voi che meritate la riconoscenza mia...

[248] (La commozione sta per vincerlo.) E adesso, una stretta di mano, e addio!

Sonia

(ebra di sacrificio — in ambo le mani chiude quella che egli le ha stesa.) Addio!

Francesco

(fisandola con gli occhi gonfi di lagrime) Senza piangere...

Sonia

(fisandolo con gli occhi morenti di ebbrezza e di angoscia) Senza piangere.

Francesco

Senza soffrire...

Sonia

Senza soffrire.

(Tutti e due tremano. I loro pallidi volti si avvicinano l'uno all'altro.)

[249]

Francesco

Povera Sonia!... (Ma, ghermito da un fulmineo raccapriccio, si stacca da lei.) No! No! Che orrore!... Via! Via! Via!... Via! (Fugge a destra, guatando indietro.)

VII.

Sonia

(rimane un istante stecchita. Nelle orbite enormi e cupe, le pupille sono come cristallizzate e il bulbo biancheggia d'un biancore gelido. Indi, ella, i piedi attaccati al suolo, si agita dalla cintola in su, boccheggiando, annaspando e sforzandosi di chiamare, col fiato monco:) Ulrico!... Ulrico!...

Ulrico

(è già comparso nel fondo, trascinandosi a stenti. — Sembra un uomo crivellato di ferite, — Egli risponde roco, terribile, sibilante, disperato:) Non mi chiamare, Sonia! Conosco lo strazio che ti soffoca! Ti ho spiata. È uno [250] strazio che a me non chiede che di essere maledetto!

Sonia

Riprendimi! Riprendimi! Puoi riprendermi, ora!... Finalmente, mi ritrovi com'ero!

Ulrico

(nella rapina d'una fiamma frenetica, piomba su lei, l'afferra, la gualcisce, la storce, gridando:) Non cosí, non cosí ti volevo!... È la piú scellerata delle tue crudeltà questa offerta nefanda!

Sonia

(mormora:) Non sono mai stata crudele.

Ulrico

(seguitando a gualcirla, a storcerla, a inveire) Nessuno commette maggiori crudeltà di chi non si sente crudele!

Sonia

(come una moribonda) Puniscimi... Puniscimi...

[251]

Ulrico

(in uno scroscio di pianto che straripa da tutta la sua persona e che ha qualche cosa di selvaggio) Con la mia fine ti punirò — vedrai! — dandoti il rimorso che ti spetta!

(Si spalanca la porta a sinistra.)

Suora Marta

Maria Vergine! Che è questo?!

Ulrico

Venite, venite, Suora Marta! Sorreggetela voi! (Getta tra le braccia amorevoli della Suora il corpo sgretolato di Sonia.) E, soprattutto, sorreggetene l'anima trafitta! Io, vado, invece, a perdere la mia! (Esce a precipizio.)

Suora Marta

Sonia! Sonia!... (Tenendola, incuorandola) [252] Mia buona Sonia! Mia buona figliuola!... Preghiamo il Signore!... Preghiamolo insieme!...

Sonia

(cadendo in deliquio) No, Suora Marta! Non so piú pregare...

Sipario.

FINE.


Avvertenza. — Nella pagina seguente, le note della preghiera corale delle Ricoverate.

[253]

note del coro

CORO: Ancora ancora serbaci o Signore il tuo favore d'ogni bene quaggiù.... principio e via. E così sia. E così sia.

[Ascolta]

 
 


[256]

REMO SANDRON, Editore — Libraio della R. Casa
Milano-Palermo-Napoli-Genova-Bologna-Torino-Firenze


Opere di ROBERTO BRACCO


Edizioni SANDRON

TEATRO:

Volume I. — 4ª EDIZ. RIVEDUTA, in-16, pagg. 372.

Non fare ad altri... Commedia in un atto. — Lui, lei, lui. Commedia in un atto. — Un'avventura di viaggio. Commedia in un atto. — Una donna. Dramma in quattro atti. — Le disilluse. Fiaba in un atto. — Dopo il veglione. Scenette.

Volume II. — 4ª EDIZ. RIVEDUTA, in-16, pagg. 364.

Maschere. Dramma in un atto. — Infedele. Commedia in tre atti. — Il Trionfo. Dramma in quattro atti.

Volume III. — 4ª EDIZ. RIVEDUTA, in-16, pagg. 385.

Don Pietro Caruso. Dramma in un atto. — La fine dell'Amore. Satira in quattro atti. — Fiori d'arancio. Idillio in un atto. — Tragedie dell'Anima. Dramma in tre atti.

Volume IV. — 3ª EDIZ. RIVEDUTA, in-16, pagg. 372.

Il diritto di vivere. Dramma in tre atti. — Uno degli onesti. Commedia in un atto. — Sperduti nel buio. Dramma in tre atti.

Volume V. — 3ª ediz. riveduta, in-16, pagg. 387.

Maternità. Dramma in quattro atti. — Il frutto acerbo. Commedia in tre atti.

Volume VI. — 3ª ediz. riveduta, in-16, pagg. 290.

La piccola fonte. Dramma in quattro atti. — Fotografia senza.... Scherzetto. — Notte di neve. Dramma in un atto. — La chiacchierina. Monologo.

Volume VII. — in-16, pagg. 308.

I fantasmi. Dramma in quattro atti. — Nellina. Dramma in tre atti.

Vol. VIII. — 3ª EDIZ. RIVEDUTA, con una nota dell'Autore e con un'appendice, in 16, pagg. 288.

Il piccolo Santo. Dramma in cinque atti. — Ad armi corte. Commedia in un atto.

Volume IX. — in-16, pagg. 340.

Il perfetto amore. Dialogo in tre atti. — Nemmeno un bacio. Dramma in tre atti e un epilogo.

Volume X. — 2ª edizione, in-16, pagg. 348.

L'internazionale. Commedia in un atto. — L'amante lontano. Dramma in tre atti. — Ll'uocchie cunzacrate. Dramma napoletano in un atto. — La culla. Dramma in un atto.


I PAZZI. Con un preambolo dell'Autore.


VERSI:

Vecchi versetti. — Con prefazione dell'Autore, note dell'editore e glossario.


NOVELLE:

SMORFIE GAIE E SMORFIE TRISTI

Volume 1º SMORFIE TRISTI. Un volume in-16, pagg. 334.

»SMORFIE GAIE. Un volume in-16, pagg. 304.

»LA VITA E LA FAVOLA. Un volume in-16, pagg. 316.

»OMBRE CINESI. Un volume in-16, pagg. 320.


SCRITTI VARII:

Tra i due sessi. — Volume di pagg. 70. — 2ª edizione.


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Tra le Arti e gli Artisti. — Volume di pagg. VIII-390
Tra gli uomini e le cose. — Volume di pagg. 362.


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Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le grafie alternative (dubbi/dubbî/dubbii, vizi/vizî/vizii e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Sono stati corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale):






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both the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and Michael
Hart, the owner of the Project Gutenberg-tm trademark.  Contact the
Foundation as set forth in Section 3 below.

1.F.

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effort to identify, do copyright research on, transcribe and proofread
public domain works in creating the Project Gutenberg-tm
collection.  Despite these efforts, Project Gutenberg-tm electronic
works, and the medium on which they may be stored, may contain
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property infringement, a defective or damaged disk or other medium, a
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LIABILITY, BREACH OF WARRANTY OR BREACH OF CONTRACT EXCEPT THOSE
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that arise directly or indirectly from any of the following which you do
or cause to occur: (a) distribution of this or any Project Gutenberg-tm
work, (b) alteration, modification, or additions or deletions to any
Project Gutenberg-tm work, and (c) any Defect you cause.


Section  2.  Information about the Mission of Project Gutenberg-tm

Project Gutenberg-tm is synonymous with the free distribution of
electronic works in formats readable by the widest variety of computers
including obsolete, old, middle-aged and new computers.  It exists
because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from
people in all walks of life.

Volunteers and financial support to provide volunteers with the
assistance they need, are critical to reaching Project Gutenberg-tm's
goals and ensuring that the Project Gutenberg-tm collection will
remain freely available for generations to come.  In 2001, the Project
Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure
and permanent future for Project Gutenberg-tm and future generations.
To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation
and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4
and the Foundation web page at http://www.pglaf.org.


Section 3.  Information about the Project Gutenberg Literary Archive
Foundation

The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non profit
501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the
state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal
Revenue Service.  The Foundation's EIN or federal tax identification
number is 64-6221541.  Its 501(c)(3) letter is posted at
http://pglaf.org/fundraising.  Contributions to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent
permitted by U.S. federal laws and your state's laws.

The Foundation's principal office is located at 4557 Melan Dr. S.
Fairbanks, AK, 99712., but its volunteers and employees are scattered
throughout numerous locations.  Its business office is located at
809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887, email
business@pglaf.org.  Email contact links and up to date contact
information can be found at the Foundation's web site and official
page at http://pglaf.org

For additional contact information:
     Dr. Gregory B. Newby
     Chief Executive and Director
     gbnewby@pglaf.org


Section 4.  Information about Donations to the Project Gutenberg
Literary Archive Foundation

Project Gutenberg-tm depends upon and cannot survive without wide
spread public support and donations to carry out its mission of
increasing the number of public domain and licensed works that can be
freely distributed in machine readable form accessible by the widest
array of equipment including outdated equipment.  Many small donations
($1 to $5,000) are particularly important to maintaining tax exempt
status with the IRS.

The Foundation is committed to complying with the laws regulating
charities and charitable donations in all 50 states of the United
States.  Compliance requirements are not uniform and it takes a
considerable effort, much paperwork and many fees to meet and keep up
with these requirements.  We do not solicit donations in locations
where we have not received written confirmation of compliance.  To
SEND DONATIONS or determine the status of compliance for any
particular state visit http://pglaf.org

While we cannot and do not solicit contributions from states where we
have not met the solicitation requirements, we know of no prohibition
against accepting unsolicited donations from donors in such states who
approach us with offers to donate.

International donations are gratefully accepted, but we cannot make
any statements concerning tax treatment of donations received from
outside the United States.  U.S. laws alone swamp our small staff.

Please check the Project Gutenberg Web pages for current donation
methods and addresses.  Donations are accepted in a number of other
ways including checks, online payments and credit card donations.
To donate, please visit: http://pglaf.org/donate


Section 5.  General Information About Project Gutenberg-tm electronic
works.

Professor Michael S. Hart is the originator of the Project Gutenberg-tm
concept of a library of electronic works that could be freely shared
with anyone.  For thirty years, he produced and distributed Project
Gutenberg-tm eBooks with only a loose network of volunteer support.


Project Gutenberg-tm eBooks are often created from several printed
editions, all of which are confirmed as Public Domain in the U.S.
unless a copyright notice is included.  Thus, we do not necessarily
keep eBooks in compliance with any particular paper edition.


Most people start at our Web site which has the main PG search facility:

     http://www.gutenberg.org

This Web site includes information about Project Gutenberg-tm,
including how to make donations to the Project Gutenberg Literary
Archive Foundation, how to help produce our new eBooks, and how to
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