The Project Gutenberg eBook of La vita che ti diedi This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook. Title: La vita che ti diedi Tragedia in tre atti Author: Luigi Pirandello Release date: February 9, 2023 [eBook #69997] Language: Italian Original publication: Italy: Bemporad, 1924 Credits: Barbara Magni and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was produced from images made available by the HathiTrust Digital Library) *** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA CHE TI DIEDI *** MASCHERE NUDE TEATRO DI LUIGI PIRANDELLO LA VITA CHE TI DIEDI TRAGEDIA IN TRE ATTI FIRENZE R. BEMPORAD & FIGLIO — EDITORI Via Cavour, 20 PROPRIETÀ LETTERARIA DEGLI EDITORI R. BEMPORAD & FIGLIO _I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, compresi la Svezia, la Norvegia e l’Olanda._ Copyright 1924 by R. Bemporad & F. 1924 — Prato, Tip. Giachetti, Figlio e C. PERSONAGGI DONN’ANNA LUNA. LUCIA MAUBEL. FRANCESCA NORETTI, _sua madre_. DONNA FIORINA SEGNI, _sorella di Donn’Anna_. DON GIORGIO MEI, _parroco_. LIDA, FLAVIO, _figli di Donna Fiorina_. ELISABETTA, _vecchia nutrice_. GIOVANNI, _vecchio giardiniere_. DUE FANTI. DONNE DEL CONTADO. In una villa solitaria della campagna toscana. Oggi. ATTO PRIMO Stanza quasi nuda e fredda, di grigia pietra, nella villa solitaria di Donn’Anna Luna. Una panca, uno stipo, una tavola da scrivere, altri pochi arredi antichi da cui spira un senso di pace esiliata dal mondo. Anche la luce che entra da un’ampia finestra pare provenga da una lontanissima vita. Un uscio è in fondo e un altro nella parete di destra, molto più prossimo alla parete di fondo che al proscenio. Al levarsi della tela, davanti all’uscio di destra che immette nella stanza dove si suppone giaccia moribondo il figlio di Donn’Anna Luna, si vedranno alcune donne del contado, parte inginocchiate e parte in piedi, ma curve in atteggiamento di preghiera, con le mani congiunte innanzi alla bocca. Le prime, quasi toccando terra con la fronte, reciteranno sommessamente la litania per gli agonizzanti; le altre spieranno ansiose e sgomente il momento del trapasso e a un certo punto faranno segno a quelle d’interrompere la litania e, dopo un breve silenzio d’angoscia, s’inginocchieranno anch’esse e ora l’una ora l’altra faranno le invocazioni supreme per il defunto. LE PRIME inginocchiate: alcune, invocando; le altre, sollecitando la preghiera. — Sancta Maria, — Ora pro eo. — Sancta Virgo Virginum, — Ora pro eo. — Mater Christi, — Ora pro eo. — Mater Divinæ Gratiæ, — Ora pro eo. — Mater purissima, — Ora pro eo. LE SECONDE in piedi, faranno a questo punto segno alle prime d’interrompere la litania: resteranno per un momento come sospese in un gesto d’angoscia e di sgomento; poi s’inginocchieranno anch’esse. UNA Santi di Dio, accorrete in suo soccorso. UN’ALTRA Angeli del Signore, venite ad accogliere quest’anima. UNA TERZA Gesù Cristo che l’ha chiamata la riceva. UNA QUARTA E gli spiriti beati la conducano dal seno d’Abramo al Signore Onnipotente. LA PRIMA Signore, abbiate pietà di noi. L’ALTRA Cristo, abbiate pietà di noi. UNA QUINTA Datele il riposo eterno e fate risplendere su lei la vostra eterna luce. TUTTE Riposi in pace. Rimarranno ancora un poco inginocchiate a recitare in silenzio ciascuna una sua particolar preghiera e poi si alzeranno, segnandosi. Dalla camera mortuaria verranno fuori sbigottiti e pieni di compassione e stupore Donna Fiorina Segni e il parroco Don Giorgio Mei. La prima, modesta signora di campagna sui cinquant’anni, porterà un po’ goffamente sul vecchio corpo sformato dall’età gli abiti di nuova moda, pur discreti, di cui i figli che abitano in città desiderano che ella vada vestita. (Si sa i figli come sono, quando cominciano a pigliare animo sopra i genitori). L’altro è un grasso e tardo parroco di campagna che, pur parlando a stento, avrà sempre da aggiungere qualche cosa a quanto gli altri dicono o che lui stesso ha detto; sebbene tante volte non sappia bene che cosa. Se però gli daranno tempo di parlare riposatamente a suo modo, dirà cose assennate e con garbo, perchè infine amico delle buone letture è, e non sciocco. DON GIORGIO alle donne, piano: Andate, andate pure, figliuole, e — e recitate ancora una preghiera in suffragio dell’anima benedetta. Le donne s’inchineranno prima a lui poi a Donna Fiorina e andranno via per l’uscio in fondo. I due resteranno in silenzio per un lungo tratto, l’una come smarrita nel cordoglio per la sorella e l’altro nell’incertezza tra una disapprovazione che vorrebbe fare e un conforto che non sa dare. Donna Fiorina non sosterrà più, a un certo punto, l’immagine che avrà davanti agli occhi della disperazione della sorella e si coprirà il volto con le mani e andrà a buttarsi rovescia sulla panca. Don Giorgio le si appresserà pian piano; la guarderà un poco senza dir nulla, tentennando il capo; poi alzerà le mani come chi si rimetta in Dio. Non abbiano, per carità, i comici timore del silenzio, perchè il silenzio parla più delle parole in certi momenti, se essi lo sapranno far parlare. E stia Don Giorgio ancora un po’ accanto alla donna buttata sulla panca, e infine dica, come un’aggiunta al suo pensiero: E.... e non s’è nemmeno inginocchiata. DONNA FIORINA sollevandosi dalla panca, senza scoprire la faccia: Finirà di perdere la ragione! Scoprendo la faccia e voltandosi a guardare Don Giorgio: Ha visto con che occhi, con che voce ci ha imposto di lasciarla sola? DON GIORGIO No, no. Troppo in lei, anzi, mi par forte la ragione e.... e il timore allora è un altro, mia cara signora: che le mancherà pur troppo il divino conforto della fede, e — DONNA FIORINA alzandosi, smaniosa: Ma che farà sola di là? DON GIORGIO cercando di calmarla: Sola non è: ha voluto che rimanesse con lei Elisabetta. Lasci. Elisabetta è saggia, e — DONNA FIORINA brusca: Se lei l’avesse udita questa notte! S’interromperà, vedendo uscire dalla camera mortuaria la vecchia nutrice Elisabetta che si dirigerà verso l’uscio in fondo: Elisabetta! E appena Elisabetta si volterà, le domanderà con ansia, più col gesto che con la voce: Che fa? ELISABETTA con occhi da insensata e voce opaca senza gesti: Niente. Lo guarda. DONNA FIORINA E ancora non piange? ELISABETTA No. Lo guarda. DONNA FIORINA smaniando: Piangesse, Dio! almeno piangesse! ELISABETTA prima appressandosi, sempre con aria da insensata, poi guardando l’una e l’altro confiderà piano: E dice sempre che è là! Farà con la mano un gesto che significa «lontano». DON GIORGIO Chi? Lui? ELISABETTA farà segno di sì col capo. DON GIORGIO Là, dove? ELISABETTA Parla da sè, sottovoce, movendosi — DONNA FIORINA — e non potere far nulla per lei! — ELISABETTA — così sicura di quello che dice, che è uno spavento starla a sentire. DONNA FIORINA Ma che altro dice? che altro dice? ELISABETTA Dice: «È partito; ritornerà». DONNA FIORINA Ritornerà? ELISABETTA Così. Sicura. DON GIORGIO Partito è, ma quanto a ritornare — ELISABETTA — me l’ha letto negli occhi — e ha ripetuto più forte, fissandomi: — «Ritornerà, ritornerà». — Perchè quello che ha lì sotto gli occhi, dice che non è lui. DON GIORGIO sorpreso: Non è lui? DONNA FIORINA Diceva così anche stanotte! ELISABETTA E vuole che sia portato via subito. DONNA FIORINA si coprirà di nuovo la faccia con le mani. DON GIORGIO In chiesa? ELISABETTA Via, dice. E non vuole che si vesta. DONNA FIORINA scoprendo la faccia: E come, allora? ELISABETTA Appena le ho detto che bisognava vestirlo — DON GIORGIO — già; prima che si indurisca! — ELISABETTA — ha fatto un gesto d’orrore. Vuole ch’io vada a preparare la lavanda. Lavato, avvolto in un lenzuolo, e via. — Così. — Vado a dar subito gli ordini e torno. Andrà via per l’uscio in fondo. DONNA FIORINA Impazzirà, impazzirà! DON GIORGIO Mah. Veramente, vestire chi s’è spogliato di tutto.... Non vorrà forse per questo. DONNA FIORINA Sarà per questo; ma io — io mi confondo, ecco — a considerare com’è. DON GIORGIO Fare diversamente dagli altri. — DONNA FIORINA — non perchè voglia, creda! — DON GIORGIO — credo; ma — dico il dubbio, almeno — il dubbio che, a sviarsi così dagli altri, dagli usi, ci si possa smarrire, e.... e senza neanche trovar più compagni al nostro dolore. Perchè, capirà, un’altra madre può non intenderla codesta nudità della morte che lei vuole per il suo figliuolo — DONNA FIORINA — ma sì, neanch’io! — DON GIORGIO — ecco, vede? — e.... e giudicarla male, e.... DONNA FIORINA Sempre così è stata! Sembra che stia ad ascoltare ciò che gli altri le dicono; e tutt’a un tratto spunta fuori — come da lontano — con parole che nessuno s’aspetterebbe. Cose che — che sono vere — che quando le dice lei pare si possano toccare — a ripensarle, un momento dopo, stordiscono perchè non verrebbero in mente a nessuno; e fanno quasi paura. Io temo proprio, le giuro che temo di sentirla parlare; non so più nemmeno guardarla. — Che occhi! che occhi! DON GIORGIO Eh, povera madre! DONNA FIORINA Vedersi sparire il figlio così, in due giorni! DON GIORGIO L’unico figlio: tornato da così poco! Il vecchio giardiniere Giovanni, a questo punto, apparirà sbigottito sulla soglia dell’uscio in fondo e si farà un po’ avanti verso l’uscio a destra; starà un po’ a guardare da lì il cadavere, con stupore angoscioso; s’inginocchierà fin quasi a toccar terra con la fronte e rimarrà così un pezzo, mentre Donna Fiorina e Don Giorgio seguiteranno a parlare. DONNA FIORINA Dopo averlo aspettato tanti anni, tanti anni: più di sette: le era partito giovinetto — DON GIORGIO — ricordo: per i suoi studii d’ingegneria: a Liegi, mi pare. DONNA FIORINA lo guarderà e poi tentennando il capo in segno di disapprovazione: — là, là, dove poi.... DON GIORGIO con un sospiro: So, so. Anzi, mi trattengo perchè ho da dirle.... — Alluderà alla madre nell’altra stanza. Il vecchio giardiniere Giovanni si alzerà segnandosi e andrà via per l’uscio in fondo. DONNA FIORINA aspetterà che il vecchio giardiniere sia uscito, e subito, con ansia, domanderà, alludendo al figlio morto: Le lasciò, confessandosi, qualche disposizione? DON GIORGIO grave: Sì. DONNA FIORINA Per quella donna? DON GIORGIO c. s. Sì. DONNA FIORINA L’avesse sposata, quando la conobbe a Firenze, studente! DON GIORGIO È una signora francese, è vero? DONNA FIORINA Sì, ora. Ma di nascita, no: è italiana. Studiava anche lei a Firenze. Poi sposò un francese, un certo signor Maubel che se la portò prima a Liegi, appunto, poi a Nizza. DON GIORGIO Ah, ecco. E lui la seguì? DONNA FIORINA Che passione per questa povera madre! Non ritornare, in sette anni, neppure una volta, neppure per pochi giorni a rivederla! E alla fine, ecco: ritornare, per morirle così in un momento. E non era finita, non era ancora finita la corrispondenza con quella donna. Già lei lo saprà: gliel’avrà confessato. Lo guarderà e poi domanderà, titubante: Ha forse disposto per i bambini? DON GIORGIO guardandola a sua volta: No. Quali? DONNA FIORINA Non sa che ella ha due figliuoli? DON GIORGIO Ah, i bambini di lei — sì; me l’ha detto. E mi ha detto che sono stati la salvezza della madre e anche sua. DONNA FIORINA La salvezza, ha detto? DON GIORGIO Sì. DONNA FIORINA Non sono, dunque.... non sono di lui? DON GIORGIO subito: Oh no, signora! Purtroppo non si può dir puro un amore adultero, anche se contenuto soltanto nel cuore e nella mente; ma è certo che.... lui almeno m’ha detto che.... DONNA FIORINA Se gliel’ha detto in punto di morte — Dio mi perdoni: sua madre me l’aveva assicurato, più volte; le confesso che non ho saputo crederci. La passione era tanta che.... sì, sospettai perfino che quei due bambini.... — DON GIORGIO No, no. DONNA FIORINA stando in orecchi e facendo segno a Don Giorgio di tacere: Oh Dio, sente? Parla.... parla con lui! S’appresserà piano all’uscio a destra e starà un po’ in ascolto. DON GIORGIO Lasci. È il dolore. Farnetica. DONNA FIORINA No. È che le cose, come sono per noi, come noi le pensiamo — questa sventura — chi sa che senso avranno per lei! DON GIORGIO Lei dovrebbe forzarla a lasciare almeno per qualche tempo questa solitudine qua. DONNA FIORINA Impossibile! Non tento neppure. DON GIORGIO Almeno condursela con sè nella sua villa qua accanto! DONNA FIORINA Volesse! Ma non esce di qua da più di venti anni. Sempre a pensare, sempre a pensare. E a poco a poco s’è così.... come alienata da tutto. DON GIORGIO Eh, accogliere i pensieri che nascono dalla solitudine, è male, è male: vaporano dentro, nebbie di palude.... DONNA FIORINA L’ha ormai dentro di sè la solitudine. Basta guardarle gli occhi per comprendere che non le può più venir da fuori altra vita, una qualsiasi distrazione. S’è chiusa qua in questa villa dove il silenzio, — su, ad attraversare le grandi stanze deserte — fa paura, paura. Pare — non so — che il tempo vi sprofondi. Il rumore delle foglie, quando c’è vento! Ne provo un’angoscia che non le so dire, pensando a lei, qua, sola. Immagino che le debba portar via l’anima, quel vento. Prima però, quando il figlio era lontano, sapevo dove gliela portava; ma ora? ma ora? Vedendo comparire la sorella sulla soglia dell’uscio a destra: Ah! Dio, eccola! Donn’Anna Luna, tutta bianca e come allucinata, avrà negli occhi una luce e sulle labbra una voce così «sue», che la faranno quasi religiosamente sola tra gli altri e le cose che la circondano. Sola e nuova. E questa sua «solitudine» e questa sua «novità» turberanno tanto più, in quanto si esprimeranno con una quasi divina semplicità, pur parlando ella come in un delirio lucido che sarà quasi l’alito tremulo del fuoco interiore che la divora e che si consuma così. S’avvierà all’uscio in fondo senza dir nulla: lì sulla soglia aspetterà un poco; poi, vedendo Elisabetta che ritorna insieme con due fanti che recheranno una conca d’acqua fumante infusa di balsami, dirà con lieve dolente impazienza: DONN’ANNA Presto, presto, Elisabetta. E fai come ti ho detto io. Ma presto. Le due fanti, senza fermarsi, attraverseranno da un uscio all’altro la scena. ELISABETTA scusandosi: Ho dovuto dare anche gli altri ordini — DONN’ANNA per troncare le scuse: — sì, sì — ELISABETTA seguitando: — e poi bisognerà che venga ancora il medico a vedere; e dar tempo che — DONN’ANNA c. s. — sì, vai vai. — Oh guarda lì, — Indicherà per terra, presso Elisabetta: — una corona. Sarà caduta a una di quelle donne. Elisabetta si chinerà a raccattarla, gliela porgerà e s’avvierà per l’uscio a destra. Prima che Elisabetta esca, ella tornerà a raccomandarle: Come t’ho detto io, Elisabetta. ELISABETTA Sì, padrona. Non dubiti. Via. DONN’ANNA guardando l’umile corona: Pregare — inginocchiare il proprio dolore.... — Tenga, Don Giorgio. Gli porgerà la corona. Per me è più difficile. In piedi. SeguirLo qua, attimo per attimo. A un certo punto, quasi manca il respiro; ci s’accascia e si prega: — «Ah, mio Dio, non resisto più: fammi piegare i ginocchi!» — Non vuole. Ci vuole in piedi; vivi, attimo per attimo: qua, qua; senza mai riposo. DON GIORGIO Ma la vera vita è di là, signora mia! DONN’ANNA Io so che Dio non può morire in ogni sua creatura che muore. Lei non può neanche dire che la mia creatura è morta: lei mi dice che Dio se l’è ripresa con Sè. DON GIORGIO Ecco, sì! Appunto! DONN’ANNA con strazio: Ma io sono qua ancora, don Giorgio! DON GIORGIO subito, a confortarla: Sì, povera signora mia. DONNA FIORINA Povera Anna mia, sì. DONN’ANNA E non sentite che Dio per noi non è di là, finchè vuol durare qua, in me, in noi; non per noi soltanto ma anche perchè seguitino a vivere tutti quelli che se ne sono andati? DON GIORGIO A vivere nel nostro ricordo, sì. DONN’ANNA lo guarderà come ferita dalla parola «ricordo» e volterà pian piano la testa quasi per non vedere la sua ferita; andrà a sedere e dirà a se stessa, dolente ma con fredda voce: Non posso più nè parlare, nè sentire parlare. DONNA FIORINA Perchè, Anna? DONN’ANNA Le parole — come le sento proferire dagli altri! DON GIORGIO Io ho detto «ricordo». DONN’ANNA Sì, don Giorgio; ma è come una morte per me. Se non ho mai, mai vissuto d’altro? se non ho altra vita che questa — l’unica che possa toccare: precisa, presente — lei mi dice «ricordo», e subito me l’allontana, me la fa mancare. DON GIORGIO Come dovrei dire allora? DONN’ANNA Che Dio vuole che mi viva ancora, mio figlio! — Così. — Non certo più di quella vita ch’Egli volle dare a lui qua; ma di quella che gli ho data io, sì, sempre! Questa non gli può finire finchè la vita duri a me. — O che non è vero che così si può vivere eterni anche qua, quando con le opere ce ne rendiamo degni? — Eterno, mio figlio, no; ma qua con me, di questo giorno che gli è rimasto a mezzo, e di domani, finchè vivo io, mio figlio deve vivere, deve vivere, con tutte le cose della vita, qua, con tutta la mia vita, che è sua, e non gliela può levare nessuno! DON GIORGIO pietosamente, per richiamarla da tanta superbia, come a lui pare, alla ragione, accennerà a Dio, levando una mano. DONN’ANNA subito, intendendo il gesto: No. Dio? Dio non leva la vita! DON GIORGIO Ma io dico quella che fu la sua qua. DONN’ANNA Perchè sapete che c’è di là un povero corpo che non vi vede e non vi sente più! E allora basta, è vero? È finito. Sì, vestirlo ancora d’uno dei suoi abiti portati di Francia, anche se non serva a ripararlo dal gelo che ha in sè e non gli viene più da fuori. DON GIORGIO Ma è pure un rito, signora mia — DONN’ANNA — sì, recitare le preghiere, accendere i ceri.... — E fate, sì; ma presto! — Io voglio quella sua stanza là com’era; che stia là, viva, viva della vita che io le do, ad attendere il suo ritorno, con tutte le cose com’egli me l’affidò prima che partisse. — Ma lo sa che mio figlio, quello che mi partì, non m’è più ritornato? — Cogliendo uno sguardo di Don Giorgio alla sorella: Non guardi Fiorina. Anche i suoi figli! Le sono partiti l’anno scorso per la città, Flavio e Lida. Crede che le ritorneranno? Donna Fiorina, nel sentirle dire così, si metterà a piangere sommessamente. No, non piangere! Piansi tanto anch’io — allora sì — per quella sua partenza! Senza sapere! Come te che piangi e non ne sai, non ne sai ancora la ragione! DONNA FIORINA No, no; io piango per te, Anna! DONN’ANNA E non intendi che si dovrebbe piangere sempre, allora? — Oh Fiorina, le prenderà la testa fra le mani e la guarderà negli occhi amorosamente: tu, questa? con questa fronte? con questi occhi? Ma ci pensi? Come ti sei ridotta così da quella che eri? Ti vedo viva com’eri, un fiore veramente; e vuoi che non mi sembri un sogno vederti ora così? E a te, di’ la verità, se ci pensi, la tua immagine d’allora — DONNA FIORINA — eh sì, un sogno, Anna. DONN’ANNA Ecco, vedi com’è? Tutto così. Un sogno. E il corpo, se così sotto le mani ti cangia ti cangia — le tue immagini — questa, quella — che sono? Memorie di sogni. Ecco: questa, quella. Tutto. DONNA FIORINA Memorie di sogni, sì. DONN’ANNA E allora basta che sia viva la memoria, io dico, e il sogno è vita, ecco! Mio figlio com’io lo vedo: vivo! vivo! — Non quello che è di là. Cercate d’intendermi! DONNA FIORINA quasi tra sè: Ma è pure quello di là! DON GIORGIO Dio volesse che fosse un sogno! DONN’ANNA senza più impazienza, dopo essere stata per un momento assorta in sè: Sette anni ci vogliono — lo so — sette anni di stare a pensare al figlio che non ritorna, e aver sofferto quello che ho sofferto io, per intenderla questa verità che oltrepassa ogni dolore e si fa qua, qua come una luce che non si può più spegnere — Si stringerà con ambo le mani le tempie — e dà questa terribile fredda febbre che inaridisce gli occhi e anche il suono della voce: chiara e crudele. (Io quasi mi volto, a sentirmi parlare, come se parlasse un’altra). DONNA FIORINA Tu dovresti riposarti un poco, Anna mia. DONN’ANNA Non posso. Mi vuole viva. — Ma guardi, Don Giorgio, guardi se non è tutto vero così com’io le dico. Mio figlio, voi credete che mi sia morto ora, è vero? Non mi è morto ora. Io piansi invece, di nascosto, tutte le mie lagrime quando me lo vidi arrivare: — (e per questo ora non ne ho più!) — quando mi vidi ritornare un altro che non aveva nulla, più nulla di mio figlio. DON GIORGIO Ah, ecco — sì, cambiato — certo! Eh, l’ha detto lei stessa, dianzi, di sua sorella. Ma si sa che la vita ci cambia, e.... DONN’ANNA — e ci pare che possiamo confortarci, dicendo così: «cambiato». E non vuol dire un altro da quello che era? E se quello che prima era, ora non è più, che vuol dire «cambiato»? Io non lo potei riconoscere più come il figlio mio che m’era partito. — Lo spiavo, se almeno un volger d’occhi, un cenno di sorriso a fior di labbro, che so.... un subito schiarirsi della fronte, di quella sua bella fronte di giovinetto con tanti capelli fini — oh, d’oro nel sole! — mi avesse richiamato vivo, almeno per un momento, in questo che m’era ritornato, il mio figlio d’allora. No, no. Altri occhi: freddi. E una fronte sempre opaca, stretta qua alle tempie. E quasi calvo, quasi calvo. — Ecco, com’è là. Accennerà alla camera mortuaria. Ma deve ammettermi che io lo so, mio figlio com’era. Una madre guarda il figlio e lo sa com’è: Dio mio, l’ha fatto lei! — Ebbene, la vita può agire così crudelmente verso una madre: le strappa il figlio e glielo cambia. — Un altro; e io non lo sapevo. Morto; e io seguitavo a farlo vivere in me. DON GIORGIO Ma per lei dunque, signora; per come era per lei. Non morto per sè, se egli fino a poco fa viveva — DONN’ANNA — la sua vita, sì; ah, la sua vita sì, e quella che egli dava a noi, a me! Ben poco ormai, quasi più niente a me. Era tutto là, sempre! Indicherà lontano. Ma capisce che cosa orribile m’è toccato patire? Mio figlio — quello che è per me, nella mia memoria, vivo — era rimasto là, presso quella donna; e qua, per me, era tornato questo che — che non potei più sapere neppure come mi vedesse, con quegli occhi cambiati — che non mi poteva dar più niente — che se pur con la mano qualche volta mi toccava, certo non mi sentiva più come prima. — E che posso saperne io, della sua vita, com’era adesso per lui? delle cose, com’egli le vedeva; e quando le toccava, come le sentiva? — Ecco, vede? è così: quello che ci manca, ora, è solo quello che non sappiamo, che non possiamo sapere: la vita com’egli la dava a sè e a noi. Questa sì. Ma allora, Dio mio, si dovrebbe anche intendere che la vera ragione per cui si piange davanti alla morte è un’altra da quella che si crede. DON GIORGIO Si piange quello che ci viene a mancare. DONN’ANNA Ecco! La nostra vita in chi muore: quello che non sappiamo! DON GIORGIO Ma no, signora — DONN’ANNA — sì, sì: per noi piangiamo; perchè chi muore non può più dare — lui, lui — nessuna vita a noi, con quei suoi occhi spenti che non ci vedono più, con quelle sue mani fredde e dure che non ci possono più toccare. E che vuole ch’io pianga, allora, se è per me! — Quando era lontano, io dicevo: — «Se in questo momento mi pensa, io sono viva per lui». — E questo mi sosteneva, mi confortava nella mia solitudine. — Come debbo dire io ora? Debbo dire che io, io, non sono più viva per lui, poichè egli non mi può più pensare! — E voi invece volete dire che egli non è più vivo per me. Ma sì che egli è vivo per me, vivo di tutta la vita che io gli ho sempre data: la mia, la mia; non la sua che io non so! Se l’era vissuta lui, la sua, lontano da me, senza che io ne sapessi più nulla. E come per sette anni gliel’ho data senza che lui ci fosse più, non posso forse seguitare a dargliela ancora, allo stesso modo? Che è morto di lui, che non fosse già morto per me? Mi sono accorta bene che la vita non dipende da un corpo che ci stia o non ci stia davanti agli occhi. Può esserci un corpo, starci davanti agli occhi, ed esser morto per quella vita che noi gli davamo. — Quei suoi occhi che si dilatavano di tanto in tanto come per un brio di luce improvviso che glieli faceva ridere limpidi e felici, egli li aveva perduti nella sua vita; ma in me, no: li ha sempre, quegli occhi, e gli ridono subito, limpidi e felici, se io lo chiamo e si volta, vivo! — Vuol dire che io ora non debbo più permettere che s’allontani da me, dov’ha la sua vita; e che altra vita si frapponga tra lui e me: questo sì! — Avrà la mia qua, nei miei occhi che lo vedono, sulle mie labbra che gli parlano; e posso anche fargliela vivere là, dove lui la vuole: non m’importa! senza darne più niente, più niente a me, se non me ne vuol dare: tutta, tutta per lui là, la mia vita: se la vivrà lui, e io starò qua ancora ad aspettarne il ritorno, se mai riuscirà a distaccarsi da quella sua disperata passione. A don Giorgio: Lei lo sa. DON GIORGIO Sì, me ne parlò. DONN’ANNA L’ho supposto, don Giorgio. DON GIORGIO E mi disse come voleva che le fosse annunziata la sua morte. DONN’ANNA come se il figlio parlasse per la sua bocca: Che l’amore di lui non le mancò mai, fino all’ultimo momento. DON GIORGIO Sì. Ma facendoglielo sapere con tutte le debite cautele, scrivendone alla madre di lei, là. DONN’ANNA c. s. Che non le mancherà mai, mai quest’amore! DON GIORGIO stordito: Come? DONN’ANNA con la massima naturalezza: Se ella saprà tenerselo vivo nel cuore, aspettandone di qua il ritorno, com’io lo aspetto di là. — Se ella lo ama, m’intenderà. E il loro amore, per fortuna, era tale che non aveva bisogno per vivere della presenza del corpo. Si sono amati così. Possono, possono seguitare ad amarsi ancora. DONNA FIORINA costernata: Ma che dici, Anna? DONN’ANNA Che possono! Nel cuore di lei. Se ella saprà dargli ancora vita col suo amore, come certo in questo momento gliela dà, se lo pensa qua vivo com’io lo penso vivo là. DON GIORGIO Ma crede, signora mia, che si possa, così, passar sopra la morte? DONN’ANNA No, è vero? «Così» non si deve! La vita, sì, ha messo sempre sui morti una pietra, per passarci sopra. Ma dev’essere la nostra vita, non quella di chi muore. I morti li vogliamo proprio morti, per poterla vivere in pace la nostra vita. E così va bene passar sopra la morte! DON GIORGIO Ma no. Altro è dimenticare i morti, signora (che non si deve), altro pensarli vivi come lei dice — DONNA FIORINA — aspettarne il ritorno — DON GIORGIO — che non può più avvenire! DONN’ANNA E allora pensarlo morto, è vero? com’è là — DON GIORGIO — purtroppo! — DONN’ANNA — ed esser certi che non può più ritornare! Piangere molto, molto; e poi quietarsi a poco a poco — DONNA FIORINA — consolarsi in qualche modo! DONN’ANNA E poi, come da lontano, ogni tanto, ricordarsi di lui: — «Era così» — «Diceva questo» — Va bene? DONNA FIORINA Come tutti hanno sempre fatto, Anna mia! DONN’ANNA Insomma, ecco, farlo morire, farlo morire anche in noi; non così d’un tratto com’è morto lui là, ma a poco a poco; dimenticandolo; negandogli quella vita che prima gli davano, perchè egli non può più darne nessuna a noi. Si fa così? — Tanto e tanto. Più niente tu a me; più niente io a te. — O al più, considerando che se non me ne dài più è perchè proprio non me ne puoi più dare, non avendone più neanche un poco, neanche una briciola per te; ecco, di quella che potrà avanzarne a me, di tanto in tanto, io te ne darò ancora un pochino, ricordandoti — così, da lontano. Ah, da lontano lontano, badiamo! per modo che non ti possa più avvenire di ritornare. Dio sa, altrimenti, che spavento! — Questa è la perfetta morte. E la vita, quale anche una madre, se vuol esser saggia, deve seguitare a viverla, quando il figlio le sia morto. Si ripresenterà a questo punto sulla soglia dell’uscio in fondo Giovanni, il vecchio giardiniere, sbigottito, con una lettera in mano. Vedendo Donn’Anna, si tratterrà d’entrare e farà cenno a donna Fiorina della lettera, badando di non farsi scorgere. Ma Donn’Anna, vedendo voltare la sorella e Don Giorgio, si volterà anche lei e, notando lo sbigottimento del vecchio, gli domanderà: DONN’ANNA Giovanni — che cos’è? GIOVANNI nascondendo la lettera: Niente. Volevo.... volevo dire alla signora.... DON GIORGIO che avrà scorto la lettera nelle mani del vecchio, domanderà con ansia costernata: Che sia la lettera ch’egli aspettava? DONN’ANNA a Giovanni: Hai una lettera? GIOVANNI titubante: Sì, ma — DONN’ANNA Da’ qua. So che è per lui! Il vecchio giardiniere porgerà la lettera a Donn’Anna e andrà via. DON GIORGIO La aspettava con tanta ansia — DONN’ANNA — sì, da due giorni! — Ne parlò anche a lei? — DON GIORGIO Sì, per dirmi che lei doveva aprirla, appena fosse arrivata. DONN’ANNA Aprirla? io? DON GIORGIO Sì, per scongiurare a tempo, se mai, un pericolo che lo tenne fino all’ultimo angosciato — DONN’ANNA — ah sì, lo so! lo so! — DON GIORGIO — ch’ella commettesse la follia — DONN’ANNA — di venire a raggiungerlo qua — lo so! — Se l’aspettava! S’aspettava ch’ella abbandonasse là i figli, il marito, la madre! DON GIORGIO E a scongiurare questa follia mi disse, anzi, che aveva già cominciato una lettera — DONN’ANNA — per lei? DON GIORGIO Sì. DONN’ANNA Allora è là! Indicherà la tavola da scrivere. DON GIORGIO Forse. Ma da distruggere ormai, per seguire invece l’altro suo suggerimento, di scrivere alla madre di lei. Ma veda, veda prima che cosa ella gli scrive. DONN’ANNA aprirà con mani convulse la lettera. Sì, sì! DON GIORGIO M’ero trattenuto per lasciarle detto questo; e la lettera è arrivata. DONN’ANNA traendola fuori dalla busta: Eccola, eccola. DONNA FIORINA A lui che non c’è più! DONN’ANNA No! È qua! è qua! E si metterà a leggere la lettera con gli occhi soltanto esprimendo durante la lettura, con gli atteggiamenti del volto, col tremore delle mani, con le esclamazioni che a mano a mano le scatteranno dal cuore, la gioja di sentir vivere il figlio nella passione dell’amante lontana: Sì — sì — gli dice che vuol venire — che viene, che viene! DON GIORGIO Bisognerà allora impedirlo — DONNA FIORINA — subito! DONN’ANNA seguitando a leggere senza prestare ascolto: Non resiste più! — Finchè lo aveva là con lei... — Poi con scatto improvviso di tenerezza: Come gli scrive! come gli scrive! — Seguiterà a leggere, e poi con un altro scatto che sarà grido e riso insieme, quasi lucente di lagrime: Sì? sì? E allora anche tu potrai! Poi dolente: Eh, ma se ne dispera! E ancora seguitando a leggere: Questo tormento, sì — Breve sospensione: seguiterà a leggere ancora un tratto, poi esclamerà: Sì, tanto, tanto amore! — Con altra espressione, poco dopo: Ah! ah no, no! Poi, come rispondendo alla lettera: Ma anche, lui, anche lui, qua, sì, sempre per te! Con uno scatto di gioja: Lo vede: lo vede! — Poi, turbandosi improvvisamente: Ah Dio — ma ne è disperata, disperata. — No! ah, no! Troncando la lettura e rivolgendosi a Don Giorgio e alla sorella: Non è possibile, non è possibile farle sapere in questo momento ch’egli non le può più dare il conforto del suo amore, della sua vita! DON GIORGIO Suggerì egli stesso per questo — DONNA FIORINA — di non farglielo sapere direttamente! DON GIORGIO Penserà la madre a — DONN’ANNA Impossibile! Ne impazzirebbe o ne morrebbe! — No! no! DONNA FIORINA Ma pure, per forza, Anna, bisognerà — DONN’ANNA Ma che! Se sentissi com’egli è vivo, vivo qua, in questa disperazione di lei! — Come gli parla, come gli grida il suo amore! — Minaccia d’uccidersi! — Guai se non fosse così vivo per lei in questo momento! DONNA FIORINA Ma come, Anna mia? come? DONN’ANNA C’è lì la sua lettera cominciata! Andrà alla tavola da scrivere; aprirà la cartella che vi sta sopra; ne trarrà la lettera del figlio: Eccola! DON GIORGIO E che vorrebbe farne, signora? DONN’ANNA Avrà trovato lui le parole, qua vive, per riconfortarla, per trattenerla, per distoglierla da questo proposito disperato di venire! DON GIORGIO E vorrebbe mandarle codesta lettera? DONN’ANNA Gliela manderò! DON GIORGIO No, signora! DONNA FIORINA Pensa a quello che fai, Anna! DONN’ANNA Vi dico che la sua vita bisogna ancora a lei! — Volete ch’io glielo uccida in questo momento, uccidendo anche lei? DONNA FIORINA Ma scriverai alla madre nello stesso tempo? DONN’ANNA Scriverò anche alla madre per scongiurarla che glielo lasci vivo! — Lasciatemi, lasciatemi! DON GIORGIO La lettera non è nemmeno finita! DONN’ANNA Io la finirò! Aveva la mia stessa mano. Scriveva come me! — La finirò io! DONNA FIORINA No, Anna! DON GIORGIO Non lo faccia, signora! DONN’ANNA Lasciatemi sola! — Ha ancora questa mano per scriverle, e le scriverà! le scriverà! TELA ATTO SECONDO La stessa scena del primo atto, verso sera; pochi giorni dopo. Accanto alla finestra, nella parete di sinistra, si vedrà da una parte e dall’altra un vaso da giardino con pianta d’alto fusto vivacemente fiorita. Un terzo vaso consimile, al levarsi della tela, avrà tra le mani Giovanni sulla soglia dell’uscio in fondo, presso la quale si vedranno anche Donn’Anna e sua sorella Donna Fiorina. DONN’ANNA a Giovanni, indicandogli il posto per il vaso: lì accanto all’uscio, a destra: Qua, Giovanni; posalo qua. Giovanni lo poserà. Così. E ora vai per l’ultimo, che collocherai dall’altra parte. — Se ti pesa, fatti ajutare. GIOVANNI No, padrona. DONN’ANNA So, so che non ti pesa, vecchio mio. Vai, vai. E come Giovanni andrà via, voltando alla sua destra, ella dirà a Fiorina, odorando la pianta: Senti che buon odore, Fiorina? E poi, indicando le altre piante presso la finestra: E come sono belle, qua vive! DONNA FIORINA Ma tu ti rendi più difficile il còmpito, così, Anna, ci pensi? DONN’ANNA Follia per follia; lasciami fare! Non ne commettemmo mai nessuna, nè io nè tu, per noi, nella nostra gioventù! DONNA FIORINA Ma sei responsabile tu, ora, della sua! DONN’ANNA No. In tutti i modi, in tutti i modi egli la scongiurò di non commetterla. È voluta venire! L’aveva in mente! Non avrei più fatto a tempo a impedirlo, scrivendo! È partita! DONNA FIORINA Ma se tu già avessi scritto alla madre! DONN’ANNA Non ho potuto! Mi ci sono provata, tre giorni, e non ho potuto; per la paura che ancora ho — DONNA FIORINA — di che? DONN’ANNA — che possa non essere per lei, com’è per me! che «sapendolo», il suo amore debba finire! DONNA FIORINA Ma dovresti augurartelo, augurarglielo! DONN’ANNA Non me lo dire, Fiorina! — Gli ha scritto un’altra lettera, sai? DONNA FIORINA Un’altra lettera? DONN’ANNA con occhi accesi di cupa gioja vorace: L’ho letta per lui! E subito a prevenire: Ma era più disperata della prima! DONNA FIORINA Dio mio, Anna, tu mi spaventi! DONN’ANNA Una mamma che si spaventa, come se non avesse tenuto vivi in grembo i suoi due figli e non li avesse nutriti di sè, con quella bella fame per due! — O che ti spaventavi allora? — Io ora mangio la vita per lui! — Se lo chiamo, che fai? torni a spaventarti? DONNA FIORINA s’otturerà le orecchie come se la sorella stesse per gridare il nome del figlio: No, Anna mia! no! no! DONN’ANNA Temi ch’egli possa castigare il tuo spavento, comparendoti per burla di là? Indicherà la camera del figlio. Io non ho bisogno di credere alle ombre. So che egli vive per me. Non sono pazza. DONNA FIORINA Lo so! E intanto fai, come se fossi! DONN’ANNA Che ne sai tu come faccio? delle ore che passo? Quando, su, abbandono la testa sui guanciali, e lo sento, lo sento anch’io il silenzio e il vuoto di queste stanze, e non mi basta più nessun ricordo per animarlo e riempirlo, perchè sono stanca. «So» anch’io, allora! «so» anch’io! e m’invade un raccapriccio spaventoso! L’unico rifugio, l’ultimo conforto allora è in lei, in questa che viene e che ancora non «sa». — Me le rianima e me le riempie lei subito, queste stanze; mi metto tutta negli occhi e nel cuore di lei per vederlo ancora qua, per sentirlo ancora qua, vivo; poichè da me non posso più! DONNA FIORINA Ma ora che ella viene — DONN’ANNA Tu vuoi farmi pensare prima del tempo a ciò che avverrà! Sei crudele! Non vedi come smanio? Mi par di respirare come chi abbia i minuti contati e tu mi vuoi levare quest’ultimo minuto di respiro! DONNA FIORINA Ma perchè considero che con questo viaggio ella rischia di compromettersi; ora che tutto è finito. DONN’ANNA No. Gliel’ha scritto. Approfitta d’una assenza del marito, andato da Nizza a Parigi per affari. DONNA FIORINA E se il marito ritornasse all’improvviso e non la trovasse? DONN’ANNA Avrà lasciato alla madre qualche scusa da dare al marito, di questa sua corsa qua di pochi giorni. La madre ha ancora le sue terre a Cortona. DONNA FIORINA Ma com’ha potuto pensare, io dico, di venire a trovarlo qua, sotto i tuoi occhi? DONN’ANNA Qua? Ma che dici? Qua la condurrò io. Ella gli ha scritto di trovarsi ad aspettarla alla stazione. DONNA FIORINA E ci troverà te, invece? E come le dirai? DONN’ANNA Le dirò.... le dirò, prima, di venire con me. — Non le potrò mica dare la notizia lì alla stazione, davanti a tutti. DONNA FIORINA Ma come resterà lei, alla tua presenza? Che penserà, non trovando lui? DONN’ANNA Penserà che non c’è, perchè è partito. E che ha mandato me per farglielo sapere. — Ecco: dapprima, là, le dirò così.... — o in qualche altro modo. DONNA FIORINA Ma poi qua, almeno, le dirai tutto? tutto? DONN’ANNA Dopo che la avrò persuasa a seguirmi, sì. DONNA FIORINA E perchè allora prepari queste piante? DONN’ANNA Perchè ancora ella non lo saprà, arrivando! È lui! è lui! Non sono io! — Per carità non farmi parlare! — Ella arriva, e ci vogliono queste piante! Vedendo rientrare Giovanni con l’altro vaso: Là, Giovanni, come t’ho detto. GIOVANNI Dopo aver posato il vaso: Questa è la più bella di tutte. DONN’ANNA Abbiamo scelte le più belle, sì. E ora di’, di’ che tengano pronta la vettura. GIOVANNI È già pronta, signora. In dieci minuti lei sarà alla stazione. DONN’ANNA Bene bene. Puoi andare. Giovanni riandrà via per l’uscio in fondo. Donn’Anna in preda come sarà alla sua crescente impazienza, si farà presso l’uscio a destra a chiamare: Elisabetta! Non hai ancora finito di preparare? DONNA FIORINA Ma come? Lì, Anna? DONN’ANNA No! Non per lei. Per lei ho fatto preparare su. E chiamerà più forte, appressandosi all’uscio. Elisabetta! E perchè hai aperto la finestra? Entrerà Elisabetta di corsa annunziando fin dall’interno: ELISABETTA I signorini! i signorini! A Donna Fiorina: Sono arrivati i suoi figli, signora! DONNA FIORINA sorpresa, esultante: Lida? Flavio? ELISABETTA Li ho sentiti gridare nel giardino! Sissignora! Vengono su di corsa! DONN’ANNA I tuoi figli.... DONNA FIORINA Ma come? Un giorno prima? Dovevano arrivare domani! Si udrà gridare dall’interno: «Mamma! Mamma!» ELISABETTA Eccoli! Eccoli! Irromperanno nella stanza Lida, sui diciotto anni, e Flavio, sui venti. Partiti lo scorso anno dalla campagna per i loro studi in città, saranno diventati altri, pure in così poco tempo, da quelli che erano prima che fossero partiti; altri non solo nel modo di pensare e di sentire, ma anche nel corpo, nel suono della voce, nel modo di gestire, di muoversi, di guardare, di sorridere. Essi naturalmente, non lo sapranno. Se ne accorgerà subito la madre, dopo le prime impetuose effusioni d’affetto, e ne resterà sbigottita, per il tragico senso che all’improvviso assumerà ai suoi occhi l’evidenza della prova di quanto la sorella le ha rivelato. LIDA accorrendo alla madre e buttandole le braccia al collo: Mammina! Mammina mia bella! La bacerà. DONNA FIORINA Lida mia! La bacerà. Ma come? — Flavio! Flavio! Gli tenderà le braccia. FLAVIO abbracciandola: Mammina! La bacerà. DONNA FIORINA Ma come? — Oh Dio, ma come? Voi? Così? LIDA Siamo riusciti a partire oggi, vedi? FLAVIO A precipizio! Sbrigando tutto in due ore! LIDA Ora se ne vanta! Non voleva — FLAVIO Sfido! Corri di qua! scappa di là! Dalla sarta, dalla modista — Chypre Coty — calze di seta! (che te ne farai poi qua in campagna, non lo so!) LIDA Vedrai, vedrai, mammina, quante cose belle ho portato, anche per te! DONNA FIORINA che avrà cercato di sorridere, ascoltandoli; ma che pure, avendo notato subito il loro cambiamento, si sarà sentita come raggelare; ora dirà, con gli occhi rivolti alla sorella che si sarà tratta un po’ in disparte nell’ombra che comincerà a invadere la stanza: Sì... sì, — ma Dio mio.... — io non so.... — come parlate? Subito, allora, a Lida e a Flavio, seguendo lo sguardo della madre, sovverrà d’essere in casa della zia: penseranno alla sciagura recente di cui nel primo impeto non si saranno più ricordati e, attribuendo a questa loro dimenticanza lo sbigottimento della madre, si turberanno e si volgeranno confusi e mortificati alla zia. FLAVIO Ah, la zia — già! — LIDA Scusaci, zia! Entrando a precipizio — FLAVIO Non vedevamo la mamma da un anno — LIDA Il povero Fulvio — FLAVIO — ne abbiamo avuta tanta pena — LIDA — per te, zia! FLAVIO Contavo di trovarlo qua; di passare con lui le vacanze — LIDA E io di conoscerlo, perchè — FLAVIO — ma dovresti ricordartene! — LIDA — avevo appena nove anni, quando partì — FLAVIO Povera zia! LIDA Scusaci! E anche tu, mamma! DONN’ANNA No, Flavio; no, Lida: Non è per me; è per voi. LIDA non comprendendo: Che cosa, per noi? DONN’ANNA Niente, cari! Li guarderà un poco, poi li bacerà sulla fronte, prima l’uno poi l’altro. Ben tornati. S’accosterà alla sorella e le dirà piano con un sorriso, per confortarla: Pensa che almeno, ora, sono più belli. — È bene che io me ne vada. Andrà per l’uscio in fondo. Gli altri resteranno per un momento in silenzio, come sospesi. L’ombra seguiterà intanto a invadere gradatamente la stanza. FLAVIO Non abbiamo pensato, entrando — LIDA Ma che ha voluto dire, «che è per noi»? DONNA FIORINA insorgendo come contro un incubo: Niente, niente, figli miei! Non è vero! no! no! — Lasciatevi vedere! ELISABETTA Come si sono fatti! DONNA FIORINA c. s. Più belli! più belli! ELISABETTA ammirando Lida: Altro che! Una signorina di già! Sembra un’altra! DONNA FIORINA con impeto, come a ripararla, riprendendosela: No, Lida mia! Lida mia! E subito volgendosi all’altro: Il mio Flavio! FLAVIO riabbracciandola: Mammina! Ma che hai? DONNA FIORINA Qua, qua! Lasciatevi vedere bene! Prenderà fra le mani il viso di Lida. Non star più a pensare! guardami! LIDA Ma com’è morto, mamma? Proprio per — FLAVIO — per quella donna? DONNA FIORINA in fretta, urtata: No! D’un male che gli è sopravvenuto all’improvviso. — Ve ne parlerò poi. — Ora ditemi, ditemi di voi, piuttosto! FLAVIO a Lida: Vedi se è vero? Le tue solite romanticherie, te l’ho detto! Se aveva potuto staccarsene, è segno che tutta questa gran passione, da morirne — DONNA FIORINA Ma no, che dite? FLAVIO Non fa che leggere romanzi, te n’avverto! DONNA FIORINA Tu, Liduccia? LIDA Non ci credere, mammina: non è vero! FLAVIO Se n’è portati una ventina anche qua, figurati! LIDA Mi fai il piacere di non immischiarti negli affari miei? DONNA FIORINA Ma come! Litigate così tra voi? LIDA È insoffribile! Non ci badare, mammina. FLAVIO Da quale eroina t’è venuto lo «Chypre» si può sapere? DONNA FIORINA tra sè, angustiata: Lo «Chypre» — che sarà? LIDA Me l’ha suggerito un’amica mia! FLAVIO La Rosi? LIDA Ma che Rosi! FLAVIO La Franchi? LIDA Ma che Franchi! FLAVIO Ne cambia una al giorno! Bandieruola! ELISABETTA Partiti come due pastorelli dalla campagna, Signore Iddio, ora pajono due milordini! DONNA FIORINA tentando ancora di reagire: Ma certo! La città.... Sono cresciuti, e.... A Lida: Mi dite che cos’è codesto «Chypre»? FLAVIO Un profumo, mammina: novanta lire la fialetta! DONNA FIORINA Profumi, una ragazza! LIDA Mammina, ho diciott’anni! FLAVIO Tre fialette: duecento settanta lire! LIDA Hai speso per te, di cravatte, di colletti, di guanti, non so quanto, e hai il coraggio di rinfacciare a me le tre fialette di «Chypre»? DONNA FIORINA Zitti, per carità, non posso sentirvi fare codesti discorsi! A Lida, carezzevole: Ti pettini ora così, — come una grande — ELISABETTA Partì con la treccina sulle spalle! DONNA FIORINA senza dare ascolto a Elisabetta: Eh già! Sei più alta di me. Poi come smarrita: Come ti sto sembrando io? LIDA Bene, mammina! Tanto bene! DONNA FIORINA E allora perchè mi guardi così? LIDA Come ti guardo? DONNA FIORINA Non so.... E tu, Flavio.... FLAVIO Ma sai che sei davvero strana, mammina? Riderà, guardandola. DONNA FIORINA No, non ridere così, ti prego! FLAVIO Eh, lo so che qui non dovrei ridere; ma parli, ci guardi in un modo così curioso — DONNA FIORINA Io? Smaniosamente: S’è fatto bujo qua: vi cerco con gli occhi, perchè quasi non vi vedo più. L’ombra, di fatti, si sarà addensata; e in essa a mano a mano si sarà avvivato sempre più il riverbero del lume acceso nella stanza del figlio morto. ELISABETTA Aspetti. Accenderò. DONNA FIORINA No. Andiamo via; andiamo via, ragazzi! Andiamocene di qui; è tardi! LIDA nel voltarsi, notando quel riverbero: Oh, c’è lume in quella stanza. Chi c’è? DONNA FIORINA Se sapeste! FLAVIO piano, restando: È morto là? ELISABETTA cupa, dopo un silenzio: Qua è, ormai, come se non avessimo più vita noi; e l’avesse lui solo. FLAVIO Gli tiene il lume acceso? LIDA che si sarà timorosamente appressata a guardare: E la camera intatta? DONNA FIORINA Non guardare, Lida! FLAVIO Come se dovesse sempre arrivare? ELISABETTA No: come se non se ne fosse andato mai, e fosse qua ancora, com’era prima che partisse. Ci penserà lei, dice, a non farlo partire. Breve pausa; e poi aggiungerà cupamente: Perchè i figli che partono, muojono per la madre. Non sono più quelli! Nel bujo e nel silenzio d’incubo, sopravvenuto, Donna Fiorina romperà in un pianto sommesso. FLAVIO dopo che il pianto della madre avrà fatto per un momento sussultare quel silenzio di morte, dirà alieno, attribuendo quel pianto al dolore per la sorella: Povera zia; ma guarda! LIDA È come una follia! ELISABETTA Ne parla così, che quasi lo fa vedere. Io mi guardo dietro, quando sono qua sola, come se debba vederlo uscire da questa camera e andare per quell’uscio in giardino o di qua alla finestra. Vivo in un tremore continuo. Mi fa badare alla sua stanza; rifare il letto; ecco — là — le coperte rimboccate: ogni sera così, e tutto preparato, come se dovesse andare a dormire. DONNA FIORINA piano, come una mendica, a Lida che le si sarà stretta accanto istintivamente, impaurita dalle parole d’Elisabetta: Liduccia mia! Liduccia! Tu mi vuoi bene ancora? LIDA tutta intenta a Elisabetta, senza badare alla madre: Seguita dunque a — ELISABETTA — a farlo vivere! DONNA FIORINA non potendone più, come se il cuore le scoppiasse: Flavio! Figli miei! Andiamocene, andiamocene, per carità! ELISABETTA Aspetti, signora. Le faccio lume: è tutto al bujo ancora di là. DONNA FIORINA Sì, grazie, Elisabetta. Andiamo, andiamo via! Elisabetta uscirà prima; poi usciranno Donna Fiorina, Lida, Flavio. La scena resterà vuota e buja; con quel solo riverbero spettrale che s’allungherà dall’uscio a destra. Dopo una lunga pausa, senza il minimo rumore, la scranna accostata davanti alla tavola da scrivere si scosterà lentamente come se una mano invisibile la girasse. Dopo un’altra pausa, più breve, la lieve cortina davanti alla finestra si solleverà un poco da una parte, come scostata dalla stessa mano; e ricadrà. (Chi sa che cose avvengono, non viste da nessuno, nell’ombra delle stanze deserte dove qualcuno è morto?) Rientrerà, poco dopo, Elisabetta, e subito darà luce alla stanza. Istintivamente, riaccosterà la scranna alla tavola, senza il minimo sospetto che _qualcuno_ l’abbia smossa; poi, per sottrarsi alla vista degli oggetti della stanza, si recherà alla finestra; scosterà anche lei con la mano la lieve cortina; aprirà la vetrata e guarderà nel giardino. ELISABETTA dalla finestra: Chi è là? — Pausa. Oh — Giovanni — sei tu? — Pausa. Giovanni? LA VOCE DI GIOVANNI dal giardino, allegra: La vedi? ELISABETTA No, che cosa? LA VOCE DI GIOVANNI Là, ancora tra gli olivi della collina. ELISABETTA Ah, sì — la vedo. E tu stai lì a guardare la luna? LA VOCE DI GIOVANNI Voglio vedere se è vero quello che mi disse. ELISABETTA Chi? LA VOCE DI GIOVANNI Chi! Chi ora non la vede più. ELISABETTA Ah, lui? LA VOCE DI GIOVANNI Da costà; ove sei tu. ELISABETTA Non mi far paura: ne ho tanta! LA VOCE DI GIOVANNI La sera dopo che arrivò. ELISABETTA Ti disse della luna? E che ti disse? LA VOCE DI GIOVANNI Che più va su, e più si perde. ELISABETTA La luna? LA VOCE DI GIOVANNI Tu guardi in terra — mi disse — e ne vedi il lume là sulla collina, qua sulle piante; ma se alzi il capo e guardi lei, più alta è, e più la vedi come lontana dalla nostra notte. ELISABETTA Lontana? Perchè? LA VOCE DI GIOVANNI Perchè notte è qua per noi, ma la luna non la vede, perduta lassù nella sua luce, intendi? — A che pensava, eh? guardando la luna. — Sento i sonaglioli della vettura. ELISABETTA Corri, corri ad aprire il cancello. Elisabetta richiuderà in fretta la finestra e si ritirerà per l’uscio in fondo. Poco dopo, da quest’uscio, entreranno Lucia Maubel e Donn’Anna. Avranno avuto durante il tragitto dalla stazione alla villa le prime spiegazioni, prevedute già nella prima scena da Donna Fiorina. La giovane ne sarà rimasta offesa, mortificata e turbatissima. DONN’ANNA ansiosa, introducendola: Vieni, vieni. Sono le sue stanze. E se entri là, ne avrai la prova: ti vedrai da per tutto, con gli ultimi fiori lasciati jeri davanti a tutti i tuoi ritratti. LUCIA amabile, ironicamente: I fiori, e poi se n’è fuggito? DONN’ANNA Torni a rimproverarlo? Se sapessi a che costo non è qua — LUCIA Vengo, e non si fa trovare. Lei dice che l’ha fatto per me? DONN’ANNA — contro il suo cuore — LUCIA — per prudenza? — e non le sembra che sia ben più che un rimprovero, un’offesa per me, tanta prudenza — un insulto — DONN’ANNA dolente: — no — no — LUCIA — oh Dio, così crudo, che si può pensare abbia voluto usarla per sè — non per me — la prudenza. DONN’ANNA No, per te! per te! — LUCIA Ma io non sono morta! Io sono qua! DONN’ANNA Morta? Che dici? LUCIA Eh sì, mi scusi: se al mio arrivo se n’è fuggito e ha lasciato i fiori là davanti ai miei ritratti, che vuol dire? che vuol essere come per una morta il suo amore? — E io che ho lasciato là tutta l’altra mia vita, per correre qua a lui! — Oh! oh! è orribile, orribile quello che ha fatto! Si nasconderà il volto tra le mani, fremendo di vergogna e di sdegno. DONN’ANNA quasi tra sè, guardando nel vuoto: Non l’avrebbe fatto... È certo che non l’avrebbe fatto... LUCIA si volterà di scatto a guardarla: C’è dunque una ragione per cui l’ha fatto? DONN’ANNA quasi senza voce: Sì. E sorriderà squallidamente. LUCIA Che ragione? Mi dica! DONN’ANNA Mi permetti di chiamarti Lucia? LUCIA Mi chiami Lucia, sì. Anzi, gliene sono grata! DONN’ANNA E di dirti che egli non intese offenderti se, dovendo partire — LUCIA — ma mi dica perchè? la ragione! — DONN’ANNA Ecco: te la dirò — ma prima questo: che non intese offenderti, affidandoti a me — LUCIA — no! ah, mi comprenda! — io.... — io so che — DONN’ANNA — che lui mi confidò sempre tutto — come vi siete amati — LUCIA infoscandosi: Tutto? DONN’ANNA Poteva confidarmelo, perchè — LUCIA come colta da un brivido si nasconderà di nuovo la faccia e, spasimando, negherà col capo. DONN’ANNA guardandola, allibita: No? LUCIA più col gesto del capo che con la voce, la quale sarà pianto prossimo a prorompere: No — no — DONN’ANNA c. s. Come? — Allora.... LUCIA prorompendo: Mi perdoni! mi perdoni! Sia madre anche per me! — Io sono qua per questo! DONN’ANNA Ma allora, egli — LUCIA — partì di là per questo! DONN’ANNA Ma lo forzasti tu a partire! Lucia Io, sì! Dopo! dopo! — All’ultimo, a tradimento, quest’amore, durato puro tant’anni, ci vinse! DONN’ANNA Ah, per questo —? LUCIA Sconvolta, atterrita, lo spinsi a partire. — Non avrei più potuto guardare i miei bambini. — Ma fu inutile, inutile. — Non potei più guardarli. Mi son sentita morire. La guarderà con occhi atroci. Comprende perchè? — Ne ho un altro! E si nasconderà la faccia. DONN’ANNA Suo? LUCIA Sono qua per questo. DONN’ANNA Suo? Suo? LUCIA Egli ancora non lo sa! Bisogna che lo sappia! — Mi dica dov’è! DONN’ANNA Oh figlia mia! figlia mia! — Egli vive allora in te veramente? — Partendo, lasciò in te una vita — sua? LUCIA Sì, sì — bisogna che lo sappia subito! Dov’è? Me lo dica! Dovè? DONN’ANNA E come faccio ora a dirtelo? Oh Dio! oh Dio! Come faccio ora a dirtelo? LUCIA Perchè? Non lo sa? DONN’ANNA Partito — LUCIA — non le disse dove andava? DONN’ANNA Non me lo disse. LUCIA Ha sospettato — lo vedo — che solo per.... troncherà con un’esclamazione di sdegno. Ma non aveva ragione di sospettar questo di me! — Sono stata anch’io, sì; com’è stato lui; ma io lo spinsi poi a partire, e non sarei venuta, ora, per questo! — È che non posso più, ora, staccarmi da lui; tornare là — come sono — non posso — ne ho orrore! DONN’ANNA Sì, sì, è giusto! LUCIA Non mi può dire proprio dov’è? Non lo sa davvero? Come gli si può far sapere? DONN’ANNA Aspetta, aspetta: gli si farà sapere, sì — LUCIA — e come? dove, se lei non sa dov’è? Non sarà mica partito per un lungo viaggio, senza dirglielo, senz’avvertirmene! DONN’ANNA No, no — non sarà lontano — non può essere lontano.... LUCIA Temette che anche a lasciarlo detto a lei, dove andava.... — Ma forse glielo consigliò anche lei di partire —? DONN’ANNA Io non sapevo — LUCIA si premerà una mano sugli occhi: Divento così sospettosa! Oh com’è triste! — Lo so: avrei dovuto scriverglielo. Ma non volli disperdere in parole le forze che mi bisognavano tutte per la risoluzione già presa. — Gli è parsa una follia, una frenesia — DONN’ANNA per calmarla: — ecco, ecco — LUCIA — ed è fuggito per farmi trovare qua in lei la ragione che avevo perduta. — Capisco, capisco. — Staccando: Tornerà? le scriverà? farà sapere dov’è? — DONN’ANNA Sì, sì, certo — calmati — siedi, siedi qua accanto a me — e lasciati chiamare figlia — LUCIA — sì, sì — DONN’ANNA — Lucia — LUCIA — sì — DONN’ANNA — figlia mia! — LUCIA — sì, mamma! mamma! — Ora sento che è meglio così; ch’io abbia trovato lei qua, prima, e non lui — DONN’ANNA — figlia mia bella — bella! — questi occhi — questa bocca — quest’odore dei tuoi capelli — e l’alito del tuo corpo! — Comprendo, comprendo! — Ah, egli doveva — ma fin da prima, fin da prima doveva farti sua! Questa gioja me la doveva dare, d’avere in te un’altra mia figlia, così! — così! — LUCIA — senza tutto il male — oh Dio, il male che abbiamo fatto! DONN’ANNA Ora non ci pensare! — Quelli che non ne hanno fatto, figlia, chi sa di quanto male sono stati cagione agli altri, a quelli che lo fanno, e che forse saranno i soli ad averne poi bene. Tu più di me. LUCIA Ho tagliata in due la mia vita — io — DONN’ANNA — ne hai una in te — LUCIA — ma quegli altri, là? — Son dovuta fuggire qua, con questa, che ancora è nulla e che pure subito è diventata tutto — tutto l’amore precipitato d’un tratto così, diventato d’un tratto ciò che non doveva mai diventare! DONN’ANNA La vita! LUCIA Ah quello che ho patito, lei non lo sa, non lo potrà mai immaginare! — Il letto, Dio mio, dove si riposa, diventato un orrore! — Certi patti con me stessa.... — Sa, sa il bruciore di certi tagli? — Così! Là, a tenermi coi denti finchè potevo, per impedirmi che il corpo finisse d’appartenermi e cedesse! E ogni qual volta scattavo da quell’orribile incubo dove per un attimo, cieca, era stata costretta a mancarmi — ah — liberata — potevo essere di lui, pura, per il martirio subìto — senza rimorsi. — Non dovevamo cedere anche noi! Il patto poteva valere soltanto così. — Perchè, anche quegli altri là — che crede? — (lei è madre, e con lei posso parlare) — DONN’ANNA — sì, parla, parla — LUCIA — quegli altri là (è vero) non erano amore che si fosse fatto carne: — erano di quello, carne — ma l’amore che ci avevo messo io, l’amore che avevo dato io anche a quegli altri — io, io così col cuore pieno di lui — li aveva fatti, anche quelli, quasi di lui. L’amore è uno! — E ora.... ora questo non è più possibile! — Di due io non posso essere. Piuttosto m’uccido. DONN’ANNA Non solo per te, ma anche per non dare a quell’altro «questo» che è tuo solamente e di lui — non puoi — LUCIA — è vero? è vero? — DONN’ANNA Non devi! E smarrendosi un poco: Io lo domando a te — LUCIA — l’ha detto lei! — DONN’ANNA — sì — per sapere se hai pensato anche a questo! — LUCIA dopo una breve pausa, ripigliandosi e infoscandosi: La violenza che ho fatto a me stessa per tanti anni — quei due bambini che mi sono nati ad onta di questa violenza — Resterà improvvisamente in tronco. DONN’ANNA Che vuoi dire? LUCIA Nulla, nulla contro di loro! Ah, ma contro quell’uomo — è un così intimo e oscuro sentimento d’odio, che non lo so dire. — Sento che io sono stata madre due volte così, senza la mia minima cooperazione, per opera d’un estraneo a me — e badi, nella mia carne viva e con tutto lo strazio dell’anima — mentre lui — oh, lui non lo saprebbe nemmeno! DONN’ANNA Ma lo sai tu! LUCIA Sì, e allora per rispetto a me, non per rispetto a lui! Avrebbe reso da me un male assai minore di quello che mi ha fatto. DONN’ANNA Non lo conosco: non posso giudicare. LUCIA Solo perchè moglie m’ha reso madre, per potersene poi andare spensierato con altre donne — tante! — cinico e sprezzante; solo attento agli affari; e poi, levato di lì, fatuo, frigido — guarda la vita per riderne, e le donne per prenderle, e gli uomini per ingannarli. — Ho potuto resistere a stare ancora con lui, solo perchè avevo chi mi teneva su, chi mi dava aria da respirare fuori di quella bruttura. — Non dovevano bruttarci anche noi! Le giuro, le giuro che non è stata una gioja — e la prova (è orribile dirlo, ma per me è così) — la prova è in questa mia nuova maternità. DONN’ANNA No, Dio! che dici? LUCIA Sono venuta qua, perchè mi faccia lui, se può, sentire che non è vero! Avevo fatto di tutto là, tre anni, per non essere più madre. Lo credo, lo credo anch’io che dev’essere una gioja; e non voglio altro, le giuro che non voglio altro che questo: che veramente diventi ora per me questa gioja che non ho provata mai! DONN’ANNA Ma devi averla tu nel cuore, figlia mia! Se non l’hai tu, chi te la può dare? LUCIA Lui! Lui! DONN’ANNA Sì, lui; ma per come tu hai nel cuore anche lui! Solo così. È sempre così. Non cercare nulla che non ti venga da te. LUCIA Che vuole che mi venga da me in questo momento! Sono così smarrita — sospesa. — Questo tradimento di non farsi trovare.... — Ho bisogno di lui, di vederlo, di parlargli, di sentirne la voce! — Dov’è? dove sarà? come si farà a saperlo? — Finchè non lo saprò, io non avrò requie! — Possibile che lei non supponga nemmeno dove se ne sia potuto andare? DONN’ANNA Non lo so, figlia. — Ma bisogna che tu te le dia, ora, un po’ di pace — LUCIA — non posso! — DONN’ANNA — tremi tutta — sarai così stanca! — Il lungo viaggio! LUCIA Mi rombano le orecchie — la testa mi vaneggia — DONN’ANNA — vedi, dunque? LUCIA — tanta ansia, tanta ansia — DONN’ANNA — bisogna che tu vada a riposare — LUCIA — e poi non trovarlo! — Credo di aver la febbre. — DONN’ANNA — hai bisogno di riposo. — Vedremo domani come si deve fare. LUCIA Impazzirò stanotte! DONN’ANNA No — guarda — t’insegnerò io a non impazzire — come si fa quando uno è lontano — come feci io tanto tempo, finchè egli fu con te, là: — me lo sentii vicino, perchè io col cuore me lo facevo vicino. — Altro che vicino! Lo avevo io nel cuore! — Fai così, e questa notte passerà. — Pensa che queste sono le sue stanze; e che egli è di là — LUCIA Dorme di là? DONN’ANNA Là, sì. — E che su questa tavola ti scrive — LUCIA Cose cattive m’ha scritto! — DONN’ANNA E qua, vedi? su questa panca qua, fino a jeri, m’ha parlato tanto, tanto di te — LUCIA — e poi se n’è partito — DONN’ANNA — non sapeva! — Quante cose mi disse, perchè io ti facessi intendere senza offenderti e senza farti soffrire il male di questo suo allontanamento per il tuo bene. LUCIA Ma ora — DONN’ANNA — ah ora — certo — cambia tutto — con te così! — LUCIA — e ritornerà! — DONN’ANNA — e ritornerà, stai tranquilla — ritornerà. Ma ora vieni, vieni su, con me. — Ti ho preparato su la stanza. LUCIA Voglio vedere la sua. DONN’ANNA Sì, sì, vieni — entra. LUCIA E non mi vorrebbe lasciare qua? DONN’ANNA Vuoi — qua da lui? LUCIA Ora posso. — E pure con me. DONN’ANNA Vedi, vedi che tu già lo senti? — Sì, se tu vuoi, dormi qua, figlia mia. LUCIA entrando: Forse è meglio: «più vicino»! DONN’ANNA — nel tuo cuore, sì! nel tuo cuore! La seguirà. La scena resterà per un momento vuota. Si sentiranno in confuso le due voci parlare di là, ma non tristi, anzi gaje; e Lucia fors’anche riderà, come per una sorpresa. Poi Donna Anna verrà fuori, ma rivolta verso l’interno, a parlare con la giovine che l’accompagnerà fino alla soglia. LUCIA dalla soglia, lieta: — sì, con questa bella luna! DONN’ANNA Buona notte, cara. A domani. Chiudo l’uscio. LUCIA ritirandosi: Buona notte. DONN’ANNA sola, richiuso l’uscio, resterà lì davanti come esausta per un istante; ma poi splenderà nel viso d’un ilare divino spasimo, e più con gli occhi che con le labbra dirà: Vive! TELA ATTO TERZO La stessa scena, la mattina dopo, nelle prime ore. Poco dopo levata la tela, apparirà sulla soglia dell’uscio in fondo Giovanni che darà passo alla signora Francesca Noretti arrivata or ora dalla stazione in un’ansia angosciosa e spaventata. GIOVANNI Entri, entri, signora. FRANCESCA Ma possibile che dorma? GIOVANNI Sarà ancora stanca del viaggio. Sono appena le sette, del resto. FRANCESCA E dove dorme? Non lo sapete? GIOVANNI Jeri Elisabetta le preparava la stanza al piano di sopra. FRANCESCA Non potete condurmi da lei? GIOVANNI Io su non salgo, signora. Ma ho fatto avvertire Elisabetta. E la padrona è già levata. L’ho vista quando ha aperto la finestra all’alba. FRANCESCA Ma possibile che ancora non lo sappia? — È arrivata jeri sera? GIOVANNI Sissignora, jersera. La padrona è andata a prenderla alla stazione. FRANCESCA E voi l’avete vista arrivare? — Piangeva? GIOVANNI Nossignora: non m’è parso. FRANCESCA Che non gliel’abbiano ancora detto? — Se può dormire.... — GIOVANNI Probabile, signora, perchè — guardi queste piante: le ho portate io qua jeri sera.... — È come se non fosse morto per la padrona. — Non s’è mica vestita di nero. FRANCESCA E per questo non ne ha fatto sapere niente a nessuno? — È morto da undici giorni? GIOVANNI Come stamattina. FRANCESCA E l’ho saputo ora alla stazione, arrivando — come ho domandato di lui — dove stava — GIOVANNI Ecco la padrona. Entrerà di fretta Donn’Anna. E Giovanni uscirà. DONN’ANNA Piano, piano per carità! — Lei è la mamma? FRANCESCA Può immaginarsi in quale stato, signora! — Ho viaggiato come una disperata — Dov’è? dov’è? — Ancora non lo sa? DONN’ANNA Piano, piano — non lo sa! FRANCESCA Mi conduca da lei! La sveglierò io! glielo dirò io! DONN’ANNA No, signora, per carità! FRANCESCA Ma come? lei, — non avvertire nessuno, nemmeno me, della sciagura, per non farle commettere questa pazzia! DONN’ANNA Non l’ha commessa per lui — no! — creda — FRANCESCA Come non l’ha commessa per lui? DONN’ANNA No, no. Le dirò — FRANCESCA Io voglio vederla subito! DONN’ANNA Ma giacchè sa, ormai, non abbia più timore, nè tutta quest’ansia, signora — FRANCESCA — come vuole che non l’abbia? io — DONN’ANNA — si calmi — mi lasci dire — FRANCESCA — l’avrò finchè non me la sarò riportata via! — Mi son precipitata appena letto il biglietto che mi lasciò, là, per raccomandarmi i bambini. Ha due figli — lo sa lei? Ah Dio, come non sono morta, non lo so! DONN’ANNA Piano — venga con me, la prego: — ella dorme di là! FRANCESCA Ah, di là? Io vado subito — Farà per lanciarsi verso l’uscio a destra. DONN’ANNA parandosi di fronte a lei: No, signora! Lei non sa il male che le farebbe! Dirà con tal tono questo ammonimento, che l’altra madre ne resterà, per un istante, sgomenta e come smarrita. FRANCESCA Perchè? DONN’ANNA subito, recisa: Perchè non sa quello che io so! Il caso è molto più grave di quanto lei s’immagina! FRANCESCA Più grave? La guarderà spaventata. DONN’ANNA Sì! Me l’ha confessato lei stessa, arrivando! FRANCESCA — che — che con lui? — DONN’ANNA — sì — e ch’egli non è così morto, come a lei pare — FRANCESCA balbettando, allibita: — che vuol dire? DONN’ANNA — se vive ora in lei, come l’amore d’un uomo può vivere, diventar vita in una donna — quando la fa madre — ha capito? FRANCESCA raccapricciando: Suo figlio? — Oh Dio! e come? — ma dunque — per questo? — DONN’ANNA È arrivata in tale stato di disperazione, che non m’è stato ancora possibile «_dirglielo_». Le ho detto che era partito — per lei, per prudenza — per non comprometterla — e già è bastato questo, perchè si vedesse, si sentisse morta — FRANCESCA — lei? — DONN’ANNA — lei, sì certo — nel cuore di lui! — Com’è possibile, le domando io ora, farglielo morire? FRANCESCA Ma prima, prima ch’ella si compromettesse venendo qua, lei avrebbe dovuto annunziare a me che era morto! DONN’ANNA Signora, ringrazi il cielo che non ho questo rimorso! Credevo d’averlo; di dovermelo fare; ma ho potuto vedere che fui invece ispirata da Dio nel mandare alla sua figliuola la lettera lasciata da lui, terminata da me. FRANCESCA inorridita: Ma come, dopo? — dopo che era morto? — DONN’ANNA Per lei non è «dopo»! — È stata una fortuna, le dico! Ispirazione di Dio! — Senza che ne sapessimo nulla nè io nè lei, nell’animo in cui si trovava là — se lui le fosse mancato — si sarebbe uccisa — creda! FRANCESCA Ma lei, Dio mio, lei vuole tenere ancora la mia figliuola legata a un cadavere? DONN’ANNA Che cadavere! La morte per lei è là, presso l’uomo a cui lei l’ha legata: quello, è un cadavere! — Io ho cominciato invece fin da jersera, mi sono provata fin da jersera a farle intendere — FRANCESCA — che ha gli altri suoi figli — là — DONN’ANNA — ma questo lo sa! Me n’ha parlato lei stessa con tanto strazio! Cose — m’ha detto — che fanno rabbrividire — FRANCESCA — dei figli? DONN’ANNA — sì: che se l’è fatti suoi, dopo — dopo che le erano nati — estranei! — Se li è dovuti far suoi con l’amore di mio figlio, intende? Hanno avuto bisogno dell’amore di lui, anche quelli, perchè diventassero vita per lei. — Eppure, ha visto? ha potuto lasciarli per venirsene qua. FRANCESCA Ma se ora saprà che lui, qua, non c’è più — DONN’ANNA E invece dev’esserci, se lei se la vuole riportare — là, al suo martirio — dev’esserci! E lei deve farle intendere, come mi sono provata io, in qual modo egli dev’essere vivo per lei d’ora in poi — solo nel cuore — senza cercarlo più fuori — con la vita che lei gli darà. — Questo. — Ma prima prometterle che lo vedrà.... — Ha capito? FRANCESCA sbalordita: Che lo vedrà? DONN’ANNA Non qua! — «Qua» le diremo «lui non ritornerà, se non saprà che tu sei ripartita. Lo vedrai tra poco; perchè egli ritornerà a te, là». — Ecco, le dica così e forse riuscirà a riportarsela. — Pensi che è lì che lo aspetta — ha voluto dormire nel suo letto — forse lo sogna — appena si sveglierà, lo penserà vivo e che starà per ritornare. FRANCESCA che sarà stata a mirarla, atterrita, col ribrezzo più vivo, che a poco a poco si sarà sciolto in un’infinita pietà: Oh Dio, signora, ma questa.... questa è una follia.... Si aprirà a questo punto l’uscio a destra e apparirà Lucia, la quale, scorgendo la madre in quell’atteggiamento, dopo la prima sorpresa si turberà, guardando l’altra madre e intuendo in un baleno la sciagura. LUCIA Oh, mamma, tu? Farà per accorrere a lei, ma si fermerà, guardando prima l’una e poi l’altra: Che cos’è? FRANCESCA tremando, senza alcuna ansia; con tono che ajuterà la figlia a intendere: Figlia mia.... figlia mia.... LUCIA c. s. Ma com’è? — Che dicevate? DONN’ANNA per riparare: Niente. Vedi? è venuta — è venuta a cercare di te — LUCIA Non è vero! Com’è che tu, mamma, non mi dici nulla? — Che cos’è?... Gridando: Ditemelo! FRANCESCA accorrendo a lei per abbracciarla: Figlia mia — LUCIA È morto? È morto? Respingendo l’abbraccio della madre, per volgersi a Donna Anna. No! — Morto? — È come? lei — No! Non è possibile! Oh Dio, con le mani tra i capelli: — il sogno che ho fatto! Smarrendosi e guardandosi attorno: Morto? — Ditemelo! Ditemelo! FRANCESCA Sono già tanti giorni, figlia — LUCIA Tanti giorni? A Donn’Anna: — che è morto? — E lei — come? — perchè non me l’ha detto? Com’è morto? come? — Ah Dio, là dove ho dormito? E mi ha fatto dormire là? Donn’Anna è interita, come un’immagine sepolcrale. — L’ho voluto io; ma lei.... — come? — «I fiori» — «è partito» — «queste sono le sue stanze» — «non so dov’è» — E io l’ho sognato, che non poteva più ritornare, tanto lontano se n’era andato; — lo vedevo, così lontano, con un viso da morto — il suo viso! il suo viso! — Ah Dio! ah Dio! — E romperà in pianto, perdutamente: Per non farmi più pensare che se non l’avevo trovato qua ad aspettarmi, come doveva — eh sì, questo soltanto poteva essere accaduto, che fosse morto! E non l’ho compreso, perchè lei — Si rizzerà dal pianto, lo stupore vincendo ora il dolore: — ma come ha fatto? com’ha potuto fare? — per me? — ed egli è morto anche a lei — è incredibile! — me n’ha parlato come se fosse vivo! DONN’ANNA guardando lontano: Lo vedo — LUCIA stordita: — che è morto? — e non le è morto qua sotto gli occhi? — DONN’ANNA — no: ora — LUCIA — come, ora? — DONN’ANNA — ora lo vedo morire. LUCIA Come? Che dice? Donn’Anna si coprirà il volto con le mani. E allora ella griderà: Io lo sapevo, lo sapevo che sarebbe morto! Non avevo voluto crederci! Me lo disse lui stesso, quando partì, che sarebbe venuto qua a morire! DONN’ANNA scoprendo il volto: E io non lo vidi. LUCIA Lo vidi io! Moriva, moriva, da anni; gli s’erano spenti gli occhi; era già come morto quando partì! così pallido lo vidi, così pallido, così misero lo vidi, che lo compresi subito che sarebbe morto! DONN’ANNA Misero, sì — gli occhi spenti, sì — e diventato così — cangiato, cangiato così — ora lo vedo — per te, sì, figlia! Attirandola a sè, come per uno spaventoso brivido, che di schianto la spetrerà. Oh figlia! — qua su la tua carne — ora sì — me lo vedo morire — ne sento il freddo ora qua, qua al caldo di queste tue lagrime! — Tu me lo fai vedere, come s’era ridotto ora! Non lo vedevo! Non avevo potuto piangerlo, perchè non lo vedevo! — Ora lo vedo! ora lo vedo! LUCIA che si sarà a poco a poco sciolta da lei, e rattratta, come raccapricciata, presso la madre: Oh Dio, che dice? che dice? DONN’ANNA sola: Figlio mio! — le tue carni! — te ne sei andato così — misero, misero! E io.... io t’imbalsamavo — vivo! — vivo t’imbalsamavo — come non eri più, come non potevi più essere — con quei tuoi capelli e quegli occhi che avevi perduti, che non ti potevano più ridere! E perchè non ti potevano più ridere, non te li ho riconosciuti! — E come, allora? Fuori della tua vita ti volevo far vivere? fuori della vita che t’aveva consumato — povera, povera carne mia che non ho vista più! che non vedrò più! — Dove sei? Si volgerà a cercare intorno: — dove sei? LUCIA accorrendo: Qua, mamma! DONN’ANNA restando un attimo: — Tu? Poi con un grido: — Ah, sì! L’abbraccerà freneticamente: — Non te lo portar via! Non te n’andare! non te n’andare! LUCIA No, non me n’andrò! non me n’andrò, mamma! non me n’andrò! FRANCESCA Come non te n’andrai? Che dici? Tu te ne verrai via, subito, con me! DONN’ANNA No! Me la lasci, signora! è mia! è mia! me la lasci! me la lasci! FRANCESCA Ma lei è pazza, signora! DONN’ANNA Pensi che è troppo, è troppo quello che m’ha fatto! E subito, carezzevole a Lucia: — No, no — sai? — non te ne fo colpa! — Sono la tua madre! FRANCESCA Ma vuole che lasci me per lei? E i suoi figli? A Lucia: — Hai i tuoi bambini! Li vuoi abbandonare, per restare qua con nessuno? DONN’ANNA insorgendo: Ma ne avrà un altro qua, che non potrà dare là a chi non appartiene! FRANCESCA violenta: Signora, ma si fa coscienza lei di quello che dice? LUCIA E tu, di quello che io farei? ti fai coscienza? DONN’ANNA subito abbattendosi: No, no: tua madre ha ragione, figlia! Ha capito che io lo dico per me — per me — non per quello! — Divento misera, misera anch’io! — Ma è perchè muojo anch’io, ora, vedi? — Sì, appena ti nascerà questo che ti porti via lontano; appena gliela darai tu, di nuovo, la vita — là — fuori di te! — Vedi? Vedi? Sarai tu la madre allora; non più io! Non tornerà più nessuno a me qua! È finita! Lo riavrai tu, là, mio figlio — piccolo com’era — mio — con quei suoi capelli d’oro e quegli occhi ridenti — com’era, — sarà tuo; non più mio! Tu, tu la madre, non più io! E io ora, muojo, muojo veramente qua. Oh Dio! oh Dio! E piangerà, piangerà come non avrà mai pianto, tra l’accorato sbigottimento dell’altra madre e della figlia. A poco a poco si ripiglierà dal pianto, ma diventando man mano quasi opaca, quasi spenta infine: Ma sì, ma sì.... — Basta, basta. Se è per me, no! no! non voglio piangere! Basta! Lunghissima pausa. Poi alzandosi, verrà a Lucia e carezzandola: Vai, vai, figlia, — vai nella tua vita — a consumare anche te — povera carne macerata anche tu. — La morte è ben questa. — E ormai basta. — Non ci pensiamo più. — Ecco, pensiamo — pensiamo, qua, ora, a tua madre piuttosto — che sarà stanca. FRANCESCA No, no — io voglio subito, subito ripartire! DONN’ANNA Eh, subito non potrà, signora. Si deve aspettare. Passa tardi di qua il treno di Pisa. Avrà, avrà tutto il tempo di riposarsi. — E tu, figliuola mia — LUCIA No, no — io non partirò — non partirò — rimarrò qua con lei, io! FRANCESCA Tu partirai! Te lo dice lei stessa! DONN’ANNA Qua non c’è più nulla per te. FRANCESCA E i tuoi bambini t’aspettano! E bisogna far presto! LUCIA Ma là, io non torno! non torno, sai! — Non è più possibile per me! — Non posso! Non posso e non voglio! Come vuoi che faccia più, ormai? DONN’ANNA E io, qua? — È ben questa la morte, figlia. — Cose da fare, si voglia o non si voglia — e cose da dire.... — Ora, un orario da consultare — poi, la vettura per la stazione — viaggiare.... — Siamo i poveri morti affaccendati. — Martoriarsi — consolarsi — quietarsi. — È ben questa la morte. TELA Nota del Trascrittore Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. *** END OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA VITA CHE TI DIEDI *** Updated editions will replace the previous one—the old editions will be renamed. Creating the works from print editions not protected by U.S. copyright law means that no one owns a United States copyright in these works, so the Foundation (and you!) can copy and distribute it in the United States without permission and without paying copyright royalties. Special rules, set forth in the General Terms of Use part of this license, apply to copying and distributing Project Gutenberg™ electronic works to protect the PROJECT GUTENBERG™ concept and trademark. Project Gutenberg is a registered trademark, and may not be used if you charge for an eBook, except by following the terms of the trademark license, including paying royalties for use of the Project Gutenberg trademark. 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It exists because of the efforts of hundreds of volunteers and donations from people in all walks of life. Volunteers and financial support to provide volunteers with the assistance they need are critical to reaching Project Gutenberg™’s goals and ensuring that the Project Gutenberg™ collection will remain freely available for generations to come. In 2001, the Project Gutenberg Literary Archive Foundation was created to provide a secure and permanent future for Project Gutenberg™ and future generations. To learn more about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation and how your efforts and donations can help, see Sections 3 and 4 and the Foundation information page at www.gutenberg.org. Section 3. Information about the Project Gutenberg Literary Archive Foundation The Project Gutenberg Literary Archive Foundation is a non-profit 501(c)(3) educational corporation organized under the laws of the state of Mississippi and granted tax exempt status by the Internal Revenue Service. The Foundation’s EIN or federal tax identification number is 64-6221541. Contributions to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation are tax deductible to the full extent permitted by U.S. federal laws and your state’s laws. The Foundation’s business office is located at 809 North 1500 West, Salt Lake City, UT 84116, (801) 596-1887. Email contact links and up to date contact information can be found at the Foundation’s website and official page at www.gutenberg.org/contact Section 4. Information about Donations to the Project Gutenberg Literary Archive Foundation Project Gutenberg™ depends upon and cannot survive without widespread public support and donations to carry out its mission of increasing the number of public domain and licensed works that can be freely distributed in machine-readable form accessible by the widest array of equipment including outdated equipment. 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