The Project Gutenberg eBook of Il costruttore Solness

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Title: Il costruttore Solness

Author: Henrik Ibsen

Translator: Enrico Polese Santarnecchi

Paolo Rindler

Release date: June 23, 2023 [eBook #71027]

Language: Italian

Original publication: Italy: Treves, 1906

Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by The Internet Archive)

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL COSTRUTTORE SOLNESS ***

IL COSTRUTTORE SOLNESS


IL
Costruttore Solness

DRAMMA IN TRE ATTI

DI

ENRICO IBSEN

Traduzione del prof. Paolo Rindler ed Enrico Polese Santarnecchi.

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1906.


Gli editori si riservano i diritti sulla proprietà letteraria, per tutto il Regno d’Italia, Trieste, Trentino, e Canton Ticino.

La recita di questo dramma è assolutamente proibita in Italia a chiunque non ne ottenga il permesso dalla Società Italiana degli Autori, Corso Venezia 4, Milano.

Tip. Fratelli Treves.


PERSONAGGI:

Alcune signore — Popolani.


Luogo dell’azione: la casa del costruttore Solness.


[1]

ATTO PRIMO.

SCENA I.

(Camera da lavoro semplicemente addobbata nella casa del costruttore Solness. Una porta a due battenti, a sinistra conduce nell’anticamera; una porta a destra mette alle camere interne della casa; una porta aperta nella parete in fondo, alla stanza da disegno. Sul proscenio, a sinistra, una scrivania con libri, carte, lettere e l’occorrente per scrivere. Vicino alla porta una stufa. Nell’angolo di destra un divano, un tavolo e due sedie. Sul tavolo una bottiglia d’acqua e un bicchiere. Un tavolo più piccolo con seggiolone e poltrona a dondolo sul proscenio a destra. Lampade da lavoro accese sulla scrivania nella camera da disegno, sul tavolo d’angolo e sullo scrittoio. Nella stanza da disegno siedono Knut Brovik e suo figlio Ragnar, occupati in calcoli di costruzioni; presso lo scrittoio, nella camera da lavoro, Kaja Fosli sta sfogliando il libro mastro. Knut Brovik è un vecchio magro con barba e capelli bianchi, porta un vestito nero un po’ usato, ma pulito. Ha gli occhiali, cravatta bianca un po’ ingiallita. Ragnar Brovik è sulla trentina, biondo, veste bene, con portamento leggermente curvo. Kaja Fosli, è una fanciulla gracile, dall’aspetto delicato, sui vent’anni. Veste con cura; porta un para-occhi verde. Tutti e tre lavorano per un momento in silenzio.)

[2]

Knut Brovik. (si alza repentinamente, come angosciato, dal tavolo da disegno; respira affannosamente avanzandosi verso la porta aperta) In verità, non ne posso più.

Kaja. (avvicinandoglisi) Dunque, ti senti proprio male oggi, zio?

Brovik. Mi sembra che vada peggio di giorno in giorno.

Ragnar. (si è alzato e si avvicina) È meglio che tu vada a casa, caro babbo, e che cerchi di dormire un poco.

Brovik. (di cattivo umore) Andare a letto forse? Vuoi dunque che soffochi addirittura?

Kaja. Allora vai a fare una piccola passeggiata.

Ragnar. Sì, e se vuoi ti accompagnerò.

Brovik. (impetuoso) Non me ne vado se prima non viene qui. Oggi bisogna che alla fine gli parli schietto. Sì (con rabbia repressa) a lui, al principale.

Kaja. (ansiosa) No, zio, no. Aspetta ancora.

Ragnar. È meglio aspettare, babbo!

Brovik. (respira con affanno) Ah, ah! ho proprio tempo di aspettare a lungo io!

Kaja. (tendendo l’orecchio) Silenzio! eccolo, che sale le scale.... (ritornano tutti e tre al lavoro. Breve pausa). (Il costruttore Halvard Solness entra dall’anticamera. È un uomo piuttosto maturo d’anni, sano e robusto, con capelli tagliati corti e ricci, barba a pizzo e sopracciglia scure e folte. Porta una giacca grigia e verde, abbottonata, con collo dritto e larghi risvolti, ha in testa un cappello di feltro grigio, moscio e sotto il braccio un paio di mappe).

[3]

SCENA II. Detti e Solness.

Solness. (sulla soglia, indicando la stanza da disegno, sotto voce) Sono partiti?

Kaja. (sotto voce, scuotendo il capo) No. (depone il para-occhi. Solness attraversa la camera, butta il cappello sopra una sedia, mette la mappe sul tavolo presso il divano e si avvicina di nuovo allo scrittoio. Kaja scrive senza interrompersi, ma sembra nervosa, agitata).

Solness. (ad alta voce) Che cosa sta facendo lei, Signorina Fosli?

Kaja. (spaventata) Oh! non è che una cosa, che...

Solness. Mi lasci vedere, signorina; (si curva sopra di lei per guardare il libro e sussurra) Kaja?

Kaja. (scrivendo, sottovoce) Che cosa?

Solness. Perchè si toglie sempre il para-occhi quando io vengo?

Kaja. (come sopra) Ma, mi rende così brutta!

Solness. (sorridendo) E questo non lo vuole lei Kaja?

Kaja. (alzando gli occhi verso di lui) No, per tutto l’oro del mondo. No, ai suoi occhi.

Solness. (le passa leggermente la mano sui capelli) Povera piccina, povera Kaja.

Kaja. (abbassando la testa) Silenzio, possono sentire qui. (Solness va adagio verso destra, ritorna sui suoi passi e si ferma sulla porta della stanza da disegno)

Solness. C’è stato qualcuno a domandare di me?

Ragnar. (si alza) Sì; i giovani che vogliono far costruire il villino presso Lövstrand.

[4]

Solness. (borbottando) Quelli? Possono aspettare. Non ho ancora nessun progetto in mente.

Ragnar. (più vicino, alquanto esitante) Vorrebbero aver i disegni al più presto possibile.

Solness. (come sopra) Sicuro, questo lo vorrebbero tutti.

Brovik. (alza gli occhi) Sono ansiosi, dicevano, di abitare una casa propria!

Solness. Certo, certo, conosco queste cose. Prendano quel che trovano e come lo trovano. Si facciano costruire un alloggio, una specie di ricovero, ma non una casa. Lasciate che costoro si rivolgano a un altro. Diteglielo se ritornano.

Brovik (si alza gli occhiali sulla fronte e lo guarda meravigliato) Vuol cedere questo lavoro?

Solness. (impaziente) Sì, sì, sì, per Dio! Se assolutamente dev’essere... meglio così, che fabbricare in aria. (con vivacità) Perchè li conosco così poco ancora questa gente.

Brovik. È gente seria; Ragnar li conosce, frequenta la famiglia.

Solness. Seria, seria? Ma non intendo parlar di questo. Dio buono, nemmeno lei mi capisce dunque più, adesso? (con violenza) Non voglio aver da fare con stranieri che non conosco. Per mio conto lasciate che si rivolgano a chi vogliono!

Brovik. (si alza) Parla sul serio?

Solness. (brusco) Certo — Almeno per ora. (attraversa la stanza) (Brovik scambia un’occhiata con Ragnar che fa un gesto di diniego, poi va nell’anticamera)

Brovik. Mi permette dirle due parole?

Solness. Volentieri.

Brovik. (a Kaja) Ritirati nell’altra stanza.

[5]

Kaja. (nervosa) Ma...., no.... zio....

Brovik. Fa come ti ho detto, cara, e chiudi la porta. (Kaja va esitante nella stanza da disegno, guarda Solness ansiosa, con furtivo atto di preghiera e chiude la porta).

SCENA III. Brovik e Solness.

Brovik. (più calmo) Non voglio che i miei poveri ragazzi sappiano quanto sto male.

Solness. Lei ha infatti un aspetto molto abbattuto in questi giorni.

Brovik. Per me la sarà presto finita. Le forze diminuiscono di giorno in giorno...

Solness. Ma si sieda.

Brovik. Grazie.

Solness. (Gli avvicina un poco la poltrona) Qua, mi faccia il piacere. — Ebbene?

Brovik. (si è seduto con fatica) Si tratta di Ragnar. Che cosa intende fare di lui?

Solness. Vostro figlio naturalmente resta presso di me fin che vorrà.

Brovik. Ma è appunto questo che non vuole; egli non può più, così gli pare...

Solness. Ma non è pagato abbastanza qui? Però, se chiedesse di più, non sarei contrario....

Brovik. No, no. Non si tratta di questo. (impaziente) Ma bisogna pure che cominci una buona volta a lavorare per conto proprio, anche lui.

Solness. (senza guardarlo in viso) Crede che Ragnar abbia della capacità?

Brovik. Ecco la terribile questione, è ben questo che [6] mi spaventa. Anch’io ho cominciato a dubitare del giovine. Infatti, non gli ha mai detto che... qualche parola incoraggiante. Eppure, talvolta mi sembra che abbia delle buone disposizioni.

Solness. Ma gli è che non ha imparato nulla, veramente a fondo, tranne del disegno.

Brovik. (lo guarda con segreto odio e dice con voce rauca) Anche lei non aveva imparato gran che dell’arte, quando era al mio servizio. Eppure lei andò innanzi (respira affannosamente) e riuscì ed ottenne più di me.... più di tanti d’altri.

Solness. Ma, così volle il mio destino.

Brovik. Ha ragione. La sorte le fu propizia. Ma per ciò appunto lei non può lasciarmi scendere nella tomba... senza che mi sia dato vedere ciò che vale Ragnar. E poi, vorrei vederli sposati... prima di lasciarli per sempre.

Solness. (ruvido) È lei che vuole forse così?

Brovik. Kaja non tanto, ma Ragnar ne parla sempre e con tutti. (semplicemente) Dovrebbe fargli avere qualche lavoro. Bisogna che io veda qualche cosa fatta da lui.

Solness. (irritato) Ma non posso, per Dio, trovargli le ordinazioni nella luna!

Brovik. Appunto ora potrebbe affidargli un importante lavoro.

Solness. (inquieto, sorpreso) A lui?

Brovik. Se volesse accordare il suo consenso.

Solness. E di che lavoro si tratta?

Brovik. (alquanto esitante) Lo incarichi della costruzione del villino, presso Lövstrand.

Solness. Quello? Ma quello lo costruirò io stesso.

Brovik. Se gliene manca la voglia.

Solness. (impetuoso) La voglia? A me? E chi l’ha detto?

[7]

Brovik. Lo disse lei, poco fa.

Solness. Non dia peso alle mie parole. E lei crede che Ragnar possa costruire il villino?

Brovik. Sì, egli conosce la famiglia. E poi per divertimento, ha fatto dei disegni, un preventivo e tutto quel che...

Solness. E sono contenti dei disegni?

Brovik. Sì, basterebbe che lei volesse rivederli ed approvarli.

Solness. Allora lascierebbero costruire la casa a Ragnar?

Brovik. Sono rimasti assai contenti delle sue idee: riuscirebbe una casa del tutto nuova, secondo loro.

Solness. Ah! nuova? Non di quel rancido ciarpame che soglio far io!

Brovik. Dicevan che riuscirebbe una casa peculiare.

Solness. (reprimendo la stizza) Ah! dunque erano venuti a cercare di Ragnar, qui... mentre io ero assente.

Brovik. Vennero per parlare con lei e per sentire se mai fosse disposto a rinunciare...

Solness. (impetuoso) Rinunciare io?

Brovik. Nel caso trovasse che i disegni di Ragnar...

Solness. Io! ritirarmi davanti a vostro figlio?

Brovik. Rinunciare al contratto.

Solness. Ma ciò è tutt’una. (ride amaramente) Dunque è così? Halvard Solness deve cominciare a ritirarsi per far posto ai più giovani, a dei ragazzi... far posto!... posto... posto...?

Brovik. Vi è posto, mi pare, per più di uno solo al mondo.

Solness. Tanto posto non ve n’è. In ogni modo io non mi ritirerò mai... almeno spontaneamente.

Brovik. (si alza faticosamente) Debbo dunque uscire [8] da questo mondo senza speranza? senza conforto? Senza aver visto una sola opera di lui?

Solness. (voltandosi dall’altra parte) Uhm! non insista.

Brovik. Debbo uscire così miseramente da questa vita?

Solness. (sembra lottare con sè; finalmente dice con voce velata, ma ferma) Lei ha da lasciare la vita come meglio sa e può.

Brovik. E sia. (attraversa la stanza)

Solness. (avvicinandosi a Brovik commosso) Non posso fare altrimenti. Io sono quel che sono e non posso cambiarmi.

Brovik. No, no — lei non lo può (vacilla e si ferma presso la tavola vicino al divano) Mi permette di prendere un bicchiere d’acqua?

Solness. Prego... (versa l’acqua e gli porge il bicchiere)

Brovik. Grazie. (beve e ripone il bicchiere. Solness va ad aprire la porta della stanza da disegno)

SCENA IV. Detti e Ragnar.

Solness. Ragnar, accompagni a casa suo padre. (Ragnar si alza in fretta, e con Kaja entra nello studio)

Ragnar. Che cosa c’è babbo?

Brovik. Dammi il braccio e andiamo.

Ragnar. Sì, e tu pure Kaja, preparati.

Solness. La signorina Fosli deve restar qui ancora un momento; ha da scrivere una lettera.

Brovik. (guarda Solness) Buona notte. Dorma bene se lo può.

[9]

Solness. Buona notte. (Brovik e Ragnar escono per la porta dell’anticamera. Kaja va alla scrivania; Solness con la testa china, sta a destra su la poltrona)

SCENA V. Solness e Kaja.

Kaja. (incerta) È una lettera?

Solness. (breve) Ma che! (la guarda accigliato) Kaja!

Kaja. (impaurita, a mezza voce) Che cosa?

Solness. (con tono di comando) Mi venga vicino.

Kaja. (esitante) Eccomi.

Solness. (come sopra) Più vicino!

Kaja. (ubbidiente) Che vuole da me?

Solness. (la guarda un momento) Debbo ringraziarla di tuttociò?

Kaja. No, no, no, mi creda.

Solness. Sposare... lo vuole sposare?

Kaja. (adagio) Ragnar ed io siamo fidanzati da quattro.... cinque anni.... e quindi....

Solness. E quindi è necessario prendere una risoluzione. Non è così?

Kaja. Ragnar e lo zio dicono che io devo sottomettermi....

Solness. (più mite) Kaja, in fondo, in fondo, lei non vuole bene a Ragnar?

Kaja. Una volta gli volevo bene... molto bene... prima di venir in casa sua.

Solness. Ma ora non più?... affatto?

Kaja. (con passione congiungendo le mani) Ma lo sa che ora non amo che una sola persona; che non posso più voler bene a nessun’altro!

[10]

Solness. Sì e poi mi lascia, mi abbandona.

Kaja. Ma non posso restare presso di lei, se anche Ragnar?...

Solness. (con gesto di diniego) No, ciò è assolutamente impossibile. Se Ragnar si rende indipendente e comincia a lavorare da solo, avrà bisogno di lei.

Kaja. (torcendo le mani) Ah! ma crede ch’io possa separarmi da lei! È impossibile, assolutamente impossibile!

Solness. In tal caso procuri di distogliere Ragnar dalle sue sciocche idee. Lo sposi pure (cambia tono) intendo — faccia in modo che rimanga. Così potrò avere lei pure, cara Kaja.

Kaja. Ah! che bella cosa se si potesse fare così!

Solness. (prendendole con due mani la testa, sussurrando) Perchè non posso stare senza di lei, capisce! voglio averla vicina sempre, lei.

Kaja. (nervosamente ammaliata) Ah! mio Dio!

Solness. (la bacia) Kaja, Kaja.

Kaja. (si getta in ginocchio innanzi a lui) Oh! come è buono con me! come è buono!

SCENA VI. detti e la Signora Solness.

Solness. (violento) Si alzi, si alzi, viene gente, (lo aiuta ad alzarsi; essa vacillando va allo scrittoio. La Signora Solness entra dalla porta a destra. Ha l’aspetto macilento ed afflitto, con le tracce di una bellezza passata, riccioli biondi, elegante, tutta vestita di nero. Parla un po’ piano e con voce lamentosa).

[11]

Sig. Solness. (dalla porta) Halvard!

Solness. (si volta) Ah! sei tu, cara!...

Sig. Solness. (guardando Kaja) T’importuno, almeno pare.

Solness. Niente, affatto. La signorina Fosli deve scrivere una lettera.

Sig. Solness. Ah! sì, lo vedo bene.

Solness. Hai qualcosa da dirmi, Alina?

Sig. Solness. Volevo dirti solamente che c’è di là il Dott. Herdal e se vuoi vederlo...

Solness. (la guarda con sfiducia) Va bene. Ha bisogno urgente di parlare con me?

Sig. Solness. No. Egli è venuto soltanto a farmi visita e ne vorrebbe approfittare per salutarti.

Solness. (ride silenziosamente) Bene, bene. In tal caso pregalo di aspettare un poco.

Sig. Solness. (guardando di nuovo Kaja) Verrai un po’ più tardi, nevvero Halvard? (esce chiudendo la porta)

SCENA VII. Detti, meno la Signora Solness.

Kaja. (sottovoce) Oh, Dio! Dio! La signora certamente penserà male di me.

Solness. Ma che! neppur per sogno. In ogni modo non più del solito. Però, adesso, è meglio che lei se ne vada, Kaja.

Kaja. Sì, sì, subito.

Solness. (severo) E faccia in modo d’accontentarmi. Ha capito?

Kaja. Oh! se non dipendesse che da me...

Solness. Voglio tutto accomodato per domani.

[12]

Kaja. Se non si potrà fare altrimenti, la finirò con lui.

Solness. (con violenza) Finirla con lui, lei vorrebbe?....

Kaja. (disperata) Sì, piuttosto... Perchè io voglio restar presso di lei. Non me ne posso staccare.

Solness. (si alza) Ma per Dio, e Ragnar? Ma se è appunto per Ragnar che io...

Kaja. (lo guarda con occhi spaventati) Che cosa intende dire?... lei dunque vorrebbe col mio mezzo...

Solness. (si riprende) Ah! no, non ci badi. Mi sono spiegato male. (dolce e sottovoce) È lei solamente, lei, che voglio avere qui, da me, a preferenza di chiunque altro. Ed è perciò che lei deve persuadere Ragnar a restare nel suo impiego. Ma ora vada a casa.

Kaja. Sì, sì. Buona notte.

Solness. Buona notte. (trattenendola) Ah! mi dica, sono qui i disegni di Ragnar?

Kaja. Credo; non ho visto che li abbia portati con sè.

Solness. Vada di là e me li porti. Voglio esaminarli un poco.

Kaja. (lieta) Ah, sì, lo faccia.

Solness. Per far piacere a lei, cara Kaja.

Kaja. (Corre nella stanza da disegno, cerca ansiosa nel cassetto, ne estrae una cartella e gliela porta) Ecco qui tutti i disegni.

Solness. Bene, li metta sopra quel tavolo.

Kaja. (li depone) Buona notte dunque. (con atto di preghiera) E pensi a me con bontà e simpatia.

Solness. Ah! questo sempre. Buona notte, cara, piccola Kaja. (guarda di sbieco verso destra) S’affretti, è già tardi.

[13]

SCENA VIII. Detti, il Dottore Herdal e la Signora Solness.

(La signora Solness ed il Dottore Herdal entrano dalla porta di destra. Il Dottore è un uomo attempato, corpulento, dal viso rotondo e allegro, senza barba, ha capelli bianchi, porta gli occhiali d’oro).

Sig. Solness. (sulla porta aperta) Halvard, il dottore non può trattenersi più a lungo.

Solness. Allora entri, entri pure.

Sig. Solness. (a Kaja, che abbassa la lampada dello scrittoio) Ha già terminata la lettera, signorina?

Kaja. (confusa) La lettera?... Sì, era tanto breve!...

Sig. Solness. Infatti doveva essere molto breve, davvero.

Solness. Vi prego, signorina Fosli, di essere qui domattina per tempo.

Kaja. Va bene. Buona notte, signora. (esce per la porta dell’anticamera).

SCENA IX. Detti, meno Kaja.

Sig. Solness. Devi esser ben contento, Halvard, di quella signorina!

Solness. Certamente. Ella riesce in tutto.

Sig. Solness. Lo si vede.

Dott. Herdal. È abile nella contabilità?

Solness. Oh! ha acquistato molto in questi ultimi due anni. E poi è volonterosa e pronta a tutto quello che le si chiede.

[14]

Sig. Solness. Ed è questa una qualità importantissima e piacevole.

Solness. Certo; specialmente quando non si è avvezzi a trovarla in quelli che ci son vicini.

Sig. Solness. (con dolce rimprovero) Lo dici per me, Halvard?

Solness. No, no, cara Alina; scusami.

Sig. Solness. Non c’è di che. Dunque, signor Dottore, tornerà a prendere il the con noi?

Dott. Herdal. Verrò appena avrò finito di visitare i miei malati.

Sig. Solness. Ci conto (esce dalla porta a destra).

SCENA X. Detti, meno la Signora Solness.

Solness. Ha premura, Dottore?

Dott. Herdal. No, affatto.

Solness. Allora possiamo discorrere un poco insieme?

Dott. Herdal. Ben volontieri!

Solness. Sediamoci. (fa sedere il dottore sulla sedia a dondolo e prende posto nella poltrona)

Solness. (con lo sguardo penetrante) Ebbene, dica: ha osservato qualche cosa in Alina?

Dott. Herdal. Ora, mentre era qui?

Solness. Sì; non ha notato in lei qualche cosa?

Dott. Herdal. (sorride) Sì, per bacco, non può sfuggire a nessuno, che sua moglie... hem...

Solness. Ebbene?

Dott. Herdal. Che sua moglie non nutre molta simpatia per quella signorina Fosli.

Solness. Niente altro? Questo l’avevo osservato anch’io.

[15]

Dott. Herdal. E non credo ci sia da farne grandi meraviglie...

Solness. Di che cosa?

Dott. Herdal. Che essa non veda di buon occhio un’altra donna, che le sta vicino tutto il giorno.

Solness. Eh! forse lei ha ragione, ed anche Alina... Ma non si può fare altrimenti.

Dott. Herdal. Non potrebbe prendere un commesso?

Solness. Il primo venuto? Non saprei che farmene.

Dott. Herdal. Ma se sua moglie, debole com’è.... se non potesse continuare a sopportare...

Solness. E allora, tanto peggio. Kaja Fosli deve rimanere in casa mia... ho bisogno di lei, e nessun altro potrebbe prendere il suo posto.

Dott. Herdal. Nessun altro?

Solness. Nessun altro.

Dott. Herdal. (avvicinando la sedia a Solness) Senta, caro signor Solness, posso permettermi una domanda?

Solness. Dica pure.

Dott. Herdal. Le donne, vede, in certe cose hanno un odorato finissimo.

Solness. È vero... E così?

Dott. Herdal. Ora, se sua moglie non può proprio soffrire questa Kaja Fosli...?

Solness. Ebbene?

Dott. Herdal. Questa antipatia poi sarebbe veramente senza alcun motivo?

Solness. (lo guarda e si alza) Oh! oh!

Dott. Herdal. Non se l’abbia a male se insisto per voler sapere se questa antipatia sia giustificata.

Solness. (breve e deciso). No, è ingiustificata.

Dott. Herdal. Dunque non c’è la minima ragione?

Solness. No. In tutto questo non ci è che il carattere sospettoso di mia moglie.

[16]

Dott. Herdal. Io so che lei ha conosciute parecchie donne, caro Solness.

Solness. Non lo nego.

Dott. Herdal. Ed a qualcuna ha voluto molto bene.

Solness. Anche questo è vero.

Dott. Herdal. In questa faccenda della signorina Fosli... non ci sarebbe nulla?

Solness. No. Da parte mia, no...

Dott. Herdal. E da parte di lei?

Solness. Io credo, dottore, che lei non abbia alcun diritto di interrogarmi su questo.

Dott. Herdal. Parliamo dell’odorato di vostra moglie.

Solness. Sia. E quanto a questo... (abbassando la voce) Alina ha assai buon naso, come dice lei.

Dott. Herdal. Ebbene? Che le diceva io?

Solness. (siede) Dottor Herdal, le racconterò una storia strana. Vuol prestarmi attenzione?

Dott. Herdal. Ascolto volentieri le storie strane.

Solness. Si ricorderà forse che presi al mio servizio Knut Brovik e suo figlio, quando il vecchio si trovava assai a mal partito.

Dott. Herdal. Infatti ne ho inteso a parlare.

Solness. Sono due brave ed oneste persone, debbo convenire. Ma ecco che un giorno il giovane Brovik ha l’idea di fidanzarsi. Naturalmente non appena ammogliato incomincerebbe a lavorare da solo. I giovani hanno tutte le stesse aspirazioni.

Dott. Herdal. (ride) Hanno la mania di volersi sposare.

Solness. A me questo non converrebbe, perchè di Ragnar e di suo padre ho bisogno; sì, anche del vecchio. È ottimo nei calcoli sulle resistenze, sul volume e su tutte queste cose noiose.

[17]

Dott. Herdal. Eh! pur troppo ci vogliono anche queste.

Solness. Eh! sì. Ora Ragnar voleva cominciare a lavorare da solo ed io non potevo oppormi.

Dott. Herdal. Ma pure è rimasto con lei.

Solness. Ora sentirà. Un giorno Kaja Fosli venne a trovarli per un affare. Non c’era mai venuta prima. Quando m’accorsi che si amavano, mi venne un’idea. Se posso aver la ragazza, pensai, forse rimarrà anche Ragnar presso di me.

Dott. Herdal. Era un’idea buona.

Solness. Non dissi una parola in proposito, non feci che guardarla... e desiderai con forza di averla qui, vicino a me. Poi scambiai qualche parola con lei, amichevolmente.

Dott. Herdal. E dopo?

Solness. Il giorno dopo verso l’imbrunire, quando il vecchio Brovik e Ragnar erano già andati via, essa tornò, e mi parlò come se tra noi ci fosse stato un accordo.

Dott. Herdal. Un accordo? a proposito di che?

Solness. A proposito di quello che io avevo pensato. Eppure non una sola parola mi era sfuggita.

Dott. Herdal. È davvero strano!

Solness. Essa mi domandò quali sarebbero state le sue occupazioni e se poteva incominciare subito la mattina dopo.

Dott. Herdal. Non crede lei che lo abbia fatto allo scopo di stare col suo fidanzato?

Solness. Anche a me venne in mente questo, in principio; ma no, essa lo ha sfuggito sempre. Ho osservato che essa mi sente quando mi avvicino e che trema tutta appena la guardo. Che cosa ne dice lei?

[18]

Dott. Herdal. Hum! Si può spiegare facilmente.

Solness. Bene, ma il resto? La convinzione di aver sentito dalla mia bocca, ciò che io m’ero accontentato di pensare, di volere... in silenzio, da solo, nel mio interno; può spiegare anche questo, Dottor Herdal?

Dott. Herdal. Non mi credo capace di tanto.

Solness. Me lo figuravo; e per questo non ne ho mai parlato. Ma alla lunga mi pesa, capisce? È un delitto che commetto contro di lei, povera ragazza. (con violenza) Ma non posso altrimenti. Perchè se essa mi va via, perdo anche Ragnar.

Dott. Herdal. E questo non l’ha raccontato mai a sua moglie?

Solness. No!

Dott. Herdal. E perchè mai non lo fa?

Solness. (lo guarda fisso e dice con calma) Perchè mi sembra quasi d’impormi una giusta tortura, una tortura, in certo qual modo, benefica.

Dott. Herdal. (scuotendo il capo) Davvero, che non ci capisco niente.

Solness. Ma veda, in tal modo mi sembra di estinguere in parte, un debito che io ho verso mia moglie.

Dott. Herdal. Verso sua moglie?

Solness. Già, e ciò mi solleva un po’, mi pare quasi di respirare più liberamente.

Dott. Herdal. Lo sa Dio se ne capisco una sola parola...

Solness. (interrompendo bruscamente, torna ad alzarsi) Infatti è meglio che non ne parliamo più. (gira per la stanza, torna indietro e si ferma al tavolo, guarda il dottore sorridendo) Dica, Dottore. Lei ora crede di avermi condotto sulla via delle confessioni?

[19]

Dott. Herdal. (un po’ irritato) Confessioni? Eccomi da capo a non capire niente, signor Solness.

Solness. Ma parli pure liberamente, giacchè me ne sono accorto.

Dott. Herdal. Di che cosa si è accorto?

Solness. (con voce cupa, lentamente) Che lei viene spesso qui, per non perdermi di vista.

Dott. Herdal. Che? io? E perchè dovrei farlo?

Solness. Perchè mi crede... (accalorandosi) Perchè crede di me quello che crede anche Alina!

Dott. Herdal. Ma che cosa crede la signora?

Solness. (dominandosi) Essa comincia a credere che io sia... come devo dire... ammalato.

Dott. Herdal. Ammalato? Non me ne ha mai detto una parola, e di qual malattia, carissimo signor Solness?

Solness. (si curva sulla spalliera e mormora) Alina ha l’idea ch’io sia pazzo.

Dott. Herdal. (si alza) Ma mio caro signor Solness...

Solness. Per l’anima mia, le dico, che è... Dunque l’ha confidato anche a lei? Oh! l’assicuro, dottore, me ne sono accorto subito.

Dott. Herdal. (lo guarda maravigliato) Non mi è mai passata per la testa quest’idea, mai, signor Solness.

Solness. (con riso incredulo) Ah! davvero?

Dott. Herdal. No, mai! E certamente nemmeno a sua moglie. Le posso assicurare...

Solness. È inutile, tanto più che fino ad un certo punto potrebbe anche avere ragione.

Dott. Herdal. Ma per bacco, devo confessare...

Solness. (interrompendo una smorfia) Bene, caro dottore, finiamola. Il meglio è che ciascuno pensi quello che crede (si abbandona ad una silenziosa allegria) Ha capito dottore...?

[20]

Dott. Herdal. Che cosa?

Solness. Se lei... dunque, non crede ch’io sia... ammalato... squilibrato... pazzo.

Dott. Herdal. Perchè dovrei crederlo?

Solness. Lei crederà naturalmente che io sono un uomo molto felice?

Dott. Herdal. E perchè dovrei crederlo solamente?

Solness. (ridendo) Ah! ah! Le pare!... Solness, il costruttore Solness.... Halvard Solness...?

Dott. Herdal. Devo infatti convenire con tutti, che lei è stato favorito grandemente dalla fortuna.

Solness. (reprimendo un mesto sorriso) È vero, non posso lagnarmene.

Dott. Herdal. L’incendio di quel brutto castello fu una vera fortuna per lei.

Solness. (grave) Non dimentichi che per Alina quella fu la distruzione della casa paterna.

Dott. Herdal. Certo per sua moglie deve esser stato un gran dolore.

Solness. Per quanto siano passati dodici anni, essa ne risente ancora.

Dott. Herdal. Quello che ne seguì, fu certo per sua moglie il colpo più doloroso.

Solness. Furono i due colpi riuniti che l’hanno abbattuta.

Dott. Herdal. Ma la sua gloria comincia da quell’epoca. Dopo aver cominciato da povero garzone, eccola adesso il primo dell’arte sua. Davvero, signor Solness, si può dire che la fortuna le è stata propizia.

Solness. (lo guarda spaurito) Ed è appunto questo che mi tormenta tanto.

Dott. Herdal. La tormenta l’esser felice?

Solness. Io temo sempre... perchè bisogna pure che venga il momento della caduta.

[21]

Dott. Herdal. Ma che! chi potrebbe provocarla?

Solness. La gioventù.

Dott. Herdal. Puah! La gioventù? lei gode ancora un gran credito. Forse la sua gloria non fu mai così grande quanto adesso, nè mai così solidamente basata.

Solness. Verrà il momento della caduta. Lo vedo; sento che s’avvicina. Presto qualcuno comincerà a dirmi di ritirarmi. E poi, tutti gli altri mi grideranno: «Posto, posto, posto.» Vedrà, Dottore! Presto verrà la gioventù a bussare alla mia porta.

Dott. Herdal. (sorridendo) Ebbene, e poi?

Solness. E poi? sarà finita per il costruttore Solness. (si batte alla porta di sinistra) (trasalendo) Che cosa c’è? Ha intenso?

SCENA XI. Detti e Hilda.

Dott. Herdal. Qualcuno batte.

Solness. (forte) Avanti. (Hilda Wangel entra dalla porta dell’antisala. È di media statura, slanciata, di fattezze delicate, un po’ annerita dal sole. Porta un costume da touriste, veste un poco corta con colletto alla marinara, un cappello alla marinara in capo. Una piccola borsa a tracolla, un plaid in una cinghia, e un lungo bastone da alpinista.)

Hilda. (si avvicina a Solness con occhi raggianti di gioia) Buona sera.

Solness. (guardandola incerto) Buona sera.

Hilda. (ridendo) Mi par quasi che lei non si ricordi più di me.

[22]

Solness. No — debbo confessare davvero, che così, al momento...

Dott. Herdal. (s’avvicina) Ma la riconosco io, signorina.

Hilda. (allegramente) Come, è lei che...?

Dott. Herdal. Sicuro son io. (a Solness) Noi ci siamo conosciuti quest’estate, lassù, tra i monti. (a Hilda) Che ne è delle altre signorine?

Hilda. Esse hanno continuato il loro cammino verso l’Est.

Dott. Herdal. Esse saranno rimaste scandalizzate del baccano che abbiamo fatto quella sera.

Hilda. Lo credo bene.

Dott. Herdal. (minacciandola col dito) Confessi che lei ha fatto un po’ la civetta con noi!

Hilda. È più divertente che far la calzetta con le vecchie zie!

Dott. Herdal. Sono perfettamente d’accordo con lei.

Solness. È arrivata stasera?

Hilda. Sì, in questo momento.

Dott. Herdal. Tutta sola, signorina Wangel?

Hilda. Certo.

Solness. Wangel? si chiama Wangel?

Hilda. (guardandolo con comica meraviglia) Appunto, col suo permesso.

Solness. Sarebbe forse la figlia del medico del circondario di Lissanger?

Hilda. (come sopra) Ma di chi altro dovrei esser figlia?

Solness. Ah! allora ci siamo incontrati già lassù, l’estate in cui venni a costruire la torre per la vecchia chiesa.

Hilda. (più seria) Sì, fu proprio allora.

Solness. È già un bel pezzo.

[23]

Hilda. (lo guarda fisso) Dieci anni precisi!

Solness. Lei era una bambina.

Hilda. (leggermente) Oh! avevo dieci o dodici anni.

Dott. Herdal. È la prima volta che viene in città, signorina?

Hilda. Certamente.

Solness. E forse non conoscerà nessuno qui?

Hilda. Nessuno, fuorchè lei e sua moglie.

Solness. Ah! conosce anche mia moglie?

Hilda. Assai poco. Siamo state insieme alcuni giorni allo stabilimento in cui essa faceva la sua cura.

Solness. Ah! sui monti.

Hilda. Essa mi ha fatto promettere di venirla a trovare, se mi fossi recata in città. (sorridendo) Del resto non vi era bisogno che m’invitasse.

Solness. Mi stupisce che non me ne abbia detto mai nulla.

Hilda. (mette il bastone accanto alla stufa, si toglie la piccola borsa e la pone sul divano insieme al plaid. Il dottore si prova ad aiutarla. Solness la sta a guardare senza muoversi).

Hilda. (avvicinandosi a Solness) Molto bene. Adesso le domando di tenermi qui questa notte.

Solness. Con gran piacere.

Hilda. È che non ho che i vestiti che mi vede addosso e un po’ di biancheria nel mio zaino. Bisognerebbe anzi farla lavare.

Solness. Oh, sì, penseremo a tutto. Bisogna soltanto ch’io avverta mia moglie.

Dott. Herdal. Io intanto andrò a fare le mie visite.

Solness. Più tardi però tornerà.

Dott. Herdal. (guardando allegramente Hilda) Non dubiti. (ridendo) È stato proprio profeta, signor Solness!

[24]

Solness. Perchè?

Dott. Herdal. La gioventù è venuta a bussare alla sua porta.

Solness. (scherzando) Sì, ma io non l’intendevo così.

Dott. Herdal. Certo, senza dubbio! (via per la porta dell’antisala. Solness apre la porta a destra e chiama nella stanza vicina).

SCENA XII. Solness, Hilda, Signora Solness.

Solness. Alina! fammi il piacere di venire un momento qua. C’è la signorina Wangel che tu conosci. (La signora compare sulla porta).

Sig. Solness. Che cosa dici? (vedendo Hilda) Ah, è lei signorina? (le si avvicina e le dà la mano) Dunque è venuta ora?

Solness. La signorina Wangel è giunta in questo momento e desidera di trattenersi qui la notte.

Sig. Solness. Da noi? Ma ben volentieri.

Solness. Vorrebbe dare un po’ d’assetto alle sue cose, capisci.

Sig. Solness. Procurerò d’aiutarla meglio che so. È il meno che posso fare. Il suo baule, non è ancora arrivato?

Hilda. Non ho baule.

Sig. Solness. In qualche modo aggiusteremo, spero. Ma ora bisogna che lei si contenti della compagnia di mio marito. Vado a prepararle una camera.

Solness. Non potresti darle una delle stanze dei bambini? esse sono perfettamente in ordine.

[25]

Sig. Solness. Oh sì, c’è spazio a sufficienza. (a Hilda) Ora segga, signorina, e si riposi un poco. (esce da destra. Hilda con le mani dietro la schiena gira per la stanza, guardando qua e là. Solness in piedi, vicino al tavolo, con le mani pure dietro la schiena, la segue con lo sguardo).

SCENA XIII. Solness e Hilda.

Hilda. (si ferma e lo guarda) Ci son molte stanze per i bambini?

Solness. Tre.

Hilda. Allora avranno molti figliuoli?

Solness. No, non ne abbiamo. Per adesso farà lei da nostra figlia.

Hilda. Per stanotte, sì. E stia sicuro che non farò rumore: dormirò saporitamente.

Solness. Sarà molto stanca.

Hilda. Oh, no, ma ciò non m’impedisce.... È così bello sognare coricati nel proprio letto.

Solness. Sogna spesso lei?

Hilda. Sì, quasi sempre.

Solness. E che cosa sogna per lo più?

Hilda. Questo, stassera non lo dico. Un’altra volta... forse. (si rimette ad osservare per la stanza, poi si ferma alla sinistra e fruga un poco nei libri e nelle carte).

Solness. (s’avvicina) Cerca qualche cosa?

Hilda. No, guardo. (allontanandosi) Forse non è permesso?

Solness. Oh! prego.

[26]

Hilda. È lei che scrive in questo grosso registro?

Solness. No, la contabile.

Hilda. Una donna?

Solness. (ridendo) Sicuro.

Hilda. Una donna che sta qui con lei?

Solness. Sì.

Hilda. È maritata?

Solness. No, è una signorina.

Hilda. Ah! benissimo.

Solness. Ma probabilmente si sposerà fra poco.

Hilda. Tanto meglio per quella signorina!

Solness. Ma non per me, che non avrò più alcuno che mi aiuti.

Hilda. Non potrà trovarne un’altra?

Solness. Vorrebbe, forse, prendere lei il suo posto?

Hilda. (squadrandolo) Io? No, grazie. (va nuovamente su e giù per la stanza e si siede sulla sedia a dondolo; anche Solness va vicino al tavolo) (continuando) Perchè io ho ben altra cosa a fare. (lo guarda sorridendo) Non le pare anche lei?

Solness. Si capisce. Prima di tutto dovrà andare nei negozi per provvedersi...

Hilda. (allegramente) No, no, non lo potrei neppure.

Solness. Come?

Hilda. Sì, perchè ho speso tutto quanto avevo.

Solness. Dunque non ha nè baule, nè denaro.

Hilda. Ma non me ne importa. Per me è lo stesso, adesso.

Solness. Sa che mi piace lei?

Hilda. Solo questo?

Solness. Questo ed altro. (si siede sulla poltrona) Vive ancora suo padre?

Hilda. Sì, papà vive.

[27]

Solness. E forse lei sarà venuta per studiare qui?

Hilda. No; non ci penso nemmeno.

Solness. Ma vorrà trattenersi qualche tempo, non è vero?

Hilda. Dipende dalle circostanze (breve pausa, durante la quale Hilda continua a dondolarsi sulla sedia e guarda Solness tra il serio ed il faceto. Quindi si toglie il cappello e lo mette davanti a sè sul tavolo).

Hilda. Maestro Solness?

Solness. Ebbene?

Hilda. Lei dimentica facilmente, a quello che pare.

Solness. No, ch’io sappia.

Hilda. Allora non vuole che ritorniamo sul discorso di quel che avvenne lassù?

Solness. (con un moto di attenzione) Lassù a Lissanger? (indifferente) Bah! mi sembra che non ci sia molto da parlare.

Hilda. (lo guarda con aria di rimprovero) Ma che dice?

Solness. Ebbene! Me ne parli lei stessa.

Hilda. Quando la torre fu compiuta fu una gran festa in città.

Solness. Sì, quel giorno non lo dimenticherò mai.

Hilda. (sorride) Veramente? Questa è una gentilezza.

Solness. Una gentilezza?

Hilda. Innanzi alla chiesa suonava la banda e v’erano radunate molte centinaia di persone. Noi ragazze di scuola eravamo tutte vestite di bianco, ed ognuna di noi aveva in mano una banderuola.

Solness. Ah, sì! me ne ricordo!

Hilda. Poi lei, con piede fermo, salì sopra gl’impalcati fino alla cima. Teneva in mano una gran corona, che appese in alto, sul punto più elevato.

[28]

Solness. Era una mia abitudine, una vecchia tradizione.

Hilda. Impressionava di vederla così in alto: «Se cadesse il costruttore» si pensava.

Solness. (seccamente, per troncare il discorso) Sì, questo avrebbe anche potuto accadere, perchè una di quelle indiavolate ragazze vestite di bianco cominciò a urlarmi, fissandomi...

Hilda. (raggiante di gioia) «Evviva il costruttore Solness»? Oh, sì.

Solness. Ed agitò e sventolò la bandiera sì tanto, che poco mancò non mi cogliesse il capogiro.

Hilda. (sottovoce, seria) Quella ragazza indiavolata, ero io.

Solness. (la fissa con gli occhi sbarrati) Ora ne son certo. Deve essere stata proprio lei.

Hilda. (di nuovo con vivacità) Era uno spettacolo così bello, così emozionante! Non avrei mai creduto che in tutto il mondo esistesse un costruttore capace di costruire una torre così alta, e che io potessi vederlo lassù in alto... in carne ed ossa, senza provare il minimo capogiro. Ecco ciò che faceva girare la testa a quelli che guardavano.

Solness. E come mai sapeva lei....

Hilda. (con un gesto di denegazione) Oh! no! Me lo diceva l’animo mio. E altrimenti lei non sarebbe stato certo capace di cantare lassù.

Solness. (la guarda meravigliato) Cantare? io ho cantato?

Hilda. Sì, lei cantò.

Solness. (scuote la testa) Non ho mai cantato una nota in vita mia!

Hilda. Eppure, allora ha cantato! Sembrava che vi fossero delle arpe lassù.

[29]

Solness. (pensieroso). Tutto ciò è strano.

Hilda. (tace un poco guardandolo e dice con voce smorzata) Però l’essenziale è venuto dopo. (con vivacità) Ma questo non credo sia bisogno di ricordarglielo.

Solness. Eppure, se mi ricordasse un poco anche questo...?

Hilda. Non si ricorda del gran banchetto che le fu offerto al circolo?

Solness. Sì, è stato nello stesso pomeriggio, perchè la mattina dopo son partito.

Hilda. Dopo il circolo venne invitato alla sera in casa nostra.

Solness. Precisamente, signorina Wangel. È sorprendente come lei si ricordi di tutte queste inezie.

Hilda. Inezie? Ma lei è curioso; forse fu una inezia quella di trovarmi nella camera quando lei venne?

Solness. Era dunque lei?

Hilda. (senza rispondergli) Allora non mi chiamò: ragazza indiavolata.

Solness. No, mi sarei ben guardato.

Hilda. Mi disse ch’ero bella nel mio abito bianco e che sembravo una piccola principessa?

Solness. Ed era vero, signorina Wangel. E poi mi sentivo quel giorno così contento...

Hilda. E soggiunse ch’io dovevo diventare una vera principessa.

Solness. (ridendo) Anche questo dissi?

Hilda. Sì, l’ha detto. E quando domandai quanto tempo avrei dovuto aspettare, allora mi rispose che sarebbe tornato dopo dieci anni — come l’eroe della leggenda — per rapirmi, per portarmi in Ispagna o altrove. E mi promise di comperarmi là un regno.

[30]

Solness. (come sopra) Dopo un buon pranzo si è generosi. Ma ho detto veramente tutto questo?

Hilda. (ride) Sì, e nominò anche il regno.

Solness. Ed era?

Hilda. Doveva chiamarsi il Regno di melarancia.

Solness. Un nome appetitoso.

Hilda. A me però non piacque affatto. Mi sembrò che volesse prendersi giuoco di me, che volesse scherzare.

Solness. Questa non era la mia intenzione.

Hilda. E infatti non lo si poteva supporre dopo quello che fece poi.

Solness. Che diavolo ho fatto poi?

Hilda. Ha dimenticato anche questo! Eppure tali cose, mi pare, non si dovrebbero dimenticare mai.

Solness. Bene, bene; mi aiuti un po’, forse allora...

Hilda. (lo guarda fisso) Mi prese fra le sue braccia e mi baciò, signor Costruttore Solness.

Solness. (colla bocca spalancata e alzandosi) Io?

Hilda. Sì, lei. Mi strinse con ambe le braccia e mi rovesciò all’indietro e mi baciò, mi baciò molte volte.

Solness. Ma cara signorina Wangel!

Hilda. (si alza) Non vorrà negarlo, spero?

Solness. Oh! lo nego assolutamente.

Hilda. (lo guarda ironicamente) Ah sì? (si volta e si accosta piano alla stufa, dove si ferma, guardando nella direzione opposta a lui, e colle mani dietro la schiena. Breve pausa.)

Solness. (va con precauzione a mettersi vicino a lei) Signorina Wangel?

Hilda. (tace e non si muove)

Solness. Non stia immobile come una statua. Quel che ha raccontato lo deve aver sognato. (mette la mano sul braccio di lei) Ma senta dunque?

[31]

Hilda. (fa un movimento d’impazienza col braccio)

Solness. (come se gli balenasse un’idea) Eppure! Aspetti, aspetti. Qui c’è qualche cosa di più misterioso!

Hilda. (non si muove)

Solness. (a mezza voce, ma accentuando le parole) Debbo aver pensato a tutto questo. Debbo averlo voluto, desiderato. E allora? Non sarebbe per combinazione così?

Hilda. (continua a tacere)

Solness. (impaziente) Ma sì! Allora io l’ho anche fatto!

Hilda. (volta un poco la testa, ma senza guardarlo) Dunque lo ammette ora?

Solness. Sì, tutto quel che vuole.

Hilda. Che mi strinse tra le braccia?

Solness. Sì.

Hilda. Che mi rovesciò all’indietro?

Solness. Molto indietro.

Hilda. E mi baciò?

Solness. Sì, lo feci.

Hilda. Molte volte?

Solness. Quante volte vuole.

Hilda. (si volge rapidamente verso di lui ed ha di nuovo negli occhi l’espressione di gioia) Vede dunque, che ho finito per farglielo confessare?

Solness. (sorride un poco) Ma come ho potuto dimenticare una tale cosa!

Hilda. (di nuovo con leggera collera si allontana da lui) Ah! lei ne avrà baciate tante!

Solness. No, non lo creda... (Hilda si siede sulla poltrona. Solness sta in piedi e si appoggia sulla sedia a dondolo, la guarda con occhio scrutatore) Signorina Wangel?

[32]

Hilda. Ebbene?

Solness. Che cosa è succeduto allora tra noi due?

Hilda. Nulla. Vennero altri forestieri.

Solness. Ma come ho potuto dimenticare?

Hilda. Ah! lei certo non ha scordato nulla. Solo si vergogna un poco. Tali cose non si dimenticano, lo so.

Solness. Certo, non si dovrebbero...

Hilda. (di nuovo con vivacità lo guarda) E la data? Ha dimenticato anche quella?

Solness. La data?

Hilda. Sì, la data del giorno in cui ha sospeso la corona sull’alto della torre? Ebbene?

Solness. Hum! Parola d’onore, non me ne ricordo. So solamente che saranno dieci anni in autunno.

Hilda. (accenna più volte col capo affermativamente) Dieci anni al 19 settembre. Appunto!

Solness. Sì, è proprio così. Anche della data si è ricordata! (si ferma) Ma aspetti! Sicuro — anche oggi è il 19 settembre.

Hilda. Precisamente. E dieci anni sono trascorsi. E lei non è venuto come mi aveva promesso.

Solness. Promesso? Me lo dice come se allora avessi voluto minacciarla, spaventarla...

Hilda. Non c’era nulla da spaventarmi.

Solness. Volevo scherzare solamente un poco. Lei era una bambina.

Hilda. Oh! non tanto, e non tanto ignorante quanto lei crede!

Solness. (la guarda meravigliato) Ha creduto seriamente che sarei tornato?

Hilda. (nasconde un sorriso mezzo motteggiatore) Me l’aveva promesso.

Solness. Che sarei venuto nella casa sua a prenderla?

[33]

Hilda. Come fanno le streghe.

Solness. Per crearla principessa?

Hilda. Me l’aveva promesso!

Solness. Per darle un regno?

Hilda. (guarda il soffitto) E perchè no? Proprio uno splendido regno; non veramente eguale come gli altri regni...

Solness. Ma un’altra cosa che equivalesse?

Hilda. Sì, che almeno valesse altrettanto. (lo guarda un poco) Chi sa costruire le più alte torri del mondo, perchè non può ben procurarmi, in un modo o nell’altro anche un regno? Ecco ciò che pensavo.

Solness. (scuote la testa) Non riesco a comprenderla, signorina Wangel.

Hilda. Eppure parlo chiaro.

Solness. No, non riesco a capire tutto quello che dice lei. Temo che voglia burlarsi ora di me.

Hilda. (sorride) Burlarmi di lei?

Solness. (la guarda) È molto tempo che lei mi sapeva ammogliato?

Hilda. Perchè mi fa questa domanda?

Solness. (indifferente) Nulla, un’idea... (la guarda serio e dice a mezza voce) Perchè è venuta qui?

Hilda. Per avere il mio regno. Non è forse giunto il momento?

Solness. (ride) Ah! lei è divertente in verità.

Hilda. (allegra) Voglio il mio regno, signor costruttore. (bussa col dito sul tavolo) Fuori il regno!

Solness. (accosta la sedia a dondolo e si mette a sedere) Parliamo sul serio: perchè è venuta? Che cosa vuole veramente qui?

Hilda. Oh! prima di tutto voglio vedere la città e tutto quello che lei ha costruito.

[34]

Solness. In tal caso avrà molto da fare.

Hilda. Dunque ha costruito molto, molto?

Solness. E specialmente negli ultimi anni.

Hilda. Anche molti campanili? Molto alti?

Solness. Non costruisco più nè campanili nè chiese.

Hilda. E che cosa costruisce ora?

Solness. Case d’abitazione.

Hilda. (riflettendo) E non si possono aggiungere dei campanili alle case?

Solness. (sorpreso) Che cosa intende dire?

Hilda. Intendo qualcosa che torreggi nell’aria, liberamente, nello spazio, ad un’altezza vertiginosa.

Solness. (medita un poco) È davvero strano che lei mi dica questo: è appunto quello che vorrei sopra tutto.

Hilda. (impaziente) Ma perchè non lo fa?

Solness. (scuote la testa) Gli uomini non vogliono saperne di queste case.

Hilda. E che importa?

Solness. Ma ora sto costruendo una nuova casa per me...

Hilda. Per lei?

Solness. È quasi terminata, ed ha una torre.

Hilda. È alta la torre?

Solness. Sì.

Hilda. Molto alta?

Solness. La gente certo la troverà troppo alta, almeno per una casa d’abitazione.

Hilda. Voglio vedere questa torre subito, domattina.

Solness. (siede col mento appoggiato alla mano, e la guarda con occhi sbarrati) Dica, signorina Wangel, qual’è il suo nome?

Hilda. Mi chiamo Hilda.

Solness. (come sopra) Hilda? Davvero?

[35]

Hilda. Ma non se lo ricorda? Lei stesso mi ha chiamato Hilda, il giorno in cui fu tanto cattivo da...

Solness. Cattivo? Sono stato cattivo?

Hilda. Mi ha detto: «Mia piccola Hilda», e questo mi ha dispiaciuto.

Solness. E perchè?

Hilda. Sì, sopratutto in quel momento. Del resto — «Principessa Hilda» suonerebbe assai bene, mi pare.

Solness. Sicuro, Principessa Hilda di... di... — Come deve chiamarsi il regno?

Hilda. Ah! sciocchezze! di quello stupido regno non voglio saperne.

Solness. (si è abbandonato sulla poltrona e la guarda sempre immobile) È strano! Più ci penso, e più mi pare come se in questi anni io mi sia torturato...

Hilda. Perchè?

Solness. Per ricordarmi una cosa già compiuta e che mi pareva di averla dimenticata. Ma non sono stato mai capace di ricordarmi che cosa potesse essere.

Hilda. Avrebbe dovuto fare un nodo al fazzoletto, signor costruttore.

Solness. Per domandarmi in seguito che cosa significasse il nodo?

Hilda. Sicuro; non mancano i prodigi nel mondo.

Solness. (si alza lentamente) Mi ha fatto bene al cuore la sua venuta.

Hilda. (lo fissa con sguardo profondo) Davvero?

Solness. Mi sentivo così abbandonato e così privo d’aiuto.... (più piano) Le dirò: comincio a temere orribilmente della gioventù.

Hilda. (sprezzante) Puh! Ma è possibile aver paura della gioventù?

[36]

Solness. Sì, proprio. Ecco perchè mi sono rinchiuso qui. (con aria di segreto) La gioventù verrà a bussare alla mia porta, vorrà venire da me.

Hilda. In tal caso mi pare che dovrebbe andare ad aprire la porta.

Solness. Aprire?

Hilda. Sì, e lasciarla entrare.

Solness. No, no, no, la gioventù... è l’espiazione. Essa viene avanti, militando sotto una nuova bandiera.

Hilda. (si alza, lo guardo, e dice con voce tremante) Posso esserle utile in qualche cosa, costruttore?

Solness. Oh! certo ora può essermi utile, perchè anche lei, mi pare, viene con una nuova bandiera. Gioventù, contro gioventù dunque. (il Dottor Herdal entra per la porta dell’anticamera).

SCENA XIV. Detti e Herdal.

Dott. Herdal. Ebbene signorina, ancora qui?

Solness. Abbiamo discorso molto... di cose vecchie e nuove.

Dott. Herdal. Davvero?

Hilda. Oh! è stato molto divertente, perchè il signor costruttore Solness — ha una memoria addirittura fenomenale. Si ricorda di tutto, anche delle più piccole cose. (la signora Solness entra dalla porta a destra)

[37]

SCENA XV. Detti e la Signora Solness.

Sig. Solness. Signorina Wangel, la sua stanza è pronta.

Hilda. Grazie, quanto è gentile!

Solness. (a sua moglie) Una delle stanze dei bambini?

Sig. Solness. Sì, quella di mezzo. Ma, ora andiamo a tavola.

Solness. (accenna col capo a Hilda) Andiamo! Hilda avrà una camera da bambina.

Sig. Solness. (lo guarda) Hilda?

Solness. Sì, la signorina Wangel si chiama Hilda. L’ho conosciuta quand’era bambina.

Sig. Solness. Davvero Halvard? Ma ora vi prego di seguirmi. La tavola è apparecchiata. (prende il braccio del Dottor Herdal, Hilda intanto ha presi i suoi effetti di viaggio)

Hilda. (sottovoce e presto a Solness) È vero quel che m’ha detto? Mi crede buona a qualche cosa?

Solness. (prende dalle mani di Hilda gli effetti da viaggio) Lei è appunto quella che mi mancava.

Hilda. (lo guarda con sicurezza, sorpresa e battendo le mani) Oh! gioia, ora trionfo.

Solness. (interessato) Ebbene?

Hilda. L’ho il mio regno!

Solness. (involontariamente) Hilda?

Hilda. (contraendo le labbra per la commozione) L’ho.... volevo dire quasi l’ho. (esce a destra, Solness la segue)

FINE DELL’ATTO PRIMO.

[38]

ATTO SECONDO.

SCENA I. Solness, Kaja e la Signora Solness.

Una piccola sala, bene addobbata, in casa del costruttore Solness. In fondo una porta a vetri, che dà sulla veranda e sul giardino. A destra in un angolo ottuso, una grande finestra e davanti a questa una giardiniera piena di fiori. A sinistra, in un altro angolo ottuso, una piccola porta.

Sul davanti a destra, una mensola con uno specchio grande e gran copia di fiori e di piante bellamente disposti sul davanti; a sinistra, un sofà con tavolo e sedie; più indietro una scansia di libri.

Avanti alla loggetta, un tavolino e alcune sedie. È mattina, di buon’ora. Il costruttore Solness è seduto al tavolino coi disegni di Ragnar sfogliandone alcuni e guardandoli più attentamente. La signora Solness va intorno pian piano, con un piccolo inaffiatojo, occupandosi dei fiori. È vestita di nero. Il suo cappello, il mantello e l’ombrello stanno sopra una sedia.

Solness la segue di tanto in tanto collo sguardo di sott’occhio, nessuno dei due parla. Kaja Fosli appare piano dalla porta a sinistra.

[39]

Solness. (volge la testa e dice con aria indifferente) Ah, è qui?

Kaja. Volevo dirle soltanto ch’ero venuta.

Solness. Sì, sì, va bene. E Ragnar è di là?

Kaja. No, non ancora, ha dovuto fermarsi in casa per aspettare il medico. Ma verrà subito per domandare se...

Solness. Come va oggi il vecchio?

Kaja. Male. Anzi la prega di volerlo scusare, se sarà obbligato di rimanere in letto tutto il giorno.

Solness. Va bene, stia pure tranquillamente. Ma lei vada ora al suo lavoro.

Kaja. Sì. (si ferma alla porta) Desidera forse di parlare con Ragnar, quando viene?

Solness. No, non ho nulla di particolare da dirgli. (Kaja esce dalla sinistra, Solness continua a sfogliare i disegni, la signora Solness sta sempre vicino alle piante)

SCENA II. Solness e Signora Solness.

Sig. Solness. Chi sa che non morrà pure quello lì...

Solness. (guardandola) Pure quello? E chi altri?

Sig. Solness. (senza rispondere) Ah! sì. Il vecchio Brovik... Morrà presto anche lui. Halvard, vedrai...

Solness. Cara Alina, non vorresti uscire un poco a passeggio?

Sig. Solness. Sì, devo infatti andar fuori (continua a darsi da fare coi fiori)

Solness. (chino sopra i disegni) Dorme ancora?

[40]

Sig. Solness. (guardandolo) Parli della signorina Wangel?

Solness. (con indifferenza) Sì, appunto pensavo a lei in questo momento.

Sig. Solness. La signorina Wangel è alzata da un pezzo.

Solness. Ah, sì?

Sig. Solness. Quando sono entrata da lei, s’accomodava le sue vesti. (va avanti allo specchio e comincia a mettersi adagio il cappello)

Solness. (dopo una breve pausa) E così abbiamo potuto adoperare una delle stanze dei bimbi, Alina?

Sig. Solness. Sì, è vero.

Solness. Il che val meglio, che veder tutto vuoto.

Sig. Solness. Quel vuoto è ben tremendo, hai ragione davvero!

Solness. (chiude la cartella, si alza e le si avvicina) Vedrai Alina che d’ora in poi andrà tutto meglio per noi. La vita scorrerà molto più piacevole, più facile... specialmente per te.

Sig. Solness. (guardandolo) D’ora in poi?

Solness. Sì, credimi, Alina...

Sig. Solness. Dici questo... perchè è venuta lei?

Solness. (contenendosi) No. Penso, ben inteso... alla nostra istallazione nella casa nuova.

Sig. Solness. (prendendo il mantello) Sì? credi Halvard, che andrà meglio nella casa nuova?

Solness. Non ne dubito. E credo che tu, in fondo penserai come me!

Sig. Solness. Non ho fiducia affatto nella casa nuova.

Solness. (irritato) Davvero che non è piacevole per me, di sentire una cosa simile. Perchè infine l’ho [41] costrutta principalmente per te. (vuole aiutarla a mettere il mantello)

Sig. Solness. (rifiutando l’aiuto) Oh! tu fai anche troppo per me.

Solness. (con una certa violenza) No, non parlarmi così, Alina, non posso soffrirlo!

Sig. Solness. Bene; allora non ti dirò più nulla, Halvard.

Solness. Io resto sempre nella mia opinione: ti troverai bene nella nuova casa.

Sig. Solness. Oh Dio? Trovarmi bene, io?

Solness. (vivamente) Certo, certo, sta pur sicura perchè là vedi — là c’è tanto, che ti ricorderà la tua casa paterna.

Sig. Solness. Quella di mio padre e di mia madre — e che bruciò — in una volta!

Solness. (con voce velata) Sì, sì, povera Alina, quello è stato un tremendo colpo per te.

Sig. Solness. (scoppiando in lamenti) Costruisci quante altre case tu vuoi, Halvard. Non ne farai mai una che vada bene per me.

Solness. (andando su e giù) Ebbene, allora, in nome di Dio, non parliamone più.

Sig. Solness. Veramente non abbiamo l’abitudine di parlarne mai. Perchè tu sempre cerchi di evitare....

Solness. (fermandosi ad un tratto a guardarla) Io? E perchè dovrei evitare?

Sig. Solness. Oh! io ti comprendo bene, Halvard. È per mio riguardo. Tu fai il possibile per scusarmi.

Solness. (con occhio stupito) Scusar te, Alina? È proprio di te, che parli?

Sig. Solness. Sì, certo!

[42]

Solness. (involontariamente tra sè) Anche questo!

Sig. Solness. Perchè la vecchia casa... ma mio Dio, ciò che è stato, è stato... Poichè questa disgrazia doveva succedere...

Solness. Sì, hai ragione; contro la fatalità non si può nulla — come si dice.

Sig. Solness. Ma il terribile è, che l’incendio ebbe un seguito! È questo, è questo il più terribile.

Solness. (violentemente) Ma non ci pensare, Alina.

Sig. Solness. Non posso; debbo almeno una volta sfogarmi. Perchè mi pare, che non potrei sopportare più a lungo. E poi non potrò mai perdonare a me stessa!...

Solness. (con impeto) Che dici?

Sig. Solness. Sì, poichè avevo un doppio dovere da compiere, verso di te e verso i bambini. Avrei dovuto essere più forte, non lasciarmi tanto vincere dallo spavento, nè dal dolore per la casa bruciata. (giungendo le mani) Oh! se avessi potuto, Halvard, se avessi potuto!...

Solness. (piano, commosso si avvicina) Alina, devi promettermi di non abbandonarti mai più a tali pensieri... via, te ne prego.

Sig. Solness. Oh Dio, promettere. Si può promettere quel che è possibile!...

Solness. (torcendosi le mani va su e giù per la stanza) Oh! c’è da disperarsi. Mai un raggio di sole! Mai, neppure un poco di luce in questa casa.

Sig. Solness. Ma questa non è una casa, Halvard.

Solness. Ah sì! È vero pur troppo! (mestamente) E Iddio solo lo sa, se tu non abbia pure ragione, pensando che nella nuova casa non ci sarà d’aspettarsi nulla di meglio.

Sig. Solness. Nulla di meglio! Lo stesso vuoto, lo stesso silenzio come qui.

[43]

Solness. (violento) Ma, pel cielo, perchè l’abbiamo noi fabbricata? Puoi dirmelo?

Sig. Solness. No; a ciò devi tu stesso rispondere.

Solness. (la guarda sfiduciato) Che vuoi direi Alina?

Sig. Solness. Io?

Solness. Sì, pel cielo, tu dici cose tanto strane, come se avessi un pensiero nascosto.

Sig. Solness. No, credimi, t’assicuro...

Solness. (le si avvicina) Andiamo... so quello che mi dico. E vedo, e sento anch’io, Alina. Sta pur sicura!

Sig. Solness. Di che, di che?

Solness. (si mette davanti a lei) Non ti sei mai accorta di un senso maligno e nascosto anche nelle più innocenti parole che ti dico?

Sig. Solness. Io, dici davvero?

Solness. (ride) Ah, ah! Non c’è da meravigliarsi, Alina. Da un ammalato... un...

Sig. Solness. (spaventata) Malato, tu ammalato Halvard!

Solness. (scoppiando) Un uomo mezzo stolto o un pazzo addirittura, come meglio ti pare.

Sig. Solness. (si appoggia alla sedia e si siede) Halvard! Per l’amor del cielo!

Solness. Ma voi vi sbagliate tutti e due, tu ed il dottore. No, non sono pazzo. (va in su e in giù, la signora lo segue premurosa cogli occhi. Poi va da lui)

Solness. (calmo) In fondo, non ho proprio nulla.

Sig. Solness. Ma che cos’hai dunque?

Solness. Non so che cosa sia, ma di tanto in tanto mi sento come sotto uno spaventevole peso di una grande colpa...

[44]

Sig. Solness. Tu colpevole verso qualcuno, Halvard?

Solness. (adagio commosso) Sì, Alina, verso di te.

Sig. Solness. (si alza lentamente) Spiegati; non capisco.

Solness. Non è nulla. Io non sono mai stato ingiusto verso di te, e se pure, è stato incoscientemente, senza volerlo. E malgrado ciò, come sento l’impressione di una immensa colpa, che pesa su me!

Sig. Solness. Una colpa verso di me?

Solness. Principalmente verso di te.

Sig. Solness. Ma allora tu sei veramente ammalato, Halvard.

Solness. (melanconico) Sarà forse questo. (guarda alla porta a destra che si apre) Ecco la luce! (Hilda Wangel entra. Essa ha cambiato qualcosa, il suo abito è allungato).

SCENA III. Hilda e detti.

Hilda. Buon giorno, costruttore.

Solness. (inchina la testa) Ha dormito bene?

Hilda. Magnificamente, come in una culla. Mi sono sdraiata e sono rimasta là come... come una principessa.

Solness. (ride un poco) Dunque allegramente?

Hilda. Debbo crederlo.

Solness. Ed ha anche sognato?

Hilda. Certo, ma cose spaventevoli.

Solness. Davvero?

[45]

Hilda. Ho sognato, nientemeno, d’esser caduta in un terribile e profondo burrone. Non ha lei sognato mai qualche cosa di simile?

Solness. Oh sì, qualche volta.

Hilda. Qual sensazione spaventevole, attraente; cadere, cadere sempre....

Solness. Ci si sente venir freddo, non è vero?

Hilda. Ritira le gambe fin sopra le orecchie, quando le capita di fare simili sogni?

Solness. Quanto più posso!

Sig. Solness. (prende il suo parasole) Io vado fuori, Halvard. (a Hilda) Porterò a casa alcune cose che le abbisognano.

Hilda. (vuole abbracciarla) Oh, cara e gentile signora Solness, ella è proprio obbligante con me. Grazie mille.

Sig. Solness. (distaccandosi) Non c’è di che; faccio semplicemente il mio dovere e volentieri.

Hilda. (fa il broncio) Ma io credo che potrei benissimo mostrarmi in strada così. Non l’ho forse aggiustato bene il mio abito? Non le pare?

Sig. Solness. Francamente devo dirle di no; la gente la guarderebbe meravigliata.

Hilda. (indifferente) Poh! nient’altro?

Solness. (reprimendo un movimento di cattivo umore) Ma potrebbe far nascere l’idea che lei fosse un po’ pazza.

Hilda. Pazza? Ve ne sono molti in città?

Solness. (battendosi sulla fronte) Eccone uno!

Hilda. Lei, costruttore?

Sig. Solness. Ma caro Halvard!

Solness. Non se ne è mai accorta?

Hilda. Finora no. (riflette e ride un poco) Ma aspetti un momento... forse...

[46]

Solness. La senti, Alina?

Sig. Solness. Che ha osservato, signorina?

Hilda. Non voglio dir nulla adesso.

Solness. Ah dica pure.

Hilda. Che!... non sono così pazza!

Sig. Solness. Quando sarai solo colla signorina, te lo dirà.

Solness. Davvero, credi?

Sig. Solness. Ah, certo! tu la conosci già da tanto tempo, fin da quando era ancor bambina, me l’hai detto tu... (esce dalla sinistra)

SCENA IV. Solness e Hilda.

Hilda. (dopo una breve pausa) Sua moglie non mi può dunque soffrire?

Solness. Avrebbe lei rimarcato qualcosa forse?

Hilda. Lei stesso non se ne è accorto?

Solness. Alina è diventata così misantropa da qualche tempo...

Hilda. Davvero?

Solness. Ma quando la conoscerà meglio... è così buona e brava... in fondo...

Hilda. (impaziente) Ma se ha tutte queste qualità, perchè parla essa sempre di dovere?

Solness. Di dovere?

Hilda. Sì. Quand’ella ha detto che andava a comprarmi qualcosa, perchè ha aggiunto che era suo dovere? Oh, non posso soffrire questa sciocca ed odiosa parola!

[47]

Solness. Perchè poi?

Hilda. È così fredda, vuota, pungente. Dovere, dovere, dovere! Non trova che alla fine punge?

Solness. Hum... Non ci ho mai pensato.

Hilda. Essa, che è così buona, come lei mi dice... perchè parla così?

Solness. Buon Dio. In che modo doveva esprimersi?

Hilda. Avrebbe potuto dire che lo faceva perchè mi amava moltissimo... così, qualcosa insomma di gentile, di affettuoso, di cordiale, capisce?

Solness. (la guarda) Desidera che la si tratti così?

Hilda. Sì, proprio così. (Gira per la stanza, si ferma davanti alla libreria e guarda i libri) Ci son molti libri.

Solness. Sì, di tanto in tanto ne compero.

Hilda. Li legge tutti?

Solness. Una volta mi son provato. Legge lei?

Hilda. Oh no, non ne capisco mai il senso, non leggo più.

Solness. Lei è come me.

Hilda. (Va al tavolo, apre le mappe e le sfoglia) Tutto questo l’ha disegnato lei?

Solness. No, ma un giovinotto impiegato presso di me.

Hilda. Un suo allievo?

Solness. Appunto. Da me ha imparato qualche cosa.

Hilda. (si siede) Oh, deve essere molto bravo. (Guarda un po’ un disegno)

Solness. Non tanto quanto crede, ma abbastanza per quello, per cui mi serve...

Hilda. Oh, sì, deve essere molto bravo.

Solness. Crede di poterlo arguire da questi disegni?

Hilda. Che! Io non mi occupo di questa robaccia, ma se è stato lei il suo maestro, necessariamente...

[48]

Solness. Ah! che importa ciò. Sono molti quelli che hanno imparato con me, ma non tutti potranno riuscire lo stesso.

Hilda. (Scuote la testa guardandolo) E lei è stato così sciocco? Ciò sorpassa la mia intelligenza.

Solness. Sciocco? Le sembro così sciocco?

Hilda. Sì, veramente. A perdere il suo tempo per formare degli allievi...

Solness. (Colpito) E perchè no?

Hilda. (Si alza metà seria e metà ridendo) A che pro? Ah, mio costruttore, nessun altro fuori che lei, deve fabbricare. Lei solo, deve far tutto, e da solo, capisce?

Solness. (inconsapevole) Hilda...

Hilda. Ebbene?

Solness. Come le è potuta venire questa idea?

Hilda. La crede tanto strampalata?

Solness. Questo no. Ma ora è d’uopo ch’io le dica qualche cosa, Hilda. Nel silenzio e nella solitudine ho incessantemente lottato collo stesso pensiero, da lei espresso.

Hilda. È naturalissimo, mi pare!

Solness. (la guarda meravigliato) E lei ha d’un tratto compresa la mia preoccupazione?

Hilda. Oh, niente affatto!

Solness. Ma come ha fatto poco fa, quando mi ha giudicato pazzo?

Hilda. Ah! Io allora pensavo a tutt’altro.

Solness. E che cos’era quest’altro?

Hilda. Che cosa può importarle?

Solness. (allontanandosi) Bene, come vuole. (si ferma davanti alla finestra di fianco) Venga qui, le mostrerò qualche cosa.

Hilda. (si avvicina) Che?

[49]

Solness. Là in fondo al giardino...

Hilda. Ebbene?

Solness. (mostra colla mano) Appunto là, dove ci sono quelle grandi cave di pietre....

Hilda. La nuova casa, vuole dire?

Solness. Alla quale si lavora ancora; ma è quasi terminata.

Hilda. Ha una torre molto alta, mi sembra.

Solness. L’impalcato non è ancora levato.

Hilda. Ebbene? È la sua nuova casa?

Solness. Sì.

Hilda. La casa in cui lei conta di andare presto?

Solness. Appunto!

Hilda. (guarda) Vi sono pure le camere pei bambini?

Solness. Tre, come qui.

Hilda. E nessun bambino?

Solness. Non ve ne sarà giammai!

Hilda. (con una smorfia) Non avevo ragione io di dirlo?

Solness. Che cosa?

Hilda. Che è un po’ pazzo.

Solness. Pensava a questo allora?

Hilda. Sì, alle camere dei bambini dove ho dormito io.

Solness. (calmo) Abbiamo avuti bambini... Alina ed io.

Hilda. (lo guarda attentamente) Sì?

Solness. Due, della medesima età.

Hilda. Allora gemelli?

Solness. Sì, gemelli, undici... dodici anni fa.

Hilda. (cauta) E tutti e due sono... non li ha più questi gemelli?

Solness. (contenendo l’emozione) Non li abbiamo avuti che per tre sole settimane. (con uno scoppio) [50] Come ha fatto bene a venire Hilda. Finalmente ho qualcheduno con cui discorrere.

Hilda. Non può parlare... con lei?

Solness. No... com’io vorrei, com’io ho bisogno.... (melanconicamente) E neppure di ciò, come di tante altre cose!

Hilda. (con voce contenuta) È tutto lì quello che pensava, dicendo d’aver bisogno di me?

Solness. Sulle prime sì — almeno ieri. Poichè oggi non son più sicuro... (interrompendosi) Venga qui Hilda, sediamo. Si metta sul sofà, in modo d’avere il giardino davanti. (Hilda siede in un canto del sofà)

Solness. (avvicinando una sedia) È disposta ad ascoltarmi?

Hilda. Oh, assai, assai volentieri!

Solness. (siede) In questo caso le dirò tutto.

Hilda. Sig. Solness, adesso ho davanti agli occhi tanto lei, che il giardino. Su, su, dica, l’ascolto.

Solness. (indicando col dito il giardino dalla finestra di lato) Lassù, sulla collina... là dove vede la nuova casa...

Hilda. Ebbene?

Solness. È là che Alina ed io abbiamo passati i primi anni del nostro matrimonio. Una volta, in quel sito, sorgeva una vecchia casa, che aveva appartenuto alla madre di Alina. Noi l’avevamo ereditata, così pure tutto il grande giardino.

Hilda. Questa casa, aveva anche essa una torre?

Solness. No. — Esteriormente sembrava niente altro che un grande, sporco e nero fabbricato; ma all’interno era tutto pulito e proprio.

Hilda. Ed ha abbattuta la vecchia baracca?

Solness. No — si è abbruciata.

[51]

Hilda. Interamente?

Solness. Sì.

Hilda. È stata per lei una grande sventura?

Solness. Secondo. Come costruttore ho cominciato appunto da quell’epoca a fare il mio cammino, ad essere conosciuto.

Hilda. Ma allora...?

Solness. Appunto allora erano nati da pochi giorni i nostri due angioletti...

Hilda. Ah sì, i gemelli...

Solness. Essi erano sì sani, sì forti, nascendo! Ed ingrandivano a vista d’occhio; era un vero piacere.

Hilda. È così di tutti i bambini nei primi tempi.

Solness. Era il più bel spettacolo del mondo il vedere Alina, coricata in mezzo ai due bambini. Ma ecco che una notte capita l’incendio.

Hilda (ansiosa). Come è successo? — Si è abbruciato qualcuno?

Solness. Fortunatamente no, ci siamo tutti salvati.

Hilda. Ed allora?

Solness. La paura aveva scosso Alina terribilmente. L’allarme... la fuga precipitata... e per giunta una notte ghiacciata... poichè li dovemmo, Alina ed i due bambini, trasportare come si trovavano.

Hilda. Ed essi non hanno potuto sopportare...

Solness. Sì, ma Alina fu presa da una febbre di latte. Essa ha assolutamente voluto nutrire i suoi bambini, come prima. Era il suo dovere, diceva. Allora i due poveri angioletti... (torcendosi le mani) oh!

Hilda. Non hanno resistito?

Solness. No — non hanno resistito. È stato il latte che li ha uccisi.

[52]

Hilda. Questo l’avrà fatto soffrire orribilmente.

Solness. Oh sì, ho molto sofferto; ma Alina molto di più, oh mille volte! (serrando i pugni con sorda rabbia) oh!... E dire che nel mondo debbano succedere dei casi simili a questo! (Con voce ferma e breve) Dal giorno, che ho perduto i miei bambini, non ho fabbricato chiese che a malincuore.

Hilda. In tal caso le avrà senza dubbio ripugnato di costruire la torre della nostra chiesa.

Solness. Infatti. Ed io mi sovvengo della mia gioia, il giorno in cui l’ho terminata.

Hilda. Me ne ricordo io pure.

Solness. E adesso non costruirò più... nè chiese, nè torri di chiese.

Hilda. (scuotendo la testa) Altro che case, da servire di dimora agli uomini?

Solness. Semplici case d’abitazione per gli uomini, Hilda.

Hilda. Sì, ma case, sormontate da alte torri e da guglie.

Solness. Sì, di preferenza. (d’un tono più leggero) Ecco... è appunto così, come le ho detto... Quest’incendio m’ha molto giovato, come costruttore, s’intende.

Hilda. Perchè non si fa chiamare architetto, come gli altri?

Solness. Non ho studiato abbastanza. Quasi tutto quello che so, l’ho appreso da me solo.

Hilda. Questo non le ha impedito d’arrivare in alto.

Solness. Sì, grazie all’incendio. Io ho convertito quasi tutto il giardino in terreno atto a costruzioni, l’ho diviso in piccoli pezzi, e vi ho fabbricato [53] molte ville di mia fantasia. D’allora in poi tutto è andato a meraviglia.

Hilda. (scrutandolo collo sguardo) Dev’essere un uomo fortunato lei, se tutto le va così bene.

Solness. (rannuvolandosi) Ah, lei pure dice quello che gli altri dicono!

Hilda. Sì, e mi sembra che sarebbe ben così, se cessasse soltanto di pensare meno ai poveri due bambini...

Solness. (lentamente) Quei cari angioletti... Non è facile dimenticarli.

Hilda. (con esitazione) Occupano sì tanto la sua mente anche oggi.... dopo tanti e tanti anni trascorsi?

Solness. (senza rispondere, guardandola fissamente) Un uomo fortunato, ha detto...

Hilda. Come? Se togliamo questo... non lo è forse?

Solness. (continuando a fissarla) Mentre le parlavo di quest’incendio... hem...

Hilda. Ebbene?

Solness. Non le è venuta un’idea, un’idea, che l’avrà colpita in modo speciale?

Hilda. (riflettendo invano) No. Quale per esempio?

Solness. (con voce sorda, ma marcando le parole) Io devo a quell’incendio, se ho potuto costruire delle case per gli uomini, delle case ariose, chiare, piene di luce, dove si vive bene, dove genitori e bambini passano la loro esistenza nella gioiosa certezza, che sia davvero una fortuna il vivere in questo mondo e sopratutto d’appartenersi l’un l’altro..., nelle piccole case, come nelle grandi.

Hilda. (vivamente) Ma per lei non è una vera e grande fortuna l’aver costruito tali splendide dimore?

[54]

Solness. Il prezzo, Hilda! pensi al prezzo, al terribile prezzo che ho pagato, per arrivare a tanta fortuna!

Hilda. Non vi è alcun mezzo per vincere questo ricordo?

Solness. È impossibile. Per arrivare a poter dare queste dimore agli altri, ho dovuto rinunziare per sempre di possederne una io stesso. Io intendo di una casa, dove ci siano dei bambini... dove il padre e la madre possano vivere felici.

Hilda. (circospetta) Ci ha davvero rinunziato? Per sempre, dice?

Solness. (alzando la testa lentamente) Sì, questo è stato il prezzo di quello che lei chiama la mia felicità, la mia fortuna... (respira con sforzo) Fortuna, felicità... Hilda, che non ho potuto ottenere a minor prezzo.

Hilda. Ma, in avvenire?...

Solness. Giammai, no, giammai. Sempre a causa dell’incendio, e della malattia, che n’è seguita, di Alina.

Hilda. Ma allora, perchè tutte queste stanze di bambini?

Solness. (gravemente) Non ha mai osservato Hilda, che nell’impossibile c’è qualcosa, che attira, che attrae?

Hilda. (riflettendo) Nell’impossibile (con animazione) Certamente! Sa anche questo?

Solness. Sì, lo so.

Hilda. Vi è dunque della malìa in lei?

Solness. Malìa? Che intende lei per malìa?

Hilda. Non so esprimermi con altra parola.

Solness. (alzandosi) No, no, forse è giusto quel che dice. (con violenza) Ma non si diventa anche maghi..., [55] quando si ha come me, questa fortuna costante in tutto, in tutto?

Hilda. Che vuol dire con ciò?

Solness. Stia bene attenta, Hilda: tutto ciò ch’io son riuscito a fare, a fabbricare, a creare, a render bello, solido ed anche... nobile... sublime... (serrando le pugna) Oh non è terribile a pensarlo?

Hilda. Che, dunque?

Solness. Tutto ciò io l’ho dovuto acquistare, comprare non col danaro, ma con la felicità umana. Non soltanto con la mia propria felicità, ma anche con quella degli altri. Sì, Hilda, è così! Ecco il prezzo, che mi è costata la mia fama d’artista...., e non è tutto. Giorno per giorno, io vedo come si paghi per me, ancora, sempre!

Hilda. (alzandosi e guardandolo fisso) In questo momento è a lei, che pensa.

Solness. Sì. Io penso sopratutto ad Alina, poichè essa aveva la sua vocazione, come l’avevo io. (con un tremito nella voce) Ma è stato d’uopo che questa vocazione crollasse, si rompesse, andasse distrutta, perchè io arrivassi.... a questa specie di trionfo. Poichè è bene che sappia, che Alina fabbricava essa pure alla sua maniera.

Hilda. Essa? davvero?

Solness. (scuotendo la testa) Non si trattava ben inteso, di edificare, come me, delle case e delle torri.

Hilda. E di che, dunque?

Solness. (con emozione) Di formare delle piccole anime di bambini, Hilda, delle anime di bimbi forti, nobili e belli, che potessero diventare più tardi anime d’uomini retti ed elevati. Questa era la vocazione di Alina... E tutto ciò adesso giace sotto terra... inservibile... inutile per sempre.... come le macerie d’una casa bruciata.

[56]

Hilda. Sì, ma se anche fosse così....

Solness. Ah! è così. Lo so! lo so!

Hilda. Va bene; ma il colpevole non è lei.

Solness. (guardandola fissamente e scuotendo lentamente la testa) Appunto là sta la terribile questione, il dubbio che mi tormenta giorno e notte.

Hilda. Cioè?

Solness. Supponga per un momento ch’io sia colpevole... per un modo e per l’altro.

Hilda. Lei?... lei colpevole dell’incendio?...

Solness. Di tutto ciò che è accaduto.... E forse.... innocente anche...

Hilda. (lo guarda preoccupata) Oh, signor Solness! Per parlare così.... è d’uopo pur troppo che ella sia malato!

Solness. Hem!... credo, che sotto questo rapporto, non mi rimetterò giammai. (Ragnar Brovik apre con precauzione la porticina dell’angolo a sinistra... Hilda va su e giù per la stanza)

SCENA V. Ragnar Brovik e detti.

Ragnar. (scorgendo Hilda) Oh... domando scusa, signor Solness... (fa l’atto di ritirarsi)

Solness. No, no, aspettate un po’. È meglio finirla.

Ragnar. Oh.. lo vorrei bene!

Solness. Vostro Padre non va dunque meglio, a quanto sembra?

Ragnar. Il povero vecchio va indebolendosi sempre più. E ciò m’obbliga a supplicarla con ogni insistenza, perchè scriva su uno di quei disegni qualche [57] buona parola!... qualcosa ch’io possa mostrare a mio padre, prima ch’egli....

Solness. Non voglio che mi si parli più di quei disegni.

Ragnar. Non li ha guardati lei?

Solness. Sì, li ho guardati.

Ragnar. E non valgono proprio nulla? Pure io non valgo più nulla?

Solness. (evitando di rispondere) Ascoltatemi, Ragnar, restate presso di me. Sposerete Kaja. Non avrete pensieri e sarete forse anche felice. Rinunziate all’idea di voler lavorare per vostro conto.

Ragnar. Va bene: vado a portare la sua risposta a mio padre. Gliel’ho promesso... Debbo veramente dir questo a mio padre, prima ch’egli muoia?...

Solness. (agitato) Eh, ditegli... dite quel che volete. Fareste però meglio di non dirgli niente. (con scatto) Non posso fare altrimenti, Ragnar!

Ragnar. In tal caso, posso prendere i disegni con me?

Solness. Prendeteli pure! Son là, sulla tavola.

Ragnar. (dirigendosi alla tavola) Grazie.

Hilda. (posando la mano sulla cartella) No, no, li lasci.

Solness. Perchè?

Hilda. Voglio vederli.

Solness. Ma se li ha visti di già. (a Ragnar) Bene, lasciateli.

Ragnar. Volentieri.

Solness. E ritornate subito da vostro padre.

Ragnar. Poichè mi permette...

Solness. (con disperazione) Non bisogna domandarmi l’impossibile. Mi capite, Ragnar, non bisogna..

Ragnar. Va bene — scusi; (saluta e si ritira dalla porta di lato, Hilda siede su una sedia, vicino allo specchio).

[58]

Hilda. (guardando Solness con aria malcontenta) È molto male quello che ha fatto.

Solness. Ah, lo crede?

Hilda. È stato cattivo, molto cattivo, crudele e duro.

Solness. Ah, lei non può vedere quel che si passa dentro di me!

Hilda. Fa l’istesso... oh, non doveva agire in quel modo!

Solness. Ma se lei stessa diceva poco fa, ch’io solo avevo il diritto di fabbricare.

Hilda. Io lo posso dire, lei no.

Solness. Al contrario, io più di tutti. Pensi al prezzo che m’ha costata la mia posizione.

Hilda. Lo so bene! le è costato la gioia della casa, come dice lei, ed anche dippiù.

Solness. Senza contare la pace dell’animo mio.

Hilda. (alzandosi) La pace dell’animo suo. (d’un tono penetrante) Ha ragione, povero signor Solness; è vero. Lei immagina che...

Solness. (ridendo dolcemente) Ritorni a sedere, dunque, Hilda. Le racconterò qualcosa di ridicolo anche.

Hilda. (siede meravigliata ed attenta) Che dunque?

Solness. Di primo acchito sembra infatti una cosa ridicola. Perchè non si tratta che di un crepaccio nel tubo del camino.

Hilda. Nient’altro?

Solness. Per incominciare, sì. (avvicina una sedia a quella di Hilda e siede)

Hilda. (con impazienza e suonando il tamburo colle dita sulle sue ginocchia) Ha detto un crepaccio nel tubo del camino?

Solness. Me ne ero accorto da tanto tempo, molto [59] prima dell’incendio. Ogni volta che salivo sul granaio, andavo sempre ad osservare se non fosse scomparso.

Hilda. E lo ritrovava sempre?

Solness. Sì, perchè lo conoscevo solo io.

Hilda. Non aveva dunque prevenuto alcuno?

Solness. No.

Hilda. E non ci pensò mai di far riparare il camino?

Solness. Sì, ci avevo pensato, ma poi l’ho lasciata lì. Ogni volta che volevo occuparmene, pare, ci fosse qual cosa, che me lo impedisse a viva forza — per oggi no, dicevo, domani. E così non fu mai accomodato.

Hilda. Ma perchè quell’indolenza?

Solness. Per una mia idea, (lentamente, frenando la voce) Per quel crepaccio poteva entrare la fortuna.

Hilda. (guarda davanti fissamente) Oh, ciò doveva essere emozionante.

Solness. Mi era impossibile... oh sì impossibile di agire altrimenti! Lo trovavo sì semplice e naturale. Io avrei voluto che l’incendio fosse avvenuto di inverno... un po’ prima di mezzogiorno. In quel momento io sarei stato fuori di casa ed Alina a passeggiare in slitta. La servitù in casa avrebbe riscaldato troppo le stanze.

Hilda. Sì, a causa della giornata molto fredda....

Solness. Freddissima. La servitù avrebbe dunque preparato un buon fuoco, pel ritorno di Alina...

Hilda. Che naturalmente è freddolosa.

Solness. Appunto così. E così rientrando avremmo visto un fumo...

Hilda. Del fumo soltanto?

Solness. Sulle prime. Ma appena alla porta del giardino tutta la casa in fiamme. Ecco come avrei voluto che avvenisse.

[60]

Hilda. Mio Dio! perchè non è successo così?

Solness. Sì, Hilda, perchè?

Hilda. Ma è ben sicuro lei che è stato il crepaccio del camino la causa dell’incendio?

Solness. Al contrario. Quello non ci ha niente a che vedere; ne sono sicurissimo.

Hilda. Come?

Solness. È assodato indubbiamente che il fuoco è scoppiato in una guardaroba, posta all’estremità opposta della casa.

Hilda. Ma allora che mi va contando lei, col suo crepaccio nel camino.

Solness. Mi permette d’arrivare sino in fondo, Hilda?

Hilda. Avanti, purchè dica delle cose ragionevoli.

Solness. Mi proverò. (avvicina di più la sua sedia a quella di Hilda)

Hilda. Dunque, parli!

Solness. (confidenziale) Non crede lei, come me, Hilda, che vi siano uomini eletti, speciali, che hanno ricevuto la grazia, la potenza, la facoltà di desiderare, ambire, volere una cosa, con tanta forza e così spietatamente — che finiscono per ottenerla? Ci crede a questo?

Hilda. (con un’espressione indefinibile negli occhi) Se così è, si vedrà un giorno... se io sono del numero degli eletti.

Solness. Da soli non si possono creare grandi cose. Oh no! Ci vogliono anche gli aiutanti ed i garzoni per arrivarci. Questi non vengono mai da loro. Bisogna chiamarli con insistenza, internamente si intende.

Hilda. E che aiutanti, che garzoni sono questi?

Solness. Ne parleremo più tardi. Per ora fermiamoci all’incendio.

[61]

Hilda. Crede che l’incendio sarebbe avvenuto in ogni modo, se non l’avesse desiderato?

Solness. Se la casa fosse appartenuta al vecchio Knut Brovik, non si sarebbe mai e poi mai abbruciata tanto a proposito. Ne son certo, perchè quello lì non sa chiamare aiutanti e tanto meno garzoni. (si alza agitato) Vede dunque, Hilda, che è stato per mia colpa, che i piccini perdettero la vita. E non è pure colpa mia, che Alina non è divenuta quella che doveva e poteva divenire? E ciò che avrebbe voluto essere?

Hilda. Ma perchè ci sono questi aiutanti, questi garzoni? chi li ha chiamati?

Solness. Chi li ha chiamati? Io! È alla mia volontà che si sottomisero. (con agitazione crescente) Ed ecco quello che la buona gente chiama aver «fortuna». Ma voglio dirle, che si sente, quando si ha questa fortuna! È come si avesse una piaga viva in petto. E allora gli aiutanti ed i garzoni van strappando pezzi di pelle di altra gente, per coprire la mia piaga! Ma non ostante essa non guarisce mai, mai! Oh! se sapesse lei come talvolta brucia, brucia!

Hilda. (guardandolo attentamente) Lei è malato, signor costruttore; molto malato.

Solness. Dica, pazzo. Perchè già è a questo che pensa.

Hilda. No, non mi pare che abbia lo spirito sconvolto.

Solness. E che dunque?... Sentiamo!

Hilda. Chi sa; forse lei è nato con una coscienza debole.

Solness. Debole coscienza? che nuova diavoleria è questa?

[62]

Hilda. Intendo dire che la sua coscienza è tanto sensibile, tanto delicata, che non può sostenere assolutamente nessun urto. Essa è incapace di sopportare il menomo peso.

Solness. (borbottando) Hum. E come dovrebbe essere la coscienza, secondo lei? Vorrebbe dirmelo?

Hilda. Per lei ci vorrebbe una coscienza... come dovrei chiamarla?...

Solness. Ah, robusta? E la sua coscienza è robusta? Dica.

Hilda. Sì, lo credo bene. Finora non mi sono accorta del contrario.

Solness. Probabilmente essa non ha dovuto subire grandi prove, penso.

Hilda. (con una contrazione agli angoli della bocca e tremando un po’) Non è stata poi una cosa così indifferente l’aver abbandonato mio padre, cui voglio molto bene.

Solness. Gran cosa! per un mese o due....

Hilda. Non ritornerò probabilmente mai più presso di lui.

Solness. Mai? Quale è stata dunque la causa della partenza?

Hilda. (fra il serio e il canzonatorio) O che; ha dimenticato di nuovo che son passati dieci anni?

Solness. Oh! sciocchezze! dica piuttosto che in casa sua tutto non andava liscio, eh!

Hilda. (molto seria) È qui, nel mio interno, quel che mi ha cacciato. Mi son sentita chiamare, spinta fin qui. Era così seducente, del resto!

Solness. (vivamente) Ecco! Ecco! Hilda! In lei c’è una misteriosa forza, precisamente come in me. Ed è questa forza misteriosa, che fa agire le potenze di fuori. E bisogna cedere, si voglia o no.

[63]

Hilda. Mi par quasi che abbia ragione.

Solness. (passeggiando su e giù per la stanza) Oh! C’è al mondo un numero così infinito di demoni che non si vedono, Hilda!

Solness. (fermandosi) Sì, demoni, buoni e cattivi, dai capelli biondi e neri. Se si sapesse sempre da quali demoni si dipende! (cammina in su e in giù) Ah! allora sarebbe facile aggiustare la cosa.

Hilda. (seguendolo cogli occhi) Oppure se si avesse una coscienza forte e sana, se si avesse quel che si vuole!

Solness. (Fermandosi davanti alla tavola) Io credo che la maggior parte degli uomini, sotto questo rapporto, sono deboli come me.

Hilda. Può darsi!

Solness. (appoggiandosi alla tavola) Nei libri delle leggende. Ha letto libri di leggende?

Hilda. Oh sì! nel tempo che leggevo ancora dei libri.

Solness. Nei libri delle leggende si parla dei vikings, che facevano vela verso paesi lontani, saccheggiavano, incendiavano e uccidevano gli uomini.

Hilda. E rapivano le donne...

Solness. Che tenevano con loro prigioniere... sui loro battelli, e che conducevano a casa, comportandosi da veri malandrini.

Hilda. (guardando avanti a sè con uno sguardo mezzo velato) Mi sembra che questo doveva essere emozionante!

Solness. (Con un piccolo riso gutturale) Di rapire le donne? Non è vero?

Hilda. Esser rapita!

Solness. (Fissandola un momento) Oh! così va bene!

Hilda. (troncando) Ma a che vuol venire con questi vikings.

[64]

Solness. Quelli sì, che avevano una coscienza robusta! e quando tornavano a casa avevano la forza di poter mangiare e bere. Ed erano anche contenti come bimbi. E le donne poi! spesso non volevano più lasciarli. Lo comprende, Hilda?

Hilda. Quelle donne? Oh come le capisco benissimo!

Solness. Oh, avrebbe forse fatto lo stesso?

Hilda. E perchè no!

Solness. Avrebbe consentito a vivere con un uomo così violento?

Hilda. Se avessi imparato ad amarlo, quest’uomo brutale...

Solness. Potrebbe amare lei un tal uomo?

Hilda. Signor Iddio, non si può sempre sciegliere ciò che si vuole in amore.

Solness. (Guardandola pensieroso) Oh! no, ciò dipende dalla forza misteriosa che è in noi.

Hilda. (con un mezzo sorriso) E di tutti questi demoni che lei conosce tanto bene... siano essi biondi o bruni.

Solness. (dolce e penetrante) E allora desidero che essi facciano una buona scelta per lei.

Hilda. La loro scelta è fatta, definitivamente.

Solness. (guardandola profondamente) Hilda, ella rassomiglia precisamente ad un bell’uccello di bosco.

Hilda. Tutt’altro, non mi nascondo nei cespugli.

Solness. Infatti. In lei c’è piuttosto qualche cosa dell’uccello di rapina.

Hilda. Questo piuttosto. (con gran violenza) E perchè no? Perchè non dovrei cercare anch’io la preda che mi piace? Se potessi solamente afferrarla coi miei artigli ah, se potessi carpirla...!

Solness. Hilda, sa che cosa è lei?

Hilda. Sì, una specie di uccello strano.

[65]

Solness. No, un giorno nascente e quando la guardo mi pare di vedere il levare del sole.

Hilda. Dica, signor costruttore, è ben certo di non avermi mai chiamata... così, in pensiero?

Solness. (piano a mezza voce) Credo quasi d’averlo fatto.

Hilda. Che cosa vorrebbe da me?

Solness. Lei è la gioventù, Hilda.

Hilda. (sorridendo) La gioventù di cui ha tanta paura?

Solness. (accenna leggermente dì sì col capo) E alla quale in fondo, io aspiro. (Hilda si alza, s’accosta al tavolino e prende la cartella di Ragnar Brovik)

Hilda. (Stendendo verso di lui la cartella) Erano dunque questi i disegni....

Solness. (bruscamente) Lasci lì quella roba; ne ho abbastanza.

Hilda. Sì, ma deve scriverci su qualche cosa.

Solness. Scriverci sopra? Mai!

Hilda. Ma se quel povero vecchio sta per morire! Perchè non fare un piacere a lui ed a suo figlio, prima che si separino? E poi, forse questi disegni potrebbero giovargli a costruire una casa. Chi sa!

Solness. Lo credo bene. Egli si servirebbe di questi piani. È un’occasione che si è riservata... quel signore!

Hilda. Ma, Dio mio, se è così, non potrebbe lei dire una piccola menzogna?

Solness. (con veemenza) Mentire io?

Hilda. (ritirando la cartella) Via, via, non mi vorrà mordere per questo. E parla di potenze misteriose? Mi pare che lei stesso operi come se fosse una di queste potenze. (Guardandosi intorno) Dov’è la penna e l’inchiostro?

[66]

Solness. Qui non ce n’è.

Hilda. (dirigendosi verso la porta) Ma di là dalla signorina ne troverò.

Solness. Resti, Hilda! Lei dice, che dovrei mentire. Oh sì! potrei farlo pel vecchio che io ho schiacciato, demolito....

Hilda. Come gli altri?

Solness. Mi occorreva spazio... Ma quel Ragnar non deve a nessun costo salire in alto.

Hilda. Povero giovane, non ci arriverà di certo, se non è buono a nulla...

Solness. (si avvicina, la guarda e bisbiglia) Se Ragnar Brovik arrivasse, mi getterebbe a terra. Egli mi demolirebbe precisamente, come feci io con suo padre.

Hilda. Demolir lei? Ne è capace dunque?

Solness. Oh! sì, stia pur sicura! Egli è la gioventù, pronta a battere alla mia porta per finirla col grande costruttore Solness.

Hilda. (guardandolo con muto rimprovero) E pertanto lei vorrebbe impedirgli il cammino. Vergogna, signor Solness!

Solness. Io ho pagato la vittoria col mio sangue! E poi temo di perdere i miei aiutanti ed i miei garzoni.

Hilda. Ebbene lavorerà solo. Non c’è altro mezzo.

Solness. Sarebbe vano Hilda. Il cambiamento di fortuna verrà un momento o l’altro, prima o dopo non conta. L’espiazione è inevitabile, creda!

Hilda. (in grande angoscia, turandosi gli orecchi) Non parli così! Ma vuol dunque uccidermi.... togliermi quello che mi è caro più della vita?

Solness. Cioè?

Hilda. Vederla grande, con una corona in mano, [67] molto in alto, sopra una torre di chiesa (calmandosi) Ed adesso presto una matita! Avrà, spero, un lapis?...

Solness. (tirando fuori un portafogli) Eccone uno.

Hilda. (posando il portafogli sul tavolo davanti al sofà) Bene. Segga (Solness si siede davanti la tavola)

Hilda. (dietro di lui chinandosi sulla spalliera della sedia) Ed ora scriva qualche cosa proprio di gentile e d’affettuoso. Poichè questo antipatico Roar... non è così che si chiama?

Solness. (Scrive alcune righe, volge la testa e guarda Hilda) Dica un po’, Hilda...

Hilda. Che?

Solness. Durante i dieci anni di attesa...

Hilda. Ebbene?

Solness. Perchè non mi ha scritto? avrei risposto.

Hilda. (rapidamente) No! no! no! È appunto questo che non volevo.

Solness. Perchè?

Hilda. Questo m’avrebbe potuto mandare tutto in aria... Ma adesso si tratta di scrivere una parola sopra i disegni.

Solness. Sì, sì...

Hilda. (Si piega in avanti e lo guarda mentre scrive) Gentile e di tutto cuore. Oh! come lo odio questo Roald.

Solness. (Scrivendo) Non ha mai amato, lei?

Hilda. (con durezza) Che dice?

Solness. Le domando se non ha mai amato qualcuno.

Hilda. Qualche altro, vorrà dire.

Solness. (guardandola) Sì, qualche altro. Giammai?

Hilda. Ah, sì! alle volte, quando era furiosa contro di lei, che lei non veniva.

[68]

Solness. E così ha amato altri?

Hilda. Un pochino. Per una quindicina di giorni. Mio Dio, sa bene, come vanno queste cose.

Solness. Hilda — perchè è venuta?

Hilda. Non perdiamo tempo in chiacchiere. Quel povero vecchio forse muore nel frattempo.

Solness. Risponda, Hilda, che vuole da me?

Hilda. Voglio il mio regno.

Solness. Hum! (guarda alla fuggita verso la porta a sinistra e continua a scrivere sopra i disegni. Nello stesso tempo entra la signora Solness, porta con sè alcuni involti).

SCENA VI. La Signora Solness e detti.

Sig. Solness. Ho portato alcune cosette per lei, signorina Wangel. Gl’involti più grossi li manderanno più tardi.

Hilda. Oh! come è gentile, signora Solness.

Sig. Solness. Ho fatto semplicemente il mio dovere, nient’altro.

Solness. (rileggendo ciò che ha scritto) Alina!

Sig. Solness. Che vuoi?

Solness. Hai visto se lei... la contabile è di là?

Sig. Solness. Sì, c’è. Naturalmente.

Solness. (mettendo i disegni nella cartella) Hem!..

Sig. Solness. Stava allo scrittoio come sempre..... quando io traverso la stanza.

Solness. (alzandosi) In questo caso vado a darle questo e...

[69]

Hilda. (togliendogli la cartella) Oh! no, lasci a me questo piacere! (va alla porta, ma poi si volta, prima d’aprirla) Come si chiama essa?

Solness. Signorina Fosli.

Hilda. Puah! Ciò sente troppo di freddo. Il nome intendo.

Solness. Kaja, mi pare..

Hilda. (aprendo la porta e chiamando) Kaja! venga qui, presto, il signor Solness vuol parlare con lei. (Kaja Fosli compare sulla porta)

SCENA VII. Kaja e detti.

Kaja. (guardandolo timidamente) Eccomi...

Hilda. (porgendole la cartella) Kaja, prenda questo qui, il signor costruttore vi ha scritto sopra quel che abbisognava.

Kaja. Oh! Finalmente!

Solness. Lo dia al vecchio al più presto possibile.

Kaja. Vado subito a casa.

Solness. Sì, sì. Adesso Ragnar potrà costruire.

Kaja. Oh! Permette ch’egli venga a ringraziarla per tutto ciò...?

Solness. (duramente) Non voglio ringraziamenti. Glielo dica da parte mia.

Kaja. Sì, io...

Solness. E gli dica nello stesso tempo che da ora in poi non ho più bisogno di lui, e nemmeno di lei.

Kaja. (piano e tremando) Neanche di me!...

Solness. Ella adesso dovrà occuparsi di altre cose, [70] tutto pel meglio del resto. Dunque, vada a casa coi disegni, signorina Fosli. Presto, ha inteso?

Kaja. (come sopra) Sì, signore (via)

SCENA VIII. Detti meno Kaja.

Sig. Solness. Dio, che aria da sorniona ha quella ragazza!

Solness. Essa! Povera bestiolina!

Sig. Solness. È vero quel che vedo, Halvard? E così li licenzi davvero?

Solness. Sì.

Sig. Solness. Anche lei?

Solness. Non volevi tu forse così?

Sig. Solness. Ma come farai senza di lei? Ne avrai sicuramente qualche altra sotto mano, Halvard.

Hilda. (allegramente) Se si tratta di me, non sono buona di stare allo scrittoio.

Solness. Via, via, Alina... si aggiusterà tutto... Adesso bisogna affrettare lo sgombero. Stasera appenderemo la corona sulla nuova casa... (volgendosi a Hilda) Sull’alto della torre. Che ne dice signorina Hilda?

Hilda. (fissandolo con sguardo raggiante) Come sarà bello riveder lei a tanta altezza!

Solness. Me!

Sig. Solness. Dio mio... signorina Wangel, qual pensiero è il suo! mio marito!... che soffre tanto di vertigine!

Hilda. Vertigine! No, è impossibile.

[71]

Sig. Solness. Ma sì, sì.

Hilda. Ma se io stessa l’ho visto su, su in cima ad una torre altissima!

Sig. Solness. Sì, me l’hanno detto. Ma è impossibile.

Solness. (violentemente) Impossibile, impossibile. Ma ciò non ha impedito ch’io salissi!

Sig. Solness. Ma come puoi dire una cosa simile, Halvard? Tu che non osi nemmeno di andar sul balcone d’un secondo piano. Sei sempre stato così.

Solness. Forse questa sera potrai avere una sorpresa.

Sig. Solness. (con apprensione) No! no! no! Dio me ne guardi. Scriverò subito al Dottore, egli saprà distoglierti da quest’idea.

Solness. Ma Alina!

Sig. Solness. Sì, perchè tu sei malato, Halvard. Non può essere diversamente. Oh Dio!... oh Dio!... (esce presto dalla destra)

SCENA IX. Solness e Hilda.

Hilda. (guardandolo attentamente) È vero o no?

Solness. Che soffro di vertigine?

Hilda. Che il mio costruttore non osi... che non sia capace di salire tanto alto quanto costruisce?

Solness. È così che vede le cose?

Hilda. Sì.

Solness. Si direbbe quasi che non le sfugga nulla, neppure la parte più segreta del mio interno.

Hilda. (guardando verso la finestra del balconcino) Lassù, lassù in alto...

[72]

Solness. (avvicinandosi) Là, in una stanzetta, nella parte più alta della torre, potrebbe abitare lei, Hilda. Ci starebbe come una principessa.

Hilda. (in modo indefinibile tra il serio e lo scherzoso) Sì! è ben questo che lei mi avea promesso.

Solness. Davvero, promesso?

Hilda. Ne dubita? M’ha detto che io sarei diventata principessa, che m’avrebbe donato un regno. Ed ora... Oh!

Solness. (guardandola attentamente) È ben certa che non sia un sogno... un’allucinazione...?

Hilda. (provocante) Che! Non è forse accaduto?

Solness. Non lo so davvero. (più piano) Ma ciò che so in questo momento è che...

Hilda. Che? dica presto!

Solness. Che avrei dovuto farlo.

Hilda. (con audacia scattando) No, no, lei non soffre di vertigine!

Solness. Stasera dunque appenderemo la corona... principessa Hilda.

Hilda. (con fiduciosa audacia) Sulla nuova dimora.

Solness. Sopra il nuovo edificio, che non sarà mai una dimora. (esce per la porta del giardino)

Hilda. (guarda innanzi a sè con occhio velato e mormora qualcosa piano. Si sentono solo le parole).... terribilmente emozionante!

FINE DELL’ATTO SECONDO.

[73]

ATTO TERZO.

SCENA I.

Una grande veranda attigua alla casa di Solness. A sinistra è visibile una parte della casa ed una porta che dà sulla veranda. Una balaustrata a destra. In fondo, sulla parte stretta della veranda, una scala, che conduce al giardino sottostante. Grandi e vecchi alberi stendono i loro rami verso la casa sopra la veranda. A destra tra gli alberi si scorge una parte della nuova villa, con armature intorno alla torre. Nello sfondo, un vecchio steccato circonda il giardino. Al di fuori dello steccato, una strada con basse e malandate casupole. Orizzonte della sera con nuvole, illuminate dal sole morente. Sulla veranda una panca rustica lungo il muro della casa. Davanti la panca una tavola lunga; dall’altra parte della tavola una poltrona ed alcuni sgabelli di vimini. La Sig. Solness, in un gran scialle di crespo bianco sta riposando sulla poltrona, guardando fisso a destra. Dopo un momento entra Hilda Wangel, salendo la scala del giardino. È vestita come nell’atto precedente ed ha il cappello in testa. Porta sul petto un mazzettino di fiori di campo.

Signora Solness e Hilda.

Sig. Solness. (volgendo un po’ la testa) È stata in giardino, Signorina Wangel?

[74]

Hilda. Sì. L’ho percorso da capo a fondo.

Sig. Solness. Ed ha anche trovato dei fiori, a quel che vedo.

Hilda. Certo; ve ne sono tanti e poi tanti fra i cespugli.

Sig. Solness. Davvero? ancora adesso? Io non ci vado quasi mai in giardino.

Hilda. (avvicinandosi) Come? Al suo posto, correrei tutto il giorno.

Sig. Solness. (con un mesto sorriso) Non corro più, da lungo tempo.

Hilda. Ma infine scenderà almeno qualche volta ad ammirarne tutte le bellezze! Fa tanto bene!

Sig. Solness. Oh tutto ciò mi è diventato talmente estraneo! Mi fa paura quasi di rivederlo.

Hilda. Il suo proprio giardino!

Sig. Solness. Per me è come non fosse più mio.

Hilda. Oh, ma perchè dice così?

Sig. Solness. Non so. Non è più come quando vivevano mio padre e mia madre. Non può comprendere come è cambiato il giardino, signorina Wangel! Non ne rimane che alcuni pezzi. Vi hanno costruito delle case per degli estranei, per gente che non conosco e che mi possono vedere dalle loro finestre.

Hilda. (il suo viso s’illumina) Signora Solness!

Sig. Solness. Che cosa desidera?

Hilda. Posso restare un istante con lei?

Sig. Solness. Volentieri, se le fa piacere. (Hilda avvicina uno sgabello alla poltrona e siede)

Hilda. Ah, qui si sta bene al sole, proprio come un gatto.

Sig. Solness. (posandole la mano sulle spalle) Come è gentile di volersene star qui con me. Credevo che volesse andare da mio marito.

[75]

Hilda. Per far che?

Sig. Solness. Per aiutarlo.

Hilda. Oh no! Del resto non è in casa. È di là cogli operai. Aveva anzi un aspetto così superbo, che non ho osato parlargli.

Sig. Solness. Oh, non ci badi; in fondo è così mite e buono di cuore.

Hilda. Egli?

Sig. Solness. Non lo conosce ancora bene, signorina.

Hilda. (guardandola con affetto) È contenta di andar ad abitare nella nuova casa?

Sig. Solness. Dovrei esserlo, perchè questo è il desiderio di Halvard.

Hilda. Non è così che l’intendo io.

Sig. Solness. Eppure, sì, signorina Wangel. Il mio dovere è di fare la volontà di mio marito. Ma qualche volta è pur difficile l’obbedire.

Hilda. Sì, dev’essere difficile assai.

Sig. Solness. Creda pure. Se non si è migliori di me....

Hilda. Quando si ha sofferto quanto lei.

Sig. Solness. Che ne sa lei?

Hilda. Me l’ha raccontato il signor Solness.

Sig. Solness. Con me parla di rado di queste cose. Oh sì, signorina, ho sofferto molto in vita mia....

Hilda. (guardandola con compassione, scuote lentamente la testa) Povera signora Solness. Da prima l’incendio...

Sig. Solness. (con un sospiro) Sì, ha tutto distrutto!

Hilda. Ma vi è qualcosa ancora di peggio....

Sig. Solness. (guardandola con fare interrogativo) Di peggio?

Hilda. La sciagura più grande...

[76]

Sig. Solness. Che?

Hilda. (piano) I due piccini perduti!

Sig. Solness. Ah già, quelli! Ma, quella è un’altra cosa. È stato un volere divino, e innanzi ad esso bisogna inchinarsi e rendere grazie al cielo.

Hilda. E lei l’ha fatto?

Sig. Solness. Non sempre, pur troppo; so benissimo che sarebbe mio dovere. Ma malgrado ciò non posso.

Hilda. Ed è naturale.

Sig. Solness. Quante volte mi son domandata se non era una giusta punizione...

Hilda. Perchè?

Sig. Solness. Per non esser stata abbastanza forte a sopportare la disgrazia.

Hilda. Ma non vedo come..

Sig. Solness. Ah! no, signorina Wangel, non parliamo più dei miei due piccini. Non dobbiamo pensare che alla loro felicità; essi stanno tanto, tanto bene, come non si può desiderare di più. No, son le piccole perdite nella vita, che fanno male al cuore, la perdita di tutte quelle piccole cose, che per chiunque altro sono inezie, mentre che per noi...

Hilda. (appoggiando le braccia sulle ginocchia e guardandola affettuosamente) Cara signora Solness, mi racconti...

Sig. Solness. Le ripeto, sciocchezze. Buon Dio, tutti i vecchi ritratti sospesi alle pareti, i vecchi abiti di seta che Dio sa, da quanto tempo appartenevano alla nostra famiglia. E tutti i merletti lavorati dalla mamma e dalla nonna... tutto quello si è abbruciato! Anche i gioielli... tutte cose antiche... memorie... (mestamente) E poi tutte le bambole!

Hilda. Le bambole?

[77]

Sig. Solness. (con voce soffocata dalle lacrime) Ne avevo nove, meravigliose!

Hilda. E bruciarono anche quelle?

Sig. Solness. Tutte, tutte. Oh! m’ha fatto tanto male, tanto male!

Hilda. Davvero? Le aveva conservate tutte dalla sua infanzia in poi?

Sig. Solness. Non l’avevo conservate. Noi si viveva sempre insieme; non le ho abbandonate mai.

Hilda. Anche quand’era già grande?

Sig. Solness. Ancora molto tempo dopo.

Hilda. Fin dopo maritata?

Sig. Solness. Oh sì! e le guardavo, quand’egli non era presente. Ma bruciarono anche esse, poverine! Nessuno s’occupò di salvarle. Oh, è così triste a pensarci. No, non si rida di me, signorina.

Hilda. Non rido affatto.

Sig. Solness. Perchè, per me eran come creature viventi. Le portavo sul mio cuore, proprio come si fa coi bambini. (Il dottore Herdal appare col cappello in mano sulla porta della veranda e vede la signora Solness e Hilda)

SCENA II. Il dott. Herdal e detti.

Dott. Herdal. Come, signora, lei sta a sedere così all’aperto per raffreddarsi?

Sig. Solness. La giornata mi è parsa tanto bella e calda.

Dott. Herdal. Oh sì! Ma che succede di nuovo in casa sua? Ho ricevuto un suo biglietto...

[78]

Sig. Solness. (alzandosi) Sì, ho bisogno di parlare con lei.

Dott. Herdal. Va bene. Allora sarà forse meglio rientrare, (a Hilda) Anche oggi nel suo costume di touriste, signorina?

Hilda. (alzandosi allegramente) Sicuro, nell’abito più elegante. Ma oggi non voglio salire per rompermi la testa. Noi due ce ne staremo giù per benino, signor Dottore, a goderci lo spettacolo da qui.

Dott. Herdal. Quale spettacolo?

Sig. Solness. (piano ansiosamente a Hilda) Zitta, zitta, per amor di Dio! Eccolo che viene! Tenti di levargli questa idea dalla testa, lei forse ci riuscirà. E siamo amiche, signorina Wangel; lo possiamo!

Hilda. (l’abbraccia con impeto) Oh sì!

Sig. Solness. (liberandosi dolcemente) Bene, bene. Eccolo che viene. Signor Dottore, andiamo di là, debbo parlarle.

Dott. Herdal. Di lui?

Sig. Solness. Appunto. Andiamo. (entrano nella casa. Un momento dopo entra Solness per la scala del giardino. Il volto di Hilda assume un’espressione seria)

SCENA III. Hilda e Solness.

Solness. (con uno sguardo verso la porta che conduce all’interno della casa e che vien chiusa adagio dal di dentro) Ha osservato, Hilda, come essa se ne vada, non appena vengo io?

[79]

Hilda. Ho osservato infatti che, ogni qualvolta essa vede lei, ha paura.

Solness. Può darsi, ma io non ci posso far nulla. (guardandola attentamente) Ha freddo Hilda? Lo si crederebbe, all’aspetto.

Hilda. Vengo or ora da una tomba.

Solness. Sarebbe a dire?

Hilda. Che ho avuto dei brividi, signor Solness.

Solness. (adagio) Credo di capire.

Hilda. Che è venuto a fare qui?

Solness. L’avevo vista da lontano e sono venuto.

Hilda. Ma allora ha veduto anche lei?

Solness. Sapevo che se ne sarebbe andata, non appena fossi venuto.

Hilda. Non le fa molto pena, che essa lo sfugga sempre?

Solness. Mi è piuttosto di sollievo.

Hilda. Di non averla sempre sott’occhio?

Solness. Sì.

Hilda. Per non vederla sempre oppressa dal ricordo delle sue disgrazie e della perdita dei bambini?

Solness. Sì, per questo specialmente. (Hilda va su e giù per la veranda colle mani dietro la schiena poi si mette alla ringhiera e guarda fuori verso il giardino)

Solness. (dopo una breve pausa) Ha parlato a lungo con lei?

Hilda. (Sta immobile senza rispondere)

Solness. A lungo, domando?

Hilda. (Tace)

Solness. E di che cosa le ha parlato, Hilda?

Hilda. (continua a tacere)

Solness. Povera Alina, sicuramente le ha parlato dei piccini.

[80]

Hilda. (Ha un sussulto nervoso; poi in fretta accenna di sì col capo due o tre volte)

Solness. Non li dimenticherà mai, per tutta la vita! (s’avvicina) Ed eccola di nuovo quasi immobile come una statua, come iersera.

Hilda. (Voltandosi e guardandolo con sguardo dritto e serio) Parto.

Solness. (in tono acuto) Parte?

Hilda. Sì.

Solness. Io glielo proibisco.

Hilda. Che vuole che faccia qui, ora?

Solness. Che stia presso di me, Hilda, ecco tutto.

Hilda. (squadrandolo) Grazie, ma questo non mi va.

Solness. (senza riflettere) Tanto meglio!

Hilda. (con violenza) Non posso far del male ad una persona che conosco! Non posso prenderle quello che le appartiene.

Solness. E chi le dice di farlo?

Hilda. (continuando) Con una estranea, sarebbe differente. Se non l’avessi mai vista!... Ma con una persona presso cui mi trovo! No, no! mai!

Solness. Va bene, ma io non ho mai detto il contrario.

Hilda. O costruttore, lei, lei sa bene come andrebbe a finire. E perciò parto.

Solness. E che sarà di me quando sarà partita? Che ne farei della vita... senza di lei?

Hilda. (con un’espressione indefinibile negli occhi) Oh!... Lei!... Non ha i suoi doveri verso sua moglie? Viva per quelli!

Solness. Troppo tardi! Queste potenze... queste.... queste...

Hilda. Questi demoni...

Solness. Sì, demoni! e anche la forza misteriosa che [81] è in me. Essi hanno succhiato tutto il sangue dalle sue vene. (con un sorriso disperato) Ecco perchè son fortunato! Sì, sì! (mestamente) Ed ora essa è morta, morta per causa mia, ed io vivo, incatenato ad una morta! (con paura selvaggia) Io non posso sopportare la vita senza le gioie! (Hilda gira intorno alla tavola e si siede sulla panca, poggiando i gomiti sulla tavola e la testa nelle mani)

Hilda. (lo guarda un istante) E che cosa fabbricherà adesso?

Solness. (scuotendo il capo) Non farò più grandi cose d’ora in avanti.

Hilda. Non si tratterebbe di una di quelle dimore, dove possono vivere tranquilli e felici padre, madre e bimbi?

Solness. Chi sa se più tardi non ci vorrà qualcosa di simile.

Hilda. Povero costruttore! E così ha lavorato e creato col rischio della vita per dieci anni, solo per venire a questo?

Solness. Sì, è vero pur troppo, Hilda.

Hilda. (con impeto) Oh, mi pare davvero sciocco, assurdo, tutto ciò!

Solness. Che cosa?

Hilda. Che uno non osi stendere la mano per acciuffare la propria felicità, la propria vita! Solo perchè c’è di mezzo una persona che si conosce!

Solness. Ma che non si ha il diritto di lasciar da parte.

Hilda. Chi sa se in fondo non se n’avrebbe il diritto? Ma infine... Oh se si potesse dimenticar tutto ciò come nei sogni! (stende le braccia sulla tavola, poggia la parte sinistra del capo sulle mani, e chiude gli occhi).

[82]

Solness. (volta la poltrona e si siede presso la tavola) Ha conosciuto lei la pace, la felicità, lassù.... presso suo padre, Hilda?

Hilda. (immobile risponde come in sogno) Io ero in gabbia!

Solness. E non ci vuol rientrare?

Hilda. (come sopra) L’uccello di bosco non può stare in gabbia.

Solness. Esso preferisce librarsi nell’aria, liberamente.

Hilda. (sempre come sopra) L’uccello da preda ama sopratutto librarsi nell’aria.

Solness. (seguendola collo sguardo) Oh se si potesse avere l’ardire, il disdegno del vikings....

Hilda. (senza muoversi, apre gli occhi e riprende la sua voce naturale) E che più ancora, dica su?

Solness. Una robusta coscienza. (Hilda si drizza in piedi e si anima. I suoi occhi riprendono la loro espressione raggiante)

Hilda. (scuotendo la testa, guardandolo) Adesso so che cosa costruirà.

Solness. Allora, Hilda, ne sa più di me.

Hilda. Sì, sì, lo credo, è così sciocco lei!

Solness. E che sarà dunque? Dica!

Hilda. (chinando nuovamente il capo verso di lui) Il castello!

Solness. Che castello?

Hilda. Il mio, s’intende.

Solness. Adesso vuole un castello?

Hilda. Non mi deve forse un regno?

Solness. Lo dice lei. Ebbene?

Hilda. Chi possiede un reame, deve necessariamente avere un castello, non è vero?

Solness. (animandosi poco a poco) Sì, sì. È l’uso.

Hilda. Ebbene! subito. Me lo fabbrichi!

[83]

Solness. (sorridendo) Come, così...? Su due piedi?

Hilda. Sì! I dieci anni son passati, ed io non voglio più aspettare. Su, presto, il mio castello!

Solness. Davvero, che con lei non c’è da scherzare, quando le si deve qualcosa, Hilda!

Hilda. Avrebbe dovuto pensarci prima. Adesso è troppo tardi! (picchiando sulla tavola col dito) Subito il castello! È mio! Lo voglio!

Solness. (in tono più serio, colle braccia sulla tavola ed avanzando la testa verso Hilda) Sentiamo: come se lo è immaginato questo castello, Hilda? (lo sguardo di Hilda va velandosi poco a poco, come rientrando in sè stessa)

Hilda. (lentamente). Il mio castello deve essere fabbricato su d’una grande altezza, un’altezza vertiginosa. Lo sguardo deve poter dominar tutto liberamente. Voglio veder lontano, molto lontano.

Solness. E dev’essere fiancheggiato naturalmente d’una torre altissima?

Hilda. D’un’altezza terribile, spaventosa. E su, su in cima alla torre voglio un balcone, sul quale io mi terrò ritta...

Solness. (portando la mano alla fronte involontariamente) Ritta lassù! E proverebbe piacere ad una altezza così vertiginosa...

Hilda. Oh sì! Voglio essere là e guardare da quell’altezza tutti quelli, che fabbricano le chiese... e gli altri che fabbricano case per i fratelli, le madri ed i fanciulli. Sì, voglio dominare... dominare... E verrà anche lei lassù e.... dominerà....

Solness. (ritenendo la voce) E sarà permesso al costruttore di salire fino alla principessa?

Hilda. Se il costruttore lo vuole.

Solness. In questo caso credo che egli verrà.

[84]

Hilda. (scuotendo la testa) Sì... il costruttore verrà.

Solness. Ma dopo cesserà di fabbricare.... il povero costruttore.

Hilda. (vivace) Noi fabbricheremo insieme quel che c’è di più delizioso al mondo.

Solness. (trascinato) Hilda... dica che cosa è.

Hilda. (lo guarda sorridendo, scuote la testa leggermente, spinge avanti le labbra, parlando come una bambina) Non capisce? Questi costruttori sono delle persone molto... sciocche!

Solness. Sì, va bene. Ma dica che cosa costruiremo insieme?

Hilda. (tace un momento con una esprimibile espressione vaga negli occhi) Castelli in aria!

Solness. Castelli in aria?

Hilda. (accennando di sì) Sì, castelli in aria. Sa che cosa sono?

Solness. (scherzando) Li ha chiamati la più bella cosa della terra.

Hilda. (si alza in fretta, fa un gesto sdegnoso con la mano) Sì, certo. I castelli in aria sono accessibilissimi e facili a fabbricare. (lo guarda ironico) Specialmente per i costruttori che hanno la coscienza soggetta alle vertigini.

Solness. (si alza) D’ora in avanti costruiremo assieme, Hilda.

Hilda. (con un piccolo sorriso dubbioso) Un vero castello in aria?

Solness. Certo, ma dalle fondamenta di granito. (Ragnar Brovik viene dalla casa. Egli porta una grande corona di foglie con fiori e nastri di seta)

[85]

SCENA IV. Ragnar e detti.

Hilda. (con gioia) La corona! Oh! come sarà bella!

Solness. (colpito) Perchè portate voi questa corona, Ragnar?

Ragnar. L’aveva promessa al capo operaio.

Solness. (alleggerito) E vostro padre va meglio?

Ragnar. No.

Solness. Non gli ha fatto alcun bene quello che gli ho scritto?

Ragnar. Era troppo tardi.

Solness. Troppo tardi?

Ragnar. Quando Kaja venne coi disegni, egli aveva perduto la conoscenza, gli era venuto un colpo.

Solness. Ma allora perchè non siete presso di lui? Andate da vostro padre!

Ragnar. Non ha più bisogno di me.

Solness. Ma, dovete rimanerci lo stesso.

Ragnar. C’è lei al suo letto.

Solness. (un po’ indeciso) Chi? Kaja?

Ragnar. (lo guarda fisso) Kaja... sì!

Solness. Andate a casa, restate con loro, Ragnar. E date a me la corona.

Ragnar. (reprimendo un sorriso beffardo) Non sarà certo lei, signor...?

Solness. L’appenderò io stesso lassù. (prende la corona) E ora andate pure. Oggi non ho più bisogno di voi.

Ragnar. Lo so, che non ha più bisogno, ma oggi resterò.

[86]

Solness. Ebbene, restate, se lo volete assolutamente.

Hilda. (al parapetto) Costruttore... è da qui, che vi guarderò salire...

Solness. Ma!

Hilda. Sarà uno spettacolo terribilmente attraente!

Solness. (trattenendo la voce) Ne parleremo più tardi, Hilda! (esce colla corona, scendendo la scala del giardino)

SCENA V. Hilda e Ragnar.

Hilda. (lo segue cogli occhi, poi si volge a Ragnar) Mi sembra che l’avrebbe potuto ringraziare.

Ragnar. Io ringraziarlo...? ringraziar... lui?

Hilda. Certamente avrebbe dovuto farlo.

Ragnar. Piuttosto dovrei ringraziar lei, signorina.

Hilda. Perchè?

Ragnar. (senza rispondere) Ma si guardi, lei non lo conosce bene.

Hilda. (con fuoco) Oh! io lo conosco benissimo.

Ragnar. (con un sorriso amaro) Ringraziarlo! Egli che mi ha tenuto nell’oscurità per tanti anni, che ha fatto dubitare di me mio padre, accorciandogli la vita... Che m’ha fatto dubitare di me stesso e tutto ciò per... per...

Hilda. (che sembra indovinare il pensiero di lui) Perchè?... Dica subito...

Ragnar. Per tenerla presso di lui.

Hilda. (gli s’avvicina) La signorina della scrivania?

Ragnar. Sì.

[87]

Hilda. (minacciandolo col pugno chiuso) Non è vero: lei lo calunnia.

Ragnar. Anch’io non lo volevo credere, ma lei stessa me lo ha confessato oggi.

Hilda. (c. s.) Che cosa le ha detto? Io voglio saperlo! subito! subito!

Ragnar. Mi ha detto che egli le aveva fatto perdere la testa, che s’era impadronito di tutti i suoi pensieri, che non potrà mai lasciarlo e che rimarrà presso di lui...

Hilda. (con un lampo negli occhi) Essa non ne ha il diritto.

Ragnar. (con intenzione) Chi lo impedirebbe?

Hilda. (in fretta) Egli stesso, fra gli altri!

Ragnar. Oh sì... comprendo tutto. Adesso sarebbe... di peso.

Hilda. Non capisce nulla. Glielo dirò io perchè egli ci teneva alla signorina.

Ragnar. Perchè?

Hilda. Per tener Lei!

Ragnar. L’ha detto lui?

Hilda. No, ma è vero. (con rabbia) Voglio... Voglio che sia vero.

Ragnar. E appunto quando lei è arrivata, egli l’ha mandata...

Hilda. No.. ha mandato Lei!... Crede forse che egli si occupi di signorine?

Ragnar. (pensieroso) Avrebbe egli avuto paura di me, in segreto, per tutto questo tempo?

Hilda. Lui?... paura? È ben presuntuoso Lei!

Ragnar. Oh! egli dovrà essersi accorto già da molto tempo, che io pure valevo qualche cosa.... Quanto alla paura egli non è inaccessibile.

Hilda. Lui pauroso? Eh via!

[88]

Ragnar. È così, come le dico. Questo costruttore.... che non teme di distruggere la felicità degli altri e d’agire come ha fatto con mio padre e con me... ha paura di salire sulla più semplice impalcatura. Oh questo non l’oserà mai!

Hilda. Ah! l’avrebbe dovuto vedere all’altezza su cui l’ho visto io! Quasi vicino alle nubi! C’era da far venire le vertigini.

Ragnar. Ha veduto questo lei?

Hilda. Sì, io l’ho visto tenersi ritto alla sommità della torre d’una chiesa, franco, fiero e sicuro sospenderne la corona!

Ragnar. So difatti, che l’ha osato una volta nella sua vita. Una sola volta. Se ne è parlato spesso di questo tra noi giovani. Ma niente al mondo potrà farglielo ripetere.

Hilda. Eppure oggi salirà lassù!

Ragnar. (ironico) Sì? Lo vedremo!

Hilda. Lo vedremo.

Ragnar. Giammai!

Hilda. Io voglio vederlo. Lo voglio e sarà!

Ragnar. Non oserà. Egli ha paura... il grande costruttore! (la signora Solness viene dalla casa)

SCENA VI. Signora Solness e detti.

Sig. Solness. Non è qui? Dov’è andato?

Ragnar. Il signor Solness è con gli operai.

Hilda. Egli ha preso la corona con sè.

Sig. Solness. (con ansia) La corona? Ah! Dio! Ah, [89] Dio!... Signor Brovik la prego, cerchi di ricondurlo qui.

Ragnar. Devo dirgli che la signora desidera parlargli?

Sig. Solness. Sì, amico mio... O piuttosto no. Non gli parli di me. Dica invece che è aspettato e che venga subito!

Ragnar. Va bene, signora, vado. (esce scendendo la scala del giardino)

SCENA VII. Signora Solness e Hilda.

Sig. Solness. Ah! signorina Wangel, non si può immaginare il dolore che egli mi fa soffrire.

Hilda. Che cosa c’è di così spaventevole?

Sig. Solness. È facile comprenderlo. Pensi, s’egli si è messo in testa di voler salire assolutamente sull’impalcatura!...

Hilda. (attenta) Crede che lo farà?

Sig. Solness. Ah! non si può mai sapere. Egli è capace di tutto.

Hilda. E anche lei dubita... come dire?...

Sig. Solness. Io non so veramente più che cosa credere, dopo quanto mi han raccontato il dottore e mio marito stesso. (il Dottor Herdal si mostra sulla porta)

[90]

SCENA VIII. Dott. Herdal e detti.

Dott. Herdal. Dunque, viene il signor Solness?

Sig. Solness. Spero. L’ho mandato a chiamare.

Dott. Herdal. (avvicinandosi) Ma lei non può rimanere qui fuori, signora...

Sig. Solness. No, no, io resto qui ad aspettare il mio caro Halvard.

Dott. Herdal. Ma sono venute anche parecchie signore.

Sig. Solness. Ah! Dio! In questo momento...

Dott. Herdal. Desiderano assistere allo spettacolo, dicono.

Sig. Solness. Sì, sì. È d’uopo ch’io vada a fare gli onori di casa. È il mio dovere.

Hilda. Non potrebbe farsi scusare?

Sig. Solness. No, è impossibile. Esse sono venute ed è il mio dovere di riceverle. Ma attenda lei mio marito.

Dott. Herdal. E lo trattenga più a lungo che può.

Sig. Solness. Ne la prego, cara signorina Wangel, lo trattenga, mi raccomando a lei!

Hilda. Non sarebbe meglio che lo facesse lei stessa?

Sig. Solness. Buon Dio! Sì, infatti sarebbe il mio dovere, ma quando si hanno tanti altri obblighi da compiere...

Dott. Herdal. (guardando nel giardino) Eccolo che viene.

Sig. Solness. E appunto quando devo rientrare...

Dott. Herdal. (a Hilda) Non gli dica ch’io sono qua.

[91]

Hilda. Oh! no, cercherò... qualche altro soggetto di conversazione.

Sig. Solness. E lo trattenga molto, mi raccomando. Nessuno meglio di lei lo può. (La Sig. Solness e il Dott. Herdal entrano in casa; Hilda resta sulla veranda, Solness entra dalla scala)

SCENA IX. Hilda e Solness.

Solness. C’è qualcuno che vuol parlarmi, m’han detto.

Hilda. Sì, signor Solness, sono io!

Solness. Che, Lei, Hilda? Temeva che fossero Alina ed il Dottore.

Hilda. Si spaventa troppo facilmente Lei!

Solness. Lo crede?

Hilda. Si dice che abbia paura di salire sugli impalcati.

Solness. Questa è un’altra cosa.

Hilda. Sarebbe dunque vero?

Solness. Sì, è vero!

Hilda. Ha paura di cadere, di uccidersi?

Solness. No, questo no.

Hilda. Ma che cosa teme dunque?

Solness. L’espiazione, Hilda.

Hilda. L’espiazione. (scuote la testa) Non capisco..

Solness. Sediamoci, le racconterò qualche cosa.

Hilda. Sì, sì, faccia subito. (si siede su uno sgabello presso il parapetto e lo guarda attenta)

Solness. (getta il suo cappello sul tavolo) Le ho già [92] detto che io ho cominciato col costruire delle chiese.

Hilda. (accenna col capo) Lo so.

Solness. Ero nato in campagna e la mia famiglia era molto religiosa ed io non immaginavo che ci potesse esser cosa più sublime del costruire delle chiese.

Hilda. Sì, sì!

Solness. E posso dire che tutte queste piccole chiese le ho costruite con tanto zelo, tanto amore e pietà, che... che...

Hilda. Che? Ebbene?

Solness. Che io credevo che Egli poteva esser contento!

Hilda. Egli? Chi?

Solness. Egli, cui erano offerte le chiese, alla gloria del quale erano fabbricate.

Hilda. Ah! sì; ma come sa... che Egli... non è contento di lei?

Solness. (ironico) Lui contento di me? Come può crederlo, Hilda? Lui che ha scatenato contro di me tutte queste stregonerie! Lui, che mi ha inviato per servirmi giorno e notte... tutti questi... tutti questi...

Hilda. Tutti questi demoni.

Solness. Sì, di tutte le specie... Ah! no, ho ben sentito che non era contento di me e delle mie opere. (misteriosamente) È questa, vede, la ragione per la quale Lui ha fatto bruciare la vecchia casa.

Hilda. Veramente per questo?

Solness. Non capisce dunque? Egli con questo volle offrirmi l’occasione di diventare un grande, un vero maestro dell’arte mia, per potergli fabbricare delle chiese, che gli avrebbero fatto più onore. [93] Sulle prime non avevo capito, ma i miei occhi si sono aperti più tardi.

Hilda. Quando?

Solness. Al tempo della costruzione del campanile della Chiesa di Lysanger.

Hilda. Me lo immaginavo.

Solness. Ah! là, vede, Hilda, in quei siti lontani ho riflettuto lungamente e liberamente, ed ho finito per comprendere il motivo delle mie sciagure e perchè m’aveva tolti i miei bambini. Egli l’aveva fatto... per infrangere qualunque altro legame che potesse tenermi avvinto alle cose terrene. Anche la felicità della famiglia mi toglieva! In questo modo la mia vita sarebbe trascorsa sempre a fabbricare e fabbricare delle chiese per Lui! Ma così non fu!

Hilda. E che ha fatto?

Solness. Ho incominciato per esaminarmi, per rendermi conto di me stesso!

Hilda. E poi?

Solness. Ho voluto sottrarmi a Lui e tentare l’impossibile.

Hilda. L’impossibile?...

Solness. Fin allora io non avevo potuto sopportare l’impressione di montare in alto. Ma in quel giorno lo volli e vi riuscii.

Hilda. (si alza) È vero! Lei l’ha fatto!

Solness. E quando giunsi alla sommità, al momento di attaccare la corona lassù, gli ho detto: Ascoltami, tu Onnipotente! Da oggi voglio essere padrone di fare quello che voglio sul mio dominio, come tu lo sei nel tuo. Mai più fabbricherò per te chiese; ma soltanto dimore per gli uomini.

Hilda. (con occhi raggianti) Appunto. Ecco il canto ch’io ho sentito lassù.

[94]

Solness. Ma ciò non è stato che tutta acqua pel suo mulino.

Hilda. Che vuol dire?

Solness. (la guarda scoraggiato) Costruire dimore per gli uomini... non vale neppure la pena, Hilda.

Hilda. Crede?

Solness. Pur troppo ora lo capisco. Gli uomini non sanno che farsene delle dimore sontuose. La felicità non sta lì. Ed io stesso, che ne farei della casa, se n’avessi una? (ride amaramente) Sì, per quanto lontano spinga lo sguardo nel mio passato, non scorgo nulla. Non ho fabbricato nulla di veramente grande, e neppure nulla ho sacrificato per lo splendore delle mie opere. Nulla... nulla...

Hilda. E d’ora in avanti non fabbricherà più?

Solness. (animandosi) Al contrario. Voglio appunto incominciare adesso.

Hilda. Come? dica su!

Solness. Io voglio fabbricare un edificio, che possa racchiudere la felicità umana... Il solo dove la si possa salvare.

Hilda. (lo guarda fisso) Costruttore Solness, lei pensa al nostro castello in aria.

Solness. Al castello in aria, precisamente.

Hilda. Temo che le prenderanno le vertigini, prima che arriviamo a mezza strada.

Solness. No, Hilda, se andremo insieme, tenendoci per mano.

Hilda. (con lampi di collera repressa) Soli? Non ci sarebbe qualcun’altra?

Solness. Chi mai?

Hilda. Oh! per esempio quella Kaja, la signorina della scrivania. Povera ragazza... Non vorrebbe prenderla con lei?

[95]

Solness. Ah! è di questo che le ha parlato Alina?

Hilda. È vero o no?

Solness. (violento) A questo non rispondo. Ella deve aver fede piena ed intera in me.

Hilda. Per dieci lunghi anni ho creduto in lei.

Solness. È d’uopo che creda ancora.

Hilda. Sì, se la vedrò un’altra volta salire fin su in alto senza paura!

Solness. (con pena) Ah, Hilda... queste cose non si ripetono tutti i giorni.

Hilda. (con passione) Lo voglio! lo voglio. (pregando) Una sola volta ancora, una sola volta, faccia l’impossibile!

Solness. (la guarda profondamente) Sì, mi proverò Hilda, parlerò ancora a Lui, come ho fatto l’altra volta.

Hilda. (con esultanza) Che gli dirà?

Solness. Gli dirò: Ascoltami, onnipotente Signore! Giudicami come vuoi. Ma da ora in avanti io non costruirò che una cosa... la più bella, e più dolce che esiste al mondo...

Hilda. (entusiasta) Sì... sì... sì...

Solness. «.... insieme con una principessa che io amo...»

Hilda. Sì, sì, glielo dica!

Solness. «Adesso, gli dirò, la prenderò tra le braccia e la coprirò di baci...»

Hilda. Di mille e mille baci, dica!

Solness. «... di mille e mille baci» glielo dirò!

Hilda. E poi?

Solness. Poi agiterò il mio cappello... scenderò e farò come ho detto.

Hilda. (tendendo le braccia) Ora sì... La vedo ancora, come una volta... quando ho sentito il canto nell’aria!

[96]

Solness. (la guarda con la testa bassa) Com’è che è diventata in questo modo, Hilda?

Hilda. Com’è che mi ha fatta quella che sono?

Solness. (breve e fermo) La principessa avrà il suo castello.

Hilda. (con giubilo, battendo le mani) Ah! costruttore... il mio splendido castello... Il nostro castello!

Solness. Dalle fondamenta di granito. (Sulla via si sono radunate molte persone, che si scorgono indistintamente tra gli alberi. In distanza, presso la nuova casa, una musica allegra. La Signora Solness con una pellegrina sulle spalle, il Dottor Herdal tenendo in mano lo scialle bianco entrano sulla veranda; alcune signore. Nello stesso tempo entra Ragnar Brovik dal giardino).

SCENA X. Detti, Signora Solness, il dottore, Ragnar ed invitati.

Sig. Solness. C’è dunque la musica?

Ragnar. Certo, signora. È la società dei muratori. (a Solness) Il capo dei lavoratori le fa dire che è pronto a salire per apporre la corona.

Solness. (prende il suo cappello) Bene, vado io stesso.

Sig. Solness. (con ansia) Che vuoi tu fare Halvard?

Solness. (breve) Io devo essere in mezzo a’ miei operai.

Sig. Solness. Sì, ma tu non salirai, nevvero?

Solness. Non è la mia abitudine, lo sai! (esce, discendendo la scala del giardino)

[97]

SCENA XI. Detti meno Solness.

Sig. Solness. (dal parapetto lo chiama) Ti prego, raccomanda a quell’uomo di essere molto cauto nel salire lassù. Promettimelo, Halvard!

Dott. Herdal. (alla Sig. Solness) Vede ch’io avevo ragione? Egli non pensa neppure a quelle pazzie!

Sig. Solness. Ah! come mi si è alleggerito il cuore! Due volte sono cadute delle persone, rimanendo sempre morte sul colpo. (si volge a Hilda) Grazie di cuore, signorina Wangel, che l’ha trattenuto. Io non sarei mai riuscita a persuaderlo.

Dottor Herdal. (allegro) Ma sa signorina che lei sa ben trattenere le persone, quando lo vuole davvero! (Sig. Solness, Dott. Herdal vanno dalle signore vicino alla scala, guardando fuori. Hilda resta al parapetto nel fondo, in preda ad agitazione; Ragnar va da lei)

Ragnar. (con interrotte risa a mezza voce) Signorina, vede tutti quei giovani che sono in istrada?

Hilda. Sì.

Ragnar. Sono compagni, venuti a vedere il maestro!

Hilda. Perchè vogliono vederlo?

Ragnar. Vogliono vedere se davvero oserà salire sulla sua casa. Non ci credono.

Hilda. Davvero? Oh! gli imbecilli!

Ragnar. (ironico) Egli ci ha sempre mantenuti in uno stato d’inferiorità; vogliamo vedere, oggi, se sarà capace di salire fino in cima!

Hilda. Ebbene lo vedranno davvero!

[98]

Ragnar. (ride) Oh!... dove mai?

Hilda. In alto, dove c’è piantata la bandiera.

Ragnar. (ride) Lui? ah!... che!

Hilda. Egli lo vuole e lo vedranno.

Ragnar. Egli lo vuole, lo credo bene. Ma non lo può. Gli verrà il capogiro, prima di arrivare a mezza strada.

Dottor Herdal. (indicando) Guardino, ecco il capo operaio che comincia a salire.

Sig. Solness. E con quella pesante corona. Ah! Guai a lui se non va cauto.

Ragnar. (guarda incredulo, grida) Ma quello... è...

Hilda. (con scoppio di giubilo) È il costruttore!.... Egli stesso!...

Sig. Solness. (grida spaventata) Ah! Gran Dio! È proprio lui! Halvard! Halvard!

Dott. Herdal. Silenzio, silenzio tutti!

Sig. Solness. (fuor di se stessa) Voglio andar da lui, voglio che retroceda.

Dott. Herdal. (la trattiene) Nessuno si muova, nessun grido!

Hilda. (immobile segue Solness cogli occhi) Sale, sale sempre più in alto... sempre più in alto, guardi, guardi!

Ragnar. (potendo appena respirare) È necessario che egli riscenda, non può più continuare..

Hilda. Egli sale, sale, sale. È quasi alla cima.

Sig. Solness. Oh! io muoio di angoscia. Non posso guardarlo, non resisto!

Dott. Herdal. Non guardi!

Hilda. Eccolo sull’ultima piattaforma! Oh! com’è in alto!

Dott. Herdal. Che nessuno fiati!

Hilda. (con immensa gioia) Finalmente finalmente! Ora lo vedo grande e libero!

[99]

Ragnar. (senza poter parlare) Oh ma, c’è...

Hilda. Io l’ho sempre visto così, per dieci anni. Com’è sicuro e potente lassù! Meravigliosamente attraente! Ecco che sospende la corona sulla cima della torre!

Ragnar. Mi sembra impossibile quel che vedo.

Hilda. Sì, è ben l’impossibile quello che ha fatto ora. (con un inesprimibile espressione negli occhi) Non vede nessuno vicino a lui?

Ragnar. No! Non vedo nessuno.

Hilda. Ma sì, egli parla con un altro!

Ragnar. Si sbaglia!

Hilda. E non sente un canto?

Ragnar. È il vento che stormisce fra gli alberi.

Hilda. Io sento un canto... un canto potente. (grida con gioia selvaggia) Vede, vede! Sventola il cappello, saluta di lassù! oh! saluta ancora! Tutto è compiuto. (prende al dottore lo scialle bianco e lo sventola con forza) Viva il costruttore Solness!

Dott. Herdal. Silenzio, silenzio in nome di Dio.... (le signore della veranda sventolano i fazzoletti, dalla strada si sentono evviva. Tutto ad un tratto si sente dalle moltitudini un grido di spavento; fra gli alberi si vede indistintamente un corpo umano cadere dall’alto)

Sig. Solness. (e le signore contemporaneamente) Cade! cade!... (vacilla, cade svenuta all’indietro, è presa dalle signore e tutti gridano e chiamano. La folla rompe lo steccato e entra nel giardino. Breve pausa)

Hilda. (fissando sempre gli occhi in alto, dice come pietrificata) Il mio costruttore!

Ragnar. (tremando si tiene al parapetto) Deve essersi sfracellato... Morto sul colpo!...

[100]

Una Signora. (Mentre la Sig. Solness è portata in casa) Corra pel medico...

Ragnar. Non mi posso muovere, non posso...

Una Signora. Chiami almeno qualcuno..

Ragnar. (prova a chiamare) Che si è fatto...? Vive?

Una voce. (dal giardino) Il costruttore è morto.

Un’altra voce. (più vicina) La testa s’è fracellata. È caduto su d’un mucchio di pietre.

Hilda. (si volge a Ragnar e dice sottovoce) Non lo scorgo più lassù!...

Ragnar. Quale spavento, dunque gli è mancata la forza.

Hilda. Ma è arrivato fino in cima e ho sentito i canti di lassù, e suoni d’arpa. (sventola lo scialle in alto e grida con selvaggia tenerezza) Oh! il mio costruttore, il mio costruttore!

FINE.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.