The Project Gutenberg eBook of La spedizione di Carlo VIII in Italia

This ebook is for the use of anyone anywhere in the United States and most other parts of the world at no cost and with almost no restrictions whatsoever. You may copy it, give it away or re-use it under the terms of the Project Gutenberg License included with this ebook or online at www.gutenberg.org. If you are not located in the United States, you will have to check the laws of the country where you are located before using this eBook.

Title: La spedizione di Carlo VIII in Italia

Author: Marino Sanudo

Editor: Rinaldo Fulin

Release date: December 10, 2020 [eBook #64004]

Language: Italian

Credits: Produced by Barbara Magni and the Online Distributed
Proofreading Team at http://www.pgdp.net (This file was
produced from images made available by The Internet Archive)

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA SPEDIZIONE DI CARLO VIII IN ITALIA ***

LA SPEDIZIONE
DI CARLO VIII
IN ITALIA


LA SPEDIZIONE
DI CARLO VIII
IN ITALIA

RACCONTATA

DA MARINO SANUTO

E PUBBLICATA PER CURA

DI RINALDO FULIN.

(Estratto dall'ARCHIVIO VENETO, Serie I).

VENEZIA
TIPOGRAFIA DEL COMMERCIO DI MARCO VISENTINI
1883.


INDICE


ALL'ILLUSTRE COMMENDATORE

BARTOLAMMEO CAPASSO

SOPRINTENDENTE DEI REGI ARCHIVI NAPOLETANI.

Non dovrei aver coraggio di presentarle una edizione, che io stesso riconosco sì difettosa. Ma la bontà che Ella ha per me, e di cui qualche traccia è in questo stesso volume, mi fa sperare che l'accoglierà come segno dell'affettuosa reverenza e della riconoscente amicizia

del suo affezionatissimo

R. FULIN.

Venezia, Agosto 1883.

[3]

AI LETTORI

Nel dare al pubblico, riunita in un solo volume, questa cronaca di Marino Sanuto, debbo giustificare la mia fatica da qualche appunto che mi potrebbe esser fatto. Non è già ch'io possa rimproverarmi difetto di diligenza, ma certamente mi duole di non averla potuta riprodurre così esattamente come uscì di man dell'Autore; e ancora più mi dorrebbe, se alcuno potesse credere diminuito il valore della mia pubblicazione da uno dei plagi più insigni, che la storia della nostra letteratura ricordi.

Prima di tutto debbo avvertire, cosa del resto già nota, che finora di questa cronaca si conosce solamente un codice apografo, custodito nella biblioteca nazionale a Parigi (ital., num. 1422, Gaignières, 688). Quel commentario, che il Muratori pubblicò nel volume XXIV del Rerum Italicarum, attribuendolo al nostro Marin Sanuto, dopo i dubbi del Foscarini[1] e le osservazioni del Morelli[2], fu riconosciuto fattura di Girolamo Priuli. E parimente le notizie del Darù[3] e del De Cherrier[4] avevano a sufficienza mostrato che il codice parigino contiene la cronaca sanutiana; la quale, essendo ormai fatta di pubblico diritto, rende palese testimonianza dell'Autor suo. Quel codice, per concessione della Francia, fu dato a trascrivere nel nostro Archivio di Stato. E si conobbe allora che il codice non era autografo, anzi si disse (dico «si disse», perchè all'illustre storico Gregorovius e a me, che ne abbiamo fatto preghiera, non fu conceduto pur di vedere nonchè di esaminare quel codice), si disse adunque che era di pessima mano. [4] Ma le angustie del tempo, giacchè non voglio mettere in dubbio la perizia del copista, non permisero che la trascrizione riuscisse sufficientemente accurata. E così, tra gli errori asseriti del codice parigino e quelli incontrastabili del moderno copista, le difficoltà della lezione son sì frequenti e in qualche luogo sì forti, che in più d'un caso ho disperato di restituire la dizione genuina del testo. L'originale, a malgrado di ogni ricerca, non si è trovato finora; giova sperare che perduto non sia, ma che giaccia in qualche angolo dimenticato di biblioteca o d'archivio. L'edizione che ho procurata renderà certamente più facili le ricerche; e una nuova edizione, collazionata coll'autografo, potrebbe essere degno preambolo alla grande pubblicazione dei Diarii, che riproduce per l'appunto gli autografi.

Premesse queste avvertenze, relative alla correzione del testo, debbo aggiungere qualche osservazione a provare che la fatica mia non fu inutile. Potrebbe indurre questo sospetto il sapere che l'opera del Sanuto fu, ancora nel Cinquecento, sfruttata da uno scrittore plagiario. Io spero, ad ogni modo, che il mio eruditissimo amico Bartolammeo Capasso, il quale mi fece avvertito dell'analogia che corre tra il racconto di Marino Sanuto e quello di Marco Guazzo, vorrà nelle sue Fonti della storia napoletana sostituire il nome del Sanuto a quello del Guazzo[5], giacchè le utili ed importanti notizie, che riguardano la storia napoletana al tempo di Carlo VIII, e che furono o non sapute od omesse dagli altri storici, appartengono alla contemporanea cronaca del Sanuto e non alle storie quasi sincrone del Guazzo. Il nome di questo scrittore non è sconosciuto, ma, a dire la verità, non è in grande stima fra gli scrittori: il Foscarini[6] ed il Zeno[7] l'accennano alla sfuggita; il Tiraboschi lo ricorda ma non lo loda[8]; e se lo Scardeone[9] ed il Vedova[10] ne parlano con qualche calore, è facile trovarne la causa, quando si sappia che il Guazzo ebbe mantovano il padre, veneziana la madre, ma nacque in Padova, e lo Scardeone ed il Vedova lo registrano quindi fra le loro glorie. Molte cose il Guazzo pubblicò in prosa e in verso, fossero sue o [5] d'altri non cerco; ma quanto alle Historie.., ove se contengono la venuta et partita d'Italia di Carlo ottavo re di Francia, esse sono da cima a fondo copiate dalla cronaca di Marino Sanuto; guardandosi il Guazzo dal nominarla, anzi dal fare ad essa la più lontana allusione, nell'atto stesso che ne traduceva letteralmente l'ingenuo dialetto in uno sguaiato italiano[11]. Unica fatica del Guazzo, e questo mi preme che ben si avverta, fu quella di escludere le notizie che gli parvero prive d'opportunità o d'importanza. Ma come il plagio di per sè stesso è gran prova della sua molta impudenza, così le omissioni ci danno chiarissimo indizio del suo scarso criterio.

È noto infatti che Marino Sanuto, nato nel 1466, ed entrato nel Maggior Consiglio innanzi all'età legale, non per favore di sorte ma per opera d'ingegno[12], aveva fin dai prim'anni coltivata assiduamente la storia. E lasciando pure da parte i lavori meno importanti, che non mancano di pregio ma di cui non debbo ora occuparmi, il Sanuto nel 1494, cioè dire a ventott'anni, aveva già scritto la grande cronaca delle Vite dei Dogi. Questa cronaca parve al Muratori degnissima della pubblica luce; e accompagnandola di molte lodi, specialmente per ciò che riguarda gli avvenimenti posteriori al secolo decimo, le diede posto nella grande raccolta degli scrittori delle cose italiane[13]. Eppure il Muratori non [6] ben conosceva quella parte delle Vite dei Dogi che comincia col 1474: ultima parte la quale, abbracciando i tempi di cui il cronista era stato testimonio oculare, è più ricca e più degna di fede, ma sventuratamente è ancora quasi del tutto sconosciuta agli studiosi[14]. Se non che in quest'ultimi vent'anni la storia di Venezia era stata la storia di Venezia e non più; nel 1494 invece accadevano avvenimenti, nei quali si trovava impegnata non la sola Repubblica di Venezia ma tutta intera l'Italia. Sentì bene il Sanuto che l'argomento incomparabilmente cresceva non pure di mole ma d'importanza, e che descrivere i nuovi fatti non era più còmpito del cronista d'una città per quanto grande e famosa, ma dello storico che imprendesse a raccontar le vicende della gran patria italiana. Interrotta adunque la cronaca, volle dettare una storia. Vero è che se egli aveva la sincerità e l'imparzialità, non aveva le altre virtù dello storico. Egli era sempre un cronista: un cronista infaticabile, un cronista giudizioso, un cronista sincero, ma nulla più che un cronista; onde noi lo vediamo interrompere subitamente la cronaca e tentare la storia, ma poi, trascinato dalla sua indole, a cui per sua e nostra buona ventura non fece ostacolo, discendere dalle vietate altezze all'utile benchè modesta fatica dei Diarii, i quali riusciron infine quel monumento meraviglioso che tutti sanno. Nella vita letteraria di Marino Sanuto, la Spedizione di Carlo VIII segna perciò il passaggio della cronaca ai Diarii. Fu, come oggi direbbero, un insuccesso; ch'ebbe peraltro l'inestimabile conseguenza di condurre, quasi insensibilmente, l'operoso cronista al vero suo posto. Laonde, chi s'arrestasse alla forma, dovrebbe dire che la Spedizione di Carlo VIII è la più difettosa composizione che ci abbia lasciato l'infaticabile uomo. Imperciocchè in sul principio, rapidamente tracciando a luogo a luogo la storia dei regni o delle repubbliche di cui gli accade discorrere, egli cerca nelle vicende del passato le cause degli avvenimenti contemporanei; ed aggruppando ed intrecciando come meglio parevagli le notizie, si [7] sforza di dare unità, chiarezza e rapidità al suo racconto; ma, trascinato dall'indole e dalle consuetudini sue, ad ora ad ora s'arresta a descrivere una ceremonia o una festa; interrompe il racconto con citazioni distese di documenti pubblici e di lettere private; anzi talvolta dimentica il suo argomento per lasciar posto ad enumerazioni prolisse e non necessarie, come, per esempio, sarebbe la lista dei cardinali viventi nel 1494; finchè, avendo a prova riconosciuto che mentre la storia si fa non è possibile scriverla, si risolve di notare giorno per giorno gli avvenimenti, riserbandosi a raccontarli più tardi giusta i precetti dell'arte. Tanto egli andava ripetendo a sè stesso molti anni dopo: «quello seguirà per giornata.... ne farò mentione giorno per giorno, perchè poi si metterà ne la ordita et ben tessuta mia historia»[15], la quale, a giudizio suo, non doveva oltrepassare i quattro volumi[16].

Queste osservazioni ci spiegano le disuguaglianze che troviamo nel racconto della spedizione di Carlo VIII lasciatoci da Marino Sanuto, e ci dimostrano ad evidenza l'insigne plagio del Guazzo. L'orditura delle Historie di costui è la medesima del Sanuto: lo stesso principio, lo stesso mezzo, lo stesso fine; anzi, nel corso dell'opera, le stesse digressioni, gli stessi documenti, le stesse liste, perfin la lista già ricordata dei cardinali viventi nel 1494. Solamente allorchè s'accorse che, trascrivendo intieramente il Sanuto, oltrepassava quei limiti che forse i rispetti commerciali gli suggerivano, tentò di abbreviarlo. E cominciò dall'escludere i documenti, dell'importanza dei quali non si accorgeva; onde, p. e., nel solo mese di Ottobre 1495, egli omise nella sua copia una lettera di Francesco Bernardino Visconti al duca di Milano (pag. 626), una di Piero de' Medici ad Antonio Spannocchi (pag. 648), una di Antonio Grimani, capitano generale della Repubblica, all'ambasciatore veneto a Roma (pag. 635), una di Girolamo Contarini, provveditore in armata, alla Signoria[17], due di re Ferdinando II ai suoi oratori a Roma e a Venezia (pag. 637-641), e, non che altro, il trattato della pace conclusa a dì 10 Ottobre fra Carlo VIII e Lodovico il Moro[18], capitalissimo fatto, s'altro ve ne fu mai in [8] questa guerra, e fecondissimo di conseguenze, ma sul quale il Guazzo sorvola (c. 227), senza nemmeno avvertire le circostanze che ne accompagnarono la pubblicazione[19]. Ora l'omissione dei documenti, che il Sanuto conservò e che rendono così importanti i suoi libri, potrebbe mostrarci da sola che le Historie del Guazzo non sono che una imperfetta, manchevole e affatto insufficiente riproduzione della cronaca sanutiana.

E tanto più se si avverta che, ad abbreviar la fatica della sua copia, credette il Guazzo di escludere addirittura quanto il Sanuto ricorda avvenuto in questo tempo a Venezia. Imperciocchè se si trattasse di avvenimenti affatto stranieri all'argomento del libro, le omissioni del Guazzo potrebbero stimarsi degne di lode; ma esse dimostrano invece che al Guazzo mancava del tutto quel senso istorico, che nel nostro Sanuto era si vivo e sì perspicace. Ne recherò qualche esempio. Noi sappiam bene che la politica era a Venezia maneggiata esclusivamente dall'aristocrazia; ma c'inganneremmo a partito se noi credessimo altresì che il popolo di Venezia fosse straniero o indifferente al contegno politico dell'aristocrazia dominante. Il Sanuto ci rappresenta più volte la piazza di S. Marco gremita, durante questa guerra, di popolo, e ci racconta che «tutti, quando era Pregadi suso, mormorava» (pag. 460). Era molto naturale che il popolo di Venezia seguisse con ansietà l'andamento delle pubbliche cose, giacchè la guerra rendeva necessari nuovi sacrifizi ogni giorno, e «la Terra era quasi suspesa et in magnum quid» (pag. 435). Eppure questo popolo dava di sè agli stranieri uno spettacolo meraviglioso, offerendo spontaneamente alla patria le sue fortune. Il sig. d'Argenton, che in quel tempo era ambasciatore di Carlo VIII a Venezia, si recò un giorno alla Camera degli imprestiti «per veder el modo se pagava et scodeva. Et visto in quel zorno gran moltitudine de brigata che portava danari, adeo el cassier non poteva suplir de scuoder, ste' molto admirato, che in li altri luogi si stenta assa' avanti che si possa haver una minima quantità, et qui scodevano tanti danari portati da' cittadini nostri voluntarie (pag. 269);... sì che per questo», conchiude trionfalmente il cronista, «si puol conjecturar la magnanimità de Venetia» (pag. 435). Vero è che il Governo non lasciava da parte sua di svegliare le passioni generose [9] del popolo, e colle pubbliche preghiere (pag. 453) e colle pubbliche pompe, fra cui dev'essere ricordata la processione solenne, la quale attirò sulla piazza quasi settantamila persone, e fu condotta con sì pittoresca magnificenza che non ce ne potremmo fare un'idea senza la descrizione minuta che ne ha lasciato il cronista (pag. 299 e segg.). Alimentavasi così l'entusiasmo del popolo, il quale prorompeva talvolta in parole ed in atti che dispiacevano forte all'ambasciatore francese. Questi ne porse anzi querela alla Signoria, ma il «sapientissimo principe» gli rispose: «Non vi meravigliate; in questa terra nostra il popolo è libero e liberamente parlano, et hanno gran ragione» (pag. 309). Nè fu questa l'unica volta che il sig. di Commines dovesse uscire mortificato dalle stanze della Signoria. Fervevano in Venezia le pratiche, riuscite finalmente alla lega del 1495. L'ambasciatore francese sentiva apparecchiarsi qualche gran fatto, nè sapea quale; onde, pien di sospetto, recossi al Collegio per averne schiarimenti e notizie. Il principe, dice il Sanuto, «rispose sapientissimamente, secondo il solito»; sì che, badate alla conseguenza, «sì che, senza saper altro, Arzenton tornò a casa» (pag. 271). Ma venne il giorno nel quale il Doge annunziò al non abbastanza destro francese, che la lega era già stata conchiusa. Mi sembra prezzo dell'opera riferire come l'Argenton accogliesse l'inaspettata notizia, tanto più che il Guazzo credette bene di omettere questi particolari che il Nostro avea registrati[20]. L'Argenton adunque soggiunse: «Serenissimo principe, io mel suspettava di questo za gran zorni, ma mai lo criti (credetti) dovesse essere... Et ditto oratore molto maninconico tolse licentia, et vene zo per la scala senza saludar niuno, smorto assa'. Et come fo a piedi di la prima scala di l'audientia, ritornò suso a la porta dil Collegio, et fece chiamar Gasparo da la Vedoa, secretario nostro de' primi, et li disse: Replicate un poco quello ha ditto el Prencipe; come andato fuor di fantasia. Et cussì iterum li disse la sustantia di questa naratione. Et poi ritornò in barca per andar a San Zorzi[21], butando la bareta in terra, facendo [10] segni de haver gran maninconia: la qual cossa fo mal fatta, nè seppe fenzer, come si suol far. Ma, judicio meo, questo processe non tanto per el Roy quanto per lui; perchè è da judicar scrivesse, che mai de qui non se concluderia tal liga, per le operatione sue faceva. Perchè lui dimandava a li oratori de Milano: Sarà el vostro duca in questa? Et loro li rispondevano: Non crediate mai, monsignor. Et fevano come li savii fanno nel governo de' Stadi, che dimostra a li nemici voler far una cossa, poi ne fanno un'altra. Or ditto Arzenton molto se lamentava dil sig. Ludovico, dicendo che se lui non era stato, mai el Roy non passava in Italia, et che lo haveva tradito[22]. Et di tanto fastidio si buttò al letto, et la collera li mosse, et have alquanto di fastidio, benchè li fusse mandato medici per la Signoria, quali concluseno non sarebbe mal niuno, ma era alquanto contaminato; come cussì fo», (pag. 285 e seg.).

Questa scena, che pare a me così viva, parve insignificante al Guazzo, il quale per conseguenza la omise con tutte l'altre particolarità che ho ricordato poc'anzi, e con quelle assai più che dovrei citare se non si trattasse qui che d'un cenno. Non posso peraltro non avvertire, che le omissioni poco ponderate del Guazzo avrebbero privato gli studiosi di una quantità di notizie, minuziose, se vuolsi, ma che potevano riuscire a più d'uno singolarmente care e preziose. Tale, per esempio, sarebbe la notizia relativa al vicentino Basilio della Scola. Di quest'uomo, che rimase più di tre secoli sconosciuto quantunque fosse uno dei più grandi ingegneri del Cinquecento, il padre Alberto Guglielmotti fu il primo a raccogliere, nella sua storia della Guerra dei pirati, quante [11] più notizie potè; e, giovandosi della cortese amicizia della famiglia Scola, la quale vive ancora in Vicenza, molte ne trasse dai Diarii, allora inediti, del Sanuto. Ma la cronaca della spedizione di Carlo VIII l'avrebbe messo in sulla via di scoprire una particolarità, che nella vita di Basilio è molto importante. Imperciocchè l'ingegnere vicentino non abbandonò la patria soltanto «per seguire la milizia nelle guerre di quel tempo», come dice il Guglielmotti[23], ma perchè ne era «bandito»[24]. Per qual motivo fosse bandito, non dice in questo libro il cronista; ma bastava il suo cenno per indurre lo storico ad altre indagini[25]. Assai più spesso le notizie del Sanuto completano gl'imperfetti ragguagli che si raccolgono altronde. Il compianto Camillo Minieri Riccio, parlando delle opere d'arte di Castel Nuovo, ricorda le famose porte di bronzo lavorate da Guglielmo Monaco, «che vi ritrasse la congiura dei baroni». E, a proposito di quelle porte, aggiunge «una preziosa notizia», che il cav. Angelo Angelucci, direttore del Museo d'artiglieria di Torino, trasse dall'archivio Gonzaga di Mantova. È una lettera del 16 Aprile 1495 da Napoli a Francesco Gonzaga, nella quale si dice: «Vostra Signoria de sapere che la M. del S. Re Ferante havea facto fare al castello novo dui porte de bronzo istoriate e questui (Carlo VIII) li ha facte tore et guastare et charichare per condure via donde ogneuno ne sta suspesso...». Oggi, soggiungeva il Minieri Riccio, «le porte stando al loro posto, è da credersi che per la precipitosa partenza dal Regno di re Carlo furono dimenticate, e quindi furono rimesse al ritorno di re Ferrante II»[26]. Il fatto non era sconosciuto al Sanuto, il quale aveva detto che Carlo VIII «fece levar le porte di Castelnovo, che era di bronzo, bellissime, et voleva farle cargar su dite galeaze[27], per mandarle in [12] Franza, et metterle a Paris, a ciò se vedesse queste spoglie ivi a eterna memoria» (pag. 314). Ma questa notizia, poco poi confermata dagli oratori veneziani (pag. 340), è resa compiuta dalle particolarità relative alla battaglia di Rapallo (13 Luglio), dove l'armata genovese sconfisse quella di Francia. Di fatti qui, tra il bottino, erano «le porte enee di Castelnuovo di Napoli» (pag. 510), le quali per conseguenza non erano state dimenticate, ma furono restituite a Napoli dall'armi di Genova[28].

Da queste osservazioni si vede che, pure raccontando l'impresa di Carlo VIII, il Sanuto, come nei suoi libri soleva sempre, raccolse notizie da ogni parte e d'ogni natura; onde la spedizione francese non deve stimarsi manco preziosa di tutte l'altre opere sue, nelle quali gli studiosi riconobbero una inesausta miniera che di raro ricercasi inutilmente. Ora il Guazzo, colle improvvide omissioni, non solamente privò la scrittura sanutiana di questo suo pregio caratteristico, ma talvolta, sopprimendo poche parole, anzi una sola, riuscì a travisare la fisonomia dell'autore o il senso del suo racconto. Anche qui darò qualche esempio. Parlando del privilegio, attribuito ai re di Francia, di guarir dalle scrofole, dice il Guazzo, copiando, che Carlo VIII «quivi in Italia molti di quel male, segnando, fece liberi» (c. 104 t.º). Ma il Sanuto aveva detto: «qui in Italia molti del mal preditto, segnando, varite, ut dicitur» (pag. 245). Il Guazzo omise questa riserva, non accorgendosi dell'ironia di quel dicitur. Parimenti, descrivendo la cerimonia dell'investitura del Moro, dice il Guazzo, copiando, che Lodovico aveva un corteggio di quattrocento persone, «fra molte voci che Duca! Duca! gridavano» (c. 141 t.º); mentre il Sanuto aveva detto: «cridando i soi servitori: Duca! Duca! ma pochi del popolo» (p. 159). Anche qui il Guazzo omise l'ultima frase, che dà una diversa significazione al racconto. Insomma il Guazzo copiò, ma copiò male il suo testo; e quando non omise del tutto le descrizioni, come quella di Napoli, che uno dei più eminenti eruditi napoletani, l'illustre Bartolameo Capasso, dice piena di particolari «che sono taciuti dai nostri cronisti ed ignorati dai patrii scrittori» (pag. 237 in nota), ne soppresse senza discrezione veruna i tratti più significativi. Basti l'entrata di Carlo VIII a Firenze, nella quale egli [13] passa sotto silenzio la circostanza ricordata dal Nostro, che, «subito zonto, el Re dimandò di le medaie, cammei et porzellane di Piero (de' Medici), che erano cose di grande estimatione, però che Lorenzo suo padre (il Magnifico) molto si deletava; ma perchè erano stà strafurate da li soi, et scose in li monasterii, non le potè haver» (pag. 136).

So che il plagiario avrebbe potuto conservare alla cronaca sanutiana la sua integrità sostanziale, quand'anche ne avesse escluso i particolari che intimamente non si connettono al filo della narrazione. Ma ho voluto accennare soltanto ad alcuni di questi particolari, perchè se fossi entrato nel vivo dell'argomento, avrei dovuto analizzar tutto il libro. Ormai la cronaca sanutiana è stampata come le Historie del Guazzo; le confronti chi ne ha la pazienza. Basti perciò che sull'andamento generale di tutta l'impresa, ma specialmente nell'esposizione delle trattative riuscite alla lega del 1495, nella descrizione della battaglia di Fornovo[29], e nella storia dei maneggi che precedettero la pace tra Carlo VIII ed il Moro, il Sanuto ci diede uno straordinario numero di ragguagli che il Guazzo omise, ma che avrebbero dovuto parergli, come sono di fatti, caratteristici, importanti, essenziali a farci conoscere pienamente gli uomini e i fatti. Conchiuderò adunque dicendo che un superficiale confronto delle Historie del Guazzo e della cronaca del Sanuto dimostra il plagio anche ai ciechi; ma che un esame più attento dimostra pure che il plagio è riuscito così imperfetto da lasciarne tutta la vergogna all'autore, senza togliere alla cronaca sanutiana la novità e l'importanza che gli studiosi vi hanno riconosciuto[30].

R. Fulin.


[15]

Augustino Barbadico Venetorum principi invictissimo Marinus Sanutus Leonardi filius patricius tuus venetus se plurimum commendat et optat Reipublicae felicitatem.

Havendo non con piccola fatica reduto in fine, Serenissimo et Excellentissimo Principe, l'opera già divulgata degna et di farne extimatione di la venuta di Carlo re di Franza in Italia et successo de tempi fino l'hodierno giorno, et compita, deliberai dedicarla a Tua Serenità, sì per esser capo di la Republica et benemerito, quam perchè sia eterna memoria che sotto Tua Sublimità sia seguito in brevissimo tempo cose in tanto volume descritte. Et non senza summa laude di quella vi si puol scrivere alcuna cosa, per li modi tenuti, per le cotidiane fatiche, sapientissimi consegli, frequenti consultationi, non parcendo alla età septuagenaria, alla complexione nobilissima, alla degnità ducal, ne la qual cercar si doverebbe di conservarsi longamente, ma con ogni diligentia voluto esservi a tutti consegli del Senato, primo a intrare et ultimo a ussire, antivedendo a molte cose per le quale è seguito la grande gloria a questo illustrissimo Stato, et ben è nominata Tua Excellentia da quel divo Augusto Cesare, al quale se attribuisse fusse il primo huomo ne molti secoli. Adonque la città nostra veneta sempre di Augustino Barbadico sarà memore: conciosia che è intervenuto più ardue et importante materie sotto il Tuo ducato, che sotto niuno altro principe che sia stato, però che ho voluto veder li annali et croniche, et etiam qual cosa col parvulo ingegno mio ho descritto, ch'è la Vita di Doxi ab urbe condita fino a Tua Sublimità, la qual con tempo, Domino concedente, si darà fuora. Perchè in questo tempo non solamente vi si combatteva di uno Stato[31], ma, ut ita dicam, tutta [16] Italia vi andava in preda, et si sottoponeva a gente gallica, la qual, secundo l'antiche hystorie, mai hanno potuto longamente dominar in quella, nè mantenir alcuno Stato acquistato da loro, ma sempre sono stà scacciati vituperosamente. Perchè havendo l'eterno Iddio posto le Alpe per termene, che barbari e tal generatione fusseno divise dalla italica gente, la qual parte de Italia secondo cosmographi et scriptori de siti è la più bella parte di la terra habitabile, et più fructifera, licet poca vi sia, cussì mai non li ha lassato Iddio molto in questa parte prosperare: cominciando da Brenno, el qual, come scrive Giustino, venuto in Italia fece molte cose, et Roma brusò, demum da Camillo romano fu scacciato de Italia; et cussì in varii tempi leggendo le hystorie si trova Galli esser stà sempre scacciati, et simile altre generatione barbare venute più volte per quella subjugare, zoè Hunni, Gothi, Ostrogothi, Longobardi, Ungari et altre gente lontane, che per non tediare Tua Sublime Signoria, qui pretermetterò dover narrarle. Quanto aduncha questa Italia e tutti li potentati siano obligati, da poi quello dal qual procede il tutto, a questa inclita Republica, per le cose successe, per mi verissime qui descritte, si vederà, per haver scacciato quello che sotto specie di andar contra infideli voleva depredarla. Quanto re Ferando di Napoli deve adorare il tuo nome come rappresentante del Senato, per esser con le tue forze et sapientissimo governo ritornato nel regno, el qual di voluntà havea lassiato, et parte di quello recuperato et va per giornata recuperando; sed de his hactenus. Concludendo vi si puol dire di Venetia: Dum mare delphinos, dum caeli clara tenebunt sydera; dum gratas tellus dabit humida fruges; dum genus humanum sua deget saecula terris, splendor erit toto Venetum celeberrimus aevo. In questa opera aduncha leggendo si vederà, invictissimo Principe, tutto il successo, giorno per giorno, da poi la partita di Carlo re di Franza fino alla sua ritornata, et non solum quello Sua Majestà seguiva, ma etiam quello in diverse parte de Italia uno et eodem tempore si faceva, cosa non senza grande fatica et continua sollicitudine investigata. Et sopra tutto la verità, perchè questo è potissimo in historia; come etiam feci de la Ferrarese guerra, intitolata al Serenissimo Johanne Mocenico antecessor Tuo, sotto dil qual ducato la fue, ne la qual etiam Tua Excellentia è nominata, per quello che tunc in diverse legationi si adoperò. Or in questa ho tenuto un modo assà chiaro per non confondere li lectori di tempi. Et ancora, Principe Serenissimo, quando da le fatiche publiche harai alquanto di ocio, leggendola, son certo troverai cose degne di memoria [17] et varie, et fortasse a molti incognite, che sarà di summo contento a Tua Sublimità, et a questo mio gloriosissimo Senato, et molto gratissima a quelli leggeranno et hanno piacer de historie, et sapere li facti in Italia seguiti, opera di grande utilità, maxime a quelli che partengon salire al governo publico. Et benchè ne sia molti che tal gallica historia habbi descripto sì in latino, come Marco Antonio Sabellico, huomo litteratissimo et veterano in tal cose, et altri nel sermon materno; et questi o con più alto stile o con nova forma haranno formato loro scritture: ma io non curando di altro che di la verità, ho fatto questa, vulgari sermone, acciò tutti, dotti et indotti, la possino leggere et intendere, perchè molto meglio è faticarsi per l'università che per rari et pochi. I quali, ancora che buona fusse, son certissimo si latina l'havessi descripta, mi harebbeno biasemato; et ben che si havesse potuto respondere quello che alli detractori di questa li dico per mia excusatione: mala sunt, sed tu non meliora facis, secondo il ditto di Marciale poeta. Adoncha con jocunda faza receverai il piccol dono dil patricio tuo, el qual, tal qual è, lo dono, dedico et mando a Tua Sublimità, alla qual quanto più posso iterum atque iterum me commendo. Vale, valeatque Excelsitudo Tua, ut opto.

Ex urbe veneta, in aedibus habitationis, anno MCCCCLXXXXV ultimo Decembris.

[19]

Adsit omnipotens Deus.

Marini Sanuti Leonardi filii patricii veneti de Adventu Caroli regis Francorum in Italiam adversus regem Neapolitanum, anno domini mcccclxxxxiiij, regnante Alexandro sexto pontifice maximo et Augustino Barbadico Venetorum duce. Incipit liber primus.

Carlo octavo re di Franza, da poi la morte di re Ludovico suo padre, successe nel regno, di età di anni XV, et fo incoronado a Paris ne la chiesia de Sancto Dionysio, secondo il consueto regio, ne l'anno di Cristo 1483[32]. Questo, vivente patre, stette scoso in una città ne la Franza, chiamata Ambosa (Amboise), per molti anni; adeo si credeva el re Ludovico non havesse figlioli: et questo fece il padre per dubio che li baroni non el sublevasse contra di lui, come fu facto di esso Ludovico contra Carlo septimo suo padre. Et fu maridato in la fiola de Maximiliano, figlio di Federico terzo imperatore, nunc Re di Romani et successore electo de li sette electori elemani a l'imperio: nata di la duchessa di Borgogna, et per consequente sorella di l'archiduca Philippo, che adhuc in Borgogna regna, chiamata Margarita. La qual donna, non essendo in età perfetta, expetando il tempo dil futuro sponsalicio in la città preditta di Ambosa, sette anni vi stette[33]. Ma esso re Carlo, cupido di augumentar el regno, essendo morto in quello tempo el duca Francesco di Bertagna senza figlioli mascoli, et non era rimasto di lui se non una figlia unica, la qual quello ducato governava, era promessa in moglie a Maximiliano sopranominato, con grande exercito [20] vi andò, et aquistato quel regno del 1490, in l'ultima terra di detto ducato chiamata Rennes[34] trovò ditta madama Anna fia dil duca preditto, et quella volse per moglie, benchè fusse con re Maximiliano promessa come ho ditto, repudiando ex consequenti la fiola di esso Maximiliano, che per esser sua moglie lì nella Franza dimorava. Et mandoe do ambasciatori a Roma a Innocentio octavo pontefice, i quali fue l'abbate di Santo Dionysio al presente Cardinal, et l'abbate di Santo Antonio di Vienna per cagion di spensare e l'una e l'altra promessa[35]. Et celebrate le nozze a Turs[36] ne la Franza, li fo mandati per diversi potentati oratori a congratularse sì de tal felice matrimonio, quam dil paese acquistato di novo. Unde per Vinitiani vi andoe Zaccaria Contarini et Francesco Capello cavalier, i quali ambedoi fonno di militia da esso cristianissimo Re adornati ne l'anno di Cristo 1491[37]. Et volendo mandar la fia di Maximiliano a uno de primi suoi baroni di caxa regia, lei minime volse, nè il padre mai consentì, al qual honorifice, ut decebat, fo rimandata. Et poi con ditto Maximiliano venne gran discordia per tal repudiatione, et toltoli la moglie, pur a la fine, interposti ambasciatori, maxime per il re di Franza el principe di Oringia (Orange), el qual era prima nimicissimo de la casa di Franza et a l'acquisto di Bertagna molto danizoe esso Re, ma poi fu causa di far le nozze sopraditte et etiam di pacifichar fra questi do re le cosse, come di sotto al loco suo tutto sarà descripto, Deo concedente. Oltra di questo, negando di dar al re de Ingilterra el tributo assueto, Englesi non volendo tollerar, [21] el re Henrico che al prexente quella isola domina, armate nave cento a Dobla (Dover), in persona, con non poco exercito di persone, zerca vinticinque milia, et fo ne l'anno 1492 dil mexe di Ottubrio, et dismontati a Cales, ch'è una terra mia trenta vicina a l'isola predicta, et messe campo a una terra chiamata Bologna di esso re di Franza, lontana da Cales zerca mia XVIII, et quella strense. Et venuto exercito franzese, ne fo morti di l'una et l'altra parte assà zente, tamen poi sono pacificadi, et Carlo re promesse dar annuatim scudi sessantamilia, sì come re Edovardo havea[38]: et cussì etiam queste cosse fo conze. Ancora questo Carlo re havendo inimicitia con Ferdinando re di Spagna, el qual in quelli tempi havea da la setta maumecthana de Mori acquistato (non senza grande fatica) el reame tutto di Granata, et ne l'anno 1492 a do di Zenaro intrato ne la città di Granata, et scacciato (Abu Abdallah)[39] lhoro re, et reduto sotto la pristina fede cristiana el suo dominio, che da più de 680 anni Mori lo havea posseduto: et questa inimicitia venne con detto re di Franza (e) questo, perchè esso Re di Spagna tentava di recuperar el contado di Rossiglion et Serdania (Cerdagna), quali altre fiate per don Johanne re di Ragona suo padre fonno impegnati et dati al re Ludovico di Franza, padre di Carlo predicto, sì per danari habuti quam per zente et presidio che li prestoe, quando la Cathelogna si ribelloe, per caxon di recuperarla. Ma, mandati ambasciatori citra ultraque parte, feceno pace perpetua, et libere Carlo re dette et assignoe a Ferdinando preditto la città di Elna (Elne) et Perpignano, con el resto de ditti contadi soprascritti, et feceno accordo tra loro, acciò dil reame di Napoli non se impedisca, et la publicatione di la paxe quivi è posta, acciò il tutto chiaramente intender se possa.

Bando fatto ne la città di Barzellona adi 16 Settembrio[40] 1493 in presentia di uno secretario dil re di Franza et di tre homeni d'arme franzesi, del qual bando el ditto secretario ne ha fatto atto publico lì in Barzellona.

Hora aldì (udite) generalmente che ve fanno a sapere per parte de la Maestà del signor re don Ferando et donna Ysabetha per la [22] gratia de Dio re e regina di Castiglia, de Aragona, de Lione, de Cicilia, de Granata, de Toledo, de Valentia, de Gallicia, de Maiorica, de Sibilia, de Cordovia, de Murcia, de Giaen, de Algarve, de Algezira, de Gibeltar, de le isole de Canaria, conte de Barzellona, signor de Biscaia e de Molina, duca de Athenes et Nichopatria (Neopatria), conte di Rossiglion e Serdania, marchese di Erystain (Oristano) e conte di Gociano, che sono state fatte e promesse e iurate vere alianze e confederatione perpetue infra li ditti re e regina et lo illustrissimo signor don Johan principe de le Esturie e de Girona et cet., figliolo primogenito et legiptimo successore de le sopraditte Maestà, et in li loro regni et terre et de loro successori da una parte, et da l'altra lo cristianissimo signor don Carlos per la gratia di Dio re di Franza, et per lo illustrissimo signor don Carlos principe et delphin de Vienna figliolo legittimo del cristianissimo Re, in lo reame di Franza, terre e signorie di quello et de loro successori da l'altra parte, in questa maniera che hora e perpetualmente le sopraditte Maestà sono e saranno per loro e per li loro sopradetti successori et per li loro reami, terre et signorie, boni fradelli e amici, aliati e confederati, amico de l'amico e nemico de l'inimico enverso de tutti e contro tutti, senza reservatione de persone alcune, de qual se voglia condition o dignità o stato che siano, salvo la Santità del Nostro Signor el Papa. Et altramente, come più stensamente è commemorato ne li articoli e capitoli de le alianze e confederatione promesse fatte e iurate infra le ditte Maestà e per la sopraditta causa, per parte de le sopraditte Maestà se notifica a ogni homo generalmente de qual se vuol conditione e stato che siano de li loro regni e signorie, che liberamente habino a conversar, negociar et contractar con ogni segurità tutti li subditi del cristianissimo re di Franza, vegnando e andando ne li regni et terre de loro Maestà, e cussì per converso li subditi nostri ne le terre e regni dil cristianissimo re di Franza, cussì come si tutto fusse una signoria unita, come per le ditte alianze e confederatione si ha ordinato e facto et jurato.

Et havendo cussì placato le cose de Spagna et de Ingilterra, prima obtenuta la Bertagna, et tasentate le discordie con Maximiliano re di Romani, essendo il regno suo pacifico, volendo imitar le vestigie de soi progenitori cristianissimi chiamati Caroli, però che septe vi fue, maxime di Carlo figlio di Pipino re di Franza et imperatore romano, la cui fama è grandissima, et non immerito fu chiamato Magno; mosso etiam (come diceva) da zelo di la fede, per discacciar Turchi del suo dominio et recuperar la Terra Santa, da [23] Mori tenuta za gran tempo; et visto molte prophetie che chiaro parla come lui doveva far molte cose, le qual per non essere al proposito qui pretermetterò di scriverle; mosse l'animo et fece qualche pensier di venir con grande exercito in Italia, et primo acquistar il reame di Napoli a lui, dicendo, jure hereditario dovea pervenir, la cui historia di sotto sarà scripta, et instigato, immo cotidie sollicitato dal principe di Salerno, uno de' primi baroni dil reame di Napoli sopraditto, el qual fuggite lì in Franza quando Ferdinando re di Napoli discazoe li baroni dil suo reame, i quali insieme si haveano accordato contra di lui, zoè: el gran siniscalco principe d'Ariano, conte di Capazo, principe di Bisignano, principe d'Altemura, marchese di Bitonto, esso principe di Salerno et il conte di Montoro con molti altri, et assà numero di baroni et quelli di l'Aquila, dove fu molta guerra in ditto reame, aiutandoli maxime Innocentio octavo pontifice, el qual assoldoe per capitano de la Chiesa el signor Ruberto di San Severino, tunc temporis uno de primi de Italia in arte militari, et questo andato con gente in reame, dove li venne a l'incontro Alphonso duca di Calavria, che al prexente di Napoli è re[41], fino appresso Roma, et fonno a le mani et durò la battaglia fino la sera: tamen niuno di loro fonno vincitori. Ma li baroni, cussì come da prima erano uniti, cussì poi tra loro hebbeno varie opinioni. Alcuni volevano darsi a la Chiesia Romana, altri a la Signoria di Venetia, altri chiamar Turchi in Italia in suo soccorso, et altri volevano sublevar nel regno Renato duca di Loreno disceso di la caxa de Anzò, che fu nepote di Renato, che za fu Re di la Puja, a cui dicevano ditto reame dover expectare. Ma dapoi molte cede (uccisioni?), pacificato el Pontifice con esso re Ferdinando, con conditione dovesse etiam far paxe con soi baroni e perdonarli le offexe, al qual iureriano fedeltà et omaggio. Unde per questo li baroni preditti sub fide regia andono a Napoli a inchinarsi et dimandar perdono: et venuti, parte in castello de comandamento regio fonno retenuti, parte morti, altri in carcere serrati. Ma questo sapientissimo principe di Salerno, accorgendosi di quello li saria intervenuto, fuggite di Napoli, et di mano di Ferdinando, incognito, con grandissima arte, scampoe dil reame. Et gionto a Roma, d'indi partito, venne a Venecia, demum capitoe in Franza, et fu ne l'anno di Cristo 1486, dove da quello Carlo re et quelli governava quel regno fu benigne et honorifice ricevuto, datoli provvisione [24] et zente, nella impresa di Bertagna fu operato, et valorosamente si portoe. Questo principe insieme con altri baroni subito gionti terminono di metter ogni loro inzegno ad exortar esso Re, e la sua corte et gran parlamento, che volesseno far le vendette de ditti baroni. Questo perchè sotto la fede dil Pontifice, di esso Re di Franza et Senato Veneto, quelli andono a Napoli et messeno gioso le arme, unde mal capitono. Benchè Innocentio pontifice, non volendo patir tal ingiuria, comenzò quasi di novo a far guerra con Ferdinando, et etiam exortoe Venitiani a non patir questo, i quali vi mandoe ambasciatore a Napoli Marco Antonio Morosini, cavalier splendidissimo, acciò vedesse di conzar le cosse[42]. Et già li baroni ritenuti erano stati morti, non vi essendo rimedio, in fine col Pontifice et Re pacificono le cosse. Ma pur esso principe di Salerno non restava di sollecitar in Franza che il Re venir dovesse in Italia, et acquistar ditto reame, mostrando chiaro che alla sua corona perveniva, benchè poco era da quelli baroni primarii gallici audito. Et acciò meglio s'intendi è necessario di scriver il modo che ditto reame è pervenuto alla caxa di Aragona. Questo reame di Napoli o vero di la Puja, alias dominado per re Ladislao che fu figlio di Carlo, el qual Carlo fu chiamato di Ungaria ne l'anno 1380 da Urbano pontefice contra la raina Zuana vecchia, la qual favoriva Clemente suo adversario nel papato, et haveva adoptato per proprio figlio et successore nel regno Ludovico duca di Angioia figliolo dil re di Franza, et per queste cagioni chiamò ditto Carlo, el qual venne con ottomilia cavalli et intrato in reame prese la ditta regina et quella uccise, et superoe li principi. Et l'anno sequente che l'hebbe acquistato, essendo morto Ludovico re di Ungaria senza figlioli, de volontà de tutti quelli principi fu chiamato in Ungaria, et di quel regno incoronato ancora Re, benchè poi per ordinatione di la Regina di Ungaria fusse advelenato et morì. Adoncha successe nel regno di Puglia ditto Ladislao, et regnò anni ventinove. El qual venuto in etade acquistò ancora il regno di Ungaria, benchè per sospetto di non lo poter mantenere poi lo vendesse, et con quella pecunia si conservò el regno di Puglia, et diventò prudentissimo, magnanimo et ne le arme expertissimo. Et dapoi la morte de Gioan Galeazzo duca di Milano acquistoe Perosa et molte altre cittade, et venuto a Roma sotto color di amicitia fu cagione di far levar tutto el popolo in arme contro [25] Bonifacio nono pontefice[43], nel qual tumulto furono morti, come scrive Leonardo Aretino, undece de principali de Roma; et impaurito fortemente il Pontefice, con tutta la corte se ne andò a Viterbo. Et essendo Bonifacio morto, simelmente Ladislao, o vero, secondo alcuni, Lanzilao, prese Roma per absentia di Gregorio duodecimo successore del ditto Bonifacio[44]. El perchè Gregorio preditto, insieme con el collegio de Cardinali, privò Lanzilao di ogni sua dignità, et similmente dil regno, et dettelo a Lodovico figlio già de Lodovico de Angioja: et per questa cagione vendette Cortona a' Fiorentini[45]. Et, infermato a Perosa, fu portato a Napoli, dove fu fatto attossicare da' Fiorentini. Il modo fu che, amando la fiola del medico suo, con la qual spesso si trovava, tamen occultamente, or fu promesso a ditto medico molta pecunia, se teneva modo di far morire Lanzilao. La qual cosa acconsentendo el medico, chiamò con parole dolce uno giorno la figliola, et dissegli: piacemi che te inzegni quanto puoi, che lo tuo padre sia suocero di tanto Re et avolo di stirpe regale: seguita pur che fazi cosa che in contento li sia, ma se farai a mio modo, te insegnarò cosa che lui ti amerà, et saremo tutti felici. Et lei contentissima. Or il padre fece uno veneno, chiamato da medici Nepello, et dettelo in uno fazzoletto finissimo alla fiola, et ordinò, quando dovea esser con il Re, si ungesse con ditto unguento nel luogo suo genitale. Venendo adonque il Re a lei, la giovenetta fece quanto il padre le havea imposto, et in quel modo de subito uccise lei el Re; et il padre di tal male non rimase impunito. Or, venuto a morte senza figlioli legittimi, successe nel regno Gioanna seconda sua sorella del 1413[46], et regnò anni ventiuno et, ben che la fusse di corpo femineo, fu non di meno di animo virile, et nel governo sagace et prudente, et per havere favor nel regno si maritoe a Jacobo conte de la Marca, el qual fra principi franciosi per natione et virtù si diceva esser el primo; ma vedendo lei che 'l marito voleva disponer ogni cosa senza sua saputa, sdegnata si partì da lui, per la qual cosa si divise subito el regno in più parti, perchè altre voleva il governo di lui, altre quello di lei, un'altra parte voleva Lodovico de Angioia, (un'altra) per fin doversi chiamare in quel regno Alphonso [26] re de Ragona, el qual finalmente superando ogni altro fu adoptato per figliolo di essa Giovanna, benchè poi le fusse ingrato, et la scaccioe in poco tempo di Napoli, et la messe in una rocca, dove finalmente morì nel 1434[47]. Adoncha questo Alphonso, fiol de Ferdinando re di Aragona, cupido di acquistar novo regno, essendo vicino, però che dominava la Cicilia oltra Faro, deliberoe di passar in reame, et nel principio volendo esser da ditta raina Gioanna adoptato, sepius fo deluso, per la qual cosa passò con grande armata et exercito terrestre nel ditto regno, et il capitano di la Rocca marittima per forza di danari acquistoe, et cussì hebbe quello castello, non advertendo essa regina, la qual za havea adoptado Renato fratello di Lodovico de Angioia de la fameglia dil re di Franza, come è scripto di sopra, et za la Puglia dominava et era in Italia, et Alphonso preditto comenzò a seguir la ditta impresa. Et unum non praetermittam di scriver, che esso re Alphonso del 1435 combattendo la città di Gaeta, la quale da Zenoesi era fortemente difesa, unde Zenoesi armono dodexe nave et trentacinque galie con volontà et favore dil duca Philippo de Milano loro signore. Capitano de ditta armada uno Biasio Axerato (Biagio d'Assereto) et Helya (Sorleone) Spinola, et fonno a le mani con l'armata di ditto re Alphonso, la qual già era benissimo posta in ordine, et per diece hore duroe la battaglia, a la fine Zenoesi furono superiori et preseno Alphonso con doi frategli, zoè Joanne re de Navarra et (don Henrico)[48], Antonio duca di Sexa (Sessa), Joanne Antonio principe di Taranto et molti altri principi et signori più di 100, et 200 cavalieri, et acquistano di molta preda, i quali dal preditto Biasio capitano fonno presentati al duca Philippo, el qual, essendo liberalissimo, per acquistare fama grandissima gli riceveteno con grandissimo honor, in breve giorni li lassorno liberamente ritornar alle patrie loro, contro il voler de Zenoesi, i quali sdegnati si ribellono dil dominio duchesco, et caccioe fuora Obezino (Pacino Alciati) locotenente dil duca, che lì in Zenoa era, et si reduseno in libertà. Ma, ritornato Alphonso nel regno, [27] obtenne Gaeta. Ma in questo interim sopravenne la morte di la ditta regina Zuana[49], et restoe la guerra tra esso Alphonso et Renato preditto, el qual za nella Puglia quattro anni havea regnato. Ma da poi molte battaglie, ne l'anno 1442 Alphonso Renato superoe et ruppe, el qual introe in Napoli. Dove Alphonso andatovi a campo, longa et durissima obsidione cingete, et vi stette do anni a campo, tandem per una cava subterranea le sue zente introe in la cittade, et cussì have la terra. Ma Renato intrato nel castello fortissimo chiamato Castelnuovo, dove lassoe a custodia uno Antonio Calvo zenoese, el qual di assà summa di fiorini li era debitore. Ma Zenoesi in suo ajuto li mandoe do grandissime nave piene di munitione et de zente d'arme, sopra le qual esso Renato con li suoi franzesi montoe, et venne a Pisa et da poi a Fiorenza, et non potendo più haver soccorso andò in Marsegia (Marsiglia) dove vi stette. Ma in quel mezzo el custode zenoese preditto, che era in Castelnuovo, habuto da Alphonso quella quantità di oro dovea dar a Renato, li dette et consignoe ditto castello, et si ritornò a Zenoa. Adunque habuto Napoli, preso alcuni baroni et ad altri perdonato, che li zurono fedeltà, ita che tutto quello regno non con piccola fatica venne sotto al suo dominio, et tornato in Napoli sopra un carro aureo, triomphoe di tanta victoria. Benchè poi ne l'anno 1453, che fu undeci anni da poi l'acquisto dil reame, Renato di Andegavia preditto, desideroso di recuperar il regno, fatto liga con Francesco Sforza duca di Milano et Fiorentini, venne con domilia cavalli in Italia, et andoe a Fiorenza. Ma il duca Francesco fatto gente, mutoe altro pensier, et venne contra Vinitiani, et nel Brexano et Bergamasco prese alcuni castelli, e fatto molte cede su quel di Pontevico, sopravenendo l'inverno, le zente andono a li allozamenti. Ma questo vedendo Renato lassoe suo fiol Joanne a Fiorenza[50], et si partì con cattivo animo sì contra il duca Francesco quam contra Fiorentini, però che non li haveano atteso alle promesse, e ritornò in Marseia, dove el resto di la vita sua ivi finite. Ma el re Alphonso, havendo regnado nel regno napolitano anni 22, dapoi sedate alcune discordie con Fiorentini, et ancora havendo regnado in altri regni, zoè Ragona, Spagna e Sardegna, accumulato [28] grandissimo thesoro, morite in Napoli, nell'anno 1456[51], et non havendo legiptimi figlioli, el regno hyspano o vero di Ragona pervenne al maggior suo fratello don Joanne, jure hereditario, di qual è disceso questo re don Ferdinando, che al presente domina, però che Alphonso ebbe tre fratelli, lui primo, don Johanne ditto che fu re di (Navarra)[52], don Henrico maestro di S. Jacomo, et don Piero, el qual morite a l'impresa di Napoli soprascritta, et una sorella[53], la qual fu maridata a don Joanne re di Spagna suo parente consanguineo[54], in tempo del padre. Ma il reame di Napoli, il qual esso Alphonso per forza di arme et con sua industria havea acquistato, instituì et lascioe per testamento a Ferdinando suo fiol ex pellice, (quantunque) lo ditto regno dovesse ex instituto antiquo pervenir alla Sedia apostolica. Ma con voluntà di suo barba re don Joanne preditto, ne l'anno 1456, Ferdinando, morto il padre, comenzò a regnar. Benchè Calisto terzo pontefice, di nazione Catelano, di patria Valentiano, el qual alias di Alphonso re suo padre fu primo secretario, et quello incoronoe, essendo esso Calisto di animo excelso et magnanimo, statuì e tentò omnino di voler repeter ditto regno, nè mai Ferdinando volse investir: ma sopravenne la morte et fo disturbato. E da poi successe Pio secondo, di natione senese, el qual, licet reclamantibus Gallis, confirmoe Ferdinando nel regno, et quello a Roma coronoe con gran pompa; ancora in parte il censo antiquo et assueto a dar alla sedia apostolica, zoè fiorini 60 milia annuatim, relassoe[55]. Ma è da saper che prima Joanne Andegavense, olim fiol di Renato, havendo inteso la morte di Alphonso, et che Calisto non voleva investir Ferdinando di questo regno, con ajuto di Jacomo Picenin mosse guerra a Ferdinando, et passò in Italia, et fo a le mani con le zente di Ferdinando preditto, et quelle ruppe et scaccioe al fiume Sarno; ma sentendo tal rotta Pio pontefice, dubitando Franzesi non prosperasse, li mandoe contra Federico di Montefeltro duca di Urbino, capitano [29] di la Chiexia, insieme con el signor Alexandro Sforza di Pesaro, et veneno in Marsos, acciochè Jacomo Picenin, condutto dal duca Joanne de Angioja preditto, non potesse venir contra Ferdinando; per le qual cose, con lo ajuto di Dio, esso re fugoe di la Puja ditti Franzesi, per la qual vittoria molti signori, qui gallica arma sequebantur praeterito, con Ferdinando si accordoe et ebber stipendio, altri sono rotti et fugati. Ancora questo re Ferdinando con Paulo secondo Pontifice, di natione veneto, che a Pio successe, have alcune discordie per caxon del tributo, el qual non solum non voleva ogni anno pagar, ma voleva che li fusse lassato come papa Pio secondo in suo tempo havea fatto. Demum etiam con Venetiani nascete qualche discordia per caxon di la ixola de Cypri, la qual al presente pretermetterò per non esser a proposito. Et poi ne l'anno 1480 Maometh othomano gran sultan et principe de Turchi deliberoe di acquistar la Italia, pacificato le cosse con Venetiani, et mandoe la sua armata in la Puja, et prese Otranto, ch'è fortissima et grande cittade, capo di la Calavria, et quella per alcun tempo tenne. Ma sopravenendo la morte di esso Maometh suo signor, essendo lì a campo Alphonso duca di Calavria, di Ferdinando fiol primogenito, et Turchi non sperando più soccorso, perchè ne li loro paesi era grandissima dissensione tra doi fratelli, che cadauno voleva acquistar el regno paterno, unde si rendeteno a patti: tamen, habuto la terra, sono tutti Turchi presi, parte morti, altri fatti presoni, et altri restoe a stipendio di ditto Alphonso de qua in Italia. Et questa venuta de Turchi fu cagione di cessar le novità di la Toscana, però che il re faceva gran guerra a Fiorentini, et già in Siena esso Duca di Calavria era intrato, et ad libitum disponeva, e de lì se partì con el.... Sed de his hactenus, et ad propositum nostrum redeamus.

E vedendo adoncha esso re di Franza il suo Stato undique pacificato, ne l'anno 1493, fatto più volte a Paris consultatione di quello havesse a far, di tuor l'impresa di Napoli vel ne, tra quelli dil suo parlamento: essendo di animo generoso, di ingegno excellente, di età di anni 24, di corpo robusto et forte, ma di effigie bruttissimo, naso grande, di statura piccolo, et ut plurimum parla poco, mosso prima, come diceva, di volontà di Dio, però che fece far nel suo regno solenne oratione, pregando lo eterno Iddio dovesse inspirarli qual fosse el meglio di venir in Italia, o vero altrove metter il suo pensiero, unde pareva che tutte le oratione et quelli oravano, maxime alcuni heremiti, lo confortavano ad ogni modo a pigliar [30] ditta impresa. Tamen molti signori del Parlamento lo disconselgiava, dimostrando ragioni evidentissime che non era tempo di venir in Italia, narrando come altre fiate Franzesi erano stati rotti, e che li potentati de Italia numquam soffreriano che lui vi venisse a dominar Stado alcuno, nè il vorrebber per vicino; etiam che le vittuarie mancherian, et che in paese a loro non solito nè assueto clima era mal guerrizar, et molte altre ragioni li erano ditte acciò si movesse di tal sua opinione et voluntà. Ma il re preditto a tutto sapientissimamente rispondeva, dicendo non esser maggior gloria che voler lassar memoria di fatti loro, et che era venuto el tempo che esso Carlo dovesse far quello diceva le prophetie, zoè passar in Italia, et andar poi contra Turchi nemici de la Cristianità, i quali za tanto tempo hanno sempre cercato di spenger il nome di Cristo, et ancora recuperar la Terra Santa da Mori tenuta. Le qual cose nel principio diceva voler far, havendo lo exempio di quello havea fatto Ferdinando re di la Spagna, che il reame di Granata ha acquistado, et concludendo li pareva al tutto di metter ogni cura a dover exequire il suo intento. Et essendo instigato, ymo sollicitato dal Principe di Salerno, come ho ditto di sopra, etiam da preghiere dil signor Ludovico Sforza vice conte duca di Bari, che tunc el dominio de Milano governava, et regnava, (quantunque) vi fosse duca Zuan Galeazzo Maria suo nepote, et con quello fece occulti patti et federatione, et dapoi che vi mandoe tre ambasciatori per nome di quello Stato di Milano in Franza a congratularsi di le nozze et acquisto di Bertagna, i quali fonno el signor Zuan Francesco di San Severino conte di Cajazzo, el conte Carlo di Belzojoso et Galeazzo Visconte[56]: ivi appresso il re rimase ditto conte Carlo, el qual, non come oratore ma sollicitatore grandissimo, cotidie con li signori dil parlamento sollicitava questa venuta dil re in Italia, et maxime con monsignor episcopo di Samallo (Saint Malo) et monsignor Stephano di Beucher (Beaucaire), i quali erano amicissimi di esso sig. Ludovico, et quelli che contra tutti oppugnava che il Re dovesse passar in Italia. Or la cagione che questo sig. Ludovico volesse il Re venisse, fu che havendo questo duca Zuan Galeazzo di Milano nell'anno 1489 tolto per moglie la figliola di Alphonso duca di Calavria, di Ferdinando re fiol, chiamata Ixabella, donna di grandissimo inzegno, la qual venuta con gran magnificentia a marito, celebrate le sponsalicie, tamen esso Duca per uno tempo stette che non potè usar con [31] lei, o fusse ligato acciò non generasse, o che se fusse, pur alla fine, volente Deo, la ingravedò, et nacque nel 1490 uno fiol maschio, el qual poi baptizato li fo posto nome Francesco. Et dubitando Ludovico che esso Duca di Calavria, el qual merito era il primo homo de Italia et sulle arme, vedendo el genero suo al modo steva, senza haver libertà nel Stato, non lo volesse liberar et ponerlo solo nel governo dil ducato di Milano, el qual da esso Ludovico era occupato sub nomine gubernationis dal 1479 in qua: et si pensò che movendo Franzesi a venir in Italia contra Napoli, qualche pensier che havesse esso Duca di Calavria sopra di queste cose di Milano fusse disturbato, et attender dovesse a difender el suo regno, come fue. Et ancora ditto re di Franza da alcuni signori italiani era vehementer exortato, e maxime da Hercule da la cha di Este di Ferrara, nemicissimo di Venetiani per le guerre tra loro seguite, cupido di nove cose. Questo messe a soldo dil re uno suo fiol secondo, chiamato Ferante, et etiam ne l'anno 1492 fense di aver voto di andar a San Jacomo di Gallicia; et postosi in ordine, venuto a Venetia con el fiol don Alphonso primario, dimostrando di recomandar el suo Stato a quella Signoria, se ne partì, et con non piccola compagnia andoe fino a Milano, poi ritornoe, dicendo el Pontefice lo havea assolto di tal voto, con conditione andasse a Roma, et cussì ritornò a Ferrara: tamen non senza misterio ditta andata fue, come di sotto al loco suo tutto sarà scripto. Et oltra di questo, etiam cardinali di la Santa Chiesia Romana dette favore et procuroe la venuta di esso Re: come fu el Cardinal di S. Piero in Vincula, sì per esser episcopo di Avignone, quam per la inimicitia havea al Pontefice et odio al re di Napoli. Adonque, terminato el re di Franza di poner ogni diligentia per venir a la expeditione di l'impresa di Napoli, ordinato per tutto el suo regno grande exercito, i quali a ogni suo comandamento fusseno preparati, se ne venne a Lion, et prima deliberoe di mandar a intender l'opinione de li potentati de Italia, et se sariano contenti di tal sua venuta, et mandoe uno suo messo, over ambasciatore, non molto di conditione, chiamato Peron de Basser Mastro dotel (Perron de Basche, maitre d'hôtel) zoè Maistro di casa dil Re, el qual venir dovesse al Senato Veneto et a Fiorentini et ad Alexandro sexto pontifice romano di natione valentino, et nepote che fu di Calisto terzo pontifice, el qual in luoco de Innocentio octavo del 1492 al decimo di Avosto da Cardinali fu creato Papa. Et questo tal ambasciatore venne prima a Venetia, e gionto a 8 dil mese di Luio 1493 allozoe a la Badia di S. Gregorio, et honorifice tractato. Questo portoe lettere [32] di la Maestà cristianissima dil suo Re alla Signoria, dinotando che voleva al tutto venir a rihaver el suo Reame di Napoli, et però questo suo messo havea mandato per intendere l'opinione sua, se si volevano impazzar in dar ajuto a re Ferdinando, o quello volesseno far, et si volevano dar passo et vittuarie, notificando quello haver bona paxe con Venitiani confirmata ne l'anno 1485 per Hieronimo Zorzi cavalier[57], era oratore lì in Franza, et che voleva con justa causa ottenir ditto reame di Napoli, offerendosi etc. Al qual Venitiani, benchè non fusse creto (creduto) volesse venir, pur da poi molte consultatione fatte nel conseglio di Pregadi, per il Principe Serenissimo Augustino Barbadico li fo risposto: Prima che si volevano aderir alla voluntà del summo Pontifice et duca di Milano o vero sig. Ludovico, con li qual havevano liga insieme, la qual pochi mexi avanti fue celebrata, duratura per anni XXV, et dil mexe di April passato, nel zorno di San Marco fue publicata. Ma che pur li volevano dir questo, che Venetiani amavano la paxe, et che non bixognava a loro guerra, havendone habuta assai sì in Italia, quam con Turchi più di 30 anni continui; et che non erano di sorte che si volesse impazzar in quelle cose che a loro non toccavano: et che sapevano ben la paxe con la cristianissima Maestà dil suo Re, la qual al tutto volevano mantenir et conservar, etiam che havevano bona paxe con la Maestà dil re di Napoli, et che non potevano nè dar nè devedarli il passo, perchè non accadeva passar per nostre terre e luogi, offerendosi prontissimi a conservar la amicitia antiqua con la Sua Maestà; et altre parole di questa substantia li usoe. Et ditto mastro Peron contento, ben che volesse in iscrittura, tamen per non esser consuetudine non li fo data, ma ben tal deliberation letta più volte, unde rimaso satisfatto se ne partì, et andoe per la via di Ferrara a Bologna, et dal magnifico Joanne Bentivoy, che al presente quella communità sì come signore dispone et governa, volse etiam saper si era contento di dar passo alla Maestà dil suo Re, però che dimostrava voler far quella via; et ben che ditto magnifico Joanne fusse soldato dil Stato di Milano, pur era a la fin di la ferma; et dimostrò quasi esser contento di tal regia venuta. Or poi ditto Peron andoe a Fiorenza, dove etiam volse intender quello volevano far, ben che fusse in stretta amicitia con il re di Napoli, commemorandoli li beneficii che la città di Fiorenza in diversi tempi havea ricevuti da la casa di Franza, et maxime da Carlo Magno che, come [33] si legge ne le hystorie, essendo Fiorenza ruinata da Totila re de Gothi, la redificoe et amplioe di circuito di mure, et che advertir dovesseno le inimicitie habute con Ferdinando et quella guerra del 1478, li qual danni ancora non erano a pena restaurati, et che sempre in ogni loro adversità lo cristianissimo suo Re et soi antecessori l'haveano defesi come suo protettore, sempre varentando (guarentendo) quella Republica in libertà. Unde Fiorentini li fece risposta, la qual per non la saper, qui non la scriverò, ma è da judicare che da loro havesseno miglior risposta cha di niuna altra potentia. Et questi Fiorentini mandono do ambasciatori a Lion al re, li quali fonno lo episcopo di Arezzo[58] et Piero Soderini. Demum avanti venisse di qua da monti ne mandono do altri, li quali fonno Guido Anton Vespuzi cavalier et Piero Caponi, come di sotto sarà scripto. Ma questo Peron de Basser prenominato, partito da Fiorenza, se ne andò a Roma, et alla presentia dil Summo Pontifice, insieme col Cardinal di Santo Dionisio di natione franzese[59], expose la volontà dil suo Roy, et che voleva intender l'opinione et haver la investisone dil reame, sì come tutti altri Pontifici li ha dato, et etiam questo promesso, perchè jure hereditario a Sua Maestà dovea pervenir, et che l'era stato dalla Signoria di Venetia et da Fiorentini, da li quali haveva habuto risposta grata al suo Roy. Ma il Pontifice li rispose che non era tempo di venir in Italia, perchè Ferdinando chiamerebbe Turchi in suo soccorso, non potendo da altri haver ajuto, sì che saria gran confusione, et che lui voleva conzar le differentie, et cussì fatto la consultatione in collegio de Cardinali, li dette tal risposta: et statim ditto Peron ritornoe in Franza, et riferite al Re la relatione sua.

Or, zonto ditto ambasciator dal Re a Lion, referite le risposte habute, per le qual più el Re se inanimoe, onde continue ordinava preparatione di exercito, de artegliarie portabele su carri, et iterum con li soi dil Parlamento consultoe le cose necessarie a tal e tanta impresa. Vi era con Sua Maestà soa moglie madama Anna; et il suo figliol primario chiamato etiam Carlo Orlando, di età di anni zerca do, rimase a Ambosa, ch'è una terra lige sie luntan da Turs, in guardia et custodia de alcuni primi dil suo Parlamento, et in governo di mons. duca di Borbon suo cugnato, marito di sua sorella madama [34] di Biau (Beaujeu), la qual mentre el Re era in età pueril governoe el reame di Franza, è donna di grandissimo governo et inzegno: et cussì qui a Lion fece molte et varie provisioni; et ordinò a molti baroni si dovessero preparar, che al tutto voleva passar in Italia. Et mandoe a Paris a dimandar cinquanta milia ducati o vero scudi per tal impresa. Ma il consiglio di Paris li mandoe a dir che non erano di opinione, per loro conseglio, che Sua Maestà dovesse tuor questa impresa, perchè l'era pericolosa; et che non si dovesse fidar de li potentati de Italia, nè di el signor Ludovico, et dissuadevano molto: et se pur Sua Maestà volesse andar o mandar exercito in Italia, non li volevano dar alcuna cosa; ma, non andando, li promettevano dar ad ogni suo piacere scudi centomilia. Tamen per questo el Re non ristette, imo deliberò per terra e per mare far grande armata; et in Provenza ordinoe armata; ancora a Zenoa mandoe danari, o vero el sig. Lodovico lo servite, acciò fusse posto in ordine una grossa armata, perchè più presto potesse obtenir il reame. Le qual cose benchè per Italia se intendesse, sì per lettere quam per mercadanti veniva di Franza, ma mai fu creto tal venuta, maxime da Venetiani.

Domente queste cose ne la Franza si fanno, Ferdinando re di Napoli di casa di Aragona, el qual za sentia tal opinione de Franzesi contra de lui, venuto da la cazza di uno loco ditto Tre Pergole, da catarro in do giorni morite, et fo adi 25 Zener 1493[60], a hore 16; et in quel zorno moderno Alphonso suo fiol primario, Duca di Calavria, a cui perveniva il regno, vestito d'oro, insieme con l'ambasciator venitiano, eravi Polo Trivisan cavalier chiamato da la Dreza, quello di Milano, era Antonio Stanga dottor, et quello di Fiorenza, zoè Dionisi Puzo (Pucci), el qual etiam lui morite lì a Napoli avanti la venuta dil Re di Franza in Italia, et con suo fradello don Fedrigo principe di Altemura cavalcoe attorno la terra secondo il consueto, con più di duo milia cavalli, et andoe alli sie Sezi di Napoli, et fece le solemnità si suol far; poi introe nel domo, dove da l'Arcivescovo[61] fu fatto alcune cerimonie; demum introe in castello, dato li signali al castellano, secondo usanza; et subito fece suo fiol, Ferdinando chiamato, di età de anni 27[62], che era principe di Capua, lo intituloe Duca di Calavria; et il zorno driedo fu fatto le exequie dil Re morto, [35] che furono bellissime, et sepulto in la chiesa di san Domenego. Questo re Ferdinando defunto era di età di anni 71, havea regnado anni 36, fu homo molto astuto, di piccola statura ma molto gajardo, dilectavase assae di cazze. Hebbe tra li altri di la prima moglie[63], che fu figliola dil principe di Rossano uno de primi baroni dil reame, quattro legittimi figlioli et do fie: che fu questo re Alphonso, don Fedrigo, don Joanne che fu Cardinal[64], et don Francesco[65]. Ma il Cardinal et don Francesco zà erano mancati di la presente vita. Le figliole: una madama Leonora, maridada in el duca Hercules di Ferrara, la qual in questo anno, dil mese di Settembrio[66], a Ferrara morite; l'altra fu madama Beatrice, maridada in re Mathias di Ungaria, la qual al presente vive, vedoa[67], in una terra lì in Ungaria chiamata Ystrigonia, però che quel regno, morto re Mathias senza figlioli legittimi, con lo ajuto delli baroni quello regno acquistoe Ladislao Re di Boemia, fratello dil Re di Polonia. Ma Ferdinando, morta la sua prima moglie, per cessar alcune discordie nascevano con il Re di Spagna suo cusino, si maridoe in donna Joanna, sorella di questo Re di Spagna[68], di la qual hebbe una unica figliola[69] et è chiamata l'ynfante di Castiglia, la qual manca a maritare. Ma, come ho ditto, Alphonso habuto pacifico el regno, et zurato li popoli homaggio et fedeltà, exortoe Alexandro pontifice che volesse mandar a incoronarlo, et con Soa Beatitudine fece parentado, zoè che maridoe una soa fiola, chiamata madama Sanza[70], di età de anni 17, in don Zufrè fiol dil Papa, di anni 13, et quello venuto a Napoli, fatto le sponsalicie che furon magne, el Re lo fece, esso don Zufrè, Principe [36] de Squillazi, et fo dil mese di Mazo 1494. Nel qual tempo vi venne etiam a Napoli per nome dil Papa, il cardinal Monreal nepote dil Pontifice[71]: licet in concistorio el cardinal mons. di Santo Dionisio, di natione franzese, nomine Caroli regis, protestoe non dovesse mandar a incoronarlo, attento che il suo re pretendeva che ditto reame di Napoli fusse suo, et de jure a Sua Maestà dovea venir. Ma pur el Pontifice per questo non stette, et adi 8 Mazo in Napoli in la chiesia cathedral, overo il domo, con grandissimo triumpho Alphonso incoronoe. Et habuta la regia corona, intendendo per exploratori certo che il Re di Franza preparava di venirli adosso et tuorli il regno, comenzò a far provisione per defendersi. Era liberalissimo con tutti, conferiva beneficii et assoldava gente, catando (procacciandosi) gran quantità di denari, ponendo man al thesoro lassado per il padre, provedendo di munitione et artegliarie a li castelli. Ma prima che scriva alcuna provisione fatta per esso re Alphonso, scriverò il modo de la sua coronatione. Già dil mexe di April adi 13, venne et gionse a Napoli uno ambasador dil Re et Regina di Spagna, chiamato il governador di Cathelogna, el qual stette alcuni zorni, et poi visitato la Raina, sorella dil suo Re, in Spagna ritornoe[72].

Questo è il modo et ordine de la incoronatione dil re Alphonso, fatta in Napoli adi 8 Mazo 1494.

Essendo adi do Mazo venuto verso Napoli el cardinal Monreal con 200 cavalli per incoronar il re Alphonso nomine Pontificis, la maestà dil Re, ambasadori Spagna, Venetia, Milan et Fiorenza, signori, conti, baroni et gentilhomini, assà numero di cavalli, andono contra, et fu scontrato fuora di Napoli mezzo miglio, et lì toccatose le mani, venne fina a la porta, dove aspettava l'Arcivescovo con tutto el clero, con la ombrella, sotto la qual andoe il Re et il Cardinal [37] col clero avanti, con più de 1300 cavalli, con grande honor et pompa. Ne l'Episcopato, dove erali parecchiato honoratissimo albergo, fu accompagnato. Prima intrati nel domo a far oratione, fu poi dal Re accompagnato ditto Cardinal fino ne la Camera, et adi 7 fu fatto le nozze di madama Sanza in don Zufrè fio dil Papa; et il Re li diè in dota il principato de Squillazi, rende de intrata ducati XV milia a l'anno, et cussì fu fatto il contratto; et il novizzo, secondo l'usanza loro, li presentoe primo alcuni balassi, saffiri et perle assaissime, bellissime; poi alcuni cerchi d'oro con diamanti et balassetti ornati, qual le donne soleno portar alle braze, alla castigliana; tre pezze di panno d'oro de sopra rizzo et una restagno; poi molte pezze di raso damaschin et veludo. Tutte queste cose furon iudicate di valuta de ducati diexemilia[73]. Era la novizza vestita con una vestidura di raso cremesin et arzentin alla devisa, di sopra havea una vesta di panno d'oro con una colanna de diamanti, balassi et perle. Don Zufrè con una veste di panno d'oro sopra rizzo, con una cappa di damaschin fodrà di panno d'oro. Et adi 9 ditto forno sposati, et compite le nozze. Et adi 8 ditto nel domo era preparato a sua incoronation soleri nel coro assà a scalini, a forma di theatro, dove poteva star gran quantità di zente a veder. Non si lassava intrar ogni uno, perchè in tre o quattro poste stevano moltitudine de officiali a le porte de la chiesia: a l'altar grando steva el Cardinal, con numero de 50, tra vescovi et arcivescovi, et molti prelati, et li ambasciatori. Da una parte era apparato il loco dil Re, un poco alto, coperto tutto di tapezzarie, dove era una cathedra d'oro aposata a un largo et alto veludo cremesin, lavorato a rilievo de foiame d'oro et d'arzento, cosa molto ricca. Sopra questa cariega do cussini de panno d'oro et uno sotto i piè, e do per banda, da i ladi sie cussini da sentar di veludo, et per mezzo la sedia regal era un scagno da pusarse, coperto con una gran coperta d'oro. Per tutto in terra tappezzarie bancali, et intorno l'altar grando coperte di panno d'oro. Et il Re intrò in chiesa con una vesta in dosso molto ricca di panno d'oro sopra rizzo, fodrà di armellini, et andò a l'altar grando, et lì stato alquanto, da poi alcune cerimonie andò in sagrestia, et si vestì lì un'altra vesta a modo de un pivial de panno d'oro sopra rizzo molto ricca, con le viste da mano lavorate a rubini et diamanti et [38] balassi. Poi ritornò, et ditta la epistola in zenochioni davanti il Cardinal[74], dal qual, come legato del Summo pontifice, foli messo la corona in capo, et coronato. Allora ogni uno a una voce cominciò a gridar: Alphonso, Alphonso! Poi esso Cardinal el menò, et messelo a sentar sopra quella sedia con la corona in capo, stimata da homeni intelligenti di zoje quarantamilia ducati, con la bachetta regal in mano, et una baia d'oro in la sinistra. Don Fedrico suo fratello, vestito de panni negri sopra un cussin abasso, sentava a ladi destro; a sinistra sentava el sig. Verzinio Orsini, capetanio zeneral di questo Re, vestito di panno d'oro sopra rizzo. Poi de lui, da una parte era don Zufrè, con una vesta di panno d'oro sopra rizzo, poi el nepote della Regina vestito di panno d'oro[75], don Alphonso episcopo fratello dil Re[76]. Nel cavar et metter de la corona, don Fedrico ghe la metteva. Poi, udita la messa, andò el Re a l'altar grando, et fece lì alcuni cavalieri. Poi tutte queste cerimonie, el Re venne fuora de la chiesia, ne la qual era un gran populo et non menuto, et cussì vestito come ho ditto, con la corona in capo, montò sopra un corsier leardo bellissimo, con li fornimenti lavorati di perle, diamanti, rubini et balassi; et andò in Castello, passando per li Sezi, et per una via molto longa, per mezzo la terra, dove per tutti i balconi conzati con tappezzarie era gran quantità di donne. L'ordene del passar el Re fo così. Prima venne le nacare et tamburi; poi trombeti al numero de cinquanta, tutti vestiti di seda; seguiva questi, piffari et altri diversi instrumenti al numero de più de cinquanta, vestiti di seda; poi rezenti, zudexi, dottori assai; poi quelli signori baroni et zentilhomeni, vestiti d'oro et di seda, fo numero 34 veste di panno d'oro; seguiva poi uno che, nomine regis, andava sparzendo carlini, zoè danari, [39] al popolo; driedo questi gran copia de scudieri a pè, vestiti tutti a un modo, col zupon di raso verde et la zornea damaschin pelo de Lion; poi questi, seguiva el stendardo portato dal conte di Brienza vestito di panno d'oro; poi el scudo d'arzento portato dal marchese de Martines, vestito d'oro; poi l'elmetto d'arzento; portato dal conte de Mure, vestito di seda; poi la spada d'oro lavorada tutta di perle, balassi, diamanti et rubini di gran precio, portata dal conte camerlengo, vestito di panno d'oro; poi seguiva li do gran senescalchi, vestiti di seda; driedo questi gran moltitudine di homeni a pè davanti el Re, tutti vestiti de seda e d'arzento; poi veniva la Maestà dil Re sopra quel magnifico corsier che ho ditto di sopra, solo, sotto un umbrella, qual era portata da Conti, Duchi et Cavalieri. Alla brena dil cavallo li andava el Duca di Malfi (Amalfi), et altri signori alla staffa, tutti vestiti de oro, che veramente a veder la Maestà dil Re in tal modo era bellissimo veder. Driedo el Re seguiva don Fedrico, con do ambasciatori, Spagna et Venetia; poi do altri, Milan et Fiorenza. Driedo questi era don Zufrè fio dil Papa, con el nepote de la Regina, poi don Alphonso episcopo fratello dil Re, con uno altro episcopo. Veniva driedo questi, menati a mano, tre corsieri bellissimi, et forniti di panno d'oro, et uno di veludo. Driedo seguiva zentilhomeni numero infinito; in tutto judicasi esser stà domilia cavalli. Fu accompagnata la Maestà dil Re con grande honor et pompa in fina in Castello. Ne l'intrar del qual dal molo et dal ditto Castello fu tratto assai bombarde tre sere, et fu fatte gran lumiere per la terra da Castelnuovo, da Castel di l'uovo, da la torre di san Vicenzo, dal molo et dal Castel capuano. Et ancora è da saper che driedo el Re, seguiva el suo gran maistro di stalla, con quattro ragazzi dil Re da driedo vestiti con le zornede (giornee) di seda lavorate a oro, sopra quattro corsieri morelli de gran pretio, forniti di veludo, con li ornamenti d'oro etc. Et adi 14 fu fatto da la Maestà dil Re uno honoratissimo pasto al Cardinal preditto a Pozo real, palazzo dil Re fuora di Napoli, al qual fu solum il Re et il Cardinal a tavola, intorno era signori et zentilhomeni, con una ricca et regia credentiera. El marchexe di Martines sopra uno caval leardo, come gran siniscalco precedeva li ferculi et bandisoni, sopra quel corsier con li fornimenti damaschin bianco, et lui tutto vestito damaschin bianco, sempre con le trombete avanti. Gran zente era ivi, et fu pasto molto honorato[77], et poi el Re donoe a ditto Cardinal nel suo partir do [40] bellissimi corsieri, do bellissime mule fornite di belli et ornati fornimenti, sie muli de cariazi, uno baul et uno vaso d'arzento con ducati domilia alphonsini, et tutti li tapei de panno d'oro adoperati per uso a la incoronation di Sua Maestà, et el Re in persona accompagnoe ditto Cardinal fino a Capua.

Compite le cerimonie et feste di la sua coronatione, continuoe a far provisione per repararsi da Franzesi, fortificando li passi dove li pareva bisogno, ponendovi custodia, et edificoe sopra uno monte lontan da Miseno mia 4 una inexpugnabil fortezza per mezo Pozuol, dove sono li bagni nominatissimi, a defension di Pozuol et dil porto di Baie, ch'è mia 12 di Napoli. Et il Re in persona con l'ambasciator nostro, con 9 galie, adì 14 Zugno vi andoe a sopraveder, et ancora in diverse terre andoe, sopravedendo a quello era necessario: et mandoe diversi ambasciatori in Italia; a Milano, benchè vi fosse Antonio de Zenari doctor, pur novamente vi mandoe suo zerman Ferando di Zenari, a exortar il signor Ludovico non volesse far ni dar favore a la venuta dil Re di Franza in Italia. Et a Fiorenza era Marin Tomazelli suo oratore, el qual era stato zà più de anni X lì in Fiorenza nomine regis, et già si poteva reputar cittadin fiorentino. Ma alla Signoria di Venetia, alla qual vi importava assai vi fusse degno ambasciatore, vi mandoe per starvi uno de soi primi, el qual in vita dil padre zà a tal legatione fue designato, chiamato l'abbate Ruzo (Benedetto Rugio), el qual zonse a Venetia a dì do Marzo 1494, vestito con mantello negro, lui et la soa compagnia, per la morte dil re don Ferando, et andoe a la Signoria insieme con Carlo Rugieri dottor, di patria di Salerno, el qual era stato qui ambasciatore zerca tre anni, et, venuto questo, ritornoe a Napoli, habuto assai bellissimo presente da la Signoria. Questo veramente abbate Ruzo era di poca prosperità, et poco vi stette che si amaloe, et andato a Padoa per mutar aiere, tandem dil mexe di Avosto morite, et il corpo portato a Venetia fu fatto uno bellissimo exequio, con la cassa coperta d'oro, in la chiesa de San Zuanepolo. Fu portato di San Marco, vi andoe la Signoria con il Senato, però che il Principe non era molto gagliardo; et fu fatto la oratione funebre[78] per Marco Antonio Sabellico huomo litteratissimo et optimo hystorico, che zà [41] compose le deche de Venitiani. Ma inteso Alphonso tal morte, ordinoe a uno fratello di ditto abbate Ruzo era qui, dovesse exercitar l'oficio di l'oratore, et vi mandò poi, come dirò di sotto, uno chiamato Anuzo di Andriani, el qual poi revocoe per mandarlo al Turco, et vi mandò uno altro, come tutto sarà scritto al loco suo. Ancora Alphonso ordinò grandissima armata, la qual a l'incontro di quella si facea a Zenoa et in Provenza dovesse esser; capitano di la qual instituì suo fratello don Fedrigo principe di Altemura, et di l'exercito terrestre veramente, benchè havesse capitano generale el sig. Virginio Orsini romano, pur fece capo suo fiol Ferdinando duca di Calavria, di età come ho ditto di sopra di anni 27, el qual non immerito per le virtù et prodezze sue in questa età ha habuto tal titolo. Etiam a Zuan Jacomo di Traulzi, che fu uno di primi dil consiglio secreto di Milano, el qual, jubente Ludovico, si era partito per avanti et accordato a stipendio dil Re preditto di Napoli, dette danari acciò facesse gente, et etiam al conte Nicola di Petigliano, che già fu capitano de Fiorentini, et molti altri conduttieri, et fece capo di fantarie el marchexe di Pescara, et tutto faceva preparare, tamen non si moveva, sperando pur il Re non dovesse mai venir in Italia, et zerca torli tal fantasia operava il suo inzegno.

A Roma veramente Alexandro pontifice mandoe a Venetia uno suo legato chiamato Pietro Episcopo di Calahora[79] di natione hispano, huomo vecchio et di la persona mal conditionato, el qual nel cammino si ammaloe, et dil mexe di Marzo zonse a Venetia, fu portato a la audientia da li soi. Questo venne per starvi fermo. Era ricchissimo prelato, piacevole, liberal et di grande inzegno. Ma in questi giorni venne a Roma discordia grandissima tra il Pontifice et Juliano da Rovere episcopo hostiense et cardinal di S. Piero in Vincula, di natione di Savona, che fu nepote di Sixto. Per la qual cosa esso Cardinal uscite di Roma et andoe in Hostia, terra situada in capo dil fiume dil Tevere, passa per Roma, vicina a la marina et fortissima, la qual terra è di ditto Cardinal, per esser Episcopo hostiense, et quivi si fortificoe, et con Savelli et Colonnesi fece alcuni patti. Ma il Pontifice li mandoe a dir, dovesse ritornar a Roma, et darli Hostia ne le mani, la qual diceva esser de la Chiesia, et lui minime volendo, imo le victuarie venivano per el Tevere in Roma non [42] lassava intrar, onde fu forza al Pontifice di mandar lì zente a campo, et uno legato apostolico ad Hostia si accampoe. Ma prima accadette che ditto Cardinal scrisse al Pontifice voleva ritornar in Roma, però che ancora la sua casa era in ordene, come stanno quelle de' Cardinali, ma non venne lui dentro, et vi mandò uno de' soi episcopi che lo seguiva in Roma. Et credendo fusse venuto il Cardinal, la notte alcuni armati introe in caxa et amazoe ditto Vescovo, con molti de la sua famiglia: la qual cosa inteso dal Cardinal preditto era in Hostia, havendo intelligentia con il Re di Franza, terminò di lassar Hostia con bona custodia; et che da poi fusse zonto in Franza, dovesseno levar le insegne dil Re di Franza, et montato su uno gripo, vestito da frate, venne verso Zenoa, et fo dil mexe di Lujo, et a caso per disgratia questo gripo si scontroe con una galia dil re Alphonso, che andava torniando. Et il paron dil gripo, conoscendo il patron di ditta galia, non li fece danno, tamen poco mancoe non fusse preso il Cardinal, el qual venuto a Savona, poi a Zenoa, dove honorifice fu ricevuto, demum venne a Nizza di Provenza, dove dismontò per andar in Avignon al suo vescovado. Ma quelli di la terra, sapendo era nimico dil Pontifice et di la Chiesia, non volseno l'intrasse. Ma subito spazoe al Re era a Vienna, notificandoli di questo. El qual mandoe mons. Siniscalco de Biocher (Beaucaire) con 30 arzieri, a far l'intrasse in Avignon, et poi venne a trovar il Re, et negli secreti consegli introe. Ma lasciamo questo Cardinal, et di altre provisioni fatte per el Pontifice scriveremo. Ancora esso Pontifice mandoe Zorzi Buzardo per suo ambasciatore al sig. Turco. La commissione che li dette, perchè poi fu trovata, cum dal prefetto di Senegaia fu preso ditto orator, et toltoli 40 milia ducati mandava il Turco al Papa, come al loco suo sarà scripto, et fu trovata dicta commissione, la quale è questa:

Alexander Papa VI.

Instrutione et vigore a Georgio Buzardo nuncio et familiar nostro. Partito serai de qui, anderai a drittura e quanto citius porai, dal potentissimo Gran Turco sultan Baizeth, dove si trova, al quale da poi fate le debite salutatione, divini nominis et amore[80], da parte nostra a quello significherai come il Re di Franza viene con grandissimo exercito terrestre et marittimo, con ajuto dil Stato de Milano, di Bertoni, di Bordegalesi, Normandi et altre generatione, per [43] venir qui in Roma per levarmi Gem sultan fratello di Sua Potentia, et per reacquistare el Reame di Napoli e desphare el re Alphonso, con el quale nui habbiamo stretta parentela et amicitia, et siamo tenuti di defenderlo per esser feudatario e suddito nostro, et per pagare annuatim el censo. Et più che sono anni 63 che fu investito el re don Alphonso[81], li quali per nostri antecessori e poi per noi sono stati investiti et coronati Re di tal reame. Et ancora per questo el Re di Franza si è inimicato con noi, el quale non solum viene per prendere ditto Gem sultan et ditto reame, ma per passare in Grecia et acquistare il paese di Sua Grandezza, come a Sua Maestà debbe esser noto. E dicono che manderanno ditto Gem sultan con armata ne la Turchia, e bisognando a noi resistere et defendersi de tanta potentia di esso Re di Franza, ne bisogna fare grandissima spesa, e ne è forza a ricorrer per subsidio a ditto signore sultan Baizeth, confidandosi ne la buona amicitia habbiamo insieme, che a tale necessitate ne debbia aiutare. El qual pregarete et confortarete da parte nostra, e da vui persuadetelo con ogni grande instantia che 'l ge piaccia quanto citius de mandarme ducati 40 milia d'oro vinitiani per l'annata del presente anno, che finirà adi ultimo Novembrio venturo, acciò con el tempo possiamo provedersi, et di ciò Sua Maestà ne farà cosa grata, alla qual al presente non volemo dar altra fatica, facendoli intender che 'l ditto Re di Franza non habbia habuto alcuna vittoria contra de nui et la Maestà de suo fratello[82], et per esser ditto Re di Franza potentissimo per mare e per terra più de nui, molto bisogneria lo ajuto de Vinitiani, li quali stanno sopra di loro e non voleno esser in nostro ajuto, anzi hanno stretta pratica con nostri nemici, et dubitamo non ne siano contrarii, che saria augumento di grande offensione, e non ritrovamo altra via di ridurli in nostra opinione, excepto che per Sua Signoria, a la quale dinotarai, ut supra, che se Franzesi fusseno vincitori Sua Maestà ne patiria assai interesse, sì per lo levarmi Gem sultan fratello suo, sì perchè seguiteria la impresa sopra Sua Maestà con molto migliore potere, imperò che havria aiuto di Spagna, di Ingilterra, di Maximiano, Ungheri, Polani et Bertoni, che tutti [44] sono potentissimi signori. Persuadereti et confortareti Sua Maestà, a la quale siamo obligati per la bona et vera amicitia che insieme habbiamo, acciò quella non patisca altro interesse, che statim mandi uno ambasciatore alla Signoria di Venetia, ad significarli come per havere inteso veramente moversi el Re di Franza per venire a Roma a prendere suo fratello, poi el reame di Napoli, deinde voltarse contra de lui per terra et per mare, però diga voler fare ogni resistentia de non prestare subsidio et favore a ditto Re di Franza, ma debbia essere ad ajuto et favore et in defensione nostra et del re Alphonso, e voglia haverli per amici, e li nemici versa vice per inimici[83]; e che, promettendo la Signoria al suo ambasciatore di consentire a tal sua richiesta, habbia commissione di non partirse da Venetia che non veda l'effetto, e che i ditti Vinitiani dechiarino esser amici in ajuto nostro et del re Alphonso, e contra li nostri nemici Franzesi e altri suoi adherenti; et che, contradicendo, li significhi detto ambasciatore che Sua Signoria non gli haverà per amici, e poi si parta da loro disdegnato, benchè crediamo che (se) Sua Maestà li astrengerà caldamente, et per sue lettere, debbano condescendere a sua volontate, il nostro desiderio haverà effetto, e cussì persuadetelo assai debbia fare, che questo è il meglior remedio e il modo di ajuto possiamo havere da poter resistere a nostri nemici. Lo ambasciatore sollicitarlo sia presto licentiato, e partase dal Gran Turco avanti de vui, che assai importa la sua partita. Denotate al Gran Turco la venuta a noi di lo ambasciatore del Gran Soldano con lettere e presenti, el qual ne manda a requirere Gem fratello di Sua Grandezza, et large offerte et promissioni ne fa de darne gran tesoro, e molte altre cose, come sapete, (quandoquidem) per vostro mezzo sono praticate, et così si contiene nei capitoli dil ditto ambasciatore ne ha fatto. Et dite et significate a Sua Maestà la intentione nostra esser de mantenir sempre quanto habbiamo promesso, e mai in alcuna cosa non contrafarli, anzi essere nostra intentione di augumentare la nostra buona amicitia in migliore. Bene haveressimo ancora a caro, et a ciò ne pregamo et confortamo Sua Signoria, che per alcun tempo non lassi dare alcuno impedimento a l'Ungaro nè alcuna altra parte de Cristiani, et maxime [45] in Corvatia e in la cittade de Segna, e cussì facendo et observando faremo ancora noi che l'Ungaro non li farà alcun danno, e in questo Sua Maestà harà cagione di compiacersi, attento li movimenti de Franzesi et altri Principi. Che se pur in farli guerra perseverasse, sia certo Sua Grandezza che in loro ajuto saranno molto potentissimi Principi cristiani, che poi a Sua Maestà dolerà non havere fatto li nostri recordi. Li quali facciamo prima per debito nostro, essendo nui padre et signore de tutti li cristiani, poi desiderando di far trovare quiete a Sua Signoria, per la buona amicitia che è tra nui; et che altri mente, quando Sua Maestà deliberasse perseguitare cristiani et molestarli, a nui seria forza pigliare partito, non possendo altramente obviare a li grandi apparati che si fariano contra Sua Maestà. E ve habiamo dati brevi doi, quali appresentarete al Gran Turco: in uno si contiene che vi faccia dare et consignare ducati quarantamilia de l'annata presente; l'altro di credenza, che vi habbia a donare piena fede di tutto quello li referirete da parte nostra. Ricevuti haverete li ducati 40 milia, ne lo libro consueto farete la quietanza secondo la consuetudine, e venite recto tramite in Ancona, e gionto datemi avviso, e lì aspettate nostra risposta. El presente vostro viaggio consiste assai ne la prestezza: sarete adoncha sollicito, così ne lo andar dal Turco come ne lo expedire a vostro presto ritorno. Et mi, Zorzi Buzardo, ambasciatore et familiar de la ditta Santità, per el presente è scritto et sottoscritto di mia propria mano, fazzo fede et confesso tutte le cose sopraditte haver in commission de la bocca de la Sua Santità in Roma nel mexe di Zugno 1494, et ho exequito con lo Gran Turco quanto m'è stà ordinato, ut supra. Et fino qui (ho) ottenuto l'ambasciatore che la ditta Santità richiede al Turco per mandar a Venetia, lo qual incontanente se deve partir da Constantinopoli a XV dil mexe di Settembrio, per metter a effetto la volontà di Sua Santità, che desidera haver da la Illustrissima Signoria di Venetia.

Exemplum Brevis Apostolici.

Alexander Papa VI.

Illustris Sultan Baiseth, veneratione divini nominis et amore, pro quibusdam negociis occurrentibus mittimus ad Majestatem Tuam praesentium exhibitorem, filium Georgium Buczardum familiarem et nuncium nostrum, cui commisimus aliqua nomine nostro Tuae [46] Solemnitati explicanda. Illam exhortamur, ut in eis quae nomine nostro referet, plenam et indubitatam fidem adhibeat.

Romae die Junii MCCCCLXXXXIIIJ

Pontificatus nostri anno secundo.

Copia di una lettera scritta per il Gran Turco a papa Alexandro sexto.

Sultan Baixeth fiolo del Sultan Maometh chan[84], per la Dio gratia imperatore et signore de l'Asia e de la Europa e de le loro marine, al padre et signore de tutti cristiani Alexandro sexto per la Dio gratia de la Romana Chiesia degno Pontifice. Da poi la debita et humana salutatione di buono animo con puro core, significamo a la Vostra Grandezza come per Georgio Buzardo servitore e nuntio di Vostra Potentia havemo inteso de la buona convalescentia di quella, et così quello ne ha referito da parte di Vostra Grandezza; dil tutto mi son allegrato et presone gran consolatione. Fra le altre cose me ha referito come el Re di Franza è inanimato di prendere Gem nostro fratello di le mani di Vostra Potentia, che seria molto contra la voluntate nostra, e Vostra Grandezza ne haverà grandissimo danno e mancamento, e tutti i vostri cristiani ne patiriano detrimento. Però insieme con el sopra ditto Georgio habbiamo pensato che, per riposo et utile di Vostra Potentia, e per mia gran satisfattione, seria bene che ditto Gem nostro fratello, el quale ad ogni modo è sugieto a la morte, e stà in pericolo de esser tratto de le mani di Vostra Grandezza, li fusse fatto accelerare la morte, la quale a lui seria vita[85], et a Vostra Potentia utile e riposo, et a nui di gran contento. Et (in) questo se contentarà la Vostra Grandezza di compiacerne che ditto Gem sia levato di travaglio a quello migliore modo apparerà a Vostra Grandezza, e transitata l'anima sua ne lo altro mondo, dove haverà migliore quiete. Il che facendo adimplere Vostra Potentia, et mandando il corpo suo in qualunque loco de le marine nostre di qua, prometto io sopradetto sultan Baiaxeth chan de mandarvi in qualunque loco piaccia alla Vostra Grandezza ducati trecentomilia d'oro, acciò che la Vostra Potentia de essi ne faccia comprare qualche poteri a soi filioli, li quali ducati 300 milia farò consignare a quella persona ordenarà la Vostra Grandezza avanti che ne sia [47] dato[86], poi alli nostri debba essere consignato. Ancora prometto a la Potentia Vostra, fin che io viverò, con la Grandezza Vostra haverò sempre bona e granda amicitia senza alcuna fraude, et a quella farò tutta quella gratia e piacere mi sarà possibile. Ancora prometto alla Potentia Vostra che per mi nè per alcun del nostro paese sarà dato impedimento nè fatto altro danno a cristiani, de quale sorte o vero conditione se siano, nè per terra nè per mare, excepto se nol fusse che damnificasse a nui o ad altri del paese nostro, e per più satisfattione della Grandezza Vostra, a ciò quella ne sia ben secura senza altra dubitatione di quello tutto che di sopra li promettiamo, habbiamo jurato et tutto firmato in presentia del soprascripto Georgio, per lo vero Iddio el quale adoriamo, e sopra li nostri veri Evangelii, de observare alla Potentia Vostra, nè in alcuna cosa mancarli, senza alcun fallo nè inganno, quanto gli promettiamo. Et ancora più vogliamo assecurare Vostra Grandezza, a ciò ne lo animo di quella non resti alcuna dubitatione, ma sia certissima, et così di novo io sottoscritto Sultan Baizeth chan iuro per lo vero Iddio che ha creato il cielo e la terra et ogni altra cosa, et in lo quale credemo et adoremo, che facendo far la Potentia Vostra quanto di sopra gli habbiamo richiesto, promettemo per lo fatto juramento de observare tutto quanto quello di sopra contiene, et in altra cosa mai contrafare nè intervenire a Vostra Grandezza. Scripta in Constantinopoli in nostro palazzo adi 12 Settembrio 1494.


El Re di Franza in questo mezzo essendo a Lion dove era venuto l'April, et quivi stette zerca mexi cinque, provvedendo a molte cosse era bisogno a questa impresa, et non tanto lui quanto li soi principali, zoè Mons. Samallo et mons. di Beucher, però che el Re stava su piaceri et innamoramenti, secondo el costume di Franza. Et accidit che se innamoroe in una lì a Lion pur di bassa conditione, a la qual volse dar di molti scudi, tamen li fratelli mai volse sopportar questo, et uno mons. de Olerius, è dil Dolphinà, era quello portava le imbasciate acciò il Re fusse contentato; questo facea per essere amicissimo dil re Alphonso di Napoli, perchè il Re pigliando tal pratica, fortasse la venuta in reame saria disturbata, che zà poco mancava: però che non havea denari da pagar la zente, et quelli baroni erano obligati in tempo di guerra di esser in hordine a la richiesta dil Re con tanti cavalli, dicevano la sua obligatione era non [48] si partendo dil reame di Franza e per defension di quello, et non venir in stranie parte, onde bisognava adattar tutto. Et poi sopravenne la peste a Lion, et fo necessario al Re partirse, et quella pratica ditta di sopra lassoe. Ma in questo tempo dubitando pur che Maximiliano re, el qual era eletto in loco dil padre, come dirò di sotto, Imperatore da li elettori di lo imperio, venendo esso Re di Franza in Italia, per l'odio grando et inzurie ricevute, licet fusse adattate, non facesse qualche novità, deliberoe di esser a parlamento insieme, et mandoe ambasciatore a ditto re Maximiliano el Principe di Orangia, el qual vi stette gran tempo, et ha dato l'ordine di abboccarsi. Et perchè l'uno di l'altro non se fidava, el Re di Franza voleva che Maximiliano venisse a Digion in Borgogna, et Maximiliano voleva el Re venisse a Ginevre in Savoia, terra imperial; ma pur non essendo d'accordo de li lochi, ma terminono venir a una fiumana chiamata la Sonna, partisce la Borgogna da la Franza. Et cussì tutti do Re con gran zente venuti, il Re di Franza alozoe a Chinon (?) et Maximiliano a Biacina (?), et benchè fusseno mia cinque lontano l'uno di l'altro, per ambasadori accordono le cose, et Maximiliano rimaxe lì nella Fiandra a quelli lochi di suo fiol. Et il Re tornò a Lion a seguir l'impresa.

Et ritrovandosi el Re a Lion, venne uno ambasador dil Re e Regina di Spagna chiamato don Alonso de la Sylva[87] cavalier casigliano uno di 34 capitani dil Re, el qual exposto la sua ambasada ivi dimoroe et venne con el Re preditto di Franza in Italia fino a Pavia, dove da esso Re li fu detto non venisse più avanti perchè non era bisogno, facendo poco conto, ut mos est Francorum: unde ditto ambasciator si partì et andò a Zenoa per poter meglio advisar di questo el Re suo, el qual li rescrisse dovesse ritornar in Spagna, et cussì fece, et li mandono do altri li quali el trovò a Roma, come di sotto sarà scritto. Et il sig. Ludovico vedendo la dimora dil re a Lion vi mandoe Galeazzo di S. Severino, che fu figliol del sig. Ruberto, et genero suo carissimo, et conclusive il primo appresso di lui, con zerca cavalli 40 benissimo in hordine; el qual per nome dil ditto sig. Ludovico, vel ut melius dicam dil Stato di Milan che lui governava, li offeriva tutto il Stato in ajuto, promettendoli passo et vittuarie et zente, le qual zà havea, come per la liga era obligato, fatte metter in ordine, et datoli prestanze, exhortando Soa Maestà dovesse [49] venir a seguir tal impresa, mostrando esser facile, havendo Milan con lui, et che esso Galeazzo era venuto per essere con Soa Maestà sempre a morte et vita, unde el Re have molto accepto. Et volse lì a Lion intender meglio el voler de Fiorentini, et come fu divulgato da li ambassadori erano ivi, Fiorentini ebbeno bona risposta: et etiam certi danari tolse a cambio da mercadanti lì a Lion, o vero l'imprestassero gratis, o pur sopra zoje. Et zà comenzava far adunar le sue zente, et avviarse parte a poco a poco verso Italia: et il governo veramente di tutto l'exercito nel principio di queste novità dette a mons. di Cordova (Crèvecoeur des Querdes), che era il primo suo marescalco in la Franza. Però che quattro gran marascalchi vi sono: zoè primo era questo mons. di Cordova, mons. marascalco de Giae (de Gié), mons. marascalco de Borgogna et mons. marascalco de Bretagna. Questo mons. di Cordova sempre fu contrario a questa venuta dil Re in Italia, et mentre si poneva tal cose in ordine, esso partito da Lion per andar a casa soa, di età di anni da 80 in suso, si amaloe et morite in uno loco chiamato la Brella (L'Arbresle) lige tre di là da Lion, avanti il Re da Lion partisse, ergo fu necessario di elezer uno altro capitano a sta impresa, che fu mons. di Monpensier. Et mandoe 6 ambassadori in Italia, uno alla Signoria di Venetia, el qual fu mons. de Citem, el qual dovesse star fermo fino el Re fusse di qua da monti, et dinotar alla Signoria al tutto la sua venuta esser prestissima, et intender si erano fermi Venetiani in l'alianza promessa. El qual ambassador zonse adi do April, alozoe a s. Gregorio a l'abacia, et stette quattro mesi fermo, et da Venetiani fu assà honorato. Et a Milan era zà venuto per suo ambassador mons. de Buzagia (Du Bouchage), el qual stette a Milano fino che ditto mons. di Citem passò per venir a Venetia, et stette cerca uno mexe a Milan, poi tornò in Franza al governo dil fio dil Re, signor di Dolphinà. Ma sapiando il Re certo che Alexandro pontifice, benchè a soi ambassadori havesse promesso, zoè a Peron, come ho scritto di sopra, di dar la investisone dil reame, sì come Innocentio suo predecessor et altri 22 Pontifici havea data, tamen al presente era certo per el parentado fatto con re Alphonso non la daria. Unde usoe questa stratagiema gallica, che mandò 4 ambassadori a dimandar a Soa Santità tal investisone; et subito habuta la risposta di no, dovesseno partirsi di Roma et far tutti vari exerciti. I quali oratori sono questi: mons. de Obignì (Stuart d'Aubigny), el general de Bidante[88], lo presidente di Provenza, et etiam Peron di Basser, [50] che prima era scudier di scuria (écurie) dil roy, et è hora chiamato mons. et maistro di caxa dil Re, habuto gran intrada. Et foli ordinato che il general de Bidante et Peron de Basser ussiti di Roma andasseno a trovar il sig. Prospero et Fabricio Colonna, i quali sono potentissimi romani et signori di castelli, a quali dovesseno dar scudi vinti milia, erano stà mandati lì a Roma in banchi per lettere di cambio, perocchè zà Colonnesi erano con il Re di Franza accordati, mediante li Cardinali teniva da Sua Maestà, et che 'l presidente di Provenza restasse ambassador a Fiorenza, et mons. di Obignì venisse a Milan, et restasse in Italia al governo di le zente veniva di qua da' monti, et così feceno.

L'armada a Zenoa si preparava continuamente, la qual, come si divulgava et se intendeva per lettere di Zenoa, era grossissima, et fo comenzata di April. Doveva uscir al principio di Lujo; erano galie 30, nave grosse 12, nave di 8 milia cantari in 25 milia numero 30, galioni 15, albitozi[89] 6, sopra le qual si diceva sarebbe lanze 150 franzese, a 6 cavalli per lanza, et anche 1600 combattenti, cosa che pur ad udirla faceva tremar. Tamen non fu la mità, come tutto di sotto leggendo intenderete. Et prima andoe lì a Zenoa do Baroni dil Re, i quali fonno mons. el gran scudier[90] et mons. de Biamonte (Beaumont) con danari: et era decreto capitano di ditta armada mons. duca di Orliens, zerman cusino dil Re, et quello a chi aspetta el reame di Franza si questo Carlo re non havesse figlioli: el qual venne prima di qua da' monti cha il Re, et andò a Zenoa et ritornò, come di sotto sarà scritto.

Ritorniamo al re Alphonso, el qual in questo tempo sollecitoe molto l'armada soa, acciò dovesse ussir, come ussite, avanti di quella dil Re di Franza si faceva a Zenoa. Et cussì adi 22 Zugno ditta armada partì di Napoli, capitano don Fedrico suo fratello, el qual have el stendardo et ussite dil porto. Il numero di la qual armada qui sarà posto, habuto la verità da chi vi era presente.

[51]

Questo è il numero di l'armada di re Alphonso:

Et più altre barze, de botte 400, con homeni 80 per una[93]. Tutti pagati per do mesi, et fornite de artigliarie et vittuarie, più di rispetto tumuli 6000 di grano, corazze 500, zappe, badili et molte altre armadure et monition de rispetto, bombarde piccole et grosse. Sono galie n. 27, fuste 2, galioni 4, nave 4 et barze 14, in tutto vele 51.

Ma lassiamo questa armada, la qual ussite, come di sopra è scritto, et esso re Alphonso mandoe in Spagna ambassadore el conte de [53] Giello (Ajello?)[94] pregando, nomine suo et di sua sorella la Raina, che fu moglie de Ferdinando suo padre, la qual lì in Napoli da esso Alphonso era molto honorata et trattata come Raina: et pregasse el Re et Regina di Spagna volesse dar aiuto alla caxa di Aragona et al suo sangue, rompendo su quel di Franza, acciò el Re, havendo guerra nel suo paese, dovesse ritornar in driedo, ma nulla potè far, per la paxe havea ditti Re et Regina con el Re di Franza. Tamen li promesse di darli ogni altro favore: el qual ambassador ritornò a Napoli, et poi ne andò uno altro lì in Spagna, chiamato Guielmo........... et ivi restoe. Ancora a Venetia vi mandoe uno suo secretario in loco di l'abbate Ruzo era morto, come ho scritto di sopra, chiamato Anuzo di Andriani, el qual gionse di Avosto in Venetia, et si partì poi di Ottubrio per andar al sig. Turco, perchè in quello paese era molto pratico. Etiam prima ne havea mandato uno altro ambassador a Constantinopoli, el qual si ritrovò con quello dil Pontifice, a notificar la venuta di questo Re in Italia, sì per tuorli il regno, quam poi per passar a la Valona a soa distrutione; la qual cosa a Bayxeth othoman gran Turco fu molto molesta, et li offerse aiuto, et honorifice ricevette ditto ambassador, et ne mandoe uno suo a Napoli, come di sotto, al tempo di la venuta sua, che fu di Novembrio, intenderete. Al summo Pontifice non restava re Alphonso di exortar, come capo di la cristianità, et quello che dovea cercar la paxe de Italia, che dovesse aiutarlo, et cussì terminò el Pontifice et Re de abboccarsi insieme, dove fariano qualche conclusione bona. Intravenendo Puzo Puzi (Puccio Pucci), dottor de la republica fiorentina appresso el Pontifice, el qual pochi mesi dapoi lì a Roma morite. Or a la fine dil mexe di Zugno el Pontifice con la sua guardia et tre Cardinali, Lisbona[95], s. Zorzi[96] et Valenza suo [54] nipote[97], etiam in sua compagnia vi andoe Paulo Pisani, cavalier, ambassador de Venitiani, che ivi a Roma si era in questo anno. Et cussì con la guardia preditta venne a uno loco appresso Teoli (Tivoli) mia 7, chiamato Vicoaro (Vicovaro), luntan di Roma zerca mia 22; et per non esser quel loco capace per alozar el Pontifice, mandono fuora li cittadini: et el re Alphonso venne con zerca 1000 persone, et di primi baroni et zentilhomeni dil reame, et Paulo Trivisano, cavalier, ambassador venitiano, senza dil qual, per tuorsi benivola la Signoria, non espediva alcuna cosa, imo tutto con lui conferiva. Et arrivò a una abacia ivi vicina, et Paulo Pisani preditto andoe a inchinarsi a Sua Maestà el qual era in chiesa, et fatto le debite accoglienze, montati a cavallo, veneno a Vicoaro dal Pontifice, el qual era in una sala, et abbrazati andono tutti do a uno balcon apuzati a parlar, et steteno tre zorni a consultar, dove ivi concluseno liga et intelligentia tra esso sommo Pontifice, re Alphonso et republica fiorentina, et suzelono li capitoli. Et poi tolto licenza el Re dal Pontifice, con le debite riverentie ritornono a loro terre, non intendendo per questa romper la liga havia el Papa con Venitiani. Et adi 9 Zugno partino da Milan de comandamento regio li do soi ambassadori erano, zoè Antonio di Zenari dotor et Ferando di Zenari, nominati di sopra, et a Napoli ritornono, vedendo non poter far nulla con el signor Ludovico, el qual era fermo in dar aiuto al Re di Franza. Et ancora fece patti Alphonso con Obietto dal Fiesco protonotario fora ussito di Zenoa; el qual adi 25 Zugno partì da Carpi et andò a Fiorenza, poi a Pisa, per andar su l'armada di re Alphonso; et adi 10 Luio a Milano fu depento ditto Obietto su una tavola a la piazza dil domo, apicato, in zipon, con una chierega, et apicà per uno pè, con uno breve di sotto diceva: io son misser Obietto dal Fiesco mancator di fede; et cussì el Duca ordinò in le altre sue terre fusse fatto cussì; et la sua provisione havea dato a Zuan Alvise dal Fiesco suo fratello, zoè ducati 1500 a l'anno; et do abacie havea, dava de intrada ducati 2000, el signor Ludovico le dette al figliolo del ditto Zuan Alvise dal Fiesco. Tamen, per questo, Obietto nè Paulo di Campofregoso cardinal et arciepiscopo di Zenoa si curoe, imo fonno fermi con re Alphonso. Et inteso questo a Napoli adi 15 Luio el re Alphonso vedendo che 'l sig. Ludovico, licet fusseno stati cugnati, li era inimicissimo, li tolse el contà (de) Caiazo, et questo perchè il sig. Zuan Francesco di Sanseverino era sta creato capitano [55] di le zente italiane per questa imprexa, come dirò sotto. Et messe li soi officiali al ducato di Bari, era proprio del sig. Ludovico lì in reame, et deputà uno dovesse scuoder le intrade, tamen voleva tenisse bon conto, acciò si Ludovico si portava bene, potesse renderle. Et scrisse (ad) Antonio Stanga dottor, era stato lì a Napoli ambassador de Milano, el qual ritornava a Milan, et ancora non era ussito di reame, che dovesse mandar uno suo a governar la casa sua, et mandò a compagnar ditto ambassador fino fuora di reame, et non lassò che 'l parlasse a niuno. El qual, partito, se ne tornò di longo a Milano. In questo mezzo, pratiche grandissime fonno fatte in Italia et a Bologna al magnifico Joanne Bentivoi; et quelli signori bolognesi faceva fortificar la terra, fece cavar le fosse di Bologna, et dil mese di Zugno fe' cavar quelle di s. Zuanne, e fe' far alcuni bastioni, et molto adoperava li villani per guastatori. Era Bologna molto nominata, perchè si credeva el Re facesse quella via. El Pontifice mandoe ambassador al ditto Joanne Bentivoi, et il simile re Alphonso et Fiorentini a exhortar volesse esser da la loro banda. Li promettevano di dar ducati 30 milia, far suo fiol protonotario cardinal, et li mandoe il cappello fino a Bologna, et farlo lui vicario di Bologna per nome di la Chiesia, però che Bologna è terra di la Chiesia, et era in questo tempo legato apostolico el cardinal Ascanio[98], fratello del sig. Ludovico. Item el re Alphonso li prometteva dar a uno altro so fiol chiamato Alexandro una soa figliola per moglie con uno stato in reame, con intrada più de X milia ducati. Etiam fu divulgato el Pontifice li deva do castelli nel Bolognese al ditto magnifico Joanne, zoè Zento (Cento) e la Pieve, tenuti per el cardinal San Piero in Vincula, per esser vescovo di Bologna, tamen, non obstante promissione, mai si volse voltar ditto magnifico Joanne dil stado di Milano et promessa fatta al Re di Franza. Et al principio di Zugno el Duca di Ferrara se ne andò a Bologna, per veder di redurlo col Duca di Milano; et adi 8 tornoe a Ferrara. Pur non lassava intender nel principio con chi voleva esser, et il suo figliol primogenito nominato Annibal era a Pisa soldato de Fiorentini, nè quelli li volevano dar licenza. Et cussì stavano queste pratiche zerca a Bologna.

Et zercò haver la madonna Catharina di Forlì, che fu moglie dil conte Hyeronimo de Riario, nipote di Sixto quarto pontifice, el qual di Imola et Forlì si fè signore, ma mentre tyrannice governasse, fu da li cittadini di Forlì nel suo palazzo morto nel 1488, et butato [56] fuora di le fenestre per più disprecio suo: tamen chiamano per suo signor Ottaviano, figliol primario di detto conte Hyeronimo, el qual era in età di anni X. Adoncha questo Stato la madre governa, la qual fo fia dil duca Galeazzo, padre di questo Duca de Milano, natural. Or questa mostrava voler aiutar Alphonso, et non dar passo nè vittuarie a le zente franzese e ducheschi, dovevano venir di breve in quel contorno. Et zà erano parte adunati, come dirò di sotto, et dil mexe di Luio ditta madonna si amaloe gravemente, et poi el Pontifice mandò per la via di Rimano el cardinal di s. Zorzi lì a Forlì, el qual zonse adi 30 Luio a Cesena, et poi andoe in la rocca di Forlimpuovolo (Forlimpopoli) sotto Forlì, dove era ditta madonna, et conferiteno insieme. Demum esso cardinal andoe a Bertinoro con alcuni cittadini forliviensi, et madonna di Forlì, con li fioli et il suo Jacomo Fea genoese favorito, ritornò in Forlì. Questo cardinal venne per pregar madonna dagi il passo et vittuarie a le zente dil Papa, et il Re dovea venir in quelle parte fra otto zorni. Et la ditta madonna li rispose volea essere amica di Milano, et bona fia di chi li havea dato il Stato; et ancora dal sig. Ludovico li fo mandato uno secretario chiamato Jacomo del Quartier, per veder si essa madonna potesse accordar, et far fusse ferma in opinione, di dar passo et vittuarie a le sue zente.

Fiorentini considerando el fatto loro, et che erano in mezzo de tute queste cose, però che Franzesi conveniva passar per il suo, volendo andar in reame, vedendo le cose andar da dovero, mandono a la Signoria di Venetia doi soi ambassadori, i quali fonno Zuan Battista Ridolphi et Paulo Antonio Soderini, i quali con bella compagnia vestiti con mantelli curti la sua famiglia fino a mezza gamba rossi et barete rosse, tutti a uno modo, arrivono adi 30 Luio, et fo preparato a la Zuecca, et datoli stantia publica. Or questi, habuto audientia, exposeno il fatto loro, domandando cussì come in ogni loro adversità Venitiani li haveano dato favore, cussì al presente li consegliassero quello havessero a fare. A quali, fatte le consultationi debite nel consiglio di Pregadi, li fu risposto erano sapientissimi, et in ogni loro operatione si haveano saputo ben governar, et cussì in questo saperebbono far, et che Venitiani erano disposti non se impazar in tal cose dil Re di Franza et dil Re di Napoli, i quali tutti do li erano amicissimi, che stagando fermi in la liga etc. Et poi dil mexe di Settembrio el Ridolphi, el qual alias fu qui mercadante insieme con Zuan Arfandini (Orlandini?) et faceva gran fatti, andoe a Milan per ambassador a pregar el sig. Ludovico non volesse dar il passo a Franzesi, [57] nè metter la terra loro a pericolo, imo si ricordasse de l'amicitia haveva con Fiorentini, et che era mal esser causa di dar adito a questo Re oltramontan che vegni a dominar et far cede in Italia, et maxime contra re Alphonso suo carissimo parente, sì del Duca ex utraque parte, quam di esso sig. Ludovico. Al qual fo risposto non poteva far altro. Et questo oratore longamente dimoroe lì a Milano, et l'altro a Venetia rimase fino che Piero di Medici fo scacciato di Ferrara, come dirò di sotto. Et è da saper che adi 21 Zugno Guido Antonio Vespuzi et Piero Capponi, ambassadori de Fiorentini, erano andati al Re di Franza, partino da Lion, et Piero Capponi adi 2 Luio venne incognito a Milano, poi andò a ritrovar el compagno andava di longo, et insieme ritornorono a Fiorenza.

Domente tal cose si fanno, a Roma novi rumori succedeva, et venne inimicitia tra Ascanio Sforza cardinal, vice canzelier et fratello dil sig. Ludovico, et il Pontifice. El qual cardinal fu quello che fece questo Alexandro papa, et era il totum. O pur venisse lite, come intraviene, o pur, secondo quel ditto, causam quaerit qui vult discedere ab amico, perchè suo fratello era con Franza, et per consequente bisognava lui etiam vi fusse, unde al principio di Luio si absentò di Roma, et andoe in alcuni castelli di Colonnesi, et quivi con danari fece zente, acciò non passasse el re Alphonso, el qual si divulgava voler venir in persona in qua contra il Re di Franza, et zà era venuto suo fiol Duca di Calavria con grande exercito, come di sotto intenderete. Et a uno castello chiamato Genezam (Genazzano), de Colonnesi, esso Ascanio si ridusse con alcune squadre, et faceva continuamente fanti per dannizar Roma, acciò el Papa si voltasse. La qual cosa al Pontifice fu molto molesta, per la partita di detto cardinal. Ma el Re di Franza, domente in Italia tal cose si facevano, continuamente mandava soi capetanei con zente a poco a poco di qua da monti, et instituì el marascalco de Brandicol (Baudricourt?)[99] et mons. di Obignì, che andò a Roma, come ho scritto, a questi do el governo de le zente d'arme, et a la fin de Zugno mons. Tramoi (La Trémouille) passò per Mongenevre con lanze 50, et cussì in questi tempi, dil mese di Luio, veniva in qua da monti Franzesi, qual per lettere de Zorzi Pixani dottor et cavalier ambassador di Venetiani a Milan se intendeva, tamen non era creto (creduto) mai el Re in persona venir dovesse. Et el Duca di Orliens, al qual era dato [58] la provincia di l'armata si faceva a Zenoa, adì 9 Luio zonse in Aste col Principe di Salerno; et el Duca di Milan, over sig. Ludovico che governava il tutto, mandoe do soi principali fino in Aste a visitar ditto Duca, i quali fonno el sig. Nicolò da Corezo et Galeazo Visconte. Et subito zonto esso Duca lì in Aste, adi 10, che fu zorno driedo che el zonzesse, si partì insieme col principe di Salerno et conte di Chiaramonte, che erano baroni dil reame, per venir a Zenoa. La qual armata si preparava era galie 24, galioni 30, nave grosse 10, dovea menar cavalli 500 et artegliarie, sarà lanze 800 a cavallo in l'armada, a do cavalli per lanza et uno arcier et uno balestrier. Et poi questo Duca di Orliens adi 14 Luio venne a Vegevene (Vigevano), dove è uno palazzo bellissimo del sig. Ludovico, et de indi dovea statim partirsi per andar a Casal a visitar la marchesana di Monferà soa parente, poi andar a Zenoa, et demum ritornar in Aste a far la mostra di le sue zente. Et il Principe di Salerno per il Re fu creato amiraio dil reame di Napoli. Or adi 15 ditto el Duca d'Orliens venne in Alexandria di la Paia, terra pur dil Stato de Milano, era con cavalli 600, dove andoe per visitarlo el sig. Ludovico con Zorzi Pisani ambassador, nominato di sopra, di la Signoria di Venetia, el qual seguiva la corte, et usato le accoglienze debite, lassato ordine al sig. Ludovico di quello havesse a far, andoe di longo a Zenoa.

A Milan si faceva gran provisione di zente, et acciò tutto si intenda, adi 26 Zugno il conte Honorato zentilhomo neapolitano con lanze 50 el sig. Ludovico mandò a Codignola, et in Bolognese cavalcò cavalli 800 dil Stato preditto di Milan; et mandò al magnifico Joanne Bentivoi, per resto vecchio e prestanze nove, ducati 16 milia; et adi 2 Luio zonse a Vegevene dal sig. Ludovico Galeazzo di s. Severino, el qual era stato dal Re di Franza con cavalli 40, et poi adi 19 Avosto partì da Vegevene per ritornar dal Re che veniva et passava monti. Et in questo medemo zorno di 2 Luio, esso sig. Ludovico mandoe a Zenoa Lorenzo di Mozanega (di Mozzanica), facea l'ofitio dil collateral zeneral, per far provision a la securtà di Zenoa, dove era commissario suo Corradolo Stanga protonotario stato gran tempo et ancora vi è. Et è da saper che adi 25 Zugno fo fato la mostra di l'armata preditta su la piazza di Zenoa: li sopracomiti era la mità franzesi et la mità zenoesi; et anche ivi per el Duca di Milano fu mandato el sig. Antonio Maria di s. Severino, fo fiol del sig. Ruberto. Et su ditta armata fu operato, et condusseno Nicolò Griffo da Ferrara, fo col sig. Ruberto da s. Severino, et li [59] dette ditto Stato di Milan cavalli 100 et ducati 400 a l'anno. Et le zente di Milano in questo tempo fonno mandate in Parmesana, et fu decreto de consensu dil Re de Franza capitano di le zente italiane el conte Caiazo, nominato per avanti. El qual adi 5 Luio venne a Milan, et adi 20 ditto etiam el sig. Gaspar di s. Severino, chiamato Fracasso, suo fratello, el qual per alcun tempo el sig. Ludovico licentioe da lui, et hora ritornoe a Milano, et che tutti li Severineschi al presente sono in gratia dil Duca et sig. Ludovico, et operati.

Adi 27 Luio.........[100] el sig. Ludovico a hore 9½, la qual hora volse haver astrologica dal suo maistro Ambrosio De Cerato (da Rosciate) ottimo astrologo, senza il consiglio dil qual non faria alcuna cosa, et molto varda tal hore et ponti, dette el stendardo et baston al conte de Caiazo capitano de 500 homeni d'arme; et adi 28 ditto partì e andoe a la volta di Parmesana, dove dia far la adunation di le zente. Et ancora il sig. Ludovico condusse a soldo di Milano el sig. Gilberto et Ludovico da Carpi fratelli: li dette di condutta homeni d'arme 80 et 25 stratioti et 25 balestrieri a cavallo, et per gratuir l'animo dil sig. Antonio Maria di s. Severino, el sig. Ludovico, adi 29 Luio, li donoe tre castelli: Bassignana è sopra Po su quel di Alexandria di la Paia, et do altre sul lago di Como; rende de intrada zerca ducati 2000 a l'anno. Etiam al sig. Fracasso donoe tre terre o vero castelli sul Cremonese al confin del Mantuan; ha de intrada ducati 2000.

Adi 23 Luio gionse a Milan don Piero de Sylva ambassador dil Re di Portogallo con cavalcature 54, cariazi 7, andava a Roma a dar l'obedientia ad Alexandro sexto pontifice. Parlò al sig. Ludovico; si alegrò nomine regis di le nozze di la nezza maridada in re Maximiliano de Romani, et poi al suo viazo andoe. Et zonto a Siena, havendo in commissione dal Re suo, scrisse a Roma come era zonto per darli obedientia; ma voleva el Pontifice concedesse tal gratia al Re, zoè la legitimation di uno suo fiol natural, acciò quel regno romagnesse in li soi; unde el Papa, parendoli di novo che si pattizasse, et etiam per amor dil Re di Spagna, a chi aspetta ditto reame, se questo Re mancasse senza figlioli legittimi, non volse far nulla; et ditto ambassador non vi volse andar a darli la obidientia, et rescrisse al Re. Et in questo mezzo lì a Siena morite.

El re Alphonso vedendo che 'l Duca de Milan faceva campo, et zà veniva Franzesi di qua da' monti, deliberoe mandar el suo campo [60] a l'incontro in Romagna, el qual era grossissimo, come di sotto sarà scritto, governato per suo fiol Ferdinando duca di Calavria. Et eravi questi signori, i quali cadauno saria sta bastante capitano: el sig. Virginio Orsini non venne, et zà fu divulgato el Re in persona voleva venir et lassar vicerè in Napoli ditto sig. Virginio, ma poi si mutoe di opinione: el conte di Pitigliano, Zuan Jacomo di Traulzi, el Duca di Urbino et el sig. di Pesaro con altri conduttieri, parte soldati per Alphonso, parte per el Pontifice et Fiorentini, sì come erano ubligati. Et dil mexe di Luio el conte di Pitigliano, con squadre 60, venne in Romagna, et squadre 7 dil Pontifice, adi 28 Luio, vennero sopra Farnesino, al loco chiamato el bosco, fra s. Mauro e Gaeta. Et el governador di Cesena facea zente per el Duca di Gandia fio dil Papa, zoè homeni d'arme 20, alozati tamen di fuora di Cesena per dubio di Guido Guerra, el qual è uno capo di parte, et alcuni castelli vicini a Cesena signoriza, come poi scriverò di la prodezza et strenuità sua. Cicogna contestabile al primo di Avosto di Fiorentini era a Castrocaro mia 3 da Forlì, facea fanti 400 per mandar a Pisa, et li capitani si aspettavano in questo tempo lì in Romagna; et come per lettere di Andrea da Lezze podestà et capitano di Ravenna drizzate a la Signoria di Venetia se intendeva i successi che le zente dil Papa et dil Re si aspettava tra Bertinoro et Forlì sul fiume di Meldola; et quelle dil Stato di Milano fra Faenza et Forlì sul fiume de Monton. Et acciò meglio questa storia se intenda, venuto li campi, farò una division di quello a uno tempo facevano: et cussì comenzerò a descriver le cose seguide prima in Romagna avanti il zonzer de li campi a la campagna di zorno in zorno, et non senza grandissima fatica et vigilantia tal cose quivi soprascritte. Ma accade prima de scriver alcune provisioni fatte per Venitiani.

La Signoria di Venetia in questo mezzo inter patres consultaveno saepius quello dovesseno far, essendo dal Pontifice, re Alphonso, Fiorentini et altri pregati et exortati non dovesseno lassar venir questo Re in Italia; et benchè intendevano il passar de' Franzesi di qua da' monti per lettere di Zorzi Pisani ambassador a Milano, pur la verità ad plenum non se intendeva, perchè il sig. Ludovico non li manifestava il vero, acciò Venitiani non facessero qualche pensier a disturbar tal venuta de Franzesi, benchè nel principio deliberasseno non si voler impazar in alcuna cosa, imo esser neutrali, pur inteso di l'armata era per ussir di Zenoa, deliberorno nel consiglio de Pregadi ancora loro metterse in ordene, et star provisti per le cose potevano occorrer, et far armata. Unde tolseno ad imprestedo de patricii [61] zerca ducati 50 milia, con promissione di renderli in fra uno anno, et li obbligorno al deposito dil Sal. Questo fecero per non voler dar angarie alla terra, nè toccar le publiche intrade, nè altri danari de depositi; et adi 22 Zugno nel Mazor Conseglio elesseno capitano zeneral di mar Antonio Grimani, padre dil cardinal Grimani, tituli sancti Nicolai inter imagines, novamente da questo Pontifice creato. El qual libentissime acceptoe, et la domenega proxima messe banco, et habuto con gran ceremonie in la chiesa di s. Marco dal Principe el stendardo, adi 25 Luio, et accompagnato dal Principe, oratori et universo Senato fino in galia, la qual era al ponte di la paia, tolto licentia et offertosi a l'orator gallico et cussì ad altri oratori, montoe in galia; et in eadem hora andoe verso il porto, et poi con do galie insieme armate novamente, sopra comiti Zuan Francesco Venier et Antonio Loredan, verso Corphù navegò, dove era l'altra armata sotto do capetanei del colpho, Nicolò da ca da Pexaro et Hyeronimo Contarini, i quali, zonto ivi el zeneral, restono proveditori di l'armada, et non molto dapoi el Pexaro venne a dixarmar per essere stato assai fuora. Ancora dubitando di novità di Ferrara, mandò zente a custodia sul Polesene di Rovigo 25 cavalli et fanti, et quelli fonno mandati qui sotto sarà scritti, et etiam Ruigo a Domenego Malipiero, era podestà et capitano, scrisseno fosse di novo fortificato, facendo spalti et ogni altra provisione, et etiam a la città de Ravenna perchè li campi pur si appropinquava mandoe zente nominate di sotto, acciò il Ravennese et Zervia difendesse da subite correrie. A le zente veramente d'arme che ditta Signoria havea, ordinoe per le camere fusse dato sovencione, acciò si comprasseno cavalli et stesseno preparati, zoè ducati 60 per uno cao di lanza et 20 per el piatto per ogni homo d'arme.

Zente mandate sul Polesene.

Alexandro dil Turco in Ruigo con cavalli 300
Fio di Antonazo di Dozea in Lendenara » 88
Zuan Griego a la Badia » 50
Zuan Gradenigo patricio veneto a la Badia » 80
Carlo Secco ai Mazi » 100
Antonio di Pigi » 100
Marco da Martinengo cavalier » 200
 
  Summa cavalli 918

[62]

Fanti.

Ferigo dal Borgo a Ruigo con fanti 200
Ruberto d'Arimino a Ruigo » 75
Gotiel spagnol a Ruigo » 100
Marco da Rimano a la Badia » 100
Martinel de Luca a Lendenara » 100
Alvise Lanze a Lendenara » 100
Jacomin da Roma a Lendenara » 50
 
  Summa fanti 725

Zente mandate a Ravenna.

El conte Carlo de Pian de Melleto con cavalli 400
Jacomazzo da Venetia » 200
Anzolo Francesco da Crema » 80
Battista Sagramoro » 16
 
  Summa cavalli 696

Fanti.

Jacomo da Tarsia con fanti 200
Alvise Novello » 100
Michiel da Spalato » 50
Pauliza da Catharo » 75
 
  Summa fanti 425

A Zervia.

Collela greco con fanti 60
Vielmo da Cologna » 40

Ma Venitiani in questo tempo era in grandissima reputatione, adeo ogni giorno quasi vi andava in Collegio da la Signoria a la audientia el legato dil Papa, oratori di Franza, di Napoli, di Milan, di Fiorenza, di Ferrara, di Mantoa et di Rimano. Questo perchè nostri voleva star in paxe et esser amici di ogn'uno, ma a la fine non poteno star, et el sig. Pandolpho Malatesta di Rimano, che fo fio dil [63] magnifico Ruberto che a Roma morite nostro capitano zeneral et confalonier di la Chiesia, da poi rotto et fugato dil 1482 el Duca di Calavria nunc Re di Napoli, vedendo queste novità et li campi aproximarse apresso il suo Stato, acciò non patisca qualche danno dimandò alla Signoria come sua tutrice instituida dal padre, et etiam era a suo soldo, havea 400 cavalli, che li volesse mandar uno proveditor apresso di lui. Et cussì per el Conseglio di X adi 14 Avosto fu mandato Zorzi Emo fo di Zuane cavalier, fu assà in la ferrarese guerra nominato, el qual statim partito, stette in Rimano fino adi 20 Novembrio, che li campi lì da presso fonno disciolti et mandati per la invernata, zoè quei di Milano alle stanzie, et Franzesi conzonti con la Maiestà di loro Re quando si aproximò in Toscana, come scriverò di sotto. Et adi 2 Avosto nel consiglio di Pregadi, in loco degli ambassadori erano stati il suo tempo et chiedevano licentia, fonno creati ambassador a Roma Hyeronimo Donato dottor, el qual a Innocentio vi fue, ma poi creato Avogador di Comun renontiò tal legatione; a Napoli Zaccaria Contarini cavalier, el qual succedendo queste guerre non fu mandato, et Paulo Trivixan restoe; et a Milan fu eletto Hyeronimo Lion cavalier, el qual pur da poi gran tempo fu mandato, come tutto dirò di sotto.

A Roma, domente tal cose in diverse parti si fanno, Alexandro pontifice havendo le sue zente attorno Hostia fatto alcuni patti di promissione di danari a quelli custodi che erano dentro, quella have al principio di Zugno in suo poter; et intrato il legato dentro, vi messe presidio per nome di la Chiesia, la qual nuova fu molto cattiva al Re di Franza, però che quasi in Hostia consisteva ogni sua vittoria per l'intrar in reame, et far che il Papa se aderisse alla sua voluntà. Ma el Pontifice, intendendo questa certa venuta dil Re, fatto molti concistorii, deliberono al tutto non abandonar re Alphonso. Et cussì continue exortava Paulo Pixani cavalier ambassador de Venitiani che ivi a Sua Beatitudine era, dicendo volesse scriver a la Signoria che insieme con lui et Fiorentini volesseno esser contra el Re di Franza, acciò non si veda tanta ruina in Italia, et che Franzesi venga ad habitar nel reame di Napoli; la qual cosa mai per Venitiani non fo voluto far, per haver terminato non se impazar se non a meter paxe et benivolentia fra le parte. Et pur dolendosi de li cardinali, maxime dil cardinal Ascanio vice canzelier, el qual col cardinal di s. Severino[101] et cardinal di Lonà nuovamente creato a [64] requisitione di detto Ascanio[102], erano, come ho scritto, ussiti di Roma et venuti a Nepi, terra di esso Ascanio per soi beneficii, et volevano questi seguir el Re di Franza, etiam el sig. Prospero e Fabricio Colonna fratelli assoldati col Re di Franza havevano soldato gran zente. Questi Colonnesi sono di primi di Roma, i quali insieme con Savelli sempre sono stati nemici degli Orsini et di quei di Santa Crose. Adoncha queste è do grandissime parte in Roma, Colonna et Orsina, et spesso tra loro fanno gran rumori. A hora Colonnesi è con Franza, et Orsini con il re Alphonso; et per consequente il Papa in Roma molto exaltoe la parte Orsina preditta. Or questi Colonna ha molti castelli di là dal Tevere verso il reame, et Orsini di qua. Et adunate le zente, si puol dir ivi esser uno campo de Franzesi, et scorsizavano fino su le porte di Roma, facendo molti danni, non lassando per terra intrar vittuarie in Roma. Ma el Pontifice in consistoro a la fin d'Avosto fece uno editto, che tutti quelli havevano beneficii in corte di Roma, o cardinali o sia chi se voglia, dovesseno venir a Roma in termene di uno mexe, et ivi habitar, quelli si ritrovava vicini, et li altri più lontani in mexi tre, quelli veramente che era fuora de Italia in mesi 6, alioquin li cardinali fusse privi di cappelli et altri di le intrade, sotto pena a li signori li impedivano di esser excomunicati. Et questa Bolla fo messa a s. Piero et a s. Joanne: tamen non si have copia. Questo fece acciò el cardinal Ascanio et s. Piero in Vincula con altri cardinali ritornasseno a Roma; per el qual editto, molti prelati vi andono et cardinali, excetto Ascanio et San Piero in Vincula, che non volseno obedir al Pontifice, dicendo non era juridice creato, et che lo volevano dismetter. Ancora Zuan Battista Zeno veneto patricio, cardinal de Santa Maria in Portego, el qual in principio di queste novità venne a Venetia, demum a Vicenza al suo episcopato andò, et hora a la Badia di s. Zen di Verona, et hora a la Badia di Carrara in Padoa habitava; et benchè el Papa fusse più volte chiamato a Roma, perchè era ricchissimo Cardinal, et havea grande intrata, tamen si excusoe che laborava di podagre, però che si faceva portar, et che pregava Sua Beatitudine el volesse prima lassar sanar; et mai a Roma vi volse andar.

[65]

El successo di l'armada dil re Alphonso.

L'armada dil re Alphonso adì 5 Luio zonse al porto di Livorno de Fiorentini, et adì 16 fè vela et andoe a Portovenere, la qual armada era galie 35, computà 7 per forza, di le qual ne son cinque di Franzin Pastor corsaro, che fu quello soccorse Rodi a tempo de' Turchi, e 2 dil Re, su una è il suo capitano don Fedrigo. Le altre 28 tutte voluntarie. Nave 18 di gabia, di le qual 4, zoè le mazor, da poi andò verso Cicilia per expugnar do nave grosse de Zenoesi, carge di grano. Or questa armada zonta lì a Portovenere, per el cardinal di Zenoa et Obietto dal Fiesco erano su ditta armada fu mandato a richieder tre homeni di quel luogo, che li venisseno a parlar. Li quali venuti, exortorno li volesse dar la terra nè aspettar battaglia, perchè erano de li soi Zenoesi, e non obstante li resposeno ditto loco voleva tenir a requisition de san Zorzi. Et non li zovando parole dolce, veneno a menaze. Ditti tre dubitando, fense di voler consultar con quelli di la terra, et la mattina torneria a darli risposta. Ma la notte si messeno in ordine, et la mattina li feceno intender con bombarde si levasseno de lì. El capetanio don Fedrigo, el Cardinal et Obietto con quasi tutti di l'armada dismontoe in terra, et dette la battaglia al loco per spacio di hore 3: non potendo expugnar la terra se tirorno a drieto, lassando molti morti et altri feriti. Poi el dì sequente ritornò a Livorno, dove stette fin Avosto. Su la ditta armada era zerca fanti 4800, dei quali erano fuziti fin 10 Avosto, chi per viltà, chi per non comportarli il mar, da 600 in suso; unde el capitano feva ivi fanti per le terre de' Fiorentini, eccetto in Fiorenza, et li devano ducati 6 et 8 per paga secondo li homeni, ma con fatica trovava. El Cardinal et Obietto stava in terra, et el Cardinal li venne una febbre terzanella, et attendevano a metter confusion in Zenoa, et do galie continue stava verso Zenoa a sopraveder per guardia. Fiorentini attendevano a fornir Livorno et Pisa et li lochi marittimi di fanterie. Et Cicogna contestabile andò a custodia di Pisa. Et volendo la ditta armada bombardar Portovenere, Zuan Adorno fradello di Augustin Adorno governador di Zenoa, insieme con el sig. Antonio Maria di Sanseverino con assà provisionati, vi andò contra, unde li fanti di la ditta armada erano smontati, se tirorno in armada, et andorno al porto di Livorno, come ho scritto di sopra. Et poi parte di le nave andorno chi per Corsica et chi per Cicilia per assoldar zente, ita che restò che adi 20 Avosto era solum 12 nave di cheba; et in la ditta armada molti si amalava, et a uno tempo più di 600 ne era de infermi, molti morti et molti feriti. Et [66] a Fiorenza per augumentar ditta armada fu fatto 700 fanti, capo Pereto corso, et mandati su ditta armada, et poi adì 8 Settembrio accadette alcune cose fatte per el Cardinal et Obietto dal Fiesco, qual al loco suo sarà scritto, servando l'ordine di tempi.

Seguito di l'armada di Zenoa.

Essendo l'armada fabricata a Zenoa in ordine di galie 25, galioni 13, nave 12, il resto barze fin al numero di 60 vele, et zonta l'armada dil Re di Franza fatta in Provenza a Monaco, demum adi 29 Luio intrata in porto di Zenoa, che era vele 12, et zontovi il Duca di Orliens, el qual però era ritornato in Aste, come scriverò di sotto, ditta armada ussite in poco tempo tre volte di Zenoa. La prima vedendo era a Livorno quella Aragonese, adi 17 Avosto ussite et andoe a Portovenere, ma dubitando di l'armada nemica, se tiroe in Zenoa. Demum un'altra volta adi 28 ditto la ussite, et andò a Santa Maria. Poi la terza volta fu adi 16 Settembrio che l'andò a Hostia nel Tevere, benissimo in ordine, et quella dil Re era zà tirata verso Napoli et Gaeta, et questa comenzoe a prosperar. Questa armada, acciò el tutto se intendi, havea le bandiere dil Re di Franza, et era capitanio.......

Successo di cose seguide in Romagna per li do campi erano dil mexe di Avosto 1494.

Tutta Romagna era in confusion per li campi che ivi si ridusevano. Et adi 4 Avosto madona di Forlì fè uno comandamento che tutti chi havea biave et altre robe fuora a la campagna, quelle subito dovesse tirar in Forlì o altri lochi securi, et quelli non poteva, dovesse condur su quel di la Signoria di Venetia. Ancora a Cesena tutti reduseva i lor mobeli a le fortezze, et Forliviensi, Faventini et Imolesi e terre dil Duca di Ferrara con gran furia adi 6 Avosto reduceano lor robe a le fortezze: Lugo et Bagnacavallo dil Duca di Ferrara fece conzar li arzeri et steccati. Et anche a Ravenna havendo Andrea da Lezzo precepto de la Signoria che dovesse far condur, senza però strepito et con desterità, in la terra tutti li grani dil paese, acciò venendo li campi non facesse qualche danno, et cussì adi 12 Avosto fece; et etiam li fu commesso che a tutti do li exerciti dovesse lassar dar renfrescamenti, perchè Venetiani erano neutrali.

Adi 3 Avosto el conte di Pitigliano era a la Bastia sotto Assisi, con zerca squadre 25 in 30, dove era el Duca di Calavria et Zuan Jacomo di Traulzi, et scrisseno a Città di Castello che adi 4 del presente doveano esser sotto Monton et la Fratta sul fiume dil Tevere, et poi adi 5 venir tra Città di Castello; Borgo e Citerna, demum venir [67] in Romagna. Tamen aspettavano el Duca d'Urbin, el qual summamente desideravano venisse con loro.

Adi 4 el magnifico Piero di Medici fiorentino fue a disnar a Laterina distante da Rezzo (Arezzo) mia 12 con cavalli 60, et alcuni a piedi andava a Rezzo per andar a visitar el Duca di Calavria, offerirse et presentarli; et adi 5 doveano trovarlo tra Castello, Citerna et Borgo mia 16 luntan da Rezzo: et poi esso Duca veniva di longo a Santo Archanzolo et Savignano, lochi sottoposti a Cesena.

Adi 8 zonse a Ravenna madona Malgarita, moglie del sig. Fracasso da Sanseverino, si partì da Jesi et andoe a Cremona; et in questo zorno a Ravenna se intese le zente aragonese haver passate le Alpe, et arrivate a Ronco, distante da Santo Archanzolo mia 30, et cussì fo svisato la Signoria dal Pretor di Ravenna, el qual era molto vigilantissimo in notificar el tutto a quella.

Adi 12 el duca Guido de Urbin zonse su el fiume dil Savio con le sue zente in aiuto dil Duca di Calavria, et ivi aspettoe ditto Duca; et adi 11, 20 squadre del Pontifice et regie zonse su quel di Santo Archanzolo, et come per exploratori se intese el Duca di Calavria preditto, el conte di Pitigliano et Piero di Medici erano insieme in campo al Borgo San Sepolcro et ivi alozati, et li saccomani andava saccomanando a s. Stephano et la Pieve, et saccomanava X in XII mia, et el sig. Virginio Orsini si aspetoe primo verso Cesena.

Adi 14 zonse al campo preditto sotto lo Pene de Bari (Penna Billi), distanti da Cesena mia 30, el Duca di Urbin era con squadre 4, el conte di Pitigliano con squadre 8, Zuan Jacomo di Triulzi con squadre 6, Zuan et Luca Savello con squadre 4, et oltra queste 22 squadre, era zerca 400 cavalli lizieri, tra balestrieri et saettari (saettieri) et alcuni fanti; si aspettava squadre 10 dil Duca di Urbin, et squadre 4 dil fio dil signor da Camarin, squadre 4 dil sig. Virginio Orsini et 6 di la Chiesia: in tutto ditto campo dovea esser squadre 46, et de Fiorentini ancora non era venuto zente alcuna. Era in campo el magnifico Ottavian barba dil Duca di Urbin, el qual un tempo da poi la morte dil fradello governava quel Stado di Urbino. Et ditto campo dovea adi 15 venir a Veruchio mia X luntan dove era, et el zorno driedo a Savignano mia X luntan di Cesena. Et el cardinal San Zorzi era venuto in campo; questo perchè sperava iterum dar un'altra battaglia di exortatione a Madona di Forlì et haverla a le sue voglie, acciò il campo havesse comodi alozamenti et vittuarie, et cussì con ditta Madona et il suo Jacomo favorito si praticava la si accordasse con la Chiesia, Re et Fiorentini: tamen el [68] campo preditto, nel qual era pur penuria di denari, ma ben governado et con gran justitia, venuto a Veruchio, poi al ponte de la Petra distante da Cesena mia 5, et cussì adi 18 zonse in ditto loco, dove dovevano far la massa dil resto di le zente.

Adi 18 zonto el campo al ponte de la Petra, non havendo cussì acque comode come era il loro bisogno, era disposti di venir a camparsi sul Savio più sul ditto territorio; et adi 17 el conte di Pitigliano andò a Rimano con cavalli 40, a visitation del sig. Pandolpho era ammalato: et adi 15 sua moglie, ch'è figliola del magnifico Joanne Bentivoi, andò a le Pene de Bari (Penna Billi) a visitar el Duca di Calavria et offerirli il Stado, et li havea mandato un bellissimo presente. Et adi ditto zonse lì a Rimano Zorzi Emo proveditor, mandato ivi per la Signoria di Venetia, come ho ditto. El campo pur stava vicino a Cesena, et aspettava squadre 8 di Urbino col marchese di Pescara, conte Guido di Gonzaga computà nelle 8 squadre dil conte di Pitigliano, et el sig. da Camarin con altre 8; ancora aspettavano el sig. di Piombino. Et se divulgava ditto campo si fermerebbe tra Bertinoro et Forlimpuovolo terra di Forlì. Li soldati fin qui non havia habuto danari da poi la prestanza, se non ducati do per homo d'arme: et è da saper che Zuan Jacomo di Traulzi havea in casa con lui uno stendardo, con le insegne dil Duca de Milan genero dil re Alphonso.

Adi 19 el preditto campo, zoè el Duca de Calavria, terminoe far 3000 fanti. Tamen fin questo zorno non havea fatto se non 300, con ducati 3 per uno. Et adi 20 se doveano partir per venir sul Savio. Adi 20 su la piazza de Lugo se ritrovoe un nuntio dil Duca di Orliens per far 1000 fanti, con mandato dil sig. Ludovico et Duca de Ferrara, i quali vol farli su quel de Lugo, Bagnacavallo et Cotignola. Et è da saper che a Ferrara a un tempo fu assoldato per Franza et re Alphonso.

A Fiorenza se ritrovava mons. lo Presidente de Provenza, ambassador dil Re di Franza et uno dil Duca di Milan, i quali adi 20 ditto partino et andono a Zenoa, dove era zonto el Prencipe de Salerno con alcuni altri franzesi.

El campo duchesco di squadre 40 fanti 1500, capitano el conte di Caiazzo, adi 18 Avosto era, come per lettere di Milan se intese, tra Bologna et Modena, nel qual era lanze 600 franzese, et adi 22 venne sul fiume di Panaro, mia 16 luntan da Bologna pur sul Bolognese, come per lettere di Ravenna se intese.

Adi 23, squadre 8 dil Duca d'Urbin zonte in campo fè la mostra [69] bellissima: et questi conduttieri le guidavano: conte Antonio di Castazola et conte Antonio fradello di esso Duca.

Adi 25 el conte di Pitigliano venne sul fiume dil Savio a San Martino territorio cesenatico, mia do luntan era el campo, per veder si era bon alozamento, et non si ossava muover ditto campo, perchè non intendeva ancora la ferma voluntà di Forlì.

Adi 26 el campo duchesco, sta notte allozato fra Cantaloro, territorio imolese, et Castelgelfo (Castelguelfo), territorio bolognese, et adi 27 si dovea mover et venir a San Prospero, pur su quel de Imola. Poi adi 28 a Villafranca, ch'è su quel di Forlì. Adoncha li campi al presente sono vicini mia 40, et quando el regio sarà sul Savio et el duchesco sul fiume dil Monton a Villafranca, saranno distanti solamente mia X et non più.

Adi 27 madona di Forlì mandoe bando, che chi si voleva condur a suo soldo, sì da piè come da cavallo, dovesseno andar lì a farsi scriver et pigliar danari. El campo duchesco corse su quel de Imola, fece alcuni presoni, per caxon non potevano haver vittuarie. El campo regio ancora non era mosso, steva su pratiche o di andar a San Martino sul Savio, o vero al fiume di l'acqua appresso Bertinoro, aspettando zente et favor di Forlì, come sperava di haver.

Adi 29 el campo duchesco si dovea levar dal fiume di Castelgelfo, et venir più avanti, et allozar a Madrera sul fiume di Lamon su quel di Bagnacavallo, contermina col territorio di Ravenna et di Faenza; et non essendo d'accordo con Forlì, come speravano di esser per li secretarii mandati lì per el sig. Ludovico, erano terminati venir accamparsi più basso al Barzarin o vero Traversera pur su ditto fiume su quel di Bagnacavallo, con proposito de andar verso el campo regio. Et fo fatto in ditto campo uno editto, non andasse su quel de Imola a far danno, sotto pena di la forca. Et adi 28 da sera, in quello la brigata andava saccomanando, el sig. Zuan Savello con alcune zente corse al campo duchesco, et prese alcuni cavalli, non offendendo però alcun de Imola. Et adi 29 el campo regio dovea levarsi, et andar verso Bertinoro, come ho scritto di sopra.

Adi ditto, Bortholomio di Odasii secretario dil Duca di Urbino, venne a Ravenna, notificoe el campo era pur al ponte di la Petra, et era venuto danari al Duca di Calavria per far fanti et balestrieri a piedi, et che a Urbin ne era preparati 1500, zoè 500 balestrieri, el resto lanzeroli. Aspettavano le zente dil Papa et de Fiorentini, poi si dovevano redur verso Bertinoro sul fiume di Roncon (Ronco); et madona di Forlì li dava bone parole ma non conclusione. Et questa [70] mattina zonse in campo do squadre di quelle dil Duca di Calavria, benissimo in ordine.

Adoncha li campi preditti, el regio era ivi, et el duchesco sul fiume di Castelgelfo, aspettando le zente franzese: di le qual, parte era venute con mandato dil sig. Ludovico di quello havesse a far, et continue si andava ingrossando.

Partita dil Re di Franza da Lion per fino a Susa di qua da monti.

El Re di Franza havendo zà mandà assà soe zente di qua da monti; lassato el duca di Borbon suo cognado con la moglie sua sorella, al quale commesse il governo dil regno; et da lui tolto licentia, esso Duca ritornoe a Molina (Moulins), terra in Borbon trenta lighe luntan da Lion, dove ivi sta con la sua corte. Ma el Re insieme con la moglie adi 24 Luio parti da Lion et venne a Vienna, dove a la campagna a cavallo tolse licenza da la Raina, la qual ritornoe in Ambosie a starvi, havendo recomandato el Roy ad alcuni soi, et datoli certe donne fidatissime, le qual li facesse el suo manzar, lavasse i panni, et li facesse altre cose necessarie. Et el Re poi venne a Garnoboli (Grenoble), demum a nostra Donna Dambrum (Embrun), et gionse a la fin de Avosto a Mongenevre loco dil Dolfinà, dove passò li monti et venne a Susa. El successo poi de soa Maestà più avanti sarà scritto.

Ma el Duca di Orliens essendo stato a Zenoa, ritornò adi 6 Avosto in Alexandria di la Paia per andar in Aste, et ritornoe con questi 6: mons. di Foys (Foix), mons. de Piennes, mons. de Obegni (Aubigny), mons. lo gran scudier, mons. de Sations (Châtillon), mons. de Luxemburgo, con li quali consultava, et poi ritornoe in Aste. Ma un'altra fiata ritornoe a Zenoa, come dirò de sotto, et mons. de Obegni venuto a Milan andoe adi... Avosto in Parmesana, dove era adunati li campi per governo di quella zente franzese. Et el Re di Franza in questo mexe di Avosto mandò avanti la sua persona in Aste el cardinal San Piero in Vincula, el qual era andato a trovarlo, et mons. di Beucher, molto volonterosi a questa impresa. Et adi 16 Avosto el Duca di Orliens stato in Aste ritornoe a Zenoa per esser su l'armada, dove era preparada una nave grandissima, di botte 4000, chiamata la Negrona, per la sua persona, ma poco vi stette, che zonto el Re in Aste, dove si ammalò, esso Duca ritornoe in Aste et li venne la febbre quartana, et convenne star lì fino el Re acquistò el reame.

A Milan fu fatto el principio di Avosto per Franzesi 100 artegliarie [71] a modo serpentine, messe sopra di carrette tirate da uno solo cavallo per mandar in campo in Parmesana. Et adi 13 el conte Alexandro fiol natural fu dil duca Galeazzo, di anni 30, el qual era confinato in Parmesana za anni do per la inimicitia havea con el sig. Galeazzo di San Severino, questo a hora fuzite, et andò in campo dil re Alphonso, al qual el Duca di Calavria li dette 200 elmetti et 100 cavalli lezieri. Et adi 19 pur dil mexe di Avosto, appropinquandosi el Re in Italia, el sig. Galeazzo preditto si partì da Vegevene, dove era el sig. Ludovico, per andarli contro: ma a Milan variamente si parlava, nè se intendeva la conclusion di questa guerra. Unde era sorto un motto: El non è ni savio ni matto che intendi la guerra dil nonantaquattro. Et cussì etiam a Venetia variamente si parlava, nè sapevano quello seguiria, per le varietà di le cose et di campi vicini uno dil altro, et tamen non erano a le mane.

A Roma, Colonnesi con li altri seguazi di la sua parte et el cardinal Ascanio molto dannizava et faceva grande exercito, perchè pur era l'exercito dil re Alphonso ivi vicino, et dovea andar a campo a 25 di Avosto a Frascato, Grottaferrata et Marino. Et l'ambassador di Franza fuzite di Roma, et venne a Neptuno, castello de Colonnesi, dubitando el Pontifice non lo avesse fatto retegnir, però che 'l Papa fece un editto, che tutti li prelati franzesi et altri di quella natione gallica in termene XV zorni dovesseno andar a loro patria. Ma Colonnesi accampatisi a Hostia, quella adi 8 Settembrio have, perchè era mal custodita; et intrati dentro levono le insegne dil Re di Franza, ne la qual vi volse star el sig. Fabricio Colonna in persona, et quella attese a fortificar havendo con lui fidatissime persone. Et questo fo un gran danno a Romani, però che non lassava intrar vittuarie per la bocca dil Tevere in Roma. Et fu molto al proposito dil Re di Franza, et cattivissima nova al re Alphonso.

Successo di cose seguite in li campi di Romagna dil mese di Settembrio 1494.

Zà comenzava a far cattivi tempi, et il campo duchesco continue, come scrissi di sopra, si andava ingrossando di franzesi, et adi 1 Settembrio zonse nel campo regio el fiol natural fo del duca Galeazzo, venuto da la banda di qua, et fuzito di Milan, come è scritto di sopra.

Adi 2 Settembrio zonse sora el porto Cesenatico tre navigli da 100 fin a 200 botte, cargi di orzi et formenti, veniva di la Puia, et artegliarie per bisogno dil campo regio. Madona di Forlì pur non si lassava intender. Vi andoe uno ambassador dil Papa et uno dil [72] Duca di Calavria, et ancora vi era lì uno dil Duca di Milan, et la ditta voleva far 1000 fanti, tamen fin qui non assoldoe se non 70, i quali spazoe per Imola sotto Anzolo Latio da Forlì: et non dava vittuarie ad alcuno de li campi: mandoe uno suo ambassador al sig. Ludovico, chiamato Antonio Boldraccano, tamen li cittadini, per dubito di vasto, la exortoe ad aderirse al Stado de Milan, et cussì stava in tal pratiche.

Adi 3 fu ordinà per la Signoria Andrea da Lezze podestà et capitano di Ravenna dovesse far la mostra di Jacomo di Tarsia de le so page cressute (ne have prima lì 50), et sollicitar la fabbrica di le mura comenzate per Hieronymo Donato dottor predecessor suo, et mandasse dal conte Carlo di Pian de Melleto, era a li soi castelli, dovesse venir in Ravenna. Et cussì mandoe Piero Grosso cavalier cittadin di Ravenna al ditto conte Carlo, acciò vi venisse subito con li soi homeni d'arme et balestrieri a cavallo; el qual zonse adi 5 ditto, et adi 11 ditto conte Carlo si levoe et venne a Rimano, demum in Ravenna, et alozoe in cittadella.

Adi 4 li campi non erano ancora mossi, ma nel campo regio zonse X squadre dil Duca di Gandia fio dil Papa, governador. El sig. di Piombino per non esser in queste parte de Italia, se aspettava el sig. Zuanne di Pesaro, fo fiol del sig. Costanzo et zenero dil Pontifice, con squadre 6. Et adi ditto, questo campo si dovea levar et venir sotto Bertinoro, et lì fortificarse sì de repari come de artegliarie. Adi 3 el conte di Caiazzo, capitano dil campo duchesco, venne a Madrera sopra il fiume di Lamon, territorio di Faenza, et al Barzarin pur su ditto fiume, per deliberar pur de venir col campo o ivi o pur in altro luogo. Et in questo zorno, in ditto campo duchesco fo bandito la guerra fra el Re di Franza et soi adherenti contra el re Alphonso di Aragona; azonto che alcun italiano sotto pena di la forca non ardisca devedare a Franzesi strame ni altra cosa che volesseno per uso suo.

Adi 5 el campo regio venne sul fiume di Ronco appresso a Bertinoro, era squadre 55, computà 4 di Annibal Bentivoi, fiol dil magnifico Joanne, el qual per nome de Fiorentini si aspettava. Et anche se ne aspetta altre 5, oltra li balestrieri et stradioti a cavallo: fanti a piedi, computà balestrieri 600 dil paese et di Urbin, zerca 1500. Et el zorno driedo dovea andar a Villafranca, territorio forlivense, dove ditto exercito sarà poi serrato tra doi fiumi dinanzi et da driedo; zoè quello dil Ronco et quello dil Monton, et saranno sicuri. Ancora è da saper che con el re Alphonso a la fin de Avosto [73] si accordoe Zuane di Gonzaga fratello dil Marchexe di Mantoa, al qual si dette 50 homeni d'arme et ducati 1000 di provision a l'anno. Et, habuto danari, se metterà in ordine.

El campo duchesco, nel qual era el sig. Rodolpho di Gonzaga barba dil Marchexe di Mantoa soldato de Milan, el sig. Galeotto de la Mirandola, conte Borella, Scaramuzza, Visconte et altri conduttieri, steva pur dove era alozato sul fiume di Castelgelfo: et al presente mandoe a sopraveder li allozzamenti di S. Prospero et di Bubano.

Adi 6 madona di Forlì faceva fanti per mandar a Imola, ma molti fuzivano, et fece adì 3 ditto una crida, che chi voleva portar vittuaria nel campo regio potesse portar a suo piacer. Et el suo Jacomo zenoese era stato a Imola, et essa madona ha habuto di la liga ducati 12 milia et 6000 de promission. Et el Pontifice li promette, essendo con loro, di far el fio cardinal et conservarli il Stado; mantenirli il grano al pretio di bolognini 23 la corba per anni 3: la qual corba è di mesura stera uno de lì.

Et el campo regio venne adi 6 ditto ad allozar a Villafranca sul fiume Monton, territorio di Forlì, luntan mia 8 da Forlì et 7 da Faenza: fece le spianate poi per andar in la cerchia verso Faenza, vicino a Imola, per dar favor alla ditta terra, acciò el campo duchesco non la dannizasse. Et in questo medemo zorno essendo fuora alla campagna, su quel di Faenza a presso Russi, alcuni balestrieri et saccomanni dil campo duchesco per tuor strame et far prede, el sig. Zuanne Savello nominato di sopra fo a le man con loro, ne prese 4 balestrieri dil conte di Caiazzo: tamen nemici conduseno la preda, che fo certi bestiami. Et ogni zorno scaramuzzaveno insieme ditti campi. Ma el campo regio, a hora che have le spalle di Forlì, Faenza et Imola, si fece molto audaci, et deliberorno di far forzo di partesani et farse più avanti.

Adi 7 ditto campo regio si levò di Villafranca, et mandoe li carriazi per la via di la Cosina va a Samoggia, et fo questa mattina, et andati a la Bonegaliga (Brisighella?) passato lo fiume di Lamon, et andato al Campo di le mosche, dove alias allozoe Bortholomio Coglion, memoratissimo capitano in Italia, et maxime di la Signoria di Venetia; la memoria dil qual fue a Venetia in campo di san Zuanne Polo operà et novamente ivi posta: or questo loco di Campo di le mosche è sul fiume di Senio fra Faenza, Salarolo et Castel bolognese; et poi subito si levò de lì.

Adi 8 essendo mosso el ditto campo, el duchesco etiam venne a la Frascada, et in questa mattina si levoe et andoe per il fossà di [74] Ziniul per la riva dil Po, fino al fiume dil Panaro, per precluder la via al campo regio che non passasse oltra et andasse a farsi forte sul Modenese.

Et el campo regio etiam si dovea levar, per andar in Parmesana: et l'uno et l'altro campo celerar il cammino; el duchesco havea la via più longa et cattiva, ma lo regio più breve et expedita, essendo Bologna con loro, come si divulgava fusse: tamen non era il vero.

Adi 9 el campo regio, deliberato di andar a trovar el duchesco, vedendosi potente più di quello, fece comandamento uno homo per casa di Imola, Faenza, Valle di Lamon et Forlì et per quelli territorii: et adi ditto venne ad Onegalia (?). Ma el campo duchesco se distese da cà di Lugo fino a Po, in quelle case di Troti; per la qual cosa, essendo in loco sicuro, el campo regio non potè venirlo a trovar. Et la movesta dil ditto campo duchesco fu per do respeti. El primo, perchè era voler dil Re di Franza et comandamento dil sig. Ludovico non si dovesse appizzar, nè far fatto d'arme, ma redursi in lochi forti, fino non seranno venute le zente dovevano esser, zoè squadre 40 italiane et 50 lanze franzese: la seconda perchè el regio era superior di fanteria, et poteva haver favor de li convecini: et però ditto campo si messe ivi fra Lugo et Po, et in quelli lochi vicini stetteno, zoè la Massa et Santa Agata, lochi forti in valle.

Adi 10 havendo ducheschi mandà a Bologna per haver passo, quelli resposeno non voler esser damnificadi, come era stadi per el passar di zente preditte nel principio.

Et andati cavalli 40 de franzesi verso la Massa a sopraveder, venendo el conte Antonio di Urbin fratello dil Duca con cavalli 80 verso Cantalovo (Cantalupo) territorio imolese, pur per sopra veder, havendose visti fonno a le man; fo morti 7 et presi 3 di quei dil ditto conte, et condutti li cavalli nel campo loro: et de franzesi fo morti 2; et questo fo adi 9. El campo regio era sotto Imola, fra el fiume et Imola, dove si attrovoe Jacomo preditto, favorito di Madona.

Essendo stà tolto per Franzesi uno paro di bue con il carro a uno cittadino di Ravenna, subito Andrea da Lezze pretor scrisse al conte Caiazzo, et mandoe uno messo pregando volesse far restituir, perchè la Signoria voleva li soi pascoli non havesse danno, non havendo guerra ma bona paxe; et lo fece restituir. Et li scrisse, la qual lettera mandoe per uno trombetta, come esso Podestà vogli alcuni cavalli et muli fonno tolti nel levar dil campo, et comprati da uno [75] di Val di Lamon, l'altro di uno saccoman regio, da quelli di Ravenna, farli restituir: et cussì fonno pagati per non haver causa di far movesta di danari di la Signoria.

Adi 10 da mattina el campo duchesco si mosse da la Frascada, zoè balestrier franzesi in gran quantità in uno squadron, poi franchi arcieri et schioppettieri a cavallo in uno altro squadron; in tutto zerca 800; poi squadre 20 italiane et el conte di Caiazzo: et se drizzoe per la via verso la Massa con proposito de andar a trovar el campo regio, et preseno le spie de Aragonesi; poi ritornono ditte zente al sito (?) dil campo, al suo loco di la Frascada a le ca' di Troti et nulla fece.

Ma el campo regio adi ditto da mattina passò Imola, et andono verso Castel san Piero sul Bolognese, et ivi si affermoe a canto a la montagna de la Dozza sull'Imolese, mia 2 luntan de Imola: dove andarà scriverò poi.

Et adi 10 a hore zerca 15, a Mordano, Bubano et Bagnara, lochi de Imola, fo sentito sonar campana martello; et questo fo per fanti passavano de lì, et dubitaveno di haver danno.

Adi 12 el campo aragonese, allozato sul fiume appresso Castel san Piero mia uno, et per el comessario di quel luogo fu fatto prohibitione che niun non ardisca di portar vittuarie sotto pena etc.; tamen fo portà uno presente per li homeni di quel loco a Annibale Bentivoi fiolo dil magnifico Joanne, di pane, vin et carne viva: et tutta la notte precedente el Duca di Calavria con altri capitani et il campo stetteno a cavallo per dubito de li nemici non li venissero a saltar. Et in quella sera medema, zonse danari in campo, che molto confortoe quella zente; et poi la mattina si levoe et venne ad allozar al sopraditto loco, zoè squadre 62, oltra certi cavalli lezieri et balestrieri; et mandoe alcuni balestrieri in Mordano per custodia di fanterie; era zerca 4000 mal regulati; et il forzo paesani. Et adi ditto passò di fuora via di Imola do squadre dil sig. di Pesaro, per nome dil Papa andava in campo.

El campo duchesco stava pur alla Frascada; et, zonte che siano le zente i aspettano, erano terminati venir a la via di Concorda al Bonden, et poi per la riva dil Po fino in campo.

Bologna fin qui dimostrava neutrale; et adi 12 ditto Annibal Bentivoi partì di campo, et andoe a Bologna per praticar accordo col padre che quella terra regge et governa: in campo regio era pur abbondanza di vittuarie, ma pochi danari: li fanti si partivano et ancora qualche homo d'arme: et el parlamento et pratiche menava [76] esso Annibal Bentivoi col Duca di Calavria, che voleva suo fratello protonotario fusse dal Pontifice creato cardinal, perchè si no Bologna non era con loro ma gli era contra: et vittuarie per comun non era portade in ditto campo, ma per private persone de ogni sorte. Et a Bologna ogni notte si facea la guarda al palazzo et piazza per li cittadini con il magnifico fiol dil magnifico Joanne protonotario, zerca persone 1500: et a la casa di ditto magnifico Joanne Bentivoi vi è a custodia 500. Et in la terra fece venir tutte le so zente d'arme, et fanno la guarda a le mura la notte et a le porte.

Adi 13 el campo duchesco era ove ho ditto di sopra, penurioso de danari, excetto li Franzesi che pur ne havevano assà, et aspettavano per Po un gran maistro di Guasconi a pè, et si dovea levar, et venir a Villanova sul fiume de la Rafanara dil territorio di Bagnacavallo. Et in questa notte fo tratte assà bombardelle et spingarde in ditto campo, et fo per la rotta have Obietto dal Fiesco, la qual di sotto sarà scritto: et aspettava assà numero de Franzesi a pè et a cavallo, et artegliarie venivano per Po. Unde el campo si ristrense per dar loco a quelli dovevano venir, et adi 12 zonse 90 homeni d'arme franzesi, hanno principiato di far uno bastion sul fiume di Imola, sul qual sono allozati dal cao di Lamon verso Lugo, a la custodia dil qual messeno Nicolò Maria contestabile, con do bocche di bombardelle discoverzea la strada va verso la Massa. Ma pur tutti si lamentavano contra el conte Caiazzo, disendo non haver danari; et el conte si doleva dil sig. Ludovico non li mandava li danari, acciò desse le paghe, come era ragione; et poi ditto campo dovea andar ad allozarsi a Cantalovo sul fiume appresso Imola mia 5, et andando li campi sarieno distanti uno da l'altro solum mia zerca 7.

Adi 14 el campo aragonese, nel qual zonse do zorni avanti 8 squadre dil sig. da Pexaro per nome di la Chiesia, et do squadre di Bajoni da Perosa, et si divulgava dovea venir nel ditto Francesco Secco barba dil Marchese di Mantoa, el qual havea stipendio con Fiorentini da poi che scampoe di Mantoa, et habitava a Pisa: et ancora aspettavano Piero de Medici con danari.

A Ravenna adi ditto zonse Paulo Davissi veniva dal Cardinal San Piero in Vincula, andava a Sinigaja dal fradello dil ditto Cardinal, prefetto di Roma, el qual in quello tempo havea compito la condutta havea con Venitiani. Referite esser X giorni partiva da Turin, dove havea lassato la Maestà dil Re di Franza.

In questa notte a la Rocca dil porto Cesenatico fo applicate le scale, et essendo per el baiar di cani svegliato el castellano, comenzò [77] a gridar; et quelli scalavano ditta Rocca fuzite, nè se intese chi fusse. Fo visto cavalli 40 armati da la parte va verso Rimano; et tamen poi se intese esser stà Achille di Tiberti nepote di Polidoro, con alguni partesani, per esser di principali di Cesena; et questo feva a requisition dil conte di Caiazzo per tuor la comodità che 'l soccorso et vittuarie veniva per mar al campo regio, et etiam haria fatto bon buttino di biave, sali et munitione, le quale erano stà condutte in quella Rocca ne li preteriti zorni.

Adi 15 el campo regio se reduse a Legnaro, loco incolfato in una valle fra Dozza et Tussignano, distante da Imola do mia; loco fortissimo da sè medemo, per haver per scudo Imola, et havea vittuarie da Imola.

Lo duchesco si redusse a Santa Agata, terra dil Duca di Ferrara, et ivi si fortificoe con fossi, foraggi, sbarre alle strade verso Imola, con artegliarie: et a li repari per più custodia allozava le fanterie, e tutta la notte fece lavorar a li guastatori a lume di luna, pagati a uno carlin per uno al zorno. Adoncha li campi sono distanti mia 8; ma in questo ancora non era venuto danari, ma aspettavano.

Adi 16 zonse in ditto campo duchesco a Santa Agata la squadra di Fracasso, et fo fatte le spianate su la riva dil Po, a longo el Polesene di San Zorzi, da la banda verso Imola.

In questa mattina el conte de Caiazzo con uno squadron et balestrieri a cavallo si partì dil campo, et andoe verso el campo aragonese. Stette fora 4 hore, poi ritornò et a mezzo dil ditto campo si levoe et andoe verso Po; et questo perchè dubitavano el campo aragonese non venisse ad allozar a Mordano, pur loco de Imola, mia do vicino al duchesco, et credevano esser a le mane.

In questo zorno el campo aragonese, fatto di le fanterie tre squadroni che sono il forzo, balestrieri multi con curazzina, il resto lanzaruoli con curazzina tutti, pochi con targete, per numero zerca 3000; et fatto de tutte le zente d'arme squadroni 16, se avviono su la campagna, et venne fino a presso el campo duchesco zerca uno mio et mezzo. Et el Duca di Calavria con el primo squadron, con lo elmetto in testa et la lanza su la cossa, con proposito al tutto di far fatto d'arme. Ma vedendo che alcun non ussiva dil campo nemico, mandoe alcuni balestrieri lizieri a invitarli fino mezzo mio a presso el campo, et mai alcuno si appresentò. Tamen el campo duchesco si messe in ordine, et tutto in arme et le fanterie a li repari. Ma el Duca di Calavria, aspettato a la campagna per do hore, se ne tornoe a [78] Bubano, et li stette el campo tutto in arme fino fo allozato le fanterie. Et fatti li allozzamenti per li saccomani, ivi si puose ad allozar, et hanno per riparo el canal dil molino dinanzi, da l'altra parte el fiume, et da driedo Imola. Et li campi sono distanti l'uno da l'altro mia zerca do, et scaramuzeranno saccomanando insieme.

Adi 17 el conte de Caiazzo condusse fuora dil suo campo 14 squadroni, con li elmetti in testa et lanze, in una pradaria vicina al campo, et messe sbarre do attorno li repari ben forniti de artegliarie, et stetteno cussì. Si divulgoe Aragonesi era in arme, ma non seguite altro.

In questa mattina li saccomani ducheschi corse in su li confini di la Signoria al loco di Santerno sul territorio di Ravenna, et alcuni...... torse di strame. Ma inteso questo dal Podestà, scrisse al conte di Caiazzo, et adi 18 li mandoe do cittadini di primi con lettere credentiali in campo, lamentandosi di questo insulto.

Adi 18, li campi heri stetteno in arme tutti do, da hore 16 fino 21, et per el Duca di Calavria fo mandato uno trombetta al conte di Caiazzo, si voleva venir romper qualche lanza. Li fo risposto venisse mò a la campagna, dove si potesse operar li cavalli, et non star in questi paduli. Ma cadauno stete su el suo. Poi ditto trombetta tornò e invidò mons. de Obergnia (Auvergne) capitano de Franzesi, volesse elezer uno o più de li soi, et esso duca elezeria tanti de li soi calavresi, et che questi avesseno a experimentarse insieme. Ditto monsignor accettò lo invito, ma el conte de Cajazzo disse non voleva se facesse tal prova, perchè fra pochi zorni se farà dil tutto. Et tornato el trombetta dil duca di Calavria, el conte fè metter et venir balestrieri, schioppettieri et arzieri a cavallo et lui con lo elmetto in testa, presente ditto trombetta corse la lanza, et fece discargar a un tratto tutti schioppettieri, et li cavalli se reculavano, et da poi tornoe ditto trombetta un'altra volta, et disse che 'l duca era smontato et che lui poteva smontar: unde a hore 21 tutti do exerciti se disarmono.

El magnifico Joanne Bentivoi a Bologna et in Bolognese faceva preparatione di strami per la venuta di Franzesi.

Adi 19 el campo aragonese zonse questa mattina a Barbiano sotto Codignola, et el conte Carlo di Pian de Melleto soldato di la signoria, el qual adi 13 ditto zonse a custodia di Ravenna, fu in questo dì nel campo aragonese. Et accidit che li cavalli lezieri di campi si attaccorno, et le fanterie, al loco dil Molinazo: fo morti 5, et 4 Franzesi, et poi si separono. El campo aragonese adoncha era [79] fra Codignola et Santa Agata, fra doi fiumi, et el duchesco in quello di Santa Agata. In questo tempo molti patri ivi venite, et altri subditi di la Signoria andono in tutti da li campi; et da tutti erano ben visti, perchè Venitiani erano neutrali, ma molto più carezzati nel campo aragonese.

Adi 20 el campo aragonese levato da lo allozamento, avviato prima li cavalli lizieri, poi li squadroni, uno dil qual governava el duca di Calavria, l'altro Astero barone, da poi veniva le fanterie et di man in man le altre squadre, si redusseno a presso el fiume di Santa Agata con li soi corradori, et lì fonno a le man con li ducheschi che haveano passato el fiume predetto, et tuttavia passava le squadre fino numero 12 con el conte di Caiazzo; et per li cavalli lezieri et parte di fanti fu fatto una baruffa per spacio di una hora senza mesedarsi (?) in alcuna squadra, et in questa baruffa con spingarde, schioppetti et passavolanti fo morti di aragonesi 7 et feriti zerca 20; ducheschi morti 3 et doi presi, tamen feriti: li Colonnesi fonno condutti in Lugo a medecarsi. Il duca di Calavria da poi instoe de attacarsi, per esser superiore dil campo nemico di squadre zerca 20 et fanti 3000. Ma li Ducheschi si scusavano, dicendo aspettar zente franzese et italiane; danari era divulgato veniva de Milan, et erano in Modenese. Et el campo aragonese dovea hozi partirsi, et andar ad allozar a una villa di Lugo ditta el Pulentano distante dal campo duchesco uno mio, per tuorli la via delle vittuarie; et fece far la spianata, tamen non tenne tal via.

Adi 21 el duca di Calavria mandoe uno trombetta dal conte di Caiazzo a invitarlo a far fatto d'arme, et li rispose: sia con Dio. Tamen non venne.

Et in questa notte aspettavano Fracasso dovesse zonzer in ditto campo duchesco con alcune squadre, et si ingrossava di fanterie. Li danari erano zonti, et fece una cria, chi voleva danari, etiam si fusse fuziti, dovesse venir li sariano dati.

El Pontifice per causa di la ribellion fatta iterum di Hostia, come scrissi per avanti, in questi zorni scrisse al Duca di Calavria li mandasse le sue zente a Roma.

Et zonto el campo a Barbiano, el Podestà di Ravenna gli scrisse non lassasse far danno a quel territorio, perchè facendo, faria dispiacer alla Signoria. Unde el Duca rispose per una lettera sapientissima, concludendo era disposto prima lassar morire il suo exercito, che fusse fatto alcun danno a li subditi di quella excelsa Signoria.

Fo ordinato per la Signoria che 'l castellan di Ravenna non [80] dovesse ussir di castello, et che la terra fusse custodita: unde Andrea Da Lezze podestà duplicoe la custodia alla piazza (era Jacomo di Tarsia et Alvise da Novelli, contestabeli), et la notte ordinoe andasse le guardie deputade attorno le mure di la città; et cussì etiam a Cervia, dove era prima Alvise Bellegno, fo fatto, et custodito per dubito de subite incursion.

In questo zorno fo inchiodato uno passavolante a li ducheschi.

Adi 22, essendo el zorno avanti el conte di Pitigliano, Duca di Urbin, sig. di Pesaro, Zuan Jacomo di Traulzi andati a veder a presso Lugo el Molinazo, per volerse redur con alcune squadre in sua compagnia, se avviono verso el campo duchesco; ma li ducheschi non si mosseno di la riva dil fiume, dove havevano fatto uno revellin alveado, per el qual possano, a voler, venir a trovar calavresi, et ivi poseno 10 passavolanti, sì che niun vi po appresentarsi, sì che conveneno ritornar.

Adi ditto da mattina, pensando el campo duchesco che Aragonesi dovesseno venir ad allozar al Molinazo, si messono in arme; tamen se disarmono poi, perchè Aragonesi stetteno a Barbiano, pur erano volunterosi di precluder la via di le vittuarie a Ducheschi, et veder di redurli in loco habele a far fatto d'arme.

Adi 23 li campi stetteno in arme, ma stanno a le difese.

Adi 24 al porto Cesenatico a hore 9 fo un gran rumor, cridando: arme! arme! et le barche erano in porto da paura si levono confusi, lassando poi i soi corredi in terra. Et questo fo che la notte, da poi la luna levata, che fo a l'hora ditta, quelli di la rocca vete (videro) certi armati, et cridono: arme! arme! al qual cridar quelli fuzino. Li cittadini di Cesena stavano con gran dubito et timidità, si sforzava liberar le moglie et figli et lor bene, e portar fuora su quel di la Signoria, di Cervia et Ravenna.

Adi 25 el campo aragonese fece cavar certi fossi per tuor l'acqua al fiume, a presso dil qual era allozato el campo duchesco, acciò li fusse tolta la via di le vittuarie veniva per ditto fiume, et a hora ditto campo non pol haver vittuarie se non da Ferrara. Et questo campo aragonese stevano molto di malavoglia, zoè li principali, per causa dil perder di Hostia, dubitando el Papa non vogli le so 18 squadre.

Nel campo duchesco venne incognito et stravestito el sig. Antonio di Ordelaphi, fo de li signori de Forlì, per metter paura a madona di Forlì, acciò si voltasse da loro.

In questa notte ditto campo si levoe dal loco dove era allozato, [81] et andato verso Bologna; ma etiam in questa notte medema cavalcoe 8 squadre de Aragonesi verso el campo ditto, et trovato che quello era levato, ritornono indriedo; et etiam questo si levoe per andar seguitando el campo nemico. El qual se redusse verso el Fosso di Ziniul (Fossato del Genivolo); questo perchè, dove era, mancava vittuarie, perchè nè da Lugo, Bagnacavallo, Fusignano, Cotignola et Santa Agata non ne poteva haver, et li era tolto le acque, li molini propinqui non poteva masenar. El loco dove a hora sono redutti è di sito fortissimo, per haver da un canto el fiume, da l'altro li paludi ch'è drio el Po, zerca do mia et mezzo, davanti si fortificoe con fossi, repari et artegliarie, et per Po senza obstaculo haveranno le vittuarie.

El campo regio o vero aragonese, levato per seguir questo, si affermoe in quelli medemi lozamenti, dove era partito el duchesco, a Santa Agata su la strada maistra, et eran distanti mia 4 in 5 uno di l'altro. Le strade di andar in li campi in questo tempo erano rotte, et da saccomani si faceva gran danni.

Adi 26 el campo duchesco, essendo stà do zorni in extremità de viver, preso le spie et scolte de Aragonesi, fece comandamento secreto a homo d'arme per homo d'arme, che si dovesseno metter a li so ordeni per cavalcar a hore 7 di notte, el mercore venendo la zobia. Avviato prima li carriazi, cavalcono di trotto et non di campo et confusamente verso il fosso di Ziniul, et si allozoe di là dil fosso preditto a longo Po, fino per mezzo arzere. Ma l'Aragonese, intendendo questo, gli detteno driedo con li cavalli lizieri, et a le coazze preseno alcuni cavalli che non potevano cussì camminar, ma poco numero. Hanno mancamento ducheschi di strami per li cavalli, ma si ajutano con foje di salgaro, per esserne gran copia. Ma ditto campo regio si allozoe tra Lugo et Fusignano sul fiume dil molino, et havea abbondantia di vittuarie.

El conte di Pitigliano in questo tempo era ammalato fuora dil campo; tamen poco dapoi varite.

Et acciò el tutto se intenda, questo è il modo si levoe el campo duchescho di Santa Agata con gran taciturnità, non facendo motto alle scolte, acciò non fusse scoperte. Fo prima un bon squadron con una parte di la fantaria, poi li carriazi, poi le zente d'arme con li elmetti in testa et lanze su la cossa, poi le artegliarie con le soe carrette, driedo uno grosso squadron con el resto di la fantaria. Et una gran parte di balestrieri a cavallo andono per la strada, passò uno ponte sul quale fo bisogno a passar cavallo per cavallo, et si lo [82] Aragonese lo havesse de subito seguito, per la dimora dil passar, senza dubbio li haveriano rotti.

In questa sera, fo 26, zonse per Po 4 burchi di vittuarie et 4 squadre di Fracasso, et alcune lanze franzese, num. 600, et 4000 Sguizzari a piè; et el zorno avanti zonse tre squadre di ditto Fracasso, et 200 fanti condutti per uno contestabile bolognese: sì che questo campo se ingrossava.

Adi 27 el campo aragonese havea deliberato levarsi questa mattina, et andar allozar a le caxe di Troti, ma non andò, et le zente dil Pontifice si dovea levar et tornar a Roma.

Adi 28 da mattina zonse a Ravenna el sig. Zuane di Pesaro, partito di campo dil duca di Calavria, andava a Pesaro chiamato dal Papa con la sua compagnia, la qual pur era rimasta in campo. Subito montò a cavallo, et andoe senza altra dimora a Pesaro.

In questa mattina, el ditto campo si levoe, et andò a le caxe di Troti vicino al duchesco mia uno et mezzo.

Accadette in questi zorni che venendo di Venetia uno patricio chiamato Francesco Da Lezze, fiol di Alvise, insieme con uno cittadin di Ravenna in la sua barca, fatto la via di Ferrara per venir poi per Po a Ravenna, credendo questa fusse più sicura; et inteso Franzesi che veniva uno Venitian et uno secretario ragonexe[103] da Venetia per quella via, et portava, ut dicitur, ducati 60 milia nel campo a loro nemico, da uno capitano de Franzesi chiamato monsig. Baylo de Trevi (?) et Filippo de Monton fue lì a la riva dil Po, dove era el ditto campo, retenuti, et diligentemente examinati et cercato per tutta la barca. Et letto le lettere havea fatto paura a li famegli, et trovato non era alcuna cosa, licentioe ditto patricio, pur dubitando sempre non andasse a far qualche mal contro di loro: et gionse a Ravenna.

Adi 19 el campo aragonese deliberoe con 50 squadre et cavalli lizieri et parte di le fantarie andar trovar li nemici fino al fosso di Ziniul, oltra dil qual erano allozati; et mai ditto campo duchesco si vuolse muover: per la qual cosa questi ritornono a li primi alozamenti, et aspettavano el fradelo dil marchese di Mantoa con 50 homeni d'arme, et alcune zente de Fiorentini.

Essendo el sig. Fracasso allozato in una villa in Bolognese, per venir in Annibal Bentivoi con do squadre de homeni d'arme et certi cavalli lezieri con alcuni fanti a pè, vi andoe per svalizarlo, et precluderli [83] la via, ma non potè far nulla. Et zonse in campo adi ultimo ditto con alcuni cavalli lizieri.

In questi zorni ritrovandosi do franzesi di primi dil campo ammalati, el duca di Calavria li mandono a dimandar a quei di Lugo; i quali resposeno non voleva senza comandamento dil duca di Ferrara loro signor. Et iterum li mandoe a dir che, non dagandoli, le daria el guasto: unde quelli, timendo, fè compagnar li ditti in campo preditto; et habuto el duca con loro colloquio, li remandoe in Lugo a risanarse senza farli dispiacer.

Adi 31 ditto, essendo zonto el sig. Fracasso in campo, et facendosi far certo riparo e taiata dinanzi al fosso di Ziniul verso il fiume per più fortezza, Fracasso disse: non vò star in questo seragio, et ho ditto al Re di Franza non vò obedir niun, salvo mio padre, duca di Ferrara. El conte di Caiazzo diceva nel suo campo: state contenti, che fino 8 zorni sentirete uno schioppo che 'l duca di Calavria convegnirà tornar indriedo.

Et cavalcando adi 30 Zuan Jacomo di Traulzi con do squadre, et zerca 40 fanti con el marchexe di Pescara per sopra veder, si scontrò in Zuan Filippo vice collateral a Ravenna, et li disse: son di vostri, et servitor de quella Illustrissima Signoria, a la qual mi raccomandarete; et li fece bona et perfetta compagnia.

Et V ultimo dil mexe di Settembrio preditto, el campo aragonese si levò dil loco dove era, et se ridusse sul fiume di Santa Agata in li propri allozamenti dove allozava Franzesi, ch'è tra il fiume et Santa Agata.

Seguito di l'armada aragonese a Rapallo.

In questo tempo l'armada dil re Alphonso, andata innanzi et indrio, et hora a Pisa hora altrove, et qualche danno sul mare a Zenoesi fece. Or adi 8 Settembrio, dismontati di la ditta armada Obietto dal Fiesco prothonotario, Orsino fiol dil cardinal Orsini, et Fregosin da Campofregoso fiol dil cardinal di Zenoa, el qual etiam lui ivi si ritrovava, et dismontati in terra a Rapallo, ch'è una terra de Zenoesi verso levante assà grossa ma non ha castello, lontano di la città di Zenoa zerca mia XX, et dismontato ditto Obietto capo di parte, però che in Zenoa sono do grandissime parte principali de zentilhomeni, che sono signori di castelle, zoè Spinola et Doria, a le quale seguita tutto il resto de zentilhomeni, et cadauna parte ha la sua de capellazi, i quali convien di tal sorte esser doxi, come poi [84] più avanti tutta la hystoria et perchè scriverò di sotto. Or la parte Doria ha Fieschi, Grimaldi et Montaldi, et è per capellazo Fregosi; la parte Spinola ha Lomellini, Pallavixini.... et altri, et per capellazo li Adorni. Adoncha hora domina li Adorni, hora li Fregosi el ducato. Al presente li Fregosi erano scacciati, et però el preditto Obietto dal Fiesco era contrario a la parte che regnava, zoè Agustin Adorno, al presente governador di Zenoa, benchè de quella el duca de Milan habbi el dominio, et se intitola signor di Zenoa. Ma, al proposito nostro, dismontati questi partesani, haveano modo di haver uno ponte et una torretta. Ma inteso in quel zorno medemo a Zenoa tal nuova, subito Antonio Maria di San Severino, Zuan Adorno capitano di le fanterie, fradello dil governador, et Zuan Alvise dal Fiesco, fradello de ditto Obietto, el qual tien dal duca di Milan, et con alcuni Sguizzari ivi erano col duca di Orliens, che si ritrovava a Zenoa, et a le hore 24 a la sera assaltono li nemici, zoè 500 fanti di ditta armada, et quelli ruppe et fugoe, et poco mancò non prendesse ditto Obietto, el qual fuzite su l'armada solo, ut dicitur, in zipone: fo preso Orsino fradel dil cardinal Orsini, et Fregosino nominato di sopra, et menati a Zenoa; et li fanti fuziteno chi in qua et chi in là. Ma li Sguizzari andando seguitandoli, inteso in uno hospedal di San Lazzaro ivi erano redutti zerca 60 de ditti fanti, introno dentro, et quelli altri feriteno, altri fonno morti, ammazzando etiam de li poveri era in ditto hospedal; et vedendo quelli di la terra questo, deliberò di non sopportar tal insolentia, et se messeno in arme, et fonno a le man con ditti Sguizzari, de quali ne fo morti zerca 25, ma fuzito Obietto su uno bregantino, et andato a Livorno a l'armada aragonese. Fregosin fo portato al duca di Orliens, lo qual lo mandò in Aste: preso taia ducati 8000, nè mai volse renderlo per cosa niuna, ni per lettere dil Re di Franza quando si pacificò a Napoli con suo padre cardinal di Zenoa, et è ancora ivi presone. Orsino veramente fu donado al signor Ludovico, et poco da poi lassato. Et è da saper che in questo tempo, adi 8 Settembrio, l'armada dil Re di Franza ussite di Zenoa, zoè galie 24, una galeazza, 8 nave et 17 galioni; et in questo tempo ivi era el duca di Orliens, el qual andò per terra[104] con Antonio Maria di San Severino et persone 6 milia, et si ritrovò alla movesta scritta di sopra. Ma da poi ditta armada ritornò in Zenoa, et el Re, venuto in Aste, [85] scrisse al duca di Orliens ritornasse, et cussì ritornò, et li venne la quartana, come ho scritto di sopra.

El viazo dil Re di Franza da Susa fino in Aste, et quello fece in Aste.

Zonto el Re al primo di Settembrio a Brianzon, poi a Olso (Oulx) mezza zornada distante da Susa, dove el zorno seguente venne, et è di qua da monti, in la Savoia. Le zente soe zà erano venute avanti, et etiam bona parte le seguitava de varie generatione, zoè schioppettieri et arcieri anglesi, bertoni con lanze longe, sguizzari, normandi, piccardi et di altri paesi, come a la descriptione dil suo esercito sarà scritto, con 40 carrette di artegliarie tirate da molti cavalli. Or venne a Vegliana (Avigliana), demum adi 5 intrò in Turin, dove habita el duca di Savoia: tamen quello Stado è a lui raccomandato. Questo duca presente fu figliuolo dil duca Carlo, che morite nel 1490, è di età de anni zerca 5, et la madre governava quello Ducato insieme con Felippo mons. di Bressa in Savoja, el qual venne con el Re in Italia, et era di primi capitani, ma molto nemico di mons. Samallo. Ma zonto el Re a Turin fu molto da quella madona, per esser suo parente, honorato. D'indi partito, venne a Moncalier, et poi adi 9 ditto intrò in Aste a hore 24; ma prima adi 5, el sig. Ludovico parti di Vegevene et venne in Alexandria di la Paia, et adi 8 el duca Hercules di Ferrara, suocero di esso Ludovico, etiam venne con cavalli 200 lì in Alexandria, et in quel medemo zorno tutti do questi signori si partino, et andorno a Non (Annone), ch'è alli confini di Aste, pur dil Stado de Milan, et quivi si allozono. Et adi 6 ditto, Zorzi Pisani dottor et cavalier, ambassador di la Signoria, venne da Vegevene in Alexandria di la Paia per seguitar el sig. Ludovico, perchè cussì haveva in commissione de seguitar la corte, et ivi si puose, dove stette fino che ritornò a Milan: et questo fo perchè a Non (Annone) non era alozamenti d'avanzo, essendo lì allozati chi vi era.

Adi 8 el Cardinal S. Piero in Vincula intrò in Aste avanti el Re, et allozò in la terra in uno Priorà di San Zuane. Hor el zorno driedo, che fo adi 9, la persona dil Re intrò, li andò contra mia do di là di Aste el duca di Ferrara, havendo butato el corrotto di la moglie morta di breve, et el sig. Ludovico suo zenero. Questi, visto la Maestà dil Re, volseno dismontar da cavallo, et il Re non volse; [86] ma cussì a cavallo si toccono la man a la franzese, et in mezzo di loro el Re intrò in Aste, con zerca 6000 persone.

La duchessa di Bari, madona Beatrice, moglie dil sig. Ludovico et figlia dil duca di Ferrara, venne da Milan con 20 sue damiselle et 20 zentildonne da Milan a Non (Annone), et cussì adi 10, che fo el zorno driedo che intrò il Re, a hore 20 andò con el marito a far riverentia al Re, con le qual donne el Re stette insieme serrati per hore 3, nè vi era altri che il Re, esso sig. Ludovico, mons. Felippo (de Bresse?) et il marchese di Salucio (?), et ditte donne, per esser l'ora tarda, restono lì in Aste quella notte con el sig. Ludovico. Questo loco di Aste, con alcuni castelli circonvecini, è dil duca de Orliens, altre volte li soi habuto in dota da li signori de Milano. Et è da saper, che esso duca s'intitola duca di Milano, dicendo, jure haereditario, lui dover haver tal dominio. Questo duca è zerman etiam dil Re, figliuolo di la sorella dil Re, et per altra linea è di prole regia, adeo, morendo Carlo senza legittimi figlioli, li vien la corona, come ho scritto di sopra. Et al presente si ritrovava a Zenoa, et il Re subito zonto li scrisse dovesse ritornar da lui. A consultar el qual, adi 15 Settembrio passò per Alexandria di la Paia; era con lui Fregosin fiol dil Cardinal et Orlandin Fregoso, presoni nominati di sopra. Et adi 21 ditto, da poi etiam che el Re si ammaloe, ditto duca si ammalò di doppia quartana, et convenne restar in Aste a curarse, a tempo che era volonteroso di far gran cose.

Ma el Re havea con lui molti baroni di Napoli o vero dil Reame, parte di qual qui sarà notadi. Era el prencipe di Salerno zà andato a Zenoa, el marchese di Cotron, conte di Chiaramonte, conte di Celano fratel dil duca di Melfi, tre figlioli dil principe di Busignano etc., i quali erano molto alliegri, vedendo la cosa andar da dovero. Era ordinato per il Re di mandar a Zenoa per l'impresa marittima 600 lanze, capitano monsig. di Mompensier, questo è cugnato dil marchese di Mantoa presente, et 3000 fanti tra Sguizzari et Guasconi; ma poi, consultato meglio, non mandò. Monsig. de Citen, era ambassador a la Signoria, nel principio che intese el Re esser di qua da monti, andato in collegio expose la venuta dil suo Roy, et come voleva tuor licenza per andarli incontra: et cussì partite di Venetia, et zonse dal Re, al qual riferite el voler de Venetiani, et bona compagnia si haveano fatto, laudandoli summamente; ma ben diceva l'aiere non li comportava di star quivi.

El Re adi 13 Settembrio si ammalò; le porte dil suo palazzo era serrate et sbarrate le strade, perchè li venne uno subito et cattivissimo [87] mal, con gran freve. Havea con sè molti medichi, tra i quali uno maistro Theodoro da Parma, al qual li prestava gran fede, et nel principio parse fusse ferza, ma poi si discoverse in verole, li qual li duroe zorni 14.

La duchessa di Bari havea ordinà, el zorno el Re si ammalò, di far una bellissima festa a trombe et piffari, con quelle donne era in sua compagnia, benissimo adornate: ma seguite tal egritudine, et non potè far, et retornò a Vegevene.

El marchese di Monferà, di età di anni 10, che fo fiol dil marchese Bonifacio, che successe Guielmo suo fradello morto senza heredi nel 1482; el qual da poi la morte dil padre da li populi fu chiamato per signore: et la madre, che fo figlia dil despota di Servia, di età giovene licet fusse in uno vecchio maridata, quello Stado per il fiol governa, insieme con el sig. Constantin Arniti (Arianite), che fo figlio dil sig. Arniti Concino (?) suo parente, venne in Aste con 300 cavalli benissimo in ordine, per invidar el Re a Casal da la marchesana sua madre, la qual el Re summamente desiderava di veder, per esser bellissima. Zà era venuto contra el Re el prefato sig. Constantin Arniti fino a Turin, a offerir el Stado di quella madona a esso cristianissimo Re, et invidarlo a Casal. Et zonto in Aste ditto marchese adi 17, andò a visitation dil Re era in letto ammalato, stette un quinto di hora, et usato poche parole tolse licentia, et ritornò in Monferà.

Adi 14 essendo el Re ammalato, Franzesi pur mormorava di dover venir in Italia, et molti volevano ritornar in Franza; per la qual cosa monsig. di Sammallo, et monsig. di Beucher erano molto di mala voia, che i loro pensier non avesse effetto. Et cussì in questo zorno, questi con 4 altri, zoè monsig. di Sammallo ditto, monsig. di Tiens (?), monsig. di Beucher, el gran Siniscalco de Giae et monsig. di Camperoso (?) veneno in Anon mia 5 distante de Aste, dove era allozato el sig. Ludovico, per consultar quello havesseno a far, zerca a l'impresa. Et qui consultato gran cose, zoè el duca de Ferrara si fece baron dil Re, e tramava di esser capitano di questa impresa, licet andava contra el cugnado, dal qual, al tempo di la guerra have con la Signoria di Venetia, fo aiutato, et per questo.... promesseli pavioni (padiglioni) 100 da campo, i quali el Re libentissime acceptoe, dicendoli si volevano pagar, tamen mai li dette nulla. Questi franzesi soprascritti consultono con el sig. Ludovico, qual via dovesse tenir el Re, o andar a Zenoa, o andar in Toscana dove era bisogno menar le man, non havendo Fiorentini con lui, et si divulgava [88] che el Re voleva andar a Zenoa, et voleva la Castellina ch'è la principal fortezza di quella città; la qual per Zenoesi, con voluntà dil sig. Ludovico, non fu voluta dar. Pur el mal cresceva al Re, et questi dubitavano non seguisse qalche cosa, per la qual fusse disturbato questa impresa. Et el sig. Ludovico adi 17 mandò in Aste a veder el Re maistro Ambrosio de Rosate (Rosciate) suo medico et ottimo astrologo, et visto, conoscete esser varuole, le qual zà se discoverzivano su la persona; per la qual cosa tutti comenzono a star di bona voja, perchè saria mal breve, come fu. Et adi 21 el Re levò di letto; nel qual zorno el duca di Orliens si butò al letto con doppia quartana, come ho ditto. Consultavano ancora insieme el sig. Ludovico, duca di Ferrara et sig. Galeazzo di Sanseverino, nè altri de soi consiglieri vi intrava a tal consultatione: et pur spazava franzesi a la volta di Parmesana, provedendo de alozamenti, perchè lì in Aste non vi poteva capir tanta multitudine quanta era. Et el sig. Ludovico preditto andava di Anon in Aste spesso in questi zorni era ammalato, per visitarlo.

El duca de Ferrara vedendo non esser fatto quel cavedal di lui dal Re, che si credeva, nè potendo obtenir el baston d'esser capitano di l'impresa, deliberò ritornar a Ferrara; et volendo tuor licentia dal Re adi 22 Settembrio, non potè ma la mandò a tuor per suo fiol don Ferrante, era con il Re; et cussì assà mal contento in questo zorno partite di Aste con il n.º di cavalli, zoè 100, perchè zà adi 13 havea rimandati a Ferrara altri 100 cavalli, era venuti in sua compagnia. Et è da saper che Ferraresi comenzono a levar habiti franzesi, con cappelli in capo, et cussì usono tal foza, et usa fino al presente.

El Re tolse danari a Zenoa docati 100 milia, et a Milan 50 milia a usura et interesse, con pegno di zoie; piezò el sig. Ludovico; tamen fu divulgato esso sig. Ludovico haverli fatto prestar questi denari da li soi, sotto nome de altri: or, quomodocumque sit, el Re have questa quantità. Et adi 22 li have, et adi 26 ordinò di dar una paga alle sue zente adi primo Ottubrio: et cussì fece et dette. Et vedendo non esser ambassador a Venetia, dove grandemente bisognava, per esser advisato dil progresso di quella Signoria, et per mantenirla a sè benivola, elesse et mandoe uno de soi primi, chiamato monsig. di Arzenton, homo di grande inzegno et bella presentia. El qual adi 25 Settembrio partì dal Re et venne di longo a Venetia, et gionse adi 2 Ottobrio: al qual li fo mandato contra le peate fino a Lizza Fusina con molti patricii, et fo assà honorato. Alozoe a san [89] Zorzi Mazor, et sempre li fo fatto le spexe, dato barche, et provisto a quello li bisognava. Questo dimandoe prima audienza publica. La qual data, disse come la Mayestà dil suo Roy era in Aste, venuto per seguir l'impresa tolta per rehaver el Reame de Napoli, tenuto contra ogni razon da Aragonesi, et che voleva haver sempre la Signoria per boni amici, offerendo el Re in ogni cosa; et che di tutto el suo progresso faria participe essa Signoria, perchè era certissimo ogni suo felice prosperar sarà contenta. Al qual per el Principe li fo usato in risposta parole accomodate, et cussì ditto ambassador qui restò; et poi, dimandato auditori, li fonno dati per Collegio questi: Andrea Venier consiglier, Lunardo Loredan procurator savio dil Conseglio, et Alvise Damolin savio di terraferma. Venne ancora con lui uno suo cognato con alcuni franzesi per veder la terra, la quel vista, ritornono dal Re.

In questo mezzo, adi 22 Settembrio, venne in Alexandria di la Paia Zuan Battista Redolphi orator fiorentino, per esser a parlamento con el sig. Ludovico in Anon. Et uno secretario dil sig. da Pesaro era lì dal sig. Ludovico, el qual voleva acordarsi con il Stato di Milano, si partì. Et questo perchè el suo sig. era accordato col Papa. Et ditto sig. Ludovico mandoe uno collateral in Parmesana a far 3000 fanti, per mandar nel suo campo.

La Signoria de Venetia scrisse a Zorzi Pisani ambassador, dovesse andar in Aste, et far riverentia nomine Dominii al Re, et alegrarsi di la sua valitudine. Et cussì adi 26 Settembrio partì di Alexandria di la Paia, et andò in Anon dal sig. Ludovico, per causa non poteva star in Aste, per non esser alozamenti. Et ivi era col Re 6000 franzesi, tra i quali 500 vasconi. Ma in questo medemo zorno el cardinal San Piero in Vincula partì di Aste per andar a Zenoa a expedir l'armada, non potendo tornarvi el Duca de Orliens per l'egritudine havea: et l'ambassador preditto deliberoe andar in l'abitation dil ditto Cardinal, la qual era vuoda. Et cussì adi 28 intrò in Aste. Li venne incontra monsignor de Sations (Châtillon?) zamberlan cavalier, lo episcopo di... et il conte Carlo di Belzojoso nominato di sopra, che era presso il Re per nome del sig. Ludovico: et questi veneno fuora di Aste con cavalli 80, et zonto l'ambassador ditto ivi, el conte di Celano, fora uscito di Napoli, el qual molto sollicitava il Re andasse a Napoli, lo venne a visitar. Et poi adi 30 ditto, lo episcopo di...., presidente dil parlamento di Paris, con 4 zentilhomeni franzesi, fonno a visitation di l'ambassador preditto, excusando la Majestà dil Re che fina hora non li havea data audientia, [90] per causa non si havea sentito molto gaiardo, ma che di breve gliela daria. Et cussì al primo de Ottubrio fu deputata la audientia, ma li venne al Re dolor di stomaco, et fo remessa fino adi 3. Et è da saper che il Re prima stava in uno palazzo; ma, varito, andò a star a uno monasterio de frati de San Zuanepolo, chiamato le Madalene. Or in questo zorno venne lo episcopo di.... presidente dil parlamento di Garnopoli (Grenoble) con 4 altri baroni franzesi per ditto ambassador, et lo menò a la presentia dil Re, el qual era presso una fenestra, sentado, vestito de veludo negro, et eravi el sig. Ludovico, el qual continuamente andava zoso et suso da Anon in Aste, tamen veniva a dormir la sera in Anon dove era la moglie. Or, presentate le lettere credentiale di la Signoria, volse el sentasse ditto ambassador a dextris su una cariega, et a sinistris era sentato el sig. Ludovico. Et fata una oration latina, el Re li feze risponder latine per ditto presidente nominato di sopra; poi esso medemo disse: nui vi habbiamo veduto veramente volentieri, et amemo molto quella Illustrissima Signoria, et si heri non ve aldissemo, habbiatine per escusato. Et tolto licentia, ritornò l'ambassador al suo allozamento. Et adi 5 iterum tolse licentia per partirsi di Aste, et ritornò in Alexandria.

Era con il Re in Aste don Alphonso de la Sylva, ambassador dil Re di Spagna; et adi 26 Settembrio zonse uno ambassador di lo episcopo di Vallese capitano de Sguizari; et adi 3 Ottubrio venne Jacobo de Andria ambassador dil marchese di Mantoa, pur per visitar el Re, et offerirli el Stato suo, et allegrarsi de la sua sanitade.

In questo mezzo la Raina de Franza era in Ambosa, et el Duca di....... da Molins (Moulins) scrisse lettere al Re che dovesseno ritornar, disconsegliando molto el seguir de l'impresa. Per la qual cosa et monsig. di Beucher et Samallo stavano molto di mala voja, vedendo etiam el Re non haver danari; pur Constantin (?) provedeva al tutto. Era zà de qua da monti, come se intese, lanze 1900 a cavallo, 6 per lanza, et il Re havea alla guardia sua 200 balestrieri, 400 arcieri et 200 zentilhomeni; havea 8 carrette con 8 passavolanti sopra, tirate da X cavalli; et la sua guardia de dì et de notte steva armada. Et adi 29 Settembrio 100 lanze franzese fece la mostra fuora di Aste, che fo bellissimo veder; ma erano molto insolenti. Et adi 6 Ottubrio Anon si levò in arme per la insolentia de Franzesi, perchè havevano amazzati zerca 50 di quelli lochi vicini, ma poi fu pacificate le cose.

Ma il Re di Franza, essendo exortato dal sig. Constantin Arniti [91] per nome di la marchesana di Monferà, si volse degnar di venir fino a Casale, deliberoe di andarvi, et cussì adi 7 Ottubrio partì di Aste et andò a Casal. Ma lasciamo quivi el Re, et a quello fece li campi de Romagna, et prima dil re Alphonso, le operationi sue.

Quello fece re Alphonso in Reame.

El re Alphonso, domente el Re si propinquava in Italia, andò in diversi luoghi dil Reame, confortando li popoli, promettendoli et facendo molte gratie, fortificando li passi. Et adi 11 Settembrio ritornò a Napoli, che era stato in Apruzo. Et adi 22 partì, et andò alla volta di San Zermano, et l'ambassador Venitian rimase a Napoli; et adi 2 Ottubrio havendo precepto di la Signoria di seguitar el Re, si partì per andar a trovarlo, et trovò el Re era allozato a Mola, città a marina, di qua dil fiume Garigliano, sopra dil qual el Re havea fatto far in quelli zorni uno ponte sopra otto navilioti, per passar le zente d'arme, et etiam poco più distante da questo ne fece far un altro per passar le artegliarie; et a...., loco denominato da una città lì presso ruinata al mare, et adhuc par le vestigie, era allozato el campo dil preditto re Alphonso mia 3 luntan da Mola; el qual campo fu fatto a l'impeto de Colonnesi.

Adi 4 el Re partì da Mola con l'ambassador preditto, et intrò in Gaeta. Fece honorata intrata, li venne incontra el clero con il pallio, iuxta morem, et adi 5, fo di Domenega, cavalcò per la terra, poi verso sera al porto; et fu fatto gran luminarie per le case, et dai navilii et nave in honor et leticia dil Re.

Et adi 6 partì per Fondi, passando per il castello de Itri, per andar a Terracina, dove ne l'andar quella via salizata per Appio Claudio Ceco eodem lapide ditta Fondi, ch'è cosa bellissima. Et adi 8 ditto, veneno vicino a Terracina, città dil Papa, la qual el Pontefice concesse a esso re Alphonso, che vi ponesse custodia, et quella come sua fortificasse per conservation dil suo Reame; la qual è a confin de ditto Reame, et mia 40 da Roma. Et quivi venne el campo ad allozar ben in hordine, di squadre 16, partito in 30 parte tra balestrieri, fanti, galuppi et homeni d'arme: poi el Re andò a Terracina et l'ambassador veneto ritornò a Fondi ad allozar, che era mia X luntano. Et poi adi 5 Novembrio, havendo da conferir con esso re Alphonso, partì da Fondi, et venne dal Re, el qual era a la campagna in mezzo dil campo allozato in una chiesetta, et el dì seguente Sua Maiestà con il campo partite, et venne a Fondi, et i 20 carri [92] de artegliarie che havea ivi fatto condur da Napoli con gran fatica fino a Terracina, comandò ritornasse indriedo, et la caxon non se intese. Et cussì adi X ditto, con el campo che era stato uno mese a Terracina, venne a Mola, castello olim ditto Formiano, distante da Fondi mia 10. Et adi 12 el Re con l'ambassador andò a Gaeta mia 5, et la sera ritornò a Mola. Et adi 13 partino da Mola, et andono a uno castello in monte chiamato Traietto, dal qual è una amena e grata prospettiva, et mia do de lì vi passa el fiume Garigliano, et poco luntan de lì è uno monte battuto dal mare, ditto Monte Arzento, dove fu una terra ditta Monte Arzento, la qual fo derelitta per le incursion de Mori, et andono ad habitar su uno altro monte mia 4 luntan, si chiama Traietto quasi Traitto etc.

Successo di quello seguiteno li campi in Romagna di Ottubrio et Novembrio 1494.

Come ho scritto di sopra, li campi de Romagna, lo Aragonese che era alla fin di Settembrio più potente del Duchesco, era allozato sul fiume di Santa Agata sul Ferrarese, et il Duchesco al Fosso di Ziniul in su la riva di Po. Quello seguirà qui sotto sarà scritto in questi tempi.

Adi 2 Ottubrio gionse a Ravenna el sig. di Pexaro, per ritornar in campo. Notificò Camillo Vitello dovea venir con suo fradello con squadre 5, et era accordato con el re Alphonso: tamen poi si accordò con el Re di Franza.

In Cesena fo ritenuti tre per trattado, el qual fo discoverto nel campo franzese. Adi primo Ottubrio zonse da Modena per primo 200 fanti ben in ponto et lì aspettava de ingrossarsi. Ne l'aragonese si fortificava di bastioni et ripari, et forsi haveano abundantia de vittuarie, et brusoe li strami di Lugo et Fusignano, verso le case di Trotti, et ogni zorno facevano qualche scaramuzza fra fanti et balestrieri col campo nemico che li era molto vicino.

Et Nicolò di Marcheselli da Rimano, cao di squadra di 40 balestrieri, andato per redur qual cosa nel campo, fo discoperto da Franzesi et preclusa la via di ritornar. Unde li fo forzo andar a Cothignola, et passar per il territorio de Ravenna, si volse ritornar nel suo campo.

Et in questo zorno zonse nel campo franzese X squadre italiane, zoè el sig. Antonio Maria di Sanseverino, era stato a Zenoa con 5 squadre sue, et cinque dil sig. Galeazzo suo fradello.

[93]

In Cesena adi do di notte a hore 4 intrò dentro la terra el conte di Petigliano con cavalli 50, partito dil suo campo, et subito zonto fo retenuti questi cittadini di Cesena: Tiberto Brandolino fo fiol di Sigismondo, con alcuni altri. El qual confessò, lui, Guido Guerra, Pulidoro Tiberti et Achille suo nepote erano daccordo de dar la terra al sig. Lodovico; el qual Tiberto era a li stipendi dil Papa, ma essendo casso, era stato in Cesena senza altro soldo, solum con tanse per curaze X. Or el ditto conte fece chiamar el consiglio, et manifestar la ritention, et quello havevano concertato di far, et come hozi a hora di disnar dovevano in palazzo amazzar el governador per nome dil Pontifice, che ivi in Cesena era amico molto di ditto Tiberto, et questo dovea far hozi adi 3, per esser zorno di mercato, per haver el favor de li contadini, et volea levar le insegne dil sig. Ludovico, et questo confessò senza tortura. Et parendo molto stranio questo al conseio, volevano al tutto ditto Tiberto fusse morto, strassinato et squartato: ma el governador dimandò di gratia al conseio li volesse perdonar; et loro resposeno non voler sopportar per niente. Ma il conte di Petigliano, lassato 30 ballestrieri a custodia di Cesena, ritornò in campo subito, et mia do distante di la terra trovoe do cavalli veniva verso di lui a notificarli che 'l ritornasse, perchè Fracasso era partito con alcuni cavalli lizieri di campo per piarlo. Et ritornò a Cesena, et ordinò non fusse dà recapito a questi adversarii dil Pontifice. Pur a la fine partite de lì 3 zorni, et zonse nel suo campo. Et Cesena era custodita; non si averzian le porte se non tardi, et seravano molto per tempo, mutavano guardie di zorno in zorno: et il governador adi 8 deliberoe mandar in campo dil duca di Calavria Tiberto Brandolin preditto, et uno altro chiamato el prete bolognese, acciò facesseno quello li piaceva.

Adi 6 Ducheschi o vero Franzesi feceno, et fue compito, uno revellin attorno la hostaria dil Fossà di Ziniul, per metter li fanti a custodia di quello passo.

Adi 7 zonse nel ditto campo do burchii di fanti forestieri di Parmesana, zerca 400, et attendevano a fortificar el revellin, aspettando con desiderio più Franzesi. Et poi adi.... ditto, zonse i 500 provvisionadi italiani in cinque burchi, sì che continue si andava ingrossando.

Adi 8, etiam el zorno avanti, nel campo aragonese fo fatto conseio sotto el pavion dil duca di Calavria, di quello havessero a far, perchè intendevano el campo franzese doversi levar per venir più avanti. Et in questi zorni in questo campo l'ambassador dil re Alphonso [94] veniva a Venetia, chiamato Zuan Battista Spinelli, dottor et cavalier; el qual, fatto la volta di Ferrara, venne a Venetia per starvi. Fu molto honorato, et provisto di caxa preparata per la Signoria sul campo di San Polo, dove zà erano stati do altri oratori napoletani, et fu assà honorato, et andava spesso in Collegio, exhortando la Signoria a moversi per il suo Re, et conclusive fu detto fidelissimo ad Alphonso fino in fine, come dirò al loco suo.

In questo zorno zonse a Cesena Mariano et Paulo Savelli, zoè padre et fio, con 8 squadre per andar nel campo regio, et in Porto Cesenatico zonse uno navilio cargo di orzi et formenti, venuto di Reame per subsidio dil campo.

Adi 10 da matina, el campo aragonese si levò per allozar ad Onegalia, dove alias allozò Bartolomio Coglion, come ho scritto, et sul fiume di Lamon, in mezzo Solarolo territorio di Faenza, Castello Bolognese et Faenza. Et mandò a brusar nel borgo di Cothignola li strami, ma fono sentiti, et non potè far, ma per il meglio deliberano d'allozarsi sotto Faenza verso Imola, et cussì fece. Et si dovea levar el zorno driedo per Bertonoro terra dil Pontifice.

Adi 9 el conte di Caiazzo, Fracasso con molti cavalli andono a San Paulino, loco di Bagnacavallo sul fiume di Cothignola, et questo fo per sopraveder il loco; et zonse adi X nel suo campo 700 Sguizari fra balestrieri et lanzaruoli, et 400 provisionadi di Parmesana, et 12 burchi de artegliarie. Madona di Urbin, zoè la duchessa et el sig. Ottavian so barba, fece 3000 fanti dil paese, per obstar a Camillo Vitello et Paulo suo fratello, non andasseno contra el Re di Franza: i quali venivano con X squadre, computà do de balestrieri, et fanti 1500. Et questa nova si have per lettere dil Vicario dil conte Carlo di Pian de Meledo.

Adi X ditto fo preso uno secretario dil sig. Ludovico venia da Forlì, et menato nel campo dil duca de Calavria, confessoe Madona esser in stretta pratica di accordarse con il Stato de Milano et il Re di Franza.

Adi 13 el conte di Caiazzo, havendo opinione di levarsi dove era col campo, mandò il bando tutti dovesseno levarsi; ma monsig. di Preran capitano de Franzesi non volse, dicendo volea aspettar zente fresche, le qual di breve sariano lì. Et la note avanti a hore 7, cavalli 150 lezieri, et 150 fanti pur franzesi et italiani mescolati, veneno al loco di Santa Agata; et inteso questo per spie el duca di Calavria, che ancora questi non credeva dovesseno saper nulla, et mandò per el doppio de cavalli et fanti, et quelli assaltono ne li allozamenti, [95] et preseno tutti li cavalli et fanti, et brusò li allozamenti. Ne fo morti et feriti assà, et parte fono spogliati et lassati andar secondo il costume dil guerrizar italiano, altri menati in campo presoni.

Adi 16 el campo franzese si levò da Fossà di Ziniul, et venne a Santa Agata in quelli aizzamenti, i quali fono refatti: et aspettavano el marchese di Salucio con squadre 20; et le artegliarie adi 17 fono cargate su carrette de do ruode l'una, et con assà cavalli lì a Santa Agata tirade, et lassò custodia al bastion dil Fossà di Ziniul.

Adi 19 el campo aragonese era sotto Faenza, mal conditionato per li fangi, aque et freddi, con poca vittuaria et manco strami. A Faenza el formento valea bolognini 50 la corba, ch'è uno staro, come ho scritto.

El campo franzese fece uno assalto a Mordano, loco ymolese ma non lo poteno ottenir; pigliò alcuni cittadini et bestiami, et quelli condusseno in campo: ma dal conte di Caiazzo fono relassati liberamente, et pur li erano a torno ditto loco de Mordan. Ma li cittadini tolseno termene per tutto doman a rendersi, non li venendo soccorso: et subito spazoe a Madona a Forlì.

Adi ditto volendo pur al tutto Franzesi haver qualche luogo per lozamento, venendo l'inverno, voleva pur questo Mordano et Bubano, ch'è lochi sotto Ymola. Et in questo zorno el conte di Caiazzo venne a parlamento con li homeni de ditti lochi, per veder si dovesseno render al Re di Franza, el qual prosperava felicemente. Ma li risposeno, volevano star a l'ubidientia de Madona da Forlì soa signora. Ma poi partito, fo brusà li strami era di fuora di la terra di Mordano, acciò non si venisseno a comprarli, et franzesi pur vi andoe et comenzò a bombardar.

Adi 20 a hore 23 Franzesi ha vendo principià a bombardar Mordano, dimandando si dovesseno render, mandò contestabeli ivi era a custodia, uno per nome di Madona, l'altro per il duca di Calavria, con volontà di quelli di la terra; recusoe, ma Franzesi seguite il bombardar; et non potendo resister si volseno render, ma Franzesi non li volseno acceptar pur a discreptione. Et non essendo più niuno a la difesa, et la fantaria scampata, li contestabeli con pochi se tirono su la torretta; ma Franzesi, a hora ditta di sopra, se buttò a le fosse, et con scale, senza obstacolo, scalò li muri, et introno in la terra, taiò a pezzi homeni et donne quante gli venne avanti nel primo ingresso, et messe la terra a sacco, fece altri presoni, et vergognò le [96] donne et haveno la torretta con li contestabeli, et quasi per sacchizzar, Franzesi veneno a le mano. Et fatto molta crudeltà, brusò et ruinò 8 caxe, adeo non rimase se non la chiesa con poche caxe in piedi, che adhuc si vede. Poi deliberono di andar a Bubano et Bagnara, et, non rendendosi, far questo medemo. Continuamente zonzeva Franzesi in campo, perchè el Re si approximava: li Italiani erano nel suo campo molto mal contenti, et perchè i erano tortizati da Franzesi in ogni cosa, maxime ne le prede.

Adi 21 havendo mandato el duca di Calavria a dimandar trieva per 6 zorni al conte di Caiazo, et non l'habendo habuto, si levò dove era, et andò più vicino a la montagna fra Faenza, et ivi si fortificoe.

In questo zorno, tardi, Franzesi hebeno Bubano a pati, et cussì poi Bagnara si accordò, si per tutto el seguente zorno a terza non havea soccorso, di rendersi, et cussì fece; ma la rocca vi era custodia, tamen poi etiam l'have.

Accadette che per discordia et Taliani et Franzesi, come scrissi di sopra, fo brusato la terra di Mordano, con bona parte di la robba: et fu tanta furia, che sul ponte per il cargo di le persone vi era, si venne a romper, et alquanti ne le fosse si annegoe.

Adi 22 al magnifico Johanne Bentivoi per el Pontifice fo mandato el capello per el fiol, et Fiorentini li deva el baston di lhoro capitano si volevano esser con re Alphonso et loro; ma non volse accettar.

Adi 23 il Podestà de Ymola venne in campo franzese, et parlò al conte di Gayazo, nè se intese fusse venuto per nome di Madona o di cittadini de Ymola: ma il conte de Petigliano per custodia de Ymola voleva andar ivi, ma poi per quello che seguite, che Madona si accordò con Franzesi, non vi andò, et Madona preditta era in la rocha de Ymola con Jacobo dil Quartiero, secretario del sig. Ludovico. Unde il populo de Ymola si levò, et andono da ditta Madona dicendo non volevano patir più extorsion, et che 'l campo li era vicino, et che si dovesse accordar, altramente che loro li averzeriano le porte di la città. A li qual cittadini et populo essa Madona rispose: stesseno di bona voia che non haveriano più alcun danno. Et cussì mandò a dir a Forlì, et si accordò con Franzesi et Stato di Milano, et deteli vittuarie et ogni cosa necessaria. Li pati non se ne intese, ma fu divulgato Milan consentiva tolesse il suo D. Jacobo per marito, et li danno di provision per anni 5, et uno di rispeto, ducati 20 milia a l'anno; la qual cosa fo molto contraria al duca di [97] Calavria, et comenzò la sua ruina. Et el sig. Zuane di Gonzaga, fratello di questo marchexe di Mantoa, assoldato da re Alphonso, come ho scritto avanti, dovendo venir con cavalli 600 per augumentar l'exercito, venendo sul Ferrarese per andar verso Bubano dove era il campo, et inteso l'accordo di ditta Madona, et che 'l sig. Fracasso era posto in ordine, sapendo di la sua venuta, per precluderli la via, per il meglio deliberoe di ritornar a Mantoa, et più non andò in campo.

In questo zorno Franzesi corse a Solarolo, Granarolo et Ruffi, lochi di Faenza, la qual Faenza è di uno sig. chiamato Astor di Mamphredi, che fu figlio dil sig. Galeotto et di la figlia del magnifico Johanne Bentivoj: el qual ne l'anno 1488, nel suo palazo fu ammazzato di voluntà di la moglie, et rimase questo Astor di età di anni X, et el populo lo elesse, et chiamò per Signore; ma la madre andò a Bologna, et se remaridò in uno Torello, che alias fu prete. Et è da saper che questo Joanne Bentivoj ha 4 figlioli et cinque fie maridate. Li figlioli Annibal, Hermes, el prothonotario Galeazzo et Alexandro: le fie, la prima fu maridata nel conte Nicolò Rangon, la seconda nel sig. Gilberto da Carpi, la terza in questo sig. Galeotto di Faenza, la quarta nel sig. de Rimano, et ultima nel sig. Zuane di Gonzaga, fratello dil marchexe di Mantoa. Or ritorniamo al nostro proposito. Questi Franzesi corse come ho ditto, prese homeni et bestiami in gran numero, perchè quelli non si guardavano, et do di quelli de Russi volendosi difender fonno morti; et con la preda Franzesi ritornono in campo; et zonse in questo zorno 500 Sguizzari a piedi benissimo in hordine, et si andava molto ingrossando sì da pie' come da cavallo.

Adi 24 el campo aragonese era sotto Faenza mal contento, et principiò a mandar li carriazi verso Cesena, et el campo poi dovea andar a redursi verso Bertonoro et Cesena, lochi dil Papa. Et si divulgava el re Alphonso in persona dovea venir in qua; et questo fevano per inanimar quelli dil suo campo, che stavano con gran paura. Et poi ditto campo el zorno driedo, fo di Sabado venendo la Domenega, a hore 7 di notte con pioza et gran scurità, si levò di Faenza, et andò ad alozar a Castrocaro de Fiorentini sopra Forlì, distante mia 5 dove era, nè se intendeva qual via volesse pigliar di ritornar in Reame, non potendo resister a Franzesi, o per Toscana o vero per la Marca.

Et adi 24 uno m.º Luca da Napoli bombardier scampò di ditto campo, et venne a Ravenna, el qual venia chiamato maistro di pavioni. [98] Et il duca di Calavria li mandò drieto a pregarlo ritornasse, et no volse.

Adi 25 Franzesi col campo si levono dove era di Bubano, et andò a Solarolo loco di Faenza, zoè voleva andar ivi ad accamparsi, ma venne alcuni cittadini di Faenza per trattar accordo. Unde ditto campo non si mosse, et restò a Mordano, et fo fatto comandamento in ditto campo, sotto pena di la vita niun habi a dannificar lochi di la madona di Forlì, cussì come fusseno di loro propri.

Et adi ditto, a hore 22 a Ymola fo proclamado, presente ditta Madona, ambassadori dil re di Franza et dil duca de Milan, o ver sig. Ludovico, che ditta Madona et el sig. Ottaviano so fiol erano fatti amici dil Re di Franza et sig. Ludovico, a danno et distruzion de li loro inimici. Et in questo medemo zorno fo assà bombardato in campo per allegrezza. La causa fu perchè el sig. Ludovico si havea fatto duca. Et è da judicar mandasse a notificar la morte dil cugnato et sua creatione. Quello poi seguite, et come piaque a Maximiliano et la moglie, di sotto ordinate sarà scritto. Et ancora per gratuirse el populo levò el quintello, zoè una certa angaria che lui havea imposto prima al populo, per el qual levar par alcuni cridasse: Duca! Duca! viva el duca Ludovico! Et questo fo in chiesa, quando dal Arciepiscopo ricevete le insegne ducal. Et oltra di questo deputò 6 zentilhomeni di primi di Milano, do sopra le biave et vittuarie, do sopra li criminali, et do sopra le cazze, per causa de li porchi cingiali dannizava il paese. El qual fece certi editti, uno de li qual, per esser sta butato in stampa a Milano, qui sarà scritto.

Questo è uno editto fatto a Milano adi 28 Ottubrio 1494 per el Duca nuovo.

Benchè la intentione dell'illustrissimo et excellentissimo sig. nostro sig. Ludovico Maria Sforza Visconte duca etc., che Dio lo salvi et mantegna, sia sempre stata et sii de non mancare de cosa alcuna per conservare in bona quiete et tranquillità li subditi de questo suo Stato, et che li buoni siano preservati securi da la malignità de li cativi, niente di manco per fare Sua Excellentia che ogni uno senti qualche leticia de questa nova assumptione sua al Ducato de Milano, et declarare però non piacergli li maleficii, per non lassare opinione ad alcuno che 'l preditto Sig. sia per comportare il mal fare, si notifica Sua Excellentia havere comesso alli magnifici M. Baptista Vesconte et M. Iohanne Francesco da Marliano sui conseglieri, [99] che, insieme con li deputati suoi a le cose criminali, se ordinasse la forma di publicare una gratia et remissione de molte sorte et qualità de delitti. Per li quali conseglieri et deputati, examinato bene il tutto, s'à divenuto per loro, con partecipatione et bona voluntà di Sua Excellentia, a la forma di la gratia infrascritta, videlicet che 'l prefato illustrissimo et excellentissimo sig. nostro Duca etc. per tenore de la presente crida ad ogni uno notifica et manifesta volere che tutti et singuli malfattori subditi suoi, così mediate come immediate, cioè così de li immediati subiecti a li officiali de Sua Excellentia, como de' suoi feudatarii apartati seu inquisiti vel condemnati aut altramente in alcuno modo culpati da qui indrieto de alcuno maleficio o mancamento, etiam che 'l nol fusse sequita imputatione alcuna ex eo che 'l ditto delitto fusse incognito, et per causa di monete, sale, biade, portatione de arme, receptation de banniti, o vero alcuna altra sorte de maleficio sia quel se voglia, pur che 'l non sii criminis laesae majestatis, nè de sacrilegio, nè de morte de homeni actualmente sequita, debano esser et siano per tenore de la presente crida liberati et in tutto absolti de omni poena corporale o reale, spectante così alla camera della Excellentia Sua, como suoi feudatarii, salvi et excepti quelli fosseno componuti, et ogni denuntia, inquisitione, banno et condemnatione et processi pendenti per causa de tutti et singuli preditti maleficii siano cassati et anullati, como per la presente crida se cassano et anullano; et se comanda ad qualunque officiale, notaro et altri a chi spetta, le debbano cassare et penitus anullare senza pagamento alcuno, etiam se fussero de animo deliberato occidendi, con questo però che segua la pase con li offesi tantum, cioè con li insultati o battuti, o vero se dinante al giudice ordinario... idonea securtà a li ditti offesi, de non offendendo in re nec in persona.... arbitrio de esso judice, considerata la qualità et facoltà del offendente et del offeso: el qual judice ordinario possa torre ditta securtà etiam in renitentia et contumatia del ditto offeso senza pagamenti, salvo de le tre specie de delitti, quale siano exceptade de la presente crida. Et insuper che, cerca li banni de le morte de homeni actualmente sequite, intervenendoli la pace cum li offesi, se possa poi venire a la concessione de la gratia. Et ex nunc se declara che cum primum sia sequita ditta pace, se intenda esser concessa la gratia, senza altra impetratione de la Excellentia Sua. B. Maleus, cum sigillo. Cridata super platea arenghi et in broleto novo comunis Mediolani, per Jacobum de Parma, tubetam duchalem, die suprascripto 28 Octubris, sono tubarum premisso.

[100]

Et il Duca de Milan preditto, da poi corso la terra et fattosi Duca, deliberò non star più se non tre zorni in Milano, et andar a trovar el Re di Franza, el qual era zà partito di Piasenza come intenderete di sotto. Et adi 25 Ottubrio, la mattina, chiamò li cittadini de Milano, et li disse come voleva andar dal Re, et lassava vice duca suo nepote marchese Hermes di Tortona, fratello fo dil duca morto; et tamen in castello, cum custodia che non potesse ussir, et lo chiamava vice gerente. Et a ore 17 con la duchessa sua moglie, la qual era graveda in mexi cinque, tamen per tutto lo seguitava, se partì de Milano con assà compagnia, et Antonio Maria di Sanseverino, deputato alla guardia sua, et andò la sera ad allozar a San Columban, distante da Piasenza mia 16, et l'ambassador venitiano l'andò seguitando, per esser appresso Sua Excellentia, et partite quel medemo zorno, et andò dreto ad allozar a Lodi, per ritrovarsi poi col Duca a Piasenza. Ma el Duca adi 26, che fo el zorno driedo, per essere cattivo tempo non si partì di San Columban fin non fusse bonazato, ma la sera andò mia 7 a dormir a uno loco ditto Sena, poi la mattina a Pontenovo et el zorno a Borgo San Donin ch'è su la via romea, distante da Piasenza mia 20, propinquo a Fornovo mia 10, dove el zorno avanti, che fo adi 26, era arrivato el Re di Franza, et ivi era restato quel zorno per non esser consueto cavalcar la Domenega, tamen le sue zente erano avviate verso Pontremolo. Et adi 28 zonse a Borgo San Donin el duca di Ferrara, el qual venne per congratularsi di l'assumption dil ducato con suo zenero et sua figliola, et poi che ebbe parlato assà insieme, esso Duca di Ferrara si partì per andar a Milano, dove dovea aspettar la tornata dil Duca, la qual fu prestissima, et in questo mezzo governar Milano; et cussì fece. Ma ritorniamo al Re di Franza, el qual il lassiamo a Piasenza.

El Re di Franza adoncha, ritrovandosi a Piasenza, quando seguite la morte di suo cusino duca de Milano, et la creatione del sig. Ludovico, et perchè era consueto quando muor qualche signor, in ogni sua terra, subito che intendeno la morte li fanno funebre exequie, et metteno una cassa, o vero fanno la sua imagine vestita, et quella come fusse il vero corpo fanno le cerimonie; or lì a Piasenza, avanti il Re si partisse, volse ritrovarsi a queste cerimonie dil suo carissimo zermano.

In questo mezzo mandò il Re a Venetia uno suo chiamato m.º Joan Bernardo franzese, et insieme con monsig. di Arzenton suo ambassador andò in collegio, et dimandò da parte dil Roy a la Signoria [101] duc. 50 millia in prestedo, et che 'l Roy ne havea grande bisogno, et che aspettava di brieve li dovesse zonzer danari di Franza, et assà scudi et de l'argent, concludendo li daria zoje per cautione. Unde cerca a la risposta, inter patres, fonno consultato; poi li fo risposo: che questa terra al presente non poteva, con molte excusatione, et che volendo armar havevano tolto in prestedo da soi cittadini con altre excusatione; ma che fariano provisione di trovar danari. Et poco da poi messe quattro decime, come di sotto scriverò. Et ditto messo havendo tal risposta, si partì et al Re ritornò.

Adi 20 Ottubrio zonse a Piasenza dal Re do ambassadori di Lucchesi, con lettere credentiale sottoscritte: Antiani et vexillifer justitiae populi et comunis Lucensis. Et el zorno sequente hebbeno audientia, et offerse il Stato et loro facultà a' comandi di Sua Maestà, et che dovesse venir a Lucca, che tutta la città lo aspettavano con desiderio. Et subito uno de ditti ritornò a Lucca a far preparar per la venuta dil Re. L'altro chiamato Nicolao Tegrimi adi 23 partì di Piasenza, et per venir a Milano a visitar il Duca, dolersi di la morte dil nepote, et allegrarsi di la sua assumptione, el qual dal Duca, exposto che have la sua imbassata, fu fatto cavalier, et creato dil suo consejo. Et il Duca disse verso l'orator fiorentino Zuambattista Redolfi: Nil miremini, domine orator, che per le condition sue et bona compagnia ne fece, quando eramo in exilio a Pisa, li habbiamo voluto far questo. Et poi ditto ambassador adi 25, el zorno medemo partì el Duca, etiam lui partite di Milano et ritornò molto contento a Lucca.

El Re di Franza adi 23 Ottubrio, essendo stato zorni 6 in Piasenza, partite per andar a Pontremolo, loco pur de Milanesi, et passo fortissimo et vicino a terre de Fiorentini; et zà el suo exercito era sviato avanti: el qual sarà notado quivi, secondo la tariffa fo mandata a la Signoria, di la quantità dil exercito havea. Et adi 25 zonse a Borgo San Donin, et ivi restò el zorno driedo.... a Fornovo per esser Domenega, et adi 29 zonse a Pontremolo, dove volea star zorni cinque per metter ordine a quello havea a far, et veder come Fiorentini si movevano, et voleva andar di longo a Lucca. Et è da saper, che quando Sua Maestà partì di Piasenza, era armato di tutte arme, excepto la testa, perchè essendo di debol complessione, non vi puol portar elmetto; la qual cosa di armarse, dapoi partito di Franza non havea fatto: et fo bellissimo veder, et sempre dove andava voleva, iuxta il solito, le chiave di le fortezze.

[102]

Tariffa de la comitiva che si trova a Pontremolo con la Maestà del Cristianissimo Re di Franza, videlicet sua corte per servicio et custodia de sua regal corona, ricevuta adi primo Novembrio 1494.

Primo la Maestà dil Re con 200 zentilhomeni alla sua guardia, cavalli N. 200
Franchi arcieri a cavallo » 400
Balestrieri a cavallo » 400
Fanti da piedi et provisionati » 1200
Homeni d'arme 400 (?) a cavalli 6 per uno » 1800
Camerieri di Sua Maestà » — —
Monsig. di Lorangia (Orange) con cavalli » 50
Monsig. lo Maraschalco di Giae con cavalli » 50
Monsig. di Tramoglia (de la Tremouille) con cavalli » 50
Monsig. lo Maraschalco di Beucher con cavalli » 70
Monsig. di Pienes con cavalli » 35
Monsig. de Miolans (Myolans) con cavalli » 40
Monsig. Maraschalco di Bertagna con cavalli » 120
Zente dil Principe di Lorangia (Orange) con cavalli » 120
Zente dil Duca di Orliens con cavalli » 200
Monsig. de Val de Homon (Vaudemont) con cavalli » 30
Monsig. de la Spara (de Lesparre) con cavalli » 400
Il consiglio con la cancellaria, cavalli » 200
Li pensionarii con cavalli » 400
Li muli » 100
Li corsieri » 100
Li varleti et pazi de camera » 300
Li mastri di stalla et li officiali » 400
 
  Summa N. 9505  (?)

Queste sono zente d'arme deputate per mandar su l'armada di Zenoa con Monsig. Duca di Orliens dil mexe di Avosto, et per haver memoria di tutto, qui ho notà.

Primo lo illustrissimo Duca di Orliens con cavalli ha in casa N. 300
Monsig. de Fois, cavalli » 50
El sig. Fracasso, cavalli lezieri » 50
Homeni X d'arme con cavalli » 20
[103]
In casa sono cavalli » 30
Cap.i 20 ha cavalli 4 per uno di le galie » 80
 
  Summa N. 530
 
Li homeni d'arme 800 a do cavalli per homo d'arme N. 1600
Arcieri a cavallo » 1000
Arcieri a piedi » 6000
Cavalli per l'artegliarie » 300
 
  Summa cavalli N.  2900
  Summa a piedi » 6000

Cavalli de Francesi passati per lo Novarese guidati dal conte Borella.

Monsig. di Pienes cavalli N. 400
Monsig. de Smoda » 350
Monsig. de Mompensier cavalli » 350
Zente dil principe di Orangia » 50

Questi altri è passati per lo Alexandrino guidati da Scaramuzza Visconte.

Monsig. Doyson cavalli N. 460
Monsig. della Tramoglia cavalli » 300
Monsig. de Guisa cavalli » 300
Monsig. lo Gran Scudier cavalli » 300
Monsig. de Vienon cavalli » 300
Monsig. don Zuliano cavalli » 920
 
Summa a tutti N. 2580
 
Summa summarum, tutti cavalli N. 7160
a piedi » 6000

La qual poliza fo mandata per quei de Milano, tamen non fo vera, come più avanti a la descrittione di tutto lo exercito di esso Re, habuta la verità, sarà scritto.

Questi sono li nomi de molti capitanij et Gran Maestri venuti col Re in Italia, i quali tutti è stà nominati per lettere in diversi tempi.

El Re zonto a Pontremolo deliberoe di andar più di longo, et zà le sue zente, redute su quel de Fiorentini, facevano de gran danni, come più avanti sarà scritto. Et andò a uno castello dei marchexi Malaspina, recomandati al Stato de Milan, chiamato l'Aulla, mia X distante da Serzana, loco de Fiorentini, el qual el Re mostrava di voler acquistar. Et el sig. Ludovico duca di Milano, zonto a Villafranca vicino dove era il Re, adi 31 Ottubrio andò a visitar Sua Maestà, et usò le parole li parse. Fatto li secreti consegli, ritornò ad allozar la sera pur nel ditto castello de Villafranca, et poi andò a Fornovo, et qui stette alcuni zorni visitando spesso el Re. Et adi 13 Novembrio ritornò a Milano con l'ambassador nostro, essendo stato col Re zorni tre, et avanti partisse di Pontremolo fè zurar a quelli dil loco fedeltà, et receverlo per suo signore et duca.

Adi ultimo Ottubrio passò per Pontremolo 1000 Sguizzari dil Re, et andava in campo, et per le sue insolentie la terra fo in arme, ne ammazzorno 18, feriti assai, li expulseno di la terra; et questo perchè volevano metter a sacco quel loco, ma quando fo il ritorno dil Re in Franza feceno le loro vendette, come nel terzo libro sarà scritto ordinatamente.

Le zente dil Re, andate scorsizando su quel de Fiorentini, preseno le infrascritte castelle n.º 24, zoè: la Rocca Sigillina, Bagnone, Castiglione (del Terziere), castelli fortissimi; Corvarola, Furnolo, Pastina, Caprigliola, Navola, Capo de Ponte, Monzone, Agello, Equi, et questi tutti si reseno a Franzesi a patti, et levono le insegne dil Re; Albiano, Falcinella, La Verrucola, Fivizzano, Lamone, Montecharo, Gropo San Piero, questi sono messi a sacco, et fatto [106] presoni perchè non si volseno render; Castelnuovo bruzò et sacchizoe, el qual facea fuoghi 150; Ortonuovo, Pietrasanta, Serzana et Serzanella poi have come dirò di sotto. Et d'indi Franzesi si comenzono a inrichirsi, et fece prede de valor de ducati 40 in 50 milia, come scrisse l'ambassador de Milan era a Fiorenza, per la descrittion fatta al suo Duca. Era con il Re, come per lettere di Zorzi Pisani ambassador a Milan Venitiani fo certificati, su quel de Fiorentini, Franzesi X milia, Sguizzari 5000, bocche da fuogo 900.

Adi 7 Novembrio el conte de Maza ambassador dil Re Maximiliano venne con cavalli 14 dal Re di Franza a Pontremolo. Zonse in questo zorno, parlato col duca Ludovico, expose al Re la imbassata dil suo Re di Romani.

Fiorentini, domente tal cose si fanno, considerando il fatto loro, et come il Re li haria mandato a dimandar di novo passo et vittuarie, et che le haveano denegate et altre volte promesse; vedendo Franzesi in gran reputatione, et che de li soi castelli gran numero erano stati presi, sacchizzati, et malmenati li habitanti; et pensandosi che sopra di loro el fatto andava, et erano li primi tocchi, havendo zà a Piasenza mandato Anzolo Niccolini loro ambassador et Piero Alemanni stravestidi per esser in colloquio col Re, et non havevano potuto operar alcuna cosa; et che Lorencin de Medici, che havea rotto el confino, era molto honorato apresso Sua Maestà; et che Senesi, Lucchesi et altre comunità erano disposte di darli passo et ogni altra cosa; che 'l campo dil re Alphonso già era disciolto; et ultimo, che bona parte di le sue mercadantie erano a Lion et altri luogi de Franza, et che lì in Franza Fiorentini sempre fevano bene li fatti loro; et molte altre ragione che tra loro fonno consultate: deliberono adi 2 Dezembre nel Conseglio di 300 di mandar 8 ambassadori al Re preditto di Franza, li nomi di quali è qui sotto scritti. Tra i quali volseno vi andasse Piero de Medici, che tunc in Fiorenza era primario, et quasi quella terra, licet fusse cittadino privato, governava, facendo in effetto il tutto. Et la Signoria, che sono otto, et uno confalonier, nove, niuna cosa expediva senza saputa sua. Come in diversi tempi questa caxa de Medici lì in Fiorenza havea habuto tal potere, del 1432 in qua, che Medici fonno revocati, che erano fora ussiti, Cosma suo avo nominato in molte historie et ricchissimo, et sopra di la sua sepultura è tal epitafio: Cosma Medices, Pater patriae. Poi successe Piero suo fiol, che have gran potere; demum ne li nostri tempi Lorenzo padre di questo Piero, et Juliano, et Joanne di la Romana Chiesa cardinal fatto per Innocentio pontifice. [107] El qual Lorenzo novamente del 1492 era mancato di la presente vita. Questo Lorenzo varentoe la Republica al tempo di la guerra di Toscana del 1488, quando Ferdinando re vi voleva poner le mano, et Sixto pontifice li erano contra; tamen la Signoria de Venetia et Stado de Milano li deteno gran favore. Sei de his hactenus. Li ambassadori electi fonno questi: Angelo Nicolini dottor, Domenego Bongi dottor, Piero Alemanni cavalier, Juliano Salviati, Piero Soderini, Francesco Valori, Brazo Martelli et Piero de Lorenzo de Medici. El qual volse prima lui partirse da Fiorenza, et andar dal Re di Franza, et adattar le cose; et accordò poi che questi li venisseno driedo, et confirmasseno ogni accordo fatto per lui. Et cussì fonno Fiorentini contenti, perchè Piero li prometteva de conzar con honor e ben loro. Et cussì ditti ambassadori partino di Fiorenza, dimorando a Pisa, et Piero de Medici venne avanti a trovar il Re.

Adi 8 Novembrio adoncha, esso Piero zonse dal Re preditto, el qual era a una badia mia do lontan de Serzana, et voleva metter campo a ditta Serzana, et al tutto ottenirla. Et zonto Piero de Medici, fatta riverentia come a tal Re si richiedeva, visto la sua potentia, non solum li seppe nè volse contradir, ymo aderite ad ogni suo voler; et inzenocchiato davanti el Re, li presentò Serzana, Serzanella, Pietrasanta, el porto di Livorno et Pisa in le sue man, a sua discretione, dicendo: Vostra Maestà mandi con mi, che tal luogi haverà in suo dominio. La qual cosa non havea in commissione di far da Fiorentini; et fu molto accetta al Re. Et poi che le sue zente introe in Serzana, essendo cussì el voler di Piero, esso Piero disse al Re volea tornar in Fiorenza, a poner ordine di la sua felice intrata. Ma li altri ambassadori li venivano driedo, inteso questo accordo havea fatto Piero, havendolo molto a mal, ritornono a Fiorenza, et non volseno andar di longo.

Adi 9 tornato Piero in Fiorenza, et zà lo suo palazzo era preparato di molte tapezzarie per la posada dil (Re), benissimo in hordine. Ma Fiorentini ebbeno a mal quello havea fatto Piero contra il voler loro, et erano molto sdegnati contra di lui, et volendo andar Piero al palazzo di la Signoria per riferire tal accordo, el qual zà si sapeva, con alcuni provisionati secondo il consueto, et Piero si havea armato, sentendo il mormorar di la terra, tamen di sopra si puose el suo mantello di coroto portava per il padre ancora; et credendo andar di longo in palazzo li soi provisionati, come erano assueti di andarvi senza diponer le spade haveano, trovano a la porta [108] dil palazzo predetto Jacomo di Nerli cittadino, fratello di Bortolomio de Nerli, che a Venetia è gran mercante et ha gran fatti. Or questo Jacomo per esser deputato, volendo intrar uno provisionato di Piero avanti in palazzo, li disse: metti zoso (giù) le arme. El qual volendo contrastar, li bastò l'animo di metter man su la spada, perchè li non era tolta, et disse: tu non vi entrarai. Et Piero meravigliandosi di questo, esso Jacomo li disse certe parole, per le qual Piero cognobbe la Signoria esser sdegnata contra de lui, et che lì in palazzo vi era custodia; unde deliberoe di andar attorno la terra, cridando: Libertà! per veder come il populo si moveva. Zà su le porte di Fiorenza suo cugnato sig. Paulo Orsini, el qual era soldato de Fiorentini, et havea 500 cavalli, veniva in suo ajuto. Et cussì andato attorno la città, cridando lui et li soi come ho ditto: Libertà! Libertà! ma il populo era admirato di questo, et ritornò a casa, dove li soi facevano gran festa, butando confettioni, acciò il populo li fusse amico. Ma la Signoria, visto questo, sonò una campana che di raro si sona, se non quando intravien qualche gran cosa, come fo questa, di andar uno privato cittadin attorno la terra; per la qual cosa tutta Fiorenza si levono in arme, et correno su la piazza. Ma li amici et partesani de Piero preditto lo consigliono, perchè il populo li era molto contrario, che per il meglio dovesse subito partirsi; havendo visto quando andò attorno la città cridando, che niuno fece segno alcuno in suo favore. Unde esso Piero con li do fradelli, Zuane cardinal, tituli Sanctae Mariae in Dominica, et Juliano, etiam el sig. Paulo Orsini preditto suo cugnato, vestiti incogniti se ne partiteno di Fiorenza, et veneno a Bologna, lassando alcuni de soi che dovesse tuor quello potevano di l'aver sottil, maxime alcune medaie d'oro et zoje, le qual medaie era di gran precio et le prime cose de Italia, che fu di Lorenzo suo padre, et che li dovesseno venir driedo. La moglie, chiamata Alfonsina di Orsini, rimase lì in Fiorenza. Et zonti a Bologna, el cardinal rimase nel monasterio de San Domenego: Piero, Juliano et Paulo Orsini veneno a Venetia, come dirò sotto. Ma in questo mezzo la Signoria de Fiorenza, chiamato el consiglio, inteso el ditto fuzer, feceno molte provisione, detteno taglia a Piero et Juliano de Medici, che chi li presentasseno vivi havesse ducati 4000, et 3000 morti; et alcuni corseno al suo palazzo volendo metterlo a sacco, el qual era, come ho scritto, preparato di molte tapezzarie per la venuta dil Re. Et a ciò non fusse disconciato, vi andò alcuni deputati per la Signoria a custodia, et non lassò di sopra fusse toccato alcuna cosa: ma ben di sotto, zoè [109] vini de le soe caneve, formenti et altre cose fonno sacchizzate. Et Fiorentini, consultato quello dovesseno far, perchè il Re si approximava, elexeno quattro ambassadori, i quali insieme con uno frate, Hieronimo di Ferrara, di l'ordine di San Marco, frate predicatore, homo molto religioso et di gran sanctimonia, el qual lì in Fiorenza era adorato per santo, et, come Fiorentini dicevano, questo havea preditto la venuta dil Re et tal confusione: et a questi cinque commesseno che andasseno dal Re, et si accordasseno con gli miglior patti potevano. Et inteso questa nuova a Venetia, Antonio Soderini, era ambassador de Fiorentini a questa Signoria, essendo il Consejo de Pregadi suso, battè a la porta, et tolse licentia da la Signoria, et statim partite, et ritornò a Fiorenza.

Ritorniamo al Re di Franza, el qual habuto la fortezza di Serzana, vi messe a custodia monsig. de Citem, che fo a Venetia ambassador, et li commesse quello loco governasse, et fece levar le sue insegne. In Livorno mandò monsig. di Biamonte di Normandia; et partito di Serzana intrò in Pietrasanta, dove vi messe uno altro suo barone in governo, et pur fece levar le bandiere di Franza. Qui venne etiam Lucchesi, che con desiderio aspettavano la sua intrata: onde il Re terminò, prima andasse a Pisa, di andarvi a Lucca.

El Re di Franza adonca, adi.... Novembrio, intrò in Lucca, dove honorifice fu ricevuto. Li venne contra alcuni cittadini vestiti di bianco, con l'arma dil Re nel petto, et intrò sotto uno baldacchino: in summa li fo fatto grandissimo honor da Lucchesi. Allozò nel vescovado. Et quivi stette un zorno et mezzo. Lucca è città antichissima in Toscana, da Greci edificata: fu colonia de Romani, et, come scrive Strabone nel quinto libro di le molte cose, et Livio nel duodecimo. Et da poi Paulo Guinigio che del 1400 tyrannice Lucca governava. El qual in questo anno, essendo Lucchese, con favore di Galeazzo duca de Milano si fece totalmente signore, et regnò anni 30; et edificoe ivi uno palazzo degno et superbo, et poi, per ordinatione de Fiorentini et soi cittadini, fo preso et menato a Milano in prigione al duca Philippo con li figlioli; el qual sì lo confinò in perpetua carcere: et cussì perse el dominio di Lucca et grandissime ricchezze che havea. Ma poi Lucchesi che hebbeno tal tiranno scacciato, si redusseno in libertà, et fino al presente stanno governandosi a populo, facendo il suo governo tra loro. Di Lucca vi fue Lucio pontifice maximo, et zà Lucchesi ottenero da Federico imperatore che in Toscana non fusse lecito usare altra moneta che lucchese, con certi segni de l'imperio; et Lucio pontifice concesse [110] privilegio a Canonici de San Martino, che è la chiesa cattedrale, che potesseno portare in coro le mitre ad uso di vescovo. Ancora Alexandro Secundo pontifice fo lucchese. Questa città, dicono alcuni, fu chiamata Lucca dagli scudi d'oro i quali rilucevano essendo in su le torre de ditta città altissime, li quali vi sono stati molti tempi. Et la ymagine dil Volto Santo, cussì da loro chiamato, ch'è uno crucifixo vestito, el qual havea scarpe d'oro, una di le qual dette a uno povero che era molto calamitoso, et d'indi è posto una lezenda di sotto questo pè è senza scarpa. Et meteno tal ymagine nelle loro monete et ducati, è in gran veneratione, et fa molti miracoli. Et questo el Re volse veder.

Et essendo el Re qui a Lucca, zonse el Cardinal di Siena, homo de gran reputatione et dottrina, el qual da Alexandro pontifice era stà mandato a esso Re per legato, per veder si poteva adattar le cose con el re Alphonso. Et volendo aver audientia dal Re, quello non li volse parlar, perchè fo nepote di papa Pio, che a la bona memoria dil Re suo padre fu contrario, et coronò Ferdinando dil Reame di Napoli, come ho scritto di sopra. Et li mandò a dir a Sua Signoria per alcuni suoi baroni, che come Cardinal lo havea in gran reverentia, ma come legato non li voleva dar audientia. Et habuto tal risposta, se ne tornò a Siena, et ivi stette fino el Re vi entrò. Questo partì di Roma adi 17 Ottubrio.

Venne qui a Lucca tre ambassadori de Senesi, i quali fonno Nicolò Burgese cavalier, Bortolomio Sozino dottor famoso, et...... ......... a congratularsi con el Re di la sua venuta, offrirgli el Stato de Senesi, et che l'aspettavano volentieri, promettendo passo et vittuarie, i quali fonno ricevuti molto volentieri dal Re, et fattoli bona cera. Et el Sozino andò a Milano et zonse adi 22 Novembrio, per congratularsi col sig. Ludovico di la sua creatione, come dirò di poi, scrivendo de Milano.

Li ambassadori de Fiorentini nominati di sopra zonseno dal Re et exposeno la loro imbassada, et che Fiorentini erano contenti di la soa venuta, et che Sua Maestà non si maravigliasse di quello haveano fatto a Piero e fradelli de Medici, perchè sempre contra la soa Republica mal si havea portato, concludendo volevano conzar li capitoli in miglior forma. Et el Re li respose che non era venuto per far alcun danno a Fiorentini, et che si meravigliava di questo, et che avanti loro dovea venir a darli il passo et ogni altra cosa necessaria, come zà al principio di questa impresa li haveano promesso: et che voleva intrar in Fiorenza dove conzeria li capitoli. Et questi partiti, ritornono a Fiorenza, essendo stati dal Re.

[111]

Et el Re volse da Lucchesi imprestedo ducati 20 milia, et cussì li fonno presentati; et ancora volse la fortezza di Montegioso in le sue mano, et Lucchesi gela detteno, dove messe custodia de soi Franzesi. Qui in Lucca Franzesi feceno molte violentie a donne, però che sono zente molto lussuriose, et fino hora erano stati su quel di Milano, et non havea osato far nulla per l'amicitia havea el Re. Ma quivi, come fo ditto, feceno assà disonestà, et tra le altre el Re, piacendogli una donna......... bellissima, la qual era, ut dicitur, de Guastalla, sì la mandò a tuor, et habuto el suo desiderio, la lassoe qui; tamen poi che zonse in Napoli per ditta mandò, et appresso Sua Maestà tenne.

Adi 8 ditto, essendo el Re partito da Lucca a hore zerca 24, introe in la città de Pisa. Li andoe contra el suffraganeo Arciepiscopo, el qual era vicegerente dil cardinal San Zorzi e arcivescovo di Pisa, et con tutta la chieresia apparata, Francesco Secco, nominato di sopra, che ivi stanciava, et Annibal Bentivoj, figlio dil magnifico Joanne, era soldati de Fiorentini, et el sig. Francesco Cibo, fo fiol di papa Innocentio, el qual etiam lui havea soldo da Fiorentini: et cussì riceveteno el Re dentro la terra; benchè Pisani poco honor li potesse far, perchè era supposti a Fiorentini. Questo Re era vestito di veludo negro, con uno cappello in testa: li và da presso sempre cavalcando monsig. de Brexe et monsig. de Lignì so cusini, di una età de anni 24, et sempre dormiva con Sua Maestà: etiam do episcopi monsig. de Angier et uno altro. Monsig. episcopo di Samallo et monsig. di Beucher erano governadori apresso la sua persona de l'impresa, come ho scritto di sopra. Et ne l'intrar in Pisa havea 500 arcieri attorno, et 200 zentilhomeni franzesi li va dintorno, et lui in mezzo, per la sua guardia. Monsig. di Mompensier, ch'è capitano a tal impresa, è il primo di andar con le sue zente in le terre, avanti vi entra la persona dil Re. Et el Re allozò in la caxa di Piero de Medici, dove li era preparato. Et è da saper che qui in Pisa, entrato monsig. di Mompensier, volendo visitar Francesco Secco, che era suo barba, per sua moglie ch'è sorella dil marchese di Mantoa, zoè di ditto Mompensier, non volse parlarli per esser stato rebello dil suo cugnato, ymo più che alcuni de li soi. Partito che fu Francesco Secco di Pisa, et venuto a Lucca, dove havea mandato il bon et miglior dil suo, per dubio di quello l'intravenne, Franzesi andono alla caxa sua per metterla a sacco, et cussì la messe di quello trovono, che furon vittuarie et poche robbe. Annibal Bentivoj andò a Fiorenza, et el sig. Franceschetto a Zenoa.

[112]

La Domenega, fo 9 dil mexe, andò per la terra il Re, vedendo le do cittadelle, el Domo, el Campo Santo, el sito di la terra, et ogni altra cosa; sempre a cavallo. Et per seguir il mio consueto, alcuna cosa di Pisa qui voglio scriver.

Pisa è città in Toscana dignissima, et zerca 1700 anni avanti lo advenimento di Christo fo edificata da Greci, i quali veneno da Pisa de Archadia, come (dice) Strabone; et edificono questa Pisa in Italia. Et zà fu potentissima, non a tempo de Romani, ma poi che Populonia et Luna città furono guaste, comincioe, et in tempo di Carlomagno imperadore havea sotto il suo dominio molte isole et la cittade de Jerusalem. Ma poi per soe discordie nel 1400 da Fiorentini soi emuli fue sottoposta, et d'indi fino al presente sempre è stata. Et Fiorentini, per trattato di uno Joanne Gambacurta, essendo col campo attorno stati gran tempo, el zorno de Santo Dionixio, ch'è adi 9 Ottubrio, intrò; nel qual zorno ogni anno in Fiorenza si fa sollemnità grandissima, dannosi pecunia deputata, vestissi duodecim giovenette povere, si fà processione, et ciò in memoria di tanto beneficio et vittoria, et si corre uno bellissimo palio. Or qui in Pisa la chiesa cathedral di Santa Maria è bellissima, il cimiterio chiamato Campo Santo, dove è di quella terra di Jerusalem, et ivi è posti li corpi de morti, et in termine di tre zorni non vi si trova più ossi, e tutti vanno in polvere.

Pisani, desiderando molto la libertà, per la subietione havevano da Fiorentini, deliberono provar si potevano ridursi in libertà, et prima praticato con li sig. Gran Maestri et Baroni dil Re allozati in diverse caxe, dove li patroni de ditte caxe exortaveno quelli li dovesseno esser propicii, et etiam col sig. Galiazzo di Sanseverino, che poi tornato dal Re mai si partì da Sua Maestà, et steva quasi come ostaso di la fede dil sig. Ludovico; et ancora praticò con Don Alphonso fiol dil Duca di Ferrara primario, che, zonto el Re propinquo a Pontremolo, venne da Sua Maestà, et con quello andava verso Roma, et etiam con suo fratello don Ferrante, che stava in corte di esso Re.

Ma lasciamo questi Pisani praticar, et quello successe questo zorno scriviamo.

Adi 12 ditto, Fiorentini mandò 4 ambassadori al Re, i quali fonno lo episcopo di Volterra, Francesco Soderini, lo prothonotario Capponi et do altri lo nome di qual a mi è incognito; et venuti dal Re a Pisa li exposeno quattro cose. La prima li apresentò el fio, fo dil sig. Carlo di Faenza. La secunda per ricercar la liberation di [113] Marino Tomaselli, orator dil re Alphonso, el qual era stato lì a Fiorenza gran tempo, et in questi zorni con la fede de Fiorentini publica era uscito de Fiorenza, et stava in uno castello, et Franzesi lo prese et menò dal Re, taia ducati 400. Questo fevano Fiorentini per dubito, Alphonso non facesse questo medemo al loro ambassador si ritrovava a Napoli, et etiam per le mercadantie havevano in Reame. Et tertio per sollicitar la sua intrata in Fiorenza, et satisfar il desiderio dil populo, advisando Sua Maestà di la carestia di vittuarie vi era. Quarto et ultimo, perchè si provvedesse a li danni et disordini nel paese fatti. A le qual richieste el Re rispose: primo quanto al sig. Carlo li era molto a grato, et voleva per suo; secondo poteva tenir Marino Tomaselli, per esser orator dil suo inimico, appresso di lui, per haverlo preso fuora di la terra di Fiorenza; tertio che l'entreria presto; et quarto che daria remedio a li desordini. Et cussì, habuto tal risposta, ditti ambassadori ritornò a Fiorenza.

Ancora zonse 4 ambassadori di Zenoesi al Re, venuti per la reintegration di le terre sue teniva Fiorentini, le qual era ne le man dil Re. Ai quali fo deputati li auditori, et expediti ritornono da poi a Zenoa.

A dì 10 Fiorentini bandite la caxa di Orsini, et svalisono la compagnia dil sig. Paulo Orsini nominato di sopra.

Ma Pisani, che erano pur vigilanti al fatto loro, la Domenega de sera, che fo 9 Novembrio, li principal cittadini andono a caxa a trovar il Re; et uno di loro fece le parole, pregando Sua Maestà Christianissima li volesse difender et cavarli de man de Fiorentini, dimostrando la subietion havevano: concludendo, volevano esser in libertà, et che dovea bastar a Fiorentini del 1406 in qua haver quella povera terra posseduta, et che volevano esser sempre suposti a soa regal corona. Unde el Re, mosso a compassione, exhortato da li soi che lo consigliava, fo contento di farli quanto domandava; et cussì tutti li Pisani in quell'hora medema, che erano molti reduti per udir la voluntà dil Re, comenzono a cridar: Franza! Franza! facendo per la terra grandissimi rumori in quella notte, et luminarie de fuogi, et corseno al ponte vecchio, ch'è uno dei tre ponti è sora l'Arno, ch'è uno fiume nominatissimo passa per Fiorenza, et qui mette in mar, et rumpeteno una colonna sopra la qual era uno marzocco di pietra, ch'è la insegna de Fiorentini, et quello rotto di la colonna, lo ligono con corde et strassinò per la città, et poi fense de brusarlo mettendovi fuogo intorno; demum lo buttò ne l'Arno, et cussì molti marzocchi per Pisa ruinorono et spegazono, et era [114] uno bellissimo veder l'allegrezza dimostravano Pisani, sì donne come homeni. Ancora quella notte, davanti la casa dove era il Re, fo fatto grandissime feste et fuogi pareva zorno. Et il Re stava a la finestra, et ne havea grande piacer. Et il capitano de Fiorentini era lì in Pisa, chiamato Serristorio de Serristori, et li tre consoli fiorentini, i quali devano ragion, fonno discacciati, et andono via con il resto de li custodi dil Stato Fiorentino. Et conclusive si reduseno in libertà, et mandono a tuor a Lucca li soi ordini, per governarse come facevano Lucchesi. Et da poi che il Re fo partito di Pisa, el zorno medemo che fo 10 Novembrio, Pisani si redusseno in consiglio, et fece 6 signori antiani, et X signori di la Balia et il Confaloniero: mandò compitamente fuora le gente de Fiorentini, tamen fece uno edito quelli rimaseno per il Re al governo di Pisa, che nominerò di sotto, che a Fiorentini nè a loro nè al suo haver fusse fatto alcun dispiacer; ma libere dovesse andar et uscire di la cittade. Et ancora in Pisa dove era marzocco di piera, al ponte ditto di sopra, messeno una bandiera con l'arma dil Re di Franza; et etiam a la gabella dove si levava il stendardo con el zio (giglio), ch'è l'arma de Fiorentini, levono l'arma dil Re con tre zii (gigli) et di sopra la corona. Qui in Pisa el Re lassò do commessarii franzesi, chiamati uno monsig. Zuan Rabot, uno di signori dil Parlamento de Garnoboli, et monsig. Zuan Fier dottor in leze, suo consier; et ancora volse el Re tenir la cittadella nuova, ch'è la più forte, et Pisani tenisseno la vecchia, et ivi lassò uno de soi capitani, chiamato Sariachi, che fu quello vardava el castello di Perpignano, al qual commise fusse capitano de Pisa, de Livorno et Pietrasanta, dove etiam era alcuni franzesi in governo de quelli lochi.

Et essendo stato el Re uno zorno et do notte in Pisa, el luni da mattina montò a cavallo e partite per Fiorenza, et andò ad allozar a Empole, mia 25 lontan de Fiorenza, poi a Ponte Segna, mia 20 lontano, dove stette 6 zorni, zoè fino a l'altro luni, che fo a dì 17 Novembrio, che intrò in Fiorenza: questo perchè voleva aspettar che 'l suo esercito si ponesse in hordine, et che armati intrasseno in la terra per più magnificentia. Et el zorno da poi partì el Re di Pisa, vi gionse in Pisa, partito di l'armata di Zenoa, el cardinal San Piero in Vincula, che veniva a trovar el Re. Et come per lettere di Zenoa se intese, questo a dì primo Novembrio partì di Zenoa con do galie, et venne a trovar el Re. Etiam el Principe de Salerno a dì 3 partite, et venne a parlar con Soa Maestà, et subito tornò a Zenoa per montar su alcune nave si preparava, et andar a [115] dismontar in Reame. Or questo Cardinal, per haver le gotte, si faceva portar da quattro persone, allozò in Pisa al monasterio di San Michiel, poi andò a trovar el Re a Ponte Segna, et con lui intrò in Fiorenza, et seguitollo fino che 'l Re intrò in Napoli. Et mentre che el Re dimorava lì a Ponte Segna, Pisani li mandono alcuni ambassadori, pregando Soa Maestà volesse confirmar el Studio in Pisa, cussì come prima era et Fiorentini lo tenevano, et dil suo pagavano li dottori lezenti. Unde, mancando il dominio loro, ex consequenti mancò el lezer et stipendio di dottori: la qual cosa per honor suo Pisani volevano pagar loro, a ciò vi fosse il Studio. Ma el Re, per esser implicito di altre faccende, allora non deliberò cosa alcuna. Et è da saper che quivi veneno li quattro ambassadori ultimi de Fiorentini, li quali scrissi di sopra che andono dal Re a Pisa, ma la verità è che fonno qui a Ponte Segna. Ma lassiamo qui el Re, et a le cose intervenute in questo tempo in altre parte de Italia scriveremo.

Quello seguite a Roma in questo mezzo.

A Roma el Pontifice, vedendo el prosperar dil Re, era molto di mala voglia; l'armada di Zenoa si approximava al Tevere, come dirò di sotto; terminò di far alcuni fanti per custodia di Roma; et vedendo Fiorentini li davano passo, et quello seguiva in Toscana, non sapeva che farsi: et però cum Paulo Pisani ambassador veneto spesso consultava, pregando scrivesse a la Signoria non lo volesse abbandonar. Molto dubitava di esser privato dil Papato, o ver da li cardinali teniva dal Re fusse eletto uno altro Papa, et seguir scisma, come in diversi tempi in la chiesia sono state, per numero 23, dal 234 fin 1444, secondo si leze ne le historie: et però feva il tutto per haver li cardinali con lui, et con monsig. Ascanio vice cancellier spesso lo mandava ad exortar volesse ritornar a Roma, et cussì esso Ascanio deliberoe venir in Roma, ad abboccarsi col Pontifice, et veder si poteva conzar le cose, che desse il passo al Re di Franza. Et venuto a Marino, castello de Colonnesi, mia X da Roma, per ostaso el cardinal Valenza, nepote dil Papa, Ascanio a dì 2 Novembrio intrò in Roma di sera. Li andò contra el cardinal Monreal, nepote etiam dil Pontifice, et la fameia di Sua Beatitudine, et andato dal Papa stette in colloquio fino a mezza notte, poi il zorno driedo andò in concistoro, et, statim disciolto, si partì et tornò a Marino, havendo dormito quella notte in palazzo dil Papa. Et qui a Marino [116] erano le zente de Colonnesi redate, et aspettavano Antonello Vitelli soldato dil Roy con squadre dodexe.

In questi zorni lì a Roma el banco de Medici fallite per ducati 100 millia, et fo dapoi el cazzar Piero di Fiorenza. El cardinal di Siena fra i altri have botta di ducati undese millia; et el Papa fece salvoconduto a Medici per mexi 6.

Come l'armada dil Re di Franza andò nel Tevere a Hostia et ritornò a disarmar.

Sì come scrissi di sopra, l'armada dil Re di Franza era uscita di Zenoa, et, in questo mezzo che 'l Re prosperava in Toscana, venuta a Neptuno, da la longa si veteno (videro) con quella dil re Alphonso, tamen non si volseno apizar (attaccare) dubitando forsi una di l'altra. Et questa dil re Alphonso prese do galie de Franzesi, come dirò scrivendo quello faceva el Re preditto, et andò in porto a Gaeta. Ma quella di Franza, per lettere di Roma di primo Novembrio, se intese esser zonta a San Severo, fra Civitavecchia et Hostia, dove dovea metter le zente in terra: et poi, per lettere di 3, ditta armada si divise in tre parte: galie 18 intrò nel Tevere fino nelle fosse di Hostia, et ivi messe zente nova franzese, adeo che fo perso la speranza di rehaver Hostia più indriedo; etiam altre zente per terra andò a trovar el campo de Colonnesi. L'altra parte, che era 4 nave grosse, rimase a Monte Arzenton. El resto a uno porto vecchio, lontan de Neptuno mia 4. Et di gran zente de ditta armada dismontò in terra, et a dì 4 Novembrio la nave Salvega, con le altre do nave che, come di sopra è scripto, andono alle Specie, ritornono a Zenoa, dove si preparava 7 nave per il Principe di Salerno. El qual a dì 11 ditto montò su ditte nave con fanti 3500, e verso Calavria navigò, perchè era molto amato da tutta quella riviera, et li soi di Salerno lo aspettavano con gran iubilo: et poi a dì 17 Dezembrio ditta armada ritornò a Zenoa et disarmò, nè restò in mar salvo le nave andate in Calavria con el Principe di Salerno, tra le qual la nave Salvega che era grandissima di botte....

Cose seguite a Milano da poi la tornata dil Duca dil mexe di Novembrio 1494.

Et a Milano essendo ritornato el Duca, è da saper che a dì 9 Novembrio el Pontifice li scrisse do brievi, congratulandosi di la sua [117] creatione, dolendosi di la morte dil nepote; et cussì scrisse prima al cardinal Ascanio, vice cancellier, dolendosi et allegrandosi dil fratello, esortandolo volesse scriverli che fosse quello mettesse paxe in Italia. Item cardinali molti li scrisseno al Duca lettere congratulatorie, et a dì 11 el re Alphonso li scrisse, date in campo a Mola, si dolse etiam di la morte di suo zenero, et si congratuloe dicendo volea mandar suo ambassador di brieve.

A dì 17, a hore 17, el ditto sig. Ludovico duca, per hora astrologica habuta dal suo maistro Ambrosio, scrisse di sua mano el titolo volea li fosse dato et subscritto nelle lettere, el qual diceva: Ludovicus Maria Sforcia Anglus Dux Mediolani Papiae Angleriaeque comes ac Genuae et Cremonae dominus. Et è da saper che in questo titolo variò di quello faceva li altri, et suo padre duca Francesco, suo fratello Galeazzo et il nepote Zuan Galeazzo; però che questi tutti se intitulono vicecomes et non anglus, zoè di la caxa de Viceconti. Ma questo Duca, volendo imitar el titolo del duca Filippo suo avo materno, si chiamò Anglo. Di dove vien tal nome di Anglo, saria longo qui descriver; pur a ciò el tutto se intenda, scriverò una epistola venuta de Milano, la qual tal cosa dilucida assà bene.

Epistola Caroli Barbavarae Mediolanensis ad Bernardinum Figinum Veneciis commorantem.

Scribis eleganti epistola, quam ab te hodie accepi, fuisse non paucos ex patriciis Venetis, a quibus es interrogatus quid causae sit, cur novus Princeps noster excellentissimus Ludovicus, suppresso Vicecomitis familiae nomine, Anglum se appellet; et Unde dictio illa emanet, tibique propterea gratissimum fore, si quod in ea re a nobis sentiatur literis aperuerimus, ut amicorum postulationibus, cumulatius quam forte hactenus egeris, facere satis queas. Tibi primum debeo non mediocriter, qui ex tui in me amoris magnitudine multo magis quam par sit mihi deferendum existimes; non ego enim ex parte vel minima is sum quem tu opinaris, et esse non dubito pro bonitate tua cuperes, quia quicquid essem, tuo semper nomini affectissimum, sicut virtus egregia qua praestas exposcit, offenderes. De re autem quam intelligere expetis, etsi certi nihil tam apud nos non dilucide magis quam apud vos scribi possit, tamen quid in hominum corona de re ipsa loquencium dici hactenus diversis judiciis audiverim, tibi nequaquam reticendum puto. Quod Anglum se appellet Princeps noster, facta nominis familiae [118] Vicecomitis soppressione, ea est ratio communi omnium opinione, quod in hoc ducem Philippum emulari, qui et Anglum se appellabat, nulla familiae Vicecomitis facta mentione, decreverit. Qua autem de causa Anglum Princeps ille se vocaverit, alii aliud pro cujusque ingenio et rerum cognitione sentiunt. Sunt enim qui dicant in Anglia regione oppidum Anglum nomine per comites nonnullos olim possessum, cuius regimini nequeuntes ipsi aliis rebus impliciti vacare, aliis vices suas in eo regimine demandabant, ac propterea eos non Anglos solum, sed Vicecomites etiam tamquam vicarium comitum gerentes in loco illo appellari se curasse, ex quibus postea majores ducis Philippi natalem traxerunt. Alii ducem Philippum ex eo Anglum appellatum autumant, quod vel Princeps ipse vel ejus praedecessores cum Rege tum Angliae imperanti affinitatem contraxissent, ac propterea in eius rei memoriam Angli cognomen illis retinere visum est. Quidam vero longo secum dissentientes, ajunt cum Antenore qui ex Trojae excidio in Italiam concedens, Patavium condidit, quemdam Anglium nomine virum clarissimum ad partes has quoque profectum extruxisse Angleriam locum, a quo tum comites, qui Mediolanensium duces fuere, appellati sunt, voluisse ex eo ducem Philippum se Anglum nuncupari. Quorum omnium opinionem neque laudandam neque improbandam mihi censeo, etsi nulla earum digna ratione inniti videatur. Sed ubi tu vel patricii isti aliquam ex illis non rejiciendam prorsus censueritis, ex parte aliqua satis vobis fecisse, postquam veritas rei ex nullis litterarum monumentis quae extant intelligi potest, plurimum gaudebo. Ad haec illud tibi quoque declarare nequaquam omittendum sum ratus, ut quicquid in re fit teneas, non defuisse ex plebeis nostris aliquos temere et non ratione ut nosti dicere quicquid velint solitos, qui principem nostrum ex eo se Anglum appellari velle, supresso vice comite, asserant, quod non tanto illos posthac quanto hactenus sit facturas. Verum, quid dicant, tanquam prorsus delirantes, nesciunt. Nam ex quo ad Ducatum hunc et imperium promotus est, Vicecomites nonnullos et senatoria dignitate et magistratibus aliis decoravit. Adeo quod eos ab illius Excellentia non minores fieri quam antea perspicuo pateat. Vale. Ex Mediolano X Decembris 1494. Vester Carolus Barbavara. A tergo. Venerabili decretorum doctori honor. Domino Bernardino Figino, dentur Venetiis.


A dì 17 Novembrio el Duca di Ferrara, essendo stato 17 giorni in Milano, tornato el zenero dal Re è stato con lui 4 zorni, havendo [119] fatto far a maistro Zanin, fiol dil quondam maistro Albergeto, tre modelli de passavolanti, uno al modo franzese et do a diversi modi; habuto in dono dal Duca 100 miera de metallo, el qual era sta comprà per construir el cavallo in memoria dil duca Francesco, el ditto rame fece condur a Pavia, poi per Po a Ferrara, et etiam ditto maistro Zanin, vi andò con lui per far artegliarie, se partì de Milano, et ritornò a Ferrara per Po nella sua ganzara. Ma non pretermetterò di scriver, licet non sia in proposito, quello a dì 18 ditto a Ferrara accadete: che la notte in la loza, dove el Vicedomino di la Signoria (per antichi capitoli, confirmati da novo da poi la guerra have con ditta Signoria) dà ragione, et è uno San Marco depento, et alcuni scapestri vi andò dentro ditta loza, cavò li occhi a ditta imagine di San Marco, et fece alcune altre poltronerie, dimostrando el cattivo animo avea verso la Signoria. Ma la mattina inteso questo da Zuan Francesco Pasqualigo dottor et cavalier vicedomino era lì in Ferrara, si andò a doler al sig. Sigismondo fratello dil Duca, che tunc in Ferrara era rimasto governator. El qual mostrando haver a mal, ordinò fusse fatto una crida e dato di taglia ducati 25 a quelli accuserà li malfattori. Tamen non se intese. Et zonto el Duca a Ferrara, a ditto vicedomino fece gran dimostratione di benivolentia, che era cosa mirabile; et questo faceva vedendo che 'l Re non li havea atteso a le promesse, però che sperava far qualche novità et rihaver el Polesene.

A dì 18 ditto a Milano fo fatto le exequie dil Duca morto, però che ivi è tal consuetudine, et uno si fa nel settimo, l'altro nel XXX zorno. Vi fu el marchexe Hermes suo fratello con li oratori et consieri dil Duca, et tutti cittadini de Milano.

A dì 19 Novembrio zonse in Milano el tesorier di Bertagna, ambassador dil Re di Franza, con cavalli 14: fo judicato venisse per danari dal Duca, li qual è da creder che li fusse dati.

A dì 20 venne Bernardo Rucellai ambassador de Fiorentini a Milano a congratularsi col Duca, et poi ritornò a Fiorenza.

A dì 23 venne el sig. Constantin Arniti con tre altri ambassadori dil Marchexe di Monferà a congratularsi con ditto Duca.

A dì 22 venne Anzolo Serragli, secretario de Fiorentini, et con el Duca parlato lungamente etiam ritornoe a Fiorenza.

A dì 25 zonse un fio del magnifico Zuan Bentivoi da Bologna a Milano per congratularse, sì per nome dil padre quam per Bolognesi.

A dì 24 in Milano arrivò madonna Chiara di Gonzaga, sorella di questo marchexe di Mantoa et moglie di monsig. di Mompensier, con cavalli 50; veniva da Lion per venir a Mantoa. Allozò in castello, [120] fo molto honorata dal Duca et Duchessa; et poi, partita, andò a Mantoa, sì per starvi quam per esortar el fratello fusse cum el Re de Franza, el qual era al soldo di la Signoria za anni avanti, et havea ducati 30 millia a l'anno, come sarà scritto di sotto scrivendo di lui. Questa stette sempre a Mantoa honorata assà dal fratello, et el marito seguiva l'impresa di Napoli. Quello di lei seguirà scriverò poi.

Quello faceva re Alphonso in questo tempo.

El re Alphonso, come ho scritto di sopra, andava per Reame promettendo privilegii, facendo concessione, carezzando li populi, et provvedendo a li passi necessarii. Et essendo a Trajetto a dì 15 Novembrio si partì con l'ambassador di la Signoria pur in compagnia, et andò a Gaeta, essendoli venuto nova che don Fedrigo con la sua armata di 40 galie esser ivi arrivato, havendo preso do galie franzese che stevano forte per mezzo una rocca de Colonnesi; qual erano scorse lì per fortuna. Fo tratto gran colpi di bombarde di la rocca et di ditte galie, ma li nemici si butono a l'acqua e nudarono in terra, et le galie fonno prese vacue de homeni, salvo cerca 25 che erano rimasti per non saper nudare. Or ne l'intrar dil re Alphonso in Gaeta, li venne contra don Fedrigo do mia fuora di la terra, et ne l'intrar fo tratto assà bombarde di le galie era nel porto: le qual allora era galie 38, fuste 3, arbatoza una et do galie disarmate prese da i nemici, et Villamarino corsaro homo dil Papa con tre galie. Et qui el Re stette 6 zorni.

A dì 21 el ditto se partì di Gaeta e tornò a Trajetto. El zorno sequente fo gran fortuna, si ruppe nel porto di Gaeta do galie et andono a fondi; et in quel dì etiam per disgratia se impizzò (accese) fuogo in la polvere di bombarda di una altra galia, et quella brusò con zerca 40 homeni tra quelli erano in ferri e sotto coverta: il resto si butò a l'acqua, et scapolono la vita. Et la furia dil fuogo durò zerca mezza hora. Fu cosa miserabel et di gran compassione et gran augurio al povero re Alphonso. Et in breve zorni ditta armada disarmò.

A dì 26 uno ambassador dil Turco, homo di gran reputation, intrò in Trajetto, dove era el Re, con 40 cavalli et 10 zentilhomeni turchi tutti vestiti di seda a fiori d'oro, benissimo in ordine. Li andò contra l'ambassador de Venitiani, con molti baroni dil Re et tutta la corte, uno mio fuora. Questo era dismontato però che passò da la Valona, et a cavallo venne che fo una maraviglia. Et exposto la sua imbassada come il suo Signor li voleva dar ajuto, et [121] che stesse di bona voia. Tamen il soccorso non venne mai, perchè Turchi non se fidava de passar in Italia. Et fo divulgato el re Alphonso li voleva dar ne le mani Otranto et Brandizo. Or ditto ambassador andò di longo poi a Napoli, dove stette qualche zorno fino have risposta dil suo Signor.

A dì 30 el Re si partì di Trajetto, passò el Garigliano, poi per rocca de Monte Ragon (Mondragone), venne a Castellamar del Volturno mia 20 da Trajetto, et a dì 1 Decembrio partì de qui et andò a disnar a Patria, dove è uno passo con uno ponte longo de legnami e una torre, et è ditto il lago di la Patria. Et a dì do andò a Cime mia 8, poi a Pozzuol dove sono li bagni assà nominatissimi, et andò per barca mia 3 a veder una fortezza feva far el Re in cima de uno monte, come di sopra ho scritto; poi per la Grotta ritornò in Napoli, dove questo tempo era rimasto al governo uno Vicerè, essendo stato fuora do mexi compiti.

A dì 5 Decembrio el cardinal di Zenoa Paulo de Campofregoso venne a Napoli contra el Re. Questo era stato su l'armada, et poi a Roma, et stette in Napoli sin a la intrata dil Re di Franza, et poi con esso Re si fece benivolo.

In questo tempo el re Alphonso fece far una fortezza sopra el monte San Martino, et cavar le mure si aggiongeva a Napoli, qual abbrazavano tutto el monte de San Martino sino al Castel novo: gran cavamenti et muraglie fece far in pochissimi zorni.

A Venetia quello seguite.

Gionse a Venetia a dì 18 Novembrio Piero et Juliano de Medici, et el sig. Paulo Orsini cugnato di Piero, vestiti incogniti con curacine indosso. Arrivò in casa di Lippomani dal Banco patricii veneti, con i qual havevano gran amicitia: et la sera andono in palazzo dal Serenissimo Principe, con el qual conferito, dimandò licentia di poter menar con loro X armati per caxon di la taja havevano su le loro persone, la qual ancora non era stà levata, come fo di poi a requisitione dil Re, et cussì per el Consiglio di Diese fo concessa licentia. Unde si vestirono in habito assà honesto, con veste curte di zambeloto negro et cape paonazze, con capironi di velluto di sopra, berrette in testa et la spada cadaun sotto, et cerca X provvisionati soi fidatissimi con spade driedoli. Et a dì 20 ditto da mattina andono in Collegio da la Signoria, dove, secondo el consueto di quella, fonno ben visti et carezzati. Demum volseno venir [122] a veder el Gran Conseglio, et venneno con li soi armati, et loro con le spade sotto sentono presso el Principe su el mastabè. Or zonto ditto Piero qui, subito monsig. di Arzenton, ambassador dil Re di Franza, lo andò a trovar a caxa di Lippomani, col qual conferite molte cose. Li fo portato da soi ancora assà zoje, danari et alcune medaje d'oro, le qual lui molto stima. Et etiam vi zonse una baila con uno puttin de anni do, fiol de ditto Piero, el qual fo trasforato de Fiorenza; tamen la madre era lì in uno monasterio, et non molto da poi el Re li mandò uno de soi fino a qui a trovarlo, et notificarli dovesse andar a trovar Soa Maestà con lettere di salvocondutto, et cussì da poi alcuni zorni esso Piero partite di Venetia con il cugnato, et andò a trovar el Re presso Roma, et Juliano restò a Venetia, come dirò di sotto, et poi lo andò a trovar.

Vedendo Venetiani questo Re di Franza prosperar felicemente, et che Fiorentini erano accordati, et havea gran exercito, li padri dil Collegio se ridusevano diuturnamente, et nel Conseglio di Diese tramavano gran cose, et per vedere si potevano pacificare le cose et operarsi in metter paxe in Italia, come voleva pur el Pontifice. Terminono a dì 20 Ottubrio, et elexeno nel Conseglio di Pregadi do ambassadori a ditto Re, et che andasseno con lui fino a Roma: i quali fonno Antonio Loredan cavalier, che za alias a suo padre re et a tempo di la sua incoronatione in Franza vi si trovò ambassador, et ricevette da questo Carlo re le insegne de la militia. L'altro fu Domenego Trevixan cavalier, i quali, benchè fusseno dil Consiglio di Diese et si potevano excusare, pur per servire la Republica libentissime acceptono, et fu decreto nel Conseglio di Diese non menasseno niun patricio con loro, et de lì a zorni IX partiti, fatto la via di Ferrara dove dal Duca li fo fatto grande honor, erano cavalli 40, et Francesco da la Zuecca secretario, et zonseno a Fiorenza dove era el Re a li 21 Novembrio; nel qual zorno lì in Fiorenza seguite certa commotione dil populo, et però non fonno ne l'intrar honorati, come dirò di sotto.

Ancora deliberorono di mandar do solenni ambassadori al Duca de Milano, sì per allegrarsi di la sua creatione, quam per conferire con lui in secreto alcune cose, et operar quello poi uno di loro operono. Et a li 13 Novembrio nel Conseglio di Pregadi elexeno Battista Trevisan, era Avogador di Comun, et Sebastian Badoer cavalier, era Savio dil Conseglio, patricii di gran reputatione et dottrina: i quali a uno tempo a la gubernatione di la città patavina fonno rectori integerrimi. Et partiti a dì 21 ditto, zonseno a Milano a dì 7 [123] Decembrio, et dal Duca preditto fonno molto honorati. Li venne contra et li allozono in Castello, dove era benissimo preparato: ai quali fonno presentate le chiavi dil castello, offerendo el Duca et tutto el Stato a comandi della illustrissima Signoria. Et poi, data grata audientia, el Duca partì et andò a Vegevene, et ditti ambassadori restono a Milano; tamen Zorzi Negro loro segretario andava da Milano a Vegevene a conferir con el Duca, fino che 'l ritornò in Milano, come scriverò più avanti. Ma Zorzi Pisani dottor et cavalier era lì a Milano prima ambassador, habuto licentia de ripatriar, ritornò per Po a Venetia, et zonse a dì 20 ditto, et espose quello in la sua legatione havea fatto, oltre le publiche lettere continue scritte di quello succedeva. Et Battista Trevisan preditto, di uno catarro che li discese, in breve hore si soffegoe, et a dì 24 de ditto mese di Decembrio, a Milano, morite in hore 10, che fo la vezilia de Nadal, et fo fatto le esequie, come dirò più diffusamente al loco suo. Et il corpo poi fo mandato a Venetia a San Stephano. Adoncha rimase solo ambassador Sebastian Badoer, el qual benissimo si portò, ita che reduse el Duca a far quello volse la Signoria.

Oltra di questo, a dì 14 Novembrio, nel Conseglio di Pregadi messeno quattro decime: do al Monte vecchio, le qual son donate a la Republica; et do al Monte novo, et di queste si ha ducati 5 per cento a la camera d'imprestidi de utilità a l'anno, fina sia restituido el capitale, secondo el consueto. Et fo astretto fusse pagate una dil Monte vecchio et una dil Monte novo per tutto el mese presente; le altre do per tutto el mese di Decembrio, et, passado el termine, quelli non havesseno pagado dovesseno pagar con pena di X per cento. Et cussì fonno ritradi assà danari, li quali fonno posti a le Procuratie di San Marco, per spender a li bisogni. Questo è uno ordene se observa per trovar danari a Venetia da li soi cittadini, senza toccar le publiche intrade: zoè pagano la decima di la intrata che hanno, et quelle decime dil Monte novo non sono perse ma hanno utilità, et con tempo li soi danari se restituiscono, et questo cavedal si puol vender et vendesi 90 et più ducati el cento, et hora più et hora manco secondo li tempi. Et za è stà visto con decime sole poste haver sostenuto guerra contra molti, maxime quella del 1482 col Duca di Ferrara aiutato da tutta Italia, che durò tre anni; nel qual tempo fo poste decime: come tutto ne la ferrarese guerra per mi descritta et intitulata al Serenissimo Principe Jo. Mocenigo nostro, chiaro el tutto se vede.

Ancora feceno molte provvisione per recuperar danari; le qual [124] per non esser in proposito pretermetterò de scriver. Et fo preso di augumentar al tempo nuovo l'armada marittima era fuora, capitano Antonio Grimani, et armar XV galie sottil, zoè X in Candia, una a Retimo, una alla Cania et tre a Corfu; etiam nave grosse di Comun et altre vele. Et preseno di far 2000 stratioti, et commesseno al zeneral li scrivesse in la Morea, dove sono gran copia; et li fo mandati danari. Fo ordinato a li patroni di l'arsenal dovesseno preparar li arsilii per mandarli a tuor; oltra di questo preseno di far 3000 cavalli, per augumentar fino al numero de X millia cavalli, et fo scritto in diverse parte per assoldar zente. Et fo scritto a li capitanei di le terre dovesseno far con Hieronimo de Monte vice collateral zeneral, el qual da poi la morte de Mariotto suo padre exercita tal officio, le mostre a li soldati allozati in quelli territorii: et cussì inteseno la verità dil numero di cavalli havevano la Signoria; et fo preso di crescer uno piatto per lanza, che prima era tre soli cavalli per homo d'arme. Le sovvention fonno date, come ho scritto di sopra: a quelli mancava cavallo grosso ducati 60, et per li piatti ducati 25 per uno. Mandono li Savii di terra ferma in diversi luoghi in terra todesca a comprar cavalli, per dar a nostri condottieri. Oltra di queste provvisione, feceno pratiche per condur qualche valente homo per capitan zeneral, Zuan Jacomo di Triulzi o el Conte di Petigliano. Alcuni patricii voleva altri: uno maior Blas ongaro, che fo gran capitano dil re Matthias di Ongaria, et etiam uno so fiol de ditto re Matthias, chiamato el bastardo de Ongaria, homo illustre et de grandissimo inzegno et dal Governo in exercitii bellici saepius experimentado in quelle parte contra Turchi: ma non fo concluso nulla. Tamen condusseno el conte Antonio, fiol dil duca Federico de Urbin, natural, de anni cerca 45, con cavalli 400 et 40 balestrieri a cavallo, et uno altro chiamato Zulian de Carpi, etiam homo di età, con cavalli 400. Questi Signori da Carpi alias fonno per soi meriti creati nel numero del Mazor Conseglio de Venitiani. Hor questi do condottieri, habuto la conduta et danari, si messeno in ordine, et fece zente per tempo novo, et venneno ad allozar in Brexana.

In questo mexe di Novembrio a dì 21 zonse a Venetia uno ambassador del sig. Bayzeth, Gran turco, el qual a dì 27 andato in collegio al Prencipe presentò alcuni presenti mandava el suo Signor a la Signoria, zoè panni d'oro alla turchesca, de li qual fo fatto paramenti di preti et panni di altar a San Marco. Et expose, da poi presentato la lettera di credenza, come era stà mandà dal so Signor per visitar la Signoria, come so buon amico, et per intender la verità [125] di questo Re di Franza, et che al so Signor era stà referito che non solamente veniva in Italia contra el Re de Napoli, ma poi per venir contra di lui, benchè poco lo stimava, et simile parole usò. Unde li fo risposto sapientissimamente per el Principe; et poi lo vestiteno d'oro, donatoli altre veste di seda, et la sua famiglia vestita di scarlatto secondo il consueto, si partì et ritornò a la Porta dil suo Signor a Constantinopoli. Questo ambassador partì et venne insieme con do altri ambassadori dil suo Signor: uno che andò al re Alphonso, come ho scritto di sopra; et l'altro al Papa, a portarli il tributo li mandava ogni anno, ch'eran ducati 40 millia d'oro venitiani, per causa el tenisse con custodia suo fratello Gem, el qual da li soi populi era molto desiderato, per esser huomo bellicoso imitante le vestigie paterne. Or ditto ambassador, insieme con Zorzi Buzardo orator dil Pontifice era stato al Turco, smontato in Ancona per andar per terra a Roma, a presso Senegaja, adi 20 Novembrio, dal prefetto di Roma, fratello dil cardinal San Piero in Vincula, el qual era a soldo di la Signoria con cavalli 400, fo assaltato et toltoli li ditti ducati 40 millia, et alcune lettere trovò in le man dil preditto Buzardo, el qual etiam lui fo preso, et conclusive fece un bon butino. Ma ditto ambassador dil Turco, per esser ben a cavallo, fuzite et ritornò in Ancona, et scrisse a la Signoria et a Roma quello li era intravenuto. Ma el sig. Francesco di Gonzaga marchese di Mantoa per esser molto so amico, zoè del sig. Turco, et etiam spesso l'uno et l'altro si manda presenti, et la insegna di esso Marchexe è uno turco, et fa cridar a li soi: Turco! Turco! ancora che in specialità con ditto orator havea grande benivolentia, mandò uno di suoi a tuorlo fino in Ancona et menarlo a Mantoa, dove stette alcuni zorni et honorato assà; fattoli bellissimi presenti, venne a Venetia et ritornò dal suo Signor, come dirò di sotto. Ma questo intendendo Venitiani, haveno molto a mal che quelli fusse a loro soldo facesse tal cose, sì per el tributo aspettante a la Santità dil nostro signor Pontifice, quam per la paxe hanno col signor Turco: et li scrisseno in bona forma volesse restituir ditti danari. Etiam mandò a ditto prefetto Alvise Sagundino secretario, a veder si poteva operar. Ma il prefetto rispose prima che, come suo soldato, non havea preso alcuna cosa, ma come signor che era di Senegaja, fatto per Sixto pontifice, et che dovea haver ditta quantità dal Pontifice per suo stipendio li avanzava, et che mai non havea potuto haverli; concludendo non volevano restituir cosa alcuna; ma che el suo Stado [126] et la sua persona era a comandi di la Illustrissima Signoria. Et inteso questa risposta, Venitiani lo cassoe di la conduta havea, la qual zà era quasi finita et no volsero più havesse loro soldo. Et ditto prefetto si accordò con el Re di Franza, et, fatto zente lì in Romagna, fo fatto capitano di l'Apruzo, et andò con le sue zente, et fu causa lì in l'Apruzo di far rebellar molte terre a re Alphonso. Et per questa via si trovò la lettera etiam che el Pontifice mandavi al Turco, o vero instrutione, la quale è scritta di sopra, verificata per mano dil Buzardo sopra nominato.

A Venetia per queste guerre venne gran carestia de biave, unde per li Provedador a le biave, erano Lorenzo de Priuli, Nicolò da Molin et Hieronimo Capello, fo fatto alcune provvisione. Mandono a tuor formenti in Turchia, et ebbeno le tratte dal Signor, et di stera 100 millia; etiam have dal re Alphonso di poter trar di la Puia, et cussì mandono navilii a tuorlo, et poco da poi fo grande abbondantia. Et è da saper, come a dì 9 Novembrio in fontego de la farina mandata la poliza juxta l'editto in Collegio, fo visto non esser più di stera 5000 farine, et a Mestre el zorno avanti si havea venduto lire 7 el ster; unde li padri di Collegio li parse molto di novo, cercando di far ogni provvision acciò ne fusse abbondantia in la terra. Et a caso re Alphonso scrisse al suo ambassador, el qual andato in Collegio offerse a la Signoria la tratta di stera 60 millia di formento di le terre di la Puia, et per questo subito li formenti padovani, valevano ducati uno il ster, calò a lire 5 e soldi 12, et cussì la farina in fontego; ita che da poi fo assà più abbondantia.

A dì 3 Novembrio fo preso nel Consiglio di Pregadi di desarmar 8 galie di Candia, do di Corfù, et quelle de Nicola da cha da Pexaro provedador de l'armada: in tutto numero 12, per essere stato assà fuora. Etiam la nave di Comun, patron Pangrati Zustignan, armata, di botte 1500, e questo per esserli brusado l'alboro da la saetta. Item la barza di Andrea Loredan capitanio di la nave di botte 400, et la barza di Quarner di botte 500, capitano Piero Malipiero. Ergo restava in mar el capitanio zeneral, Antonio Grimani, con 19 galie sole; et cussì fonno disarmate. Et a dì 14 Decembrio Piero Malipiero sopra detto zonse qui, et a dì 17 Nicolò da cha da Pexaro sopra nominato. Et da poi, al primo di Decembrio fo decreto di dar ducati 1000 per uno di sovventione a le galie vecchie erano venute a disarmar, et che si tornasseno in armada, perchè pur era bisogno di armada per queste cose dil Re di Franza, che assà prosperava. Ancora [127] in questo mese nel Conseglio di Pregadi fo preso di condur zente d'arme, et haver a tempo novo cavalli XV millia, et stratioti 2000, come dirò di sotto, et pedoni 10000.

El Re de Franza è da saper havea a la guardia sua sopra carrete 6 falconi, pesava lire 1000 l'uno et trazeva ballotte de lire 8 l'una. Et nel suo exercito havea su carri 20 falconi, et 8 serpentini: et cannon de peso de 7 miara trazeva lire 50 di ferro. Item colovrine 12 di lunghezza piè 4, trazeva lire 32 di ferro. In tutto havea 40 carrette. A Castelcaro era 22 pezzi di artegliaria su 22 carri, zoè 12 falconi, 5 cortaldi et 5 colovrine et ivi era per el Re..... fameio di Michiel Vasier, chiamato controllore et uno Basilio da la Scola vicentino et il gran maestro di l'artegliarie dil Roy etc.

[129]

Clarissimo et praestantissimo viro Antonio Grimani procuratori Sancti Marci et classis venetae generali imperatori meritissimo Marinus Sanutus Leonardi filius patricius venetus salutem.

Havendo più volte considerato a cui queste nostre lucubratione dovesse dedicar, et pensandomi di le conditione et qualità tue, clarissime Senator, ho voluto antiponerte ad ogni altro nostro patricio, et el secondo libro di questa gallica historia intitolarti, potissimum per doi rispetti. L'uno perchè in questi tempi al governo di la classe marittima sei stato generale capitano et operasti in augumento di la Republica, maxime nel combatter et acquistar la città di Monopoli in Puia, che era in le mani de Franzesi; dal qual principio seguite a nui per ben de Italia la degna vittoria contra di loro. El secondo rispetto è stato per le dote di Toa Magnificentia, perchè non manco honore mi sarà di haver tal fauctore, che libenti animo legga l'opre mie, quam di haver insudato con grandissima fatica nel componere di questa, licet in lingua materna sia. Et quando mi penso quello sei, non posso star che non dichi qualcosa, a ciò memoria sia sempiterna. Tu primario senator et di età a pena sexagenario, tu a la procuratione di San Marco, tu al governo di la Republica, Savio dil Consiglio sempre in Collegio sei stato, tu in mar Generale Capitano; ergo, terra marique sei operato; tu ditissimo di facultà, la qual cosa istis temporibus sopra ogni altra cosa è extimata; tu padre di quattro figliuoli, che cadauno imita le vestigie paterne; praecipue il maggiore, reverendissimo Dominico, cardinal di la Romana Chiesia, tituli Sancti Nicolai inter Imagines, nuncupato cardinal Grimano; el qual licet zovene sia, non solum in ecclesia è stà honorato, ma etiam in la nostra Republica, sì ne li consigli secreti quam in legatione alla cesarea maestà di Federico terzo imperatore, dal qual ricevette la militia: et essendo dottissimo et non immerito in urbe patavina a le insegne dottoral in una et l'altra scientia assumpto. [130] et in gratia non parum de nostri patricii, volse più presto darsi a la Chiesia, andato a Roma, dove potesse il cristianesimo et la patria sua juvare in omni eventu. Adoncha, quanto gloriar ti dei haver generato questo honore di la zente Grimana, el qual, si Dio li dona vita, spero vederlo nel grado sublime, quod Deus oro id faciat. Degli altri, Vicentio, Hieronimo et Piero non mi extenderò in lodarli, perchè sono conossute loro optime conditione. Quid plura dicam? Experti siamo dil tuo sapientissimo governo in questa pretura marittima, di l'animo grande, volonteroso esponer la vita per honor di la Republica et patria tua. Teste è Monopoli, et chi fu in armata, di quello Toa Magnificentia in quella impresa si operò, come in questo libro etiam lezendo si vedrà. Et se Iddio havesse voluto, come non volse, che nel principio quando in Puia con l'armata a Brandizo ti transferisti, havesti habuto mandato dil Senato di rompere guerra contra Franzesi per la quiete et ben de Italia, come da poi ti fo mandato, sine dubio, con l'armata havevi, con la optima voluntà tua, aresti recuperato brevi tempore tutta quella provincia, con occisione de quegli che contra si fussero opposti. Unde Ferrandino non seria tanto occupato in reacquistare il suo regno. Concludendo adoncha, et pretermettendo più lode di Toa Magnificentia, che in vero longo saria si tutte volesse explicarle, questa nostra veramente fatica di la gallica hystoria, partita in cinque libri, uno di qual a Toa Magnificentia ho dedicato, receverai et lezendo vedrai varie cose et novità seguite in Italia, domente al governo marittimo ti ritrovavi; et sopra tutto la verità senza alcuna adulatione. Longa materia et più longo il descriver, benchè habbi cercato abbreviarla quanto mi è stato possibile. Et si l'opera a Toa Magnificentia piacerà, tanto più mi accrescerà il desiderio di continuar, mentre sarò in vita, quello fortasse da poi questa ne li tempi futuri succederà. Et per non tediare più quella nel leggere questa mia inornata epistola, a Toa Magnificentia infinite volte mi recomando, pregando Iddio vedere a uno tempo, tu a l'ultimo grado nostro, dil qual sei propinquissimo, et il Reverendissimo figliol alla Sede Apostolica, perchè io per la affinità è fra noi etiam degli honori preditti ne parteciparia. Vale, vir clarissime, et me ama, si tuo amore me dignum esse censes. Venetiis, in aedibus, ultimo Decembris M CCCC LXXXXV.

[131]

Marini Sanuti Leonardi filii Patricii Veneti de Adventu Caroli regis Francorum in Italiam adversus Regem Neapolitanum. Incipit liber secundus feliciter.

Fiorentini havendo el Re di Franza ordinato el zorno che 'l voleva intrar in la terra, feceno grandissimi apparati, butoe le porte di legno a terra con le sarazinesche, et a compiacentia dil Re butono una parte di muro appresso la porta di San Friano et atterrono ivi la fossa. Intrò de Luni a dì 17 Novembrio: il modo et ordine sarà scritto di sotto. Et Fiorentini fece questo ordine, che per tutta la terra volseno che in ogni casa fusse preparato per allozar Franzesi, et dove che Franzesi andavano, zoè da prima quando introno in Fiorenza, et in qual caxa volevano, vi poteva habitar, perchè di tutto li era provisto, de vituarie et ogni altra cosa, da li patroni di le caxe: tamen Franzesi pagavano il viver loro. Le donne veramente fiorentine, con le lor robe di valuta, andono a star ne li monasterii di donne religiose. Questo a ciò non si mescolasseno con Franzesi, timide di quello era successo a Lucca. Ma essendo assà zente con el Re, parte fonno mandate cussì come intravano in la terra, fuora per l'altra porta, di comandamento dil Re, verso Siena; et cussì si sparpagnò per quella Toscana. Fiorenza adoncha città in Toscana nobilissima et prima, fo edificata avanti lo advenimento di Cristo anni 90, da gli homeni d'arme de Sylla romano, perchè Sylla preditto li assignò quel paese per sua habitatione; et questi habitono a presso el fiume di l'Arno, et edificono un castello chiamato Fluentia, come scrive Plinio. Dopo, venendo Totila re de Gothi, la prese et totalmente la disfece et guastò. Dopo la prese Carlo Magno, et per memoria la fece rehedificare et ampliare di circuito di mure, et volse la fusse libera con molti privilegii, et concesse a loro legge et gli magistrati. Et poi del 1024 fu molto ampliata per spoglie di la città de Fiesole, perchè quel popolo fo costretto venirvi ad habitare: del 1071 fu accressuta di mure, oltra la chiesia di Santo Laurentio, come è al presente. Et morto Federico imperatore, loro inimicissimo, [132] successe Rodolpho, al qual Fiorentini detteno ducati 6000, et li restituite ne la pristina libertà, et loro ordinono 12 anciani. Et poco da poi mutorono, et ne fecero 8 chiamati Priori di l'arte et uno Confaloniero di justitia, i quali stanno fermi nel palazzo. Per mezzo di questa vi passa el fiume di l'Arno, el qual per la ferocità di le acque è innavigabile. È un bellissimo tempio di San Zuan Battista, dove è il suo digito che mostrò Ecce Agnus Dei, et qui solamente è di tutta la città el Battesimo: et le porte, che son tre, sono di ferro bronzo, historiate dil vecchio et nuovo Testamento. Ancora v'è el tempio edificato con arte incredibile, grandissimo, con una volta nel mezzo et la chiamano la cupola, edificata con inzegno più presto divino che humano, et tutto di fuora coperto di marmoro variato, et sempre vi si lavora, et si chiama Santa Maria la Nonciata, et ha una torre stupenda, tutta di marmoro, per campaniele, altissima. Questa città in poco tempo arse do volte, et fo del 1176. Ha habuto molti adversarii per tuorli la libertà, Pisani, Senesi, et altri in Italia, poi Henrico VII imperatore, poi Castruccio, ancora Lanzilò re di Puja, Galeazzo Maria, primo duca di Milano, et innanzi a lui Joanne archivescovo de Milano, et duca Felippo etiam duca de Milano, re Alphonso et Ferdinando so fiol ultimamente; tamen sempre se difese. Di questa città vi fu Francesco Petrarca, el qual nacque in uno castello chiamato la 'Ncisa in Val d'Arno, 12 miglia di sopra Fiorenza; Dante Aldighieri, Accursio jurisconsulto, Lunardo Aretino ben fusse di Arezzo, et altri assae, maxime Cosma de Medici ricchissimo, Pallade Strozzi cavalier, in greco et latin dottissimo, Angelo Acciauli capo dottissimo in greco. Or Fiorenza zira attorno mia cinque e un terzo; le porte di la terra 13; sopra el fiume di l'Arno è 4 ponti, uno de li qual ha botteghe 40, l'altro X; su l'Arno è molini numero 54 da masenar ne la terra. Ha d'intrada Fiorenza ducati 350 milia; la chiesia cathedral è Santa Liberata, e parrocchie 52, priorie 12, oratorii 16. Ha spedali 38, 4 da infermi, 2 de ammorbati, 2 de bastardi, 26 de pellegrini, uno de preti per zorni 8, uno de frati per zorni 8. Monasterii de frati numero 21, zoè 9 di l'ordine di San Battista, uno de San Basejo, uno de San Hieronimo, 3 di Santo Agustin, uno di Carmelitani, do di San Francesco, do de San Domenego frati predicatori, uno de Umiliati et uno di Santo Antonio. Monasterii di donne 44: 12 di San Battista, 9 di Santo Agustin, 5 di Santo Domenego, 6 Carmelitani, 2 di San Zuan in Hierusalem et do altri; in tutto 44 de li ordeni sopra scritti, ma sotto diversi nomi de Santi. Frati et preti et monache vi sono numero [133] 5000, de li quali 3000 ne sono Mendicanti. Caxe 18 milia et 400. Fa anime 128 milia, forestieri 15 milia. È in Fiorenza strade 258, torre et campanieli 284, piazze 24, loze dove se reducono li cittadini 18, botteghe di seda 120, telari 3000, tra i qual 400 de brocati d'oro et d'arzento lavorano. Botteghe di lana 280, lavorano panni 10000. Battiori numero 263 da depentori per dorar, et da filar numero 23. Spiziarie 95, barbarie 120, oresi 37, banchi de monede grosse et piccole 33, librari 28, sartori botteghe 18, fa calze 64. Consuma de farina al zorno moza 150, ch'è 3600 a l'anno; consuma de vino al zorno 900 barile, ch'è 3500 barile a l'anno et X barile fa una botta. Fiorentini consuma di oio a l'anno barile 55 milia. Di fuora di la terra è caxe et palacii de cittadini X milia fra mia 5; et zirando fra mia X, numero 14 case de cittadini hanno tentorie di seta et lana 47, chiovere da tirar panni numero 8. El palazzo di la Signoria val di spesa a l'anno ducati 24 milia, tra manzar et salarii: videlizet manzano bocche 47. Et il domo è di piere divisate, con il campaniel simile alla chiesa. Casamenti et palazzi bellissimi. Or li Signori soi, che sono 8, et il Confalonier 9, stanno do mexi et non più. Et questa descriptione ho voluto qui scriver, benchè non sia in proposito, pur a ciò di ogni cosa, lezendo questa, se ne habbi cognitione, ho voluto brevemente qui scriverla. Ma a la intrata dil Re veniamo.

Questo è il modo de l'intrar dil Re di Franza in Fiorenza a dì 17 Novembrio.

Imprimamente giongendo la Maestà dil Re a Monticelli, fuor di la porta di San Friano, se fermò qui aspettando l'ordine dato. Ivi gionse la Signoria di Fiorenza, et posesi a sedere in su uno balcone, con le sedie come sono in piazza, su la ringhiera molto ornata, con uno sopracielo de panno azzurro, con le arme dil Comun di Fiorenza, et con certi scudi di qua et di là per la porta, et per l'andito di la porta medesimamente, con le armi dil Re. Et sedendo la Signoria in sul balchetto, se era ordinata una bella processione con ornatissime pianete, come si usa per San Joanni, ma incominciato a piover alcune gozole, i frati se messeno le pianete a roverso per non le guastare, per la qual cosa non poteva proceder la processione. Et pur ancora comenzava venir de molti cavalli, sì de quei de cittadini che andavano incontra al Re, sì etiam de quelli de li homeni d'arme; in modo che i frati furono sbaragliati di qua et di là, e chi correva [134] per uno viottolo, et chi per uno altro. Incominciando adoncha la intrada dil Re, venne avanti 200 coppie de zoveni fiorentini, molto belli, bene a cavallo et vestiti tutti alla franzosa, con ricchissime veste et con maneghe molto larghe. Innanzi a tutti era Lorenzo de Piero Francesco, con squadrone di zoveni a cavallo ben in ordine, che battendo cavalcavano per andar a far certi provvedimenti et apparecchi per el Re. Da poi lui seguite ditti zoveni molto ornati, et driedo loro seguitava forsi 100 coppie de homeni de tempo, pur fiorentini, molto ben vestiti et ben a cavallo. Et cavalcando via, stando cussì uno puoco, comenzò a venir la zente dil Re, et innanzi a tutti 4 tamburini con 4 tamburazzi grandissimi, che parevano 4 tinele, et sonavano con tutte due le mani, et havevano duo da lati che sonavano zuffoli, et fazevano sì grande el strepito che 'l pareva ruinasse quella via dove i passavano. Et driedo a loro 7 caporali, che andavano al pari, in modo che i tenevano quanta era larga quella via, armati benissimo con certe curazze scoperte et maglie, et le braze è bellissime, salde di finissime maglie, con certe arme a uso di ronca inorate et molto lustrate: parevano arme disconze al portare, ma erano più atte a tagliare uno usso (uscio). Et havevano uno cappellazzo in capo per uno, et sopra la curazza una zornea tutta frappata de zambelloto. E driedo loro parecchi altri con quelle mannaie. Et da poi questi, forsi 200 balestrieri con forsi 800 arcieri a piedi, et loro 4 tamburazzi, con forse 2000 schioppettieri. Innanzi a tutti era uno homazone, con una arma in mano lustrata, a uso di spedo da porco, fitta in uno querculo grosso e torto: cosa assà goffa; et poi questi 4 tamburazzi che sonavano con tutte due le mani, che pareva gli avesseno a far una vendita. Et da poi questi veniva molti Sguizzari con zerti lanzoni molto curti et grossi come travexeli, con uno certo ferrazzo curto a uso di una ponta de partesana, et andavano a sette a sette tutti insieme, et durono uno gran pezzo a passare, in modo che fo stimato esser più di diecemilia, et driedo a questi venne certe banderuole, et dopo loro erano altri schioppettieri et balestrieri et arzieri, con una squadruzza con quelle mannaie, come ho ditto di sopra. Da poi questa veniva uno trombetta, con una tromba longa, con una bandiera, con uno squadrone de forsi 60 homeni d'arme, con li più diversi et grossi cavalli che mai fusse visti, con sopravveste mezze di brocato d'oro et mezze divise, e con bellissimi pennacchi e con una mazza ferrata per uno in sulla cossa, et il stocco a lato. Et da poi questi venivano quelli che portavano le lanze inclinate come se le volesseno imberciare. Et dopo [135] questi venne pochi balestrieri a cavallo, ma una grandissima moltudine de arzieri a cavallo. Et dopo questi uno altro squadrone, medesimamente armati tanto riccamente che tutti doveano esser o conti o signori, et era zente molto fiorita. Et cussì avanti che venisse el Re, venne 8 o ver 10 squadroni, come ho ditto; poi veniva tutti i trombetti di la Signoria di Fiorenza, vestiti a la devisa dil Re, zoè bianco e vermiglio, con certe gabanuzze di zambelloto, et con una moltitudine de trombetti dil Re; et driedo a loro uno bellissimo squadrone de homeni d'arme, tutta fiorita zente. Veniva prima li signori dil sangue, tra i quali vi era do italiani: el sig. Galeazzo di Sanseverino et don Ferrante fiol dil Duca di Ferrara, a uno insieme con loro. Et po questi uno baldacchino portato da quattro dottori in la terra Fiorentini, sotto el quale era el Re a cavallo, in su uno bello cavallo, et havea indosso una gabanella de broccato d'oro tirato, et di sopra una sbernia di raxo azzurro et uno cappellazzo bianco sottile in capo, che non parea fusse niente su quello cavallo se non uno capo per la grandezza dil cappellazzo: uno homicino aliegro in viso, con uno grandissimo naso, et il viso longo, con fanti a piedi intorno, che era una bella cosa a veder. Et driedo al Re era assà baroni, con veste de broccato d'oro che toccavano per fino in terra. Et dopo loro venne parecchi squadroni de homeni d'arme, come quelli da prima, che mai si vide la più mirabil cosa. Et intrato in la terra, sonando tutte le campane, li fu fatto riverentia a Sua Maestà da la Signoria era sentada lì a la porta di San Friano, come ho ditto di sopra. Era tunc temporis confalonier di justitia uno Francesco di Martino Scarfi. Et giongendo al ponte di Santa Trinità dove era uno carro con uno edificio con molti razi (arazzi) quando fo annonciata Nostra Donna, che parve cosa bella al Re; et seguitando el cammin passò per borgo San Jacomo et passò el Ponte Vecchio, et venne zoso per Ponte Santa Maria, el qual era tutto coperto di quella tela vi sogliono metter i botteghieri per rispetto del sole; et zonzendo in piazza, lì era uno carro triumphale, con uno grandissimo zio (giglio), et di sopra una corona di palme inarzentade, con rami de olive; et eravi su giovani con diversi instrumenti, che sonavano et cantavano, et salutorono el Re dicendo: ben vegna el liberator et restaurator de la libertà! et molte altre cose in laude dil Re. Et procedendo passò da casa de Zulian Gondi, passò via dal canto di Pazzi, et zonzendo in Santa Liberata smontò da cavallo et intrò in chiesia. Et zonzendo a la porta, quivi era el Vescovo con tutto el clero de preti; et menollo a l'altar grando, [136] et ivi ringratiò Dio che lo havea condutto a salvamento, et da tanta zente che era, si durava fatica zonzer perfin a mezzo la chiesia. Et quivi sopra l'hostia in man di l'Arcivescovo solemnemente zurò de observare li capitoli, li qual saranno di sotto scritti, et mantegnirave Fiorenza in libertà, restituendole le sue terre; et volse che, versa vice, la Signoria di Fiorenza, nomine illius Comunitatis, li zurasseno sempre saranno fideli a sua corona et a la caxa di Franza. Et poi ritornato con gran furia fu messo a cavallo, per esser piccolissimo, et fu menato in la via larga, perchè era sì grande la calca, che non si poteva seguitarlo, et era notte, et dismontò da cavallo. A la caxa de Piero de Medici era apparato per Soa Maestà con tante zentilezze, che mai più si vide tale, dicono i Fiorentini. Primamente era coperta tutta la via de mantegli de roversi azzurri con zigli zali, et con uno cornisone con le arme dil Comune et dil Re, et cussì sopra lo usso (uscio) che usciva a la scala con festoni acconci ornatamente, et cussì sopra la loza dentro, più degnamente che non si potrebbe contare, con tanti zigli e con tele zale. La camera tutta conzà di broccato d'oro. Et il simel in caxa de Piero Francesco pur de Medici, con uno tondo in su lo usso (uscio), messo a oro con le arme dil Re, et con festoni pendenti da lati, con penne inarzentade conze degnamente, et di sopra con uno vaso inarzentado et con uno lauro in ditto vaso, pur inarzentado, et in caxa benissimo aconzo, con panni d'oro per coperte di letto, cose bellissime d'ornamenti, et una lettiera de avolio con le casse de avolio. Et in questo mezzo si era fatto notte, et la Signoria fè metter uno bando, che ognuno mettesse lume a le finestre per fina a le 5 hore, sotto pena di la disgratia loro: et cussì fo fatto per poter allozar Franzesi, et pareva zorno, tanta luce vi era. Et subito zonto el Re, dimandò di le medaie, cammei et porzellane di Piero, che erano cose di grande estimatione, però che Lorenzo suo padre molto si deletava; ma perchè erano sta strafurate da li soi, et scose in li monasterii, non le potè haver. Et Fiorentini li presentò la caxa preditta di Piero, ma lui non la volse accettar, et molto instigava la tornata di Piero, facendoci tutto a ciò ritornasse: tamen Fiorentini mai volseno consentir, imo li chiesero una gratia, che tutte le arme de Medici, erano depente per la terra et nel palazzo, fusseno dispegazate, a ciò non vi restasse memoria di loro, et che la parte seguiva Piero fusse cazzata dil governo; et levono alcune caxe antiche, le quale un tempo erano stà basse, et da Medici subposte. Francesco de Medici nominato di sopra, a ciò non fusse più chiamato de caxa de Medici, essendo ditta caxa [137] venuta tanto in odio a Fiorentini, volle che de caetero fusse chiamato di la caxa de populani, et mutò l'arma che prima era sie balle rosse in campo zalo, et una a questo modo come è qui pinta, et al presente levò l'arma, zoè una rosa in campo bianco, ch'è l'arma di la Comunità. Et questo intrò al governo di la città, et ogni exilio et confiscatione per sè stessa era levata col governo di Piero. Adoncha per il scaziar de Medici niuna caxada di quelle lo seguiva fo mandate fuora de Fiorenza, ma ben quodammodo private, zoè che non erano elette al governo di la Republica, benchè etiam fino li soi medesimi fonno contrarii a esso Piero. Et questa Signoria, che era al presente 8 et il confaloniero di justitia, i quali habitano in palazzo, era di quelli pur fatti mentre Piero era in Fiorenza, et compiteno li do mexi di loro dignità. Ma, compiti, fonno refati de altri, et fatto uno nuovo ordene, secondo come di sotto il tutto chiaro sarà scritto.

Capitoli conclusi tra il Cristianissimo Re di Franza et Comune di Fiorenza a dì... Novembrio 1494 in Fiorenza, firmati[105].

Oratio Marsilii Ficini Florentini ad Carolum Gallorum regem habita...... Acta Florentiae die... Novembris 1494. Dixi[106].

Protesta Regis Franciae ad Alexandrum pontificem et universis et singulis[107].

Questo protesto fo mandato ad Alexandro Papa et Collegio de reverendissimi Cardinali, el qual poi a ciò tutti lo vedesse et potesse ben leggerlo a suo piacere, fu butado in stampa, latino et vulgare, et venduto per tutte le città de Italia.

[138]

Quello seguite in Fiorenza mentre el Re vi stette et in Toscana.

A dì 21 de Novembrio zonseno in Fiorenza, dove era el Re, Domenego Trivixan et Antonio Loredan cavalieri, ambassadori di la Signoria di Venetia, deputati a esso Re di Franza, et senza altro honor se ne andono con la sua brigata a dismontar al hostaria. Questo perchè in quel zorno medemo fu certa novità di populo ivi, adeo che quasi tutto el populo armato era corso a la piazza, per caxon di alcune presomptione havea usato certi baroni franzesi. Però che Fiorentini si haveano redutto in conseglio per consultare li fatti loro, et etiam per trovar danari che il Re dimandava, iuxta la forma di capitoli. Et mentre erano Fiorentini a tal consultatione, questi Franzesi dubitando quello voleva dir questo star tanto in conseglio, volseno intrar in palazzo et etiam nel ditto conseglio, dicendo volevano intender la cagione stevano tanto serrati a consultar. Et li fo risposto consultavano el fatto loro, et che non volevano che ditti baroni intrasse nel loro conseglio. Unde uno di quelli franzesi desnuò uno pugnal verso il portinaro, volendo al tutto intrar: per la qual cosa la Signoria fece sonar campana a martello, unde tutta Fiorenza si messeno in arme, et si pur uno havesse principiato, sine dubio tutti li franzesi che ivi si trovavano sarebbe stati tagliati a pezzi, perchè in Fiorenza è un gran populo, et, come fo ditto, era appresso persone XV milia da fatti su la piazza. Et el Re meravigliandosi di questo, benchè le sue zente erano volonterose di far qualche movesta, per haver causa de metter la terra a sacco, ma considerando el pericolo havea a seguir, a mettersi a furore populorum, ordinò a le sue zente stesseno in pase, et cercò di adattar le cose. Et mandò a dimandar a la Signoria quello havea voluto dir questo, et intesa la cagione, al meglio si potè fo a ditti fiorentini fatto diponer zoso le arme, et la Signoria medema venne ad excusarsi alla Maiestà dil Re, con la qual fra Hieronimo di S. Marco di l'ordine di San Domenego, reputato in Fiorenza santo, come ho scritto di sopra. Et disseno Sua Maestà non se dovesse meravigliar, perchè quel populo era di tal sorte che, a uno segno, tutti se redusevano armati a la piazza ad aspettar il mandato di la Signoria, per conservation de loro libertà; et etiam perchè pur intendevano che quella voleva promover el ritorno de Piero de Medici, la qual cosa el populo non la poteva sopportar, per le tirannie havea quella caxa [139] fatto. Et come vidi una lettera venuda di Fiorenza, che el Re protulit haec verba: li cieli et le stelle voleva che noi desfassemo Fiorenzai et nui li volemo obstarli. Etiam è da saper che Fiorentini antivedendo a molte cose, havendo a vegnir questo Re in Fiorenza, ordinono un bel modo di adunar zente in la terra a li bisogni, et elexono XXX commissarii, i quali andasseno per le ville, castelli et terre vicine dil suo territorio, et far che quando sentivano sonar la campana dil palazzo di la Signoria, la qual di raro vel numquam si sona a campana e martello, se non quando intravviene qualche novità grande: et fo sonata al tempo che Piero de Medici andò attorno la terra, come ho scritto di sopra, cussì etiam li campanelli di le chiesie dil contado de Fiorenza dovesseno sonar, nè mai restar se quella prima di la città non restasse; et che tutti, a tanti per caxa, dovesseno correr armati come meglio potevano a Fiorenza a ubidientia di la Signoria. Questo feceno a ciò el Re non li venisse voglia di far qualche movesta, essendo con cerca X milia persone allozato in la terra: ancora secretamente feceno intrar molti del contado armati in Fiorenza, i quali stevano occulti, a ciò in omni eventu fusseno presto preparati. Et questo fu la causa che nè Fiorentini poteno mandar contra li ditti ambassadori, nè etiam uno de primi baroni dil Re, al qual era stà commesso dovesse venirli contra et honorarli. Et zonti ditti oratori, sedate le cose, Fiorentini si venneno ad excusar, et li consignono una caxa honorifice preparata, et cussì etiam ex parte Regis venneno ad receverli, narrando la cagione che non erano venuti contra. Et poi andono a la presentia dil Re, dal qual fonno benigne ricevuti; et exposeno a dì 25 la loro imbassata, sì publica quam privata, et con el Re andò per fino a Roma et deinde a Napoli, come tutto scriverò di sotto.

Et Pontifice Romano, come capo di la Christianità, essendo suo ufficio di veder pacificar le cose, maxime in Italia, vedendo che el Re non havea voluto parlar a Lucca al Cardinal di Siena legato suo; et vedendo che el cardinal Curcense, tituli Sanctae Mariae in Cosmedin, di natione franzese, el qual noviter, a riquisitione dil re Maximiliano, da questo Pontifice fu creato insieme con XI altri cardinali ne l'anno 1493 di Dicembre, voleva venir a trovar il Re a Fiorenza, li commesse alcune cose dovesse dir a Sua Maestà et detteli zerca quella legatione, zoè veder di adattar, potendo. Ma non potè far nulla, nè etiam molto si scaldò, per esser franzese. Ma pur el Papa terminò di star constante, et al tutto metter sue forze in ajuto dil re Alphonso, al qual concesse tutti li passi de entrar in Reame [140] che era di la Chiesa, a ciò li fortificasse et mettesse custodia, come ho scritto di sopra. Ma Colonnesi non restava di far a Romani il pezo potevano.

El cardinal Farnese, fatto legato in Patrimonio, volendo intrar in Montefiascone, loco di la Chiesia, non fu accettato; ma Franzesi poi intrò zerca 4000 a dì 26 Novembrio, come dirò di sotto.

Ritorniamo a Pisani. I quali, partido el Re di Pisa, cerca XXV zoveni figlioli de principali cittadini andono alla cazza et preseno molte selvadesine, et cussì tutti vestiti a uno modo de turchino, con l'arma et insegna dil Re nel petto, venneno a trovar el Re a Fiorenza, et presentarli quello havevano cazzato. La qual cosa fo al Re molto accetta. Unde questi fonno con bel modo da Fiorentini retenuti, benchè el Re l'havesse molto a mal, et però volse mantenir Pisani in libertà, et zerca Pisa non servar li capitoli a Fiorentini. Et ancora Pisani intendendo che 'l Re havea fatto uno capitolo con Fiorentini zerca loro, per el qual pareva non dovesseno esser (come erano) reduti in libertà, mandono al Re soi ambassadori, i quali fonno Bernardin de Lagnolo cavalier, Simon Francesco de Orlandi et Piero Griffo jur. doct., a ciò ottenesseno da Soa Maestà la libertà. Et questi da poi che alcuni stetteno seguitando el Re, da poi il suo partir de Viterbo, ottenneno carta et privilegio rimanesseno in libertà con alcuni capitoli: tamen che dovesseno pro nunc levar le insegne sue, et esser sotto li soi do governadori et capitano ivi lasciato. Et cussì ditti oratori ritornono a Pisa.

Ma è da saper che Pisa è camera de imperio, et ex consequenti ditto Re non ha alcuna jurisditione, nisi in armis, de redurli in libertà.

Ma el Re de Franza preditto, essendo stato in Fiorenza zorni XI, habuto danari da Fiorentini, zoè ducati 50 milia, havendo visto la terra, però che tal hora vi andò a cavallo quella vedendo, fo a messa a S. Johanne et Santa Liberata; et ritrovandosi ivi ambassadori de Senesi, che l'aspettavano per compagnarlo in Siena, li dava passo et vittuarie, offerendoli la terra, come sempre havevano fatto, per la devotione portavano a la casa di Franza, i quali fonno Zuan Antonio Saracini et Bartholomio di Carlo franzoso. Questi pregono Sua Maestà che con più poca zente potesse dovesse intrar in la città. Za era venuti a la presentia dil Re li cittadini fora ussiti di Siena, i quali del 1487 fonno discacciati da la parte contraria, pregando el Re volesse farli ritornar in Siena. Et cussì el Re cercò di farlo, benchè non potesse ottenir questo da Senesi, come dirò di [141] sotto. Et el Re lasciato do soi ambassadori o vero commessarii in Fiorenza, secondo la forma di capitoli, i quali fonno monsig. di la Mota, el qual non molto da poi fo mandato ambassador a Milano, et ne successe uno altro chiamato Gian Francesco general di Bertagna catelano; et l'altro pur lassato in questo tempo fu el presidente dil Delphinà. Et a dì 28 Novembrio da po disnar partì de Fiorenza, et andò mia 3 a uno monasterio di la Certosa, dove è una bellissima et forte fortezza, cussì è fabbricato ditto monasterio, et quivi se puose. Insieme vi seguiva li ambassadori de Venitiani; et Fiorentini etiam vi mandò fino a Siena, et do che dovesse seguir Sua Maestà sempre, zoè Francesco Soderini episcopo di Volterra, et Neri Capponi. Ma lasciamo qui el Re, et quello in questo mezzo seguite scriviamo.

Za le sue zente erano andate parte avanti avviato verso Siena, et anche su quel di la Chiesia, facendo corrarie et prendendo alcuni castelli per caxon di haver vittuarie. Et mentre che el Re era in Siena mandò monsig. di Mompensier con 3500 cavalli avanti in Siena: el qual havendo intelligentia con quei de Acquapendente, ch'è una terra dil Papa, mandò 1500 cavalli, i quali ivi presentati ebbeno subito la terra. Et cussì si andavano sparpagnando per quelli castelli vicini di la Chiesia, et dannizavano, benchè, dove andava, subito li era portate le chiave, come fu Orvieto, Montefiascone et altri luoghi, i quali non accade qui descriverli.

In questi zorni accadette di una preda fatta per Franzesi, la qual non voglio lassar di scriver, ch'è una madonna Julia di Fieschi, moglie dil sig. Ursino sig. di Brassanello, ch'è uno castello appresso Viterbo, et sorella dil cardinal romano chiamato Farnesio, novamente da questo Pontifice creato cardinal, et era favorita dil Pontifice, di età giovine et bellissima, savia, accorta et mansueta, la qual era venuta de Roma a uno sponsalicio de alcuni soi parenti, et partita di uno castello a presso Montefiascone o vero Acquapendente, ivi ne la strada con zerca cavalli 40, et molti di quelli era in sua compagnia, de la fameglia dil cardinal preditto, el qual non era stà accettato in Montefiascone, et era ritornato a Viterbo legato. Or da uno monsig. di Alegra fo presa, et poi menata a Viterbo, come dirò di sotto: et inteso chi la era, dette taglia ducati 3000, et scrisse al Re di questa presa, el qual non la volse veder. Ma lei scritto a Roma come era benissimo trattata, et che li fusse mandato la taglia, essendo stata alcuni zorni lei con le sue donzelle con Franzesi a Viterbo, habuto la taglia, benchè altri dicono per liberalità di quel [142] che la prese non volse taglia niuna, ma libere con 400 Franzesi foe accompagnata fino a le porte di Roma, et ita fuit.

Ma el Re, partito di la Certosa, venne de sera a San Cassano, et ad allozar a Poggibonzi, lochi di Fiorentini, demum intrò in Siena. Ma prima che descriva el modo et ordine et quello fece in Siena, voglio di Fiorentini scriver alcuna cosa.

Successo a Fiorenza da poi la partita dil Re.

Fiorentini, benchè havesseno conclusi li capitoli con el Re, che li fosse reso li soi luochi, pur per più securtà esso Re volse tenir Serzana, Serzanello, Pietrasanta, el forte de Livorno, et si pol dir di Pisa, et in Fiorenza lassò li do sopra nominati. Tamen non mosse in ditti luoghi le insegne de Fiorentini, ma ben li custodi, et vi puose de suoi franzesi.

Ma, partito el Re, deliberorono di far li loro ufficii, essendo tempo de li do mesi di mutar Signoria, et cussì elesseno una parte de cittadini in palazzo di signori, et tra loro questi ufficii i quali parte, maxime li accoppiatori, dovesseno durar uno anno, li nomi di quali qui sotto saranno scritti. Ma el populo, inteso questo modo novo, non volendo tollerar, si levono a rumor, et corseno tutti sopra la piazza, unde fo deliberato a far a questo modo, compito el tempo de questi deputati che era uno anno, di governarsi secondo el costume vecchio, zoè che tutti quelli di Fiorenza potesseno venir a consiglio compiti anni XXX, essendo stato però o loro, o il padre, o suo avo, intro uno di questi tre officii, o vero di signori, o confalonieri, o di collegio; et non vi essendo stati, come è ditto di sopra, non se intenda dil loro consiglio. Dove, questo numero reduto, dovesseno deliberar el modo de li officii haveano a far, maxime la Signoria, come cussì feceno, qual intenderete lezendo più avanti. Tamen pro nunc quelli officii fatti restasseno, et cussì fo sedato el popolo fiorentino.

Questi sono XX accoppiatori creati per uno anno.

[143]

X Conservatori di la libertà.

8 di guardia di balia.

Et non molto da poi provedendo a poner buon governo al stato loro, dil mexe di.... uno Antonio di Miniato cittadino pur di Fiorenza, che per consulti di la terra era eletto perpetuo official di monte, al qual se depositava tutte le intrate de Fiorenza. Questo, quando Lorenzo de Medici da poi la guerra con el re Ferrando andò a Napoli, et ritornato messe una parte che necessitava donar molti danari et presenti a Signori occultamente per conservar la libertà di Fiorenza, et el populo che vedeva che el re Ferrando l'havea rimandato con maggior autorità che prima, dubitando disseno tutti esser contenti, et per Lorenzo fo eletto questo Antonio de Miniato et confirmato dal populo, o vero consiglier a tal administration di l'entrade, come ho ditto, et da po' etiam, morto Lorenzo, sotto Piero vi restò; ma, seguita la ribellione di Piero, ditto Antonio in questo tempo da Signori fiorentini fo preso, et fugli domandato l'administratione di anni 16, che tanto tempo havea scosso le intrade di Fiorenza. Rispose haver dato a la caxa de Medici un milion e 500 miera de fiorini, senza i altri lui havea speso per conto e comandamento di Lorenzo et Piero. Unde fo terminato che 'l fusse decapitato su la porta dil palazzo dil Papa, et che tutti i soi beni andasseno in Comune, et altri parenti in exilio complici; i quali anche loro havevano participato in questo scelere, di tuor li danari publici. Et fugli trovato in caxa di ditto Antonio miera 40 fiorini, scosi sotto el soler dil fuogo, li qual lui a poco a poco li accumulava, stimando che mai per alcun tempo non se ne sapesse, et pur fonno trovati.

Intrata dil Re di Franza in Siena adi do Dezembrio 1494.

Intrò el Re di Franza in Siena con grandissimo triumpho, li andò contra la Signoria di Siena et assà cittadini. Fo fatto alcuni archi triumphali a le porte, gioso di qual discendevano alcuni angeli, et li presentò le chiave di la cittade. Et intrò a dì do Dezembrio di marti a hore 23, et a la prima porta de Camolia fo fatto uno [145] arco triumphal con queste lettere: Sena vetus civitas Virginis. A la seconda porta fo fatto una lupa, ch'è la insegna de Senesi, a li piedi di la qual erano queste parole: Venisti tandem, rex Christianissime, cui nostrae ultro patent januae. Et a la terza porta era uno arco triumphale con do homeni, uno di qual representava Carlo Magno, et havea queste lettere: Italiae, ecclesiaeque romanae liberator, christianaeque fidei ampliator sanctissimus; l'altro rappresentava questo Re presente, con questo verso: Carolus octavus Francorum rex, ad idem divino missus numine. Et era preparato il suo allozamento bellissimo de ogni sorte tapezzarie, panni d'oro etiam nel Vescovado, el qual per Pio pontifice, per esser Senese, quando vi stette fo fabbricato molto degnamente, et sopra la porta de ditto Vescovado era scritto: Salve, dive Carole, Francorum gloria, Italiae praesidium, Africae terror. Fonno poi cantati li infrascritti versi, quibus beata Virgo Francorum regem alloquitur:

Inclite francorum rex, invictissime regum,

Unica christicolae spes et fiducia gentis,

Ingredere et felix subeas mea tecta, secundis

Auspiciis, nam re ipsa libens vultuque sereno

Urbe mea accipio, felicibus annue ceptis,

Committoque tibi veteres mea moenia Senas,

Senas Gallorum Senonum de nomine dictas.

Siena adoncha è città seconda in Toscana de potentia et ricchezze, et come scrive Policarpo nel VI suo libro di le Croniche fo edificata più de 300 anni avanti l'avvenimento di Cristo da Franzesi Sennonesi per habitatione de loro homeni antichi; ma al presente si può numerare fra le altre moderne, perchè in quella non è alcun segno de antiquità ma tutta degnamente rinnovata. Altri vol fusse edificata da Carlo Martello, ma Biondi foroliviense historico scrive esser stà edificata da Iohanne XVIII, et da sei plebatichi a quella assignati fo chiamata Siena, de quali fo el primo de Perosa, de Chiusi, de Rezzo, Fiesole, Fiorenza et Volterra. Questa città è in su un colle, ha intorno ripe de tufi, ma nella parte superiore de questa città sono paesi plani, con molti giardini, et è molto coltivata. Vi sono molti superbi et degni edificii et studio publico in ogni facultà, una piazza degnissima con palazzi di Signori ed altri privati superbissimi, uno hospitale ricchissimo et piatoso con un degno governo, et ha grande intrata. Per la città sono torre altissime et forte. El suo territorio è paese fertilissimo in ciascuna cosa a l'humana vita necessaria. È mia 80 discosta da Roma. In questa alcuna religione ebbe principio: come fu Monte Oliveto quello descoperto [146] numerato fra Canonici regulari di Santo Augustino, de gli Iesuati et quasi quello di Santo Francesco per San Bernardino che fu di Siena. Quivi del 1058 fu fatto el Concilio, et Nicolao II creato pontifice. Di questa città vi fu Alexandro III che sostenne molti mali da Federigo Barbarossa et alla fine aiutato da Venitiani: etiam Pio secundo, Santa Catharina di Siena del terzo ordine di Santo Domenego, Ugo Benzi medico summo, et molti altri li quali numerare sarebbe perder il tempo.

Or il Re intrò in Siena con 4000 cavalli, dove era il Cardinal di Siena nominato di sopra tituli Sancti Eustachii, el qual è episcopo di quella città. Or el Re, visto non li haver voluto parlar a Lucca come legato, quivi essendo persona privata et non nomine Pontificis, li fece le debite accoglienze, dimandando perdono si a Lucca non li havea parlato, perchè sì come Cardinal o vero per nome de Senesi fusse venuto, libentissime li arebbe dato audientia, ma non volse come legato dil Papa, et cussì al presente li fece bona ciera, per esser degno prelato. È da sapere che la prima cosa che fece el Re quando intrò in Siena, fu che andò di longo al Domo. Ivi fece l'oratione, seguendo quel ditto di Christo: Primum quaerite regnum Dei, et poi dimandò a la Signoria, però che Siena si governava come Fiorenza fanno. Li Signori et Confalonier stanno in palazzo, et portano certi signali a le barette per esser conosciuti. Li chiamano et sottoscrivonsi alle lettere: Priores, gubernatores comunis et cap. populi civitatis Senarum. Et cussì come a Fiorenza è confalonier, cussì qui è capitano dil populo. Or el Re dimandò 4 cose: Primo, che li fora ussiti dovessero esser lassati intrar, et li fosse perdonato. Secundo, che li fusse prestati certa quantità de danari. Tertio, che li desseno formenti, promettendo di pagarli. Quarto, potesse haver il passo aperto. A le qual richieste, fatto le debite consultatione, risposeno: prima non voler più li fora ussiti, tamen che vederebbeno di adattar, come cussì fo. Che danari non havevano, ma che formenti erano contenti di dar a Sua Maestà moza mille, che valevano ducati 4000, di quali volevano li danari. Tamen ebbe promesse et mai fo satisfatti. Oltra di questo per liberalità di Senesi, li appresentono in dono altri mille moza de formenti. Et cussì seguite le cose con Senesi.

Viene qui a Siena dal Re el Cardinal di Sanseverino, el qual licet fusse da la parte di Ascanio, tamen era in Roma, et per esser episcopo maleacense (di Malaga) et stato qualche tempo in Franza, parse al Pontifice di mandarlo per legato, et con lui uno ambassador di re Alphonso, per veder si potevano conzar che non venisse [147] più di longo, mediante li ambassadori venitiani, et darli qualche tributo etc. Ma el Re dato audientia a ditto legato, et dittoli come al tutto voleva esser a Roma, et ritrovarsi far le feste di Nadal ivi con la Beatitudine dil Pontifice, dove el vederia di conzar e far quello si havesse a far. Et ditto cardinal, havendo tal risposta, in uno zorno et mezzo ritornò da Siena a Roma, ch'è mia 100.

Quelli di Viterbo, in questo mezzo, ch'è una città dil Pontifice mia 40 da Siena et 60 da Roma, la qual dil 1193 per Celestino III pontifice fu denominata città, et ordinò in quella la dignità episcopal, el cui vescovo fusse similmente pastore di Toscanella et di Centocelle, et terra bella, grandissime chiese et torrazze assai et fontane, circonda mia 3 et si dice Viterbo. È loco di 4 città piccole, et già dil 1493, perchè a Roma vi era la peste grande, questo Pontifice con molti Cardinali et la corte qui in Viterbo vi stette. Or appropinquandosi el Re, el Pontifice era contento che 'l sig. Virginio Orsini a compiacentia dil re Alphonso con alcune squadre de cavalli et assà fanti dovesse intrar a custodia di Viterbo, et etiam se divulgava el Re preditto Alphonso havea scritto a suo fiol duca di Calavria, venuto di Santo Arcangelo, dove era stato fino hora, più propinquo a Roma con le sue zente, et conte di Petigliano, che dovesse entrar lì in Viterbo a ciò Franzesi non tegnisseno quella terra. Ma Viterbesi non volendo guerra sopra il suo, mandò a notificar al Re, che ancora era quivi a Siena, dovesse mandar zente che le metteriano in la terra avanti che giongesse el presidio aragonese, offerendosi loro et la terra sua a Sua Maestà. Per la qual cosa el Re vi mandò monsignor di Alegra nominato di sopra, et poi immediate venne monsignor di Monpensier con 4000 Franzesi et introno in Viterbo. Ma alcuni custodi dil Pontifice intrò in la rocca, tamen etiam di subito si rese.

De l'intrata dil Re di Franza in Viterbo et successo fin l'intrar in Roma.

Vedendo el re di Franza prosperar le sue cose felicemente et esser in gran reputatione in Italia, che 'l suo exercito augumentava però che per ogni luogo dove el passava zente paesane lo seguiva per andar al vadagno, havendo visto che dove si appresentava le chiave erano portate, et licet fusse inverno, tempi da star a li alozzamenti, pur franzesi li piaceva guerrizar, et li pareva istade, per esser sotto un altro clima. Et a dì 4 Dezembrio a hore 18 partì di [148] Siena, essendo stà molto honorato da quella comunità, con do Cardinali San Piero in Vincula et Curcense, essendo stato tre zorni in Siena. Venne allozar la sera a Bonconvento, loco de Senesi, et passato a Montepulzano, a dì 7 ad Acquapendente terra di la Chiesa novamente da li soi d'accordo acquistata, et qui si reposò, per esser Domenega inassueto a cavalcar, per devotione. Et a dì 8 ditto intrò in Viterbo con molte di le sue zente, et non vi potendo capir, la terra licet fusse grande, mandono fuori di la città gli homeni di le lor caxe, et li franzesi rimaseno ivi ad alozar. Et mandò a dir al Papa che li volesse dar passo et vittuarie, però che erano nel suo campo gran carestie, come etiam era il vero, qual per lettere di ambassadori nostri se intese. Et el conte di Cajazzo col conte Carlo di Belzojoso, i quali havevano seguito el Re fino a Viterbo, a dì 6 Dezembrio tornono a Milano et a Vegevene dal Duca.

A Roma quello fece Alexandro pontifice in questo tempo.

El Pontifice, vedendo l'aproximarse dil Re di Franza, disposto pur al tutto di non abbandonar Alphonso, et facea fortificar el castello ponendovi custodia. Tutta Roma si levava saepius a rumore. Colonnesi scorsizava fino su le porte: le porte di Roma teniva cadenate, et etiam per paura fece murar alcune porte, maxime da la banda de Viterbo, et riparar a le mure. Era gran carestia per caxon che per il Tevere non poteva venir vittuarie, adeo il rugio dil formento, ch'è stera do venitiani, valeva carlini 48, el vino ducati 40 la botta, et cussì tutte le altre robe era cresciute in precio: non poteva vegnir da mar, et manco da terra per le corrarie faceva Colonnesi ogni zorno fino su le porte, et non potevano più Romani, et maxime preti usi a ogni delitia, tollerar tanta carestia. Dubitava el Pontifice el Re non el desmettesse dil papado; sperava che Alphonso o da Venetiani o Spagna o Turchi dovesse haver soccorso; et cussì stava in queste pratiche, saepius consultando in concistorio con Rev.mi Cardinali. Si divulgava el Papa voleva abbandonar Roma, et andar, secondo alcuni, a Napoli, altri venir a Venetia, come fece del 1172 Alexandro terzo, che da Venitiani fu benigne ricevuto, et datoli vittoria contra Federico Barbarossa, et rimesso nel Papado; la cui istoria sarebbe molto longa a volerla qui descrivere. El campo dil Re di Franza era pur vicino a Roma, et sparpagnato da Viterbo fino a presso Roma in quelle terre di Orsini, come dirò di sotto; el qual era certo da 30 in 40 milia persone, et più ogni hora s'ingrossava. [149] Et el Papa non potendo con forze resistere, benchè exhortasse continue Paulo Pisani ambassador di la Signoria ivi, dovesse scriver a quella li dovesseno (come sempre Vinitiani hanno fatto) al presente ajutar la Chiesia, et li era risposto non dubitasse di aver danno alcuno, pur molti Cardinali era contrarii al Papa. Si ritrovava lì in Roma ambassador dil re Alphonso Antonio di Zenari dottor, nominato di sopra, era prima a Milano. Or el Pontifice fece molti provvisionati et messe vittuarie in Castel Santo Anzolo per anni 3, el qual castello è fortissimo et, ut dicitur, inexpugnabele, havendo tentato di far ogni accordo col re di Franza, et lì in Roma era soi ambassadori, et el Cardinal S. Dionisio franzese. Unde fense di voler adherirse a la voluntà dil Re, poi che ad altro modo non poteva far, et za havea fatto trieva per alcuni zorni con Colonnesi per praticar accordo, et ordinato di far un concistorio dove voleva fusse tutti li cardinali, et etiam dette salvocondutto al Cardinal Ascanio dovesse venir liberamente in Roma. El qual era stato za per avanti, et partito in discordia. Et cussì adi X di Dezembrio venuto li cardinali in castello, o vero in palazzo, dove era preparato di far concistorio. El Pontifice za havea ordinato a soi che cussì come venivano questi 3 cardinali, zoè Ascanio, Sanseverin et Lonà novamente creato a requisition di esso Mons. Ascanio, fusseno ritenuti, et cussì fo fatto. Unde li altri cardinali erano venuti per essere in concistorio, visto questo, ritornono alle loro habitationi. Ancora da poi in Roma fo retenuto et menato in castello da quelli dil Pontifice el sig. Prospero Colonna, uno de primi de quella parte nemica di Orsini, assà nominato di sopra, et etiam Hieronimo di Totavilla fo fiol dil Cardinal Roam, seguiva ditta parte colonnese. Questa nuova subito Paulo Pisani cav. ambassador in corte scrisse a la Signoria, et venne prestissima in hore 44, zonse a dì 13 da mattina fo il zorno di Santa Lucia. Et fo dismesso consiglio et fatto Pregadi, et da poi el Cardinal di Lonà fu lassato con promissione di andar a Hostia, et veder che il sig. Fabricio Colonna, fratello di Prospero, volesse render Hostia ne le man di la Chiesia. Ma non potè far nulla, perchè quella terra di genti franzesi era ben custodita; et de subito che ditti cardinali fo retenuti, el Papa mandò fuora di Roma li ambassadori dil Re di Franza, et la sera fece entrar dentro el sig. Virginio Orsini capitano dil re Alphonso con squadre 30 et alcuni fanti; el qual di Baccano era venuto su le porte con intendimento dil Papa. Ancora el zorno da poi che fo adi XI intrò in Roma el duca di Calavria, allozò de Aleria con el conte de Petigliano con squadre zerca 25 et certi [150] fanti, zoè le zente l'havia habuto in Romagna, et con quelle era rimasto, ben che le mancava el duca d'Urbino signor di Pexaro et altri. Questo duca fino hora era stato, partito che fu di Cesena, verso le marine con le sue zente, da poi di Santo Arcanzolo a Monte Rotondo loco de gli Orsini, et cussì ditte zente aragonese in Roma si allozono, et conclusive tutta la terra era in arme. Li Cardinali et prelati si fortificavano la notte in loro caxe per dubio di danno per tanti soldati era lì in Roma, et ditte zente in una parte di la terra fo poste ad allozar, et ivi si fortificono facendo a modo repari. Et el Pontifice scrisse uno breve al duca de Milano per la ritention fatta di suo fratello Monsig. Ascanio, el qual quivi è posto, et etiam la risposta dil Duca.

Exemplum brevis Sanctissimi domini nostri ad Ill.mum et Exc.mum D. Ducem Mediolani.

Videntes magnas praesentium rerum turbationes et angustias, decrevimus (non nisi ad bonum finem) retinere apud nos dilectum filium nostrum Ascanium cardinalem Sanctae Romanae Ecclesiae Vice Cancellarium fratrem tuum, ut, sicut circumspectionem suam tamquam nos ipsos amamus, ita ad omnem rerum successum futurum sit nobiscum; cui ita numquam deficiemus cum omnibus facultatibus nostris, etiam propria persona, sicut nobis ipsis. Insuper etiam retineri fecimus Prosperum de Colonna, qui Romam venerat absque tamen aliqua securitate nostra, ut per eum recuperemus arcem nostram Hostiensem, quam proditorie hoc anno occupaverat, et alia omnia bona communia et publica sequantur. Ad quae intendimus toto corde. Haec significata duximus tuae nobilitati, ut illi omnia nostra sint communia; quam pro Deo rogamus ut pro pace et quiete Italiae velit se totum addicere et operam dare. Non enim dubitamus, mediante divino auxilio, quod omnia bene succedant; significantes et affirmantes tuae nobilitati quod bono animo et opere nobis correspondendo, prout de illa speramus, pro statu et exaltatione tua quantum in hoc mundo facere possumus et propriam personam exposituri sumus. Romae, die decimo Xmbris 1494, pontificatus nostri anno secundo.

[151]

Responsum ducis Mediolani Pontifici maximo.

Monet me per litteras suas Sanctitas Vestra, detentum a se Rev.mum et Ill.mum Dominum Cardinalem fratrem meum, et tanquam id honoris causa et non iniuria factum sit et ex hoc omnia bona cessura sint, me ut ad Italiae quietem animum intendam efficacibus verbis cohortatur. Moverat me antea hujus injuriae magnitudo, quantum et ratio ipsa et literae quas, re audita, statim ad Sanctitatem Vestram scripsi, docere potuerunt; sed incredibile est quantum ad primum dolorem accesserit postquam haec legi quae in Sanctitatis vestrae litteris continentur. Quae enim conveniens causa esse potuit ut qui mihi frater est, tanto genere ortus, et qui primos christianorum regum affinitate arctissima contingit, detineri et in custodia haberi deberet? Aut ubicumque tanta barbaries fuit in qua sine causa manus in aliquem inferantur, et ei, a quo beneficia ingentia acceperis, pro beneficio maleficium et iniuriam reddas? quo igitur magis haec considero, eo maior et admiratio et dolor subit. Si enim in fratre meo culpa est, cur non exprobratur? Sin autem nihil deliquit, si semper de Sanctitate Vestra benemeritus est, cur et ille et ego tam insigni iniuria afficimur, quod ei libertas per Sanctitatem Vestram adepta est? ego vero non modo in bonam partem hoc accepturus non sum, imo nihil est in quo me Sanctitas Vestra magis laedere potuerit, et quod... ut omnia etiam extrema temptaturus sim magis me movere possit. Vehementer igitur Sanctitas Vestra fallitur si hanc captivitatem posse christianissimum Francorum Regem a proposito avertere sibi persuasit. Qua re, si caetera eum a suscepto bello dehortarentur, ipsa sola ut incenderetur magis, et omnia mallet quam non ulcisci tantam iniuriam, efficerem ego quoque, cui hunc animum natura dedit ne, ubi fieri potest, ullius rei magis quam pacis studio tenear. Adeo longe absum ut a Sanctitate Vestra tam graviter loesus quieturus sim, quod etiam si laniari fratrem meum videam, Francorum Regem hortari ad bellum et ei vires meas addere non cessabo. Hoc igitur responsi mei sponsum sit, nisi liberato fratre meo, pacati et quieti nihil a me Sanctitatem Vestram habiturum esse. Et si Francorum arma ad hoc non sufficerent, propinquos ac necessarios reges ad hoc bellum ab exteris nationibus concitabo... Serenissimi et christianissimi Romanorum et Franchorum Regum, in quibus reipublicae christianae spes omnis nititur, et aliorum Principum et Potentatum et praesertim Illustrissimi Dominii [152] Veneti affinitatem et benevolentiam relinquo. Vestra autem Sanctitas, quae iniuria tantos reges et principes offendere verita non est, quid spei suos habere velit ipsa consideret. Vegleveni, XXIº Decembris Mº CCCC LXXXX IIIJ.

Subscriptio) Ludovicus Maria Sforcia Anglus
Mediolani dux etc.

Ma el Re di Franza, che ancora non era partito de Viterbo, inteso questo, molto stette suspeso, et si meravigliò assai, et subito mandò uno araldo dal Pontifice a dolersi di questo, et che dovesse lassar in libertà el cardinal Ascanio suo carissimo parente et commissario, et quello voleva dir questa retention, et che non rendendo el venerebbe per forza in Roma facendo grandissime crudeltà, et usò ditto araldo assà altre parole. Ma el Papa li rispose che tornasse dal suo Re, et che remanderia soi legati a Soa Maestà, li quali li diriano el suo voler et quello era in animo de far, et che el cardinal Ascanio et gli altri li haveva ritenuti come desobedienti de li m.ti la Santa Chiesia, tamen che stevano bene, et li voleva appresso de lui, et cussì a dì 13 Dezembrio fatto concistoro, el Pontifice mandò tre legati a esso Re, i quali fonno lo episcopo di Narni, lo episcopo di Concordia di natione vicentino de caxa di Chieregati, et frate Gratiano spagnol di l'ordine de Frati Menori, ai quali fo commesso dovesseno conferir con el Re alcune cose, excusar el Pontifice dil retegnir di Ascanio, et veder si insieme, pur che con li ambassadori di la Signoria, poteva adattar sì con Sua Beatitudine quam con re Alphonso, manifestandoli che la retention de Cardinali et Prospero Colonna era a bon fine. Ma quam primum se intese in campo dil Re di Franza la retention di questi tre Cardinali, el signor Galeazzo di S. Severino, el qual da Lion fino a Viterbo sempre havea seguito el Re, essendo stà retenuto suo fratello cardinal, et etiam Ascanio fratello dil suo carissimo signor et benefattor duca de Milano, si partì dal Re, et in quattro zorni fatto cammino da corrier venne a Vegevene dal duca preditto, el qual duca non solum scrisse el brieve scritto di sopra al Pontifice, ma ancora più mandò a inanimar esso Re di Franza, promettendo mai di abbandonarlo nè mancarli di la fede a lui data, et che li manderia zente, et feze preparar el conte de Cajazzo el qual con alcuni cavalli lezier dovea (andar) verso Roma incontinente, et altre zente li sarebbe venute driedo; etiam mancando dinari li offeriva breviter ogni aiuto, purchè el Re volesse approximarse con l'exercito a Roma. Si dubitava el duca, come era da [153] dubitarse, che 'l Pontifice non facesse morir ditti Cardinali, eo maxime suo fratello; i quali, benchè fusseno retenuti, non però steva se non honorifice in castello, come merito li R.mi Cardinali debbeno stare. Et el Papa faceva far in Roma grande custodia; steva in castello dubitando che el Re non venisse con furia a intrar in Roma, per esser potentissimo; era molti spagnoli a custodia dil palazzo, et non poteva uscir de Roma niuno, senza bolletin dil Pontifice. Et corrieri a Venetia, dal primo che portò la nuova di la retention, steteno assà a venir, però che le strade furono rotte, nè poteva venir securamente. Et accidit che venendo uno corrier de Roma a Venetia con lettere di l'ambassador, fo spogliato per la strada appresso Perosa, dà et toltoli le lettere, le qual essendo in zifra, come è consueto di far, non le intendendo le restituite, et post tot labores fonno portate a la Signoria. Ad altri corrieri li fonno tolte le lettere et cavallo, altri presi, i quali acciò non vedesseno le lettere che havea, quelle strazzò ovvero le butono in acqua loro medemi, sì che le strade erano rotte come intravien a tempo de guerra, maxime per la Toscana, che Siena, Pisa, Fiorenza et Lucca erano in qualche commotione di aiere, come dirò di sotto, et li contadini attendevano più a robar che a far altro.

Partita dil Re di Franza da Viterbo et quello seguite fino a l'intrar in Roma.

In questo tempo che a Roma tal cose si fanno, et le zente dil Re di Franza za erano bona parte partite da Viterbo, et andate per quelli castelli vicini a Roma, et el Re essendo stato zorni... in Viterbo, a dì 22 Dezembrio si partì, et andò con el suo exercito verso Ronsiglione, et qui fece carta a Pisani de libertà, come ho ditto di sopra. Li ambassadori di la Signoria, per non esser lozamento dove andava el Re per la moltitudine di le zente lo seguiva, rimaseno a Viterbo, tamen mandono con Soa Maestà Francesco da la Zudecha loro segretario, il qual di ogni successo dil Re advisava li ambassadori et loro poi drezzava le lettere a Venetia. Ma el Re andò di longo a Nepi ad alozar, terra di beneficii dil cardinal Ascanio, et quivi stette do zorni, ma le sue zente andono a Brazano, Campagnano et l'Anguillara, castelli tutti del sig. Virginio Orsini di qua dal Tevere, et andati a Campagnano che è castello primario, dove vi era dentro Carlo fiol di esso sig. Virginio, el qual non potendo resistere a le forze franzese si rendette a patti, salvo li averi et le persone, [154] et Franzesi introno dentro; et cussì andavano Franzesi per quelli altri castelli sì della Chiesa quam di alcuni Segnorotti, e tutti, come si appropinquaveno, levaveno le insegne di Franza et li averzeva le porte, pur era carestia, et la moltitudine erano sì che si puol concluder fino qui non abbi desnuato spada Franzesi per combattere, ma ben per far paura, nè in alcuno luogo accampato, benchè con loro havesseno ogni cosa necessaria a oppugnar una terra, come ho scritto di sopra. Et a dì 18 el Re partito de Nepi venne ad allozar a Brazano, dove qui stette longamente, loco pur di ditti Orsini, et havendo udito li legati dil Papa, pur non li piaceva la dimora faceva di retenir ditti Cardinali, et continue mandava a dir al Pontifice volesse lassar el card. Ascanio, et che lui voleva intrar per le feste di Nadal in Roma, le qual si appropinquava, et che dovesseno mandar fuora li Aragonesi soi nemici; tamen li tre legati non restava di praticar accordo. Et in questo medemo zorno, a dì 18, el Re chiamò el secretario di li ambassadori di la Signoria, et dimandò: ch'è de li ambassadori? el qual rispose erano rimasti da driedo per causa di allozzamenti, onde Soa Maestà li disse dovesseno al tutto farli venir, perchè havea da consultar, et etiam volea con loro intrar per le feste di Nadal in Roma. Unde inteso questo da Venitiani, fo scritto che ditti ambassadori con che compagnia potesse, se ben dovesse de li soi mandar in driedo, seguir la persona dil Re, et cussì feceno, che subito andono a trovar esso Re a Brazano, et come fonno zonti, el Re li dette audientia, dicendo: Domini Oratores, datime conforto, et fate la Signoria mi ajuta, che il Santo Pare retien pur ancora el cardinal Ascanio et Prospero Colonna, et vi prometto di ogni mio progresso far partecipe dil tutto quella Ill.ma Signoria. Et cussì ditti ambassadori promesseno di scriver a la Signoria.

Parte di questo exercito, come ho ditto, si divise da li altri, et preseno alcuni castelli, et feceno alcuni ponti di legno sopra el Tevere per passar di là; et zerca 5000 Franzesi in questi zorni, a dì 19 et a dì 22 ditto, corseno fino su le porte di Roma chiamando el duca de Calavria dovesse venir fuora a la battaglia. El qual duca si volse armar, et fece metter in ordine le sue zente con el sig. Virginio Orsini et conte de Petigliano, ma tanto stette a venir fuora che Franzesi, fatto alcuni danni, ritornono ai loro allozamenti.

In questo mezzo a Roma el Papa in castello praticò di accordar che Colonnesi venisse al suo soldo et dil re Alphonso, facendoli gran promissione, et fece certi patti et capitoli con el sig. Prospero Colonna, era lì retenuto.

[155]

Et a dì 18 ditto, el Pontifice venne in concistoro con certi capitoli, la substantia di qual è questa. Primo che libere dovesse esser lassato esso sig. Prospero di Castello, el qual prometteva in termene de do zorni andar a Hostia et far che suo fratello sig. Fabricio li daria la terra et fortezza ne le man, la qual lui la consegnaria poi al Papa. Item che restava soldato dil Pontifice et re Alphonso, et questi li promettevano di dar ducati 30 milia a l'anno, zoè do terzi Alphonso et un terzo la Chiesia. Item che 20 milia scudi restava haver de stipendio livrato et promesso dal Re di Franza come suo soldato, libere el Pontifice li prometteva darli de contadi, habuto Hostia. Item che tutti li soi castelli et lochi tolti per re Alphonso siano resi et restituidi a essi Signori Colonnesi, et pagatoli el danno havesseno habuto per l'incursione. Et alcuni altri i quali ad plenum non se intese, ma zurato di mantegnir al Papa quanto havea promesso, et sigillati li capitoli fo lassado di Castello et andò esso sig. Prospero verso Hostia per veder di rehaverla, unde suo fratello mostrò di esser renitente, et al tutto volerla tenir per il Re di Franza. Tamen erano d'accordo, et volevano mantenir la fede data al Re.

Ancora fo lassato el cardinal S. Severino, et mandato per el Pontifice legato al Re di Franza a Brazano, a ciò vedesse di operar quello che li tre non havevano potuto operar et che el Re non dovesse andar più oltra, promettendo di far che re Alphonso li daria tributo annuatim, et che pur si Soa Christianissima Maiestà havesse voglia, come sempre ha ditto, et per il protesto fatto in Fiorenza appar che lui vuol andar contra infedeli a recuperar la Terra Santa, ex nunc esso Pontifice voleva esser causa di far una liga et paxe universale, zoè Soa Beatitudine, esso Christianissimo Re di Franza, la Maestà dil Re et Regina di Spagna, la Ill.ma Signoria di Venetia, lo Ill.mo Duca de Milano, Fiorentini et altri potentati, maxime la Cesarea Maestà dil re Maximiliano eletto Imperator et el Re d'Ungaria. La qual unione esso Summo Pontifice bastava l'animo in brevissimi zorni di far et concluder, ne li quali era posto etiam el re Alphonso di Napoli; et cussì tutti collegadi dovesseno andar alla destrutione di infedeli, posto che dimostrava esso Re haverne tanta voglia et che non volesse esser causa di far cede (stragi) nel Reame di Napoli, et che Alphonso preditto havesse cagion di chiamar in suo soccorso Turchi, i quali si offeriva de venir et venuti mal saria a discazarli: et altre et simele parole, nomine Pontificis et Collegii Cardinalium. El qual Cardinal con Francesco Guidizoni protonotario et alcuni di la sua fameglia se ne venne a trovar el Re, et referito la [156] sua legatione a Brazano, minime niuna cosa ottenir potè, però che esso Re et quelli lo consegliava havea deliberato di acquistar el reame de Napoli, discazar re Alphonso et Aragonesi di quello, metteno li baroni dil Re venne expulsi in loro stato, i quali erano con lui, et tuttavia lo seguiva; et però stette fermo in voler la intrata di Roma una volta, dicendo non voleva offender la Chiesia nè el Santo Pare in niuna cosa; imo, come christianissimo, da quelli la volesse dannizar, ajutarla.

Continuamente si scorsizava fino su le porte di Roma, dannizando el paese, nè in Roma vi poteva intrar vittuarie, et mentre che el sig. Prospero Colonna mostrava di adattar le cose con suo fratello in Hostia, a dì 25 Dezembrio el cardinal San Piero in Vincula con fanti franzesi 350 partito dil campo del Re, intrò in Hostia et messe quelle zente et uno capitano franzese chiamato.... de guerra, el qual fino al presente è ivi a custodia per el Re di Franza. Et subito intrato ditto Cardinal, fonno più costanti che mai fusseno, dicendo non voleva obbedir al Pontifice, el qual non era iure et rite creato, et che oltramontani ancora non li havia dato la ubedientia, come era la verità. Et el sig. Prospero strazò i capitoli fatti col Pontifice, andò in campo dal Re et ruppe la fede data al Papa, dicendo haverla data sforzata per uscir di Castello, et quella prima data a la Majestà dil Re era pura et libera, et quella al tutto voleva observar.

Ancora el cardinal Ascanio vize canzelier fo lassato in libertà, et venne in campo a trovar el Re, et come se divulgaveno erano su pratiche di far liga con tutti li Principi christiani contra infedeli, et trieva tra el preditto Re di Franza et el Re di Napoli, tamen non concluseno alcuna cosa, dicendo el Re come sarebbe in Roma co el Pontifice adatteria el tutto, ne le qual pratiche se interponeva li Ambassadori di la Signoria. Ma el sig. Prospero andò a Marino, castello di suo fratello signor Fabricio, mia X lontan da Roma, et ivi stette con le sue zente.

In Roma era, come ho scritto di sopra, el Duca di Calavria fiol dil re Alphonso con el sig. Verginio Orsini, conte di Petigliano et Zuan Jacomo di Traulzi; in tutto con alcune zente di la Chiesia squadre 55 et fanti 5000. Questo Duca non restava di exhortar el Pontifice a star constante et saldo, et non abbandonar el Re suo padre. Praticavano di intrar ditte zente in Castel Santo Anzolo, pregando volesse scomunegar ditto Re di Franza, et far cruciata contra di lui, et cussì stavano in queste pratiche con gran carestia. Lì eravi ambassador di Alphonso, Antonio di Zennari.

[157]

Seguito et rumore accaduto in Fiorenza et di loro governo.

A Fiorenza accadette in questi zorni alcuni rumori, zoè che essendo zonto Piero de Medici venuto per la via di Ancona a la presentia dil Re a Brasano, pur lamentandosi di la ingratitudine de Fiorentini usata contra di lui et di la caxa de Medici, maxime da poi che nel 1432 Cosma suo avo fu revocato, Piero, Lorenzo et esso Piero sempre a quella republica aveva giovato, difesa et custodita in libertà, et che a hora che lui si havea adherito a esso Christianissimo Re, li soi contrarii et emuli l'haveano scacciato con suoi fratelli et il Rev.mo Cardinal, datoli taglia, i quali per più securtà di la vita loro erano capitati a Venetia, et che lui era venuto a inchinarsi a Soa Maestà, et quello che li comandava dovesse far voleva obbedir. Tamen che la roba sua a Fiorenza era dilaniata. Unde el Re molto dolendosi, non volendo tollerar questo, scrisse a li soi restati in Fiorenza Ambassadori, o vero commissarii, prima dovesseno dir a Fiorentini li mandasseno alcuni danari, come si havevano ubbligati per li capitoli, et che non dovesseno molestar la roba di Piero de Medici. Et inteso questo, Fiorentini feceno li soi consegli. Ma el populo si levono a rumor, et corseno armati su la piazza, altri voleva iterum el governo di Piero, altri voleva obbedir a ogni mandato dil Re. Et de quelli do che ivi era nomine suo, altri non volleva per niente ubbedir in niuna cosa, anzi volevano servar quella sua Republica in libertà, et non sottoponeva a niuno, et far quello a loro piacevano, et di novo constituir el suo governo, seguendo el costume veneto in crear li magistrati. Unde per queste dissensione el consiglio, che era reduto per trovar li danari per mandar al Re, non feceno alcuna provvisione, et fo in grandissima discordia, maxime zerca el novo governo havevano a far, però che za havevano eletti 100 cittadini chiamati il collegio di 100, i quali durasseno uno anno, et questi elesseno li Accoppiatori et altri officii pur per uno anno come ho scritto di sopra. Ma non contentandosi el populo in publica concione in piazza, redutti la Signoria, li fece lezer publice li capitoli fatti con el Re di Franza, et terminono di tenir el modo de far el suo conseglio come al principio di questo secondo libro ho scritto, et si pacificono tutti, intervenendo però l'autorità di quel frate Hieronimo. Ma Senesi, Lucchesi et Pisani feceno liga ditte comunità insieme, con aiuto de Zenoesi, per aiutar Pisani a conservarsi in libertà, che pur Fiorentini faceva preparamenti per rehaver Pisa, et tutti quelli [158] di li contadi soprascritti erano in arme, zoè villani, che parevano un campo contra Fiorentini, et dannizono alcuni castelli. Quello seguite poi intenderete più oltra seguendo il costume nostro.

Cose accadute in Venetia in questo tempo et dil Gran Turco.

A Venetia, per lettere di Antonio Grimani capitano zeneral da mar, se intese come lui haveva habuto il certo da Costantinopoli, che el sig. Turco, inteso la venuta dil Re di Franza di qua da monti, tamen non haveva ancora inteso la sua intrata di Fiorenza; dubitando che esso Re, ottenendo el reame di Napoli, poi non volesse seguir quello sempre havea ditto, di passar a la Vallona a danno de Turchi, vedendo che za Turchi di le marine, da paura di l'armata di Franza erano venuti 110 mia fra terra, et abbandonate le marine reduttosi alle fortezze, lassando li loro tugurii et habitatione, esso sig. Turco deliberò di provveder et fece subito uno editto che tutti li soi bassà, subassà et altri di li soi Turchi primarii, dovesseno venir a la Porta, zoè da lui a Constantinopoli, a consultatione. Come etiam per lettere di Andrea Gritti patricio nostro era ivi mercadante, la Signoria fo certificata di questo; et che ordinò ditta Porta uno zórno di zuoba, ch'era apud illos festa solennissima et non assueta, di far in tal zorno consultatione. Et mandò per tutti i calafai, fabri et altri maistri, che statim dovesseno nel suo arsenal lavorar per far galie, perchè a tempo nuovo voleva haver una grandissima armata, di vele, come si divulgava, 200; et mandò uno ambassador al re Alphonso, come ho scritto di sopra, confortandolo che dovesse questa invernata difenderse, perchè a tempo nuovo li voleva dar grandissimo soccorso sì de exercito terrestre quam con potente armata, la qual facea metter in ordine. Et za italiani dubitava el re Alphonso non facesse passar Turchi di la Vallona, perchè za ne era ivi redutti qualche bassà, et etiam esso Re ordinò tutti li navilii erano in Puia fusse retenuti, et però si dubitava.

A dì 19 Dezembrio nel consiglio di Pregadi fu preso certe provvisioni per trovar danari, a ciò a li bisogni fusseno preparati, et maxime di tansar le arte o vero botteghe. Et cussì per li X Savii in Rialto a questo deputadi, ogni zorno andavano tanxando ditte arte, et la tansa mandaveno a li governadori de le intrade, dove pagavano.

Essendo venuta a Mantoa, come ho scritto di sopra, madonna Chiara sorella dil Marchexe et moglie di monsig. Mompensier capitano [159] dil Re di Franza, non restava di exhortar el fratello volesse accordarse con la Maestà dil Re suo, promettendoli gran cose; licet questo marchexe, za anni 4, era a soldo di la Signoria con ducati 30 mila a l'anno in tempo di paxe, pagato ogni mexe ducati 2500 a la camera di Padoa. Et perchè a la fin di questo mexe veniva a compir la ferma de li 4 anni, tamen mancava 4 mesi a praticar, nel tempo non si poteva accordar con niuno, secondo la forma di l'accordo havea con ditta Ill.ma Signoria. Unde fo preso in Pregadi di dar libertà al Collegio di confermarlo, con li modi et condition a loro parevano. El qual Marchexe teniva el suo ambassador fermo qui a Venetia, chiamato Antonio Triumpho; et in questi zorni mandò a donar a la Signoria uno bellissimo presente di salvadesine, benchè ogni anno da poi era condotto consuetava di far; ma questo fu molto più bello de li altri, el qual fo partito tra el Serenissimo Prencipe et li Padri di Collegio, sì come si suol far.

In questo mezzo, el Cardinal Ystrigoniense, fiol dil Duca di Ferrara, venne di Hongaria dove era stato gran tempo, et essendo ivi fu creato da questo Pontifice cardinal, et sta nel suo vescovado in Ystrigonia con sua ameda la Raina, moglie che fu di re Mathyas. Et ne l'andar a Ferrara dal padre, convenne passar per il Polesene di Ruigo; tamen non fo lassato intrar con zente in Ruigo, et etiam don Alphonso fiol dil Duca et suo fratello volendo venirli in contra, mandò a dimandar allozamento in Ruigo; al qual fo risposto che si Soa Signoria voleva intrar con alcuni de sui el fusse ben venuto, ma con 500 cavalli con qual veniva, non volevano tante zente in la terra. Et cussì nè el Cardinal nè don Alphonso non intrò in Ruigo, et passò di fuora via, et andò a Ferrara. Et ditto Cardinal quivi restò nè non andò a Roma fino che vi ritornò in Hongaria; et poi a dì 12 Fevrer essendo sta chiamato dal Re di Hongaria, che 'l ritornasse in Ystrigonia, alias lo priverebbe di quelle intrate, partì di Ferrara con la sua fameglia, et habuto licentia da la Signoria, allozò in Ruigo, demum cavalcando verso Hongaria andò in Ystrigonia.

El re Alphonso per tutto el suo regno faceva provvisione, et per littere di Paulo Trivixano cav. ambassador nostro a Napoli se intese come, havendo lui nomine Dominii dimandato la tratta di 200 cavalli di le sue razze, non solamente el Re fu contento di dar ditta tratta, ma più che volse far uno presente a la Signoria di corsieri 100 forniti a tutte sue spese fino su la piazza di San Marco; etiam la tratta de formenti di la Puia concesse a nostri, come ho scritto di sopra, benchè Puiesi non volevano vender per caxon di [160] non haver carestia. Oltra di questo el Re scrisse a la Signoria, pregando li volesse dar aiuto et soccorso, et conseiarlo di quello havesse a far, et che, al più poteva far, era in tutto squadre 75 et fanti 7 in 8 milia, et che lui si redurave in Terra di Lavoro a presso Capua, et converrà abbandonar la defensione di Fondi, Aquila et Terracina, che sono passi de intrar in Reame, et che al tutto era disposto de affrontarsi col Re di Franza, et far fatto d'arme, volendo morir prima da valente capitano che veder la ruina dil suo Stato. Concludendo, volea aiuto; Unde la Signoria li risposeno: la qual risposta fu molto secreta. Et inteso de li 100 corsieri et di la tratta, feceno metter in ordine in l'arsenal do arsilii, i quali andasse in Puia, benchè prima voleva mandarli in Ancona, ma poi mutono pensier, et con Zuam Borgi secretario fo mandati con li danari per li 200 cavalli, come scriverò di sotto. Ma avanti ditti arsilii zonzesse, venendo li cavalli, da Franzesi fo presi, et non si potè haver.

Quelli di l'Aquila, che è una di le prime terre in l'Apruzzo sotto el Re di Napoli, a ciò Alphonso non dubitasse di la loro fede, perchè za el Re di Franza mostrava de za intrar in Roma dover andarli a campo, mandono a Napoli molti fioli de li cittadini primarii per ostasi al Re, dicendo se volevano difender vigorosamente, benchè ancora ogni loro ricchezza de li bestiami fusse nella Puglia, questo perchè su quel di l'Aquila, per esser loco fertile, non vi ponno star nè viver per li pascoli, et convien l'inverno andar a pascolar nella Puia. Ancora feceno alcuni fanti, zerca 2000, pagati de suo denari in defensione loro.

El fiol dil Pontifice nominato di sopra, don Zufrè prencipe de Squilazi et zenero di re Alphonso, el qual venne a Napoli a sposar la muger in queste novità, mai si volse partir dal suocero, a ciò el padre havesse cagion di aiutar Alphonso, havendo el fiol in quelle parte. Et è da saper, che questo Pontifice ha tre figlioli et una fia, zoè el duca Johanne de Gandia, el qual habita nel suo ducato in Spagna, el cardinal Don Cesare chiamato di Valenza, questo prencipe de Squilazi, et mad.ª Lugretia maridata in sig. Johanne di Pesaro, fo fiol dil sig. Costanzo, dil qual di sopra habbiamo assà descritto.

Come el Pontifice mandò el duca de Calavria fuor di Roma, et quello fece.

A Roma Alexandro Pontifice essendo in queste pratiche con el [161] Re de Franza, et vedendo la sua voluntà al tutto esser di voler intrar in Roma, et za era andato legato dal Re suo nepote cardinal Monreal, el qual andava et ritornava in Roma per veder di adattar li capitoli, come dirò di sotto. Et vedendo questo el duca de Calavria, che el Pontifice si voleva adherir alla voluntà de ditto Re, non potendo far altro, dubitando dil populo, per el meglio deliberò partirsi con le sue zente di Roma. Et cussì el zorno de Nadal, che fo a dì 25 Dezembrio, el Pontifice, ditto la messa in la sua cappella, chiamò esso Ferdinando duca di Calavria, et a quello messe una baretta de varo, fodrà de varo, tamen era di velluto, in testa, et li fece cinger la spada a ladi (lato), investendolo dil ducato de Calavria, et a quello usò queste parole, lacrimando e uno et l'altro, et el Duca li era davanti in zenochioni, et disse: Duca, fiol nostro carissimo, andate et state di bona voglia, che havemo speranza ne lo eterno Iddio ne aiuterà: Et li dette la beneditione, offerendosi in ogni cosa, et quello lacrimando licentiò et scrisse un breve al re Alphonso zerca questa partita di suo fiol. El qual Duca, statim montato a cavallo con el sig. Virginio Orsini, conte di Petigliano, Zuan Iacomo di Traulzi, marchexe di Pescara, et altri condottieri con squadre zerca 22 et 1500 fanti, ussite di Roma accompagnato dal cardinal Ascanio suo barba, però che questo Duca nacque di una sua sorella et dil Duca presente Ludovico di Milano, la qual era morta za molti anni, nè da poi el Re Alphonso, che tunc era Duca di Calavria, si volse più maridar. Or questo suo barba lo andò confortando fino fuora di le porte di Roma, et in quel zorno medemo el Duca con tutte le zente cavalcono mia 18 a uno loco di la Chiesia chiamato Teoli, et quelli erano dentro non volseno l'intrasse in la terra, unde convenne star lì a la campagna, et patite assà incomodi. Et scrisse al Re suo padre era a Napoli el successo, et che non era più tempo de dimorar de chiamar Turchi in suo soccorso, ma che al tutto dovesseno farli venir, vedendo che niun in Italia più lo voleva aiutar. Et andò a Terracina terra di la Chiesia, ma custodita per el Re suo padre, dove vi venne don Fedrigo suo barba principe di Altemura, el qual havea disarmato l'armata. Et quivi feceno alcuni fanti, et al meglio poteno zercò di restaurar le sue zente dil Duca, et cavalli erano mal conditionati per li disagii portati maxime in Roma con gran carestia. Le zente veramente di la Chiesia rimasero in Roma, ita volente el Pontifice. Le qual da poi che 'l Re fo intrato et accordatosi insieme et partito per Reame, el Pontifice quelle licentioe, dicendo [162] non li bisognava più zente, et rimase se non con la sua guardia, el resto casso.

Ma li tre legati erano con el Re a Brazano, domente queste cose si faceva, non restava di praticar accordo, et fonno fatto 18 capitoli, i quali perchè non haveno luoco nè il Re volse sottoscriverli, non saranno qui posti, et quasi di tutti erano d'accordo, eccetto che il Re voleva Gem Sultan fratello dil Turco con lui, et el Papa ghe lo voleva dar ogni volta che l'andasse contro infideli. Item che el Papa li desse quattro fortezze, la Rocca Suriana, la rocca di Velletri, la rocca di Civitavecchia et la rocca di Narni et anche Terracina, et cussì non fonno d'accordo. Et come ho ditto el card. Monreal più volte venne dal Re et ritornò a Roma. In questo interim, le sue zente andono per caxon di haver vittuarie, perchè era gran carestia in campo et assaissime persone da 30 in 40 milia. Alcuni Franzesi andò a uno castello di la Chiesia un poco straman et fuora di strada, chiamato Nera, dove vi era uno governator episcopo, el qual volendosi difender non volendo fare quello che tutti altri castelli et cittade havea fatto, che dove si aproximava Franzesi li presentaveno le chiave, unde ditti Franzesi intrò per forza, et esso episcopo fugite in una chiesia dove fu trovato et menato sopra una torre et buttato giuso, acciò el morisse, et lì in terra li fu dato tante lanzate che subito expirò, dicendo: cussì intravenirà a tutti coloro vorranno resister contra el nostro Re.

Ma el Re partito di Brazano venne allozar mia 7 luntan di Roma in uno loco ditto Bacano, et za in Roma a dì 27 Dezembrio el zorno di S. Zuane evangelista a hore 2 di zorno di voluntà dil Pontifice era intrato dentro cavalli 1500 de Franzesi, et cussì andava intrando continuamente. I quali questi Franzesi, come fonno intrati, comenzono a voler far moveste, zoè di elezer caxe di Romani per habitatione de li loro Monsignori et per altre zente doveva intrar con el Re, mettendo polizze sopra le caxe dove era scritto: lozamento di Mons. tal. Unde Romani non volendo tollerar, con ajuto de Spagnoli che sono nimici simpliciter de Franzesi, si levono in arme, et Franzesi conveneno star bassi fino el Re fo intrato nè far altra movesta. Ma per el Pontifice fo ordinado che tutte queste zente franzese, et quelle introrono con el Re, dovesse alozar solamente in caxa de prelati e monasterii di ogni sorte, et cortesani, et cussì fonno posto ordine a li alozamenti, et fo partito a tanti per caxa. Et Romani per gratuirse con el Re levono le arme de Soa Maestà sopra le sue porte, adeo per tutta Roma se vedea le arme dil Re di Franza. [163] Et za la persona dil Re el zorno de Nadal, si havesse voluto, haveria potuto intrar; ma pur stava renitente, et voleva in le sue mano el castel de Santo Anzolo, la qual cosa el Pontifice mai volse consentir, imo el si havea reduto dentro, et posto alcuni cardinali nel suo palazzo, et alcune caxe lì attorno ditto castello za havea fatto buttar a terra et spianar, a ciò volendo el Re accamparsi attorno non potesse. Tutte le artegliarie messe sopra le mure, et zerca 400 fanti spagnoli messe in ditto castello dil qual era castellano lo episcopo Agregiantino, et oltra suo nipote el cardinal Monreal et Valenza che stavano nel palazzo de San Piero, etiam ne messe do altri cardinali, zoè el Cardinal de Napoli et San Zorzi, e tamen tutta Roma era in confusione.

Accadette mirum quid a dì 23 Dezembrio, che cazete da loro istesse una certa parte di muraglie di le mure di la città di Roma, le qual erano vecchie, per la qual cosa molti judicono esser voluntà de Dio che el Re intrasse, che fino le mura istesse voleva farli adito a intrar. Ma subito dove cadette fu riparato.

Ma el Re non volendo più star a indusiar, nè perder tempo in formar li capitoli, deliberò non concluder nè sigillar alcuna cosa fino non fusse intrato in Roma, ma ben volse far al Papa uno instrumento in publica forma, chiamato da Franzesi vodo et iuramento, el qual era come uno salvo condutto al nostro modo, ch'el Re prometteva sopra la sua corona et fede al Papa de non li far alcun danno nè in temporal nè in spiritual alla sua persona, et che voleva intrar in Roma el primo di Zener, ch'è primo zorno nuovo, et forestieri per tutto si muda, milesimo de 1495, excepto cha Venitiani, che comenza a Marzo; et però essendo io veneto seguiremo el nostro costume: or questo instrumento a dì 30 Dezembrio, el cardinal Monreal portò al Pontifice, el qual non potendo far altro fo contento l'intrasse, et chiamato el concistorio mandono a dir a Soa Maestà quando li piaceva dovesse intrar. Tamen el Pontifice si segurò nel suo palazzo con bona custodia, et redusse le sue zente di là dal Tevere appresso il castello, et lassò di qua per l'habitatione de Franzesi.

Intrata dil Re di Franza in Roma adi 31 Dezembrio 1494 et quello fece in Roma.

Ma Carlo re, habuto tal risposta, non volse aspettar el zorno terminato di primo Zenaro, ma seguendo l'opinione astrologica ancora lui, vedendo esser bona hora, a dì 31 Dezembrio, el zorno de [164] Santo Silvestro Papa, al qual Constantino imperatore concesse assà cose et adoptò la Chiesia, et quello publice instituì papa di Roma, esso Re di Franza volse intrar in Roma, et partito da Bacano dove era allozato, a hore tre di notte per la porta dil populo intrò senza saputa dil Pontifice, che si credeva dovesse venir el zorno driedo. L'ordine di l'intrar fo cussì. Prima tutte le sue zente d'arme e fantarie avanti, poi le carrette con li passavolanti et artigliarie, et lui in mezzo di la sua guardia, in compagnia con 8 Cardinali, zoè: S. Piero in Vincula, el qual di Hostia era ritornato, Ascanio, Savello et Colonna, San Dionysio et Curzense, San Severin et Lonà, parte dei qual el zorno avanti erano ussiti di Roma per venir contra el Re a honorarlo con le loro famiglie. Et cussì con questi cardinali con assaissime luminarie et fuoghi fatti per Roma, el Re intrò in la cittade. El populo mostrò gran consolation et festa: per le fenestre de Romani era posto luminarie fuora, adeo pareva tutta Roma ardesse, tanto erano li fuoghi, con grandissimo rumor, con gran multitudine de cavalli, adeo che l'ambassador nostro Paulo Pisani era in Roma, inteso che 'l Re veniva, montò a cavallo per andarli contra, ma tanta fu la calca di le zente che mai si potè aproximar a esso Re, et convenne ritornar a caxa. Li do ambassadori seguiva el Re non fonno presti a venir insieme con Soa Maestà, ma tuttavia li venne driedo, et intrò a dì ditto a hore 5 di notte, zoè do hore da poi el Re, e tutta quella notte fino a hore 9 stetteno le porte di Roma averte, et continuamente intrava Franzesi, Sguizari et altre generatione. Et el Re andò a dismontar al palazzo di S. Marco, dove li era preparato, el qual è bellissimo, et per Paulo Pontifice secondo veneto fo fatto fabbricar, et poi suo nepote cardinal de S. Marco pur di caxa Barba patricio veneto, et novamente defunto, fo compito di redurlo al modo è al presente, ma poi la sua morte Innocentio VIII pontifice ditto palazzo dette al cardinal di Bonivento di natione Zenoese, el qual cardinal venne contra dil Re fino fuora dil palazzo con la bareta in man, et cussì fece el Re. Et fattosi le debite riverentie, el Re volse metter el Cardinal de sora, el qual mai vi volse andar, et menò el Re in camera: demum intrò in un'altra camera, et stati insieme per uno quarto di hora, tolse licentia dal Re et venne fuora. Li altri Cardinali andorno a li loro palazzi, et el Re sentò su el letto, et si fece cavar li stivali et si messe i zoccoli, venne fuora di la camera, dove fo apparecchiato la tavola, et si messe al fuogo, si fè pettenar li cavelli et la barba, poi andò a cena. Era lì in tavola una navesella d'arzento, et come vien i piatti di le bandisoni, colui [165] che porta il piatto, tuò un poco di quello, et fatto la credenza, lo resto butta in ditta navesella, et cussì si fa di ogni cosa. Beve con una tazza dorata con il coperchio; quando si metteva el vin in la tazza, uno de soi havea una cadenella d'oro, et in uno cao un pezzo de alicorno, ch'è contra il veneno, et menava attorno per ditta tazza, poi ne dava a bever a quel vi faceva la credenza, et di quello fo messo in un'altra tazza in cao di tola, dove era 4 medici, i quali cercono ditto vin si era buono per la maestà dil Re. Et cussì fanno in le vivande, però che, sempre che manza, li medichi li stà d'intorno a veder non manzasse molto et cosse cattive; manza sempre solo, et li soi gran maestri d'intorno in piedi. Poi, levato di tavola, venne in mezzo di la camera fra alcuni baroni et cavalieri, et con loro humanamente rasonava, toccandoli sotto la gola, per le qual cose dimostra esser human e dolze Re, et questa digressione et narratione ho voluto far, benchè non sia a proposito.

Niun altro cardinal adoncha andò contra el Re, che si l'havesse indusiato el zorno, sarebbe andati tutti, et la famiglia dil Pontifice che saria stata magnifica intrata. Et zonti li do nostri ambassadori Domenego Trivixan et Antonio Loredan insieme con Paulo Pisani tutti tre cavalieri et operati in diverse legatione per la Republica nostra, andono a visitar el Re a caxa, et nomine dominii si alegrò di la sua intrata, et usate le parole debite, et risposto dil Re, ringratiando la Signoria soa bona amiga, ritornò a caxa a expedir el corier a la Signoria di questa intrata in Roma dil Re.

Tutta questa notte stetteno Franzesi et Romani in piedi, altri conzando le loro arme, governando li cavalli, custodendo le carrette di artigliarie, preparandosi li allozamenti, sì che era sempre in da far. El Pontifice era nel suo palazzo, per el qual a suo piacer per do vie una publica l'altra subterranea puol andar in castel Santo Anzolo, el qual era ben custodito de molti Spagnoli et munitione. Ancora di là dal Tevere, come ho scritto, era in uno seragio 400 cavalli et alcuni fanti per soa defensione, benchè erano pochi imo niente al poter dil Re.

A dì primo Zener, el Re volse udir messa lì vicino a la chiesia di San Marco, per esser el primo dì de anno nuovo, et disse messa el cardinal San Dionysio suo franzese, et era la sua guardia in chiesa, et el Re sotto un baldacchino quadro damaschin bianco con le cortinette attorno, et ditto Re stette sempre in zenocchioni con le man zonte, mentre fo ditto la messa, e la sua guardia lì intorno, et lui diceva oratione. Era con lui questi Cardinali: San Piero in Vincula , [166] Ascanio, Curcense, Savello, Farnese, San Severin et Colonnese, et el cardinal Valenza mentre el Re era in chiesa volle intrar per venir a honorar Soa Maestà, ma non potè intrar per la moltitudine di la zente. Et poi tornato el Re in palazzo, ditto Cardinal andò, et appena fu visto da esso Re, el Re udito messa ritornò in palazzo, ma el Pontifice con el resto de Cardinali disse messa in capella di S. Piero.

El Re fece editto: che niun de soi non dovesse far alcun danno nè violenza a niuno sì per caxon de vituarie quam per altro lì in Roma sotto pena di la forca; et etiam el Pontifice ne fece far uno altro: che niun romano nè cortesano dovesse dar alcun fastidio nè dir alcuna villania a Franzesi di la maestà dil Re, sotto pena etiam di esser appiccati senza altro rispetto. Et ancora fece el Re uno altro editto per nome dil Pontifice et suo, che ognuno dovesse portar vittuarie, et come fo ditto ordinò el precio de certa quantità, manco il formento et vino che prima erano montati in gran precio, altramente mandaria a tuor per il territorio etc.

In questo zorno intrò in Roma 5000 Sguizari armati benissimo in ordine, che fu bel veder: in tutto era in Roma venuti con el Re di le persone da 30 milia in suso, et alozato el Re, le sue zente comenzono attorno ditto palazzo di San Marco a buttar alcune caxe a terra, ma non da conto, et ivi messe le sue carrette di artegliarie; et cussì attorno si fortificò, facendo ripari, et steva con bona custodia. Li baroni dil Re, intrati che fonno in Roma, andono molti di loro a basar li piedi al Pontifice in palazzo, et visitando le altre chiese, cercando le perdonanze et reliquie sante. Et el Papa mandò a dir al Re, prima ch'el fosse ben venuto, poi che volendo venir a parlarli venisse solo con 4 de soi, et cussì voleva esser lui, dove consulteriano insieme.

Adi 2 Zener li Cardinali si ritrovavano in Roma andono a far riverentia al Re, et loro medemi portavano le code in mano, la qual cosa non si suol far se non quando vanno a la presentia dil Pontifice. Et non vi andò el cardinal de Napoli, el qual steva in palazzo dil Papa, et el cardinal Michiel nostro veneto, che tunc temporis si ritrovava ammalato. Et el Re steva con gran reputatione, et in la sua camera li 8 Cardinali nominati di sopra stevano in piedi, et lui sentando. Conclusive, Franzesi fanno puoco conto de Cardinali, et manco di altra zente, et per la superbia loro fanno poco honor et extimatione, sì come si suol far qui in Italia. Or ditti Cardinali haveno tutti audientia con poche parole, excetto do, ai quali el Re non volle parlarli, i qual do Cardinali non saranno qui posti pro bono respectu.

[167]

In questo zorno medemo, Piero di Medici intrò in Roma con el sig. Carlo Orsini fiol dil sig. Virginio, i qual fonno dal Re ben visti, et ditto Piero se ne stette qui a Roma sempre fino venne suo fratello cardinal.

Adi 4 Zener el Re mandò el cardinal de Parma con 4 de soi baroni, zoè monsig. de Obignì, mons. Presidente de Linguadoca, el qual dil mexe di Fevrer morite qui pur ambassador per el Re a Roma, el presidente di Paris et Peron di Basser, in palazzo dal Pontifice a dimandarli 3 cose. Prima suo fiol o nepote Cardinal de Valenza, con lui legato a l'acquisto dil Reame. Secundo el castello di Santo Anzolo in suo poter, acciò potesse andar et tornar in Roma a suo piacer. Tertio che, cussì come era ubligato za assai per patto expresso, dar li dovesse Gem Sultan fratello dil Gran Turco. El qual el Papa dil 148... in quà, zoè soi antecessori lo tien in castello con gran custodia, però che fu preso a Rodi, et per il gran maistro Piero Dambusso (d'Aubusson) al presente cardinal, fo mandato ne la Franza, poi fu posto qui nelle man dil Pontifice con condition che, ogni volta che el Re di Franza el volesse, el Pontifice fusse obligato di dargelo, et però al presente lo voleva. Unde el Papa rispose: primo meravigliarsi di queste nove richieste, maxime dil cardinal Valenza, et che non li pareva honesto el Re dimandasse darli tal Cardinal per legato, come che quando lui con el concistoro de Cardinal li pareva di mandar legato, loro lo elezevano. Item che el castello lui el teneva come capo di la christianità, per quelli potentati li havea dato ubedientia; maxime pro rege Maximiliano eletto imperatore, per el Re di Spagna, Re di Napoli et la Signoria di Venetia et altri. Et che di Gem Sultan a lui pareva non era tempo di muoverlo di dove era, ma pur che la mattina faria concistoro, et quello ivi delibereriano con l'aiutorio de Dio et de misser S. Piero et S. Paulo, li manderia a dinotar. Et ditti baroni ritornò dal Re, et disse la risposta dil Pontifice.

Ancora el Re dimandò danari in prestedo ad alcuni Cardinali, i quali si excusono non haver, promettendoli li loro arzenti. Tamen el Re non li volse tuor, et Colonnesi con li suoi seguazi erano molto superbiti, et messeno a sacco una caxa di uno episcopo di Conti, sua parte contraria, et in Roma le bottege erano serrate, tutti andavano armati, et essendo in queste novitade le caxe de Cardinali, dubitando non esser messe a sacco, stavano con gran guardia, havendo provvisionati. El Re non ussiva de palazzo de S. Marco, aspettando la risposta dil Pontifice. Et a ciò se intendi quanti Cardinali [168] erano in questo tempo, ho voluto qui sotto scriverli, et quelli hanno una † erano fuora di Roma.

Cardinali romani, anno 1494.

[170]

Questi adoncha 35 sono tutti li Cardinali vivi al presente et loro titoli, et in tutto sì come in la pratica di la canzellaria romana si leze, puol esser num. 54, zoè 6 episcopi, et 30 preti, et diaconi 18. Sed ad rem nostram redeamus.

Non voglio restar de scriver quello ch'el zuoba, fo primo dì di Zener, et zorno driedo che 'l Re intrò in Roma, fo ritrovato in San Piero l'infrascritti versi, li quali fonno fatti contra el Papa, come lezendo intenderai el tutto[109].

Adi 5 Zener el Pontifice, per haver habuto assà moltitudine de Franzesi baroni che li era venuto a basar li piedi et haver la beneditione sua, li venne una certa angossa, et fo portato in letto, et stette tre hore come stramortito, tandem revenuto deliberò el zorno di Pasqua, che fo la circoncisione dil Signore, a dì 6, in la sua camera medema far concistorio; et cussì el Pontifice vestito in letto fece chiamar concistorio, dove venne Cardinali 16, tra li qual vi era el cardinal Santo Dionysio franzese. Et el Papa propose la richiesta fatta per el Re, dicendo la risposta data, et le ragione movea Soa Beatitudine a non voler exaudirlo in niuna cosa di quello havea mandato a dimandar. Et cussì terminono ivi in concistorio: prima laudato l'opinione de Soa Santità, poi che iterum li replicasse che questa era etiam ferma voluntà del concistorio de non darli el castello per niun modo. Za era andate parole attorno Roma, che el Papa havea deliberato, si el Re de Franza volesse pur al tutto haver el castello et lo volesse bombardar, che metteria sopra le mure la Veronica, zoè el sudario de Christo proprio che ivi si attrova, le teste di S. Piero et Polo Apostoli loro protettori, el corpo di Cristo et altre reliquie, et che si esso Re, havendo fama de Christianissimo, poi voleva bombardar, dovesse bombardar a soa posta in queste cose sacre; ancora, che non potendo più, faria una excomunica a lui e tutti i soi; con un jubileo plenario a tutti coloro fusse contrarii et offendesse ditto Re de Franza, el qual veniva contra la Chiesa. Tamen niuna cosa fo fatto.

Ma el Re mandò iterum quelli quattro baroni a dimandar al Pontifice la risposta, perchè za se intendeva in quel zorno faceva concistorio. Unde el Pontifice li fece chiamar dentro, et li disse largo modo el voler suo; et che el Re non si pensasse fino lui era Papa de haver mai el castello ne le mano, bastava haver el passo etc.; et che era fermo et costante in quello havea avanti risposto; et che [171] manderia 4 Cardinali da Soa Maestà a justificar ogni sua volontà cussì esser et de Rev.mi Cardinali. Et ditti baroni ritornono dal Re. Et el Papa mandò questi 4 cardinali, el cardinal de Napoli, el cardinal Alexandrino, el card. Santa Anastasia et el card. Monreal, i quali andati dal Re, appena fono visti, imo exposto la loro imbassata, stetteno un gran pezzo credendo haver risposta dal Re, el qual post multa li disse: andè, et manderò a dir al Papa per li miei baroni quello vorrò.

Et inteso la risposta dil Papa, el Re deliberò de voler haver el castello, usando assà alte parole. Et in Roma tutti stevano con gran paura, perchè seguite certa novità, che alcuni de soi messeno a sacco li Zudei et fece gran danno. Ancora a dì 8 se apizò alcuni Italiani con Sguizari, et Sguizari se messe in ordine et messe a sacco la caxa di uno spicier, nome Piero Branca, et fece bottin per 8 milia ducati, per modo che el Re, inteso questo, havendo molto a mal, fece cavalcar alcuni soi capitani per cessar ditto rumore, et fo presi fra italiani, franzesi et do negri, n.º X, dei qual fo appiccati uno franzese et li do negri, et fece uno editto che niun non andasse senza luse la notte per Roma, et chi andava fusse appiccato. Item che, in termene de tre zorni, quelli havea ditte robe tolte ut supra, sotto pena di la forca si venisse a manifestar. Et cussì fo restituido gran parte. Item che li Zudei portasse una † bianca su la spalla, ai qual, havendo ditto segno, non li fosse fatto noja alcuna. Oltra di questo ordinò che 4 cavalieri franzesi con 500 cavalli per uno andasseno la notte attorno Roma, a ciò non fosse fatto danno ad alcuno. Et fu trovato alcuni senza luse, li quali secondo l'editto regio fonno appiccati; et a dì 9 de notte el Re fece appiccar uno suo cavalier, et questo per haver messo su le zente a tal rumori.

Ma el Papa per timor de novitade, a dì 7 ditto si redusse ad habitar in castello, et pur si tramava pratiche di accordo con el Re. El qual poi seguite, come dirò di sotto.

Adi X per l'abondantia di le acque havea piovesto, per el cargo di le artegliarie et di li repari fatti dentro, che molto cargava il muro, cazete cinque passa di muro attorno dil castel Santo Anzolo, zoè 14 merli, nel qual loco el Papa fo la sera avanti, le qual muraglie fonno subito riconzate et di novo fortificato, ma è mirum quid che avanti el Re intrasse in Roma cazete certa parte di muro di la terra, et a hora cazete queste dil castello. Et non molto da poi seguite l'accordo dil Pontifice et dil Re, come intenderete leggendo. Ergo son gran segnali.

[172]

Provvisione fatte per re Alphonso nel reame in questo tempo.

Domente queste cose a Roma si fanno, havendo inteso el re Alphonso era a Napoli la intrata dil Re di Franza in Roma, fece molte provisione. Prima mandò vice re in la Puia Camillo Pandon, con commissione amplissime dovesse trovar danari. Mandò do comissarii per il paese a tuor le vittuarie, sì de fuora come in alcuni castelli, e far la tansacione de le bocche, e non lassarli vittuarie se non per 4 mesi. El resto fece condur a Napoli in li castelli et in altre fortezze lì attorno, a ciò Franzesi non havesse vittuarie. Item mandò per uno zudeo di cadauna casa dil suo reame, che statim dovesseno venir a Napoli alla sua presentia, dai quali volse tra loro tutti ducati 56 milia in termene de zorni 8. Mandò per li marani spagnoli, sì per quelli habitava in Napoli quam fuora, e tolse danari a imprestedo a ducati 36 per cento de usura, et per ogni 100 ducati li dava ducati 3 al mese, da esser pagati ogni mese. Et za havea comenzà a pagar la prima paga, zoè la prima usura; et molti de questi marani in questo tempo al meglio poteno con loro brigate si partino di Napoli et venneno ad habitar qui a Venetia, et portè grande haver con loro. Et è da saper che questi marani sono zente baptizata, tamen li soi furon zudei, et stavano nel paese dil serenissimo Re di Spagna, e tenivano quodammodo un'altra leze, media tra la hebraica et Christiana: pur dimostravano esser boni christiani publice, et privatim tenivano le sinagoge in casa. Ma parse a questo glorioso Re et Regina di Spagna, di cazzarli tutti dil paese, zoè quelli che non volevano lassar la vita loro teniva, et fece molti inquisitori frati per tutti li soi regni, con grande auctorità, et uno sopra tutti chiamato l'inquisitor major, i quali facevano la inchiesta, et molti marani fono brusati, altri fuziteno in diverse parte dil mondo, et le loro statue erano brusate. Molti capitono qua a Napoli et in Reame ancora l'anno 1492. Esso altissimo Re di Spagna discaccioe di tutti li soi regni tutti li zudei, che fonno numero grandissimo, ita che niun per tempo potesseno ritornare, et li concesse certo termene a veder el suo, et che non portasseno danari fuora dil paese; ma ben mobele quanto a loro piacevano. Et questi venneno ramengi in diverse parte dil mondo; molti qui in Reame, altri a Constantinopoli, altri in varie regione; et molti essendo su le nave, per fortuna si summerseno nel mare, adeo che più sotto el dominio dil potentissimo Re di Spagna non si attrova più zudio, nemichi di [173] la fede christiana. Et per haver dato re Ferando recapito nel suo regno, fortasse Iddio li dà al presente tal affanni.

Ancora re Alphonso vendette molti castelli e contadi per zerca ducati 30 milia; fra i qual ne comprò uno D. Tulio suo secretario per ducati 12 milia; et questi comprava ditti contadi e castelli, compravano a rason de ducati 40 per cento a l'anno de intrata de iurisdictione havea. Item mandò in Sicilia do comessarii con danari a far fantarie; mandò Perucha corsaro cathelano, era lì in Napoli, havia disarmato, homo di gran cuor, con 600 provvisionati et alcune artegliarie a uno passo di Trajetto, è sora el fiume Garigliano. Et cussì in altri passi et fortezze messe custodia. In Napoli faceva soldar fanterie a ducati 3 al mese, paga di tre mesi avanti trato. Tansoe tutte le sue terre et castelli di reame et regno suo, che cadauna dovesse far fanti in aiuto di la sua corona, maxime a tanto bisogno: et, fatta la descritione, sariano zerca fanti 12 milia, come per lettere di l'ambassador nostro Paulo Trivisano cavalier se intese, con el qual el Re conferiva ogni cosa. Item fece spianar verso Roma mia 60, butar e ruinar a terra tutte case e conventi, zoè a li passi dove se puol venir in Reame, perchè per tre vie vi si va, et tutte buttano al piano di Sessa. La prima è da Taiacozzo al contà d'Alba, poi la Celana et al pian di Sessa; la seconda a S. Germano, a Pontecorbo, al passo de Mignano et al pian di Sessa; la terza a la volta di Marino, Velitri, Fondi, Itri et pur al pian di Sessa; sì che tutte tre vie metteno cao al pian di Sessa. Ancora fece brusar li strami et fieni, voltar le semente sotto sora, et arar in questo tempo la terra era seminata, che fo una compassion che tante biave se perdesse. Tamen fece a ciò Franzesi nè al presente nè questo altro anno havesseno vittuarie, et che da la grandissima carestia et inopia prendesseno altro partito, ma poco li valse. Item fè stropar tutti i pozzi, romper et stropar le fontane al meglio poteva, perchè non trovasseno acqua. In la Calavria era vicere Don Cesare, fo fiol di suo padre non legittimo, el qual etiam lì in Calavria fece molte provvisione, elesse uno ambassador a la Signoria chiamato Hieronimo Sperandio dottor, el qual per la via de la Puia venisse poi per mar a Venetia, et quando zonzete et quello volse intenderete di sotto. Ancora esso re Alphonso fece molte provvision, provvedendo al meglio poteva al suo stato. Et non restava advisar al suo ambassador era in Spagna, che el Re desse aiuto et a lui et alla Majestà di sua sorella raina, in compagnia di la qual era andato za molti mexi a starvi, de comandamento dil Re, l'arcivescovo di Teragona, et è fino [174] al presente. Era za partito l'ambassador dil sig. Turco, con el qual Alphonso havea concertato et pregato gran cose, maxime che facesse romper a Zenoesi, et che el Turco mandasse a tuor l'isola de Scyo a lui vicina, perchè Zenoesi erano stati bona causa di far venir el Re a suo danni, per haverli fatto l'armata lì a Zenoa. Et quelli di l'Aquila mandò ambassadori a Napoli, dicendo non si dubitasse mai di la fede loro, et cussì fermi sariano a mantenir l'omagio et fedeltà zurata a sua Majestà, la qual cosa fo molto accetta al Re, benchè poi fo el contrario.

In questo mezo, el duca de Calavria partito con le sue zente da Teracina andò per quelle parte, et a San Zermano si pose, el qual loco è mia 30 da Roma et 60 da Napoli, fortissimo et come si divulgava inexpugnabile. Era con squadre 60 et fanti 5000. Et ditto Duca andò con alcune zente, essendo venuto in campo don Fedrigo, el qual era andato a far certa quantità di fanti. Or andò esso Duca a uno luogo dil prefato, chiamato Sora, mia 70 da Roma et 50 da Napoli, el qual fu alias de Ferdinando, et concesso a papa Pio, perchè, diceva, era di la Chiesia. Unde Sixto Pontifice volendo benificiar li soi, come fece el conte Hieronimo de Riario che li dette Imola et Forlì, et a questo prefato che era suo nepote, fratello dil cardinal San Piero in Vincula, oltra Senegaglia li dette contado: et qui Calavresi li detteno la battaglia et sachizolo, ma li custodi si defeseno. Et inteso questo a Roma, subito se partì el sig. Prospero Colonna con alcune squadre de cavagli et fanti et franzesi, et lo andò a soccorrer, et za el duca de Calavria non l'havendo potuto haver era ritornato.

Per lettere di 10 Zener da Napoli, venute con grandissima difficultà perchè non poteva venir corrieri per le vie rotte, se intese come a dì 9 il duca de Calavria era partito dil campo da San Zermano, et venuto prestissimo con X cavalli et non più in Napoli; et con la Majestà dil Re suo padre steteno in colloquio soli zerca hore 8, dove consultano gran cose, come l'è da creder: poi l'altro zorno, ita che stete solum hore 16 in Napoli, tolse licentia dal padre, dove vi era l'ambassador nostro, perchè altri oratori ivi non se ritrovava, et inzenochiato, magna spectante caterva, volse la benedition dal padre, et quella habuta, lo basò con gran contamination de li circumstanti, quasi dimostrando voleva al tutto esser a le mane con Franzesi, et far fatti d'arme. Et ritornò con bon animo a San Zermano, dove era el suo exercito, con questo che cadauno sarebbe stato per si sotto degno capitano, zoè el sig. Virginio Orsini, el conte de Petigliano, [175] Zuan Iacomo di Traulzi, Iacomo conte, el marchexe di Pescara, et molti altri signori et baroni, et continue andava augumentando l'exercito.

A dì 14 Zener el re Alphonso si comunicò coram populo, et levò una fama di voler partirse de Napoli, et lassar suo fiol al governo, et lui venir in campo contra el Re de Franza con 3000 biscaini, i quali erano venuti et passati in Sicilia per tuor soldo di esso Re, tamen mai si partì più Alphonso di Napoli, fina fece quello seguite et intenderete di sotto. Questo re Alphonso in questo tempo era molto dato alla devotione, conversava ut plurimum con frati, lezeva l'offitio grande come religioso, et non voglio star di scrivere una devotione faceva il zuoba santo, che el Re serviva in persona regiamente a 12 poveri, et fè chiamar 46 poveri l'anno 1494, a dì 23 Marzo zoè passato, et felli sentar in tre tavole: questo fece perchè havea anni 46, e tanti anni quanti ha tanti poveri serve, crescendo ogn'anno uno: et alla prima tavola, ch'è di 12 poveri, pur ditto numero lui medemo serve, come ho scritto, con grande humanità et abondantia de ferculi; a le altre do, conti, duchi, marchexi et baroni. Poi el Re lava li piedi a ditti 12 poveri, et li basa i piè, et li dette panno per camisa, zupon, calze, mantello et scarpe, et tre carlini per uno, ch'è una bellissima consuetudine a imitatione dil nostro Signor Yesu Christo, che lavò li piedi a li Apostoli. Sed de his satis.

Dil re Maximiliano alcuna cosa notanda, et di la sua Dieta.

El re Maximiliano, inteso la morte di suo cugnato duca de Milano, ritrovandose in Fiandra ne le terre di suo fiol archiduca Philippo di Bergogna con sua moglie madona Bianca, molto si dolse. Et più la moglie dimandando vendetta contra el duca Ludovico, che si havea fatto lui Duca, et privato el nepote. Et subito scrisse a Milano, dolendosi molto di la morte di suo cognato, et che el signor Ludovico dovesse haver custodia dil Ducheto, moglie et fratello, et governar ben quel stato: ita che, a tempo legittimo, esso Re possa dominar pacifice. Et però Ludovico dubitando di novità si scriveva: Ludovicus Maria Sforcia, dux etcetera, come ho scritto di sopra; benchè poi mutasse ancora. Esso Re di Romani, mandò ambassadori a Milano, i quali gionti in questi giorni, et andati a l'audientia dil signor Ludovico duca, si dolseno di la morte dil Duca, et come la Cesarea Majestà dil Re et Regina havea habuto grandissimo dolor, nè mai si alegrò di alcuna creation sua a ditto Ducato, benchè sapesse [176] quello era successo, quasi dimostrando non haver habuto piacer de questo, et dimandò el resto di la dota sua restava haver, et era ducati 100 milia, et etiam passo et vittuarie, el qual, senza haverlo domandato, era certo di haverlo habuto, sì per il parentado, quam per essere Milano terra de Imperio, et che al tutto voleva venir a tuor la corona a Roma. Et li fo dato ducati 60 milia, et loro pur steteno fermi a Milano, per veder de haver el resto. Et poi andono a Roma dal Re di Franza, come scriverò di sotto. Et in questo mexe di Zener, sì per haver la investisone dil ducato da esso Re de Romani, quam per tasentarlo, etiam el Duca di Milano li mandò do ambassadori, quali fonno Zuan Francesco da Marliano dottor, et Baldissera de Pusterla cavalier, el qual mandò con la imperatrice sua moglie, et da ditto re Maximiliano fu decorato de la militia. Ma ditto Re era pur occupado contra el Duca de Goler (Juliers) et lo episcopo di Lexe (Liegi), che li havea tolto alcuni castelli et molto dannizava. Tamen non molto da poi sedò et pacificò ogni cosa, et venne in Alemagna, et ordinò de far una dieta a dì 2 di Fevrer a Vormes, zoè uno conseglio generale, dove havevano a deliberar gran cose, et quelle voleva far con uno grande exercito che havea ordinato, et maxime la compagnia dil..., che sono sette comuni, che fanno da persone 40 milia in suso quando vogliono si metter in ordine, et faceva zente in favore di ditto Re Maximiliano. Et scrisse a tutti coloro doveva venir a ditta dieta, come per la lettera qui accopiata vederete el tutto; benchè ditta dieta fusse prolongada poi assà, come scriverò più avanti. Ancora ditto Re scrisse a la Signoria che havea creati li soi ambassadori, li quali di breve seriano a Venetia, ma fo judicato, per el molto tardar, volesse far prima la dieta et poi mandarli. La qual cosa molto dispiaceva al duca de Milano, et pur mandava a notificar a la Signoria, come era certo el Re preditto faceva gran zente per venir in Italia. Et etiam lui elexe do solenni ambassadori a ditta Signoria, li nome di qual zonti sarà nominati, i quali etiam fonno molto tardivi. Ma avanti descriva alcuna cosa, per cognitione di coloro non hanno molto pratica di le cose, voglio scriver el modo di la incoronatione, et prima elexione de l'imperator romano. Et è da saper che del 1486, vivente Federigo terzo padre suo imperator, a dì 16 Fevrer in Franchfordia questo Maximiliano, el qual era veduo, et per moglie dil 1476 madona Maria fo fiola dil duca Carlo di Bergogna, rotto in battaglia da Lodovico padre de questo Re de Franza presente, di la qual have uno fiol et una fiola. Or questa donna, cascando di uno cavallo, morite, et el fiol fo sublevato Archiduca [177] di Bergogna, et esso Maximiliano discaziato dil governo. Or da li septe electori, li quali nominarò di sotto, fo eletto, l'anno sopra ditto, Re di Romani; el qual ordene fo instituido del 1002, et in quel tempo primo elexeno Re di Romani, et poi incoronato dal Pontifice e imperador Augusto. El qual se die incoronar con 3 corone. Prima di ferro, che significa potentia et fortezza, et di questa se die coronar per l'arciepiscopo Coloniense, in la villa ditta Acquese vel Acquisgrano, in la provincia coloniense, leodiense dyocese. La seconda di arzento, che significa che esso è clara justitia et munda, et se die coronar per l'arzivescovo de Milano, in la chiesia de Modoetia de la diocese milanese[110]. La terza è di oro, che significa maiorità et nobilità de tutti altri metalli, et se die coronar a Roma per el Pontifice, in la chiesia de San Piero a l'altar de San Mauritio, in segno ch'è Imperator, et è sotto la sua confirmatione. Et ditto Imperator non die star in Roma, da poi la sua coronatione, se non una notte, ma ne l'uscir de la città, die andar su il monte appresso la chiesia di San Piero fuora di le mura per do mia, che si chiama monte Mauro, el qual monte è più alto de li altri ivi a torno, et quando è in cima, levando la man, die dir: omnia quae videmus nostra sunt, et ad mandata nostra perveniunt. Et statim die mandar per tutto el mondo, che a li soi mandati vegni tutti i baroni et principi christiani et pagani. Et ancora è da saper che in la città Acquense lì in Alemagna è coronato con la corona propria, che fu di Carlo Magno, et Federico so padre stette 13 anni a coronarse, per caxon di scisme era: però che del 1440 fo creato, et dil 1452 incoronato da papa Nicola quinto. Et morite dil 1493, a dì 19 Avosto, a le 23, come ho scritto di sopra nel primo libro.

Electores Imperii.

Archiepiscopus Maguntinus, sacri Imperii per Germaniam archicancellarius. — Archiepiscopus Coloniensis, sacri Imperii per Italiam archicancellarius. — Archiepiscopus Treverensis, per regnum Arelatense archicancellarius. — Rex Bohemiae, qui fuit Dux. — Marchio Brandeburgensis. — Dux Saxoniae, et — Dux Bavariae (sic). — Ut patet his versibus: Sunt autem officiales isti: Maguntinus, Treverensis, Coloniensis, quilibet imperii sit cancellarius horum. Inde Palatinus dapifer, Dux portitor ensis, Marchio praepositus camerae, pincerna Bohemus. Hi statuunt regem, servantque [178] per ordinem legem, atque creant dominum, cuncta per saecula summum.

Maximilianus Dei gratia Romanorum rex semper Augustus[111]. A Venetia quello si faceva et anche a Milano.

A dì 5 Zener zonse a Venetia uno ambassador dil Re et Regina di Spagna, chiamato don Lorenzo Suares de Figarola (Figueroa) cavalier casigliano, et menò con lui uno suo fiol de anni zerca 20, nominato don Consalvo Ruis, el qual ambassador, come disse, era venuto prestissimo, partito di Madrit dove era l'altezza dil Re et Regina con la corte, ch'è terra situada su piera che buta fuogo, fortissima, et era stado do mexi in cammino, sempre cavalcando, venuto per la Franza, et in alcuni luoghi disse veniva ambassador al Re di Franza, a ciò non fusse ritenuto intendendo veniva a la Signoria, maxime per la caxon veniva, et passò incognito per Milano, et zonto a presso li nostri confini scrisse a la Signoria come veniva, et passato per Vicenza da Alvixe Malipiero capitano, el qual li andò incontra, fu benigne ricevuto, ma non volse dimorar, et venne di longo a Padoa, dove stette 3 zorni sì per causa di reposarsi quam di mettersi in ordine de habiti, et venne con belle mule. Et de ordine di la Signoria da li rettori di Padoa fu molto honorato, et misser Antonio Morosini cavalier capitano li andò contra con essa compagnia, et venne ad alozar nel palazzo de ditto capitano, et da Marin di Garzoni podestà etiam fu visitato. Or poi, deputato questo zorno di venir ch'era la vezilia di Pasqua, per la Signoria li fo mandato contra molti cavalieri et dottori et altri patricii fino a Lizza Fusina. Etiam vi andò Ioh. Baptista Spinello dottor et cavalier, ambassador dil re Alphonso, et Aldobrandino di Guidoni dottor ambassador dil Duca di Ferrara, el qual è longamente stato orator quivi, et fu menato con li piati fino alla Zuecha, dove era preparata una caxa, et lì fe fatto le spexe, mentre stette in questa terra, per l'officio di le Raxon vecchie a queste deputato. Et li fo fatto grande honor, sì per esser ambassador de chi era, quam perchè etiam el suo Re molto honoroe Hieronimo Lion cavalier et Zorzi Pixani dottor, etiam lui fatto cavalier quando andono ambassadori in Spagna a congratularsi [179] dil regno acquistato di Granata. Or tutta la terra era in expectatione de intender quello voleva ditto ambassador, et quasi tutta la corte di palazzo era piena a vederlo venir. Et la mattina, fo el zorno de Pasqua, andò in collegio all'audientia, dove stette poco, perchè el Principe dovea andar a messa secondo el consueto in chiesia de San Marco. Et cussì vi andò con questi ambassadori: legato dil Papa, oratori de Franza, de Spagna, de Napoli, de Milan, de Ferrara et de Mantoa. Et el Senato poi el zorno driedo have audientia privata, et nostri patricii sapeva la lengua castigliana fonno interpreti, et expose la sua ambassada: come el suo serenissimo Re et Regina, compadre di questa Signoria, però che Nicolò Michiel, dottor et cavalier, ritrovandose del 1478 ambassador di questa Signoria in Sibilia, baptizò el principe fiolo primario dil Re[112], et ogni anno, quando vi va galie, la Signoria li manda presenti di panni d'oro et sede, come a suo fiol et fiozo; et che l'altezza dil Re et Regina preditta lo havea mandato per visitar la Signoria Illustrissima, offerendosi in tutto ogni suo poter. Conclusive, dolendosi di la venuta dil Re di Franza in Italia, et che quando el se partì non se intendeva el suo tanto prosperar, et benchè el suo Re et Regina havesseno paxe con el Re de Franza, tamen che antiqua era con questa Signoria l'amicitia et grande benivolentia: et però offeriva el poter di loro Altezze, sì per mare quam per terra, a comandi di quella; et altre cose secrete poi conferiteno... Ma ben se divulgava che, non potendo Spagna romper guerra a Franza, pur per aiutar suo parente re Alphonso di caxa di Aragona, voleva: volendo la Signoria però dimostrarsi nemiga di esso Re de Franza, prometteva darli ogni aiuto etc. Et a la risposta fo fatto consultatione, et poi che el Principe li disse el voler dil Senato, questo ambassador subito spazò fanti in Spagna al Re, et stette qui allozato ut supra. Demum alcuni mexi da poi si mutò di stanza, per non comportarli l'habitar a la Zuecha, et venne a star a la Charitade, in la caxa fu da ca Correr sopra el canal grando. Ditto ambassador era sapientissimo in parlar mirabile et ornato chastigliano, et molto virtuoso, adeo nostri faceva grande extimatione di lui. Era fradello di don Garcilasso di la Vega, che etiam in questo tempo era ambassador dil suo Re et Regina al Summo Pontifice, stato za uno anno. Et se intese certo, come 50 caravelle dil suo Re erano preparate; capitano di le qual era el conte da Trivento altramente chiamato conte de Rechesens, et quelle venivano [180] in Sicilia a Palermo per essere a la obedientia dil Pontifice et in aiuto dil Re de Napoli; et quello di dette caravelle seguite scriverò più avanti.

A dì 14 ditto, a hore 3 di notte, a Venetia fo visto fuogo in cielo da molti, a modo di una coxa ardente, ma poco durò, che parve la cascasse in acqua et disparve. Questi son prodigii che vieneno secondo Plinio, che poi segueno mutatione de regni, come fo questo de Napoli.

In questi zorni zonse a Venetia quello ambassador del signor Turco, che poco mancò non fosse presone dil prefato, come ho scritto, et stato infino hora a Mantoa, et dal Marchexe vestito d'oro, et habuto presenti a presso ducati 1000, ritornò per Po per andar ne li soi paesi, et allozò a la caxa dove habitava l'ambassador di esso Marchexe di Mantoa. Et la matina andò a la Signoria, dove per interprete usò grande parole, dicendo che si doleva di la Signoria non habbia fatto obbedir, et che si doveva haver mandato diexe galie a ruinar Sinegaia, havendo fatto questa inzuria al suo Signor, con el qual havevemo bona paxe, et al Papa. Demum che intendeva el successo di questo Re di Franza, et che 'l diceva di voler andare contra el suo Signor; et che lui voleva tornar a Constantinopoli non da ambassador ma da messo prestissimo, et far che 'l suo Signor mandi galie a tuor Franzesi se i non haverà con che passar in Turchia, a ciò i passino. Et che el suo Signor lo lasserà acquistar qualche luogo e reposarsi per do mexi, et poi ordinarà ai soi Bassà che li vadi contra, che non si degnerave di andar in persona, et farà tanta straze di loro, che non tornerà niuno Franzese di qua a portar la nuova nel suo paese, per la grandissima rotta haverave per la gran potentia dil suo Signor. Et molte altre parole disse. Unde per el Principe li fo risposo accomodatamente, tanto che quasi rimase satisfatto. Et poi ditto ambassador, montato in gripo se partì per Corphù, et poi a Constantinopoli a la presentia dil Signor.

Arrivoe a Milano, in questi zorni, Zenoesi, benchè tra loro za un tempo si havessano quasi tolti di l'ubidientia dil Duca de Milano, et discaziata la loro parte contraria, zoè Fregosi con li soi seguazi, et maxime el Cardinal, che era Doxe et arciepiscopo di Zenoa; et electo tra loro di l'altra parte uno capo, el qual in questo tempo era Augustin Adorno, et ha questo titolo: Ducali Ianuensi gubernatori ac locumtenenti. Et di queste parti di Zenoa, et quali sono, di sopra assai ne habbiamo descritto. Et el Doxe, o vero capo, domina el castello de Zenoa, el palazzo, et le altre fortezze de la cittade et castelli [181] dil Zenoese, et ha la sua provvisione ordinaria et obedientia de li populi. Tamen San Zorzi he le sue intrade de dacii e altre cose da per sè, et si governano da signori che sono deputati. Or Zenoesi deliberono di redurse sotto la pristina ubedientia de Milano, maxime in queste novitade de Italia, et creono tra loro sedece ambassadori di principali cittadini, et questi andono a Milano dal duca Ludovico, et quello elexeno per loro Signore, et havesse el dominio, come prima havea li altri Duchi, et fonno benigne ricevuti et carezati.

Et essendo mancato di la prexente vita, come di sopra ho scritto, a Milano Battista Trevixan ambassador di la Signoria, andato ivi insieme con Sebastiano Baduario cavalier, et a dì 24 Dezembrio espirato, el Duca lassò passar le feste de Nadal, et poi venne di Vegevene in Milano, et ordinò solenne esequie nel domo a detto cadaver di questo ambassador veneto, o vero a la sua cassa, perchè el corpo mandò per Po a Venetia, et qui fu sepellito. Or a dì 4 Zener di domenega fo fatto ditte esequie, andò el Duca con la sua corte driedo, con tutta la chieresia de Milano, et l'andete el funere con bellissimo ordine.

Ancora Sebastian Badoer cavalier, rimaso privo del carissimo collega, non stette molto ben, et si ammalò, però di mal vecchio, per la sua gamba; preso ditto mal per disagi portadi in varie legatione. Et Zorzi Negro suo secretario spesso andava, avanti el Duca ritornasse a Milan, a Vegevene a consultar. Et el cargo dil governo de Milan restava a Bortholomio Calcho primo suo ducal secretario, et homo de grandissimo inzegno et pratica.

Consultava sapientissimamente Sebastian Badoer con el Duca, dimostrando non faceva per niun potentato de Italia che questo Re de Franza havesse dominio in Italia, et eran tante le savie parole sue, che el signor Duca faceva grande extimatione di consultar con quello. Et ritornato da Vegevene per star fermo con la corte de Milano, havendo za queste feste de Nadal butado zoso e corrotto et panni lugubri portava per suo nepote, et cussì tutta la sua corte, et molto carezava ditto nostro ambassador, sì per esser homo di primi nostri patricii et di grande autorità, quam etiam per dimostrar faceva caso di la Signoria più che de niuna altra potentia de Italia. Tamen se dubitava che re Maximiliano non venisse etiam lui in Italia, per andar a Roma a incoronarse.

Ancora mandò el conte de Cajazzo con 400 cavalli lizieri et alcuni fanti, et dovea seguirlo 150 homeni d'arme per andar verso Roma in aiuto dil Re di Franza; ma inteso le novità de Pisa con [182] Fiorentini, quello mandò in Pisa, dove stette alcuni zorni, poi andò dal Re.

Oltra de questo mandò per madona Catharina signora de Forlì, et mugier fo dil conte Hieronimo, che dovesse venir a Milano. Et lei non volendo, fece cavalcar el signor Fracasso di S. Severino con alcune zente, et uno Sigismondo da Sonzin verso Imola et quelli lochi, tamen poi non seguite nulla.

Li ambassadori di re Maximiliano partino da Milano et andono a Fiorenza a domandar passo et vittuarie, et el suo Re veniva con 30 milia persone a incoronarse a Roma, et se divulgava voleva far do vie le soe zente, una per la via de Cuora (Coira) et de Milano, l'altra per Trento et passar sul Veronese et ridurse a Bologna, et ivi far la massa et andar tutti insieme verso Roma, ma per quest'anno non venne.

Et apropinquandose el tempo dil parturir de Beatrice moglie dil duca Ludovico de Milano, parse a soa sorella mazor madona Ixabella moglie dil marchexe de Mantoa de ritrovarse a ditto parturir: et cussì andò con bellissima compagnia et etiam madona Anna moglie di don Alphonso fiol dil duca di Ferrara et sorella che fo dil duca Zuan Galeazzo morto, et cussì ditte donne se ritrovono a Milano in questi zorni dove fo fatto bellissime feste. El marito marchexe stava in pratiche de accordarse con la Signoria et renovar la conduta, tamen pur el voleva titolo de Capetanio Zeneral de Terra, o vero più quantità de danari, promettendo ogni fideltà, mandar la moglie et fioli in questa terra, che fusse mandato governator patricio a Mantoa etc., et quello seguite et el modo fo poi accordato di sotto sarà scritto.

Da Ferrara per lettere di Zuan Francesco Pasqualigo dottor et cavalier vice domino se intese come el Duca era ammalato, et che havea fatto uno editto, che in tutto el suo dominio più non si dovesse spender monete de arzento de niuna sorte et qualità, sia qual si voglia, sotto grandissime pene, excepto tamen quelle di la Signoria nostra. Questo fece per la grandissima quantità de monede varie che ivi, per esser luogo di passo, si spendeva continuamente, et faceva gran danno.

A Venetia havendo mandato a tuor la Signoria in alcune isole in Arcipelago per via di Hieronimo Venier, che de alcune è signore, molti falconi pellegrini, i quali costa assai ducati, et più di X ducati l'uno; et questi zonti, non senza difficultà portati per mar, deliberono di donarle a li ambassadori erano in questa terra, et ne [183] mandò a donar 20 a l'ambassador dil Re de Franza, 20 a l'ambassador dil Re de Spagna, 10 a l'ambassador dil Re de Napoli, 10 a l'ambassador de Milano, 5 a l'ambassador de Ferrara, et 5 a quello de Mantoa; i quali ambassadori accettono libentissime, come cosa regia, per mandarlo a li loro Signori da parte di quella Illustrissima Signoria, per esser cosa di farne grande extimatione. Ma l'ambassador de Napoli, essendo el Papa accordato con el Re de Franza, quelli remandò indriedo a la Signoria, dicendo el suo Re al presente li bisogna altro che mandarli falconi pellegrini; tamen molto ringratiava quella, et che in ogni altro tempo haria habuto el Re per el più singular dono li fusse mandato. Et inteso questo da Monsignor di Arzenton, ambassador de Franza, mandò a dimandar al Prencipe li volesse concederli per monsignor Duca de Orliens, era in Aste, dicendo havea gran piacer di tale cose. Et cussì etiam questi X fonno mandati a ditto ambassador, et tutti fonno mandati al loro Re, infino in Spagna ch'è tanto da lonzi et non senza gran difficultà. Et conveneno portarli su stange per terra con gran spesa et etiam al Re de Franza, al quale li fo presentadi, partido fo di Roma.

In questi zorni venne a Venetia el conte Ludovico Boscheto ambassador dil signor de Rimano, licet vi fosse uno altro suo qui chiamato Antonio de Cochiaro dottor, et venne per rifermar el soldo havea loro Signorie con questa Signoria, però che era compita la ferma. Et poi che stette alcuni zorni, ditto signor di Rimano fu conduto, et cressutoli cavalli 200, ita che vien haver 100 homeni d'arme, come dirò di sotto.

Come el Pontifice si accordò con el Re de Franza.

In questo mezzo el Re de Franza, che 'l Pontifice era renitente in acordarse, mandò li soi Sguizari verso el Reame, et ancora alcuni soi capitani era partiti, una parte verso Terracina e Fondi, l'altra verso l'Aquila, et mandò uno suo araldo a l'Aquila a dinotar se dovesseno render in termene do zorni, altramente el Re veniria in persona, et venendo non li vorrebbe poi a patti: ma pur Aquilani mostrava volersi tenir per el suo re Alphonso, havendo maxime li loro animali in poter di ditto Re. Et publice resposeno volersi tenir per casa de Aragona, tamen in occulto con Franzesi praticavano accordo; la qual pratica menava uno domino Palamides Forbi di Provenza, el qual fo altre fiate in Italia col duca Zuanne di Andegavia nominato di sopra.

[184]

Le zenti che prima andò in Reame fonno squadre 60 et 4000 fanti zoe pedoni, et cussì continue mandava zente in Reame, sì per alleviar la terra, a ciò non patisse desasii per causa de vituarie. Et fo divulgato era di opinione de far do campi, perchè havea grande exercito, et da 30 milia persone in suso, la qual cosa non era creduta perchè si judicava l'inverno, per le neve grandissime, Franzesi non potessero passar monti: pur sempre qualche uno ne veniva. Et el duca de Orliens era in Aste ammalato con la quartana, et non era senza gran numero de persone che bisognando sarebbeno venuti in soccorso dil Re. Ancora la Raina de Franza soa moglie li scrisse, come a tempo nuovo li voleva mandar di la soa provintia di Bertagna X milia bertoni, et lei medema venirlo a trovar: ma la cagion de tanta zente fa che sempre augumentava, perchè è ditto comune: ogni uno segue la vittoria, et viva chi venze! Et questo Re, prosperando cussì felicemente, tutti li fora ussiti et bandizati, senza quelli che hanno piacer de ritrovarsi ne l'arme, da Milano fin a Roma veniva seguitando Soa Maestà.

A dì 12 et 13 dil mexe preditto di Zener fo concluso l'accordo tra el Pontifice et Re di Franza. Fo fatto gran fuogi sì in Castel Santo Anzolo quam per tutta la città, et soni di campane in segno di allegrezza, et li capitoli di detto accordo seranno qui sotto scritti. Et a dì 13 el Re montò a cavallo con li soi baroni et la sua guardia, et andò per Roma visitando le chiesie et perdonanze, vedendo dignissime antiquità. Di la qual città de Roma al presente niuna cosa voglio descriver, perchè occuparebbe molto tempo et saria cosa di far più gran volume. Ma lezendo Biondo Foroliviense, che fa di Roma una opera degna, di tutto quello fu et è in Roma si haverà cognitione. Ma el Re cavalcoe, che fina hora, ch'è zorni 13 da poi l'intrò in Roma, non era ussite di palazzo di San Marco.

In questo medemo zorno li zonse al porto di Hostia a la bocca dil Tevere vicin a Roma 22 caravelle, o vero nave, carge de vittuarie, vini, formenti et farine, venute di Provenza loco suo; per la qual venuta Franzesi fanno molto alliegri perchè pur ne era gran carestia in Roma, per la moltitudine di le sue zente. Ancora fo divulgato, o fusse o non... la verità dil numero, come li era zonto 40 milia scudi, li quali li fonno portati di Franza per terra, che fo causa di far più danarosi Franzesi et haver loro page: maxime le stranie generatione havea con lui, Elemani, Sguizari, Picardi, Scozesi, Bertoni et simel zente barbare. Etiam vi zonse uno Monsignor capetanio de 600 lanze franzese: et benchè cussì fusse scritto, tamen [185] era, iuditio meo, solum di 100 lanze, ch'è 600 cavalli, perchè uno capitano dil Re per costume antiquo non puol haver più di 100 lanze per uno, et questa è la verità habuta da homeni pratichi. Et per lettere di ambassadori di la Signoria a presso Soa Maestà se intese, come el Re havea terminato, posto che col Pontifice era adattate le cose, di non dimorar più in Roma, perchè è da creder havesse lettere continuamente da li soi Anzuini sì in Napoli quam in Reame che andar dovesse. Et cussì volea partirse a dì 20, et andar mia 15 a Marino loco di Colonnesi, et ivi si porterave poi verso Terracina; et tamen non si partì di Roma fino a dì 28 ditto, come scriverò di sotto. Et a ciò el tutto lezendo chiaramente se intenda, qui saranno notadi li capitoli firmati di l'accordo col Pontifice.

Copia de Articoli fatti per la Santità dil Papa et la Majestà dil Christianissimo Re di Franza[113].

Et havendo el Re de Franza adattate le cose col Pontifice, a dì 16 Zener, fo di venere, montò a cavallo, et benissimo in ordene con la soa guardia avanti, et assà baroni driedo, andò verso el palazzo dil Papa, che prima non era stato a farli riverentia, et andò per la via di Santo Anzolo con alcuni Cardinali. Li venne contra a la porta di la chiesia tutta la chieresia di San Piero apparata, con una ombrella damaschin bianco con uno pano d'oro in cima et una † di sora, cantando Te Deum laudamus, et cussì quello ricevete, et sotto ditta ombrella, smontato da cavallo, intrò in San Piero, dove fo cantata una solenne messa da uno Cardinal in una cappella fatta fabricar per Carlo Magno suo predecessor re di Franza di Santa Petronilla, et quivi udito molto divotamente messa con tutta la soa guardia armata, la qual cussì armati steteno in chiesia. Et poi el Re andò nel palazzo dil Papa, dove era preparato per el suo allozar, et quivi disnò, et messo ordine di essere a uno disnar insieme col Pontifice, el qual steva in Castello. Et cussì el Re andò a l'hora ordinata, per trovar el Pontifice preditto. El qual Pontifice, inteso el Re veniva, si mosse et li venne contra. Et si scontrono el Papa con el Re in uno certo andio a presso el zardin, dove el Re volse inzenochiarse facendo la riverentia debita, volendo basar li piedi. Ma el Papa non volse, et abrazato disse: ben sia venuto el [186] christianissimo Re, con molte dolce parole dimostrando gran consolatione. Et cussì veneno insieme in palazzo, in una sala che si suol far concistorio. Et era preparate do sedie coverte di veludo cremesin, una per el Papa l'altra per el Re a presso lui: et ivi si sentono con alcuni Cardinali che ivi erano venuti; et fo usato alcune parole per el Papa, et resposo benissimo per el Re, et fatto risponder a monsignor Samallo, concludendo el Re li voleva dar l'ubidientia quando a Soa Beatitudine pareva. Et ordinato fo el zorno de far concistorio publico. Et è da saper che la prima cosa domandò lì in sala el Re al Papa, che facesse Samallo cardinal, di presente; et cussì el Pontifice mandò per alcuni Cardinali, et in eodem instanti pronuntiò ditto mons. Samallo cardinal di la Romana Chiesia, licet non fusse tempo, che non si suol far Cardinali se non da le quattro tempore, tamen el Papa a requisition dil Re questo pronuntiò. El qual, essendo lì presente, si buttò in zenochioni rengratiando el Pontifice et el suo Roy di tanto beneficio, et cussì have el cappello et de cetero andò vestito da Cardinal. Et poi partiti, el Papa ritornò in Castello, et el Re rimase allozar in palazzo: tamen el Pontifice tornò in l'altra parte del ditto palazzo, et quivi etiam stette vicino al Re.

A dì 19 ditto fo fatto solenne concistorio, et el Re se inzenochiò davanti el Pontifice, et basoli li piedi come capo di la christianità, et li dette l'ubidientia, dicendo come altri Re et signori havea mandato ambassadori a Soa Beatitudine, et lui medemo in persona havea voluto venir a darli ubidientia etc., et per el presidente de Garnoboli, homo litteratissimo, fo fatta la oratione al Pontifice nomine Regis.

Ma a dì 17, che fo el sabado, la matina a bona hora, nescio qua de causa, ma se indicava per non haver habudo questo accordo in piacer, el reverendissimo cardinal Ascanio insieme con el so cardinal de Lonà tolse licentia dal Re de Franza, fenzendo el sig. Duca suo fradello era ammalato et voleva venir a Milano, et se partì de Roma et venne a Nepi dove stette 4 zorni, poi pervenne a Siena. Quello di lui seguirà per zornata lezendo sarà scritto.

Ancora el cardinal San Piero in Vincula et el cardinal Curcense, come fo divulgato, non erano contenti di tal cose; altri diceva per el re Maximiliano che al tutto voleva venir a Roma a coronarse; chi diceva perchè voleva el Papa fusse dismesso; et chi per una et chi per un'altra cosa diceva, tamen poi seguite el Re come mai.

A dì 20, fo el zorno de San Sebastian, el Papa medemo cantò [187] una solenne messa in S. Piero, con tutti li Cardinali, et ivi era el Re, tamen prima havea disnato; et havea in consuetudine disnar a bon hora. Et esso Re volle dar di l'acqua a le mano; ma el Pontifice non volse, unde monsig. di Brexe zoè Filippo, monsignor de Foes, et monsignor di Monpensier li deteno l'acqua loro a le mano al Papa: l'uno teneva el bacil, l'altro butava l'acqua, l'altro li dette da sugar le mano. Et poi, compito la messa, el Re li volse al tutto darli l'acqua a le mano con gran humiltà per soa devotione. Et poi fo data la beneditione ivi in cappella. Era la guardia dil Re arrivata, che pareva si fusse in uno campo de armati. Et fo mostrato el volto santo di Santa Veronicha, et il capo di Santo Andrea. El qual Pio pontifice have de la Morea, et andò con tanto degna reliquia con tutta la chieresia fino a Ponte Molle. Et quivi in San Piero fece edificar una degna cappella a lato a la porta, dove morendo volse esser sepolto, et ivi la puose. Or, compite le cerimonie, el Papa dette la beneditione su el pozuol di San Piero, et fo publicata la indulgentia per el Cardinal S. Severino, nomine Pontificis, latina, vulgar et in franzese. Et dapoi disnar fo ordinato concistorio, dove vi fu 18 Cardinali, et San Piero in Vincula nè el Curcense non vi volseno andar, per la qual cosa molti si meravigliò. Le zente veramente dil Re di Franza andate verso el Reame preseno alcuni castelli a patti, però che dove si aproximavano li era presentate le chiave, zoè Civita Bucato et Civita de Chieti. Ancora quelli di l'Aquila sollecitati da quel domino Palamedes nominato di sopra et da Camillo Vitello: ma ditto domino Palamedes havendo gran poter in l'Aquila, et za al tempo dil re Zuane et re Renier ivi stette; ma fino questo tempo era stato in Franza. Et venuto el Re in Italia, etiam lui vi venne, et stette a Sinegaia, et menò la pratica di l'Aquila. Et cussì in questi zorni lui con alcuni foraussiti intrò in la ditta terra, et fo creato gubernatore da Aquilani, et scaciono quelli dil re Alphonso, et mandò ambassadori a Roma dal Re, notificando quello havevano fatto, et che volevano darsi a Soa Maestà. Tamen non volevano alcun Franzese dentro, et questo faceva perchè non havevano vittuarie. Unde el Re fo contento di la eletione di quello suo sopraditto al governo, et fo fatte gran feste in Roma da Franzesi per comenzar acquistar terre in Reame voluntarie, maxime di l'Aquila, ch'è terra fortissima, et havendo voluto tenirsi, haria dato molto da far al Re, et situata in monte assà aspro dil Apruzo, dove è il corpo dil devotissimo San Bernardino di l'ordine di Santo Francesco de Observanti, che ivi morite del 1443, era di natione senese, et fa molti [188] miracoli. Or questa terra è la secunda dil Reame, la qual, come scrive Biondo foroliviense, del 1060 Ruberto Guiscardo el ducato di l'Aquila dominò, et a lui fu concesso per Nicolao secondo Pontifice, ma li animali soi de Aquilani era in la Puja, come ho scritto di sopra, et era grandissima quantità di piegore; et re Alphonso per più segurtà li fece menar in Terra di Lavoro, dove sono al presente. Oltra di questo Franzesi andati a Mola et Traetto haveno quelli lochi, et una fortezza sora el fiume Garigliano, ch'è mia 40 lontana da Napoli. Et accadete che alcune zente dil campo dil re Alphonso, zoè el conte di Petigliano et Iacomo Conte, fonno a le man con certi Franzesi in questi zorni, a uno passo chiamato Ponte di la Torre verso San Germano, et Franzesi fonno malmenati et morti, ut dicitur, più di 80. Tandem, sopravenendo assà moltitudine de Franzesi, Calavresi o vero Aragonesi fonno rebutadi, et Franzesi ottenne quel passo. Tutto el Reame era in combustione, non si obediva più comandamenti di re Alphonso, si udiva romori ne le cittade, cridando: Franza! Franza! maxime li Anzuini et cupidi di nove cose. Et el Re di Franza, essendo allozato in palazzo col Pontifice, più volte stette a consultar insieme, et una volta vi stette loro do soli hore 4, et havevano grande amicitia insieme, unde per Roma si judicava di qualche accordo havesse a seguir con el re Alphonso mediante el Pontifice, facendolo suo tributario, et ben che el Papa se affaticasse assai, tamen esso Re et quelli lo consigliava mai volse consentir alcun accordo, ymo dice al Pontifice in conclusione voleva el suo Reame, et poteva bastar ad Aragonesi haverlo goduto dal 1442 in qua indebitamente, et che poi faria un concilio zeneral de tutta la christianità, maxime de li potentati de Italia, et voleva ajuto da tutti a passar el mar a destrution de Turchi et infideli, et combatter per la fede di Christo. Et el Pontefice lo voleva incoronar imperador di Constantinopoli si 'l restava de l'impresa. Et el Re disse voleva prima ottener l'imperio, et poi haver el titolo d'imperator.

Et era disposto di partirsi a dì 22, et andar come havea deliberato a Marino per intrar in Reame, tamen molto si doleva di le nave doveva venir in la Calavria con el prencipe de Salerno con 1500 Franzesi, per comuover quelli populi; et non intendendo alcuna nuova di loro, dubitava fusse accaduto qualche male, le qual nave partì di Zenoa, come ho scritto di sopra.

Questa indusa in Roma fece el Re per caxon che da tante strade et fastidj el si haveva pur alquanto resentito, et habuto gran doglia di stomaco. Or ditto Re domandò al Pontifice volesse far a sue [189] requisitione uno altro Cardinal, zoè el suo confessor era in Franza, chiamato mons. de Unians episcopo et zerman cusino di suo barba monsig. di Brexe, fradello de monsig. Luximburg, et el Papa fo contento. Tamen volse promuover questo pronunciar in concistorio. Et a dì 21 ditto fece redur li Cardinali a concistorio, et molti Cardinali erano renitenti, dicendo poteva bastar a la maestà dil Re di haver fatto uno fuora di tempo congruo, et che voleva etiam l'altro, tamen el Pontifice disse: l'è fatto; et cussì fu eletto questo Cardinal. In questi zorni lì a Roma morite alcuni Franzesi per numero 3, dubitavano di peste, la causa perchè Franzesi non havendo paura di morbo, et ne la Franza non se schiva, volseno habitar in molte caxe a Roma che ancora non erano sta habitade da poi el morbo che fo grandissimo l'anno 1492, per el qual questo Pontifice convenne con la sua corte partirsi di la città et venir a Viterbo per alcuni mesi. Morite etiam uno de soi capitani chiamato monsig. di Salbren nepote di monsig. lo grande scudier, el qual dal Re fo molto desiderato, et pur judicaveno di peste, tamen non seguite altro.

In questo mezzo el Re scrisse a monsig. di la Mota, era in Fiorenza, che dovesse andar per suo ambassador a Milano, o vero perchè Ascanio non li era più in amicitia, o pur dubitando che 'l duca Ludovico non lo compisse di ajutar etc., et mandò in Fiorenza in loco dil ditto uno Gian Frances, general di Bertagna di natione cathelano.

Lucchesi ancora mandono do ambassadori a ditto Re a dimandar a Soa Maestà, per l'amicitia li era stà mostrato di benivolentia di Soa Maestà verso quella comunità, li volesse far rehaver la soa terra, la qual alias impegnò a Zenoesi, nunc posseduta per Fiorentini, chiamata Pietrasanta; et essendo maxime al presente in le sue mano, et di questa richiesta li ambassadori di la Signoria li detteno ajuto, tamen fonno passuti di bone parole, e ritornono indriedo.

A dì 21 ditto, Domenego Trivixan et Antonio Loredan cavalieri ambassadori veneti al Re preditto, havendo in commissione di non andar se non fino a Roma con Soa Maestà, in questo zorno andono a tuor licentia. Ai quali el Re usò humanissime parole, dicendo prima dolersi di la soa absentia, ma che laudava dovesse obedir la soa Signoria, et prometteva de ogni suo successo per Mons. di Arzenton far notificar a la prelibata Signoria, come quella che lui amava summamente, per haverla trovata ferma et constante et in grande amicitia. Et cussì partiti da Soa Maestà, ponendosi in ordine per voler repatriare, la Signoria per molti respetti preseno nel Consiglio de Pregadi che ditti oratori non si dovesse partir, ymo andar seguendo [190] Sua Maestà. Et cussì zonse el corrier a Roma a dì 22 che si volevano partir, con il mandato et voluntà dil Senato. Et questi ritornò dal Re, et notificolli quanto li era stà commesso. Di la qual cosa el Re molto aliegro dimostrò grande consolatione, et haver ubligation a questa Ill.ma Signoria, et che non faria alcuna cosa che prima non volesse comunicar con loro, et la Signoria era soa bona amiga, havendo visto a tante preghiere di re Alphonso, non si haveva voluto muover contra di lui, et che haveva atteso quanto li era stà promesso. Item come voleva partir di Roma a dì 26, et haveva mutato pensier dil camino, nè volea andar a Fondi nè a Terracina, ma in mezzo per campagna voleva andar, benchè le sue zente li advisava havevano gran carestia, et parte che andono a compagnar le artegliarie erano tornate adriedo in Roma per non trovar vittuarie da poter viver: unde parse al Re di licentiar dil suo exercito molte zente forestiere lo seguiva, et volle rimaner più presto con manco zente et soi Franzesi che aver tanta canaglia, tra i qual molti Sguizari, i quali tornavano ne li loro paesi, come etiam per lettere di Sebastian Baduario cavalier ambassador a Milano se intese, che per el Milanese ne passava assà, et ancora ne veniva di quà da monti zente nuova de Franzesi per andar a trovar el Re, intendendo il prosperar.

Et el Re stette insieme col Pontifice in castello soli in una camera, dove fece venir Gem sultan fradello dil Turco, con el qual longamente parlono di molte cose, et el Re li fece assà quesiti, el qual dovea esser menato con bona custodia nella rocca di Terracina, tamen el Re il menò con lui a Napoli. Questo Turco è huomo terribile a le guerre, crudel et molto da Turchi amato, et se Dio havesse voluto, che non volse, che da Bayseth suo fratello fu rotto, che detto Gem fusse stà Signor de Turchia et acquistato el regno paterno, al qual licet fusse menor fiol fo lassato dal padre el dominio, sine dubio tutta la christianità, ymo tutto el mondo di questo haria sentito afflitione. Ma Iddio provvedette a tutto, e fu qui posto.

A dì 24 la sera, el Re de Franza sopra nominato partì dil palazzo dil Papa, dove fino hora havia allozato, et ritornoe allozar al palazzo dil cardinal Bonivento, o vero di S. Marco. Questo fece per più sua comodità, per dover cavalcar fino do zorni et andar verso el Reame.

A dì 25, el dì de San Paulo apostolo, la mattina esso Re andò al palazzo dil Papa, et insieme col Pontifice, tutti do a uno paro, andono in compagnia de Cardinali XX, ambassadori, episcopi etc. et [191] grandissima pompa per Roma; et a la chiesia di S. Paulo dismontono da cavallo, et li fece l'oratione, et el Pontefice dette la beneditione a tutti. Da poi se partino, et essendo al ponte di Santo Anzolo, el Papa si cavò la bareta vedendo el Re con la bareta in mano, et non voleva el Papa el Re si cavasse la bareta, et che ritornasse al suo lozamento. Ma el Re al tutto volse accompagnar Soa Santità fino a le scale de S. Piero, dove poi el Re ritornò al suo palazzo di S. Marco.

Le zente veramente franzese, per num. 5000 cavalli et alcuni pedoni, in questo tempo mezzo andate in l'Apruzo, et maxime el prefetto, habuto l'Aquila, come ho ditto, etiam molte terre, però che tutte ghe portaveno le chiave a uno araldo che ivi se appresentava levando le insegne franzese. Quelli di Lanzano mandono a offrir le chiave al capitano franzese era a quella impresa, et Colonnesi che per el Re combatteveno; tamen volseno capitolar, et che li fusse concessa la fiera libera, la qual è in Italia nominatissima, et si fa dil mese di Lujo et di Settembrio, zoè do volte a l'anno, et cussì veneno sotto il dominio dil Re de Franza, perchè Franzesi prometteva assà, tamen non manteniva. Etiam poi alcuni Franzesi andono a Populi, et have la terra, la rocca tamen si tenne, et poco da poi etiam si rese. Ma, per concluder, avante el Re se partisse de Roma, quasi tutto l'Apruzo era acquistato, et la Puja tumultuava, ogni cosa era in combustione, et si augumentava molto le ditte zente, però che 5000 Franzesi, zoè di quelli dil Re, come se intese, nunc era a presso 20 milia persone, zoè paesani che vestiva a la franzese, et andava seguitando el ditto campo vittorioso che non havea contrasto.

Et el Re in questi zorni intese: le nave nominate di sopra, col prencipe di Salerno et altri baroni franzesi, erano zonte in Sardegna, isola vicina a Corsica sotto el re de Spagna, ivi per fortuna capitade, et che havevano perse vele, antenne, et rotto arbori, in summa per le gran fortune erano mal conditionate, et una nave mancava, la qual judicavano fosse perita. Et è da saper che la causa che era solamente nave et non galie, fu perchè galie sottil da questi tempi non puol navegar per star in spiaza.

Et oltra di questo el Re terminò de mandar el card. Samallo a Fiorenza...., licet suo fratello vi fusse lì governador. Altri dicevano per conzar le discordie tra Fiorentini, che erano grandissime. Et etiam con Pisani che molto li dannizavano. Ancora per domandar li ducati 40 milia restava haver, sì che di questa sua venuta era varia opinione. Et in quel zorno medemo che 'l Re partì di Roma, [192] zoè a dì 28 Zener, ditto mons. Cardinal con 100 cavalli, tolto licentia dal Papa et dal Re, insieme con uno monsig. di Albì venuto in sua compagnia, de mandato regio si partì di Roma, et arrivò a Fiorenza a dì 5 Fevrer, dove fo molto honorado. Quello di lui seguite, quello volse et operò, poi l'intenderete.

A dì 26 el Re venne a corte, et intrò in camera di parlamenti, et disse come el voleva cavalcar, et che l'era venuto a tuor Gem sultan, dove si ritrovava col Pontifice 6 cardinali: Santa Nastasia, San Dionysio, San Severin, el Grimani, l'Alexandrino et Valenza, el qual dovea andar con el Re legato; dove venne et fu menato ditto Gem sultan, et el Re li toccò la man, et el Turco li basò le spalle et cussì fece al Papa. Et el Papa disse: Domini mei, io consegno Gem sultan al Re qui presente, secondo se contien in li capitoli nostri. Et Gem pregò el Papa dicesse al Re li facesse bona compagnia, et cussì fece raccomandandolo sommamente. Et el Re li disse: non havesse paura di haver alcun danno, et che venisse pur di bona voglia sotto sua protetione. Et ditto Gem fu accompagnato a hore una e mezza di notte da quattro cavalieri di Rodi et molti arcieri al palazzo di San Marco, dove habitava el Re.

Et per Roma fo divulgato, partito el Re, el Pontifice voleva andar, per la gran carestia era, a Perosa.

Et è da saper come el Re de Franza stette 28 zorni in Roma, et le porte de Roma erano in mano de Franzesi e in custodia.

Et a dì 27, la sera, ditto Re di Franza andò dal Pontifice per tuor comiato, come la mattina si dovea partir, et habuta la beneditione, la qual tolse con gran divotion, abrazatosi tolse licentia, et fu accompagnato da dui Cardinali, S. Piero in Vincula et Valenza. Et cussì tutti li soi baroni tolse licentia dal Papa, ai qual, per carezarli, el Pontifice a chi concesse bolle gratis di absolutione od altri perdoni, a chi una cosa et a chi un'altra, per carezarli, ita che tutti fonno contentissimi, et con gran benivolentia preseno licentia da Soa Santità. Ad altri donava Agnus Dei, Paternostri ecc., per devotione. Et in questa sera el Pontifice, havendo inteso el successo seguito a Napoli di re Alphonso, el qual è qui sotto descripto, quello accadete a Napoli el tutto intenderete.

Come re Alphonso renonciò la corona a so fiol don Ferando et si partì di Napoli; et quello ivi seguite.

A Napoli per lettere di l'ambassador veneto se intese, date a [193] dì 23 Zener, et zonte alla Signoria a dì 31 ditto, in zifra, venute per la Calavria et a la marina via con gran difficultà: come a dì 21 zonse ivi la nuova di l'accordo fatto tra el Papa et el Re de Franza. Et essendo el re Alphonso molto di malavoia, non sapendo che farsi per la furia de Franzesi, non sperando più aiuto da niuno, quasi non se impazava più di niente, et tutto el governo era in le mano di suo fratello don Fedrigo, prencipe de Altemura. Et za era venuto el fiol do zorni avanti in Napoli, partito dil campo, mia 50 fè in uno dì, per la qual cosa la brigata se meravigliava. Et re Alphonso, vedendo el populo esserli contrario, deliberò partirse. Dove volesse andar, non se intendeva la verità. Et cussì a dì ditto, renonciò el Reame al fiol, et fo fatto instrumento publico, licet la madregna Raina et ditto fiol li fusse a li piedi in zenochioni, pregando Soa Majestà non volesse far questa movesta, et che, partito lui, Napoli saria perso. Et lui respondeva: che non potendo assecondar a la madre, li voleva dir come lui vedeva tutto questo infortunio et mal procedeva da li soi peccati, et che lui havea in vodo de andar frate za molti anni, et che voleva andar in Cecilia a uno monasterio de frati religiosi a Mazara, però che la Raina ditta havea ivi, in Cecilia ultra Faro, do terre, zoè Mazara et Ligusta: or che ivi quiete voleva fenir soa vita, et che el regno renontiava al fiol Duca de Calavria, el qual voleva el zorno driedo cavalcasse come Re per la terra, et che forsi harebbe miglior ventura cha lui, et che li bastava haver regnado uno anno in tanti affanni, però che el padre a dì 25 de Zener passato morite, et esso re Alphonso si fece; ergo a ponto uno anno regnò et non più. Et a hore 9 di notte vel circa, in questo medemo zorno di 21 Zener, esso re Alphonso se redusse in Castel dil Uovo, che prima era in Castel Nuovo. El qual Castel dil Uovo è situado in mar, dove al suo piacer poteva partirse. Era con lui 12 frati, 4 di Monte Oliveto, ordine così chiamato come apud nos frati di santa Lena; 4 di san Martin, zoè certosini; et 4 di san Severin, ch'è uno monasterio lì a Napoli. Et portò con sè zoie, tapezarie bellissime, et la soa libraria, ch'era di le belle cosse de Italia: li libri lui havea benissimo scritti, miniati, et ornati de ligature. Et lì a Castel dil Uovo era preparate 5 galie et una fusta et do barze, sopra le qual era messo oltra le supellectile in grandissima quantità de ogni sorte de vittuarie, vini assà de varie sorte dil Reame etc. Et si voleva partir in quella notte per andar in Cecilia, et montato in galia con alcuni che lo seguite de li soi, per el tempo contrario convenne ritornar in Castello dil Uovo, dove era castellano et custode [194] Antonel Pizolo napoletano, arlevato et fidelissimo di caxa Aragona. Or re Alphonso scrisse una lettera per tutte le soe terre, come voleva andar in peregrinazo, et che havea lassato el fiol Re, al qual pregava che l'omazo li havevano jurato a lui etiam fusse al fiol, a cui aspettava el Regno.

A dì 22 ditto, se mise molta zente in Napoli a rumor, per metter a sacco li zudei con gran tumulto, ma per el subito soprazonzer dil Duca di Calavria novo Re, si acquietò le cose; et etiam molti marani volevano metter a sacco, et fo de bisogno che el cardenal de Zenoa et Obietto dal Fiesco prothonothario, zenoesi, i quali si retrovaveno ivi, de montar a cavallo et tasentar quei populi, et cussì cessono di far altro danno per la terra. Et molti cittadini inteso dil re Alphonso la movesta, unde intesono come si voleva partir, et havea renontiato la corona al fiol, pregando quelli li volesse far bona fedeltà, et lui più prometteva de ritornar in Napoli, nè più voleva esser chiamato Re.

A dì 23, che fo di Venere, el novo re Ferando cavalcò per Napoli et per tutti i cinque Sezi, secondo el consueto, come Re, vestito d'oro, in mezo di l'arciepiscopo di Taragona era lì con la Raina nomine regis Hispaniae, et l'ambassador venitian, con cavalli 600, et nel domo, fatto le debite cerimonie, si fece Re, vivente patre, et dal populo fo dimostrato grande contento, per essere human et benigno Re. El qual, per farsi benivoli li populi, fece molte concessione et privilegii, come si suol far, per liberalità soa, quando comenzano a regnar: assolse molte terre di angarie e di tuor sal, altre fece exempte, et cavò li presoni baroni erano in Castel Nuovo, zoè el fiol dil Principe di Rossano et uno altro. Adoncha, in manco de uno anno e tre zorni, si vide in Napoli tre Re, zoè don Ferando, don Alphonso et questo Ferando presente. Et a tutti Paulo Trivisano cavalier ambassador veneto si ritrovò; et fo al quarto, che fo el Re de Franza. Or di questa mutatione di Re, et abbandonarsi cussì di Alphonso, parse a tutti cosa molto nova et inusitata, et za molti seculi non più accaduta.

A dì 28 ditto, questo re Ferando si partì di Napoli, et ritornò in campo a San Zermano, havendo scritto al so ambassador era a Venetia, et mandato la commissione fusse suo: etiam ad altri in diversi luoghi; et lassò in Napoli al governo la raina dona Zuana, et so barba don Fedrigo, et ancora el re Alphonso in Castel dil Uovo se ritrovava, et continue faceva cargar robe su le galie. Ma questo re Ferandino tolse comiato da tutti con gran pianti, dicendo andava [195] con animo deliberato de lassar fama per esser valente, tamen non fonno mai a le man Franzesi con Aragonesi, et el Re de Franza etiam in questo medemo zorno partì di Roma, come udirete.

A dì 3 Fevrer, Alphonso olim re di Napoli se partì da Castel dil Uovo, con 5 galie, una fusta, et do barze: portò seco gran quantità di roba di ogni sorta, zoie, danari etc. a la suma de ducati 300 milia, et andò a Mazara, terra di la Raina in Cicilia, benchè molti variamente di questa andata parlava. Altri che voleva andar in Spagna ad exhortar quel Re rompesse adosso el Re de Franza, et praticar nozze di la principessa che fo moglie dil fiol dil Re di Portogallo, di età de anni 25 et bellissima[114] in suo fiol Re. Altri che 'l voleva andar dal Turco diceva, et quello far passar, però che Turchi nunquam si volse fidar di passar in Italia, per non esser tajadi a pezzi. Tamen esso Re andò a Mazara, dove stete alcuni zorni facendo vita solitaria, et di lui quello seguite, lezendo più avanti intenderete el tutto. Ma ritorniamo al Re di Franza, et come si partì di Roma.

Di la partita dil Re di Franza, et come prosperò in Reame.

A dì 28 Zener, a hore 15, el Re di Franza montò a cavallo armado su uno caval morello con suo barde: havea di sopra le armadure una vesta di broccato d'oro, di sopra questa una tabarra di panno d'oro et raso cremesin a quartoni, et uno cappel bianco in capo, et monsig. di Brexe armado, con una sopravesta di panno d'oro, et altri baroni et cavalieri zerca 70, armati, con sopraveste, alcuni di panno d'oro, et mitade di veludo, et chi di raso. Era su la piazza di S. Piero homeni d'arme et arcieri 800, cavalli 600, et venne dal Papa, et smontato andò in palazzo. El Pontifice con alcuni Cardinali erano ivi redutti dove si dà la benedition, et el Re li andò con la bareta in man, dimandando li dovesse Soa Santità perdonar al cardinal Curcense, et cussì perdonò. Poi el Pontifice, Re et el cardinal Valenza, andava legato con lui, si redusseno in una camera, e lì parlò zerca mezza hora: da poi ditto Re basò el pè al Papa, et cussì fe' i soi baroni. Da poi el Papa venne fuora, dove era li Cardinali, con una bolla in mano, et disse: Sacra Maestà, questa è la bolla sottoscritta [196] da tutti i Cardinali, et cussì son contenti. La Bolla dizea che 'l Pontifice con li Cardinali asegurava el Re per tutte le terre et castelli di la Chiesia, et comanda a quello si renda etc. Et poi montò a cavallo, et cussì el cardinal Valenza, et ancora fo fatta una bolla per el Papa al cardinal S. Piero in Vincula, che 'l potesse star in Roma, ma fo fatto un po' di garbujo. Et el Re havea con lui Gem sultan, vestito a la turchesca appresso di lui, con Turchi drio, et andò per la via longa fuora di Roma per andar quella sera ad alozar mia 12 a castel Marino, loco de Colonnesi, et li ambassadori nostri lo sequiva. El zorno driedo se partì per andar seguendo Soa Maestà. Era bellissimo veder per Roma tanta magnificentia, con zerca 5000 pedoni con azzette in man, senza il resto armati. Et è da saper che el zorno avanti za erano partiti di Roma, per non dimorar drio el Re, questi Cardinali, zoè S. Piero in Vincula et Curcense, et questi la spetono a Marino, et el cardinal Colonna et Savello andono a li soi castelli. Adoncha havea cinque Cardinali con lui.

In questo medemo zorno zonseno a Roma do ambassadori dil Re et Raina di Spagna, chiamati don Antonio de Fonseca castigliano è uno de capitani dil Re, et mons. Johan de Albion aragonese castellano de Perpignano, i quali veneno per terra per la Franza, et zonti in Alexandria di la Paja andono per la Toscana a Roma, et intendendo che 'l Re de Franza, al qual erano sta mandati, era cavalcato poco avanti, li andono driedo, et cussì a cavallo, presentato le lettere di credenza, li protestò che non dovesse andar più di longo contra re Alphonso, et che haveano in commissione da loro Re et Raina di manifestarli che, non tornando et prima udendo tutta la soa ambassada, li romperiamo guerra per terra e per mar, et che a li soi danni esso Re de Spagna comenzaria andar. Et el Re de Franza rimase molto admirato, et li disse: Domini oratores, venite a Marino et a Velitri con nui, che vi darò audientia, et vi farò risposta a ogni cosa. Et come da l'ambassador di ditto Re di Spagna intesi, che era qui a Venetia, homo di grandissimo inzegno et molto mio amico[115] l'altezza dil suo Re et Raina in questi tempi havevano questi ambassadori in diverse parte: zoè era al Pontifice suo fradello don Garcilasso di la Vega cavalier castigliano, et stato za uno anno al re Maximiliano; do, come ho ditto, a questo Re de Franza; uno al Re de Portogallo; uno al re de Inghilterra; uno al re Alphonso di Napoli, el qual capitò a Venetia, come udirete di sotto, a questa Signoria, et quasi tutti per le cose presenti.

[197]

Ma el Re, cavalcato di lungo et zonto a Velitri terra di la Chiesia, dove a dì 29 ditto erano zonti li nostri ambassadori partiti di Roma, et trovono esso Re de Franza, al qual si apresentono et li fece assà bona et perfetta ciera, tamen era alquanto conturbato per quello la notte era successo ivi: zoè, che el cardinal Valenza fiol dil Pontifice, la notte, de Velitri si havea calato gioso de li muri di la terra, et con do cavalli era ivi preparati cavalcò quella, come fo divolgato, in Spoliti, terra fortissima di la Chiesia; tamen non sapevano Franzesi dove si fusse andato. La qual movesta el Re non poteva considerar dove fosse proceduta, et disse ista verba: Malvas Lombard, et lo primiero lo Santo Pare; et deliberò con el suo conseglio de non andar più oltra, et quivi riposar fino intendeva altro. Ancora in questo zorno zonse dal Re uno suo capetanio, andato con molti Franzesi verso Civitavecchia terra dil Pontifice per haverla in sua potestà juxta li capitoli, ma quello governator era lì per nome di la Chiesia non volse lassarli intrar, sì che steteno Franzesi in dubio di qualche tradimento dil Pontifice, et rimaseno molto admirati. Et questa nuova zonse a Venetia a dì 3 di Fevrer. Et non voglio restar di scriver cosa assà degna di memoria, come per una lettera venuta di Roma io vidi: che Franzesi, dubitando de vittuarie et strami per li cavalli, che erano certi non poter trovar, loro medemi messeno feni et biave sopra le groppe de soi cavalli, tanto che li potesseno pascer fino che 'l Duca de Calavria havea fatto quelle provvisione ho ditto di sopra.

Ma a Roma, partito el Re, el Pontifice continuamente faceva notte e zorno fortificar quella parte di muro di Castel Santo Anzolo che cazete, et di novo fabbricar, come per lettere di Paulo Pisani ambassador di 31 se intese. In Roma non se parlava nulla di quello havea fatto el cardinal Valenza, et era stato col Pontifice, el qual mostrava di non saper, ma che pur si divulgava la partita dil Pontifice con la corte fino 8 zorni et andar a Perosa, sì per causa di vittuarie quam per dimostrar a Romani come stariano in abondantia non vi essendo la corte. Tamen non si mosse et stette fermo in Roma.

Rimase in Roma Piero de Medici, el qual volendo seguir el Re in l'ussir di Roma, Soa Maestà li mandò a dir dovesse ivi restar fino li manderia a dir altro, et cussì restò in casa dil Cardinal suo fradello, era in quelli zorni di Bologna venuto a Roma. Et ancora don Ferrante fio dil Duca di Ferrara di suo comandamento restò. Tamen da poi, intrato el Re in Napoli, quello andò a trovar.

Et el Re preditto, volendo al tutto intender la cossa sequita per [198] el cardinal di Valenza, mandò a dì 31 Zener do soi araldi con lettere al Pontifice, a dolersi di quello havea fatto ditto Cardinal, meravigliandosi, nè poteva comprender dove procedesse, et che Soa Santità dovesse proceder et far ritornar ditto legato, et avvisarli quello havea voluto dir tal movesta, altramente che tegniva fusse rotti li capitoli, et che li saria forzo di ritornar indriedo. Ancora scrisse al cardinal di Santo Dionysio, rimaso suo commesso a Roma, come dovesse andar dal Papa et intender di questo, et che dovesse chiamar li capi dil populo romano, chiamati caporioni, et aricordarli come da lui et da li soi havevano habuto bona compagnia, pagatoli le vittuarie, et non li era sta fatto danno alcuno, et notificarli el seguito. Et andato ditto Cardinal con questi araldi dal Pontifice, exposto et presentate le lettere, el Papa si excusoe che non sapeva niuna cosa, nè dove si fusse, dimostrando di dolersi summamente, et cussì per justificarsi li mandò do legati a Velitri, zoè lo episcopo di Terni et l'auditor di Rota Porcharis, quali insieme dovesseno esser con lo episcopo di Concordia era partito di Roma cum el Re per farli compagnia; et excusar el Pontifice di questo. Et etiam el populo de Roma ne mandò do altri a notificar che erano deditissimi, zoè lo episcopo de Nepi et il prothonotario di Buffali. Ancora mandono uno per nome dil Pontifice et uno per nome dil Re sopranominato a Spoliti, dove se diceva era ditto Cardinal, acciò tornasse legato con el Re de Franza; et non lo trovono. Li fo ditto era stato et partito, dove si fusse andato non sapevano, però che con tre cavalli soli cavalcava hora in qua ora in là per non andar legato con ditto Re. Et fo divolgato la causa esser, perchè havea inteso a Roma alcuni Francesi da Spagnoli erano stati tagliati a pezzi, et dubitando el Re non facesse la vendetta sopra di lui, se ne era fuggito: et cussì questa scusa catò (trovò). Le zente di esso Re in questo mezzo intrò in Civitavecchia terra di la Chiesia, et etiam poco da poi ebbeno Terracina in loro dominio, licet da Aragonesi fusse custodito. Ma lassiamo qui el Roy, et altre cose seguite in Italia scriviamo.

Cose seguite in diverse parte de Italia in questo tempo.

À Venetia zonse in questi zorni un ambassador dil Re et Raina di Spagna, venuto prestissimo et incognito per andar a Napoli, chiamato m. Johan..., maistro rational dil regno di Valentia, homo a presso el Re de gran reputation, et havea alcuni spagnoli in soa compagnia, et quivi se accompagnò con uno ambassador fo [199] dil re Alphonso, el qual era stato a dolersi a la Duchessa sua fiola di la morte dil Duca, et el sig. Ludovico volse ditta Duchessa li desse audientia, et vette (vide) el fiol dil Duca. Or volendo ritornar a Napoli, venne qui a Venetia, nomeva ditto oratore Piero Zuane Spinelli castellano di Trane, parente di quello era qui a la Signoria. Et cussì andati questi do ambassadori a Ravenna, volendo passar mai poteno, et conveneno ritornar indriedo. Unde l'ambassador de Napoli era qui, andò a la Signoria, pregando dovesse concieder che questi montasse sopra li do arsilii andavano in Puja a tuor li cavalli dil Reame, et cussì a dì 3 Fevrer montono su ditti arsilii, et andono a loro viazo, ma accadete a ditto Maistro rational assà infortuni, che fo preso et spogliato et toltoli le mule menò con loro, però che dismontono a Ortona a mar, et fo presentato al Re de Franza come dil suo successo intenderete el tutto. Ma li arsilii con Zuan Borgi secretario andono indarno, perchè venendo li corsieri fonno presi come roba dil re Alphonso da Franzesi, et cussì ditti arsilii tragettò zudei su l'isola di Corfù, et ritornò a Venetia, et fonno mandati prima per li stratioti.

A dì 3 Fevrer l'ambassador di Napoli andò molto aliegro in collegio, notificando haver lettere di 18 Zenaro da Vurmes (Worms), ch'è a presso Cologna in Elemagna, dove se ritrovava la majestà dil re Maximiliano venuto per far la dieta, da l'ambassador dil suo Re, che li advisava come esso Re de Romani havea totalmente deliberato di ajutar casa di Aragona, et che si el Re de Franza non se levava da l'impresa, che li voleva romper a li confini de Bergogna, et che havia mandati li soi ambassadori a ditto Re. Item come voleva mandar li soi 4 ambassadori a questa Signoria, i quali di breve dovevano zonzer. Et cussì molto aliegro vene zoso di collegio. Ma queste era parole, et el Re de Franza faceva fatti in Reame. Et è da saper che ditto Re de Romani scrisse una lettera a la Signoria, che non volesse ni diliberar ni far cosa alcuna circa a le cosse di questo Re di Franza, perchè lui mandaria soi ambassadori a consultar con questa Signoria alcune cose bone per la soa Republica, et salute per la Italia.

In queste medemo zorno la sera zonse uno ambassador dil re Alphonso, zoè partito di Napoli avanti el Re havesse fatto quella movesta, et venne per mar, et montò a Ortona a mar sora una fusta, zonse a Lio dove per la Signoria li fo mandato alcuni zentilhomeni contra per honorario, et alozò a la casa dil Duca di Ferrara, dove era preparato per li ambassadori dil Duca di Milano doveano venire. Questo nomeva Hieronimo Spieraindio, dotto napolitano, et insieme [200] con Iohanne Battista Spinelli, altro ambassador stava fermo qui, andò a la Signoria et expose la soa imbassada. Et el principio fo de la ruina dil suo Re, el danno poi de questa Signoria, concludendo li dovesse aiutar, et come si divulgava offeriva largi patti et partiti a questa terra, a ciò aiutasseno el suo Re. Et poi stato alcuni zorni, a dì 16 Fevrer partì, et andò a Roma, et ritornò a Napoli a starvi come cittadino, licet vi fusse Re, et havesse el dominio el Re de Franza, et stette come gli altri.

Per lettere di Zuan Francesco Pasqualigo dottor et cavalier, vicedomino a Ferrara se intese, come a dì 2 Fevrer, fo el zorno de Santa Maria, el Duca de Ferrara con molti de soi primarii venne in persona, essendo varito dil mal, a visitar esso Vicedomino fino a caxa; cosa che nunquam ha asuetado de far. Et questo perchè el Vicedomino era ammalato et laborava di podagre. El qual Duca osò molto benigne parole in exaltatione dil Stato di la Signoria, et tolse poi licentia, et alcuni soi rimaseno con ditto Vicedomino, et li disse come el Signor voleva di brieve venir a Venetia, sì per visitar la Serenissima Signoria, quam per justificarsi come lui non era stato cagione di alcuna movesta de Franza, come era incolpato; concludendo voleva esser bon fiol di questa Signoria: tamen non venne et non seguite altro.

A Bologna, essendo terra subposta a l'imperio, in questi tempi, el magnifico Johanne Bentivoj che in quella città è cittadino primario et ordina et governa el tutto, licet bolognesi facino ducati di oro et monede, le qual al presente si spendeno per tutto, pur con voluntà di esso Re de Romani eletto Imperador, fece batter una moneda d'oro de valuta de do ducati; da una banda una testa di ditto magnifico Johanne, con lettere a torno che dice: Johannes Bentivolus bononiensis secundus; et da l'altra banda una arma inquartada, zoè l'aquila ch'è l'arma de l'imperio, et la siega ch'è l'arma de Bentivoj, con una aquila di sopra el scudo con lettere a torno: Maximiliani Imperatoris munus. Et questo per esser cosa notabile ho voluto scriver. Ho visto ditti ducati et continue si stampa.

A Milano el duca Ludovico descoverse che madona Bona duchessa vecchia et madona Ixabella duchessa zovene scrivevano lettere a Maximiliano, dolendosi che ditto sig. Ludovico si havea fatto Duca et privato le ditte di ogni dominio, et che dovesse venir ad aiutarle, et maxime el suo sangue et el fiol fo dil Duca, el qual era privato di quella dignità che ogni ragion volea havesse. Ma, capitate ditte lettere in mano dil Duca, ordinò ditte done stesseno in più [201] destreta nel castello, non le lassando parlar più ad alcuno; le qual però etiam prima molto obscuratamente con panni lugubri vestite, senza alcuna politezza, et la moglie manzava in terra, et mostravano gran dolor, et come niun andava ivi a pianzer el Duca, diceva madona Isabella: non pianzete lui ch'è in vita eterna, perchè vedendo esser privo dil ducato facea vita di santo, ma pianzete la sorte di me meschina et di mio fiolo. Et questa alcuni mexi dapoi fece una puta[116].

A Fiorenza mandono a Milano do ambassadori pregando el duca volesse scriver al Re de Franza in suo favore, li volesse far restituir Pisa, però che li do ambassadori loro, erano a presso Soa Majestà, non haveano potuto ottenir cosa alcuna. Unde deliberorono di far exercito di zente. Haviano Francesco Secco et Hannibal Bentivoj et el conte Ranuzo di Marzano a loro soldo, licet a compiacentia dil Re ditte zente cazasse. Et elexeno do commissarii in campo contra Pisani, zoè Nicolò Valori et Piero Caponi, et preseno alcuni castelli de Pisani: mancava Librafratta, Vico Pisano et Pisa. Poi quello seguirà scriverò de sotto, a ciò se intendi ogni cosa.

Senesi in questo tempo mezzo deliberorono di volersi pacificar fra loro, et cussì a la fin dil mese di Zener pacifice chiamono dentro le do parte de citadini fora ussiti, chiamati populo et reformatori; i quali del 1487, el zorno di Santa Maria Maddalena di Luio, per dissensione fonno scacciati di la città, et questi habitavano su quel de Fiorenza. Et come ho scritto, ne l'intrar dil Re li volseno far intrar, ma la Signoria di Siena allora non volseno, et a hora par habbi consentito. La qual Signoria sono 8, et uno capitano di populo, et stanno do mexi in palazzo con gran magnificentia, sì come a Fiorenza; poi succiedono de li altri. Le parte in Siena sono cinque: nove, populo, nobeli, reformatori et dodeci. Quelli al presente rezevano sono li nove, ma hora, intrati li foraussiti, pacifice tutti saranno daccordo, et goderanno le dignità loro: la qual cosa durò fin vi venne el Re.

Maximiliano re de Romani, domente queste cose in Italia se fanno, essendo zonto a Vormes, dove continuamente baroni, ma per non esser reduto tutta la quantità, di 2 Fevrer che era ordinato, la slongò fino al duodecimo zorno di Marzo, ch'è el zorno de san Gregorio, di far la dieta: al tutto voleva venir in Italia per andar a Roma a coronarse, et mandò ambassadori a Sguizari, i quali si governa [202] a comunità, a dimandarli passo, perchè conveniva passar per le soe terre, volendo andar a Milano. I qual Sguizari risposeno esser contenti, dummodo volesse menar con Soa Majestà a suo soldo X milia Sguizari. Ma ditto re Maximiliano fo contento di tuor 3 in 4 milia, et non tanta quantità. Et cussì stevano in queste pratiche. Et per lettere di Hieronimo Gritti podestà a Roverè di Trento se intese, come erano zonti do ambassadori di ditto Re a Trento, ch'è mia... lontano di Roverè, sotto uno episcopo, et vi è el corpo dil beato Simoneto[117], che fu da Zudei nel 1475 morto et marturizato et fa molti miracoli. I quali do ambassadori, venivano a la Signoria et che aspettavano el quarto a zonzer, però che etiam el Vescovo de Trento con loro era deputato. Quando zonzeranno intenderete lo nome et quello volseno.

Del mese di Zener in Spagna, in una città chiamata Guadalagiara in Castiglia vecchia morite el Cardinal di Spagna, chiamato Pietro di Mendoza tituli sanctae † in Jerusalem, prete cardinal et arciepiscopo di Toledo, el qual era stato za 6 mexi amalato. Era di età de anni 75 et ricchissimo. Havea de intrada de beneficii ducati 80 milia, stava in Spagna seguitando la corte, et sempre era a presso di la Raina et molto amato. Lassò tre fioli, tra li qual uno chiamato Rodorico de Mendoza marchexe dal Zenete, ha de intrada ducati 30 milia; et do altri etiam con bona intrada[118]. Or, morto che 'l fu, el Re scrisse al Pontifice pregando Soa Santità non volesse dar via li soi beneficii ac arcivescovadi, ma che dovesse aspettar che lui concederia ad alcuni de soi yspani degne persone, i quali poi Soa Beatitudine li confermeria; et el Pontifice rescrisse esser contento. Da poi el Re et Raina conferite l'arcivescovado di Toledo a uno frate di l'ordine di San Francesco, confessor di loro Majestà, chiamato fra Francesco Semenes, ha de intrada ducati 45 milia, et lui lo recusò, pur a compiacenza dil Re accettò. Item al Cardinal de Cartagenia dette de beneficii ducati 10 milia, et il titolo di santa †. A Don Joan de Fonseca dette lo episcopato de..........., dà de intrada ducati 3000; et una badia de Vagliadolide, de ducati 4000, a uno altro so servitor. Et cussì rescrisseno al Pontifice haver conferito [203] detti beneficii. Et subito el Papa confirmò, et habute le bolle introno in possesso.

Et l'armada di ditto Re di Spagna ussite in mar. Era tra nave et caravelle numero 35. Capetanio el conte de Trivento. Et erano partiti d'Alecante, porto a presso Valenza, et veniva a la volta di Cicilia, poi passar a Gaeta, bisognando in aiuto dil Pontifice, tamen fo poi in favore di re Ferando de Napoli. Et se divulgava era sopra ditte nave alcuni combattenti gianiceri, capetanio dil qual terestre exercito era il duca di Alve, german e cusin dil Re, con lanze 600, et che demum se intese dovea ussir il resto di le caravelle, capetanio di le qual dovea venir el conte de Moniche admirante de Castiglia, etiam german dil preditto Re di Spagna, et el duca di Alve nominato di sopra. Tamen poi, intesa la verità, ditti do capetanii non se partino di Spagna, ma solum venne el conte de Trivento. Et di questa armata, etiam per lettere di Francesco Bragadino capetanio di le galie deputate al viazo di Barbaria, se intese, date in Almeria, terra di la Granata, de dì 27 Dezembrio, come alcune barze de ditte armade li erano venute a torno, non per far danno a robe de Venetiani ma ben a robe de Mori, perchè sopra ditte galie ne era assà. El capetanio se tirò in porto più a presso la terra che 'l potè, et quelli di la terra li dette favore, che ditte barze o vero caravelle andono via, et da loro intese certo che ditta armada sudava in Cecilia oltra Faro, ch'è dil Re di Spagna, dubitando di fatti loro per le combustione era in Reame, et perchè, benchè sia ysola, è solum al Faro de Messina, dove scrive le fabule et poeti esser Sylla e Carybdi, solum mia 3 da passar il mar da questa Cicilia andar in ditta ysola. Però el Re mandò ditte armade per custodia di la soa ysola, a compiacentia de Ciciliani. Quello seguirà intenderete.

Per lettere di Capetanio zeneral da mar se intese, etiam per lettere de Constantinopoli in un scuro sermone, come el signor Turco faceva grandissima armada, et voleva haver in mar questo anno vele 150, et che era tornato el so ambassador stato dal re Alphonso. Unde Venetiani sospese il mandar a tuor de li stratioti con li arsilii, per non desfornir li lochi marittimi; per i qual, a farli, era sta mandà al zeneral ducati 40 milia, sì per far ditti stratioti, quam per scriver zurme per le galie sotil si armava in l'ysola de Candia, Corfù et altrove; sì come fo preso in Pregadi: et bona parte di ditti stratioti erano sta scritti, tamen per collegio nostri facevano li patroni per li XV arsilii, zoè boni marinari, experimentadi in diversi viazi. Et li arsilii se conzava in l'arsenal, a ciò al bisogno fusseno apparati.

[204]

Per ben ch'al proposito non sia di questa venuta dil Re di Franza, di dover scriver quello accade in altre parti dil mondo, per esser cosa notoria ho terminato farne mentione. Per lettere di Zuan Valaresso, consolo a Damasco, di 8 Novembrio se intese, come nel ritornar di la caravana de Mori, che 'l Soldan vi manda uno capetanio con alcuni mercandanti con camelli assà, et si parte di Damasco ogni anno per andar a la Mecha, dove se dise è l'archa di Maometto suo gran Propheta et institutor di la loro fede. La qual alias steva in aiere, però che era a torno calamita, et quella era di ferro, sì che conveniva per forza, ogni parte di la calamita tirando el ferro a sè, star nel mezzo, però dicevano steva in aiere. Ma, volente Deo, del 148... quella cazete et ruinoe, et, come Mori dicono, la sua fede die durar poco et haver molte persecutione, et però stanno in gran paura. Or questi Mori vanno insieme zerca 30 milia, ch'è bellissima cosa a veder, et contratano con mercadanti indiani le loro merze, a barato de specie, pepe, garofoli, zenzeri, cannella, nose etc. Et poi Mori quelle portano a Damasco et in Alexandria et altre terre, dove si fanno mercadantie con christiani et quelle vendono o baratano, et perchè za do anni el Soldan non havea pagato il suo caffaro o vero regalia ad Arabi, che sono zente terribilissima, stanno a la campagna, assaissimi anco fanno tra loro un capo; questi, ben siano sotto el Soldan, tamen hanno el loro capo da per sè, perchè sono zente che non se puol domar; et el Soldan sta ben con loro per molti respeti; viveno de rapina. Or questi Arabi in questo tempo prese la ditta caravana dil Soldan, la qual poteva valer da ducati 800 milia in suso, di specie, zoje et altro. Et retenne el capitano con li mercadanti, ben che Mori se volesseno difender, et fonno a le mani. Tamen Arabi haveno la vittoria, la qual cosa fu molto molesta al Soldan, pur sperava de conzar la mastella, et li voleva donar ducati 50 milia de contanti, et loro ne volevano più, tamen poi conzò et li dette ducati assà, et haveno la caravana, el capitano et homeni indrio, et questa cosa cussì notabele et za molti anni non accaduta ho voluto qui scriver.

Successo dil Re di Franza fino a l'intrar in Napoli.

Ritorniamo al Re di Franza, el qual era a Velitri, et data l'ultima audientia a li oratori di Spagna, et a Val di Montona li expedite, i quali exposeno tre cose. La prima, si dolevano che l'ambassador dil suo Re et Raina, che era venuto da Soa Majestà a Lion, et [205] quello seguito fino a Piasenza, in cinque mexi non havia habuto bona audientia nè quella extimatione si conveniva a l'altezza di cui rappresentava: imo fo rimandato via, et si meravigliavano molto, et, nomine Regum Hyspaniae, volevano saper la cagione. Secundo, che ben che esso Re di Franza habbi dimandato aiuto bisognando al suo Re et Raina, et benchè habino insieme bona paxe, amigo de li amigi et nemigo de li nemigi, pur che Soa Maestà havia tolto questa impresa senza consigliarsi con li suoi Re, et che volendo aiuto bisognava havesse consultato di questa guerra, era iusta vel non La terza, che 'l serave buono di qualche accordo, et che loro volevano pacificar le cosse con el Re di Napoli. Ma el Re de Franza rispose, quanto a la prima richiesta di l'ambassador, che non sapeva di chi lui si havesse potuto lamentar, et che si havesse dimandato audientia lui ge l'haveria data volentiera, ma che non l'avendo dimandata, nè etiam accordandola el Re, loro non si poteva doler: et che potevano saper che li soi ambassadori sempre ne la Franza erano stati honoradi. Al secundo de l'impresa, che non bisognava consulto a voler recuperar el suo, et che 'l Reame di Napoli li partegniva, però era impresa justissima et compresa ne li capitoli. Al terzo, che non bisognava far altro accordo, ma che Alphonso si dovesse contentar di renderli a lui el Regno possesso indebite, et venir con lui in Franza, dove Soa Maestà li prometteva provvisione et stato condecente. Et poi ditti oratori andati seguendo el Re a Val Montona, tolseno licentia, et concluseno con el Re, zoè che li disseno dovesse desister de voler haver el Reame di Napoli, et che se a niuno die aspettar ditto regno, la Maestà dil suo Re è il primo, perchè suo barba re don Alphonso quello acquistò per forza, et zerca questo usono assà alte parole; unde el Roy si dolse, dicendo non era honesto che adesso che l'era venuto con tanta spesa cussì avanti, et che poteva dir haverlo acquistato, ditti ambassadori volesse el no seguitasse l'impresa, et che lui el voleva haver una volta, et poi faria decider de chi quello dovesse esser de jure et cussì post multa rimaseno d'accordo. Et dimandato al Re chi doveria cognoscer poi de jure, et dar questa sententia, li ambassadori aricordano el Pontifice come capo di la Christianità, ma el Re non il volse, dicendo haverlo sospetto, sì per esser di nation subposta a loro Re, quam per esserli stato contrario; et rimaseno che el Parlamento de Paris fusse quello havesse a decider questo. Et cussì ditti oratori ritornarono a Roma, et advisato in Spagna el tutto, li comesse dovesseno al Re Maximiliano, et cussì andono come scriverò di sotto.

[206]

Ancora zonse do ambassadori a Velitri a ditto Re di Franza, venuti per nome dil re Maximiliano di Romani, i quali fonno quelli stati a Milano et Fiorenza et Roma, non avendo lì audientia per le cosse accadeva, ma fo divulgato erano venuti per notificar al Pontifice prima la venuta a incoronarsi dil suo Re, et per confirmar la paxe et accordo col Re di Franza. Et a Val Montona ebbeno audientia, i quali dimandono salvo conduto, raccomandandoli li confini di la Franza, dinotando havia aconzo le cose di Bergogna, et che al tutto voleva venir a Roma questo anno a tuor la corona de l'imperio, e far una cruciata, et passar contra infedeli. Et cussì otteneno da esso Re di Franza lettere, et quello volseno, et che voleva far la dieta, la qual havia prolongata, et che za erano zonti alcuni elettori de l'imperio, signori et episcopi, et che concluderia di far la ditta cruciata. E andono insieme col Re fino a Varoli, dove tolseno licentia per ritornar a Roma. Ai qual el Roy disse: fate che la Majestà di Maximiliano vegni presto a incoronarse, perchè al tutto voglio ritrovarmi a Roma per honorarlo. Et cussì questi ritornono a Roma, come più avanti intenderete.

Quelli di l'Aquila havendosi dato, come ho scritto di sopra, voluntarie sotto el dominio dil Re di Franza, con conditione che non intrasse niun Franzese dentro, onde alcuni Franzesi assà insolenti volendo intrarvi, fonno da Aquilani assaltati, et ne fo morti zerca 80, portandosi bestialmente, tamen pur havevano le insegne dil Roy. Napolitani vedendo che el populo havea fatto quelle moveste, a dì 26 et 27 Zener, contra zudei et marani, et che Ferando al meglio havea potuto tasentò quel populo, et a caso ivi era gionto do navilii di zudei...., più el populo se inanimò, et parte fonno malmenati, et disseno al Re non volevano nè marani nè zudei più in Napoli. Et el Re ordinò dovesseno partirsi, et cussì nolizono navilii chi per Barbaria, chi per Alexandria, et chi per Constantinopoli. Li marani ricchi steveno in caxa. Or fu fatto uno editto che tutti li pegni che zudei si ritrovava in le man, et quelli tenivano banco, et cadauno dovesseno per obviar li scandoli render de chi erano, tamen che li facesse uno scritto di pagarli lo cavedal et usura infra tanto termine, et non solamente in Napoli ma per tutto el Reame et in la Puia, dove in varii luogi contra zudei era fatto gran destrusione. Et ben che fusse fatto questa provisione, per questo non restò che non fusse sachizati.

A Roma in questo mezzo, con voler dil Re di Franza et con patente de investisone di l'Anguilara, intrò el sig. Carlo Orsini con [207] 400 persone in Roma, et andò a la caxa di uno D. Bartholamio che fo nepote di Sixto Pontifice, el qual da esso Sixto fo investito di la ditta Anguilara, la qual era del sig. Deiphebbo, che fo a tempo di la guerra di Ferrara soldato de Venetiani, et essendo huomo veterano, a tempo de Innocentio, morite del 148.... lì in quelle parte, et lassò alcuni fioli, i quali ancora è al stipendio veneto. Or ditto sig. Carlo prese i fioli del sopranominato Bartholamio, et messe la sua caxa a sacco, et li fece molti danni per rehaver li soi castelli.

Ma essendo el Re a Velitri, Franzesi andono per quelli castelli di Conti et dil sig. Gaietano, et molti ne prese facendo gran danno. Et andono a uno castello chiamato Monte Fortin dil conte di Fondi, et li deteno la battaglia a la terra, et quello prese per forza, dove usoe grandissima crudeltà, amazzando quanti scontravano: tamen la rocca si tenne. Et Franzesi piantò le bombarde, zoè le soe artiglierie su carri, et li custodi pavidi si deteno a pati, salvo l'haver et le persone: ne la qual rocca era do fioli dil sig. Jacomo Conte romano, era al soldo dil Re di Napoli, et questo castello era suo, et questi fonno da Franzesi ritenuti fino havesse do altri castelli dil padre mancava ad haver, et poi li deteno taglia ducati 2000, dicendo se intendeva donarli la vita et non la persona. Non voglio qui descriver le spurcizie usano Franzesi, le violentie di donne etc., come tutto di sotto, in loco più necessario, per mi sarà scritto.

Et poi el Re si partì da Velitri, et andò a Val Montona dove expedite li oratori di Spagna et venne quelli dil re Maximiliano, come ho scritto più difuso avanti, et ancora zonse el conte de Chaiazo, zoè sig. Zuan Francesco di San Severino per el duca de Milano con cavalli 300 et alcuni balestrieri a cavalo, et zonse a dì 8 Fevrer. Et el Re partite per Castel Fiorentino, et ordinò a tutte le soe zente, sì quelle era in l'Apruzo, quam di qua, che si dovesseno assonar a uno nel ducato di Sora, perchè voleva andar a San Zermano, perchè intendeva la zente aragonese, et el re Ferdinando zonto che fu in campo, si eran levate et lassato quel passo, come era la verità, et erano tirate verso Capua, dove voleva ivi far difesa, et Franzesi havea acquistato quasi tutto l'Apruzo, maxime Sermona, ch'è una terra grossa, et senza troppo fatica, però che dove si presentavano pur li Franzesi, li mandavano le chiave, levando le insegne di Franza. In la Puja era gran combustione: el vicerè Camillo Pandon era in Otranto, et etiam Don Cesare fo fiol di re Ferdinando vechio. Et Monopoli, che è una città grossa a la marina, tumultuando fra loro di quello havesseno a far, a dì 23 Fevrer pur messeno a [208] sacco li zudei, et a dì 26 ditto essendo stato quelli tre zorni la terra in remor, pur el Zuoba di Carlevar, che fo el zorno nominato di sopra, li cittadini cum voluntà del Vescovo, el qual havia ricevuto assà beneficii da caxa di Aragona, et fo el primo loro ribello, levono le insegne dil Re di Franza, et non sapendo pur far l'arma regia di zii (gigli) con la corona, levono una crose bianca in campo rosso, et strazò la bandiera di Aragona, et el capetanio mandò fuora, era ivi per el re Alphonso. Adoncha Monopoli fo la prima terra di la Puia levasse et si desse a Franzesi, et mandò ambassadori dal Re a tuor certe confirmation de capitoli. Se ritrovava qui do merchadanti venetiani, Antonio da Pesaro di Lunardo olim fiul, et uno Francesco Tanto, popular, el qual poi fo morto, quando la Signoria ottene ditto luogo, come dirò di sotto.

In questo mezzo el Re mandò a Roma uno so ambassador, zoè el primo baron che havesse a presso di lui, el qual fo suo barba Filippo monsignor, zoè monsignor di Brexe di caxa di Savoia et governador dil Dolfinà, come di lui qualcosa ho scritto di sopra. Et zonto a Roma, a dì 5 Fevrer, habuto audientia dal Pontifice, dimandò, in loco dil Cardinal Valenza era partito et non se ritrovava, uno altro cardinal per legato con Soa Maestà. Et el Papa dicendo: chi volete? dimandò el cardinal Orsini. El qual excusandosi di non poter andar, el Papa disse: ma che? volendo el Re di le mie cosse, manderò la più cara cossa che habia di parenti mei, ch'è mio nepote qui, episcopo di Borges, et lo faremo Cardinal, posto che la Maestà dil Re ha voglia di haver un Cardinal con lui. Et Filippo monsignor partì dicendo scriverà al Re di questa risposta. Et el Re li rescrisse dovesse dir al Papa non voleva Borges, ma al tutto o el Cardinal Orsini o Monreal.

A dì 5 Fevrer el Re con el so campo se partì da Val Montons, castello dil sig. Jacomo Conte, et zonse a dì 6 a Castel Fiorentino terra dil Pontifice, et mandò le soe zente ad haver alcuni castelli ivi vicini dil Conte di Fondi et altri signorotti, feudatarii però a la Romana Chiesia, et avanti fusse hore 22 quelli haveno, et alcuni brusoe usando gran crudeltà che era una compassione, et come vidi una lettera de li oratori nostri, che stevano sopra le mure de Castel Fiorentino, et vedevano li fuogi facevano queste stranie generatione Franzesi, Sguizari, Guasconi, Picardi, Scocesi et Alemanni; et preseno Supino castello di Jacomo Conte, Cicano castello dil Conte di Fondi, et Possa pur castello di ditti conti.

Et el Re terminò non far più la via di sopra, ma andar a la [209] dreta a San Zermano, perchè quel passo era sta abbandonato, come ho ditto di sopra. Et mandò certi villani dil paese per guastatori a far le strade a le carrette de le artiglierie, le qual erano preparate n.º 120, menate da 20 cavalli per una. Et era assà charestia in campo suo, unde li oratori veneti, vedendo haver troppo brigata con loro, mandò indrieto a Venetia bona parte, et rimase con pochi, zerca persone 10, però che si partino con 40 cavalli, si che è da considerar li desasii dovevano patir, sì nel viver come nel alozar. El cardinal S. Piero in Vincula partite dal Re, et venne a Grota Ferata vicino a Hostia, et mia 12 lontan di Roma, per venir a Zenoa. Quello di lui seguite, intenderete.

El Re, partito da Castel Fiorentino, vene a Varoli città del Papa dove dete licentia a li oratori dil Re de Romani, et mandò a dir a quelli custodi di uno castello sopra uno monte situato, chiamato Monte S. Joanni, el qual era dil Marchexe di Pescara, per do soi trombetti, che si dovesseno render et levar le insegne, sì come erano assueto dimandar. Et quelli erano dentro, senza far altra risposta a questi, fece impicarli, taiar il naso et le orecchie, che è cosa che numquam a messi si assueta di far, et li rimandono indriedo. Et inteso el Roy questo, vi andò a campo a dì 9, et fe' tre parte dil suo exercito, et li dete la battaglia, et loro se difeseno virilmente, ma tutta la notte feze bombardar con tanta furia, et el Re confortava tutti. Or a pena fo una particella di muraglie a terra, che da tre bande li deteno la battaglia, per esser inanimati di la discortesia usata, et Franzesi introno dentro et fece una gran taiata, non sparagnando la morte a niuno, se non a putini et poche donne; imo tutti quelli trovò li tagliava a pezzi, con grandissimo sangue, et fino nelle chiesie ne amazava; et come per lettere di oratori se intese, fonno qui amazati 700 et de Franzesi solum X et feriti 25.

Questa tal crudeltà el Re fo contento fusse usato, sì per la cossa fatta, quam a ciò sia exempio altri castelli e lochi dil Reame non si vogli difender, imo portarli le chiave. Et habuto ditto castello fece consiglio, qual via dovesse tenir. Altri lo consigliava per causa de vittuarie, che era grandissima inopia, che Soa Majestà andasse in la Puia, dove ivi troveria grande obedientia, et che, dove che 'l si apresenteria, li sarebbe portate le chiave, perchè Puiesi non sono atti a combatter, et è assà anni non hanno hauto guerra, benchè fusse longa via ad andarvi. Altri erano di opinione di seguir verso Pontecorbo, et acquistar el passo di San Zermano, et poter passar al suo piacer el fiume Garigliano, ivi medio: poi seguiriano [210] el camin verso Napoli, non lassando però Gaeta, ch'è terra fortissima, et Capua, situada sopra el fiume Vulturno, dov'è el re Ferando col suo exercito. Et cussì steteno in queste consultatione, tamen elexeno di andar a San Zermano.

Et è da saper che el Re poi andò in persona, partito da Varoli, a questo castello Monte Santo Joanni, a dì 11 Fevrer, sì per veder la fortezza, quam per poter mandar le sue zente più avanti mia 5 lontan di Varoli, et ancora li corpi non erano sta sepulti per la grande taiata, però che tutti quasi erano morti su la piaza, perchè quando Franzesi deteno la battaglia, vedendo li habitanti non poter resister, corseno su la piaza et si butò in zenochioni con li brazi in † dimandando a Franzesi misericordia, ma poco li valse, che tutti fonno ivi amazati. Et qui feceno butini per ducati 25 milia, di panni, di tele, rami et lavori de rami, et qui si soleva far una fiera assà nominatissima in quelle parti. Ancora trovono assà biave et vini, ita che Franzesi comenzono a restaurarsi di li desasii portati. Et però deliberorono di venir di longo a la volta di San Zerman.

Ancora a Hostia e Civitavecchia zonse alcune galeaze di Franza, carge di vittuarie, et za era di queste a dì 12 zonte in campo 260 some di farina, et le zente parte erano andate verso Pontecorbo, loco pure di la Chiesia sora el fiume Garigliano, et el Re a dì ditto andò a Bauco, poi volse andar passando una acqua chiamata Cosa, tamen pur ancora qui tra el suo conseglio era varia opinione. Altri voleva andar di longo a Capua, dove se intendeva esser el Re Ferando di Aragona con 40 squadre et 5000 fanti; altri lo consegliava andasse Aversa, di là del fiume Vulturno, ch'è in mezo Capua et Napoli, et, questa ottenuta, presentarsi a Napoli dove con desiderio era aspettato. La qual via molto piacque al Re più di le altre; pur steteno in consultatione, nè sapeva deliberar qual via havesse a pigliar, et voleva mandar zente a San Zermano, per esser passo assà necessario. Et le antiguarde del campo franzese in questi zorni fonno a le man con 7 squadre aragonese, le qual, visto non poter resister a Franzesi, si tirono a drieto, et vi sopravenne el conte Nicola da Petigliano con X squadre, el qual etiam, augumentando Franzesi, si convenne recular in loco securo. Et come se intexe, l'exercito franzese era questo: cavalli 12 milia bonissimi con combattenti suso, 6000 pedoni zoè sguizari et altri, et 8 milia cavalli di arteglierie, some, femene et altre persone inutile. Di le femene num. zerca 800, fra le qual 500 meretrixe. Zente italiane: 600 homeni d'arme con li Savelli et Colonnesi et 1500 fanti di l'Apruzo aspettavano [211] el prefetto di Roma nuovamente conduto col Re con 200 homeni d'arme.

In questi zorni el Re mandò zente a Teracina loco di Chiesia, et quella have come ho ditto; dove doveva metter Gem sultan, ma lo 'l volse a presso di lui, et cussì era custodito in campo. La città de Populi, fatto li patti, si rese, et Civita di..., et oltra di questo Sermoneta dil sig. Cola Gaietano, ch'è castello in monte lontano da Velitri mia 13.

El Re preditto mandò a Venetia uno suo messo, el qual a dì 10 Fevrer con monsignor di Arzenton suo ambassador andò in Collegio, et dimandò passo a Ravena et in altri luogi di Romagna; ancora navilii per condur alcune bombarde grosse n.º 22, era a Castelcaro qui in Romagna, dil suo Re fino in Reame. Et disputato nel Senato inter patres quello si havesse a risponder, fo decretato et risposto per el Prencipe di darli passo, per non haver con Soa Majestà se non bona pace, et che mancasse di navilii a tuorli, che per tutto sariano lassate cargar ditte artigliarie offerendosi etc. Et el messo preditto, satisfatto di tal risposta, ritornò dal Roy.

Ancora mandò uno altro messo a Milano con lettere al Duca, licet vi fu etiam el suo ambassador, pregando che dovesse mandar suo zenero sig. Galeazo di S. Severino più presto poteva, perchè haveva da consultar certe cose con lui. Et come per lettere di Sebastian Badoer orator veneto a Milano se intese, el Duca li rispose, havendo ancora richiesto che lui in persona vi andasse a trovarlo ad ogni modo; come esso Duca non poteva andar lì, ma che manderà el sig. Galeazo, posto che a Soa Majestà li piaceva di haverlo a presso. Et li ambassadori soi deputati a la Signoria non veneno, sì come havia scritto di venir; et questo perchè el Vescovo de Como, che era uno di quelli, havia habuto alquanto di egritudine; tamen a dì 23 Fevrer partino da Milan per Po et andono a Ferrara, demum a Venetia, come dirò di sotto. Ma el Re de Franza, oltra di questo, mandò a dir al ditto Duca de Milan dovesse ordinar al suo comessario a Zenoa fusse messo in ordine certe galie ivi era, perchè quelle voleva armar.

El cardinal Samallo, gionto che fo a Fiorenza a dì 3 Fevrer et honorifice ricevuto, dimandò a quelli Signori ducati 70 milia che restava haver el Roy da loro, juxta la forma di capitoli, per ben che de tutti non fusse il tempo ancora, ma li pregava volesseno concieder questo al Roy, di darli al presente, havendo grande bisogno per questa grande impresa.

[212]

Ma Fiorentini, consultato le cosse, risposeno: meravigliarsi di tal dimanda, attento prima che non era ancora el tempo, et che el terzo capitolo vuol che li sia reso Pisa, et che non solum sperano che li sia renduta, ma che stanno et sono preservati in libertà, cosa contraria di quello el Re havea promesso a Fiorentini. Unde volevano li fusse restituito prima Pisa, poi darebono la summa si hanno ubligati di dare. A la qual richiesta, monsignor Samallo rispose, che non era tempo di dimandar restitutione alcuna di lochi ch'è in poter dil Re, durante maxime questa impresa, et se non li havesse li vorebbe haver, et che provedesseno che bisognava haver li danari. Ma Fiorentini steteno pur renitenti. Et el Cardinal preditto sì mandò uno suo fio, però che ne ha tre legittimi, a Pisa per veder di aconziar le cosse, le qual era molto difficile; poi ditto cardinal in persona vi andò, se divulgava verebbe a Lucca, passava in Parmesana, et veniva a Milan a dimandar danari, poi passava a Zenoa a poner in ordene una gran armata, la qual a tempo nuovo dovesse ussir in soccorso dil Re. Quello lui seguite scriverò.

In questo tempo Don Alphonso da la cha di Este, fiul primario dil Duca di Ferrara, havendo compagnato un pezo el Re de Franza, ritornò a Ferrara, et si accordò al soldo di suo cugnado Duca de Milano, et have questo, zoè di provisione ducati XV milia a l'anno, et 150 homeni d'arme di conduta.

A Roma el Pontefice cassò tutte le sue zente, vedendo non bisognar più, et etiam quelle tenendo non poteva resister contra tanta potentia de Franzesi, et rimase solum con la soa guardia et alcuni altri, ai qual dette provisione. Et el cardinal Valenza suo fiol, che era fuzito dal Re, in questo tempo andava hora in qua et hora in là, pur ritornando in la rocca de Spoliti, et fo divulgato esser venuto a Pesaro da suo cugnato sig. Zuanne, per visitar sua sorella madona Lucretia, et vene incognito. El qual sig. di Pesaro praticava di assoldarsi con la Signoria et haver la conduta.

El cardinal Ascanio, stato a Siena et per quelli castelli, ritornò a Nepi sua terra, et il Papa più volte li scrisse et mandò a richieder volesse ritornar a Roma, promettendoli di esser in amicitia come mai, et non li saria fatto alcun dispiacer, et per una cautione li voleva dar la rocca de Viterbo in suo potere. Ma esso Ascanio non volse andar, et el Pontifice scrisse a Venitiani un Breve, fusseno mediatori a far che ditto Vicecancellario ritornasse a Roma; et cussì ancora el Duca de Milano scrivea a la Signoria preditta dovesse esser causa di pacificar suo fratello con la Santità dil nostro Signor, et [213] poco da poi si pacificò, et per lettere di Roma se intese come l'armada di le 46 caravelle di Spagna erano passate da Hostia et andava verso Gaeta, tamen andono in Cicilia et ivi si puose.

In questo tempo a Liesena, ch'è una isola di Dalmatia, per lettere di Alexandro Barbo conte se intese come erano capitati alcuni navilii de marani et zudei et altri puiesi, i quali venivano di Puia per alozar in ditta isola, che erano forsi fameie 43, con haver assà di panni et altre supelectile; et però ditto Conte domandava licentia, si a la Signoria li piaceva fusseno lassati habitar, et per el Senato fu decreto che ditti potesseno starvi, et li fusse dato recapito, a ciò fusse fatto boni li luogi di San Marco, licet in Liesena non vi era prima zudei, tamen che non imprestasseno a usura. Et cussì fu rescritto al ditto Conte.

In l'isola de Inghilterra accadete certe novità, però che quelli populi cupidi et assueti a nuove cosse et mutatione di Re, alcuni volseno contra el re Henrico presente chiamar in l'ixola il Duca di Yorch, fo fiol dil re Edovardo[119], et nato di casa di Bergogna, el qual alias fu privato dil regno di Anglia a cui aspettava. Il modo, che è bellisimo lezer, nel libro terzo intenderete come fo discaziato. Or questo con aiuto dil Re de Romani et Archiduca di Bergogna voleva passar su l'ixola et si preparava. Ma el re Henrico li mandò 8 nave contra, di le qual tre li rebelarono et teneno dal predetto Duca de Yorch. Quello poi seguite, per esser lontano da noi, molto più avanti intenderete.

A Costantinopoli seguite che alcuni de soi Cadì o vero preti andò predicando publice la conversione a la fede de Christo, o sia a un novo propheta, dicendo quella di Macometto non era vera fede ma falsa, unde molti Turchi andono dal Signor dolendosi di questa comotione, tale che se non si provedeva a questo, el suo stato saria disfatto et la leze di Macometto penitus dispersa. Unde el Signor ordinò fusse questi tal menati a la soa presentia, et ivi fece far una disputatione con li soi primi in la leze, et questi gagliardamente disputò la fede tenivano esser bona. Unde el Signor li fece dar alcuni tormenti, a ciò si tolesseno zoso, et confessasseno la causa per che dicevano questo. Et alcuni di loro dubitando di morir, domandò perdono; tamen zerca 12 di questi steteno fermi in la sua opinione, dicendo non volevano per paura dir contra quello che Dio li havea inspirati a dir e contra la verità. Et non potendo el Signor farli [214] tornar a la fede, comandò che vivi fusseno brusati, et cussì fo fatto. Et questo per mercadanti nostri venuti de lì hebi relatione; et pur volendo meglio investigar come fo, intesi esser stato questo za alcuni mesi, et che volevano instituir nova leze, et contra la maumetana, et non predicava la fede de Christo, licet quomodocumque res se habet questo fo a Costantinopoli.

Li arsilii sotil, dovevano andar in Candia et a Corphu nom. XV per armarsi, si partì di questa terra et andò a bon viazo. Etiam li arsilii andava in la Morea a tuor Stratioti.

A Napoli Paulo Trivisano cavalier ambassador veneto ritrovandosi, con molta fatica expediva lettere a la Signoria però che li corrieri per la strada erano spogliati, toltoli le lettere, et ritrovate in zifra pur erano restituite. Si ritrovava ancora ivi Marin Gritti consolo de Venetiani, et etiam Zuam Bragadino, di Andrea fiul, mercadante, el qual etiam di molte nuove advisava la Signoria. Or per lettere di 7 Fevrer se intese za era partito re Alphonso et andato in Cicilia, et re Ferando novo tornato in campo: rimasto adoncha al governo la Raina et don Fedrigo. Et Napolitani erano malcontenti ritrovarsi in quella terra, tamen da poi el metter a sacco de zudei non era seguito alcun rumor. Molti andavano a Yschia, che è una ixola mia 18 vicina, pur dil Re, a tuor caxe ad affitto, la qual fortezza si faceva riconzar et fortificar. Et ditto ambassador fo in colloquio con don Fedrigo, el qual molto si dolse di la sua fortuna, concludendo non vi era rimedio più a caxa di Aragona, nè a resister a la potentia di Franza et loro prosperar, però che non solum erano assà et disposti a loro danni, ma che ancora italiani li faceva più guerra che Franzesi; però che Colonnesi, Savelli, Vitelli prefetto di Roma li erano contrarii; che 'l sig. Ludovico, adhuc duca de Milano, havendo tossicato suo nepote et tolto quel stato contra ogni ragione, essendo strettissimo parente dil Re suo, insieme con el Duca di Ferrara fo suo cognato, li erano nemicissimi; che Fiorentini, Zenoesi, Senesi, Lucchesi, Pisani et altre comunità non solum volevano la sua distrutione, ma che con i suoi danari li faceva guerra; che Cardinali etiam venivano a la sua ruina; che el Pontifice li deva passo et ogni cosa che 'l dimandava; conclusive che Italia et non Franza al pover Re li faceva guerra. Et ancora che la Signoria, la qual sola non se impazava, per ben che non facesse dimostratione di aiutar el Re de Franza, tamen che non dando li soccorsi dimostravano tacite di esser contenti che Franzesi acquistasse quel Regno, et che li haveva dato gran reputatione li do ambassadori venuti [215] con ditto Re, et che Venitiani fevano grandissimo mal, perchè sua era la festa et poi nostra sarebbe la vizilia: maxime havendo Franzesi la Puia, che sul colpho dominava el mar, comemorando la benivolentia grande di la bona memoria dil Re suo padre con questa Ill.ma Signoria; concludendo non era possibile resister, maxime ancora havendo ne li populi molti anzuini, nisi Dio non movesse gli animi de Signori Venetiani a volerli aiutar, tamen che la Majestà di re Ferandino et lui erano disposti di voler prima morir che veder sì bel regno in le man de Franzesi. Pur tuttavia pregò scrivesse a la Signoria dovesseno far qualche provisione, licet sarebeno tarde, la qual cosa mai per Venetiani fo voluto far, se non veder di metter paxe et starsi neutrali. Tamen poi tanto fonno le insolentie galliche, che conveneno impazarsi, et quelli chazioe de Italia, come scriverò più avanti.

Di l'aquisto di San Zermano per Franzesi.

A dì 12 Fevrer, monsignor di Mompensier capetanio di parte di le zente franzese, intendando di certo che in quelli zorni el campo aragonese, di squadre 40 et 4000 fanti, era partito di San Zermano et tiratosi verso Capua, tamen pur ancora ivi era restato qualche zente a custodia, se partì da Varoli con 600 lanze e 5000 pedoni, et andò a Pontecorbo, dove fu benigne ricevuto per essere terra di la Chiesia; poi andò verso San Zerman, et li custodi senza aspettar altra bataia liberamente li aperseno le porte di tanta fortezza et passo primo di Reame. Et cussì introno dentro, et inteseno che re Ferando, quando si partì di qui, comise a li custodi non dovesseno resister, ma che facesseno quello havia fatto. Et intrati che fonno dentro, Franzesi intendendo che el conte di Petigliano con alcune squadre fuziva a Capua li dete driedo, assà chariazi preseno in le coazze (le code, la retroguardia) con alcuni presoni soldati; tamen el Conte andò in loco salvo, e loro ritornò. Et poi la persona dil Re a dì 13 venne a Pontecorbo, demum a dì 14 intrò in San Zerman. Li andò contra la chieresia, però che ivi era una bellissima Badia in comenda al cardinal de Medici, dà de intrada ducati 3 milia a l'anno. Or el populo, et puti vestiti di bianco con rami de olive in mano cantando el Te Deum laudamus, et Benedictus qui venit in nomine Domini, et sotto una ombrela con grandissimo triumpho quello fo menato in la terra. E li ambassadori veneti si andono a congratular con Soa Majestà dil felice principio, di esser comenzato a intrar [216] in Reame. Et quivi subito el Re con li suoi consultò qual via havesse a tenir. Adoperavano molto li disegni. Erano in dubio di tre vie, o di Capua o di Aversa o di Napoli. Ma in questo mezo Franzesi non stavano a dormir, andavano per tutti quelli lochi, e molte terre et castelli aquistono senza desnuar spada, ma presentadi levaveno le insegne dil Re preditto. Adeo continuamente veniva nuova a Soa Majestà che havevano li sui habuto qualche fortezza. Le qual per esser assà, li nomi quivi non mi extenderò di scriver, ma unum dicam che il pover re Ferandino a dextris, a sinistris et in facie havea Franzesi, li quali erano per circondar la città di Napoli. Et monsignor di Mompensier et monsignor de Obegnì molto si faticava, araldi regii andavano a torno dimandando le terre da parte di Dio et del Roy, et quelle havevano. Tutto l'Apruzo era aquistato al Prefetto. Colonnesi et altre zente franzese attendevano ad aquistar in Terra di Lavoro. Filippo monsignor ritornò dal Re, el qual era stato a Roma come ho ditto, et fo chiamato per haver el suo conseglio, etiam mandò per el cardinal San Piero in Vincula era a Grota Ferata che ritornasse per esser a parlamento con Soa Majestà.

Le zente franzese parte andavano a Roccasecca, et loro volendosi tenir forte li deteno una battaglia, tamen poi l'haveno a patti. Ancora uno altro loco di la Raina chiamato Sulmona aquistono, dove era el Cardinal di Aragona con tre baroni Aragonesi, et poco mancò non fusseno presi, ma fuzino a Napoli. El Prefetto era zonto in l'Apruzo con 150 homeni d'arme e 2000 fanti, et feze molti danni, et dimostrò grande inimicitia a casa di Aragona.

Ma intrato che fo el Re in San Zermano, fece far uno edito che tutti li fora ussiti di qualunque grado et conditione se sia, et etiam li bandizati libere poteseno ritornar a possieder li loro castelli, lochi et signorie, case et possessione in Reame, e per tutto el regno de Napoli, et cussì tutti li baroni, secondo che come possedevano al tempo di la raina Zuanna, et non a tempi di Ferdinando di Aragona et successori, el qual tyrannicamente et indebite havia possesso ditto Reame, et che convenisseno da Soa Majestà a tuor le investisone, che libere li prometteva di far. Ancora per gratuir quelli habitanti di San Zermano, li fece liberi et exempti perpetualmente di ducati 1500 erano ubligati a dar annuatim al re di Napoli, et li assolse di una altra ubligation havevano per anni 25 tanto, et cussì in molti altri castelli et terre levò angarie, facendo assà privilegii de inmunitade, come al loco suo sarà scritto.

Ancora a Colonesi, zoè al sig. Prospero et Fabritio Colonna, per [217] esserli stati fidelissimi, li donò alcuni castelli vicini a li soi, zoè el contado de Fondi, per gratuirli de soi benemeriti et beneficii ricevuti, et li fece privilegii et investisone. Etiam al Prefetto donò tutto el stato dil Marchese di Pescara, ch'è quel Monte Santo Joanni et altri castelli. El qual Marchese era con Ferando, come ho scritto.

Ad Aquilani fece molti privilegii, sì de exemptione quam di altro: et in questi zorni Aquilani fece stampar una moneda di rame da spender a menudo, la qual da una banda era una crose con lettere a torno: Civitas Aquile; e da l'altra 3 zii (gigli) con la corona, et lettere a torno: Carolus rex Francie. Et cussì concesse che Aquilani potesse stampar ditta moneda; tamen in Napoli lui non stampò niuna moneda.

Et essendo venuti ambassadori a Soa Majestà dil Re de Romani et dil Re di Spagna, a ciò non facesseno questi Re qualche novo pensier contra di lui, come feno, deliberò di mandarli sui ambassadori, sì in Spagna quam al Re di Romani; et a ciò fusseno più presto, scrisse a suo cugnato monsignor di Borbon, rimasto governador in Franza, dovesse mandar al Re di Romani monsignor de Busagia (Du Bouchage) nominato di sopra, era lì in Franza rimasto al governo di suo fiol, et li mandò la commissione, et etiam che uno altro barone vicino al Re di Spagna, di quelli stavano in Linguadoca andar dovesse a ditto Re et Raina di Spagna, notificandoli la sua imbassada, et cussì fece, ma tanto steteno ad andarvi che poi non fonno a tempo di reparar a quello voleva. Ma li ambassadori di Spagna, come ho ditto, tornati che fonno a Roma, non havendo habuto la commissione di andar al Re di Romani, mandono a dimandar al Re de Franza salvo conduto di poter andar a Napoli a visitar la Raina sorella di loro Re, et poi che havrebbeno fatoli reverentia volevano passar in Cicilia e tornar in Spagna. Ma el Re non volse per non dar reputatione a Ferando. Quelli veramente di Maximiliano, uno rimase a Roma et l'altro ritornò in Elemagna a referir la sua imbassada; li quali oratori, a ciò el tutto chiaro se intenda erano questi, D. Zuan Bontemps, texorier di Bergogna, et D. Petro Gialon avvocato pur di Bergogna.

Di la venuta de quattro ambassadori dil Re di Romani a Venetia.

Intendando a dì 15 Fevrer la Signoria come erano zonti 4 ambassadori dil Re de Romani a Trevixo, venivano quivi per consultar gran cose, venuti per la via di Feltre con cavalli 55 e pedoni 25, et [218] da Thoma Mozenico podestà et capitano a Trevixo fonno honorifice ricevuti, et venuti di longo a Mestre, per Zorzi Zorzi era ivi Rettor li fo usato le debite parole, et quivi steteno alquanto a dimorar. Per honorarli, essendo Domenega, fo dismesso Gran Consegio, che ogni Domenega si assueta di far, dove si fanno li officii et rezimenti. Or mandono 70 patricii senatori, tra li qual molti cavalieri et dottori, incontra con le soe barche fino a Margera, ch'è mia cinque lontano di Venetia. Ancora vi andò contra l'ambassador di Napoli et la fameglia del Legato Apostolico, però che lui era ammalato. Altri oratori de Franza, Spagna, Milano et Ferrara non vi andono. Et zonti ditti oratori, li fo fatto per uno dottor una oratione, come erano mandati dalla Ill.ma Signoria per honorar quelli; et poi a San Secondo montati ne li piati ducal, perchè per le acque non havevano potuto andar più avanti, veneno per el Canal Grando fino alla Zuecha, alozati in cà Marcello a presso la chiesa di San Zuanne Battista, dove li era benissimo preparato. Et zonti che fonno, li andono a visitar l'ambassador de Milano insieme con quello di Mantoa, excusandosi non erano venuti contra perchè erano stati tardi; poi etiam li venne a visitar l'ambassador de Spagna che era alozato in cà Diedo ivi vicino. Et usate in piedi le debite accoglienze, ditti oratori tolseno licentia. Quello di Franza per quel zorno non andò, ma ben l'ambassador de Napoli ritornò a conferir con questi alcune cose, et questi come disseno aspettava la commission dil Re loro, la qual di hora in hora dovea zonzer. Et però non volevano il Luni haver audientia, ma ben el Marti. Questi oratori erano: primo lo Episcopo di Trento chiamato Hodolrico de Letistaner (Udalrico di Lichtenstein); el resto Zuan Graidener (Gredner) preposito di Brexenon, et li altri do baroni cavalieri de Ispruch, conseieri et governadori dil Ducato de Austria, zoè Lunardo Felz (Vels) et Gualtier de Stadia (Stadion); da quali se intese come la Majestà dil Re de Romani essendo in Antorff, terra a presso Anversa, a li confini di la Bergogna..., li baroni dil ducato preditto, zoè el Duca di Goler, lo Episcopo de Lexe o vero Leodiensis, et el conte Ruberto de Arburs havevano rebellato al ditto Duca, et facevano gran danni, non volendo star contenti di l'accordo haviano fatto; et che Maximiliano preditto atendeva a conzar ditte cosse; le qual erano state cagione di la indusia faceva di la dieta si havea a far a Vurmes, terra franca in Elemagna bassa sopra il Reno tra Magonza e Spira a presso a Colonia, la qual al tutto voleva far a dì 12 Marzo, et poi venir in Italia per andar a Roma a coronarse; et che tutte le terre franche erano disposte di [219] far ogni cossa in augumento di l'imperio et di soa Cesarea Majestà.

Et poi adì 17 fo el Marti, secondo l'ordine dato, volendo venir a la Signoria, fo mandati a tuor per molti cavalieri et degni patricii dil Consiglio di Pregadi; et questi veneno vestiti di negro per la morte di l'imperatore. Prima lo Episcopo con una vesta longa di zambeloto negro, et uno becheto di zendado a torno el collo, perchè cussì fa li episcopi in Elemagna, senza rochetto; poi lo Preposito, con una vesta di veluto negro, et questo havea la lettera credential in mano. Et i altri do baroni pur vestiti di veludo negro, con collane d'oro al collo. Et era ancora in questa terra za più anni uno che za fo ambassador di ditto Re di Romani quivi, et etiam ancora expedisce alcuna cosa, et questo fo el quinto, etiam per la morte di l'imperatore vestito di negro. Poi sequiva altri todeschi, pur vestiti lugubri, homeni de conditione, videlicet Francesco Sbroiavacha, Trando cavalier, Joane Baincher, Jacomo Tropo, Vio da Torre, lo Stainer, Zuan Ripar dottor et X altri zentilhomeni alemani, poi il resto di la fameglia. Era in palazo assà brigata per vederli venir; ma a caxo in quell'hora zonse ivi uno messo dil Turcho, el qual subito volse andar a l'audientia. Li venne contra el Prencipe con la Signoria et, posti a sentare, per quello proposito chiamato domino Joanne Graidener, el qual alias fo qui Rettor di scolari a Padoa, presentato la lettera, expose la sua imbassada; la qual conclusive fo che erano venuti vedendo el prosperar faceva el Re de Franza in Italia, per voler intender l'opinione di questa Signoria, si volevano far provisione, perchè el suo Re era apparechiato a far ogni liga etc. Et el Prencipe juxta el consueto, li rispose: fariano consultatione con loro consegli. Et ditti oratori dimandano presta risposta che 'l bisognava. Stavano a spexe de San Marco; et fo provisto de darli ogni zorno ducati diexe erano con boche ordinarie. Or mons. di Arzenton, el zorno da poi veneno, li andono pur a visitar, et fece le debite accoglienze. Et non molto da poi ditto mons. di Arzenton, andato uno zorno in collegio, perchè saepius andava per cose acadeva al suo Roy, come fevano però tutti li altri oratori, et considerando esser venuti questi oratori elemani, vi era ancora quello di Spagna, uno zorno andò alla Signoria, et disse pregando el Prencipe li volesse advisar la cagione di la venuta de ditti oratori, maxime questi de Maximiliano et tanti: che si eran cose pertinente a confini di la Signoria lui non voleva zercar, ma si cosa fusse che dimandasseno o volesseno contro la Majestè dil Roy, li volesse farglielo intender [220] per poter advisar el Re, a ciò intendesse el tutto; la qual cosa credeva che Soa Serenità la farebbe volentiera, per la bona amicitia era con il suo Roy. Al qual per el Prencipe li fo risposto sapientissimamente; et che erano venuti per cose appartenente a loro; etiam per visitarsi, secondo la bona amicitia nostri teniva con tutti, maxime con el Re di Romani et Re et Raina di Spagna. Et ditto Arzenton disse era da judicar cussì, che ditti ambassadori era venuti a qualche gran fine de sì lontane parte, et cussì come el suo Roy lo teniva lui, et maxime quello di Spagna venuto 1500 mia, tamen poi che non poteva intender, era contento di quello piaceva a la Signoria. Queste parole uxoe, perchè in Venezia pur si parlava che questi ambassadori volevano far liga, zoè Maximiano, re di Spagna et la Signoria; altri diceva etiam el Pontefice, altri el duca de Milano per conservation di loro Stadi: et di questo molto se mormorava: tamen inter patres Senatus erano queste pratiche molto secrete, et Venetiani erano pur in gran reputatione. Sì come scrissi di sopra, a dì 17 Fevrer zonse uno brigantin venuto in 6 zorni da Ragusi in qua con uno messo dil Turco, venuto prestissimo, et era 17 zorni mancava di la Porta dil Turco. El qual, senza dismontar altrove, volse dismontar al ponte di la Paja, et andar di boto a la Signoria, et andava dicendo voleva star solum 3 zorni in questa terra, et ritorna con la risposta, et havea do colli con lui. Questa venuta parse molto di novo a tutti, et stevano con desiderio de intender quello voleva. Et dete che pensar a molti, ma poi intesa la cosa non fu nulla di momento. Questo presentò lettere dil suo Signor in Collegio, le quai diceva come havea habuto molto a mal, che el Signor di Senegaia havesse fatto sì poco conto di lui, di tuorli li ducati 40 milia mandava al Papa; e che la Signoria, per la bona paxe havea con lui dovesse far ogni cossa che li fusse resi, et dimostrar di aver habuto molto a mal, non tanto per la quantità di danari, quanto per suo honor, perchè li era fatto disprecio, el qual voleva esser bon amigo nostro, concludendo se dovesse far el tutto, a ciò si recavasse ditti danari. Ma el Prencipe li dimostrò bona ciera, et disse li risponderia; et che la consuetudine di questa terra era di non far alcuna risposta senza il suo Consegio, et che manderia per lui quando havesseno consultato. Et fo messo ad alozar a l'hosteria di la Serpa ivi a San Marco, et poi rescrisse al Signor Turco che havevano recevuto la sua lettera etc., et che non essendo el prefato Signor di Senegaia nostro homo, per haver l'Avosto passato compito la soa ferma, non li potevano far altro; come li havia mandà uno secretario et non [221] voluto più darli soldo; et che al presente era fatto homo dil Re di Franza; et che non si poteva più: ma si fusse stato sotto il loro dominio, senza questa lettera, per la bona paxe si havea, harebbono provvisto in tal modo, che tutti li danari saria stati resi et lui castigato. Et ditto messo fo vestito di scarlato, datoli ducati 25, la littera la qual vidi, et la mansione quivi sarà posta, ritornò a Costantinopoli.

Ill.mo et Exc.mo Domino Bayesit magno Admirato el Sultano Musulmanorum, Augustinus Barbadico Dux Venetiarum etc., salutem et honoris ac gloriae felicia incrementa. Et cussì scriveno nelle lettere al ditto Signor Turco.

Per lettere venute da Costantinopoli de mercadanti de dì 19 Zener, portate per il prefato messo, se intese come ivi non si rasonava altro che dil Re di Franza, et erano in grandissimo spavento, et che el Signor faceva conzar 80 galie, et che erano zonti 700 calefai et marangoni forestieri per riconzarle, et havia ordinato grande exercito per terra, mandato a fortificar i Dardanelli, Negroponte, Garipoli et la Vallona, et che molti Bassà havia parlato con ditti mercadanti nostri, che el Signor saria contento ritornasse Baylo ivi come prima; che l'era zonto uno secretario dil re Alphonso dimandando soccorso, et che 'l Signor li havia ditto a tempo novo vegneria potentissimo a soccorrerlo, et che ditto secretario exponeva che Zenovesi erano stati causa de questo; perchè a Zenoa si havia fatto l'armada; unde confortava el Signor che 'l levasse le trate a Zenoesi, a ciò non fusseno più mercadanti ne li loro paesi, et che mandasse a l'ysola de Scyo, ch'è di Zenoesi, armada, et quella tuorla; la qual cossa facendo saria caxon che Zenoesi non sariano più propicii al Re di Franza. Se intese ancora come Turchi havevano habuto una gran rotta a li confini de Hungari, et che intendevano de lì el re Ladislao de Hungaria medemo voleva venirli contra, et el Signor era molto di malavoia, et era quasi de opinione de andar in persona, ma inteso poi esso re Ladislao non veniva, etiam lui non si mosse, ma mandò alcuni Bassà, tamen havia lassato andar uno ambassador hungaro, el qual lo havea tenuto 5 mesi in custodia, et insieme con do soi ambassadori mandavano a ditto Re de Hungaria per pacificar le cosse et poter attender di qua.

Ancora per lettere di Corphù di Alvixe Venier baylo et capetanio se intese che Turchi erano in grandissima paura dil Re de Franza, et che non volevano habitar più a le marine ma fra terra. Le artegliarie et bombarde grosse dil Signor Turco, era a la Vallona, [222] le havea fatte condur a la Geniza fra terra, et per lettere dil Capetanio zeneral se have come a Lepanto, Coron, Modon et Napoli di Romania, che sono terre in la Morea, havia fatto li stratioti, et quelli scritti erano homeni valorosi, et da farne grande extimatione, et stavano desiderosi aspettando di passar di qua, per lassar qualche fama di loro.

In l'ysola di Cipri accadete cossa assà notoria; la qual ysola è di la Signoria di Venetia, venuta sotto suo dominio mediante uno patricio chiamato Marco Corner cavalier et primario senatore, el qual una so fiola Catharina ne l'anno di Christo 1472 maridoe in el re Jacobo de Lusignano, fo fiol di re Jano bastardo, el qual del 1458 con aiuto del Soldan si fece Re di quella ysola, et scazzò Ludovico fiol dil Duca di Savoia, et maridato in Carlota fiola legittima, et herede instituida dal padre nel ditto reame. El qual Ludovico con la muier fuzite in Italia. Ma maridato ditto re Jacobo in questa donna venetiana, adoptata in fiola di la Signoria, venne ne l'anno 1473, 6 Luio, a morte, et lassò herede la muier et quello lui partoriva, perchè era gravida, et nacque uno fiol, vixe aduncha poco. El reame rimase in governo di ditta madona Catharina raina, et la Signoria la tolse in protetione. Demum ditta Raina partì di quella ysola, et venne a Venetia, dove honorifice dal Prencipe et Senato fu onorata: li andò contra a Lio con el Bucintoro pieno di donne, che fo bellissimo veder; poi li donò uno castel in Trivixana, chiamato Axolo, et hebbe di provisione annuatim in tutto ducati 8 milia; et questa qui hora a ditto castello con le soe donzelle habitava, honorata come Raina; et suo fratello Zorzi Corner per il Prencipe nel Bucintoro venendo fu fatto cavalier. Et partita la Raina di Cipri, elexeno nostri li Rettori et levono San Marco, retrovandose ivi Capetanio Zeneral di Mar Francesco di Prioli; et demum da il Soldan ottennero privilegii et confirmatione di poter possieder ditto Reame. Piero Diedo cavalier orator, el qual era al Chaiaro, morite. El qual regno di Cipri è tributario al Soldan, et chiamasi Re etiam di Jerusalem. Or in questo tempo retrovandossi ivi uno certo Cercasso, el qual vene in fantasia al Soldan che 'l fusse suo fratello, però che tutti li Soldani convien esser stati schiavi, et non de veri Mori, et però mandò una lettera a quel rezimento de Nicosia per uno suo mamaluco pregando volesse mandar ditto Cercasso, et loro risposeno. La copia di la risposta, licet non sia al proposito gallico, pur, per esser accaduta in questi tempi, ho deliberato qui ponerla. El qual Zuanne Cercasso partite de Cipri et zonse a Damasco [223] per andar a Chaiaro, dove da quelli Signori di Damasco, Armiragio etc., fo honorifice ricevudo, presentado et fattoli grande honor. Et poi di longo da suo fratello Soldan andò.

Copia di una lettera scritta al S.re Soldam per el rezimento de Nychosia per Saramanth mamalucho in moresco translatata de latin a dì 25 Zener 1494.

Al nome de Dio misericordioso.

El se inchina a la terra a la presentia del Sig. Soldam ecc.

L'è stado da nui el mamalucho vostro Saramanth, ne ha portà una vostra lettera de la vostra Porta, che dice V. S. che se mandi a le vostre juste Porte un tal che si chiama Cerchasso, che la tua Signoria dise che xe tuo fradello. Per lo amor de la voluntà del sig. Soldam, e la longa e vechia amicitia che è tra V. S. et la nostra, havemo dato libertà et messolo in libertà el ditto Cerchasso, se 'l vol venir con el ditto Saramanth vostro mamalucho e con el messo. Havemo fatto quello havemo possuto per amor de V. S.; tutto quello vi bisogna et honestamente possamo far faremo. Dio mantegna la V. S. et ve dia longa vita. De Cypri a dì 17 dil suo mexe ditto Mosafar.

Zuan Donado Luogotenente
Lorenzo Contarini et
Zuan Ruberto Venier

Conseieri de la Ill.ma Sig.ria di Venetia de Cypri

A dì 26 Fevrer, de mandato di la Signoria se partì de qui per andar a Roma ambassador, in loco de Paulo Pisani repatriava, Yeronimo Zorzi kav. che fo Avogador de Comun; el qual a dì 30 Ottubrio nel Conseio di Pregadi era sta creato a ditta legatione, et fece la via di Ferrara, andando per Po, et portò lettere credentiali al Duca, et honorifice fo ricevuto; demum andò pur per Po a Ravena, et ivi montato a cavallo passò per Rimano, Pesaro et Urbino, seguendo el suo camino per la via di Romagna: questo perchè per la Toscana non si poteva securo andar, per le novità di Fiorenza et Pisa, et però fo necessario di far tal via. Et zonse a Roma a dì 7 Marzo: li venne contra molti prelati et familie de cardinali, et andato insieme con Paulo Pisani kav. a l'audientia a la presentia dil Pontifice, notificando come era venuto per star a presso Soa Beatitudine, et fece una oration latina juxta el solito, et el Papa ricevuto aliegramente, et steteno insieme col Pisani alcuni zorni. El qual [224] subito andono, sì el Zorzi a visitation quam el Pisani a tuor licentia da rev. Cardinali. Et a dì 20 ditto el Pisani partì di Roma, et zonse a Venetia a dì 9 April, et intrò Savio di Terra Ferma, che era sta creato mentre era a Roma, et do zorni da poi intrò Avogador di Comun, etiam essendo in camino fo designato, come dirò di sotto.

In questo mezo el cardinal Samallo tornato a Fiorenza, et sollecitando al tutto di haver danari, et a la fine Fiorentini li detteno ducati 40 milia, et pregono Soa Signoria volesse conzar le cosse di Pisa, le qual erano disperate, et perchè Pisani volevano star in libertà, et Fiorentini li voleva sottoponer. Or mandò questo Samallo a Pisa Johan Frances, general di Bertagna, era venuto lì in Fiorenza in luoco di mons. di la Ruota, che il Re lo mandò a Milano, et andò cussì a Pisa. Et Fiorentini havevano za zente in campo, et havevano preso alcuni castelli de Pisani, che se difendevano con aiuto de li convicini, come ho ditto di sopra. Et in questi zorni fonno a le man; pur Pisani rimaseno di sora. Et in Pisa era intrato, mandato per il Duca de Milano, Lucio Malvezo, et Pisani lo fece suo capetanio, et li mandò 12 milia ducati, fenzando che Zenoesi li mandasse. Or ditto Mons. andato ritornò in Fiorenza, dicendo non havea potuto far nulla, perchè Pisani volevano libertà, et haveano creato Pisani li soi ufficii, li 8 anciani et confaloniero, el qual el primo, da poi che si redusseno in libertà, fo uno Andrea Lanferduzi, et per giornata mettevano ordine al loro governo. Et monsig. Samallo, mandato li danari al Roy, partito di Fiorenza, ritornò a Roma, demum a Napoli, che za el Re era intrato, come scriverò di sotto.

In questo tempo di carlevar venne a Venetia, privato et senza pompa, el sig. Francesco di Gonzaga marchexe di Mantoa, el qual compiva la soa condutta havea con questa Signoria, et benchè fusse pratico, prima di rafermarlo nel pristino soldo, per el Collegio, al qual fo commesso libertà di doverlo condur, et menava tal pratica uno suo zerman cusino, fiol del sig. Zuan Francesco di Gonzaga, chiamato domino Febus di Gonzaga, el qual andava saepius a Mantoa et tornava qui con la risposta, licet fusse etiam il suo oratore Antonio Triumpho in questa terra. Or ditto Marchexe zonto, andò la mattina in Collegio offerendosi voler servir a questo Stato con che condition pareva et piaceva a questa Ill.ma Signoria, et che era dimostra la sua fede et devotione portava a San Marco, et cussì fo confirmato per anni cinque, et cressutoli di condutta ducati 14 milia a l'anno, ita che vien haver ducati 44 milia, et si obbliga di haver con lui a suo soldo el sig. Redolpho di Gonzaga, fratello fo [225] di suo padre, con condotta de cavalli 500, el qual alias, al tempo di la guerra di Ferrara, fo nostro soldato et fidatissimo, intendendo esser compreso in ditti ducati 44 milia, de li qual esso Signor li dà al ditto suo barba ducati 6 milia a l'anno de provision, et cussì fo contento esso sig. Rodolpho. Et a dì 23 Fevrer nel Consejo di Pregadi fo confermato, con promissione che bisognando andar in campo a ditto Marchexe, si provederia de darli degno et honorato titolo, secondo la sua conditione; la qual cosa sopra tutto desiderava, come ebbe da poi. Et oltra di questo fo confirmato el sig. Pandolpho di Rimano in la sua condutta, et cressutoli soldo, ita che tegni 100 homeni d'arme; et Veneti li danno ogni anno ducati 8000, et questo per anni do, et che compiti 6 mexi da poi non possi venir contra di loro. Et accidit che in questo medemo zorno che fo confirmato, Antonio Cochiaro de Lugo, detto Medico, era qui suo ambassador, licet verum fusse etiam el conto Ludovico Boschetto, et stato za do anni orator, la matina vestendose cade quasi morto, et poi la sera expirò, che mai potè parlar. Unde a dì 25 ditto, jubente Senatu, fo portato a sepelir per la piaza di San Marco, con tutte congregation de preti, canonegi, et scuola di San Marco, et assà torzi, et fo sepelito a li Frati menori, et fatto questo exequie a spese di la Signoria, per honorar quello cui rapresentava. Et l'altro ambassador rimase qui; demum non molto da poi ritornò a Rimano, habuto danari per far metter el suo Signor in ordine, el qual Signor di Rimano è zenero dil magnifico Joanne Bentivoi. Or a la descritione dil Re de Franza et suo operare veniamo.

Dil felice prosperar dil Re di Franza in Reame et fuga di Ferandino.

El Re de Franza, el qual il lassamo in San Zermano, a dì 17 Fevrer venne a uno loco chiamato Thiano vicino a Capua mia 3, et in quello intrò senza altra movesta con le sue zente. Ma ritorniamo a re Ferandino, el qual partite di San Zermano per venir a intrar in Capua con squadre 50, fanti 4000, et 2000 fanti altri paesani, che don Fedrigo li haveva mandati in suo augumento, poco mancò ditto re Ferando non intrasse in la terra, però che mons. de la Guisa con altri capitani et franzesi lo seguitò fino a presso le porte di Capua. Or, intrato in Capua el Re, li cittadini li disseno come li sariano fidelissimi, ma che non havendo Soa Majestà forza bastante a resister a tanta furia, meglio saria dovesse andar con le sue zente [226] in Napoli, et lì fortificarsi, et che non erano disposti Capuani di haver danno nè guasto, dolendosi de la fortuna dil Re: unde, considerato questo, Ferandino disse a Capuani: Io voglio andar a Napoli, et menerò con mi tanta zente, che haverete da potervi difender, et se non vegno et ritorno doman dopoi disnar, che sarà a dì 18 ditto, ex nunc vi do licentia, fate quello acordo vi piace con il Re de Franza. Et si partì.

A dì 16 ditto, zente franzese intrò in la città di Gaeta, la qual si rese et li aperse le porte; ma la roca o vero il castello si tenne assà zorni; dove era a custodia uno fio di mons. Piero Branet fo tesorier dil re Alphonso, et uno contestabele chiamato Tutto et mondo albanese. Questa è terra a la marina, mia 20 lontan da Teracina, fo edificata cerca anni 1200 avanti lo advenimento di Christo da Enea troiano in memoria de Caieta soa bayla, sì come scrive Virgilio nel principio dil sesto di l'Eneide: ha uno bellissimo porto, ornata de fonti, cedri, mele, aranci, limoni in abondantia. È terra picola ma fortissima, et za Zenovesi la dominono et la derono al duca Felippo de Milan. El castello è inexpugnabele. Ha un gran borgo la terra, e il castello è in cima di uno scoio a colo di la montagna situato. Lo borgo abraza lo porto, a modo di uno mezzo arco. È terra amenissima, piena de zardini, et è lontana di Sessa mia 20, ha una via salizata fino a Teracina. El castello, è da saper, da l'onde marine è batuto. A l'incontro è uno altissimo monte tondo, in la summità dil qual è una antica torre di gran circuito, ben fabricata, di grosse piere, grossa di mure 12 palme, et le piere alcune longe 12 palme. Dentro è una altra torre, partita in 4 camere con altissimi volti, in do di le qual si trova aqua suavissima, che di pioza si distilla per quelli volti et muri, et si fa purgatissima. Sopra la porta è una piera de marmo con lettere: Lucius Numancius etc. Et questo basti quanto alla descritione de Gaeta.

A dì 17 el sig. Virgilio Orsini conte de Petigliano, et Zuan Jacomo di Traulzi, erano al soldo dil re Ferando, essendo a Capua, dapoi partito el Re, sachizato la cavallaritia et vardarobba dil Re, se ne fuzì a Nola mia 12 lontan da Napoli. È città grande come Vicenza, è di uno Conte. Et Zuan Jacomo preditto, habuto salvo conduto dal Re di Franza, venne a trovar Soa Majestà a Thiano, et questo perchè el Re havea mandà uno suo araldo a Capua a dir che se dovesse render, per venir a la soa obedientia. Or questo Traulzi expose al Re tre cose. La prima che el sig. Virgilio Orsini conte di Petigliano et lui si recomandereno a Soa Majestà, pregando quella [227] le volesse accettar ne la so gratia, dimandando perdono che et havevano fatto come fidati soldati. La seconda che Capuani erano desiderosi di la sua intrata, et che se volevano dar. La terza che el re Ferandino voleva, piacendo a Soa Christianissima Majestà, venir a domandarli perdono, perchè non voleva resister, et che non voleva haver altro che qualche terra lì in Reame da poter habitar. Et queste parole fo avanti che si partisseno da Capua, et è da considerar che re Ferando lo mandasse. A le qual richieste el Re de Franza rispose. A la prima che venendo quelli ditti di sopra, li teniria per boni amici, et li perdonava ogni offesa. Zerca a Capua che, venendo voluntarie sotto la sua corona, li haveria per carissimi. A la terza che Ferando venisse da lui, che da mo li faria bona ciera, provedendolo di stato, a ciò el potesse star condecentemente, ma che non si pensasse di haver pur una casa in Reame, et che questa era ferma la sua opinione, unde Traulzi ritornò per dar risposta al re Ferando a Capua, el qual era partito per Napoli, come ho ditto di sopra. Et questo vedendo, ritornò in campo dil Re di Franza, et si fece suo homo.

A dì 17 Fevrer, come ho ditto, re Ferando venne a Napoli con alcuni di soi in sua compagnia, et chiamò li primi et principali, et li fece una oratione exortatoria, pregando si volesseno tenir almanco zorni 15. Et Napolitani pur li promesseno gran cosse, tamen fecero tutto al contrario. Et subito el Re in quella sera medema partì per ritornar a Capua, per dar.... a le soe zente. In Napoli era don Fedrigo al governo.

Ma el Re de Franza si veniva proximando verso a Capua, et venne a uno loco mia 4 luntano, per la qual cossa le zente Aragonese havendo aspettato el suo Re ritornasse di Napoli, mandono do soi dal Re de Franza, et tutte andono fuora et se disciolse chi in qua chi in là, ita che per tutto el Reame andono fuzendo. Et Capuani vedendo che Ferando a l'hora ditta non era ritornato, se reduseno a consiglio, et deliberono de mandar soi ambassadori al Re de Franza, offerendoli la terra et fermar alcuni capitoli, et licentiono el resto di le zente aragonese ivi si ritrovava. L'Orsini et Petigliano andono a Nola, come ho scritto di sopra. Et a dì 18 el Re de Franza mandò mons. de Obegnì et el sig. Prospero Colonna in Capua per fermar li capitoli con quelli di la terra, tamen avanti fusseno conclusi, in quella sera medema de dì 18, Franzesi zerca X milia introno in Capua. Etiam li nostri ambassadori era col Re, intrò questo medemo zorno, et el zorno da poi intrò el Re con pompa, come dirò.

[228]

Et Ferandino, venendo per venir a Capua a dì 18 con 2000 spagnoli, come fo divolgato, homeni assà disposti, li quali insieme con le sue zente erano in Capua, di squadre 50 et 4000 fanti, si volevano difender in Capua. Ma mia 5 luntano, intese come za la sera avanti erano Franzesi intrati dentro, unde convenne ritornar a dormir quella sera a Aversa, ch'è una terra assà bella et grande, mia 8 da Napoli, et caxe 2000, et da Capua a Napoli è solum mia 16, et la matina poi, che fo a dì 19, esso Ferando intrò in Napoli con 200 cavalli et pochi fanti, et messo in fuga el suo exercito, et Napolitani non volseno intrasse altri che li soldati napolitani, et el resto era con lui andò vagabondi.

Ed in questo zorno Napolitani erano tutti intesi de Capua, sublevati et armati, et havevano fatti alcuni remori cridando: Franza! Franza! Et a dì 18 fo crudelmente sachizato li Zudei et Marani, et fate molte disonestade per la terra, che era una compassione veder Napoli come stava. Et quel or havevano depredate le case preditte, venendo con la preda per riportarle a caxa, era su la strada da altri assaltati et toltoli quello havevano vadagnato, et non senza gran contrasto. Demum volseno metter a saco li Marani spagnoli, erano ivi molto richissimi, ma fonno defesi da molti vicini napolitani et zente che in loro caxe stavano per difensione, et etiam la soa roba l'havevano logata in diversi luoghi securi in la terra: tamen alcuni fonno messi a saco, li altri stevano serrati ne le case, et cussì tutto Napoli era in arme. Ma la Raina et sua fiola l'ynfante de Castiglia chiamata, el Prencipe de Squilazi fiul dil Pontifice et sua moglie, et etiam don Fedrigo se reduseno in Castelnuovo prima, et poi in Castel di l'Uovo per dubito dil populo, perchè za cridavano: Franza! Franza! et questo medemo fece re Ferandino. Ma vedendo non esser rimedio salvarsi, perchè Franzesi erano a presso le porte, et havia i populi contrarii, fece pur queste provisione: che messe in Castel nuovo, ch'è in la terra fortissimo et batte al mar, judicio omnium, inexpugnabile, el marchexe di Pescara fidelissimo suo et arlevato di caxa di Ragona, et molto nemico de Franzesi, et fo quello che fece far quelli danni al trombeta dil Re di Franza, come ho scritto di sopra: è huomo valentissimo, jovene era capetanio di le fanterie in Romagna. Questo intrò con zerca 800 homeni in ditto castello, tra li qual 300 spagnioli o vero biscaini, et 350 todeschi; ancora vi entrò Perucha corsaro. Et era assà vituarie, ut dicitur, per anni 25, se tanto si volesseno li custodi tener, et fornito di artigliarie et ogni altra cosa; con presuposito che si ben la terra si rendesse, ditto castello [229] tenir si dovesse; cussì come fo. Ma da poi ditto Marchexe andò con Ferandino a Yschia. Anchora a li altri castelli messe presidio et fidata zente. Era in Castel di l'Uovo, castellano uno chiamato Antonel Pizolo di Cosenza. A la torre di San Vicenzo et il castello di Pizofalcon et Santermo fo messo fanti per custodia. Et a Castel de Capuana non messe presidio, perchè era uno palazzo bon in fortezza, dove soleva habitarvi don Alphonso al tempo era duca di Calavria, et Ferando habitava in castello.

A dì 19 fo messo a saco li cavalli di re Ferando in Napoli, et tutte le robbe in Castel di Capuana, le caxe dil Principe di Altemura et di don Alphonso, fioli che fo di quondam re Ferando. Unde, vedendo questo, el Re medemo compite di disfar la sua cavalarizia, mandando a donar molti de li suoi corsieri a soi amighi lì in Napoli; i qual corsieri di bellezza et bontà erano li primi de Italia, et non si poteva dir altro che le raze di corsieri di Napoli; et poi ordinò fusse brusate le soe stale. Et el Re preditto dimandò al populo che volesse far queste moveste. Et vedendo esser fermi in opinione per el Re de Franza, el qual a dì 20 havea mandato uno suo araldo a dimandar la terra; unde ditto Ferandino fece brusar el suo arsenal, dove eran molte galie non compide, et tutto andò a foco et fiamma, che fo una terribilità a veder et gran compassione; et cussì altre galie e arbatoze et una barza erano in acqua, et fe' brusar, di quattro nave grosse erano nel Molo, le tre; et era de botte 2000 l'una; et la quarta chiamata la Capella, di questa medema grandezza, volendola far brusar, el Cardinal di Zenoa et domino Obieto dal Fiesco protonotario volendo fuzirsi etiam loro di Napoli, gela domandò, et esso Re li compiacete et ghe la donò: el qual Cardinal si montò con ditto Obieto su ditta nave, et si slargò da la terra et si corse in mar. Quello di lui seguirà, scriverò di sotto.

Si retenne Ferandino a Castel di l'Uovo cinque galie di mons. Villa Marino et Francesco di Pau cathelani corsari nominatissimi, per poter suso montar, come fece, et con la sua brigata andar a Yschia. Ma in questo mezo fece portar assà robe che erano in Castelnuovo, in castel di l'Uovo, et cargar su le galie; et quelli de ditto Castello, a ciò niun Napoletano si acostasse, trazeva di molte bombarde. Et è da saper che, andato esso re Ferando in Castel di l'Uovo, volendo ritornar in Castelnuovo per tuor certe robbe et haver sotil di la Raina[120] erano rimaste, li fo trato una partesana da Napoletani, [230] la qual andò quatro deda (dita) lontano da lui, et poco mancò non fusse morto. Et molti soi favoriti, rimasti in Napoli, dolendose pur di mutar Re, vedendo Polo Trevixan ambassador di la Signoria, poco mancò non facessero sopra di lui le sue vendette, dicendo Venetiani, non havendo voluto aiutarli, erano stati cagione di la sua ruina. Or Ferandino con li fradelli, Raina, ynfante, don Fedrigo et parenti, come ho scritto, andono in Castel di l'Uovo, dove erano seguri. Et prima traxea di Castelnuovo el fio dil Principe di Rossano, come scrissi, era presone, et lo cavò a tempo di la soa creatione di Re; et lo menò con lui. Anchora uno fio dil Principe di Salerno, el qual poi, zonto el padre in Reame, ghe lo mandò a presentar. Era etiam el conte, et fioli, di Conza, et el conte et fioli dil conte di Capazo, i quali non si mosse: ma venuto el Re de Franza, et habuto el castello, quelli liberono. Ma ritorniamo al Re de Franza, et come intrò in Napoli.

De l'intrata dil Re di Franza in Napoli, che fo a dì 22 Fevrer 1494.

A dì 19 Fevrer, essendo intrate le zente franzese in Capua, esso Re in questo zorno poi intrò con un bellissimo apparato. Prima intrò forsi 3000 Sguizari, poi zerca 1000 homeni d'arme, poi 2000 arcieri a cavallo, poi 500 homeni a piedi con pestaruole[121] in mano, demum tre capetani a piedi, con sue arme in mano, con assà compagnia a piedi driedo; poi li arcieri a piedi con suoi archi, vestiti di recamo, et erano zerca 500; poi seguitavano alcuni signori Franzesi et baroni dil Reame, et la Majestà dil Re vestito di damaschin bianco sopra uno cavallo coverto di bianco; el qual a son di trombetta si movea con 12 signori a torno el cavallo, vestiti etiam de bianco, et el Re era sotto un baldachino di seta, con le arme sue a oro; poi seguite più di 200 signori cavalieri et zentilhomeni con diverse foze franzesi, sopra optimi corsieri bardati, che fo bel veder; poi li chariazi et artiglierie in gran numero. Li venne contra la chieresia di Capua aparati, con li cittadini, cantando Benedictus qui venit in nomine Domini et Te Deum laudamus: et subito deliberò non star più qui a dimorar, ma la matina partirsi, perchè za havia inteso li rumori seguiti in Napoli, et etiam havia littere da Napolitani, dovesse venir di longo. In questo mezo le zente soe sparpagnate per [231] Reame andono a Nola et preseno el Conte di Petigliano et el sig. Virginio Orsini, et quelli menono dal Re suo. Et questo fo a dì 19 ditto. I quali tamen si scusavano non esser presoni. Quello di loro seguite, di sotto intenderete. Tamen steteno con custodia, et el Re de Franza non aspettò a intrar in Napoli et conferir li benefitii, che za havea eletto Vice Re in Napoli mons. di Mompensier, avanti l'intrasse in Capua, et uno Governador dil Porto et Capetanio dil Mar. A Otranto et altre fortezze, che ancora non avea aquistate, elexe li governadori ch'è mirum quid, che avanti haver el dominio di lochi facesse li rettori. Era fama in campo dil Re, come per lettere di oratori nostri se intese, che 'l Re intrato in Napoli voleva subito ritornar in Franza, acquistato però prima el Reame, et poi seguir el suo voler contra infedeli. Et el Cardinal San Piero in Vincula era zonto dal Re, et ogni zorno stava in consultation. Mandò ambassador al Pontefice mons. di Linguadoca; el qual, stato alcuni zorni a Roma, morite in caxa dil Cardinal di Santo Dyonisio. Et ancora per gratuir soi benemeriti a questa impresa, fece de molti presenti di lochi et castelli acquistava, tra i quali a Peron di Basser, a hora chiamato Monsignor, el qual fo el primo venisse in Italia, et come da monsig. di Arzenton ambassador dil Roy qui intesi, prima causa et principio di entrar in pratica el Re di tuor questa impresa di Napoli, et però è venuto in reputatione, a hora li donò el Contà di Sarno, el qual fo di uno barone chiamato Matthio Copola, che era con Soa Majestà, et fo el primo che intrasse in Napoli, come dirò di sotto. Et fo divulgato dete Capua al Cardinal S. Piero in Vincula, a goder in vita soa: la qual città di Capua è antiquissima, et segondo alcuni da Capi figliolo de Athi re ottavo de Latini zerca 900 anni avanti l'avenimento de Cristo fusse edificata, come scrive Vergilio nel X de la Eneide. Ma Plinio nel quarto et Ysidoro nel quinto de le Ethimologie al p.º cap.º, et Strabone nel quinto libro vogliono che da luoghi campestri, ne' quali esisteva Capua, fusse denominata, et non da questo Capi nominato di sopra. Et secondo Livio patavino historico fo chiamata Volturno, ma essendo presa da Samniti, per il loro capetanio chiamato Capuo fo denominata Capua. Secondo Servio fo edificata da Toscani, vedendo l'augurio d'uno falcone. Questa città fo già capo di tutto el paese di Campagna, et apar alcune vestigie di la città antica a presso a la nova zerca do mia, zoè certe porte de templi, palazzi ruinati etc. Fo presa da Gieserico re de Vandali, et abruciata, et poi questa al presente rifatta.

Domente el Re si aproximava a Napoli, zonse a Hostia alcune [232] nave e certe galeaze venute di Provenza, dil Re di Franza, sopra le qual nave era il principe di Salerno, el qual venne a Roma et fo in colloquio con Paulo Pisani ambassador veneto, dicendo era fidelissimo servitor di questa Signoria. Et poi si partì di Roma insieme con Antonio di Zenari era lì in Corte oratore di re Ferando, et andono per terra a trovar el Re za intrato in Napoli, et per intrar in Salerno che da sui populi era molto desiderato, come Zudei desiderava el Messia. Et etiam el Conte de Caiazo andò a Caiazo et altri castelli dil suo contado, et fu benigne ricevuto e zurato omazo al Re de Franza, li fo fatto el suo privilegio et confirmato barone.

Ma el Re di Franza, dormito solum una notte in Capua, la mattina fo 20 Fevrer vene mia 8 a Aversa, dove li fo averte le porte, et pacifice intrò, et za havia mandato l'araldo suo a Napoli, et Napolitani non haveano pur tempo di risponder che za sopra le porte erano Franzesi, et cussì senza altra difficultà primo Matthio Copola baron dil Reame fora ussito, poi gran moltitudine de Franzesi introno in quella sera in Napoli. Et è da saper che Napolitani el zorno avanti volseno metter a saco le doane, dove era grandissimo haver, ma non fo lassato. Li navilii erano ivi nel Molo tutti si slargono in mar, et molti Napoletani anzuini amizi dil Re di Franza dimostravano gran consolatione; altri andò con Ferandino in Castel di l'Uovo. Et don Fedrigo mandò uno suo dal Re de Franza a dimandar perdono, pregando li volesse lassar el Principato suo di Alte mura, che si vegnerebbe a inchinar a Soa Majestà. Ma el Re rispose non voler niun Aragonese in Reame, et che venendo li provederia di Stato condecente a lui. Et Napolitani feceno tra loro di cinque Sezi 40 ambassadori ad... contra el Re de Franza a Aversa, a tanti per Sezo, et de li principali tra i qual el Conte di Matalon, Hieronimo Caraffa, etiam... lo nome de quali al presente non notarò, perchè non fo seguito alcun ordine, i quali andassono a pregar Soa Majestà non volesse venir cussì presto in la terra, ma dovesse dimorar a Pozo real, che era uno palazzo di re Alphonso uno mio da Napoli, situato in loco piano, un poco alto, loco amenissimo, dove è una chiesiola che el re Alphonso vechio ivi stete quando messe campo a Napoli. Et in tal loco ogni anno, a dì do Zugno li loro successori di caxa Aragona el si celebra una bellissima festa. È fabricato quivi uno bellissimo palazzo con camere pinte et zardini. Quivi a dì 21 ditto el Re de Franza partito di Aversa era venuto, et quivi dimorava. Con Soa Majestà introno in questo zorno in Napoli et insieme con Paulo Trivisano 4 mia contra alozò in uno palazo, che fu dil secretario [233] vechio a San Domenego, bellissimo[122]. Or qui a Pozo real essendo venuto el Re la matina a disnar venne li ambassadori napolitani, dicendo haveano desiderato za gran tempo questa venuta, et che a hora habuto loro desiderio si potevano chiamar felici et contenti, basando la mano, la vesta et la terra davanti el Re, con gran cerimonie, pregando di do cose Soa Majestà: la prima che 'l non intrasse quel zorno, perchè volevano che l'intrasse sopra uno caro con triumpho, segondo el consueto de li Re, da poi havevano acquistato la terra. Demum che li volesse concieder certi privilegii et capitoli che dimandono. Et el Re tolse in man i capitoli, et promesse far quanto domandavano, sed nihil deinceps factum fuit; et tuttavia Franzesi intrava in Napoli, et si preparava alozamenti, et el Re fo contento di star quella notte a Pozo real, et stava con uno falcon in pugno, mentre si parlava di la sua intrata in Napoli fra soi baroni, che fo di quelli la Signoria li mandò a donar, sì che con oselli in pugno prese Napoli.

Intrati che fonno Franzesi in la terra, tutti li navilii erano in el Molo si slargò, come ho scritto di sopra, et molti sopra li ditti vi montò, et era una confusione a veder montar ditta brigata su li batelli per passar a Yschia. Questo facevano non tanto per li Franzesi, che za erano intrati pacifice, ma perchè da Castelnuovo travano molte bombarde in la terra, cridando: Aragona! Aragona! Ferando! Ferando! Et però dubitavano di star, perchè con li mortari ruinavano le caxe. Ma intrato mons. di Mompensier et altri capitani dil Re, non steteno a dormir, ma ancora loro comenzono a piantar bombarde a ditto castello, per veder di ruinarlo et haverlo per forza, che per bontà non lo poteva haver. Era a custodia uno cao di Sguizari, et mons. Pasqual Conte de Linf, era castellano, partite et andò con li altri a Yschia. Et el cardinal di Zenoa era su la nave, slargato in mar come ho scritto di sopra, mandò a dimandar salvo condutto al Re de Franza, di poter andar a Zenoa, et etiam star, volendo, in Napoli perchè erano fora ussiti de Zenoa. Et come el Re fo intrato in Napoli li dette salvo condutto, liberamente potesse dismontar in terra lui et domino Obieto; et cussì dismontono. Quello poi di loro seguite, intenderete di sotto. Non voglio restar di scriver come era Vice Re in Castel nuovo uno zenoese, chiamato Thoma [234] Fregoso. Ma el Re preditto de Franza, vedendo che li castelli non si volevano render, non stete ad indusiar più, ma a dì 22 Fevrer essendo venuti Domenego Trivixan, Antonio Loredan et etiam Paulo Pixani cavalieri et oratori veneti a inchinarsi a Soa Majestà a Pozo real, deliberò d'intrar in Napoli, et cussì fo di Domenega, a hore 21, con solum cavalli 90, et el resto a piedi, zoè assà Napolitani et intrò in Castel di Capuana, el qual è una parte di la terra et uno bellissimo palazo, et za Franzesi lo havevano habuto, et quivi alozò, et fatoli reverentia da nostri oratori, et di Soa Majestà tolto licentia, ritornò a caxa, et el Re poco da poi cenò in questo loco di Capuana. El Re non poteva haver danno per le bombarde erano trate in la terra, et in questo medemo zorno fo trato uno morter dil castello, el qual sfondrò la chiesia di Santa Maria di la Nova, senza però offender alcuno, però che era assà brigata a Vespero in chiesia, et el Re ordinò che fusse continuamente ditto castello bombardato; et cussì li 70 carri di artigliarie havia con lui tirati da X in 12 cavalli, fonno acostati al castello, et etiam piantate le forche a torno, cridando si non si rendevano, che tutti li farebbe apicar; ma quelli dil castello più se inanimava et li salutavano de artegliarie.

A dì 23 molti Sguizari salirono nella cittadella vicina al castello, et quelli dentro erano oculati ussirono fuora, et scazarono li nemici, et in quella baruffa fo ammazzati 30 Sguizari dil Re de Franza, et non cessava quei del castello di trazer, et ogni zorno ne amazava qualche uno da le artigliarie. Et poi in questo medemo zorno a hore 22 fo fatto un'altra baruffa a la cittadella, fo morti et sgombrati molti Sguizari zoso da le mure, et in tutto questo zorno ne fo morti zerca 100 homeni. Era dentro pur in castello ancora el Marchexe di Pescara, el qual vedendo non potersi tenir, deliberò più presto andar con el re Ferando, et entrar in Castel di l'Uovo, cha ivi più star. Et demum de lì partite, et andò a trovar el Re a Yschia.

In questo zorno el re Ferandino con la Raina, l'ynfante, Principe de Squilazi, soa moglie et altri di caxa Aragona et don Fedrigo partì dil Castel di l'Uovo sopra cinque galie di Villamarino et il meglio poteno portar con loro, et andono a Yschia, che è una ysola mia 8 lontana da Napoli, di esso Re, et ivi messe in terra ditte donne et lui andava innanzi et indrio come scriverò di sotto.

Et è da saper che in Napoli si ritrovava el sig. Jacomo Conte, el qual era al soldo dil Re di Napoli, et quando vide Napolitani disposti [235] al Re de Franza deliberò più presto andar via et fuzer, cha inchinarsi a ditto Re. Et venne a trovar Paulo Trivixano ambassador nostro, al qual li disse come el si partiva, et voleva venir a Venetia a inchinarsi a quella Ill.ma Signoria, et voleva dimostrar la fede havia portata sempre a San Marco, et che al tutto era disposto di venir de qui. Se partì insieme con el Re, et avanti el Re si partisse ditto orator, per essere stato lì a Napoli con Soa Majestà, andò a tuor licentia, con el qual conferiteno alcune cose, et tolseno combiato insieme.

Questa nuova di l'intrar in Napoli dil Re di Franza venne prestissima a Venetia, ch'è con lettere di tutti tre li oratori, nararono d'esser stati da Soa Majestà, alegrandose di tanta vittoria nomine Dominii, a li qual el Re molto ringratiò, dicendo: questa Signoria esser soa carissima amiga, et che li havia mantenuto la fede li havia promesso, et che voleva lui medemo scriver a questa Signoria, come fece. Oltra di questo, ditti oratori dimandono licentia di repatriar, maxime Paulo Trivixano, perchè era consunta la sua legatione. Et in questa mattina medema, che zonse tal nuova molto molesta a tutta la terra, la Signoria mandò per tutti li ambassadori erano quivi, et a uno a uno li notificò ditta vittoria et intrata dil Re, et con mons. di Arzenton ambassador de Franza si rallegrò molto, dimostrando haver gran piacere: tamen non ferono dimostratione alcuna ni de soni ni de fuogi, come fece a Milano, che a dì 26 ditto have la nuova, et el Duca ordinò campane et la notte fuogi. Et poi a dì 27 fo fatto ivi processione, ringratiando Dio di tanta vittoria. Ancora a Fiorenza et Ferara dimostrono grandissima allegrezza, facendo feste e fuogi, et cussì in alcuni altri lochi.

Et l'ambassador de Napoli Joan Baptista Spinelli era in questa terra, la mattina a dì primo Marzo, havendo habuto grandissimo dolor, andò in Collegio a la Signoria, con el qual el Vice Doxe, perchè el Prencipe era amalato, fo doluto assà, et usatoli parole accomodate, per le qual poteva intender intrinsice, nostri non avrebbeno voluto tal cosse. Et poi ditto orator domandò che la Signoria li dovesse dir quello lui volevano facesse, o star qui o si dovesse levar e andar via, non essendo più Napoli in poter dil suo Re, licet le fortezze adhuc si teniva. Unde per la Signoria li fo risposo, prima facesse quello a lui pareva, et altre parole a mi incognite conferiteno; tamen che, tenendosi li castelli, poteva restar come ambassador, et che sarebbe honorato. Et cussì ditto orator restò, ma non andò molto fuor di caxa, et in questa matina non havia collar d'oro al collo, [236] sì come portava prima la vesta. Et li altri ambassadori, eccetto Arzenton, andono a caxa soa a dolersi dil suo Re, el qual mons. di Arzenton era molto aliegro, et fece qui consolo dil Reame uno fiorentino, chiamato Bartholomio de Nerli, el qual era molto rico et mercadantava et era zenero di Joam Frescobaldi assà nominato, che in questo anno morite; et questo fece in loco di Piero Martineus era consolo in questa terra sì dil Re di Spagna quam di esso re Ferando; el qual però sempre exercitò el consulato. Et altro non seguite.

Aduncha el Re di Franza, sì come di sopra havete udito, è intrato in Napoli, et assà cose accadete in brevissime hore, et si puol dir haver acquistato el Reame in 7 zorni et non più, però che a dì 14 intrò in S. Zermano, et a dì 21 in Napoli, cosa quodammodo incredibile et miranda, et nunquam haver hauto contrasto de Aragonesi: et si el fusse venuto a tuor el possesso, sarebbe stato più zorni. Et questo è processo, perchè caxa di Aragona non ha habuto niuno li sia stato fidele, che pur a uno castello vi sta grandissimo tempo uno exercito ad haverlo, pur si voglia mantenir. Et esso Re non volse aspettar fino a dì 25, che si preparava el triumpho; et za Napolitani havevano dato principio a butar assà muraglie a terra per farli più honor a la soa intrata, tamen ben che cussì sotto sora, intrò. Fo decreto perchè Soa Majestà che habuto li castelli lui vi serà Re de Napoli, e intraria poi secondo il consueto regio[123]. Ma prima che alcuna cosa descriva de li successi seguiti lì in Napoli, voglio di questa città alcuna cosa descrivere.

Napoli, città regale, o vero sedia di Re, fo chiamata olim Parthenopea, fo edificata zerca 1000 anni avanti lo advenimento de Christo da Diomede in sul lito dil mare, et da Tito Livio nel ottavo de la prima Deca assà di questa è scritto. Fo sottoposta a Romani, et da 300 anni in qua da Re subiugata, i quali hanno però dato continuamente il censo a la Chiesia. Ha belli templi, mure, palazzi, zardini et roche superbissime, et in ditta città vi sono quattro castelli: Castel nuovo, che fo edificato o vero riconzato di novo per re Alphonso, dove è tal lettere: Alphonsus regum princeps hanc condidit arcem. Poi è la torre di San Vicenzo et Castel di Capuana, et e da l'altro campo di la terra, Castel di l'Uovo, situato e torniato di mare, ove è tal epigramma:

Ovum ritro novo; non sic turbor oro.

Dorica castra cluens tutor; temerare timeto[124].

[237] È ancora uno bellissimo monastero di Santa Chiara, è una gran cosa; sono 100 religiose donne, et fo edificato per la moglie di re Ruberto. Poi è Santa Maria di Carmini in capo di la piaza, monasterio de frati, et assà monasterii et chiesie in la terra, li qual, gratia brevitatis, qui lasserò di scriver. Et fuora di la terra, sopra uno [238] monte alto, distante da Napoli uno mio, è il monasterio di San Martin de frati certosini, e lì a presso ha una fortezza con la chiesia, et è nuovamente fabricato. Circonda Napoli mia 3, mostra forma di scorpione, brazando il colpho di mar con le do zaffe, et verso la terra voltando la coda, come di sopra fortasse ho scritto. Ha gran populo, belle chiesie, et meglio acasado; di fuora bellissime possession et zardini con gran palazzi. È il mercado in piazza di Venere, et in cao di la piazza è una fontana granda, et poco da canto è a modo di uno tabernacolo con una colonna di porfido in mezo, dove re Carlo fece taiar la testa a re Coradin, re di Napoli. Di questa città fo Bonifacio (IX) pontefice, de la stirpe de Tomacelli, et Joanne 23 de Cossa; et etiam in questa vi habitò Virgilio, Livio et Oratio; et ancora Virgilio è ivi sepulto, che fu sommo poeta. Et mia do lontano de qui è una montagna concavata, longa mezo mio, et larga vi pol andar 4 cavalli a paro, alta meza lanza, et in alcuni luogi una lanza e meza, è di sorte di sasso di tuffo, si va con torze accese o vero lume per essere obscurità grande et assà polvere: la qual concavità fo fatta, come si dice, per Lucullo romano. Non voglio descriver le delicie havea re Alphonso in ditta città di Napoli; pur qualche parte, a eterna memoria, qui farò mentione. La sua munitione era tre stalle: in una bellissime armadure discoperte, di armar homeni da cavallo da capo a piedi; poi un'altra con assà numero di curazze et balestre liziere; poi in la terza X bombarde grande di metallo, tra le qual do grandissimi passavolanti, poi curazze assà da fanti a pe', in un'altra parte assà bombarde di ferro, da forteze et galee. Questa munitione era arente il castello dove habitava el Re, ma nunc tutta disfatta.

El zardin dil Re era in loco alto, con muri grandi, arbori producono ogni generation de frutti, naranzeri et limoni, et conzati li fruteri a torno con li naranzeri parevano spaliere; et in capo di uno altro zardin era una habitation di assà bestie volative, et ne l'intrar come armeri pieni de cunii (conigli) bianchi; item a modo di una cheba di ferro, dove erano oseleti, merli, tordi et altri oselli, tra i qual uno corbo bianco, uno beretino et uno negro, che parlavano; papagà beretini assà di ponente, in cabie; poi una camera con assà chebe di papagà di ponente in cabie, uno solo verde di levante, tra i qual era uno, habuto dal Re di Spagna, trovato in una isola nuovamente trovata, grande come Italia.

Questo papagà era grande come uno beretin di ponente, la testa bianca, el beco bianco, i pie' bianchi, sotto la gola dal beco fino [239] al petto tutto rosso, et il resto verde. Item uno altro ortesello tutto naranzeri, et limoni solamente; uno altro, chiamato paradiso, dove era limoni, zedri, naranze, pomi d'oro, zensamini et mirti in gran copia, salizato di pietre, et una bella fontana et una pissina, una tavola, una credenziera e una cappelletta da dir messa, tutta fatta di... de mirto. Et el Re poteva venir in sti zardini dil castello per alcuni ponti levadori: tra i qual orti era una via si potea zostrar. La libraria dil Re era in una camera sopra la marina, dove era assà copia de libri, in carta bona, scritti a penna, et coverti di seda et d'oro, con li zoli d'argento indorati, benissimo aminiati, et in ogni facultà. Ma lassiamo questo, et di li ornamenti di Castel di Capuana, dove habitava re Alphonso, in vita dil padre, alcuna cosa scriviamo. Prima una camera ornata di depenture, ne la qual era uno organo, con li fianti di uno legno ditto ferulla. Et di questa se intra in un'altra più ornata di pitture, con uno organo di camera, con li canoni di carta, uno canon dorato et l'altro paonazo, che sonava per excellentia. Poi un'altra pur depenta, con tavole longe piene di lavor de cristalli de ogni sorte. Etiam un'altra con lavori bellissimi di cristallo lavorati a oro, et penture in gran quantità. Poi un'altra con tavole piene di lavori di porzelane, cosa dignissima. Poi se intra in una cortisella, dove era un satyro di marmoro abrazava uno puto ignudo con lascivia; el qual puto stava con la faza chinata con vergogna, assà bello et antico. Item una altra fegura antica, trovata a Gaeta nel cavar di fossi dil castello. Poi se intra in una camera a pepiano, grande, ornata di veludo pelo de lion, et cussì el letto con uno fioron d'oro, con l'arma in testa, da lato et in mezo. Poi in una, ornata di veludo verde a torno, con il letto ut supra. Una altra di ormesin vergado, similiter il letto: una di tabì intorno una ferza beretina et una negra a la divisa, et uno studio tutto intorno et di sopra lavorato di tarsia; sopra la tavola uno bellissimo tapedo damaschin, sopra el qual era 4 libri coperti di seda, con li zoli et cantoni d'arzento, zoè la Bibia, Tito Livio et Petrarca, uno caramal grando, tutto d'arzento, do candellieri de diaspro, et la ymagine dil re don Ferando vechio, di bronzo. Di qui si va in uno oratorio o ver capelleta, ornata a torno di veludo negro, con una pala pincta per excellentia, con 4 candellieri de diaspro. Poi se trova tre stalle, et se intra in una camera ornata di razi et tapezerie, poi in un'altra con figure depente, et il letto coperto di panno d'oro. Demum un'altra similiter fornita. Uno studio ornato, con libri coperti ut supra, et la figura dil Pontano gran secretario dil Re, homo dottissimo, zitata [240] di bronzo. Poi si monta in alto, et si trova la speziaria dil Duca, con gran copia.... Et ussiti di questo palazzo, se intra in la stalla, dove erano 200 corsieri; poi la caneva con gran copia di botte grande, et in un altro zardin, dove di Zener era pome granate fresche. In cao di questo, uno altro bello palazzo, et una fontana, et tre camere: una ornata di tapezarie, l'altra di picture, et la terza pur di varie picture, con le letiere coperte di seta et d'oro. Montati su scale si trova pozuoli da star al fresco, mirabili; poi si discende in altre camere ornate ut supra, et uno oratorio dove era el Duca de Calavria, zoè don Alphonso, fatto naturalmente, che stava in zenochioni che pareva vivo; et altre camere et sale. Et questo basti quanto alle cose era in Castel di Capuana, come ho ditto.

In Castel nuovo si teniva le zoie dil Re, dove se intrava in una torre ditta la Torre di l'Uovo, dove era tre organi, uno con li fianti di tela, l'altro di piombo, l'altro di..., che tutti tre sonavano diversamente. In mezo questo loco era un repositorio con gran artificio fatto, con 430 casselette una sopra l'altra, da cavar et metter, lavorate a oro, fatto per medaie et camei, che ne era in gran quantità: et qui su una tavola quadra, coperta di veluto negro, mostravano le zoie a li orator. Era gran quantità, varie, di sorte diverse, collane, colari etc.

Lasserò le delicie havea il Re a Pozoreal, con le camere ornate d'oro et di seta; et in una de le qual era la coperta di panno d'oro sopra rizo, con uno moschetto damaschin, dove soleva dormir el Re talvolta l'istate, et soleva tenir in la credentiera quando pastizava ad alcuno 60 vasi tra picoli et grandi, oltra li altri arzenti, le cariege d'oro con cuscino di panno d'oro da zapar suso. Li scalchi erano don Fedrigo et don Alphonso abate, poi duchi, conti et marchexi stevano in piedi, davano 50 bandisone. Et accidit che re Alphonso dete uno pasto a l'ambassador veneto quivi a Pozoreal, essendo Duca, che durò la cena da hore 20 fin do hore de notte, et tamen tutte queste cose Alphonso lassò, non però che il meglio potesse non portasse con lui. Et Franzesi questi castelli occupono, non servando quello faceva Aragonesi; ma, come intesi, in camera dil Re di Franza medemo atacavano le candele al muro, et ogni sporcicia faceva in li più ameni luogi. Era con el Re 2000 osti che lo seguiva, i quali intrati in Napoli, non si teniva più bottege aperte per la terra, ma tutto a torno la piaza era queste ostarie, dove Franzesi si andava a usar l'exercito loro con Baco, et poi seguiva Venere. Et de li quattro banchi erano a Napoli, zoè Strozi et Medici fiorentini, [241] Spanochi senesi, et Palmieri napolitani, fo fatto parte ostarie, et in parte stava meretrice venute col Roy. Se diceva messa in franzese et in italiano. Era carlevar quando intrò, et la quaresima li predicatori predicava, ma niun andava a le prediche. Le donne principal o andavano fuora per le ville o vero in monasterii, et in quello de Santa Chiara ne era zerca 2000. Et come da chi vi era intesi, la settimana santa el Re non vardava a far quello li piaceva, come dirò di sotto, con alcune soe favorite, et per Pasqua niun quasi si comunicò. Li frati erano partesani, chi anzuini et chi aragonesi, zoè tenivano; et el zorno de Pasqua, che tutti assueta andar a le chiesie, non se vedeva donne per la terra; et dove erano alozati Franzesi, in casa de cittadini, per non haver briga de comprar legne, brusavano porte et finestre, et fino le botte; et si li patroni volevano resister, erano feriti, come tutto più avanti descriverò, a Dio piacendo. Et el Re, intrato che 'l fu, fece uno editto non fusse dato impazo a Zudei, tamen poi comportò ogni danno li fo fatto. Anchora (fu) contento Marani ritornasse, et li de' salvo condutto, poi lo rumpete, et li retene, et manzò zerca ducati 12 milia. L'era dil Consejo dil Re zerca X: Samallo, Felippo mons. barba dil Re, marascalcho di Beucher, marascalcho di Giae, mons. de la Tramuil, de Obegnì, do Mompensier, de Lignì, de Miolans, lo Preosto di Paris etc. El Pontano gran secretario dil re Ferando, summo philosopho et litteratissimo, rimase a Napoli, nè volse andar col suo Re; et in casa soa era alozato el Preosto di Paris. Or questo Pontano fo chiamato dal Re de Franza per inquerir alcune cose, per la longa pratica havia di quel Regno, et li fo fatto bona compagnia. Ma a le cose seguite per zornata, da poi l'intrar dil Re in Napoli, scriviamo.

Quello seguite in Napoli da poi lintrata dil Re di Franza.

A dì 24 Fevrer continuamente bombardando, quelli dil castello, sì etiam Pizofalcon et Torre S. Vincenzo, la terra, adeo non si poteva andar per Napoli. Et el Marchexe di Pescara era già partito et andato in castel di l'Uovo, dove conferite con Ferandino; et poi tornato in Castelnuovo dove era, et questa è la verità, a custodia todeschi 350 et biscaini 150, forniti di vittuarie per anni do, formenti, farine, carne salade et formagi; et li mortari erano molto operati, perchè sfondrasseno le caxe. Franzesi veramente etiam loro bombardava ditto Castelnuovo, maxime la parte di la cittadela, tamen faceva poco danno, et poco più basso che li merli si poteva [242] bombardar el castello, et solum da una banda. Et vedendo el Re de Franza non lo potendo haver per forza, et che non stimavano forche nè altro, havendo però li soi in questo zorno preso la cittadela vicina al castello, et con fuoghi artificiadi ruinò qualche parte de ditte muraglie, et con grandissimo impeto introno dentro et amazò alcuni custodi, che non poteno fuzir cussì presto, et trovono do bombarde grosse, le qual le vastano, non havendo tempo de far altro mal, et quelli dil castello molestandoli con le artegliarie, conveneno Franzesi ritornar in loco più securo, a li repari havia fatto. Et el Re deliberò di veder si poteva haver a patti, et si comenzono a parlar con quelli dil castello. Andava persone in colloquio dentro con ditto Marchexe, el qual in questo zorno ussite et andò in Castel dil Uovo, demum a Yschia; et tra i altri Zuan Jacomo di Traulzi andò a parlamento con ditti custodi, dicendo che in termine almeno di hore 20 si dovesse render, altramente che, havendolo, li jurava, nomine Regis, de far el Marchexe di Pescara in quattro parti; ma si se rendevano li daria tutto el suo stato et li fece altre promessione, et che accettasseno el partito, altramente, havendolo per forza, tutti anderia per el fil di la spada. Al qual ditto Marchexe rispose: volersi tenir 20 hore, 20 zorni, 20 mexi et 20 anni et in eterno, si tanto el vivesse, per el Re suo et per caxa di Aragona, per la grande fede lui portava, per esser loro arlevato, et che voleva che più fede se ritrovasse in lui solo che in tutto el resto de Italia; che in fina mo, havia el Re de Franza prosperato, ma che d'indi non haverebbe cussì, perchè eran tutti disposti di mantenir caxa di Aragona in piedi, cridando tutti tutti: Ferando! Ferando! Aragona! Aragona! Et el Traulzi li rispose come la roca di Gaeta si havia reso, et che non sperasse soccorso. Et lui disse: nol credo, come era la verità; però che sapeva ben lui, esser ivi fidatissimo per il suo Re; et in Gaeta era come in Napoli, la terra per Franza, li castelli per Ferando. Et conclusive ditto Marchexe disse: ve ne andate, nè più tornate, nè mai si pensa el Re de Franza che mi renda; et pregate Soa Majestà che, havendomi vivo ne le mani, faci quello mi ha mandato a dir; perchè disposto son al tutto di voler terminarme. Tamen poi si parti, et andò in Castel dil Uovo, come ho ditto di sopra. Ma el Re de Franza stava con molta paura; per le continue bombarde et mortari venivano trati, per la terra non si andava: era una cossa molto oscura veder quella degna città in tanta terribilità. Tamen Franzesi per questo non restava con le sue artegliarie far danno a li castelli.

A dì 25 ditto la torre di S. Vicenzo in Napoli, vicina al Castel [243] nuovo si rese a Franzesi, et con quelli dil castello feceno trieva per tutto ozi et doman a mezo dì, per veder se si potevano acordar. Et la notte zonse tre galie, et messe in ditto castello fanti 150. El cardinal S. Piero in Vincula era in Napoli alozato ne l'arciepiscopato. Et in questo zorno li ambassadori veneti andono a visitar Soa Signoria, el qual mostrava esser molto amico de quella. Et è da saper che uno zorno el Re li mandò fino a caxa a far uno prexente di la badia di San Zermano, era dil Cardinal di Medici, con pensione de ducati 2000; et ditto Cardinal disse: non creda la Majestà dil Re che io lo siegua per haver abatie, ma solum per l'amor et fede porto a Soa regal Majestà. Et mostrò refutarla; tamen el Re mandò a dir voleva l'havesse.

Intrato el Re in Napoli, tutto el Reame era sottosopra; tutte le terre di la Puia, et quele di la Calavria, Terra di Lavoro etc. da loro medeme levavano una † bianca in campo rosso che, come ho ditto, non sapevano far l'arma de Franza: et dove andava suo araldo era il ben venuto. Pur Camillo Pandon, vice re per Ferando in Puja, habitava in Otranto, et fo causa che alcune terre non se rendesse, come quando scriverò l'acquisto, dirò il tutto.

In questo zorno di XXV Fevrer acadete cosa in Napoli molto acerba, ut ita dicam, a tutta la christianità: che Giem sultam, fratello dil gran Turco, el qual questo Re tolse dal Pontifice et lo menò con lui; et in camino avanti el Re intrasse in Capua si amalò, fo divulgato da cataro, el qual li era disceso in uno ochio et nel stomego, o vero fusse reuma; tamen intrò in Capua, et stava sempre apresso dil Re. Et pur crescendoli el mal, fo portato in bara in Aversa, poi in Napoli, dove li medici li feno molte provisione, cavando sangue et altri remedii, et alquanto migliorò. Pur la febbre li cressete, onde non volle provisione alcuna che, ita volente fato, in questa matina expirò, fermo e costante ne la fede soa. La qual morte fo grandissimo danno sì al Re de Franza, quam a tutta Italia, et maxime al Pontifice; che lo privò de ducati 40 milia d'oro haveva ogni anno da suo fratello, per caxon havesse custodia de lui. Et a hora, non dubitando più dil fratello, si inanimerà contra cristiani, che Dio nol voglia: che se niuna cosa teniva Turchi a passar in la Puja, era che 'l Signor non voleva mandar gran quantità, a ciò che non si levasseno poi contra di lui, sublevando questo suo fratello, ch'era amato da li populi, et huomo assà bellicoso et de grande animo. Nè ancora voleva mandar poche persone, a ciò non fusse rotte: sì che questo suo fratello era buona causa di far star basso ditto signor [244] Turco. Et pur ogni anno veniva de Turchia in Italia ducati 40 milia venetiani. Et el Re di questa morte dimostrò haver gran dolor, et sospettavano el Pontifice non ge l'havesse dato attossicato a termene: la qual cosa non erat credendum, perchè sarebbe stato suo danno. Or, come si fusse, morite; et fu poi in deposito mandato a Gaeta. Questo, mentre era in camino, era custodito da 1000 franzesi et altre generatione; havia con lui turchi che lo serviva, et havea libertà de andar per el campo a suo piacer.

A dì 26, passato mezo zorno, fo molto bombardato el castello fino la sera, non havendo voluto acordo. Et el Re andava ogni zorno fuora di la terra per quelli zardini et lochi ameni et colletti (colline) a la caza con grandissimo piacer, et lassava bombardar a li soi. Ma Ferandino, come fo a Yschia, et che messe zoso la soa brigata, volendo passar in Cicilia, convenne per fortuna restar et ritornò a Castel dil Uovo, sì per inanimar li soi di le fortezze, quam per sopraveder. Et andava inanzi et indrio a suo piacer, zoè da Yschia a Napoli, et poi la sera ritornava a Yschia; et fo ancora a Gaeta a sopra veder quelle cose dil castelo.

A dì 27 et 28 ditto fo pur bombardato per Franzesi; tamen con poco danno dil castello; et erano più fermi che mai.

A dì primo Marzo 1495 la notte venne Villamarin con cinque galie al muolo di Napoli, et brusò uno galion et una galia de le rimaste in porto; poi tornò da re Ferando; et ancora una galia, la qual fenze di esser fuzita et venuta dal Re de Franza, tolto assà robbe di la Rayna et di don Fedrigo, insieme con le ditte ritornò dal suo Re. El qual fo divulgato havia 14 galie, tamen non andava a torno se non con tre. Et za li zorni passati havea mandato uno suo dal Re de Franza, per veder se poteva acordarsi, et haver qualche stato lì in Reame; ma ditto re de Franza non voleva udir parola per darli stado in quelle parte, ma ben li prometteva in Franza. Et vedendo le cosse cussì disperate al tutto, Ferandino deliberò de andar in Cicilia a trovar el padre, e forsi passar in Spagna, lassando don Fedrigo a Yschia, a ciò facesse quello lui faceva per inanimar li custodi de li castelli, et etiam di quello di Gaeta. Ma el Re de Franza dolendosi molto di la morte dil fratel dil Turco, deliberò di tenirla secreta quanto più potesse, et non volse per alcuni zorni se sapesse la verità, o fosse vivo o morto, ma ancora da poi sepolto fece far quella custodia medema a la caxa come prima, et star lì sui deputadi a la guarda, et vi andava medici; et fin a li ambassadori veneti non volse dir alcuna cosa, benchè ditti oratori la verità sapesseno, [245] et havia subito advisato la Signoria. Tamen non molto da poi per Napoli ogni uno intese el certo, et Franzesi diceva el papa ge l'havea dato atossicato, perchè post mortem li fu trovato alcuni segni di veneno sul corpo; et siccome scrivono li dottori, maxime quelli tratano de venenis, come Piero di Abano et altri, che si puol dar veneno a uno, et non farà l'operation se non al termene constituto. Or sia come si voglia, questa nova subito per molte vie fo notificata al gran Turco, tamen non lo credea, come dirò più avanti. Et el Pontifice sopra tutti li altri mostrò haver grandissimo dolor, et etiam come sì presto el Reame era perso.

Questo Re de Franza era devotissimo, et ogni terra dove l'intrava, prima andava in chiesia, et ivi stava do hore in oratione, ringratiando Dio; ogni prima domenega di mexe se confessava et comunicava; non cavalcava la festa; varisse di mal di scrovole, secondo el costume regio de Franza, disceso da Santo Ludovico re, et qui in Italia molti del mal preditto segnando varite, ut dicitur. È magnanimo perchè dona e fa molti presenti, et tra li altri, da poi intrato in Napoli, conferite assà privilegii et fece molte exemptione ad alcune terre che li dimandono; restituite a molti baroni li loro stadi, et quelli li investiva et si faceva jurar omazo; et quelli contadi, che non si trovava heriedi veri et antiqui baroni, li conferiva a soi benemeriti franzesi, ita che sempre era in conferir gratie, doni et beneficii; et in questo li soi cancellieri et secretarii erano molto occupati, maxime uno chiamato Rubertet ch'era di primi. Et havendo za fatto uno dei soi capetani in uno ufficio in Reame, zonto che fo el Principe di Salerno, inteso che ditto offitio a lui aspettava, revocò dal suo barone, et libere dette a ditto Principe, el qual ritornò nel suo stado, come dirò di sotto. Et ancora per angarizar manco Napolitani, molte di le sue zente, oltre quelle si sparpagnò in la Puja et Calavria con le zente italiane, volse, che molte erano in Napoli, uscisse et andasse ad alozar a Aversa, Nola, Capua et Gaeta, licet ancora la roca si tenisse, o vero castello, et in altri lochi ivi vicini, et pur si sforzava di haver le fortezze di Napoli. Ancora fece molti editi, tra i qual, che tutti quelli habitanti in Napoli, che havesseno formenti et farine, si dovesse dar in nota in termene limitato, altramente quelle fusse perse, et restino condennati di pena per saco ducati 100; et tutti quasi si andono a dar in nota, unde par la farina crescesse un poco più, et venne grandissima bondantia di ogni cosa. Tamen Napolitani subito comenzono a esser mal contenti de Franzesi: questo perchè erano li vassalli in le sue caxe, [246] et Franzesi li patroni. Creteno (credettero) haver exemptione, et li capitoli a loro modo, et nulla ebbeno: ymo el Re vuolse scuoder avanti el tempo una gabella pagavano da Pasqua, come dirò di sotto. Li Zudei fonno scaciati, et messi a saco quelli pochi erano restati, da Franzesi; licet essendo edito dil Re non li fusse dato noja:ma non poteva obviar a la furia di le sue zente. El stato dil Principe di Squilazi, fiol dil Pontifice, andato con Ferando via, dete a suo barba Filippo monsig. Fece monsig. de Citem, za fo qui ambassador, sopra le artegliarie et munitione de Napoli. El ducato de Ascoli dete a monsig. di Beucher, licet li fioli dil signor che era fusse in la roca di Gaeta. A monsig. di Arzenton, era qui suo ambassador al presente, li dete la trata di trazer di Reame, et etiam li resalvò un buon officio in Napoli. Et gran siniscalco del Regno, monsig. di Lignì suo cusino. Et gran armiragio, monsig. di Beucher nominato di sopra, o vero governador dil Regno, zoè di l'intrade. Monsig. di Mompensier, come ho ditto za, era instituido dovesse romagner Vicerè di Napoli; et de la Calavria Vicerè monsig. di Obignì; et di la Puja Vicerè monsig. di la Spara (de l'Esparre); et cussì a tutti li soi conferiva de beneficii de ditto Reame; a alcuni baroni etiam erano scaciati, tra i qual el conte di Mariano have el suo stado, per esser sta antiquo suo. A Colonesi, come di sopra scrissi, dete el contà de Fondi, rende de intrata ducati 12 milia, et qui in Napoli li fece la investisone et privilegii. Al conte de Fondi dete el contà d'Albe et de Zelano. La badia de San Zermano dete al cardinal S. Piero in Vincula. È da saper Medici havia solum ducati 2000 di pensione, et el resto re Alphonso godea; et però San Piero in Vincula contento de dar al ditto cardinal tanti altri beneficii de ditta quantità, et a lui restasse libera ditta Abatia. El cardinal de Zenoa con domino Obieto dal Fiesco che, come dissi, erano montati su le nave et slargati in mar, habuto salvo conduto dal Re, dismontò, et volendo andar el Cardinal per Napoli, cadete di cavallo, si fece mal a la spala, adeo fo portato a caxa: et li oratori veneti andono a visitar Sua Signoria et poi, varito, si fece più amico dil Re cha li altri, et quello seguitò et per li sui operò insieme con ditto Obieto per esser cai di parte di Zenoa.

El sig. Virginio Orsini et el Conte di Petigliano in questo tempo erano a Castelamar, retenuti per el re de Franza, ma el Traulzi si acordò col Re nel numero di soi cinque capitani con ducati X milia a l'ano et 100 homeni d'arme.

Non restava continuamente el Re de Franza de far bombardar [247] Castelnovo, et quasi una parte era vasta et brusata, ma poco li custodi si curavano, ymo li respondevano gagliardamente, danizando la terra, et fonno amazati de quei dentro zerca 40. El Re stava in Castel de Capuana, occupato in dar audientia, confirmar privilegii et sottoscriver donationi: pur andava a la caza, et talhora sopra li repari, et a quelli faceva bona bota con le bombarde molto li laudava, ut dicitur, li donava danari per inanimarli. Unde loro, vedendo el Roy, feva el dover; et li fo manifestado come a uno monasterio, chiamato le Madalene, in la città, era sta scose 4 bombarde grosse per Aragonesi sotto terra, et quelle mandò a tuor et fece piantar per bombardar el castello. Et mancando polvere et ballote de ferro, perchè li soi passavolanti non trazeno se non balle di ferro molto grosse, mandò a tuor a Hostia di le soe galeaze per terra, a ciò fusseno portate più presto. Le qual galeaze veniva a Gaeta, demum a Napoli di longo. Et mandò alcuni commessarii franzesi con 4 cavalli per uno et non più, per più magnificentia, a molte terre sì di la Puia quam di la Calavria, a dimandar dovesseno levar le sue insegne, et ivi tuor el possesso: et cussì zente italiane, zoè Colonnesi, andavano ivi dintorno. Manferdonia levò le soe insegne. Trani et Leze feceno in questi zorni alcune moveste, perchè erano tutti levati a romore, et messeno a saco li Zudei, et li dette alcuni tormenti, a ciò confessasseno dove era il suo haver. Qui a Leze era Polo di Priuli, di Domenego fiol, patricio nostro, in questo tempo. Da lui intesi che vene monsig. di la Spara Vicerè prima a Monopoli, et fo a mezo quaresima, dove fè zurar omazo al Re; demum la Domenega di Lazaro fo a dì 5 April, ditto Vicerè intrò in Leze con 160 cavalli et havia con lui uno zerman dil gran maistro de Rodi, chiamato monsig. de Libret, et andò in chiesia col Vescovo, perchè fo honoratamente ricevuto, poi in castel fe' zurar omazo ai sinichi di la terra et a li baroni, prima fe' lezer la patente publice in chiesia. Et è da saper che antiquitus el Signor di Leze si chiamava Duca di Leze et conte di Matera. Or fece uno edito che tutti li debitori havesse do anni di comodità di pagar, et cussì ordinò fusse publicato per tutta la Puja. Poi andò a Otranto, come dirò di sotto. Et questo Vicerè havia gran libertà; tamen in le concessione che faceva sempre diceva: essendo cussì la volontà dil mio Roy. Qui a Leze vi sta consolo venetiano, et etiam a Trane per antiqua consuetudine. Ma basti zerca a ste cose di Puia; le qual, licet non sia a hora il suo tempo seguito di scriverle, pur ho voluto commemorarle, a ciò ogni cossa inquerita habbi memoria. Molfeta mandò li soi ambassadori a [248] Napoli a fermar li capitoli col Re; si levono le insegne preditte di Franza, et cussì continuamente acquistava qualche terra: et se niuna restava, era perchè li castelli ancora si teniva per re Ferandino, et non volevano romper l'omazo zurato di observar a caxa di Aragona. In Bari se ritrovava el Cardinal di Ragona, zoè nepote di re Alphonso, et don Fedrigo non restava di voler acordo col Re de Franza; era contento di haver la sua baronia, che era di la dote di soa moglie l'ha al presente, che fo fia dil Principe di Altemura. Ma el Re non voleva darli per niente alcun stato de qui, ma ben do volte tanto in Franza.

A dì 4 Marzo essendo venuto el cardinal Curcense in Napoli, li oratori veneti lo andò a visitar.

A dì 6 el Re de Franza humanissimamente parlò ai cittadini napolitani, dicendoli che non era venuto per cupidità di acquistar danari, nè per usurpar cosa alcuna, ma per beneficio et augumento universal, per liberar questo regno de tyrannide, e principalmente per remetter li baroni ne li soi stati, et restituir a cadaun le cose soe; diffalcando ducati 250 milia dil pagamento feva far li Re passati di caxa di Aragona, zoè era contento di haver lui tanta quantità manco a l'anno, et di questo ne feva uno presente, et distribuite 50 offitii lì in Napoli, zoè 40 a zentilhomeni et X a plebei. Item li exortono volesseno far la description de tutti coloro che erano atti e volevano exercitar l'arte militar, che a tutti, secondo le condition di cadauno voleva dar soldo, et cussì a quelli si exercitava in cose maritime; et voleva che ogni uno stesse bene, secondo le virtù loro, sotto la sua corona. Le qual parole fo molto grate et acete a tutti. Ma oltra de questo non volse pagasseno sal, tamen che lui voleva far vender in uno magazen, et saria stato questo medemo perchè lo haveria montato. Et mandò a dimandar a le terre rendute li doni consueti quando intra un Re nuovo in dominio, chiamato sussidio caritativo, et a bon hora comenzò a richieder. El qual, come fo divulgato, sarebbe da 60 in 70 milia ducati; et di subito habuto li castelli, mosse fama volersi partir, et ritornar in Franza. Ma Napolitani comenzono a star mal contenti, non havendo potuto obtenir li privilegii volevano, maxime di una impositione a loro noiosa imposta per re Ferando vechio, che pagava annuatim al Re da Pasqua certa quantità, zoè tanto per fuogo. Et non solum el Re (non) li volse assolverli, ma quella voleva al presente, dicendo havia de bisogno de danari per pagar le soe zente. Et a dì 25 April erano assueti de pagar le doane di le piegore ducati 100 milia. Et el Re, havendo bisogno, [249] chiamò queloro havevano tal cargi, dicendo si di presente a dì 8 Marzo li volevano dar ducati 60 milia, li sparagnava el resto. Et Napolitani si scusavano non haveva da darli. Era in Napoli, come per una lettera di Zuan Bragadin patricio nostro vidi di 9 Marzo, Franzesi 15 milia, et in Reame 25 milia, omnibus computatis. Fo divulgato el Re havia terminà de menar con lui in Franza 200 cittadini napolitani, et lassar 7 in 8 milia cavalli et 4000 pedoni franzesi in Reame: el resto menar con lui. El sig. Virginio Orsini et conte di Petigliano erano presoni, menati di Nola a Castelamar mia 18 lontan da Napoli, solicitavano la sua liberatione, dicendo non erano presoni, ma con parola dil Re erano stati retenuti, o pur, si piaceva a Soa Majestà di darli soldo, che volentiera restariano con quella. Ma per Franzesi li fo dà taglia ducati 50 milia, et la sua cosa mandata in longo. Ma el Traulzi era conduto al soldo dil Re, come ho scritto, con homeni d'arme 100, et 100 balestrieri, et 100 arcieri, con la provisione de ducati 10 milia a l'anno, come scrissi di sopra. Et questo capetanio italiano nel accordo insì (entrò) con gran misterio, per le cose havea in animo de far.

A dì 7 zonse in Napoli el Principe de Salerno con zerca 400 cavalli, et dal Re fo benigne ricevuto, et era el primo in Reame per haver la pratica in quello; et a dì 9 ditto ricevete da li soi de Salerno, che li mandò 57 muli cargi di farine, biava et vino, et certa somma di danari; et poco da poi andò ivi, dove come Dio fo ricevuto, per esser bon et benigno signor.

Havendo mandato el Duca de Milan, subito inteso la intrada dil Re in Napoli, alcuni de soi per tuor la sua ducea de Bari et la contea di Rossano, che erano soi: unde el Re liberamente li fece li soi privilegii et concessione, tamen ancora Bari non havea habuto in suo dominio. Licet tra Franzesi pur se divulgava esso Re, partito de Napoli, voleva venir adosso el duca de Milano, per metter el Duca picol fiul di suo zermano in signoria, o vero per dar ditto stato al Duca di Orliens, el qual era rimasto in Aste, et faceva zente, et è intitolado Duca de Milano; dil qual el signor Ludovico duca ne havea gran paura, et molto di questo consultava con Sebastian Badoer cavalier, era ivi per la Signoria ambassador, come scriverò di sotto. E pur Franzesi cridava a Milano.

In questo mezo quelli dil Castello novo cessò de bombardar, perchè tra li custodi erano venuti a romor, zoè Spagnoli con Sguizari, et tra loro alcuni fonno morti: et era uno capo di Spagnoli, che fo capitano qui in Romagna con l'esercito aragonese, et uno [250] altro de' Sguizari. Et el Re de Franza, intendendo la cagione, partì di Castel di Capuana, et venne alozar in un palazzo più vicino al Castello, et mandò a parlar con ditto capetanio yspano, se si volevano render, et cussì fonno fermati li pati a dì 2 Marzo, che se in termene 4 zorni non havesse soccorso da re Ferandino, se intendesse esser reso, et Franzesi levono il bombardar. Li pati fonno questi: rendersi, salvo l'haver et le persone, et quello Ferando a loro havia donato, et li sia dato a tutti li custodi paga di tre mesi. Et è da saper che questa discordia seguita dentro, ne la qual ne morì zerca 100, fo causa di tal deditione. Adoncha el Castello a dì 7 Marzo si rese al Re de Franza, essendo sta bombardato solum 10 zorni, nè fo rotto altro che le merladure et fenestre, tanto era forte di muraglie; et fo levato le bandiere de Franza. Et qui fo trovato di robbe lassò re Ferandino, che non potè portar via, di più sorte panni d'oro et di seta, per valor di ducati 200 milia: sì che Franzesi comenzò tutti a vestirsi de seda, dove prima erano vestidi de panno, secondo el consueto loro. Et questo basti zerca a Napoli; et de le cosse seguite in questo tempo, maxime a Venetia, comenziamo a scriver.

Ma prima non voglio restar de scriver come el Re de Franza mandò do gripi a Rodi dal Gran Maistro a notificarli questa vittoria, et che li mandasse la sua nave et altro aiuto bisognando, come Franzese.

Cose seguite a Venetia et in diverse parte in questo tempo mezo.

Domente el Re de Franza seguite la sua intrata in Napoli, zonsea la Signoria... dil Duca di Orliens era in Aste, ringratiando di falconi, offerendosi. Et secondo el consueto si dette el titolo dil Duca de Milano. Et fo divulgato, come per lettere de Milano se intese, ditto Duca ivi adunar exercito; et che la Raina de Franza havea parturito una figlia, a la qual fo posto nome...., et havia fatto comandamento al duca di Borbon per tutta la Franza che, exempti et non exempti, dovesseno mettersi in ordine per dover venir bisognando in Italia in aiuto dil Re, però che non havevano ancora inteso el suo felice successo in Reame. Et el sig. Ludovico duca dimostrava haver gran paura dil suo stado, licet sia stato causa di far venir questo Re in Italia. Ancora perchè si dubitava di re Maximiliano, che ancora non havea ottenuto la investisone dil Ducato, come havia mandato a rechiedere, et con la Signoria, si voleva aderir [251] a ogni cosa, spesso consultando con Sebastian Badoer, mediante ei qual si governava, licet fusse oratore veneto, et mandò per Po li soi ambassadori, li quali andò prima a Ferrara, poi zonseno quivi.

Benchè non sia a proposito qui descriver tal cossa, pur per mia satisfatione ne voglio far memoria. In questo anno, a dì 26 Fevrer fo el Zuoba da nui chiamato di la cazza, nel qual zorno per consuetudine antiqua si fa sulla piaza di San Marco ogni anno una bellissima cazza di alcuni tori, et vien tagliato la testa per li scudieri dil Principe a certi porchi; tutte signification come in l'opra de Venetia, dove trato De principio Urbis, de situ et Magistratibus, è diffusamente descritto. Vista la Signoria in palazzo a veder, et a hora, per esser tanti degni oratori in questa terra, fo molto solemne, con certi balletti de mumarie sopra soleri, con fuogi artificiati etc. Era el Principe con el legato dil Pontifice, uno solo di oratori dil Re di Romani, zoè domino Joanne Stainer, perchè cussì fo ordinato a ciò li altri non havesseno a precieder a questi de altri Re. Poi era quello de Franza, quello de Spagna, quello de Napoli, licet za el suo Re fusse partito et el Re de Franza habuto el dominio de Napoli, ma ancora non si sapeva, nè era zonta tal nuova, altro che del intrar in Capua; poi quello de Milano, de Mantoa et de Rimano: mancava de Ferara, che per esser amalato non venne. Et fo bellissimo veder el nostro Serenissimo Principe in mezo dil Legato e 4 oratori di 4 Re li primi di la Christianità, duchi et signori. Poi era assà senatori, et domino Fuciano baron hungaro. Era un grandissimo populo su ditta piaza; fo stimato persone da 50 milia in suso, et era assà varietà de mascare, benchè in questo anno per el Consejo di X fo decreto niun se potesse mascherar senza parte presa nel consejo di X, et però niun si trasvestiva, tamen per far più bella la festa fo preso che de cetero X zorni avanti el marti de carlevar ogniun si potesse stravestir a loro modo.

Intrato che fu el Re de Franza in Napoli, subito scrisse una lettera a la Signoria, molto piacente, savia et piena di rengratiamenti, denotando la sua intrata, benchè le fortezze ancora si teniva, et sperava di breve haverle, et tutto el resto dil Reame. Che quello offeriva a ditta Signoria, come so bona amiga, promettendo di far meglior compagnia a nostri di quello faceva Aragonesi, ringratiando di l'operatione et l'allianza servata, con molte dolce parole, chiamando el doxe zerman carissimo, offerendosi in ogni cosa. Et quello araldo portò ditta lettera in Collegio, per decreto di la Signoria li fu donato ducati 100 d'oro, et vestito, in demostration si [252] havea habuto allegrezza di questa vittoria de Soa Majestà. La qual lettera zonse a Venetia a dì 4 Marzo.

A dì 4 Marzo 1495 zonse a Venetia li do ambassadori dil Duca de Milano, che za alcuni mesi erano stati eletti, et di zorno in zorno dovevano venire: i quali fonno domino Guido Antonio Traulzi episcopo di Como, et l'altro Francesco Bernardin Visconte consegliero dil Duca, fo fiol di domino Sagramoro, homeni degni, et da farne extimatione, et di le prime caxe de Milano, però che Visconti et Traulzi sono le principali, et li duchi tutti, da questo in fuora, si chiamò de caxa de Visconti. Et veneno per Po, steteno 8 zorni a venire, li fo mandato contra fino a Malamoco assà patricii, cavalieri et altri de Pregadi: tra i qual Hieronimo Lion cavalier eletto ambassador al loro Signor; etiam vi andò contra domino Tadeo de Vicomercà, altro ambassador era qui de Milan, et etiam quello de Ferara. Altri oratori non vi andò, nè etiam venne a visitarli, per esser di testa coronà. Venne con li piati fino a la caxa dil Marchexe di Ferara, dove era preparato, et li fo fatto le spexe, et poi dato ducati 100 in uno sacheto, a ciò loro medemi se le facesse. Veneno con zerca persone 60, et vestiti di color. Et la mattina seguente, fo il secondo dì de quaresima, andono a l'audientia, et exposeno la soa imbassata, et cussì l'altro zorno ancora. Se divulgava per tutta la terra, come era la verità, che erano venuti per far la liga, et esser insieme con questi altri oratori su queste pratiche. Et sæpius Venetiani consultavano nel consejo di X con la zonta sì de padri, savii de collegio, quam altri primarii patricii eletti: et se reduseno tre zorni continui da matina et da poi disnar. Se divulgava tramavano de far lega, et sæpius cazavano di Collegio, Conseio di X et Pregadi, li papalisti quando tratavano alcuna cosa di Roma. Et fo ditto el Pontifice al tutto se voleva partir di Roma, per dubito dil Re de Franza, nè voleva star più in le paure et pericoli era stato. Et molti mormorava che 'l verrebbe ad habitar a Padoa o in altro luogo in le terre nostre, o vero in Ancona ch'è terra subposta a la Chiesia. Tamen Venetiani lo dissuadeva non volesse partirsi de Roma et lassar quella terra in abandono, et che provederebbeno che la Santa Romana Chiesia non havia alcun incomodo, nè etiam Soa Beatitudine, et tamen erano su queste cosse dil Pontifice, et per expedir tanti varii ambassadori molto occupati, le cose andava molto secrete. Et in questo tempo ordinò a molti Monasterii religiosi in questa terra, et li mandò la Signoria elemosine a ciò pregasseno l'eterno Dio che inspirasse ne le mente di quelli governava questa inclita Republica [253] a elezer la miglior via per el ben de Italia, juxta illud dictum: in maximis sive minimis implorandum est divinum auxilium. Et ditti ambassadori erano qui andavano spesso vicissim a l'audientia, zoè Legato, Spagna et Milano; quello dil Re de Romani non ussia molto di caxa, et etiam mons. di Arzenton, ambassador dil Re de Franza. Tamen stava admirato di quello havesse a seguire, et cercava con ogni via de intender. Et una mattina, avanti el Re havesse Castelnovo, andò in Collegio rengratiando, nomine regis, di la benevolentia li havia dimostrato in questa impresa, et che havia bona causa de esser sempre bono amigo di questa Signoria, et obligato a far ogni cossa, usando dolcissime parole. Et per el Prencipe li fo risposto sapientissimamente. Tamen a Napoli el Re faceva puoco conto de li oratori veneti, negandoli talor l'audientia, come scriverò di sotto.

Da Corphù per lettere di Alvixe Venier bailo et capetanio de dì 17 Fevrer, et zonte a Venetia a dì 25 Marzo 1495 con uno gripo, se intese come da Costantinopoli veniva uno messo con lettere drizate a la Signoria, de mercadanti, perchè ivi non vi era ni baylo ni ambassador, copiose molto di nove, le qual da Turchi fonno trovate et tolte. Pur capitato el messo le portava a Corphù, notificò al baylo come el sig. Turco faceva una grandissima armata de più de vele 200 per ussir fuora questo anno, et havia ordinato uno grande exercito, più che il padre mai facesse, et questo per paura dil Re di Franza, non facesse quello diceva le prophetie, et come li soi savii di la leze predicevano, che la loro setta mahumetana in questo anno dovea patir grandemente pericolo di penitus esser versa. Et non molto da poi ordinò a 30 milia asappi dovesseno mettersi in pronto et venir a la Vallona. Et per lettere di ultimo Zener da Costantinopoli, dirizate a Antonio Grimani procurator, però che essendo fuora et a pena habuto el stendardo et zonto a Corphù, che morto Zuan Moro fo eletto in loco suo procurator di San Marco, la qual dignità apud Venetos è la primaria driedo el prencipe. Sono nove li primi et veterani patricii. Et ancor pur era capetanio zeneral, et stete assà tempo come dirò de sotto. Or per ditte lettere se intese Turchi volevano andar con l'armata a l'ysola de Scyo de Zenoesi, et quella subjugar, sì come per li oratori dil re Alphonso più volte era stà pregato volesse far, per haver Zenoesi dato gran favore al Re de Franza, et ivi fabricata l'armata et tuttavia li danno, licet ditta ysola sia tributaria al sig. Turco. Per la qual cosa Zenoesi, et più quelli de Scyo steteno di malavoia, et non sapevano che [254] farsi: tamen non seguite altro, et l'armada dil Turco non ussite, sino fo disfornita. Pur prima se intendesse el certo dette da suspettar assà. Et per lettere di ditto capetanio zeneral, venute in questi zorni, fo manifestato la quantità di l'armata facea, come lui era da Costantinopoli de persona fide digna advisato, zoè galie 80, 100 fuste grosse, 30 palandarie, con bombarde zuso che traze da pope, 30 altre palandarie da portar cavalli et zente, 4 nave grosse; et ancora l'exercito terrestre grandissimo, a la summa de 60 milia persone, et che aspettava con desiderio el sig. Turco l'ambassador dil Re de Ongaria, con el qual havia guerra, che ivi veniva per pacificar le cose, et li voleva far ogni patto, a ciò non impedisse el suo pensier de Ytalia. Item come l'ambassador dil Papa et dil Re di Napoli erano partiti da Costantinopoli, et venuti a la Vallona, et aspettava de passar in Reame. Se divulgava el Turco haver dato danari a ditto orator napolitano, et promesso de mandar X milia Turchi in so aiuto. Et al tutto erano disposti ditti Turchi de ressister a questo Re de Franza. Et è da saper, che dil mese di Zener 1495 a Napoli, ritrovandose ivi l'ambassador di esso sig. Turco, fo publicato la paxe fatta et sigillata tra lui et el re Alphonso de Napoli, come di sopra ho scritto: et questo per confortar quei populi.

Et inteso questo da Venitiani molto si dolseno, che questo Re de Franza dovesse esser caxon di far passar Turchi in Italia et ussir sì grande armata in mar, et presono nel Consejo de Pregadi de augumentar l'armada, et far metter banco, et armar in questa terra alcune galie; et za li soracomiti erano eletti, a ciò ussendo ditta potente armada, el colpho nostro, et le terre marittime non fusseno senza presidio, le qual però continue se fortificava.

In questi zorni per decreto dil Consejo di X fo mandato Alvixe Sagudino secretario al sig. Turco, per advisar di la morte di suo fratello Giem sultan, et di quella certificarlo, et etiam per altre facende, a ciò potesse advisar la Signoria dil seguito di la sua armata, et per esser homo pratico et haver la lengua, parse di mandarlo più presto lui, che elezer altro oratore, et etiam per più prestezza. El qual la sera medema, che fo a dì 6 Marzo montò in uno gripo et andò verso Corphù, et zonto a la presentia dil Signor have più accetto la sua venuta che di orator potesse esser zonto, per intender la certezza di la morte dil fratello, la qual havia inteso et non la credeva, come tutto scriverò più avanti, secondo el consueto mio.

Ancora domino Martino Albari episcopo di Durazo, essendo montato in gripo per andar al suo episcopato, non essendo ancora [255] partito de li do castelli, per el Consejo di X, 7 Zener, fo mandato a retener, non andasse di longo, ma a uno de li castelli dismontasse; et ivi stete cum custodia, dove vi andò uno cao dil Consejo di X, et uno inquisitore di ditto Consejo, con li nodari, a esaminarlo et veder si portava scrittura alcuna. Questo era stato a trovar el Re de Franza, et havia offerto a Soa Majestà, volendo andar contra Turchi, XX milia Albanesi, et el Re have molto accetto, et li dette certe commissione, con le qual se ritornava in Albania, per comover quelli populi, havendo però prima dato noticia a la Signoria nostra. La qual, prima facie, mostrò non curarsi; ma poi, considerando era suo homo, et havia el vescovado in loro terre, non se impazando Veneti in niuna cossa, etiam era buono li subditi non se impazasse, non perchè non havesseno voluto el prosperar dil Re contra infedeli, ma perchè sapevano bene el ne havea poca voglia, et comovendo queste cosse, non seguendo poi nulla, el sig. Turco harebbe potuto haverlo multum a mal. Tamen poi fu lassato con admonitione pro nunc non dovesse andar in quelle parte, et stete in questa terra.

In questo tempo el Gran Maistro de Rodi, de natione franzese, armò una barza de 300 botte con 60 homeni suso, et tre caravelle con le insegne dil Re de Franza, et andò in corso in l'Arcipelago. Poi ditta barza si conzonse con l'armata dil predetto Re in Provenza, et cussì fece assà danno.

In Spagna per lettere de dì 17 Fevrer zonte a dì 5 Marzo al so ambassador, se intese come el Re et Rayna con la corte era ancora a Madrit, et che havia ordinato grande exercito, el qual a dì 10 Marzo dovia esser in ordine, nè si sapeva dove el volesse mandar. Ben dette fama contra Mori a lui vicini a li confini de Granata. Et era pregato da li oratori dil re Alphonso dovesse romper al Re de Franza, essendo a hora el tempo, sì per acquistar regno, quam per non esser in Franza chi quello difenda, per haver el Re el fior di le zente franzese con lui. Etiam aiutava caxa di Aragona, tamen non volse mai romper, per la bona paxe havia. Et come intesi, ne li capitoli, inter cætera, vi era uno che esso Re prometteva non se impazar in le action dil Reame di Napoli, le qual diceva el Re de Franza haver. Pur li soi ambassadori mosse certo dubbio a ditto Re de Franza, come ho scritto di sopra. L'armada soa veramente, zoè le 32 caravelle, capetanio el conte de Trivento, erano zonte in Cicilia con lettere drizate al Vicerè, nomeva don Ferando de Cugna, el qual avanti ditta armada zonzesse, a dì do Dezembrio in Catania [256] era mancato di questa presente vita. Era di natione castigliano, et le sue robe fo portate a vender in questa terra: le qual vidi, et era bellissime. Or per esser morto ditto Vicerè, l'armada non fece altro ma ivi dimorò, et non era niuno volesse averzer ditte lettere dil Re et Rayna drizate a questo Vicerè, di quello haveva a far la ditta armata, ma subito scrivesseno in Spagna comandasse quello a loro Altezze pareva. El qual za, inteso la morte dil suo Vicerè, havea eletto uno altro chiamato mons. Joan de la Nuza aragonese, era vicerè di Catalogna, el qual venne in Cicilia con le galie di Barbaria per Vicerè, con gran triumpho ricevuto da Ciciliani, et stete a Messina. Quello di ditta armada seguite, et di le cosse di Spagna, intenderete più avanti.

Ancora a dì 23 ditto, zoè Marzo, per lettere di 5 dil presente mexe de Spagna al ditto suo ambassador, per le qual intese la ferma opinione dil Re et Rayna di voler esser in liga con questa Signoria etc., etiam fu divulgato lo esercito predetto dovea andar a li confini de Franza, verso Perpignano, non però per romper guerra ma per star preparato, et che havia ordinato altra armata di barze et caravelle, le qual dovea venir in Cicilia, capetanio don Consalvo Fernandes de Agilar, castigliano, etiam che el Duca di Alve, con una quantità de gianezari (?) venirebbe. Ma unquam si mosse de Spagna; tamen la ditta armada seconda pur venne, et fo in aiuto da poi la liga di re Ferandino a metterlo in Napoli, benchè tanto stette indarno che fo disfornita.

In Alemagna Maximiliano re de Romani faceva preparatione de far la dieta, et come li soi oratori erano in questa terra, dicevano havea ordinato a dì 2 April, che le sue zente dovesseno esser preparate perchè, o fatta o non ditta dieta, era disposto venir a Roma a coronarse. Et fece uno editto, che tutte le terre franche contribuivano in aiuto di Soa Majestà. Et morite in questo tempo uno Duca di Saxonia molto exercitato ne le arme, di la qual morte Maximiliano have gran dolore.

A Roma el Pontifice con reverendissimi cardinali consultava quello dovesse fare. Era disposto non lassarsi trovar a Roma, ritornando el Re de Franza, perchè el cardinal S. Piero in Vincula con ditto Re metteva grande odio con il Pontifice, et sarebbe stato contento di nova eletione o di far scisma. Fo divolgato che esso Pontifice have mandà bona parte dil suo in Ancona secrete, tamen non fo la verità, ma ben fece certi provisionati, et dette soldo ad alcune zente d'arme, faceva fortificar el castello Santo Anzolo, sì de [257] ripari quam fece cavar li fossi a torno, et deliberò de far che el Tevere passa per Roma li andasse a torno in ditte fosse, le qual continuamente si cava, et cavando trovono musaichi, porfidi, serpentini et medaie, et altre cosse bellissime. Et a dì 14 Marzo cavalcò con la corte de Cardinali et oratori a torno ditto castello, poi andò zerca mezo mio fora de Roma a spasso per ricrearsi alquanto. Et essendo zonto a dì 7 Marzo Hieronimo Zorzi cavalier, ambassador decreto a Soa Beatitudine, etiam vi era ancora Paulo Pisani, con li quali consultava de li rimedii opportuni contra questo Re de Franza. Ma in questo mezo, per interposizione di la Signoria nostra con el duca de Milano, el qual mandò molto celeramente Alvixe Becheto a Nepi, fo pacificato le cosse dil cardinal Ascanio vicecancellario con el Summo Pontifice, che, come scrissi, da poi partito el Re de Franza di Roma, più non era voluto andar a Roma ditto cardinal et seguiva l'odio havia al Papa; et hora, a compiacentia dil fratello, per molti respetti volse ritornar. Et cussì a dì 8 Marzo intrò in Roma con grande honor, et andò poi a visitatione dil Pontifice, dicendo: Recedant vetera, nova sint omnia. Et spesso erano insieme a consultatione, perchè era necessario per le cose occorrente, maxime per la liga si tramava a Venetia, la qual molto dal duca de Milano suo fratello era desiderata, per dubito havea di non perder el stado suo.

Ancora zonse a Roma el Cardinal mons. Samallo, venuto di Fiorenza in questi zorni; tamen el Pontifice scondeva di lui le pratiche di la liga si tramava. El qual Cardinal pur ne intese qualche parola, et poi andò a trovar el Re. Zonse a Napoli a dì 14 Marzo, come dirò di sotto. Et etiam vi zonse a Roma quello ambassador di re Alphonso fo qui, nominato di sopra, chiamato Hieronimo Sperandio dottor, et, stato alquanto, demum ritornò a Napoli. Oltra di questo vi entrò in Roma 200 homeni d'arme con li cariazi di la compagnia dil sig. Virginio Orsini et Conte di Petigliano, i quali fuziteno quando lo exercito aragonese da loro medemi si messeno in foga.

A Venetia adoncha si tramava la liga, la qual have principio volente Deo, perchè niun orator primo disse voler far liga, et tamen poi tutti fonno d'accordo de conligarse: et questo per il sapientissimo Governo di la Signoria nostra. Et in questo tempo, al principio de quaresima, cominciò le pratiche de ditta liga: et veneti patres erano molto occupati in dar risposta a li ambassadori andavano a la audientia, che era bellissimo veder ogni mattina andarvi, et tutti havea fatto capo in questa terra, come quella che non havea ambition de acquistar stado, ma ben per conservar pacifice [258] Italia. Quelli de Milan sollicitava ogni mattina, dicendo non esser tempo de aspettar, et lui solo era contento legarsi con questa Signoria, però che in Italia non reputava fusse altri stadi che Venetia et Milano, come era la verità, per essere do grande potentie; et etiam esso Duca deva danari et prestanze a le soe zente, et quelle faceva metter in ordine, et sollicitaveno de haver risposta. Quelli dil Re de Romani non se curava di altri che di la Signoria, et prima facie mostrò non voler Ludovico, per non esser iuridico Duca, et di lui non volevano aldir parola, nè nominar Ludovico, ma ben el Stado de Milano. Quanto queste parole indicava, lectori vi lasso considerar. Quello de Spagna etiam non se curava de esser ligato con altri che con la Signoria, nè el suo Re li havia dato comissione de ligarsi con altri, nè poteva haver saputo[125] come questi oratori volevano far liga. El Pontifice non se lassava intender: hora era contento, hora dimostrava non farne caso, et era in amicitia col Cardinal di Napoli di casa Caraffa, el qual havia ribellato ad Aragonesi, et teniva da questo Re de Franza: questo perchè a Caraffeschi non havia tolto, imo conferito ogni sua intrata, et cussì a ditto Cardinal lassato li beneficii havia in Reame. Et cussì Venitiani erano in magnum quid in convegnir adatar tutti questi oratori varii, i quali però tutti volevano liga, nè si poteva acordar il modo: unde sæpius si faceva consegli, et inter patres disputatione. Quello seguite poi, lezendo intenderete di sotto il tutto. Ma a le cose di Napoli et successo dil Re de Franza ritorniamo.

Come el Re de Franza habuto Castelnovo comenzò a bombardar Castel dil Uovo et quello fece a Napoli.

A dì 7 Marzo havendo el Re de Franza habuto Castelnovo, et etiam in questi zorni la fortezza de Pizofalcon situada sopra uno monte fuora di Napoli, la qual senza contrasto si rese, et a dì 9 comenzò a far bombardar Castel dil Uovo, edificato in mar, tamen ha uno brazo assà stretto per el qual si vien a la terra, et volendo li custodi difendersi era inexpugnabile. Et el Re ex opposito fece piantar le bombarde, ma quelli di ditto castello, subito che 'l Re have Castelnovo, murono la porta. Et a dì 10 el Re andò a disnar a Pizofalcon, ch'è quella roca nominata di sopra, situada su quel alto monte, [259] per mezo Castel dil Uovo, et qui stete tutto el zorno a veder bombardar el ditto castello, et fo buttato assà muraglie a terra. Mandò mons. di Lasparra vicerè in Puia, et mons. de Obegnì vicerè in Calavria. Ancora fece uno editto, che tutti li calafai et marangoni dil Reame venisse a Napoli, perchè voleva far tajar arbori, et reliqua preparar, per far una grossissima armada. Et a Zenoa se preparava per Soa Majestà galie X, et li ambassadori veneti fonno a parlamento con Soa Majestà, notificandoli come la Signoria li advisava le nuove dil Turco, et come faceva grande armata. Et lui rispose: provederemo a tutto. Et conclusive non faceva quella compagnia a ditti oratori, qual da prima solea far, et raro li dava audientia.

A dì 12 ditto zonse a Napoli don Ferante fiol dil Duca di Ferrara, et Piero di Medici, i quali erano stati fin hora a Roma.

El Re, habuto che ebbe Castelnovo, et li custodi con lor robe ussiti, altri restati con esso Re, altri andati dove a loro parse, comandò fusse riconzato dove le bombarde havia fatto danno, et maxime el ponte el qual era roto. Et conzato che fu, se partì de Castel de Capuana, et venne alozar in ditto castello, dove soleva habitar li Re aragonesi.

Et accidit che a dì 6 ditto venne a presso Napoli don Fedrigo con do galie et una galiota, et mandò a dimandar al Re salvo conduto, et uno de soi primi baroni per ostaso, che 'l volea venir a parlar a Soa Majestà. Et el Re li fece salvo conduto, et mandò sopra el schifo suo cosino mons. de Lignì per ostaso in galia. Et don Fedrigo venne da Soa Majestà; el qual era sopra le bombarde a sopraveder. Et dismontato del schifo, li venne contra alcuni baroni soi amici et parenti franzesi, per caxon di la prima moglie soa che fo franzese; et quello ricevuto con gran benivolentia, parlando a la franzese, montono a cavallo et veneno a trovar el Re. Et come fo a la soa presentia, dismontò, et li volse basar li piedi; et el Re non volse, imo li fece gran careze; pur tanto fè don Fedrigo che li basò la man. Et poi, fatto le debite acoglienze, et usato le parole acomodate, montono a cavallo, però che esso Re andava a cavallo per Napoli molto familiarmente, hora con 100 cavalli et hora con X, sì come si atrova, non servando alcun decoro; et andono a torno la terra. Un poco poi esso don Fedrigo si tirò con el Re sotto un certo arboro da canto de li altri, et loro do soli steteno a parlar per spatio de zerca hore 3, et non vi era a presso niuno. Demum el Re chiamò tre soi baroni et consegieri di primi, et pur ancora parlono; et non potendo concluder alcuna cosa, don Fedrigo ritornò in galia, [260] poi in Castel dil Uovo, et mons. Lignì venne in terra. Poi andò alcuni franzesi, zoè quelli soi parenti et amici, a parlarli in castello, i quali tratavano di acordarlo con el Re; tamen non potendo ottenir nulla, montono in galia. Et (don Federico) ritornò a Yschia, dove era el re Ferandino con 14 galie. Quello feceno scriverò di sotto. Essendo stato però Ferandino al castel di Gaeta a sopraveder, el qual ancora se teneva et continuamente era bombardato. Ma è da saper che don Fedrigo dimandò do cosse al Re de Franza. La prima che el re Ferendo suo nepote era contento di venir a inchinarsi a Soa Majestà, dummodo non perdesse el nome de Re, et che li daria tutto el Reame, zoè l'Apruzo, Puia et Calavria, et lui restasse con Napoli solamente, a ciò che 'l nome de Re, come ho ditto, non se perdesse; prometendo di darli tributo, et che quello regno fusse suo come quello de Franza, et che tutte le fortezze restasse in le sue man per sua securtà. Et non voglio restar de scriver questo, che, intrato che fo el Re de Franza in Napoli, comenzò titolo nuovo, zoè: Carolus Franciæ Siciliæ atque Jerusalem rex, sì come era el titolo de re Alphonso. La seconda richiesta fo che a lui, don Fedrigo, dovesse lassar el Principato di Alte mura, però ch'è di la dotta sua, et el contà de Matalon che fo de soa madre; et che lui vegneria sotto Soa Majestà. A la qual richiesta el Re rispose: prima che Ferandino non se pensasse de haver niun stado in Reame, come sempre lui ha ditto, ma ben in Franza li prometeva stado condecente; secondo che a esso don Fedrigo non li voleva dar a lui ditti contadi, ma ben investiria le donne di quelli, et li faria privilegii che lui scodesse le intrade; tamen che 'l voleva che lui venisse ad habitar in Franza, dove oltra di questo che li dava di qua, etiam in Franza li prometteva di dar el dopio di stado, ma che per niente non voleva aragonese niun in Reame, imo che quel nome fusse estinto. Unde, re infecta, don Fedrigo ritornò a Yschia, come ho ditto. Et ancora prometteva el Re de dar a don Ferando re una sua neza, fiola dil duca di Borbon suo cugnado, con ducati 60 milia de intrada.

Et non restava continuamente Franzesi de bombardar Castel dil Uovo. Quelli di Otranto et Galipoli aspettavano l'araldo dil Re per rendersi. A Rezo (Reggio) città in la Calavria, tumultuando tra loro, essendo l'armada de Spagna poco lontana, et etiam quella terra vicina alla Sicilia ch'era de ditto Re de Spagna, levono le bandiere sue; ma poi a dì 10 Franzesi l'have. Et el Re, cussì come le terre et castelli si rendeva, fatti li capitoli con loro, quelli erano de baroni retrovandese vivi, zoè de quelli che al tempo di la rayna Zuanna [261] possedeva, li conferiva et concedeva facendo soi privilegii; et non (trovando) de quelli, donava a soi baroni franzesi. Et si tenne per lui solum 12 terre et Napoli; el resto, zoè l'intrate, conferiva et dava a Franzesi come ho ditto, i quali cercava de venderli, et grande intrata dava per picola quantità denari; et, come vidi una lettera de 17 Marzo, Franzesi dava ducati 100 d'intrada a l'anno per ducati 200, et li faceva li soi instrumenti, ma non trovavano da vender, et cussì fonno in richiedi, et in Napoli pompizavano d'oro et di seta che era una magnificentia a veder. Et Zuan Jacomo di Traulzi palam dimostrò de esser acordà con el Re, et habuto danari cominciò a soldar zente italiane. Et come per lettere de Ferara se intese dal Vicedomino nostro, che era una fama che ditto Traulzi doveva venir in Romagna con 50 squadre, tamen mai se partì dal Re, et con lui ritornò in Franza. Napolitani erano pur malcontenti, perchè ogni zorno havevano cosse et affanni novi: et per Napoli se andava armati, et el Re voleva, oltra el dacio di le piegore, etiam una certa angaria, la qual per don Alphonso era sta avanti el tempo scossa, et però Napolitani non sapeva che farsi, et si doleva di la loro fortuna, volendo volentiera, potendo, ritornar sotto caxa di Aragona et non sotto Franza. El sussidio caritativo de uno ducato per fuogo el Re mandò a dimandar in l'Apruzo, Puia et Calavria, el qual, ut mos est, saria assà danari, da ducati 100 milia in suso. Secondo la consuetudine de Franzesi de voler sopra tutto star a piacere con donne, et el suo clima a Venere è molto dato, cussì questo Re seguiva assà li so piaceri, sì per esser in una età atta a questo, quam perchè soa natura cussì richiedeva. Et varie sorte de donne qui in Italia provò, le qual li era portate per li soi Franzesi. Et intrato che 'l fo qui in Napoli accadete che se inamorò in una madona Lionora da Marzano, fia della duchessa di Malfi, orfana, la qual el re Alphonso havea dato a suo padre el contà de Celano; ma ditto conte venuto col Re de Franza, esso Re li dette el suo contado. Unde questa donna vedendo essere expulsa, la madre la menò in castello dal Re, vestita d'oro, sopra una careta ben in ordine; et pregò Soa Majestà non li volesse tuorli el suo stado, dimostrando lo possedeva con ogni ragione. Unde el Re, vedendola sì bella, fo contento di lassarli ditto contado, et privò el conte di quello, et fece privilegii a questa donna. Et era tanto el ben che li voleva, che ogni zorno voleva ditta madona Lionora venisse in Castello, et per Napoli era chiamata soa favorita. Et è da saper che soa madre è sorella di la moglie di Marc Loredan fo di Antonio cavalier et procurator, la qual prima [262] fo maridada nel duca Vlacho (?). Ma poi el Re li venne fantasia di mandar per la sua altra, la qual la tolse a Guastalla in Parmesana venendo in Italia, et era come intesi dil parentè di quei di Gonzaga; la qual la lassò in custodia a Lucca. Et cussì questa zonse lì a Napoli la settimana santa, et d'indi ditta madona Lionora non frequentava il venir cussì spesso in Castello, pur veniva a le fiate, et hæc satis.

El Re non havea piacer di niuna virtù, nè canti, nè soni, nè buffoni; ma pur, venuto in Napoli, trovò do buffoni che fu di re Alphonso, i qual pur andavano qualche volta a darli piacer. Era ancora uno mato, chiamato fra Zuane, el qual essendo in Castelnovo, et dimandando Franzesi: chi viva? lui non potè star che non dicesse: Re Ferando di Aragona! Et Franzesi, non haveno rispetto a la soa pazia, ma lo butò zoso di le mure, et morite; che tutto Napoli ne have dolor, perchè era piacevol stolto.

A dì 13 Marzo vedendo el Re che quelli di Castel dil Uovo se teniva, et le bombarde, le qual erano piantate a Pizofalcon sopra el monte, havea bombardato tre zorni et butato zo un pezzo de moro, et con quella nave dil Cardinal di Zenoa et altri navilii voleva farli dar la battaja; unde li mandò a dir che non si rendendo per tutto quel zorno, el Re non li voleva più a pati. Et li custodi pavidi levono le insegne, zoè uno segno di volersi aboccar: et dato la fede per el Re, venisse liberamente a parlarli, venne fuora di ditto castello do, li quali fonno a parlamento con el Re, et concluseno di rendersi salvo l'haver, et le persone, et quello che a loro era sta donato per re Alphonso et re Ferdinando, volendo però termine zorni 8; et che si in 8 zorni el suo re non li manderia soccorso, ex nunc leveriano le bandiere di Soa Majestà, et che dentro mandasse el Re chi a lui piaceva. Et el Re vi mandò tre: el Principe di Salerno, mons. di Biamonte et uno altro suo barone. Aduncha essendo sta bombardato solum tre zorni, et 6 da poi renduto Castelnovo, che era inexpugnabile, si rese. Et est mirum che Aragonesi non habbino habuto niuno che li sia sta fidelissimo, et ogni cosa senza battaglia se habbi renduto a questo Re de Franza.

A dì 14 ditto venne mons. di Samallo cardinal, era stato a Fiorenza et Roma, et advisò el Re havia inteso de una certa liga si faceva a Venetia. Et andati li do oratori veneti a soa visitatione, però che Paulo Trivixano a dì 15 have licentia de ritornar a Venetia, la qual ge fu data per avanti, che quam primum li castelli el Re havesse ottenuti, dovesse quando a lui piaceva partirsi de lì. Or a [263] dì 15 come ho ditto, ditti ambassadori andono a visitar questo Cardinal, el qual li disseno: Domini oratores, io son sta a Roma, et ho inteso de una certa liga si vuol concluder a Venetia contro el Roy nostro, usando assà strane parole; dicendo: io ho ditto al Pontifice che non fazi tal cossa, nè vogli aldirne parola, perchè el Roy è potentissimo, et havia Dio con lui et la justicia. Et che l'intendeva di Maximiano Re de Romani, tamen che el suo Re con una lettera li faria far quello lui volesse. Dil Re di Spagna, che havevano paxe bona, et datoli do contadi, zoè di Rossiglion et Cerdania, et che mai non credeva volesse romperli la fede. Che la Signoria nostra non havea causa di farlo, per la lianza promessa. Et che el sig. Ludovico si l'andasse troppo zercando tal cosse, lui saria il primo batuto, maxime sapiando el Duca di Orliens esser in Aste a lui propinquo. Unde li nostri oratori sapientissimamente risposeno, che non sapevano nulla di tal cosse, jurandoli sacramento. Et questo fo essendo a tavola, però che li volseno dar un pasto. Et Samallo disse: mons. di Arzenton etiam ha scritto al Roy, ch'è una fama in Rialto di questa liga. Et subito ditti oratori scrisseno a la Signoria. Tamen el Re havia una gran paura, et sollicitava molto el suo partir, facendo più denari il poteva: et tutto dimostrava voler ritornar.

A dì 16 partì de Napoli dal Re per ritornar in Franza mons. Marescalco di Bertagna con cavalli 2000, et uno altro baron; et quam primum poteno ritornono ne' loro paesi.

In questo zorno medemo el prefetto de Roma signor de Senegaia venne a Napoli, et alozato in caxa dil Principe di Salerno si amalò di una malattia che fo molto longa, et de lì alquanti zorni andò a Senegaia pur amalato, et più volte fo ditto esser morto. Questo è cugnato del Duca de Urbin.

In questo tempo el Re de Franza mandò uno suo ambassador al Pontifice, chiamato mons. Frances de Nusemburg sig. de Gran Mason, a dimandar la investison et coronation dil Reame di Napoli. El qual zonse a Roma a dì 28 Marzo. Ancora per avanti havia scritto al Cardinal de San Dyonisio, che dovesse advisar el Papa come el suo Roy voleva esser per la Settimana Santa in Roma, et ivi far le feste di Pasqua. Per la qual cosa el Pontifice stava molto sospeso, nè sapeva che risponder dovesse. Et per lettere de 18 Marzo de Napoli se intese come el Re per el continuo star sopra le bombarde, per inanimar quelli trazevano, a ciò vedendo el Re facesseno miglior colpi, li venne certe rossure su la persona. Zoè andato a Pozo real, ussito di Napoli per recreatione, tornato che 'l fu si butò al letto, et [264] stette tre zorni in letto, con mal dubitavano di fersa, havendo habuto in Aste le varuole. Et che nostri ambassadori non erano carezati come da prima; et do volte fonno in castello per aver audientia dal Re, et, aspettato assai, poi fonno licentiati, dicendo el Re non li poteva parlar: sì che dimandavano licentia, digando steva ivi con puoco honor di la Signoria. La qual cosa per Venetiani non fo data, a ciò, mentre stesseno, se intendeva li soi progressi, et etiam non era tempo. Era lì a Napoli con el Re 4 cardinali: San Piero in Vincula, el Cardinal de Zenoa, Curzense et Samallo.

Ferandino veramente in questo mezo con don Fedrigo, Marchexe di Pescara et altri se ritrovava a Yschia con 14 galie, et ivi fortificava quella fortezza. Et è da saper che zonto che fu esso re Ferandino a Yschia, però che andava in su et in zoso avanti fosse resi li castelli, volendo intrar nel castello de Yschia, el castellano era di Aversa par recusasse, ma pur a persuasione di la Rayna et altre donne, che tanto lo pregò, fo contento di lassarlo intrar. Et intrato, inteso el mal voler dil castellano, fo ditto lui medemo li dette di uno pugnal nel petto, et lo amazò, et cussì a uno suo fiul. Altri disse quelli fè retenir, sed quomodocumque res se habeat mutò el castello et montò in galia, volendo menar la Rayna a Mazara in Sicilia, et andar a trovar suo padre, el qual era ivi con alcuni frati. Etiam fo divolgato don Fedrigo voleva andar dal Turco a dimandar soccorso, et tamen non andò. Ma Ferandino, havendo menato con lui el fiul dil Principe di Rossano era in preson in Castelnovo, quello in galia maredò in la sorella dil Marchexe di Pescara, bellissima donna, fo contessa di la Cera, la qual era andata con la Rayna fuzendo da Franzesi. Et el fiul dil Principe di Salerno lo mandò a donar al padre; et ancora mandò uno suo ambassador al Duca de Milano, el qual mostrava volerlo aiutar, et era gramo dil favore havea dato al Re de Franza, nomeva Scipio di Filomarino cavalier napolitano, el qual a la fin de Marzo venne a Venetia et alozò in caxa di l'altro suo oratore, et poi andò a Milan et si ritrovò al publicar di la liga.

A Napoli vene el sig. Virginio Orsini et el conte di Petigliano con segurtà di Prospero Colonna et altri, di ducati 100 milia. Tamen haveano pur custodia. Et volevano dimostrar al Re non esser presoni, ma presi sotto la fede data a loro di bocca di Soa Majestà, licet non fusse in scrittura; et a la fin fo data la sententia per loro, come dirò più avanti. Tamen el Re mai li volse dar licentia, a ciò non li facesseno guerra, essendo accordati per capitani con qualche [265] Stado, maxime divulgandosi ditta liga si faceva; la qual molto Franzesi intrinsice temeva, dubitando non esser serati di mezo, et non potesse ritornar in Franza.

El Cardinal Curzense venuto di Roma, come ho ditto, a Napoli per esser franzese, licet a requisitione di Maximiliano fusse creato, exortava el Re de Franza a dover far expeditione contra Turchi, et molto a questo se faticò, et etiam scrisse alcune lettere a la Signoria, le qual fo lette in Pregadi et conteneva che Venetiani dovesse scriver a li soi oratori erano in Napoli, che con lui dovesse pregar la Majestà dil Re a tal impresa de infedeli, perchè dal canto suo faceva ogni cossa. Questo faceva per essere povero cardinal, et havea poca intrada, nè dil cappello il Pontifice li voleva dar li ducati 1000 a l'anno si consueta a dar da la Camera Apostolica a tutti Cardinali: et questo perchè non feva residentia in Roma. Unde facendo requisitione contra infedeli si harebbe fatto qualche cruciata, ergo etc.; la qual cossa non fo voluta far da nostri per la bona paxe si havia col signor Turco.

A Gaeta tenendose la roca o vero castello pur per Aragonesi, continuamente Franzesi la bombardava; ma quelli custodi poco se curava, perchè non li faceva molto danno, et haviano dentro assà vittuarie, et con sue artigliarie rispondevano a quelli di la terra. Et Franzesi, i quali non usano bombarde come le nostre italiane, ma sono a modo passavolanti, che buttano ballotte grossissime di metallo et ferro, et questo vien che sbusano li muri dove trazeno, et assà da longi, come faceva a Napoli a Castel dil Uovo, che quasi do mia lontano lo bombardava.

Ma qui a Gaeta vedendo Franzesi non poter far nulla per la via bombardava, mutò le bombarde, et quelle messe in una chiesia di San Francesco, et buttò parte di le mura di ditta chiesia a terra, per poter meglio trazer e far repari. La qual cossa fo causa de far che li custodi atendesseno a dover prender partito de renderse, maxime non aspettando alcun soccorso di re Ferando, et intendendo li castelli de Napoli erano resi e tutto el Regno quasi venuto sotto Franzesi. Et volendoli dar la battaglia, li custodi deliberorono de renderse, et Franzesi non li volseno far altri patti, se non che li voleva sparagnar la vita, altramente, aspettando la battaglia, tutti sarebbe impicati. Et non potendo far altramente fonno contenti. Et a dì X Marzo li aperseno le porte, et Franzesi intrò in la roca, et li custodi senza vestimenti, come fo detto, fonno mandati fuora, havendo de gratia de haver habuto la vita. Et cussì haveno ditta fortezza.

[266]

Ancora, come per lettere di 23 da Napoli, se intese come ivi erano oratori di Otranto et Galipoli per fermar li capitoli col Re de Franza et volerse render. Et firmati, el vicerè di Puia mons. di Lasparra ivi andò, et habutoli, andò a Misagne vicino a Brandizo; ma lì era Camillo Pandon, vicerè per el re Ferandino, el qual stava in Misagne, et fo causa Brandizo mai volse rebellar ad Aragona. Taranto, dove prima era Cesare de Aragona, fo fiol natural di re Ferando vechio, a dì 29 Marzo mandato fuora li cittadini, questi erano per casa di Aragona, si deteno a Franza, et cussì molti altri luogi, sì in Puia quam in Calavria, e tutti di volontà. Quelli si volseno tenir, li quali saranno nominati di sotto, si teneno, et non fonno combattuti; sì che, si ancora queste altre terre havesse voluto far el suo dover, questo Re de Franza non prosperava tanto.

Et vedendo el Re che Yschia, benchè fusse ysola, era molto vicina a Napoli, et era receto di re Ferandino, deliberò de far conzar certa armata lì in Napoli per mandar a tuor ditta fortezza. Ma Ferandino ancora era lì con le XIIII galie et la Rayna, tamen aspettavano tempo per passar in Sicilia, et in compagnia con la Rayna se ritrovava l'Arciepiscopo di Taragona, per nome di suo fratello Re di Spagna, come scrissi di sopra. Et etiam in questi zorni vi zonse uno altro oratore di esso Re de Spagna, chiamato Maistro Rational, el qual fo quello venne a Venetia, et andò per mar, dismontato fo preso da Franzesi et spogliato, poi, presentata al Re la commissione andava alla Rayna, li dette salvo conduto, et lo lassò andar a Yschia. Et accidit che el Re de Franza fece tramar acordo con el castellano de Yschia, promettendo 8000 scudi se li dava la fortezza: ma, inteso questo, Ferandino vi messe custodia più fidata, et ditto castellano, come fo divulgato, fece annegar, altri disseno lo retenne. Et quello seguite di lui non se intese.

La rayna Anna de Franza moglie di Carlo re, el qual in Italia a questi tempi se fa nominare, et suo cognato duca di Borbon, inteso el felice successo nel Reame, scrisse una lettera al Re, alegrandosi molto, notificando per tutta la Franza esser sta fatto bellissime feste et dimostratione di allegrezza; tamen lo confortavano a repatriar, notificandoli non li poteva mandar danari, perchè li populi non volevano pagar angarie, et queste tal lettere fo bona causa di la pressa che faceva esso Re de partirse de Napoli: tamen prima voleva aspettar a dì 25 April, che era el tempo de scuoder le doane di le piegore, che era ducati 60 milia, nè più se parlava de andar contra Turchi, come nel principio de questa impresa havia sempre [267] ditto; et de ritornar tra loro parlavano. Et tutti zercava far danari, al meglio potevano; et Roma, Fiorenza e Milano non mancava di far qualche danno, pur parlavano di questa lega. Unde el Re si pensò de voler disturbar ste pratiche, et fece uno orator in questa terra, et uno a Milano, et voleva dar partido, et qual stado con lui più presto si aderiva l'altro restasse con lui inimicitia: et quello veniva a Venetia era mons. de Miolano, et a Milano mons. de la Tremoila, baroni soi di primi et dil suo conseio secreto, i qual tanto indusiono a vegnir, che seguite la liga, et non li volse più mandar, perchè non poteva haver effetto le imbassate soe.

Ancora a Roma remandò ambassador Filippo mons., come di lui più diffusamente sarà scritto. Et tra quelli lo consigliava era varie opinione: altri diceva el meglio saria venir a Zenoa, et ivi per mar andar in Provenza; altri volevano ritornasse per la via medema che era venuto, et cussì fece, et stavano su queste pratiche et consultatione. Piero de Medici continuamente pregava Soa Majestà lo riponesse nel Stado, o vero venisse a dominar Fiorenza. El cardinal San Piero in Vincula voleva venisse a Roma a dismetter el Papa e farne un altro. El cardinal de Zenoa et domino Obieto, ai quali perdonò ogni offesa, volevano venisse a Zenoa. Zuan Jacomo di Traulzi a dani de Milano. El cardinal Curzense, come ho ditto, contra a' Turchi. Sì che inter eos variæ opiniones dicebantur. Napolitani pur erano mal contenti per le insolentie, però che stava ne le soe caxe, manzava et beveva, toleva et usava la roba loro come soa propria, et più che vergognava le donne, et tal, non volendo consentir, le amazavano; et alcune maridate, da poi consentitoli, per tuorli li anelli havevano in dito, li tagliava li diti, come da persone che ivi in questo tempo se ritrovava intesi: cosse intollerabele. Et non potendo quelli meschini più soportar, andono a dolersi al Re, el qual mostrò molto li dispiacesse tal violentie; ma pur a tanto exercito non havendo da darli dinari nè le sue page, mal poteva remediar: pur trovato alcuni giotoni, ne fece impiccar 6; la qual cossa fo assà de timor; benchè tal provision fusse tarde, et za Napolitani erano disperati, et contra Franzesi harebbono fatto ogni mal che havesse poduto.

Fo aviato in questi zorni 4000 cavalli de Franzesi verso Roma; ma poi, successo la liga, li fece ritornar a Napoli. Et questo basti a le cosse de Napoli.

Napolitani non potendo suportar le inzurie li fevano Franzesi, feceno alcuni una conjuration de amazar el Re de Franza, quando l'andava alla Nonciata: ma tal cossa fo discoverta et notificata al [268] Re; et fo preso doy di conjurati, et deinde el Re se riguardava de andar come prima. La qual cossa se intese a Venetia per lettere di oratori nostri de dì 29 Marzo, et zonte a dì 3 April; et come uno frate discoverse tal cosa, et che el Re havia passato uno grande pericolo, perchè erano disposti di amazarlo.

Cose seguite a Venetia et a Milano et Fiorenza fino al concluder di la liga et in questo mexe de Marzo 1495.

Intendendo Venitiani per molte vie di l'armada grossissima faceva el Turco, et grande exercito, deliberorono di far provisione sì da mar come da terra, et elexe 28 Fevrer capetanio di le nave armade Thoma Duodo, era stato capetanio di le galie di Barbaria, et in mar assà exercitato patricio; et di brieve, come dirò, lo mandò in armada sopra una nave di comun, di botte.... Et etiam preseno di armar do altre nave grande di comun, patroni di le qual elexeno nel Consejo de Pregadi Alban D'Armer et Daniel Pasqualigo, el qual altre volte era stato patrone. Et a dì 2 Marzo nel Mazor Consejo, per scrutinio del Consejo de Pregadi, fo eletto Proveditor in armada a presso el capetanio zeneral Bortholomio Zorzi, che alias fo provveditore a Gallipoli a tempo di la guerra di Ferrara, et fratello di Hieronimo cavalier, era ambassador a Roma; el qual libentissime accettò. Et el zorno fo publicato la liga messe banco, come dirò di sotto, et andò poi in armada benissimo in ordine. Oltra di questo a dì 7 April in Pregadi elexeno XV sopracomiti, benchè ancora altri ne fusse eletti che ancor non havia armato, et 9 patricii fuora in armada. Questo perchè Venetiani al tutto volevano aver grossa armada, ussendo el Turco, di galie 40 et nave.... senza le altre vele et galie de viazi, che a li bisogni se mandano in armada: tamen non fo bisogno; pur haveno grossa armada de galie 36, come al loco suo il tutto sarà scritto. Et in l'Arsenal continuamente se fabricava galie. Li arsilii andono per li stratioti in questo tempo zonseno in la Morea, et comenzono a cargar, benchè do de ditti arsilii in questo mexe de Marzo per fortuna sora el porto se averse, et convenne ritornar in l'Arsenal a riconzarsi. Ancora fo dato prestanze et sovention a le zente d'arme, a ciò al bisogno fusseno in ordene. Et ordinato de far la mostra in uno zorno in le terre dove erano alozate; la qual fo fatta dil mexe di Marzo, come intenderete lezendo. Le qual cosse judicavano Venetiani volevano far fatti, come feceno.

[269]

In questi zorni morite do condutieri strenui di la Signoria preditta, assà veterani ne l'arte militar; a Roman in Bergamasca Zuan Antonio Sharioto, havia cavalli 300; et poco da poi, a Ruigo, Alexandro dil Turco, etiam havia cavalli 300: homeni ambedoi armadi da la Republica nostra; et la loro conduta fo poi partita tra li altri conduttieri.

Ancora nel Consejo di Pregadi condusseno, per via de li ambassadori era a Napoli, Zuan Paulo di Manfron, vicentino, el qual era stato al soldo dil re Alphonso, et li detteno cavalli 200. Et cussì partito de lì venne in queste parte, ma fo molto tardivo. Etiam li detteno 25 balestrieri a cavallo. Et benchè le decime dil Monte Nuovo fusse pagate molto volentieri, non voglio restar de scriver questo: che mons. di Arzenton de Franza volse andar insieme con Alvise Marcello, era alle Raxon Vecchie, a la Camera de li Imprestidi per veder el modo se pagava et scodeva. Et visto in quel zorno gran moltitudine de brigata che portava danari, adeo el cassier non poteva suplir de scuoder, unde ste molto admirato, che in li altri luogi si stenta assà avanti che si possi haver pur una minima quantità, et qui scodevano tanti danari portati da cittadini nostri voluntarie. Or perchè pur ne restava debitori, nel Consejo di Pregadi elexeno tre Savii a le Cazude, executori di le quattro decime imposte quam di quelle se metteva per giornata: li qual avesseno a raxon de ducati X per cento di pena di quello scoderanno; uno de li qual attender dovesse a debitori dil Monte Vecchio, l'altro dil Monte Nuovo, et il terzo a le decime del Clero: et fonno eletti Mathio Donado, Hieronimo Orio, et Alvixe Loredan, i quali tutti erano dil Consejo di Pregadi, licet, non vi essendo, per ditto officio vi poteva intrar. Etiam questi havea do exatori, Bertuci Loredan et Lorenzo Manolesso, fatti alias per Collegio, licet de his hactenus.

Continuamente erano Venetiani su pratiche de concluder la liga, exortati da diversi oratori, maxime da quelli de Milan, benchè qualche controversia fusse di adatar con li oratori dil Re di Romani, perchè non havea commissione di far liga insieme con el duca Ludovico, rationibus superius allegatis; et per questo se stava tanto a concluder. Etiam perchè se aspettava lettere di Spagna et di Maximiliano. Et tal pratiche al principio erano condutte nel Consejo di X con la Zonta; el qual spesso se reduseva; tamen pur etiam conferiva nel Consejo di Pregadi. Et a ciò si concludesse presto, per Collegio, con autorità habuta dal ditto Consejo di Pregadi, fonno eletti et dato tal cargo a tre patricii, che fusseno auditori de li ambassadori, [270] maxime Re di Romani et Spagna, però che Milan quello voleva la Signoria era contento; et questi dovesse referir et in Collegio et in Pregadi la loro volontà et opinione. I qual fonno Marco Bolani consegier, Lunardo Loredan procurator savio dil Consejo, et Andrea Barbarigo, fo del Serenissimo Prencipe, savio di Terra ferma. Et questi molto si affaticò in andar a caxa de ditti oratori; tamen la messeno al fine. Et el Pontifice non se lassava molto intender. Unde Hieronimo Zorzi kav.r ambassador a Soa Santità era sæpius in consultatione; et pur esso Pontifice, oltra el legato suo era in questa terra, mandò uno altro ambassador, el qual venne incognito, licet poi, conclusa la liga, palam si dimostrò et come orator dil Pontifice fu honorato, zoè Alvixe Becheto milanese, el qual era colateral di le zente di la Chiesia. Et ancora Venetiani mandò per lo episcopo di Calahorra legato, el qual era andato a Padoa a mudar aiere, a ciò venisse a Venetia che si volevano expedir. Et a dì 24 Marzo, fo la vigilia di la Nonciata, fo Pregadi; et in questo medemo zorno ditto legato venne da Padoa, et con le barche di viazo medeme venne alla riva dil Principe, et essendo suso el Pregadi andò in camera dil Principe, el qual non se sentiva bene nè ussiva dil suo palazzo. Et lui mandò per li Conseglieri et Cai dil Consejo di X, et ivi conferiteno con ditto Alvixe Becheto. Fo divolgato li fo ditto che al tutto volevano concluder, et che se el Pontifice voleva esser, bene quidem, siue autem faria senza di lui. Et cussì a dì 24, a dì 26, a dì 27, a dì 28, che fo 4 continui zorni, fo Pregadi, et comenzavano a voler metter fine, perchè li oratori de Maximiliano etiam sollicitavano, et el duca de Milano havea mandato una commissione in man dil Prencipe nostro in publica forma, che, benchè fusse tre soi ambassadori in questa terra, tamen la Signoria dovesse concluder la liga, et far dil Stado suo quello a nostri pareva; che fo cossa assà degna de memoria, et de qui ponerla; ma per essere secretissima non ho potuto haverla. Di Pregadi se cazavano li papalisti ogni zorno. Et a ciò se intenda, papalisti sono li patricii che hanno pare, fio, frar, et fio de frar dediti a la Chiesia, zoè hanno benefitii et intrade; et questi, essendo de Pregadi, quando se tratano alcuna cossa de Roma, sono expulsi, per schivar li inconvenienti puoi occorer, a ciò le cosse passino secrete: et questo si fa mentre non si è in liga o in paxe con el Pontifice. Et ancora, essendo Pregadi suso, se reduseva Consejo di X con Zonta, sì che, concludendo, tramavano ditta liga. Et corrieri de Milan veniva in hore 24, de Roma in 50, et de Maximiliano da Vormes ch'è mia 600 lontano de qui, in zorni 6, che [271] fo cossa incredibile. Le cosse si strenzevano et andavano molto secrete. Quello seguite sarà scritto di sotto. Et mons. di Arzenton non andava più assà spesso in Collegio, come soleva; imo era admirato di quello havesse a seguir, et zercava de intender qualcossa, nè si vedea più con l'ambassador de Milan, come era assueto de andarvi. Et è da saper che in questi zorni, al principio de quaresima, andò in Collegio a dimandar a la Signoria che lui intendeva che si ragionava per la terra di certa liga si tramava in questa terra, et che era quasi certo, vedendovi tanti ambassadori, et che non sapea la causa perchè questa liga si dovesse far, et che, si la fusse contra el suo Re, questa Signoria li havia promesso bona lianza, et però pregava la Signoria lo advisasse, et che el suo Re era presto a intrarvi non essendo contra de lui: con altre simil parole. A le qual el Prencipe li rispose sapientissimamente, secondo il solito; sì che, senza saper altro, Arzenton tornò a caxa. Et non molto da poi accadete che, ritrovandosi in chiesia di San Zanepolo uno cittadino da Catharo chiamato Nicolò de Fano, el qual alias per Hieronimo Orio, era lì rettor, fo bandito di Catharo per soi misfatti; questo si buttò a piedi di ditto orator dil Re di Franza, dicendo che in questa terra non si faceva justitia più, et che lui, che era ambassador di christianissimo Re et justo, li volesse far uno salvo condotto potesse ritornar a Catharo. Et vedendo alcuni patricii eran con ditto orator, lo mandò via dicendo esser pazzo. Et pur lì continuando ne la soa richiesta, mons. di Arzenton disse: va, va, sei in una terra che si fa ragione etc. Et inteso tal cosa per li Cai dil Consejo di X fo subito mandato a tuor dil chiostro de frati, perchè lui, da poi ditte tal bestial parole, conoscendo l'error suo, non volse partirsi di loco sacro, credendo esser sicuro. Ma per cose di Stado non si varda, et per esser crimen læsæ majestatis fo mandato a tuor dove l'era, et menato in presone, et datoli tortura. Poi nel Consejo di X fo spazato per pazzo, zoè che 'l stagi 3 anni ne la preson forte serato; poi che sia in libertà di quelli dil Consejo di X saranno in quello tempo de licentiarlo o ver darli la punitione li parerà, col Consejo di X però. Et cussì se ne sta in presone.

Fiorentini considerando l'error suo, et che Pisa non ritornava sotto il pristino loro dominio, li do ambassadori erano a Napoli, zoè lo episcopo Soderini de Volterra et Neri Caponi continuamente dimandando audientia dal Re de Franza, quella hebbeno, et li dimandono prima che se Soa Majestà si havea a doler de Fiorentini, et se in niuna parte se teniva offeso, che li fusse dato auditori, che volevano [272] justificar el tutto. Demum, che non havendo fatto cosa niuna contra la christianissima Majestà Soa, imo haverli dato ogni favore, che li piacesse di farli render la soa terra di Pisa, juxta la forma di capitoli. Ai qual el Re rispose: prima che non si lamentando lui de Fiorentini fin hora, non bisognava justificatione, poi che quanto a Pisa elli non la meritavano, et che li bastava che fusseno in loro libertà et privi del governo de Medici; et che ogni dì Piero de Medici lo molestava, et lui non li voleva dar orecchie; ma che havendo Pisani voluto esser sotto soa protetione, et levato la soa insegna, non poteva far non manco di custodirli et mantenerli in libertà, sì che zerca Pisa più non se parlasse. Unde Fiorentini vi mandò uno protonotorio de Caponi per ambassador, el qual a dì primo April passò per Roma, et non molto da poi, havendo habuto el Re le fortezze, elexeno nel loro Consejo quattro ambassadori a Soa Majestà, sì per congratularsi di tanta vitoria, quam per veder al tutto de haver Pisa, et el Re li observasseno li capitoli promessi et jurati de observer: ancora per Monte Pulzano. I qual fonno questi: Guido Anton Vespuzi cavalier, Bernardo Ruzelai, Lorenzo Morelli et Lorenzo di populani, olim de Medici. Et prima nel numero di questi quattro elexeno Paulo Antonio Soderini, che fo qui ambassador l'anno passato, et non vi volse andar, sì perchè suo fratello lo Episcopo di Arezo era lì dal Re oratore, quam per altre occupatione. Unde in loco suo elexeno uno de questi altri, et cussì a la fine de Marzo partino di Fiorenza con gran pompa, andono a Roma, poi a Napoli, et arivò a dì 3 April a Napoli; erano con manege dogal. Et el successo loro intenderete poi.

Quelli di Monte Pulzano, havendo intendimento con Senesi per essere loro vicini, rebelono a Fiorentini, et si deteno a Senesi. Levono le loro insegne a dì.... Marzo, et scaziando el dominio ivi era per Forentini: unde vedendo Fiorentini questo, subito spazò uno corrier al Re de Franza, quasi come loro protetore, a dimostrarli questo. Et da poi vedendo gli oratori fiorentini dolendosi al preditto Re, per soa excusatione Senesi elexeno do ambassadori a Napoli a Soa Majestà, i quali assà ben in ordene partino de Siena, et zonseno a dì 7 April a Roma, demum andono a Napoli, dove bonazò le cose, et teneno Monte Pulzano.

Pisani volendo al tutto esser in libertà, et si difendevano da la zente fiorentina, essendovi in so aiuto el sig. Fracasso di San Severino mandato ivi per el Duca de Milano, et in questo tempo mandono 4 ambassadori a Napoli, a ciò el Re non si movesse di opinione [273] di mantenerli in libertà. Et questi veneno molto ben in ordine.

Lucchesi ancora non potendo haver ottenuto Pietrasanta, che fo sua, dal Re preditto, li mandono do altri ambassadori a Napoli a pregar Soa Majestà li volesse render li ducati diexe milia a lui prestadi, con promissione, quam primum fusse intrato in Napoli, di doverli render: ma nulla poteno fare, perchè el Re zercava danari, et questi li domandava.

A Milano el Duca, havendo pur paura dil suo Stado, havendo za principiato a voler refar le mura circonda Milan che erano assà vechie, havea messo una universal angaria a pagar tanto per persona per causa de ditte mura, ma al presente era de bisogno de far altre preparatione; et fece far la descriptione degli homeni da fatti nel suo dominio. Ancora assoldava zente sì da cavallo quam provisionati, et diceva voleva haver cavalli 8000 et assà fanti. Et molto carezava Sebastian Badoer ambassador veneto, facendo grande extimatione per essere homo dignissimo.

Ancora zonse a Milano quel ambassador de re Ferandino, chiamato Scipio de Filomarino cavalier, nominato di sopra, et molto dal Duca fo carezato et ivi restò. Et havendo mandato a la Signoria, come ho scritto, esso Duca la sua commissione zerca a la conclusione di la liga, la qual molto desiderava, et visto la forma di capitoli, et tenendola za per conclusa, come quasi era, fo molto aliegro. Et in questi zorni fo a parlamento con mons. di la Ruota, oratore dil Re de Franza lì a Milano, dove etiam si trovò l'ambassador veneto. Et li disse el Duca: Domine orator, siate certo che a Venetia col nome de Dio si conclude una liga, la qual reputo sia fatta con li primi potentati dil mondo, et quando loro non la facesseno, la Ill.ma Signoria et io siamo ligati a conservatione de li Stadi nostri. Questo perchè el Re nostro, oltra che li havemo prestato assà quantità d'oro, dato el passo contra el sangue nostro, et mediante el nostro favore ha ottenuto el Regno di Napoli, scaziato quel povero re Ferandino mio nepote, che a hora va remengo, et è sta cridato tra soi di venir a Milano; et questo è il merito ne rende. Avisandovi come, essendo dacordo la Illustrissima Signoria et nui, non havemo paura di niuno, non che essendovi altri potentati, qual intenderete. Et si 'l Re vorrà passar, vorremo i danar nostri che li havemo prestati et fatti prestar a Zenoa. Ancora scrisse a Zenoa fusse licentiato quelli Franzesi che ivi erano per nome dil Re, per voler far armada, tra li qual era el fradello dil card. Samallo, chiamato mons. Zeneral de Linguadoca, [274] et che de lì se dovesseno partir. Et che ponesseno in ordene X galie et do nave grosse, et quelle subito armasseno a requisitione soa. Et mandò danari al suo commissario era ivi, Coradolo Stanga protonotario, el qual za molti anni in Zenoa era Stado per suo nome comissario. Ancora vi mandò de Milano a Zenoa per costodia 500 fanti, a ciò quella riviera fusse custodita; et scrisse a la Marchesana di Monferà, fo moglie dil marchese Bonifacio, el qual Stado a lui era recomendato, che non dovesse lassar più passar de que' Franzesi, imo ponesse ogni custodia a li passi, et facesse diligentia più non vi passasse, come fino hora erano passati; ma ben quelli ritornava in Franza dovesse lassar ritornar. Questo fece perchè in Aste se intendeva esser zonte nuovamente lanze 500 franzese, le qual volevano venir di qua da monti. Et come per lettere di Roma se intese che in Italia se aspettava in soccorso dil Re, per augumento di le soe zente, el Prencipe de Orangie et el Marescalco de Bergogna, i qual sono gran signori in la Franza, et di primi capitani dil Re, i qual venivano con 300 lanze. Oltra de questo esso Duca de Milano notificò a la Signoria come, parendo a quella, era de opinione de andar a tuor Aste, la qual impresa reputava molto facile et, conclusa che fusse la liga, voleva andarvi: la qual cossa fo molto cativa, perchè sdegnò el Duca de Orliens, et li tolse la città di Novara, come scriverò di sotto.

A Ferara el Duca elexe in questo tempo do ambassadori a Napoli, ad alegrarsi col Re de Franza de la vittoria, et conferir altre cosse con lui: i quali erano Bonifacio de la Bevilaqua Kav.r et Julio Tasson Kav.r I quali si partino benissimo in ordine, et andono fino a Rimano, et poi, nescio qua de causa, esso duca li fece ritornar, et più non li mandò, o fusse perchè sapeva di questa liga, o vero il zenero Duca de Milano li scrivesse non era tempo de mandar ditti oratori.

A Venetia, a dì 25 Marzo, el zorno de Nostra Donna, per lettere venute da Zenoa se intese come loro havevano di XI dil presente da Lion, i quali scriveano haver da Londra di 21 Fevrer come a dì 7 Zener di note passando in mar di Spagna su le seche de Sain o vero di Bertagna do galie de Fiandra venete erano naufragade; però che za se havea inteso di la fortuna grandissima habuta, et de 45 navilii che si partino per andar a Londra non scapolò se non la terza galia, patron Piero Bragadin et la nave di Anzolo Malipiero. Adoncha queste do galie de Fiandra, di le qual era capetanio Polo Tiepolo, cognominato da Londra, patroni Andrea Tiepolo et Bortholamio [275] Donado, i quali si annegono insieme con XX altri patricii nostri, che saranno nominati di sotto, et persone in tutto n.º 500. Etiam se intese esser rota ivi la nave de Hieronimo Zorzi cavalier et fratello, carga de vini, la qual in tal fortuna naufragò: benchè da poi, come scriverò di sotto, ditta nave havendo scorso grandissimo pericolo, zonse a Londra a salvamento, che fo mirum quid che le nave zonzesse et le galie perisse, chè raro aut numquam galie suol romper et perir in mar per fortuna. Benchè del 1437, capetanio Marin Mozenigo, in questo medemo luogo do altre galie de Fiandra si rumpete, et el capetanio con gli altri annegati.

Questa rotta fo assà danno a Venetiani a presso ducati 100 milia, oltra la morte di patricii et homeni marittimi persi, et mirum est che de tanto numero pur uno vi scapolasse, ma come poi per lettere di Piero Bragadin patron di l'altra galia, drizate a la Signoria, se intese, che cessata la fortuna, et lui zonto a salvamento perchè se ingalonò, et si questo non era sarebbe rotti. Mandò a veder ivi dove have la fortuna, di la qual judicava ditte galie fusse perite, et trovono in mar arbori di galie, scrigni etc. sì che certo fo che erano rotte: la qual fortuna durò.... zorni continui, benchè ancora nostri stava in expetatione de intender altro avviso; pur non si trovava a segurar a ducati 70 per cento. Et tandem a dì 8 April venne uno fante di Londra, per el qual tutti quasi inteseno el certo, che fo queste lettere de ditto patron, e tutti levono coroto, che fo una cosa obscura a veder tanti mantelli a Venetia et panni bruni per li patricii mancati. Et preseno in Pregadi che ditta galia dovesse tuor nel ritorno in sua conserva, oltra la nave Malipiera, do altre nave forestiere, et quelle pagarle di denari di la Signoria, oltra un certo quid havesse di le mercadantie; et poi, inteso la nave Zorzi era salva, etiam quella fo messa a ditta conditione.

Questi sono li patricii annegadi su le galie de Fiandra. Et prima galia, capetanio ser Polo Tiepolo; patron ser Andrea Tiepolo de ser Matio; nobeli ser Mafio Girardo q.m ser Francesco, ser Cabriel Soranzo q.m ser Zacharia, ser Christofol Tiepolo de ser Mattio, ser Andrea Valier de ser Dolfin, ser Hieronimo Zustinian de ser Dardi, ser Zuanmaria Pasqualigo de ser Marco, ser Dolphin Venier q.m ser Christofolo. (Seconda) galia patron ser Bartholomio Donado q.m ser Antonio el cavalier, ser Antonio Donado de ser Hieronimo el kavalier, ser Benedetto Orio de ser Zuanne, ser Santo Venier q.m ser Piero, ser Hieronimo Foscarini q.m ser Zacharia, ser Andrea Girardo q.m ser Francesco, ser Francesco Mozenigo q.m ser Lorenzo, [276] ser Jacomo de Mezo q.m ser Alvise, ser Andrea Pisani q.m ser Francesco dal Banco, et ser Lorenzo Donado q.m ser Alvise. Et poi a dì... April nel Consejo di Pregadi messeno tre galie al ditto viazo, et fonno incantate le galie secondo el consueto. Et a dì 10 April eletto nel Mazor Consejo capetanio Domenego Contarini era stato capetanio di le galie di Beruto. Et tamen per la guerra successa con el Re de Franza, andando per le sue terre dove sarebbeno (in) qualche pericolo, per questo anno non andò; sì che oltra li altri danni ne fece ditto Re de Franza, questo viazo de Fiandra non andò.

Per lettere de Antonio Bon, conte et capetanio a Dulzigno, se intese come Albanesi era sta mal menati da Turchi, per le novità haveano cercato de far a presso Crose, et che molte aneme erano sta menate via et fatto gran danno Camalli turco, corsaro nominatissimo, el qual za alcuni anni in mar dannizava molto; unde fo mandato galie et barze, tamen nostri mai ha potuto metterli le man adosso, che summamente desideravano, et sempre è fuzito. Et prima al tempo de Hieronimo Contarini, essendo capetanio di le galie de Barbaria, et Sebastian et Marco Antonio Contarini fradelli, patroni, et ritrovando ditto corsaro a Tripoli in Barbaria lo investiteno, prese alcune barze, et lui si butò a l'aqua, et montato in una fusta fuzite. Unde ditto capetanio fo remunerato, che essendo fuora fo eletto capetanio al colpho, et nunc rimase Proveditore in armada, Sebastian Contarini fo fatto capetanio di le galie dil trafego in questo anno, et Marco Antonio suo fradello fo eletto sopracomito: sì che tutti quelli si porta bene da questa inclita Republica nel Senato sono rimunerati.

Ancora da Andrea Loredan, essendo capetanio di le nave armade, lo andò a trovar in Barbaria, et have certo danno et perse qualche legno de li soi, et lui fuzite in terra. Or al presente, intendando Zuan Francesco Venier come ditto corsaro era venuto sul mare, quello andò seguitando fino in Canal di Negroponte, ma el Bassà de lì, passato che fo ditto Camalli di là, bassò il ponte, et non volse ditta galia li andasse driedo. Et ditto soracomito volse dar a quel Bassà ducati 500, et lui minime volse accettar, licet questo fusse contra i capitoli di la paxe si havea col signor Turco. Et cussì Camalli fuzite di le man di nostri.

In questo mexe di Marzo a Venetia fo gran pioze, adeo pareva volesse ritornar l'inverno, dove veniva l'istade, et a dì 27 ditto nevegò, ma durò poco la neve sora la terra.

[277]

Quello seguite a Roma in questo tempo.

A Roma el Pontifice temendo che, si era in liga, essendo el Re de Franza vicino et potente in le arme, lui dovesse esser el primo che havesse a patir, benchè era ragionamenti dovesse partirsi di Roma et venir in Ancona, dove staria securamente, et in ogni tempo porave trasferirse in loco più securo, ma pur li doleva lassar Roma; et consultando con el cardinal Ascanio vicecancellario, con el qual era pacificato; et scrisse brievi a la Signoria et al Duca de Milano, che le fusse mandato 500 cavalli lezieri per uno et 1000 fanti, a ciò che la città de Roma fusse custodita, et maxime la soa persona; et che si havea pensato el meglio era non partirsi de Roma, sì per non lassar quella città cussì, come etiam perchè li Cardinali non lo seguitarebbe, et remanendo tra loro havriano potuto crear uno altro Papa, et poner scisma in la Chiesia de Dio; et che molti Cardinali li era contrarii, et non desideraveno altro. Et di qua veniva che questo Pontifice non si lassa intender chiaro di voler esser in sta liga, tamen ne havea voglia grande. Li prelati de Roma occultavano se intendeva el Re de Franza dovea venir di brieve ivi[126].

Et venuto lo ambassador dil Re de Franza a Roma, come scrissi di sopra, et habuto audientia, dimandò la investisone et cetera; etiam in narratione tocò alcune parole, che 'l suo Roy intendeva di una liga si praticava a Venetia, et che era certo Soa Santità non li saria nè faria cosa alcuna contra el Roy. A le qual parole, usate le debite risposte, el Papa tolse rispetto di voler far concistorio et responderli; et che inteso l'opinione de Cardinali li risponderia; et scrisse in questa terra et a Milano quid respondendum. Unde li fo rescritto dovesse Soa Beatitudine darli bone parole fino fusse sigillata la liga; et poichè conclusa fusse, più largamente li poteva dar la repulsa, et che per niun modo lo investisse. Et pur ditto ambassador continuamente dimandava risposta, onde a dì 29 Marzo el Pontifice chiamò concistorio, dove notificò quello ditto oratore li havea richiesto, et che havia exposto come el suo Roy havea acquistato col nomine di Cristo tutto el Reame de Napoli. Secondo che l'era de opinione de andar contra infedeli, et per questo Soa Beatitudine, come capo di la [278] Christianità dovesse exhortar li potentati de Italia a questo, perchè lai era promptissimo. Tertio che dovesse investirlo dil Reame ditto, acquistato et de jure a lui pervenuto, et mandar uno Cardinal a Napoli a coronarlo, quello Regno pacifice et quiete possedendo, etiam sì come per li capitoli li era sta promesso. Et cussì in concistorio el Pontifice volse che tutti li R.mi Cardinali dicesse la soa opinione zerca a la risposta. Unde el Cardinal di Napoli, amico molto dil Re de Franza, disse che si dovea risponder cussì: alegrarsi con Soa Majestà di la vitoria, et che zerca a l'andar contra infedeli era util cossa; demum che si dovesse dar la investisone, et mandarli a incoronarlo a Napoli, sì come fo fatto a re Alphonso, dicendo la ragione che 'l moveva a dir questo. Poi parlò el Cardinal...... et laudò la prima parte di alegrarsi di la vitoria. A la seconda molto vehemente exclamò: era bona et perfetta opera de andar contra infedeli. A la tertia che non era de opinione di darli la investisone sì presto, nè mandarlo a incoronar, se prima non se intendeva quomodo lui la dimandava, maxime essendo adhuc re Ferandino in parte di Stado in Reame. Poi parlò el cardinal S. Dyoniso, franzese, largamente, che si dovesse far quanto el Roy dimandava, dicendo molte alte parole, le qual ad plenum non se intese, et cussì altri Cardinali è da judicar dicesseno el parer loro. Unde parse al Pontifice de far chiamar dentro ditto orator franzese, et dimandarli el modo lui dimanderia tal investisone et coronatione. Et cussì venuto dentro li dimandò; et esso orator disse do volte nè mai mutò parola, se non: io la dimando che 'l mio Roy sia investido, come colui che pacifice possiede ditto Reame, et mandar uno Cardinal a Napoli a incoronar Soa Majestà, et non lo volendo mandar disse havea in commissione di notificar a Soa Beatitudine, come lui in persona vegneria a Roma a tuor la corona, perchè el vol esser coronato juxta la promessa. Et el Papa rispose: nui havemo consultato con li fratelli nostri Cardinali; se alegremo molto di la soa vittoria habuta, et zerca a l'andar contra infedeli metteremo ogni nostra forza; ma quanto a la investisone et coronatione, se vol saper come el vostro Re la dimanda; et, se niuno ne ha prejuditio, se vol aldir le parte, et far le cosse passino con el debito di la rasone et muodi di la Sedia Apostolica, sì come comanda li sacri canoni et decreti. Et che scrivè al Re in bona forma et dixè che nui ge la volemo dar, et che per questo el non vegni qui a Roma, perchè venendo forsi el non ge troverà; et advisè Soa Majestè come siamo stimolato di esser in una liga si trama da li primi potenti dil mondo. Queste parole disse perchè za [279] havia scritto al legato et suo ambassador Alvise Becheto dovesseno sottoscriver a li capitoli, et za reputava fusse fatta. Ancora mandò a dimandar al Re preditto a Napoli el corpo de Gem sultan, el qual el Re non lo volse dar et quello custodiva.

Et a dì 25 Marzo intrò in Roma et a tutti se dimostrò el Cardinal de Valenza, el qual da poi fuzite dil Re fin hora era stato ocultato; al presente, non timendo più el Re, ritornò a Roma.

A dì 30 Marzo, che fo la quarta Domenega de Quaresima, havendo in consueto el Pontifice ogni anno in tal zorno de dar o mandar a donar la Ruosa d'oro a quel Re o Potentia a lui più grata; unde, in questo anno 1495, ditto la messa in San Piero dove era li Cardinali et oratori, chiamò Hieronimo Zorzi cavalier ambassador veneto, al qual, nomine Reipublicæ suæ, li presentò la ditta Ruosa in mano, dicendo molte parole in laude di la Signoria nostra, et che era Republica christianissima et molto devota alla Chiesia Romana; unde, merito li presentava ditta Ruosa, la qual lui voleva mandarla per uno suo familiar a posta fino in questa terra a presentar in man del Prencipe. Et cussì scrisse a la Signoria de voler far. Et è da saper che questo è uno degnissimo presente, et, ut plurimum, suol mandar a donar a Re; et l'anno passato la mandò a donar al Re de Franza fino in Franza, et l'altro avanti al Re di Romani. Et za una simile Ruosa fo donata a tempo di Antonio Donato del 1475, che se ritrovò orator a Sisto quarto Pontifice, et fo fatto kavalier; el qual successe a la legatione dil carissimo Lunardo Sanudo genitore mio, che dil 1474 a dì 11 Ottubrio a Roma morite. La qual Ruosa repatriando ditto oratore la portò, et, presentata a la Signoria, fo posta ne le zoje di S. Marco, dove etiam questa fo posta, nè avanti più in niun tempo Venetiani hanno habuto tal presente. Et a dì 21 April che fo el Marti de Pasqua, essendo zonti in questa terra domino Jacobo fiol natural dil Duca di Cardona, di nacione cathelano, con la Ruosa d'oro mandava el Pontifice a la Signoria come ho ditto; et venuto el Prencipe con li oratori in Chiesia de S. Marco, dove per el patriarca Thoma Donato nuovamente eletto in loco de Maphio Girardo cardinal di la Romana Chiesia tituli sancti Sergii et Bacchi, el qual da poi la creatione di questo Pontifice ritornando a Venetia a..... morite. Or fo mandato alcuni patricii a tuor ditto messo era alozato a san Greguol, dove alozava Alvixe Becheto ambassador dil Pontifice, tamen a sua posta et spese di S. Marco; et venuto presentò la ditta Ruosa su l'altar di san Marco, et ditto che fo la messa, lui medemo la tolse in mano et venne davanti el Prencipe; [280] et prima li aprexentò uno brieve apostolico, la copia dil qual sarà qui sotto scritta, et poi presentò in man dil Prencipe la Ruosa, et disse alcune parole latine. Unde el Prencipe, tenendola in mano, li rispose sapientissimamente; poi andono con quella pur in man in processione per la piaza a torno di la chiesia, et andò fino in palazzo; poi tolse licentia et con la Ruosa etiam in man fino nel suo palazzo andò. Et ditto Jacobo de Cardona have luogo di ambassador dil Papa, mentre stete in questa terra. Et benchè questo non fusse suo loco per l'ordine de' tempi, pur ho voluto qui scriver; et poi fo decreto nel Consejo de Pregadi de donar a ditto portator di la Ruosa ducati 300 d'oro venetiani, et darli una vesta damaschin cremesin fodrà di raso. Et poi a dì 28 April partì di questa terra, tolto licentia da la Signoria, et ritornò a Roma.

Exemplum brevis Sanctissimi Domini nostri ad Illustr.m Principem et Senatum Venetum

Alexander Papa VI

Dilecti filii, salutem et apostolicam benedictionem. Vetus consuetudo mosque sanctissimus est, ut Romanus Pontifex, peracta sacrorum celebratione, die qui quartus est Dominicus in quadragesima, Rosam auream, chrismate sancto delibutam et odorifero musco inspersam, cum apostolica benedictione illustri cuipiam catholico Principi dono det. Magnum profecto et dignum divina laude mysterium, in quo non muneris aestimanda est quantitas, sed altioris significationis qualitas interpretanda. Nos qui, divina dispositione, meritis licet imparibus, pastorale culmen S. R. Ecclesiae obtinemus, cum vellemus praeclarum hoc munus nunc adimplere, hoc ipso quarto XLmae dominico die mentem ad Vestram Nobilitatem convertimus, quam hoc loco dono dignam judicavimus, quae Sanctam hanc Sedem singulari devotione semper est prosecuta. En igitur, filii praedilecti, Rosam hanc laetissimo animo et devota veneratione suscipite, monumentum et pignus nostrae in Nobilitatem Vestram benivolentiae, quam ei per dilectum filium Jacobum de Cardona scutiferum et familiarem nostrum continuum commensalem mittimus. Nec Nobilitatem Vestram auri fulgor sed divinae significationis contemplatio teneat. Sancta enim Ecclesia hoc donum per manus Summi Pontificis ordinavit, ad declarandam laetitiam et gaudium ex humanis generis liberatione susceptum. Quod omnipotens Deus miseratus suam servitutem, [281] pretiosissimo sanguine suo redemit, sicuti in Veteri Testamento per liberationem Israelitici populi praefiguratam erat. Recreat enim nos gloriosissimum Corpus Domini nostri Jhesu Christi, fovet, sublevat et in mediis laboribus consolatur. Cui, non iniuria, rosa ipsa comparata est: nullus quippe flos, omnium quos alma mater terra protulit, aut aspectu iucundior aut odoris suavitate fragrantior est. Penetret igitur in sensus Vestrae Nobilitatis, filii predilecti, divinus odor ut, eo repleti, magnanimitatem ac devotionem vestram continue magis explicetis, atque hoc divinum opus orthodoxae fidei et Sanctae huius Sedis defendendae totis viribus complectimini ut, Domino Deo auxiliante, optata pax Ecclesiae suae Sanctae cum Vestrae Nobilitati gloria reddatur. Datum Romae apud S. Petrum sub annulo Piscatoris XXVIIII Marcii 1495 Pontificatus nostri anno tertio.

L. Podocatharus.

A tergo — Dilectis filiis nobilibus viris Duci et Dominio Venetiarum.

Responsio Venetorum

Sanctissimo et beatissimo in Christo patri et domino domino Alexandro digna Dei providentia Sacrosanctae ac Universalis Ecclasiae Summo Pontifici Augustinus Barbadico Dux Venetiarum etc. pedum osculo beatorum. Sacratissimum ac suavissimam aureae rosae munus quo nos licet absentes donandos ornandosque censuit summa clementia Beatitudinis Vestrae ea veneratione et observantia ea leticia et iucunditate animi fuit a nobis reverenter susceptum ut vix affectus eiusmodi nostros exprimi posse putemus, cum mittentis et missi muneris excellentiam qualitatemque altius consideramus. Duo etenim in auctore doni potissimum animadvertimus: supremam auctoritatem maiestatemque Sanctitatis Vestrae et erga nos praecipuum studium paternamque dilectionem. Alia item duo, ex parte delati muneris, fuimus contemplati, literalem scilicet ipsius significationem et spirituale eiusdem latens mysterium, a Sancta Romana Ecclesia institutum, et vere ex omni parte religione refertum ac uberibus gaudii et consolationis, ob humani generis de veteri captivitate liberationem praefiguratam. Sed et alia duo accessere ad ornamentum tam praeclari doni, exacta prudentia et rara quaedam gratia illud ferentis spectati viri domini Jacobi de Cardona familiaris et nuncii Beatitudinis Vestrae. Gratias igitur amplissimas habemus et agimus Vestrae Sanctitati, et quia in referendis impares nos esse novimus [282] et fatemur, hoc saltem testatum volumus gratissimo et memori animo perspicuum hoc documentum dilectionis et caritatis Vestrae Beatitudinis erga nos esse conservaturos. — Data in nostro ducali palatio die ultimo Aprilis MCCCCLXXXXV indictione XIII.

Gaspar Vidua.


In questo mese di Marzo accadete a Perosa, ch'è città nobilissima et antica in Toscana, za primaria, al presente la terza; fo edificata secondo Justino, Varrone e gli altri da Achei, avanti la città de Roma; è situada quasi tutta su monte; è paese ameno, fertile et dilectevole, et fo di muraglie circundata da Ottaviano Cesare Augusto, et par ancora sopra le porte fusse chiamata Augusta per lettere antique vi si leze. Vi è lo studio in ogni facoltà, templi grandi et palazzi degni. Vicino a questa città el lago Trasimeno, abondantissimo de optimi pesci, dil qual la Camera Apostolica vi cava ogni anno assà miara de ducati. Fo da Goti sette anni obseduta, et tandem presa, et quasi tutta brusata, et san Herculano loro episcopo fo martorizato, dove è el suo corpo, come da chi vi fu intesi.

Questa terra situada, come ho ditto, in monte, e tutto intorno vallade et monticelli pieni de castelletti: sono molte olive, biave, vigne etcet. et belle donne: vanno vestie quasi come quelle de Milano, ma portano le code più longe, et scarpe con ponta, et va con li capeli zoso per la spale alcune, et altre al modo nostro, ma con veste serate davanti, et non si vede cussì le spale. Li homeni vestiti a modo di romani, con li mantelli con fenestrelle, et li zoveni molto galanti effozano (sfoggiano?) e tutti quasi con spade senza fodro sotto li gabani portano. Però che in questa città è do grandissime parte: zoè Baioni et Odi. Li Baioni teneno con Orsini, et sono al presente dentro, et domina la città, la qual si reze per loro medemi, fanno li consoli etc. Ma li Odi sono da la parte Colonnese, et a hora è foraussiti: tamen ogni zorno molestano ditta città, adeo si convien star sempre armadi, et come per lettere di primo April di l'ambassador de Corte se intese, che ditti Odi foraussiti fece assunanza de zente et tolseno la terra di Todi, corseno fino a Perosa, ma poi da li Baioni et altri dentro, con aiuto de Orsini, fonno rebatudi. Tamen ditti foraussiti, con aiuto dil Duca d'Urbino et el sig. Julio da Camarino, se ponevano in ordine per ritornar a l'impresa de Perosa. Quello seguirà scriverò di sotto. Stanno lì intorno. Ma a la conclusion di la liga fatta in questa terra veniamo.

[283]

Conclusione di la liga fatta a Venetia, et el modo che la fu conclusa.

Domente queste cose intraveneno, a Venetia essendo su pratiche di concluder la liga, et havendo acordato li capitoli, et li tre deputati a questo patricii optimamente avendo operato, preso nel Consejo de Pregadi de sigillarli, et zonta la comissione a li oratori dil Re de Romani, venuta mia 600 in zorni sette, ch'è cosa incredibile, et quelli solicitando molto, dicendo non esser tempo de dimorar; et ben che el Prencipe nostro fosse ancora amalato nè ussiva de camera sua, pur vi volse esser, et cussì a dì ultimo Marzo, de Marti, con grandissima pioza et vento, adeo che li oratori stavano a la Zueca convenne venir a quattro remi per barca, tanto era grande la fortuna, et pur deliberorono tutti de redurse insieme et sigillar ditti capitoli, et in palazzo dil Prencipe ne la soa camera si reduse li Conseieri, Savii dil Consejo, Savii di Terraferma, Cai dil Consejo di X, Zuan Diedo canzelier grando, et li secretarii deputadi. Et a ciò memoria eterna sia de chi vi si trovò, ho voluto qui tutti notarli.

Questi sono quelli patricii si atrovavano a la sigillatione di la liga.

El Serenissimo et excellentissimo Principe

D. Augustino Barbadico

Conseieri

Savii di Terraferma

Savii dil Consiglio

Cai dil Consejo di X

[284]

Et reduti che fonno tutti, mandono per li oratori che dovesseno venir. Et prima venne quello dil Re et Raina de Spagna; poi li tre di Maximiliano Re de Romani, mancava d. Leonardo Felz cavalier el qual era amalato; poi li tre dil Duca de Milano; et demum el legato dil Pontifice, con d. Aloisio Becheto etiam ambassador a questo praecipue mandato. Et in quella hora medema li venne lettere da Roma, che dovesse al tutto sigillar la ditta liga, et prometter per nome dil Re et Raina de Spagna di rato che in termene de do mexi el ditto Re et Raina ratificheria tutto; come etiam el suo orator cussì promesse et subscrisse; questo perchè non havia commissione di conlegarse con altri che con la Signoria nostra, et cussì poi essi Re ratificò ogni cosa. Or reduti tutti questi da poi disnar fino a hore do di notte steteno a formar li capitoli et farne cinque copie autentiche, et in nome de Yhesus Christo et de San Marco a hore zerca 24 la concluseno, et sottoscrisseno ditti capitoli. Et el legato sottoscrisse per nome dil Pontifice et di Spagna, come ho ditto; et per nome dil Papa prometteva di rato per ditti Regali de Spagna. Et per Venitiani sottoscrisse li tre deputati nominati di sopra, et li capitoli fonno in tutto n. 18, inter cetera che tutte ditte potencie prometeva in bisogno in favor di la liga di dar per uno cavalli 800 et 4000 fanti, eccetto el Pontifice che dava la mità: et questo in Italia. Ma in caso bisognasse mandar fuora de Italia, era in libertà de mandar o le zente, o vero mandarli ducati 60 milia, zoè la Signoria et Milano. Item che in termene de mexi do li collegadi debbino haver dati li soi adherenti et recomendati. Item non possi esser accettà in ditta liga niuna potentia simile a loro, sine consensu omnium colligatorum. Item la liga dà al Re di Romani, venendo a Roma a coronarse, 400 homeni d'arme, zoè cavalli 1600 la Signoria et altrettanti Milano di l'andar et di ritorno. Et altri capitoli, li quali fonno tenuti assà secreti, et però non mi extenderò molto in doverli qui scrivere. Et concluseno di manifestarla a tutti la matina seguente, et far sonar quivi campanon, facendo gran feste et fuogi, et per tutte terre e luogi di la Signoria nostra. Demum a ciò che tutti li collegati potesseno in uno zorno far solenne processione, et publicar ditta liga, terminono di publicarla la Domenica di le Palme, che sarà a dì 12 April; et subito spazono lettere prima a tutti li Rettori, notificando la conclusione et dovesseno far dimostratione. Demum scrisse al Pontifice, Re di Romani eletto Imperator, Re et Raina de Spagna et Duca de Milano, in bona forma, alegrandose insieme de questa consolatione de Italia. Et perchè el mandar del corrier [285] in Spagna era pericoloso, che non fusse intercepto quello andava per terra ne la Franza, et toltoli le lettere, come fa etiam; ne spazò uno altro, el qual da Zenoa dovesse passar per mar a Barzelona, poi a Madrit da li Regali de Spagna, la qual nuova non poteva esser in Spagna avanti Pasqua.

A dì primo April, la mattina za per tutta la terra se divulgava questo, et tutti erano aliegri, et venne el Prencipe in Collegio molto di bona voia, et varito dil mal per alegreza per il ben di la Republica e de tutta Italia. Et mandò per Monsig. di Arzenton orator dil Re de Franza, el qual alozava a San Zorzi mazor, et venuto che 'l fo in Collegio, el Prencipe li disse: Magnifico ambassador, habiamo mandato per vui, che per l'amicitia havemo con la Majestà dil Vostro Re vi dovemo advisar et manifestar ogni nostro successo, sappiate come heri, col nome del Spirito Santo et della gloriosissima Verzene Maria et del Vangelista misser San Marco protetor nostro, qui fo conclusa et firmata una liga tra la Santità dil Summo Pontifice, la Majestà dil Re de Romani, la Maestà dil Re et Raina de Spagna, la Nostra Signoria et el Duca de Milano. Et questo habiamo fatto per conservation di Stadi nostri et per augumento di la fede et Chiesia Romana, et per deffender le raxon dil Romano Imperio, sì che adviserè la Majestà dil Re di questo. Et mentre el Principe diceva tal parole, era ordinato et cussì fo sonato campanon a S. Marco et per tutta la terra in segno de grande alegreza. Unde ditto Arzenton rimase molto atonito, et li parse assà stranio, et disse: Serenissimo Prencipe, io mel suspettava di questo za gran zorni, ma mai lo criti (credetti) dovesse essere, et el Roy per questo non porà tornar in Franza essendo in mezo de tutti vuj. El Prencipe rispose: sì come amigo el vorà tornar, niuno non li farà noia alcuna, ma si 'l volesse andar come nemigo, uno collegato a l'altro si converà dar aiuto et favore. Tamen scrivè al Re, che per questa liga non volemo haver rotto alcuna benivolentia havemo con Soa Majestà, imo volemo esser boni amizi: et questa liga è sta fatta per conservatione de li Stadi nostri, tanto più volentieri quanto a hora di andar contra infedeli più non si parla, sì come da prima. Et ditto orator molto maninconico tolse licentia, et vene zo per la scala senza saludar niuno, smorto assà. Et come fo a piedi di la prima scala di l'audientia, ritornò suso a la porta dil Collegio, et fece chiamar Gasparo di la Vedoa secretario nostro de primi, et li disse: replicate un poco quello a ditto el Prencipe, come andato fuor di fantasia. Et cussì iterum li disse la sustantia di questa naratione; et [286] poi ritornò in barca per andar a San Zorzi, butando la bereta in terra, facendo segni de haver gran maninconia: la qual cossa fo mal fatta, nè seppe fenzer, sì come si suol far. Ma, judicio meo, questo processe non tanto per el Roy quanto per lui; perchè è da judicar scrivesse che mai de qui non se concluderia tal liga, per le operatione sue faceva: perchè lui dimandava a li oratori de Milano: sarà el vostro Duca in questa? et loro li rispondevano: non crediate mai, mons.; et fevano come li savii fanno nel governo de Stadi, che dimostra a li nemici voler far una cossa, poi ne fanno un'altra. Or ditto Arzenton molto se lamentava dil sig. Ludovico, dicendo che se lui non era stato, mai el Roy non passava in Italia, et che lo haveva tradito; et di tanto fastidio si buttò al letto, et la collera li mosse, et have alquanto di fastidio, benchè li fusse mandato medici per la Signoria, quali concluseno non harebbe mal niuno, ma era alquanto contaminato; come cussì fo.

Ancora la Signoria mandò per lo ambassador di Napoli d. Johane Baptista Spinelli, el qual fino hora era stato vestito lugubre; non portava cadena, secondo el consueto suo, sora la vesta; tamen havia servato gran fede al suo re Ferandino, et mai volse rebellarli come fece li altri ambassadori in diversi luogi, qual ho scritto di sopra. Et la sua caxa a Napoli fo sachizata. Et andato in Collegio el Prencipe li notificò la conclusione di sta liga, dicendoli altre parole che quelle di Arzenton. Et lui sapientissimamente li rispose, concludendo el suo Re sempre saria et doveva esser bon fiul di questa Illustrissima Signoria, et venne fuora molto aliegro, et d'indi poi, come dirò di sotto, si vestite di color et seda, ponendesi lo colar d'oro, et sempre fo honorato come orator dil Re de Napoli, licet fusse fuora dil Regno. Et è da saper che ditto orator molto se faticò con la Signoria et altri oratori in voler nominar el suo Re in questa liga: tamen mai non volseno per bon rispetto, perchè sarebbe stata senza dir altro contra el Re de Franza.

Oltra di questo fo mandato per l'ambassador dil Duca di Ferrara Aldromandino di Guidoni, li fo notificato di tal liga et scritto una lettera ducal al so Signor. Et come se intese per lettere del vicedomino nostro, non fece dimostratione alcuna in soni, in fuogi, licet fusse recomendato fiol di questa Signoria et suocero dil Duca de Milano. Questo fece, ut dicitur, perchè havia don Ferante so fiol a Napoli col Re de Franza, et etiam perchè lui non era in sta liga, nè poteva intrar se non per adherente di le parte, per non esserli sta reservà luogo alcuno.

[287]

Fo mandato ancora per l'ambassador dil Marchexe de Mantoa, Antonio Triumpho, et chiaritoli il modo di la liga, et scritto al Marchexe, el qual dimostrò grande alegreza, et fece soni, fuogi et gran feste. Et poi ditto ambassador, habuta risposta del suo Signor, andò in Collegio, offerendose esser in ordine di la conduta havia, a ogni beneplacito di questa Signoria; et in ogni luoco el fusse mandato era presto a ubedir. Et a dì 4 April zonse in questa terra 40 cavalli barbareschi o vero turcheschi dil Sig. Turco li mandava, et havia dato la tratta de questi a esso Marchexe, tra li qual ne era 4 che ditto Sig. Turco li mandava a donar, forniti benissimo a la turchesca: questo per l'amicitia hanno insieme. Et spesso el Marchexe manda presenti a Costantinopoli, et, come ho scritto di sopra, si fa chiamar Turco.

Fo etiam mandato per l'ambassador dil sig. de Rimano conte Ludovico Boschetto, et advisato di questo, et scritoli per la Signoria fece grande leticia et festa. Et da poi se partì ditto orator et andò a Rimano a far poner in ordine el Signor di la conduta have, per li bisogni potevano occorrer.

A Venetia e per tutte le terre et luogi nostri, quam primum lo inteseno, maxime da la parte de terra, perchè fo scritto a li Retori di le terre principal, et loro avisaveno a li castelli di quello territorio, zoè Chioza, Padoa, Vicenza, Ruigo, Verona, Bressa, Bergamo, Crema, Treviso, Cividal, Feltre, Udene et Ravena. Unde tre zorni continui fo sonato campanon, et la sera fatto lumiere per li campanieli et castelli, etiam a caxa de li oratori de Maximiano et Spagna, Legato et Milano, sì dove steva el primo, quam qui a la caxa dil Marchexe, dove erano alozati li altri do, fo posto fuora di le finestre lumiere, ita che pareva tutta la terra fusse in alegreza. Et cussì al fontego de Todeschi, per esser suposti a l'imperador; et prima si era in qualche paura, dicendo: che succederà di questo Re? a hora tutti jubilava.

A Milano el Duca, ritrovandose a Vegevene, subito inteso la nuova di questa liga, a pena potè compir de lezer la lettera da tanta consolatione, però che in questa era confirmato Duca de Milano etc. Et ordenò fosse fatto gran feste et soni, et mandò a Milano et per tutto el dominio a far el simile. Et el sig. Galeazo de Sanseverino suo zenero era amalato alquanto, quam primum sentì questa, disse al Duca: Signor, io son varito, nè ho più mal, et sempre voglio esser devotissimo fiul et servitor di la Ill.ma Signoria de Venetia. Et subito el Duca scrisse a li soi ambassadori era de opinione non [288] star a indusiar, et voleva andar a tuor Aste, et che dovesse conferir con la Signoria de questo, et dete danari a le soe zente. Quello seguirà intenderete.

A Roma, zonto che fo la nuova di la conclusione di la liga, non fo fatto festa alcuna per hora; ma ben preparavano di far solenne publicatione. Et el Pontifice era in gran benivolentia con l'ambassador nostro, et con quello molto si slargava.

Provisione fatte a Venetia et cosse seguide in varii luogi fin al publicar di la liga.

Da poi fatta tal sanctissima liga, a dì primo April fo Pregadi, et più non se cazava li Papalisti, et fo chiamato per far provisione zerca al Pontifice, el qual havendo richiesto cavalli et fanti, conclusa che fusse sta liga, per sua securtà li fusse mandati, fo decretà de mandar per lettere de cambii a Hieronimo Zorzi orator in Corte ducati 4000 a ciò subito facesse 1000 fanti. Et fo mandato Zuan Filippo de la Banca vicecollateral a Ravenna, perchè ivi fusse a queste cosse con ditto ambassador, et etiam Francesco Grasso capetanio di la cittadella de Verona, el qual a caso andava a Roma a tuor la moglie, fo figlia dil sig. Deiphebo de l'Anguilara. Venuto in Collegio offerendosi, li fu comesso dovesse esser capo et governo de ditti fanti si dovea far a Roma; licet poi fusse provisionati, come dirò più avanti. Scrisseno ancora a Milano che 'l Duca dovesse mandar a far la sua parte a Roma. Etiam fo scritto lettere a diversi Re dil mondo per la Signoria nostra, notificandoli di tal liga, et al secretario era andato al Sig. Turco; nè si sapeva dil zonzer.

A dì 2 ditto la mattina in camera dil Prencipe se reduseno tutti li ambassadori di la liga, eccetto quello de Spagna era amalato; ai qual fonno lette le lettere di Roma habute, et inter eos fo deliberato in questo principio de far ogni provisione, zoè che Maximiano vengi prestissimo in Italia a coronarse a Roma, et scrittoli erano in ordine di darli li 400 homeni d'arme, et cussì etiam Milano. Et a dì 3 do de li soi ambassadori, zoè lo episcopo di Trento et domino Gualtier de Stadia, havendo tolto licentia ritornono in Elemagna, dicendo volevano andar contra el suo Re et farli pressa, et li altri do restò; ma, publicata la liga, etiam loro se partino: et dicevano el Re sarebbe per la Sensa (l'Ascensione) in Roma. Et a questi ambassadori, a tutti diversamente, li fo fatto presenti per la Signoria, di panni d'oro et di seda, per valuta de zerca ducati mille.

[289]

In Pregadi fo preso et subito expedito el corrier a Napoli a li oratori, dovesseno advisar el Re de Franza di questa liga; et etiam a Roma a li oratori di la liga, che insieme tutti si dovesse adunar, et andar da l'orator dil Re de Franza, et advisarlo di tal conclusione di la liga. Et ancora fo preso de mandar a Roma 500 cavalli lezieri, zoè questi, videlicet:

Cavalli lizieri mandati verso Roma in aiuto et ubedientia dil Pontefice

Jacomazo da Venetia era a Ravena cavalli 200
Zuan Griego era a la Badia cavalli 100
Zuan da Ravena cavalli 50
El Marchexe de Mantoa mandò cavalli 200
El Sig. de Rimano mandò cavalli 25
Sonzin Benzon da Crema a hora conduto cavalli 50
 
  Somma 625

Et habuto in comandamento ditti capi de dover andar a Roma a ubedientia dil Pontifice, subito se messeno in ordene; et a dì 15 April quelli di Ravena partite, et quelli dil Marchexe di Mantoa, zoè 250, et 22 cariazi passò per Ferrara, cridando: Marco! Marco! et ivi fece la mostra, sì che tutti andono, et fo scritto a Roma come li mandavano questi, et altrettanti manderebbe Milano, che saria in tutto mille cavalli lizieri et 2000 fanti, ma quelli di Milano fo molto tardi; et che la Beatitudine dil Pontifice facesse quello li pareva, movendose el Re de Franza per venir a Roma, o vero star fermo o andasse dove li piaceva, promettendo mai abandonarlo. Ancora scrisseno ai cardinali patricii, zoè Michiel et Grimani, che, partendosi de Roma el Pontifice, pregavano Soe Rev.me Signorie li dovesse far compagnia. Et questo medemo scrisse el duca de Milano a li soi, zoè Ascanio, Sanseverin, Lonà, Alexandrino et altri dovesseno far.

Item fo preso in Pregadi che Antonio Grimani procurator, capetanio zeneral de mar, con l'armada se dovesse redur tutta in uno, sì galie quam nave, et retenir quelli navilii li pareva, et tuor grippi da Corfù, et andar dovesse a le Merlere a presso el Saseno, ch'è loco più vicino a l'incontro di la Puia, et ivi dovesse star preparati fino altro mandato li veniva. Et fo solicitato il mandar di stratioti. Piero Bembo et Nicolò Corner sopracomiti, i quali in questo tempo havia armato benissimo in ordene, andono a trovar el zeneral. Et fo scritto [290] a li oratori de Candia solicitasse de compir de armar le galie erano sta mandate ed armar ivi, ita che volevano haver Venitiani una grossa armada: et di quelli zentilhomeni de Candia ivi fo fatto li soracomiti. Ancora el duca de Milano solicitava de far armar quelle do nave a Zenoa et X galie, le qual mandò a offrir a la Signoria per augumento di la ditta armada; et la Signoria ditta conferite danari per armar ditte nave a Zenoa.

Et per l'ambassador de Spagna era qui a Venetia fo scritto al conte de Trivento, capetanio di le caravelle dil suo Re, le qual za se sapeva al certo erano zonte a Messina zerca 70, et aspettavano el resto fino al numero de 100, che dovesse redurse al più propinquo loco di la Calavria che li fusse possibile, a ciò in ogni tempo e da ogni banda, volendo far movesta el Re de Franza a niuno de collegati, fusse circundato, et da ogni banda havesse a contrastar. Tamen non volevano romperli guerra.

A dì 6 April nel Consejo di Pregadi fonno eletti do ambassadori al Re de Romani: Zaccaria Contarini cavalier, el qual l'anno avanti vi fu con Hieronimo Lion cavalier a dolersi di la morte dil padre Imperatore et alegrarsi di la sua creatione a l'imperio; l'altro fo Benedetto Trevixan cavalier. Et è da saper che 'l Contarini era eletto, come scrissi, orator a Napoli, ma, ita volente fato, la legation de Napoli fo mutata in Elemagna. Et questi partino a dì 4 Mazo, et andono a trovar el Re a Vormes, et stette con grandissima spesa di ducati 500 al mese, senza operar alcuna cosa, perchè esso Re si pensò di altro cha di venir in Italia, et attendeva a la dieta. Et ancora al Re et Raina de Spagna fonno eletti oratori: Zorzi Contarini cavalier conte dil Zaffo et Francesco Capello cavalier. Ma el Contarini, fatto altra deliberatione de andar in Cypro a goder le soe intrade, rinuntiò tal legatione, et fo fatto in loco suo Marin Zorzi dottor, et questi si partino a dì 7 Mazo, et andati a Milano insieme con D. Guido Antonio Riziboldo arciepiscopo de Milano, ha de intrada ducati 7 milia, et Joanne Baptista de Sfondradi dottor, i quali per el duca fonno eletti andar insieme con questi nostri in Spagna, andono a Zenoa, et poi per mar, montati su una nave, capitono in Barzelona et andò dal Re et Raina, come tutto diffusamente sarà scritto. Et etiam ditto Duca de Milan scrisse a li soi do, erano dal Re di Romani, non si dovesseno partir, ma che ivi aspettasseno li ambassadori di la Signoria nostra, et cussì feceno. A Napoli per lettere di ambassadori in zifra se intese come el Re havia terminato di far le feste di Pasqua in Napoli, et poi venir verso Roma per ritornar [291] in Franza. Havia ordinato di far gran feste et zostre queste feste; pur erano in gran consultatione di sta liga, et fevano consigli et colloqui, dicendo se la seguisse quid fiendum. Benchè non credevano mai el Papa vi dovesse esser, et che dovevano partir li ambassadori eletti, uno qui l'altro a Milano, a dì 30 Marzo; che Napolitani erano mal contenti; che Franzesi fevano poca reputatione di loro oratori nostri; et che el Re havia habuto lettere de Franza da la Raina, che dovesse repatriar, et non star più a Napoli. Et poi per lettere de primo April accadette che Napolitani erano stati in arme tre zorni continui, zoè a dì 29, 30 et 31 Marzo, et etiam la notte tutti stavano armati in le loro caxe, adunati insieme li Napolitani in li soi sezi. Questo perchè non potevano tollerar le insolentie de Franzesi. Unde el Re molto di questo temete, nè ussiva di castello, et fece uno comandamento a le soe zente erano sparpagnate nel Reame, dovesseno redursi in Napoli, et fece in tre volte: prima li capi venisse a veder le feste voleva far; poi sotto man a questi ordinò facesse redur la zente, dicendo voleva haver consiglio da quelli principali; et revocò quelli 300 cavalli erano avviati verso Roma. Colonnesi erano mal contenti per el contado a loro concesso per el Re, et poi lo have suspeso, et messo a definir de iure al suo conseio. Et è da saper che fo tratado acordo con questo sig. Prospero et Fabricio Colonna di acordarli al soldo di la liga, ma mai volseno romper la fede data al Re. Item che el Re don Ferandino era con le 14 galie lì a presso Napoli in mar come corsaro, licet havesse Peruca corsaro etiam con lui, nè lassava intrar alcun navilio in Napoli; et in questi zorni prese una galiota veniva di Provenza a Napoli carga di farine et carne salata et altre vittuarie, la qual li fo molto a proposito perchè dete una paga a la zurma, et el resto portò a Yschia. Demum se intendeva voleva condor la Raina a Mazara, dove se ritrovava Alphonso suo padre, et eravi le cinque galie menò con lui sì che haveva 19 galie. Tamen el Re de Franza feva gran pressa di far lavorar armada a Napoli, et divulgava voleva haver vinti galie. El sig. Virginio Orsini et Conte di Petigliano andavano per Napoli, ma non però che ancora fusseno expediti di esser presoni vel non, et de iure non erano, pur a ciò non venissero da le bande de qua, li teneva cussì a la longa.

Ancora essendo li syneci et oratori di Otranto venuti a Napoli per formar li capitoli con el Re, et volersi render; et, quelli formati, ritornono per far levar le insegne de Franza con li messi di esso Re. Ma don Cesare de Aragona, fiul de Alphonso natural, con Camillo [292] Pandon vicerè di la Puia, sotto specie di volersi render introno in la rocca, et con li soi amazono li custodi et levò le bandiere di re Ferando, et stete forti alcuni zorni: pur a la fine fonno licentiati dil popolo, et andono a Brandizo, don Cesare et Camillo Pandon, come dirò di sotto. Et mons. di la Spara, vicerè per el Re de Frenza, ivi andò con 200 cavalli, et, habuto el dominio, ritornò.

Et essendo division a Brandizo tra quelli cittadini, però che alcuni se voleva render, altri tenersi per caxa di Aragona, unde fo divulgato 20 albanesi, 20 schiavoni et 20 greghi dominava quella terra. Et questi introno in la fortezza, volendo al tutto man tenir le bandiere aragonese, et feceno drezar una forca dicendo, che se niun parlasse di rendersi a Franzesi subito da loro sarebeno impicati; per la qual cosa niuno ossava dir nulla. Fin questo zorno, che fo fatta la liga, per el re Ferando si teniva solum questi luogi in Puia et Calavria, zoè Galipoli, Otranto, Brandizo, Cotron, Turpia et la Mantea, Yschia et Lipari. Aduncha questo Re de Franza havia ottenuto prima in Campagna de Roma, Terra di lavoro, Conti de Malfi, Calabria alta, Calabria soprana, Calabria bassa, Vasilicata, Terra d'Otranto, Terra de Bari, la Puia, Monte Gargano, Capitanata et l'Abruzo tutte le terre et castelli che dominava aragonesi, li qual a nominarli sarebbe tedioso.

A Roma a dì 2 April venendo alcuni Sguizari da Napoli per numero 200, et essendo stati a tuor el perdon a San Piero, volendo partirsi, alcuni rimase da driedo, et se scontrò con alcuni de la guarda dil Pontifice, spagnioli, i quali havevano uno can di cazza assà bello, et quelli sguizari gel volse tuor, et loro difendendosi fonno a le man et alcuni fo morti. Demum la guarda ditta, tutta se messe in ordene, et andoli driedo. Li qual Sguizari ussivano za de Roma, et fonno a le man. Fo morti zerca X Sguizari, tra i qual uno che combattè più di meza hora, ut dicitur, con X lui solo; tandem sopravenendo Spagnoli fo morto, che per la sua gaiardia fo un pecato. Sopravene el capetanio di la guarda, et fo cessato de combatter, et ritornono ditti Sguizari con la fede in Roma. Questi erano nudi, senza calze, tamen tutti havevano assà danari, et poi ritornono in li loro paesi. Et ancora per avanti ne passò per Roma alcuni altri partiti dal Roy. Poi a dì 5 ditto fo morto el capetanio de li officiali, chiamato barisello, el qual fo assaltato da Colonnesi et Savelli, et da poi disnar a hore 20 si arma el capetanio di la guarda dil Papa con zerca 300 per andar a trovar queloro l'havevano morto; et tamen non li bastò l'animo de intrar in una caxa, ne la qual erano reduti zerca 500 in uno, de detti [293] partesani et seguazi di Colonnesi, conscii a far questo delicto.

Et a dì 7 ditto zonse a Roma li oratori senesi andavano a Napoli. La cagione di la sua imbassada ho scritto di sopra.

Et havendo li oratori di la liga ordene de notificar a Roma a l'orator franzese la conclusione di la liga, deliberarono di redurse tutti in capella dil Papa, dove nel ussir si veneno a scontrarsi con ditto oratore; et eravi domino Garcilasso de la Vega oratore di Spagna, Hieronimo Zorzi nostro, et Stefano Taverna de Milano: non vi era de Maximiano a quel tempo in Roma. Et l'orator yspano fece le parole, et l'ambassador franzese mostrò molto dolersi, et qui fo ditte tra loro assà cosse, et cussì uno di l'altro si separò; et consultato col Pontifice, terminono non darli investisone alcuna. Ben el Pontifice advisò la Signoria dovesse far ogni provisione, et cussì Milano, che lui non havia danari da far zente et sarebbe el primo battuto. Era di opinione de condur el duca de Urbino a soldo di la liga con cavalli 800, et questo per cessar le novità di le parte di foraussiti de Perosa, come scrissi di sopra esser acaduto nuovamente; et, conducendolo, smorzeria tutte quelle novità.

Item che suo fiul Duca de Gandia, el qual era in Ispagna, havesse cognitione di la liga, et vegnerebbe in queste parte. Ancora concesse uno perdon plenario in la chiesia de San Marco el zorno si dovea publicar la liga. Et la copia di la bolla sarà qui posta a ciò el tutto chiaramente se intenda.

Indulgentia concessa in ecclesia sancti Marci Venetiis in die publicationis foederis[127].

Venne a Venetia in questo zorno 13 April do cittadini di l'Aquila, uno chiamato Jacobo de Beccatoribus, et l'altro suo nepote Hieronimus de Beccatoribus, i quali, come fo divulgato, veneno per nome de Aquilani promettendo, se la Signoria li volevano, li basterebbe l'animo de far levar San Marco a l'Aquila; et andono in Collegio davanti li oratori di la liga, erano vestiti di veludo biavo, con zerca 8 driedo. Et Venitiani pur li detteno bone parole, facendoli restar in questa terra; et spesso andava a la audientia; ma poi, visto che non fevano nulla, essendo stati alcuni mexi qui, ritornono a l'Aquila non molto contenti.

[294]

Ancora è da saper che a Venetia era do oratori di la Comunità di Ragusi, zoè Zuan de Mence et Francesco de Sorgo, andavano vestiti a la Venetiana con barbe, et steteno zerca mexi 10, et volevano racomandarsi a San Marco, licet fusseno tributarii, attamen nostri li lassiasse lo adito potesse li soi navilii navegar nel colfo: questo perchè detteno vittuarie et favore a l'armada di re Ferando veniva contra la Signoria per favorizar suo zenero Duca de Ferara. Et poi che steteno questi mexi X in questa terra, a dì 3 Mazo si partino, et ritornono a Ragusi non havendo operato nulla.

Et ancora venne in questo tempo do ambassadori de Cypro, zoè Piero Guri kav.r et Joachim Flato, et dimandono la Signoria volesse per beneficio di quella ixola mandar la secreta era a Nicosia, et redurla a Famagosta; et, ditte molte ragioni, tamen fo decreto nel Mazor Consejo, dove mi ritrovai a ballotar ditta parte, che la segreta stesse de cætero a Famagosta, et cussì, havendo ottenuto, ritornono.

A Napoli, zonta che fo la nova a li nostri ambassadori dil concluder di la liga, et che dovesseno advisar di questo la Majestà dil Re, et essendo andati a dì 5 April la mattina in castello dal Re, per veder quello comandava zerca a l'orator suo mons. de Miolano designato a Venetia; el qual Re rispose: vi faremo ben a saper la deliberation nostra. Or, venuti fuora di camera, come fonno in sala, inteseno esser zonto lettere da Venetia, et terminono, senza andar et tornar, di mandarle a tuor, che fortasse sarebbe cosa che bisogneria parlar col Re, come fo. Et venute le lettere, quelle lette, deliberano, perchè el Re voleva disnar, di aspettar ivi in sala fino Soa Majestà havesse disnato, poi haver audientia, et cussì fece. Et poi mandono a dir a Soa Majestà havevano da parlarli secrete di cose importante. Unde, chiamati dentro in una sala, dove era el cardinal S. Piero in Vincula et mons. di Beucher soli, et tiratosi el Re da parte, Domenego Trivixan ambassador, per haver la lengua, li expose et notificò di questa liga, la qual era fatta per conservation di Stadi, per defender et varentar la Chiesia Romana et le raxon de l'Imperio, et non per offender Soa Majestà. Unde molto el Re se dolse, non possendo quasi tolerar, dicendo: la Signoria mi ha fatto una gran onta, nol criti (credetti) mai per la lianza etc. Et pur digando li oratori, questo era fatto per conservation di Stadi, perchè intendevano el Turco faceva grande armata, et el Re disse: Come? non ho io Stado in Italia? et li ho mandà a dir a la Signoria che, si vuol far liga con niuno, mel faci a saper, e a hora che tutti li pazi [295] di questa terra el sa, me lo vegnè a dir! L'è sta grand'onta, et io ho sempre conferito con vuj ogni cosa, ma da qui avanti non ve dirò alcuna cosa, come non lo fa la Signoria, che la non puol navegar al viazo de Fiandra se mi non voglio. Ha fatto liga, sì, perchè il Turco fa armada! I hanno gran paura de Turchi! Vorria che i venisse di qua! Et li oratori rispose: Vostra Christianissima Majestà non ha provado guerra con Turchi, come nui 17 anni di longo. Et cussì dolendosi el Re se tirò a una fenestra, dove era li do nominati di sopra, et diceva: per ma foi, è sta fato grande onta! Et intendendo etiam mons. di Beucher la cosa, benchè ancora non fusse zonto el corier de mons. di Arzenton, ancora lui si alterò di parole, dicendo: La Signoria ha fatto molto mal contra el Roy. Et el cardinal San Piero in Vincula zercava de bonazar el Re, dicendo: Christianissima Majestà, non sarà altro; hanno fatto per ben; et similia verba. Unde, conclusive, dimostrò esser molto amigo de Venitiani. Et el Re disse: Con el Re de Spagna li ho dato Perpignan et Elna, et Maximiano con una lettera el farò star indrio. El Papa et Ludovico dicendo gran mal, et menazando molto ditto duca de Milano. Et che lui era sta pregato dal Re di Ongaria, Portogallo et Ingilterra et Scocia et da altri Re di far liga, et mai non havia voluto far. Or poi, disse, domini oratores, è parso a la Signoria de far questa liga senza darne alcun avviso, cussì nui faremo quello ne parerà senza farli a saper nulla. Et li oratori vedendo el Re assà sdegnato tolseno licentia, et el Re apuzato a la fenestra a pena se voltò a darli licenza. Et ritornò a caxa, et subito scrisse a la Signoria dimandando licentia de ripatriar, perchè erano mal visti et poco ussivano di caxa.

A Milano el Duca intendendo veniva zente in Aste per venir di qua, et a ciò fusse serati quelli passi, terminò di mandar le soe zente a tuor Aste dil Duca di Orliens, dove diceva haver certo tratado dentro. La qual terra di Aste è a li confini de monti, et mia 7 lontano di Alexandria di la Paia. Et cussì a dì 6 April dette carta bianca sottoscritta di sua mano et el stendardo et baston al sig. Galeazo di Sanseverino suo zenero; et quello fece suo capitano; el qual, insieme con suo fratello Antonio Maria, conte Joanne Boromeo, sig. Nicolò de Corezo, sig. Galeoto di la Mirandola, conte Christofano Torelli, conte Ugo di Sanseverino, alcuni signori da Carpi et Galeazo Visconti comissario con altri conduttieri et Filippo dal Fiesco capetanio di la fanteria, in tutto zerca cavalli 3000 et fanti 4000, andar dovesse con el campo verso Aste; et se in questo mezo non poteva [296] haverla, esso Duca medemo, passato el zorno de Pasqua, verebbe in persona. Et ordinò zernede et guastadori, facendo fanti, et deva danari a li condottieri, et cussì augumentava el campo, et dette paga, come fo ditto, a homeni d'arme 450. Quello succederà scriverò di sotto.

Tutti tre li sui ambassadori andavano in Collegio a consultar zerca questa materia, et fo consultado in Pregadi, et scritto a l'ambassador era a Milano la opinione dil Senato.

Ancora è da saper che el conte Caiazo, habuto in Reame dal Re el suo stado, havendo lettere da Milano dovesse partirsi, tolse licentia di ritornar a Milano, la qual ge fu data dal Re; tamen lassò in Reame soa moglie, et partì a dì 8 April di Napoli, zonse a Roma a dì 16, et a dì 21 de lì se dispartì, et venne di longo a Milano con 100 cavalli lizieri et zonse a Milano a dì.... Tamen, zonto che fo a Roma, el Pontifice molto lo exhortò che dovesse remagner ivi, et lui mai vi volse restar.

È da saper che in questa terra a dì 28 Marzo zonse una caravella di Puia con stera 1800 di formento di raxon dil re Ferendo, et l'orator suo Spinelli, inteso questo, andò da la Signoria dicendo voleva tal formenti. Etiam Mons. di Arzenton orator franzese li voleva, dicendo che el suo Re, havendo el Reame tutto, et maxime tutta la Puia, però che a dì 21 ditto venne tutto sotto el suo dominio, eccetto Brandizo, a Soa Majestà apparteneva. Et, attento che ditta caravella era partita dal cargador X zorni avanti che 'l Re de Frenza intrasse in Napoli, et per questo fo judicato ditti formenti aspettar a l'orator di re Ferando. Il qual formento li fece bon servitio, perchè za li era mancato danari, e tamen stava con la fameglia et in reputatione come orator dil Re, et Mons. di Arzenton have pacentia di questo.

[297]

Clarissimo equiti Hyeronimo Georgio reipublicæ Venetæ Oratori facundissimo apud Alexandrum VI Romanum Pontificem Marinus Sanutus Leonardi filius patricius venetus salutem.

Niuna cosa ho extimato esser più degna nè di mazor laude, Magnifico Orator, che lassar qualche memoria di fatti loro, a ciò ne li posteri seculi, ben siamo polve, lo nome vi si oda et rimanga. Et questo cadauno desiderar dovrebbe, et sforzarsi con ogni sua possa di exercitarsi in tal operatione, che il nome loro non vadino in oblivione, et quelli, sì come sono dediti et nati sotto varie constellatione et pianeti, secondo la varietà di cieli dovrebbeno in quello che si poneno a seguitare fare tale operatione, che, da poi separata l'anima dil corpo, mediante la fama restassino immortali. Perchè, se vogliamo leggere le antique historie, se trova in ogni arte homeni excellenti sono stati, di li qual parlerassi fino el mondo dura. Io veramente, seguendo questa mia opinione, in ogni età datomi a studii et a prendere qualche dottrina, sempre ho voluto exercitarmi in quello che fortasse da huomini più maturi sarebbe stato bisogno: come di qualche particella Toa Magnificentia ne è vero testimonio; et già di la città nostra veneta alcuna cosa degna di memoria, mentre eri a la legatione gallica, a Toa Magnificentia dedicai. Al presente io già di età trigenario essendo, ho voluto non senza fatica grandissima descrivere quello che Carlo re de Franza in Italia in questi doy anni operò. Questo perchè omni eventu si veda et intenda come passono questi tempi, et le mutatione di stadi; opera assà grande et partita in cinque libri. Et havendosi Toa Magnificentia sapientissime operato in questa legatione al Summo Pontifice non manco utile che necessaria, come quelli lezendo questa potranno chiaramente comprendere il tutto, et etiam per le affinità et amore quella mi porta et ha sempre portato, mi ha parso cosa condecente uno de questi libri a Toa Magnificentia dedicarlo; non potendo con altro dimostrare al presente, amo, honoro et magnifacio quella, et non solum io, ma etiam tutti nostri patricii te [298] sono grandemente ubligati, perchè in questa età tua già sexagenaria et ultra, passato le Alpe, e continue esser a presso di la Santità dil Nostro Signor, et in colloqui con Rev.mi Cardinali et oratori de diverse parte, et haversi ritrovato ivi in tante ardue et importante materie, per le novità di quelui, al qual già è diece anni che Toa Magnificentia vi fu ambassadore et ricevette da Soa Majestà benemerito la militia.

Ergo, concludendo, la Republica nostra ti debbono essere summamente ubligata, perchè queloro che senza alcuna utilità si fatica per quella, non solum merita laude, licet sia sua patria, ma ancora la gratia del Senato, la qual sine dubio per toi degnissimi portamenti son certo l'hai acquistata. Et che sia vero, la experientia ne dimostra che volendo a li zorni passati Toa Magnificentia repatriar, sæpius exhortando el Senato de haver licentia, et fusse eletto el tuo successore, unde nostri per haver non manco de bisogno de haver tal huomo ivi a Roma, che dil suo consiglio quivi, hanno voluto Toa Magnificentia ancora resti in tal legatione, per la pratica presa, la benivolentia acquistata col Summo Pontifice et Cardinali, le saggie et accostumate risposte, le parole exquisitissime, et, conclusive, li toi boni portamenti; et continue tenir advisata la Republica di ogni successo, maxime in queste ultime turbatione ha Ferdinando re ancora con quelli Franzesi restò in Reame, le qual, ut spero, haverà bon exito.

Adoncha, Clarissimo equite, ti degnerai de lezer quello che el tuo Sanuto, affine, non inmemore di Toa Magnificentia, in questi anni ha scritto, et demum reduta al modo vi è, a tempo di la mia egritudine, et cognoscerai che più presto non ho voluto lassare queste vigilie senza ponervi la mano, licet febrato fusse, che atender a la curatione dil male havia; però che nel componere vi bisognava ponervi il senso, el qual fortasse è stato causa di la longezza di quella, et vedrai che ho desiato più presto la perpetua fama, licet poca habbia essere, cha il viver presente, et se ben biasemato fusse, come son certo sarò da alcuni dil vulgo ignorante che si doleno de non far loro tale operatione, pur qui lezendo Toa Magnificentia che se ha ritrovato ne le cosse, vederà se ho scritto la vera verità, et se in alcuna cosa harò mancato, se degnerà de correggere, et cognoscerai quanto Marino tuo è a Toa Magnificentia dedicato. Vale, Clarissime Eques, et me, ut soles, ama. Ex Urbe Veneta, ultimo Xmbris 1495.

[299]

Marini Sanuti Leonardi Filii Patricii Veneti de Adventu Caroli regis Francorum in Italiam adversum Regem Neapolitanum. Incipit liber tercius feliciter.

Essendo sta ordenato qui a Venetia, quando fo sigillato li capitoli di la liga, a ciò tutti li colligati in uno zorno potesseno far publicar solennemente ditta federatione, che la Domenega di le Palme fusse publicata, et spazati li corrieri in diverse parte a notificar a li colligati cussì dovesseno far; etiam comandò a tutti li Rettori nostri, si da terra come da mar, però che da dì ultimo Marzo fino a dì 12 April haveno assà tempo. Et venuto el zorno constituito, essendo sta el zorno avanti mandato a dir per el Prencipe a Mons. di Arzenton orator dil Re de Franza, che li piacesse de voler venire la matina seguente a una solenne processione; el qual, conclusive, rispose non se sentir ben, et non volse venir, et fense di esser amalato, tamen era visto per la terra, et non andò in Collegio dal zorno li fo notificato la liga fino a questo zorno che andò, come dirò di sotto. Et a ciò non manchi in niuna cosa, ho deliberato descriver l'ordene di le cerimonie fo fatte in questa terra in tal zorno. Prima sopra la piaza di San Marco fo fatto a torno legni, con li panni di sopra per schivar el sol, sì come se suol far el zorno dil Corpo de Christo; la qual cossa in altri tempi de liga et paxe non fo fatto. Et fo messo mazzi a torno li legni etc. Item fo messo sopra la chiesia de S. Marco, zoè a la fazzà, do stendardi sopra altenele, uno per banda, i qual erano uno de Marco Barbarigo fo prencipe, l'altro de questo presente Serenissimo; zoè quelli che portano sopra el Bucintoro. Etiam fo messo questi altri stendardi de capetani zeneral da mar... El primo era quello de re Zacho de Cypri; quello de Christofolo Moro doxe, quando andò in Ancona; quello de Orsato Zustignan; quello de Vettor Capello; quello de Triadan Gritti; quello de Piero Mocenigo; quello de Vettor Soranzo, de Jacomo Marcello, et uno da ca Moro, videlicet de Damiano fo capetanio in Po. Item stendardi de provedadori di l'armada in mezo, zoè de Nicolò da ca da Pexaro et altri. Et fo messo olivo mazzi ligati sora [300] la Chiesia. Ancora fo messo panni d'oro a le colonnele di la Chiesia da una banda a l'altra sopra la piazza, cossa nuova et numquam più fatta. Sora el campaniel fo messo bandiere de galie, et trato de molti schiopetti, che era una beleza a veder, a sentir, con gran soni. In piazza era grandissima quantità de zente, adeo non se poteva passar nè andar a torno; per tutto era pieno. Fo indicato esser tra piazza, sul palazzo, balconi et in Chiesia, n.º 68 milia. Dil palazzo dil Prencipe fo messo fuora de balconi sora la corte li 8 stendardi porta quando va con le cerimonie li zorni ordinati et solenni, et tutti sì li ambassadori quam patricii veneno a bonhora. Prima venne el legato, el qual andò in Chiesia ad apararsi et disse la messa; et l'altro, zoè D. Aloysio Becheto, andò con la Signoria: poi venne Ferrara, poi li tre de Milano, poi Spagna et ultimo Maximiano. Et cussì adunati, venne la Signoria zoso dil palazzo, et intrò in Chiesia, dove era tanta moltitudine di persone che non se poteva intrar, sì venuti per la indulgentia, quam per veder le cerimonie. Vi era etiam el Patriarca nostro, et ditto l'officio dil zorno, et dato le palme, veneno fuora pur col Prencipe et oratori, et butato more solito le corone zoso di la Chiesia, in segno di leticia de l'intrar de Christo in Hyerusalem, ritornono in Chiesia dove solennemente fo ditto la messa per ditto legato, et nunciato la bolla dil perdon in tal zorno concessa, sì come è notata avanti nel secondo libro, senza offerir pecunia.

Comenzò poi andar a torno la piazza la processione, zoè intravano in Chiesia presentandosi al Prencipe, poi andava a torno la piazza et l'ordene quivi sarà posto. Prima la scuola di la Charità con 40 dopieri in aste dorate, et 16 anzoli con varie cosse et arzenti in mano, una ombrella con una † sotto, dove è dil legno di la † de Christo in una ancona a la greca donata a ditta scuola per el Cardinal Niceno. Poi un'altra con una ancona di nostra Donna assà miracolosa. Un'altra con una cassetta lavorata benissimo de crestallo et smalto, ne la qual era la camisa de Christo et altre reliquie. Poi alcuni anzoli con le arme di collegati in mano; prima Milan, Venetia, Spagna, Maximiano et Papa, poi S. Marco. Poi uno carro portato da fachini, sora el qual era vestiti da Davit propheta et Abigail con una navicella bellissima et de gran valor de crestallo, piena de fermento, davanti. Venne poi sopra uno altro carro Italia et Venetia con altre provincie a torno pur de Italia, et putini havea brievi dicea: Liguria, Feraria etc. Dopo queste cosse venne de quelli di la scuola vestiti n.º 500 con candele in mano. La scuola [301] di la Misericordia, dopieri, ut supra, n.º 66 dorati, do anzoli, puti picoli seracini, fo bel veder; poi 5 anzoli con arme di la liga in man, poi 6 altri con corni de divitia, un'ombrella con una cassetta de reliquie et una ancona d'arzento davanti, un'altra con la man de S. Theodosio sotto, et alcuni dopieri grandi portati a man; una ombrella et sotto uno presepio d'arzento, et altre reliquie: et le mazze di le umbrelle d'arzento, cossa che niuna scuola ha, e tutti con palme in mano. Li batudi de questa scuola n.º ut supra. La scuola di San Rocho con dopieri 30 doradi avanti el Crucefixo; poi anzoli con arme di la liga, et el Doxe nostro; poi una Justicia a piedi con la spada et balanze in man; poi 20 dopieri su aste d'oro, 10 davanti et 10 da drio l'ombrela, sotto la qual era el deo de S. Rocho in un tabernacolo, et avanti era portato un gran cierio beretin, batuti n.º ut supra. La scuola di S. Marco con dopieri 40 dorati, anzoli con corni de divitia 9, et 12 con le arme di colligati. Venne poi uno carro portato da homeni, su el qual era el Duca de Milano vestito d'oro con el bisson davanti a li piedi, et do vestiti da mori negri, con casacche moresche, de driedo, perchè questo è 'l suo cognome di Lodovico Moro; et era scritto davanti el carro queste lettere: Pervenerunt Principes conjuncti. Poi venne una Justicia con uno specchio in mano et uno lion davanti, et era scritto: Dissipa gentes quae bella volunt. Poi venne el Re et Raina de Spagna sentati, con do vestiti a la castigliana da driedo, con spada in mano et era scritto: Dies super dies regis adjicies. Poi venne Maximiano come Imperator con l'aquila, vestito a la Todesca, et queste lettere davanti el carro suo: Cuius Imperii nomen est in aeternum. Poi venne el Pontifice con la mitria in testa et le chiave, et diceva: Credentium erat cor unum et anima una. Et è da saper che tutti questi, come fonno davanti la Signoria, fo refferito questi versi in significar chi erano quelli. Primo Milano: Questo è colui che 'l sceptro justo in mano — Tien dil felice stato de Milano. Signoria de Venetia: Potente in guerra et amica di pace — Venetia il ben comun sempre ti piace. Re et Raina di Spagna: Questo è il gran Re di Spagna e la Regina — De infedeli hanno fatto gran ruina. Maximiliano: Viva lo Imperator Cesare Augusto — Maximian re di Romani justo. El Pontifice: Questo è papa Alexandro che corregge — L'error dil mondo con divina legge. Oltra di questo venne un'ombrella sotto la qual era l'anello di San Marco. Poi un'altra con una anconeta adornata di zoie bellissime, d'arzento dorato, la qual era di Domenego di Riero. La scuola di S. Zuanne venne [302] poi con dopieri 40 dorati et anzoli XI portava arzenti, poi uno Christo portado da uno anzolo, una fontana butava aqua odorifera, poi el mondo tutto in una balla de carta, poi 6 anzoli con arme di la liga, un'ombrella con uno San Zuanne antico, poi cinque altre ombrelle con varie reliquie portate da sacerdoti. I tabernaculi poi, sotto uno el capo de Santa Maurina; poi dopieri grandi a man, el primo de S. Martin sotto un'ombrella, et poi una ancona greca da Constantinopoli, et dopieri 40 la mità avanti et la mità da driedo su aste piccole dorate; poi la ombrella d'oro, sotto la qual era la Croce Santissima ch'è molto miracolosa. Et quelli di la scuola havia dopiereti in man, in loco de candelle, et fo gran numero.

Poi venne li frati. Prima li Jesuati. Poi li frati di S. Sebastiano con caleci in man. Poi de S. Maria di.... con corparuoli, calesi et pennelli in mano, et el piè de San Paulo primo heremita inarzentado. Poi li Crosechieri con assà reliquie, et la cossa di San Christofalo portata su uno edificio da homeni, et la testa di Santa Barbara su uno soler. Poi li frati di Servi apparati: la testa d'arzento di S. Zuanne papa et di Santa Maria Cleophe. Poi li frati di Carmini con assà teste de Santi et 20 fratoncelli vestiti da.... anzoli. Poi li frati di San Stephano con fratoncelli 14 con confetiere in mano, et li frati belli aparamenti con pianete di perle lavorate et assà arzenti. Poi li frati di S. Francesco: prima Santo Jopo (Giobbe) et S. Francesco di la Vigna, Observanti et fratoncelli vestiti da anzoli, uno di qual portava S. Marco fodrà di varo: demum venne li Conventuali con fratoncelli con pennelli in mano; uno soler sora el qual era el duca de Milan sentado, con una cadena in man, era incatenada tutta la liga; poi venne Venetia con l'arma dil Doxe et una vera bareta ducal; poi el Re over Raina de Spagna; poi l'Imperatore et el Papa con lettere diceva: Fides Apostolica; apparati frati n.º 38. Poi venne li frati di S. Zanepolo, con fratoncelli con candelieri d'arzento et pennelli: et prima era S. Domenego et S. Piero Martire, zoè tutti insieme; poi le arme di colligati portate su corni di divizie assà aparati; et do candelieri grandi d'arzento. Frati di S. Salvador et Santo Antonio con una † ornata di seda benissimo, con reliquie in tabernaculi; item el brazo de S. Luca d'arzento, con una penna in mano, assà teste de Santi portate in mano, ancone con assà reliquie dentro, inarzentade, la.... et mitria dil suo abate per esser abazia. Poi li frati di Santo Spirito con bei apparamenti, li frati di la Charità et San Chimento (Clemente) a uno, li frati di S. Zorzi mazor et S. Nicolò de Lio, la man de S. Zorzi et una man de arzento [303] de Santa Lucia, et la testa de San Jacomo, poi l'abate con la mitria et baston pastoral avanti. Poi venne li frati de Santa Maria de l'Orto co S. Zorzi di Alega, con cotte di sora da canonici.

Da poi successe li preti, et prima la Congregation de S. Salvador, sono 9 congregation et in tutte preti 36 et non più. Poi S. Canzian, ne la qual era el brazo de S. Zuanne Grixostomo et altre reliquie. Poi San Silvestro, poi S. Marcuola et el brazo de S. Anna, et una ombrela de veludo biavo fo de uno Doxe da ca Memo lassata a ditta Chiesia, et la man destra de S. Zuanne Battista in uno tabernaculo, portata sopra uno edificio. Poi venne la congregation de S. Luca et el pè de S. Triphon inarzentado. Poi Santa Maria Formoxa et il pè de S. Dimitri inarzentado. Poi Santo Anzolo, poi S. Polo. Et S. Maria Mater Domini fo l'ultima, con el brazo de Santa Agata inarzentado.

Et compito ditti frati et preti, venne fuora de Chiesia, sonando campanon, la Signoria. Come fu a presso la piera dil bando, la qual è di porfido, et in quelli zorni fo alzata, sonando prima trombetta assà, poi per Battista comandador fo publicata ditta liga, la qual publication sarà qui sotto scritta. Et compito, fo sonato iterum trombette et campanon, et trato assà schiopeti et bombarde dil campanil.

Poi seguite la processione. Prima trombete de galie n.º 32; do dopieri d'arzento avanti la †. Poi el capitolo de S. Marco. Comandadori dil Dose vestiti de biavo con barete rosse in testa col marchetto n.º 24. Li scudieri di Maximiano, zoè di soi ambassadori, con calze tutti a una divisa, et zuponi che fo bel veder. La fameglia dil Legato et oratore dil Pontifice, quelli di la cancelleria, li canonici de Castello alcuni aparati, el Patriarca dagando la benedition con la mitria in testa. La bolla di la indulgentia portata avanti aperta su una maza, el legato aparato con la mitria et andava dagando la benedition, et canonici de S. Marco aparati a torno sì de lui come dil Patriarca. El Canzelier grando con alcuni secretarii de Collegio, zoè Zuan Zacomo di Michiel, Alvise Manenti secretarii dil Consejo di X; Gasparo di la Vedoa et Zaccaria.... Bernardin di Ambrosii de Collegio. Una palma bella portata davanti, el Prencipe vestito de restagno d'oro, l'orator dil Papa de veludo paonazo, l'orator de Maximiano, zoè el decano, de veludo cremesin, et l'altro cavalier pur de veludo con catena al collo d'oro, l'orator yspano de veludo cremesin con cadena, l'orator de re Ferando etiam de veludo, ut supra, con cadena, lo episcopo de Como, orator de Milano, [304] domino F.º Bernardin Visconti con una vesta corta d'arzento sopra rizo et cadena ligada per non esser cavalier, et domino Thadeo de Vico marcà, terzo orator, damaschin cremesin et una cadena molto grossa al collo, l'orator de Ferrara et quello de Mantoa, Piero Dandolo primicerio de S. Marco, et magistro Joachim Venitiano Zeneral de Frati Predicatori, poi D. Tuciano baron de Hongaria, habita qui a Venetia, et don Consalvo fiul di l'orator yspano con cadena al collo. Demum un corsier et uno procurator, li consegieri è nominati di sopra, zoè quelli fo a la conclusione di la liga, et questi procuratori: Nicolò Mozenigo, Fedrigo Corner et Domenico Moroxini, Christofol Duodo, Felipo Tron et Lunardo Loredan; poi li Cai di XL, fiuli dil Prencipe, et Avogadori; tra i qual Bernardo Bembo dottor, avogador, vestito d'oro; poi li Cai dil Consejo di X; demum li cavalieri et quelli haveno veste d'oro: noterò Thoma Zen, Piero Balbi con manto bellissimo, Zorzi Corner, Polo Pisani venuto in questi zorni da Roma, et cadena sora la vesta, Zaccaria Contarini, etiam con cadena, Battista Trivixan, Marco Dandolo dottor et Francesco Capello; et questi cinque havevano manto d'oro sopra la veste, zoladi sulla spalla, che era bellissimo, altri cavalieri et dottori vestidi de seda tutti, et poi per età de li altri senatori numerati tutti n.º 180, vestiti d'oro come ho ditto, n.º 8 cavalieri, et de seda, 80 altri de scarlato et sarebbe stato assà più se non fusse sta la nova di le galie de Fiandra, la qual do zorni avanti fo verificada, et tutti levono corrotto, et in piazza era assà veste di scarlato, præter solitum, perchè se usa negro. Compita la processione et accompagnato el Prencipe in palazzo, tutti andono in caxa, et l'hora era molto tarda, et tutto quel zorno fo sonato campanon a S. Marco et ancora per tutta Venetia. Et in questa mattina Bartholomeo Zorzi proveditor di l'armada messe banco, et etiam Marin Barbo soracomito. Questo fo fato, a ciò si vedesse nostri dava principio a voler far fatti, et la sera drio se partì Piero Bembo soracomito et andò a Corphù. In questo medemo zorno venne lettere de Napoli molto desiderate, di la risposta dil Re, quando li nostri oratori li notificò la liga, et el zorno drio li oratori di la liga veneno in Collegio, et fo mostrato ditte lettere et consultato.

La sera veramente fo fatto su la piazza de S. Marco do gran fuogi de assà legne de carra 20, mandate per la Signoria, et fo messo, oltra le legne brusavano, per puti quelli legnami potevano trovar lì in piazza, et ancora per ogni colonna dil palazzo era una lumiera ita che fu n.º.... a torno a torno tutte impiate a una botta, [305] et si andava refrescando che pareva fusse zorno, et era bellissimo veder. Sopra el campaniel fo messo assà lumiere, trato di molte rochete et schiopeti, sonando campanon et assà moltitudine de zente fino 6 hore steteno in piaza. Ancora sopra altri campi fo fatto fuogi, et per li campanieli di le chiesie, et a San Bortholomio per Todeschi assà lumiere, etiam a caxa de li ambassadori di la liga. Et questo basti quanto a queste cerimonie, et cognosco esser stato molto longo, ma ho voluto el tutto descriver et la publicatione fo a questo muodo: la qual fo butata in stampa con cinque virtù: al Papa, fides; Imperator, justitia; Re de Spagna, fortitudo; Venetiani, prudentia; et duca de Milano, amicitia.

Questa è la publicatione di la liga

El Ser.mo et Exc.mo Prencipe nostro, d. Augustino Barbarigo a tutti dechiara et fa noto che in nome dil Summo Creator e di la gloriosissima madre Verzene Maria et dil protetor nostro misser S. Marco et de tutta la corte celeste, in questa nostra città, fra el santissimo et beatissimo in Christo padre et sig., sig. Alexandro per la divina provedentia papa VI, el Ser.mo et Exc.mo sig. Maximiliano Re de Romani sempre Augusto, li Ser.mi et Exc.mi Sig.ri Ferdinando et Helisabetha Re et Raina de Spagna, esso nostro Ill.mo et Exc.mo Prencipe et l'inclita Signoria nostra, et lo Ill.mo et Exc.mo Sig. Ludovico Maria Sforza anglo duca de Milano etc. etc. et gli successori, adherenti et ricomendati de cadauna di le parte preditte a honor dil nostro Sig. Dio, a fin de pace et tranquillità de tutta Italia, ben et comodo di la Republica Christiana, felicemente è sta conclusa, fata et fermada bona, vera, valida et perfecta intelligentia, confederatione et liga, duratura ad anni XXV et ultra ad beneplacito de esse parte, per conservatione di la dignità et autorità di la Sedia Apostolica, protetion di le raxon dil Sacro Romano Imperio, et per defension et conservation de li Stadi de cadauna di le parte et soi adherenti et recomandadi, la qual confederation et liga per le ditte parte è sta deliberado che in questo zorno per tutto el dominio, et in ogni cità de cadauna di le parte preditte solenemente publicar se debbi, a gaudio universal et consolatione di tutti. Eviva S. Marco!

Et in questo medemo zorno a Milano fo fatto solenne procession et gran feste per la terra, et per tutto el suo dominio, et fo publicata, et fo invidato Mons. di la Ruota orator dil Re de Franza, [306] el qual non volse esservi, ni etiam, Joan Baptista Redolphi orator fiorentino; et come fo publicata, de lì a pochi zorni el Duca andò a Vegevene, et in Milano rimase Sebastian Badoer cavalier ambassador veneto.

A Roma etiam fo fatto in tal zorno gran solemnitade, perchè, havendo benedetto le palme, andò el Pontifice a S. Piero, et el card. Benevento, fo nepote de Innocentio, disse messa, et mostrato uno legno de quelli fo ficato el Redemptor nostro su la †, con molta devotione, et in chiesia tutti oltra l'olivo haveva una candela in mano. Et fo fatto una oratione per el vescovo de Concordia, vicentino de caxa Chieregato, in laudatione di tal liga; la qual qui sotto sarà scritta, et poi publicata. Tutto quel zorno in Roma sonò campane, et in castel Santo Anzolo trombe, et in caxa de Cardinali grande alegreza, et in caxa di l'ambassador veneto fo tenuto corte bandia, con confetione etc.; tutti cridava: Marco! Marco! Et a questa processione non vi volse venir el Cardinal di S. Dionisio franzese, nè l'orator de Franza. Et poi la sera et in castello et caxa de Cardinali, prelati et ambassadori fo fatto gran fuogi et lumiere, et dil veneto più di 100 lumiere a torno la sua caxa, et fatto do gran fuogi in segno de consolatione. Et el zorno driedo, fo a dì 13 April, l'ambassador ditto dil Re de Franza partì da Roma mal contento, et ritornò a Napoli.

Sermo habitus Rome in ecclesia Sancti Petri in die palmarum anno domini 1495 coram Sanctissimo in Christo Patre et Domino nostro D. Alexandro divina providentia Papa sexto in publicatione confederationis inite inter ipsum ac Romanorum et Hyspanie reges, Venetorumque atque Mediolanensium duces per reverendum dominum Leonellum de Chieregatis decretorum doctorem episcopum Concordiensem ac Sanctitatis sue referendarium domesticum[128].

In terra todesca dal Re di Romani fo publicata a Vormes, dove el re Maximiliano feva la dieta, et havia principiata a dì... ditto con gran cerimonie per tutta la Elemagna. Et quam primum che a Venetia fo publicata, el zorno drio, fo a dì 13 April, li do altri soi [307] Ambassadori tolseno licentia da la Signoria, dicendo voleva andar contra el suo Re. Ai qual el Prencipe li usò benigne parole, digando: Fate pressa a Soa Majestà che 'l vegni, che li daremo ogni favore, et quello in Italia molto desideremo. Ancora li nostri ambassadori a Soa Majestà presto expediremo. Et habuto li presenti, prima se partì el decano, et don Leonardo Felz rimase per essere amalato; tamen, el dì driedo Pasqua, etiam lui si partite.

Quello acadete a Venetia, Roma, Napoli, Milan et altre parte dil mexe (di Aprile) 1495, zoè da poi la publicatione di la liga.

Domente tal cose si fanno, in mar essendo fuzito di le man di Zoan Francesco Venier soracomito nostro volonteroso di haverlo et prenderlo, Camalli turco, come scrissi ne l'altro libro, a hora venne sul mar insieme con uno altro corsaro chiamato Richi, pur di natione turco, et haviano una nave di botte 400, una barza di botte 200, do fuste grande et do gripi tutti armati. Unde Hieronimo Contarini proveditor di l'armata con do altre galie dalmatine li andò contra per investirli, et haver di lui vittoria, et cussì fonno a le man, et ne fo morti de la sua galia, che investite, assai, et feriti zerca 70, et se le altre galie dalmatine havesse seguito, senza dubio Camalli saria sta preso, overo in mar anegato et in battaglia morto; ma si excusono non haveano bone vele. Et questo fo in l'Arzipelago, sora Schiati Scopuli. Et havendo assà combattuto, sopravenendo la notte, ditta galia dil proveditor al meglio potè se slargò, et con le altre ritornò a Modon et Camalli andò via, nè qual volta tenisse non se intese. Ma non molto da poi essendo Antonio Grimani procurator capetanio zeneral a Sapientia a presso Modon, visto di lonzi una fusta, mandò Antonio Loredan soracomito con do galie, zoè istriana et zaratina, a investirla, et cussì la galia zaratina, per esser bona, do volte investite, et quella fusta averze per mezo, la qual era de ditto corsaro, et Turchi fonno in aqua; tamen pur zerca 95 era su ditta fusta, li qual prima fusse investiti, con archi et freze sagittavano nostri. Et de ditti fo morti et anegati, et 25 solamente presi vivi, et quelli portati a presentar al capetanio zeneral era a Modon venuto per complir de far li stratioti. El qual ordinò fusse ligati le man et li piedi, et butati in mar per anegarli; et cussì fo fatto: unde el capetanio loro, quando era ligato se la rideva; et li fo dimandato da quelli sapeva la lengua la cagione dil suo rider. Rispose io ne ho anegati tanti christiani con le mie man, che l'è raxon [308] sia anegato ancora mi da christiani. Et cussì fonno butati in mar, et benchè fusseno ligati, uno d'essi si desligò et andono alcuni con le barche di le galie et quello con la spada amazò lì in acqua; et lui a modo di un pesce se aiutava de nuotare e fuzir. Ma Camalli preditto, partito che 'l fo di le man di le nostre galie, andò nel porto de Garipoli, dove trovò sorta una nave de zenovesi, di quelle da Scyo, et esso Camalli volendo intender de chi fusse, disseno era de Scyo, unde li disse non dubitasseno, che sora la sua testa non li farebbe danno, essendo raccomandato e tributario Scyo dil suo Signor; ma pur che havendo bisogno, li era forzo dimandarli ducati 50. Et el patron li disse, che non li havea; ma lassasse vender alcune merze, che era contento di dargeli: et cussì fermono l'accordo. Ma inteso ditto patron, come una nave de essi zenoesi era a l'altro cargador, li mandò a dir dovesse venir in so aiuto contra questo corsaro. Unde ditta nave cussì fece. Ma Camalli, vedendo venir questa nave verso de lui, fuzite de lì, et lassò la sua barza grande, la qual la nave di Scyo ebbe, et mandò in sua malhora via, non restando però di far danni sul mar, come dirò di sotto. Et questo basti zerca a Camalli.

A Venetia li ambassadori di la liga, Papa, Spagna et Milano andavano spesso in Collegio, ai quali erano lette le lettere, et inter eos desputato quid fiendum, et maxime zerca le cose di Aste, però che 'l Duca de Milano faceva molto facile impresa. Et sopravenendo la Settimana Santa, andando secondo el consueto el Prencipe con la Signoria a li oficii in chiesa di S. Marco, et invidato Monsignor di Arzenton, pur vi venne, et accidit che il Mercore santo, passando davanti le preson per andar a la soa barca ditto orator, per presonieri stanno a quelle finestre li fo ditto assà mal, dispriciando Franzesi. Et ancora el populo, sapendo la cativa ciera era fatta a Napoli a li nostri ambassadori per Franzesi, a questo li mostrava cattivo volto; tamen el Prencipe l'honorava assà, et più se li feva le spexe, et li nostri loro si fevano le spexe. Et ancora uno conte Antonio, che andava per le terre come matto, la cui pacìa era il voler danari n.º assai da banchi, dicendo dover haver etc. nè voleva per resto ma ben per parte; et questo da alcuni fo vestito con zii (gigli) zalli sora una vesta negra. Et mons. de Arzenton andò a lamentarsi sì de li presonieri, quam di questo, a la Signoria. Unde el Prencipe ordinò fusse serati ditti carzerati, et colui spogliato di tal veste. Et pur dicendo Arzenton, che 'l popolo, quando veniva qualche prosperar dil suo Re erano mal contenti, et quando veniva al contrario dimostravano [309] alegra ciera, come spesso lui havea visto, et era in effetto la verità. Ma el sapientissimo Prencipe li disse: non vi meravigliate; in questa terra nostra el popolo è libero e liberamente parlano et hanno gran ragione: perchè prima era gran abondantia, et dapuò venuto el vostro Re in Italia, hanno habuto carestia; et si non provedessemo, el popolo menuto staria molto mal. Et è da saper che el zorno drio che fo fatto la liga, calò g. 6 la farina el ster in fontego. Et el zorno de Pasqua, da poi stato la Signoria a San Zaccaria, secondo el consueto con le cerimonie ducal, ditto orator fo chiamato a l'audientia, al qual el Prencipe se dolse di la cattiva compagnia era a Napoli a li nostri ambassadori. Et è da saper che el Sabato Santo fo Pregadi per far consultatione si importaveno le cose volevano far.

Venne in questa terra incognito el conte Bernardin de Frangipani, signor de Modrusia, Segna etc.; et secondo altri fo uno suo barone, el qual alozò a S. Nicolò de Lio, et più volte a caxa dil Prencipe. Fo divulgato voleva soldo, per esser valentissimo ne l'arte militar. Et habuta la risposta, la qual era et fo secreta, si partì, et ritornò ne li soi paesi. Et per questo se intese el conte Zuane, fo fio di re Mathias, venne in questo tempo in Corvatia a li soi luogi con assà zente.

A Napoli, per lettere de 9 April, erano in gran consultatione, et stavano molto tardi fino do et tre hore di notte, faceva grandi apparati di zostre e torniamenti per far queste feste di Pasqua, nè metevano precio alcuno. Fece disfar el Re l'armada voleva poner in ordene per andar a tuor Yschia. Item el Stato dil Marchese de Pescara, perchè per avanti havia donato al prefetto di Roma, havia nunc suspeso, et altri privilegii et concessione pur suspese, et poi per lettere dil 16 se intese come era zonte ivi do galeaze de vituarie venute di Provenza overo Marseia. Questo perchè el re Ferandino era partito de Yschia per menar la Rayna in Sicilia. Et la verità fo, che a dì 17 April zonse a Messina, et ivi puose la Rayna. Et li oratori nostri a Napoli non erano ben visti, imo fu spento Francesco da la Zueca suo segretario, volendo andar in castello dal Re, in fango, dimostrando poca riverenza, benchè poi si excusasseno non lo havia conosciuto; tamen è da saper che da poi la liga Franzesi comenzono a perder la reputatione. El Re non havia danari ma ben Franzesi, perchè de tutto zercavano venir su danari, vendendo per li luogi infino le munitione de li castelli, et al tutto el Re, passato queste zostre, voleva aviarse a la volta de Roma.

[310]

Da Napoli non veniva lettere cussì spesso come prima, et questo perchè le strade erano rotte, nè potevano venir li corrieri securi, et accidit che uno nostro corrier fu intercepto a Teracina da alcuni Franzesi, dicendo haviano in commissione dil Roy di voler veder tutte le lettere, et che non faceva per far alcun oltrazo a la Signoria, et aperseno le lettere de li oratori, le qual per esser in zifra non le intendendo fonno restituite. Et fo ditto a questo corrier: benchè si fa a la gran ville de Venetia, hai paura che 'l Roy non vegni a metterli fuogo et a brusarla? Et el corrier rispose: Monsignor, se tu mi da licentia, te risponderò. Et lui gela dette. Et disse: l'è tanta aqua a torno le fosse di la gran ville, che stuarave (spegnerebbe) questo et ogni altro mazor fuogo, sì che non temeno alcuna cossa. Le qual parole, ridendo, esso corrier referite al Prencipe; et fo laudato la sua risposta. Et zonse qui questo corrier a dì 15 April.

In questi zorni venne lettere di re Alphonso de Aragona, era a Mazara in Sicilia, al suo ambassador era in questa terra, licet non fusse più suo ma dil fiul Re; et molto comendò la fede sua, pregando dovesse perseverar, et exhortar li Signori Venitiani a dar aiuto a suo fiul, promettendoli di far sarà remeritato a qualche tempo. El qual re Alphonso prima se judicava fusse morto, ma a hora, per il messo portò le lettere, fonno certificati come era vestito di bianco, con alcuni frati in compagnia, et faceva vita quieta. Et ditto ambassador andava in collegio spesso, solicitando molto ogni proficuo et utilità havesse a ridondar al Re suo; visitando molto l'ambassador de Spagna et de altri collegati, et era pur honorato come ambassador di Re andando al loco suo; et con Mons. de Arzenton etiam parlavano assà.

Venne a Venetia nel mexe 4 April ad habitar con la moglie et sua fameglia quello era castelano in Manferdonia, chiamato Hieronimo Michiel, di natione cathellano, et portò grande haver, et era stato assà anni castellan ivi, et quando Franzesi si aprossimò a la terra, volendo el populo levar le sue insegne, questo fuzite et andò a Ragusi, et el Re de Franza lo mandò a domandar a Ragusei, i quali non gel volse dar, ma ben lo licentiò. Et cussì venne in questa terra, et, per più securtà sua, volse uno salvoconduto per el Consejo, el qual a dì 24 ditto li fo concesso, et da poi andò con alcuni fanti in Puia, in favor dil suo Re come scriverò più avanti.

A Roma essendo partito l'ambassador de Franza, a dì 13 April, de lì assà mal contento, et zonte le lettere de cambio di ducati 4000, [311] l'ambassador Veneto comenzò a far provisionati, perchè cussì fo ei voler dil Papa, etiam la Signoria fo contenta. Et zonto che fo el capetanio di la cittadella de Verona, Francesco Grasso, el qual menò assà fanti overo provisionati con lui, et per camino de Ravena verso Roma tutti cridava: Marco! Marco! nè per Romagna se aldiva altro. Et da poi le feste de Pasqua li dette danari a li contestabeli n. 6, però che fece 600 provisionati. Et a dì 16 ditto zonse lì el Cardinal Curzense venuto da Napoli, et trovato l'orator nostro in capella dil Papa, li disse: Domine Orator, el Roy molto vi ama, questo per esser stato ambassador in Franza. Et poi disse di questa liga; voglio che vui et mi femo far una gran paxe in Italia, e far che 'l Roy vadi contra infedeli, et voglio pacificar el Roy con la Signoria etc. Tamen non havia alcuna commissione, et diceva queste parole da lui.

Ancora questi zorni lì a Roma arrivò Antonio Stanga ambassador dil Duca de Milano, el qual alias fo al re Alphonso a Napoli, come ho scritto nel principio di questa guerra, sì che erano doi, zoè questo et Stephano Taverna, benchè el cardinal Ascanio fusse quello faceva el tutto et era in grande amicitia col Pontifice. Et poi a dì 22 ditto se partì per andar a Napoli dal Re el cardinal di San Dyoniso, franzese: la causa non se intese, ma fo judicato el Re lo havesse mandato a chiamar per haver el suo consejo. El qual andato a tuor licentia dal Pontifice, si offerse di metter ogni paxe et pacificar le cosse. Pur Franzesi in Roma erano mal visti, maxime da Spagnioli, et el zorno de Pasqua do Franzesi fu butadi zo dil Ponte nil Tevere per Spagnioli, uno de li qual morì. Li cavalli lezieri mandava la Signoria verso Roma erano propinqui, et a dì do feno la mostra di provisionati benissimo in ordine. Tamen quelli de Milano non era ancora comenzati a far, benchè el Duca scrivesse a suo fratello cardinal Ascanio li facesse, et diceva di farli. Ancora el Pontifice voleva assoldar 600 homeni d'arme, et era in accordo con la parte Orsina, et a quelli dette stipendio, solicitava la Signoria ad acordar suo fiol Duca de Gandia, el Duca de Urbino et suo zenero sig. Zuanne di Pesaro, el qual havia compito la ferma et condutta havia di la chiesia, pagato tamen per nui, secondo li capituli di la prima liga. Etiam voleva el sig. de Camarino, alias essendo nostro governator di le zente de Romagna, et chiamato a la guerra se havea col Duca de Austria fo casso et privato dil soldo. Unde, fatto consultatione inter patres con li ambassadori di la liga, ditti Signori fonno acordati, zoè el Duca de Gandia et sig. di Pexaro, zoè al Gandia [312] ducati 30 mila et a Pesaro ducati 16 mila et tengi 400 cavalli, pagati proportione tra Venetiani et Milano, come più diffusamente dirò di sotto. Et con el duca Guido de Urbino fo praticato de acordarlo, però che era in questa terra uno so secretario chiamato Piero Antonio Perolo, el qual con Marco Zorzi et Paulo Pisani cavalier, Savii di Terra Ferma, praticava de condurse, et li volevano dar la liga ducati 18 milia et tenisse 800 cavalli, ma non fonno d'acordo, et si acordò ditto duca de Urbino con Fiorentini, come dirò poi.

In questo tempo mezo, a dì 6 April, li oratori erano al Re de Romani dil Duca de Milano, zoè Baldissera de Pusterla et Joan Francesco di Marliano nominati di sopra, a Vormes, et non senza gran quantità de oro oteneno da esso Re la investisone dil Ducato de Milano in persona de ditto sig. Ludovico et soi heriedi; et ivi fo fatte le cerimonie debite et jurato fedeltà a l'imperio, ditti oratori per nome dil Duca, però che Milano è camera de Imperio. La qual investitura ni el duca Francesco so padre, ni el duca Galeazo so fratello, nè Zuan Galeazo so nepote mai da Federico padre de esso re Maximiliano la poteno ottenire. Et inteso el Duca tal nova, havendo grandissima alegrezza subito che la intese, che fo a dì 14 ditto, a dì 16 in questa terra si seppe, et con gran festa li soi oratori el Zuoba Santo andono in Collegio a notificar a la Signoria questo, con i qual fo allegrato. Et etiam mons. de Arzenton li tocò la man a ditti oratori, dicendo: me ne alliegro di ogni cossa, purchè sia per metter paxe et union in Italia.

Et dovendo venir do ambassadori de dito Re de Romani a Milano, a far le debite cerimonie di tal investitura, a dì 27 April nel Consejo de Pregadi a compiacentia dil Duca fo creato ambassador a Milan, el qual dovesse andar a queste feste, Marco Zorzi era Savio di Terra Ferma, et tamen poi non fo mandato, perchè terminono nostri de dar licentia de ripatriar a Sebastian Badoer, et in suo loco andar dovesse Hieronimo Lion cavalier, era za assà tempo creato a ditta legation, etiam de mandarvi insieme li do ambassadori andavano in Spagna, i quali fusseno a queste solennità, et cussì fo fatto, come intenderete. Ancora esso Duca scrisse una lettera al Re de Franza notificandolo de questo, et invidando Soa Majestà a questa alegreza a Milan, la qual questo mexe de Mazo doveva far, et questo fece con consentimento dil Pontifice et la Signoria. Pur era lì a Milan l'ambassador dil Re preditto de Franza, sì come in questa terra Arzenton, zoè mons. di la Ruota.

[313]

De l'impresa de Aste veramente essendo andato el sig. Galeazo di San Severino con li altri condutieri, et fatto el campo, el qual ogni zorno se ingrossava, et el Duca de Orliens, vedendo questo, feva molte provisione de zente, et li zonse 300 lanze franzese di novo. Ma el campo duchesco stava cussì, nè li succedeva el disegno pensato, et havia 3000 cavalli et 4000 fanti. Et accadette che XXV de li homeni d'arme de ditto campo, essendo alozati in uno loco di la Marchesana de Monferà, la notte fonno assaltati da Franzesi, et de questi presi 16, i qual fonno spogliati; et fo per tradimento.

Ancora zonse in questi zorni a Milano do ambassadori dil Re et Raina de Spagna, zoè quelli fonno al Re de Franza, nominati de sopra, et andavano di comandamento dil loro Re al Re de Romani; et dal Duca fonno molto honorati. I quali li notificò di breve doveva venir uno ambassador de Spagna, creato per starvi con sua Excellentia, et za era in camino. Et poi, stati alcuni zorni, verso Elemagna andò, et, per lettere venute a Milano di Savoja, se intese quel corrier andava in Spagna, a portar la nova di la liga, era sta retenuto a Brianzon terra dil Dolphinà da Franzesi, et toltoli le lettere; tamen non fo il vero, et pur andò in Spagna.

A dì 22 April zonse a Venetia, et fo el zorno che la matina fo fatto le cerimonie di la Ruoza d'oro venuta di Roma, come ho scritto, el primo arsil de stratioti, patron Alegreto di Budua, con cavalli 107 de Coron. Et dismontati a Lio ivi fece la mostra, che fo uno bellissimo veder; et ne andava assà persone, et con desiderio aspettavano el resto: i quali veneno tutti, come dirò di sotto. Et fo preso in Pregadi de mandarli a Ravenna, et ivi dovesse star. Et a dì ditto fo creato loro capo, et priore de tutti li stratioti vegneranno, con ducati 100 al mexe, Piero Duodo era Savio a Terra Ferma, et fo spazato in Istria a li altri arsilii dovesseno andar a dismontar a Chioza; et cussì parte andò, altri venne di longo. Stratioti sono grechi, vestiti con casacche et cappelli in capo: varii portano panciere, ma una lanza in mano, una mazoca et la spada da lai (a lato); corono velocissimamente, stanno continuamente sotto di loro cavalli, i qual non manzavano fieno come questi italiani. Sono usi a latrocinii, et continuamente esercitano in la Morea tal exercitii; stanno a l'impeto de Turchi, sono optimi a for corarie, dar guasto a paesi, investir zente, et fedeli sono al suo signor ut plurimum assà... ....; et non fanno presoni ma taglia la testa, et ha per consuetudine uno ducato per una dal capetanio. Manzano poco, et di tutto si contentano, purchè li cavalli stia bene. Et de questi grandissima [314] quantità è sotto el Dominio di la Signoria nostra, et desiderano venir servirla; et questo perchè, portandosi bene, vien fatti cavalieri, et datoli provisione perpetue, morendo li danno a loro figlioli.

In questo medemo zorno, vedendo nostri che niuna potentia de colligati havea più oratori a presso el Re de Franza, et che li nostri erano mal visti, et dimandava licentia; i quali è da saper feveno grandissima reputatione a esso Re; et cussì, a dì 22 ditto, preseno in Pregadi che dovesseno andar a tuor licentia dal Re, e ripatriar per la più secura via potesse, et venisse a Roma. Tamen le strade erano mal secure et li corrieri spogliati, come fo uno dil Pontifice, et l'altro nostro in questi zorni; pur fo expedito la sera el corrier a Napoli, benchè da poi ditta licentia fusse sospesa, per el Consejo di X, et comesso li dovesseno far alcune cosse dil successo sarà scritto di sotto. Et a dì 25, el zorno de S. Marco, che el Prencipe havia fatto solenne pasto consueto a tutti li oratori et zerca 60 patricii, zonse in questa terra Paolo Trivisano cavalier, chiamato da la Dreza, era sta ambassador a Napoli, et era sta tanto a venir per essere stato a la madona di Loreto, per voto havia. Questo al Senato riferite molte cose di quello Reame et successo contro Re Aragonexi, con li qual era sta oratore, Ferando, Alphonso et Ferandino, et etiam di questo Re de Franza. Partì de qui a dì 6 Novembrio 1493, et zonse a dì ditto 1495: ergo era sta fuora mexi XVIII.

A Napoli, el Re de Franza feva preparamenti per partirse, et fece cargar le artegliarie sopra le do galeaze venute con vittuarie da Marseia, come ho ditto, et dove volesse mandare era varie opinione. Altri diceva le remandava in Franza, altri a Yschia. Item fece levar le porte di Castelnovo, che era de bronzo, bellissime, et voleva farle cargar su ditte galeaze per mandarle in Franza et metterle a Paris, a ciò se vedesse queste spoglie ivi a eterna memoria; le qual cosse manifeste indicava si voleva partir. Le zostre e torniamenti era dato principio a dì 20 April, et comenzò a provarsi li zostradori per alegrar el populo; et volevano zostrar a lanza con ferri moladi, tamen se judicava el Re faria taiar le ponte, a ciò li zostradori non si facesseno mal. Ancora in questi zorni zonse lì a Napoli una nave di botte 600, di Andrea Bragadin da San Severo patricio nostro veneto, carga di orzi, la qual fo molto in proposito, perchè li cavalli de Franzesi non haveano che manzar se non erbe, et non potevano più durar. La qual cosa a Venezia fo molto biasemata, licet era andata ditta nave sine consensu di la Signoria nostra, et li orzi fo [315] cargati in Puia. Et è da saper che lì a Napoli se ritrovava mercadante Zuan Bragadin, fiul dil suprascritto Andrea, et vadagnò assà, maxime comprando carne salade in gran quantità e zoie (?) per assà summe de danari et ogii et altre merce. Et ne la Paia era uno altro fiul, chiamato Marco, sì che ditti Bragadin fenno ben. Et Napoletani comenzavano adatarsi con Franzesi; da poi el concluder de questa liga per Franzesi li era fatto bona compagnia, et se niun li feva oltrazo alcuno, subito li deputati per el Re faceva impicar li malfactori, nè più soportava come havia fatto nel principio. Et el Re conclusive feva bona justitia, divulgava non voleva nel ritorno andar a Roma ma passar di sotto via, venir in Romagna, in Parmesana, poi in Aste; tamen tra loro varie opinione era. El cardinal Samallo consejava che 'l Re non se partisse da Napoli, essendo in uno bon Reame, fino le cosse se adatava. Altri variamente lo consejava. Et in questo tempo lì a Napoli se ritrovava oratori veneti, de Fiorentini, de Sanesi et de Lucca venuti a dimandar li ducati X milia che l'imprestono. Et poi a dì 23 ditto dette principio a le zostre. Et era decreto de far tre zostre, italiani, franzesi et sguizari, li qual volevano far loro uno torniamento, et comenzono a zostrar franzesi con lanze molade, taiada la ponta. Et el Re con li Cardinali et soi baroni stava a veder sopra un soler, et non invidò li nostri ambassadori, li qual steteno in caxa. Et corso alcune bote et come erano a presso l'uno zostrando di l'altro, si dovano con spade senza ponta. Ma mentre zostravano Franzesi con Sguizari veneno in parole, sì che messeno man a le arme, et si volevano amazar, onde Napolitani tutti subito fuziteno in le loro caxe et si feceno forti. Questo perchè dubitaveno la terra non fusse messa a sacco, sì come era sta ditto, dubitando non fusse una stratagema. Adoncha dove se zostrava era grandissimo romor; adeo che el Re, vedendo che nè per soi capitani nè per comandi si poteva quietar le cosse, imo se ne amazavano, et fo morti 3 Franzesi et altri feriti, etiam de Sguizari, el Re medemo dismontò di soler e montò a cavallo con alcuni insieme et el capo de Sguizari, et andono tra loro et al meglio potè cessò che non combateno più; et per quel zorno non volse più si zostrasse. Ma pur Italiani tra loro corseno alcune bote, et Italiani zostrono fo questi: Camillo Vitello, don Ferante fiul dil Duca de Ferara, Principe di Bisignano, Duca de Melfi et altri baroni; et a queste zostre non era alcun priexio, ma zostravano per l'honore et alegreza di la victoria dil suo Re. Et el Re vedendo non era Napolitani per la terra, mandò a dir a li capi di Sezi non dubitasseno di alcuna cossa.

[316]

Oltra di questo havendo fatto cargar le artegliarie era in Castel, zoè boche 18 de bombarde grosse su le galiaze, come ho ditto, elexe 2000 Sguizari et alcuni Franzesi, et voleva mandar queste do galiaze, 6 nave havia, et altri navilii, a tuor Yschia, mia 18 lontana de lì, et havia tratado dentro, el qual fo discoverto. El re Ferandino za era in Sicilia andato, tamen dovea tornar a Yschia, et per questo el Re non ossava mandar detta armada a Yschia, imo quella retene, nè volse so partisse de Napoli. Ma Ferandino, trovato l'armata de Spagna a Messina, di... caravelle, et lui con 20 galie passò su la Calavria in questo mezo, et in uno loco chiamato la Piana de Terranuova messo le sue zente in terra, prese molte terre, le qual se rendetteno volontarie, tra le qual una terra chiamata Monte Lione et assà altre. Et questa nuova intesa a Napoli, el Re stette molto suspeso, et fu causa de l'indusiar alquanto a partirsi de lì. Et el sig. Virginio Orsini et Conte di Petigliano in questi zorni ebbe la sententia in suo favore, disputando de jure che non fusseno presoni, ma fusse in loro libertà. Et el Re non li volse per questo dar licentia, ma praticava de darli conduta de homeni d'arme 200 per uno, et menarli in Franza. Ancora el cardinal S. Piero in Vincula fu tentato di acordarsi et pacificarsi col Pontifice, et si menava tal pratiche perchè non era in quella amicitia bona con el Re come da prima. Etiam la liga volevano a soldo loro el sig. Prospero Colona con suo fratello, per haver la parte Colonnese, che za era partito di Napoli con parte di le sue zente, et venuto a li soi castelli dolendosi che 'l Re non li attendeva a le promesse; tamen non volse per questo romperli la fede. El Prefetto era amalato a Napoli et el Cardinal de Zenoa vene a Roma a dì... April, et el cardinal san Dionisio zonse a Napoli. Et è da saper che mandando lettere la Signoria a li soi ambassadori a Capua, iterum fonno aperte per Franzesi, sì che le strade erano rote. Quelli di l'Aquila non volse dar el dacio di le piegore al Re di Franza, imo li ribellò; sì le cose comenzava andar contrario.

In Puia acadete che volendo Camillo Pandon, era vicerè per re Ferandino, ussir de Brandizo per scaramuzar con l'altro vicerè francese stava a Misagne mia 8 de Brandizo, et andato più avanti de li altri, corando la lanza, in le fosse de Misagne fo amazato; et cussì morite.

Domente queste cose se fanno, Hieronymo Contarini provedador di l'armada retrovandose a Corphù, et habuto lettere di la Signoria che li comandava a lui et al capetanio zeneral che, statim adunato l'armada, se dovesse redur al Saseno, et mandasse alcune galie verso [317] Puia per inanimar quei populi et sopraveder come si faceva. Unde esso provedador, essendo el zeneral verso Modon, et andato a sopraveder el muolo faceva far al Zante Piero Nadal provedador ivi, et ordinar come havesse a far, etiam andato per far cargar stratioti su li arsilii, li mandò lettere di la Signoria, a ciò si reducesse con l'armada al Saseno, et lui con galie 6 se ritrovava, una di le qual era soracomito Antonio Loredan, et le altre dalmatine, se ne venne di longo verso a Brandizo, et fo la Settimana Santa. Unde, zonto la sera a Brandizo, quelli di la terra cognoscendo era galie di S. Marco fece gran feste, sonando campanon, et la matina poi li vene in galia don Cesare fo fiul di re Alphonso, natural, con alcuni governadori di la terra, usando assà parole, rengratiando assà, però che credevano fusse ivi venuto per far dismontar la zurma et darli soccorso; et che erano presti a far quanto lui comandava, o di levar S. Marco o quello voleva, et che aspettava etiam le galie dil Re suo, et che lui si ritrovava haver 400 cavalli lizieri, et havendo altri 600 cavalli overo 200 stratioti, li bastava l'animo di far voltar tutta la Puia et rebellar a Franza, però che intendeva esser ne le terre 6 over 7 Franzesi per luogo, et che Puiesi si haveano resi per non haver el vasto. A le qual parole el Provedador rispose che l'era venuto a sopraveder, confortandoli etc. Et partito ditto don Cesare di galia, li mandò a presentar alcune cose a le galie. Et è da saper che tra le altre cosse che li disse el Provedador, fo come el capetanio zeneral era con 20 galie et altre vele al Saseno per venirli a dar aiuto, et che advisava dil tutto la Signoria, et ritornò in quel zorno medemo al Saseno, ch'è mia 80 lontan. La qual venuta fo optime, perchè molti di la terra che si volevano render a Franzesi, vedendo galie di la Signoria, deliberorno tenirsi; et cussì si terminò, nè mai si rese. Ma el Provedador mandò di Brandizo Antonio Loredan soracomito con do altre galie dalmatine verso el Faro de Messina, per andar a trovar l'armada dil Re di Spagna ivi era. Quello fece et ivi operò, più avanti intenderete lezendo.

Ma l'ambassador di Napoli era in questa terra, volendo dimostrar vera fede al suo Re, trovò certi danari da Puiesi habitavano quivi, a la summa di ducati zerca X milia, et comenzò a far fanti qui a Venetia, et darli paga di uno mese per uno. Et uno chiamato Hieronimo da Cividal, et Tonin stampador (?) venetiano fece capi di detti fanti. Etiam 200 schiopetieri todeschi con uno loro capo. Et cussì mandò in Histria a far fanti; et fo divulgato voleva far 2000; tamen era la fama, l'efetto fo solum n.º 300. Et nolizò uno [318] gripo de Bernardo Contarini, et una caravella de botte 200 de Puiesi. Et fatto depenzer targete su la piaza di S. Marco con l'arme dil Re con la corona, et di sotto do altre arme. Et le bandiere di ditti navilii era l'arme dil Re con la corona, et di sopra uno Christo che ressuscita, in modo di quello è su li ducati feraresi, in segno et demostratione che per questa liga, mediante la Signoria, el suo Re era ressuscitato. Et fatto che ebbe ditti fatti, andò in Collegio domandando una lettera, che li fusse fatto bona compagnia a questi navilii, et che l'havia fatto qui 1000 fanti, li qual voleva mandar a Brandizo. Unde nostri stete molto admirati, et fatto consultatione preseno in Pregadi di lassarli andar, ma non con navilii nostri; et cussì a dì primo Mazo questi fanti n.º 300 si partite de Lio, et andono a Brandizo.

Et a dì ultimo April zonse in questa terra uno ambassador di re Ferandino, partito al primo dil mexe de Yschia dove era el suo Re, dovendose partir per andar in Cicilia; el qual orator nomeva Joan Charaffa cavalier. Et questo dismontò a presso Hostia, et poi per terra se ne venne di longo. Et a dì primo Mazo insieme con l'altro Zuan Battista Spinelli, andando tamen di sotto, andò a la Signoria, et molto racomandò el Re. Et la causa, per la qual era venuto, fu che era sta ditto a Ferandino, come el suo ambassador qui se ne era partito, et a ciò non restasse la Signoria senza, mandò questo altro, o fusse per altra cagione, non se intese altro. Et poi che stete alcuni zorni, andò dal Pontefice a Orvieto, come dirò di soto, et ivi restò ambassador.

In questi zorni per uno arsil de stratioti zonti quivi, patron Andrea Cingano, cargati a Napoli di Romania, se intese come ditto arsil era capitato a Otranto, el qual novamente si havia reso a l'araldo de Franza; dove li era sta fatto bona compagnia, dicendo quella terra esser al comando di S. Marco, facendoli molti presenti; et che el patron li disse erano XXX arsilii cargi de stratioti che venivano a Venetia, et loro molto alliegri voleva dismontasseno, li dimostrando bona voluntà a San Marco, et che si haviano resi al Re de Franza per paura di non haver el guasto: nel qual loco di Otranto ne la roca era tre Franzesi et in la terra quattro. Questo arsil discargò li stratioti su Lio, et ivi fatto la mostra, et habuto le lor page, andono verso Chioza dove erano altri stratioti che continuamente zonzeva. Et volendo passar a Ravena per le boche di Po, le qual sono cinque mettono im mar, zoè Fornaxe, Frixi, Goro, Volane et Primer; di le qual do è dil Duca de Ferara, zoè Goro et Volane. [319] Or la Signoria scrisse al Duca de Ferara se li piaceva di darli el passo; el qual respose: non solum passo per li stratioti, ma tutto quello voleva et comandava ditta Illustrissima Signoria voleva obedir come bon fiul. Et el zorno de S. Marco a Ferara, nel qual zorno è consueto de far gran cerimonie, vi va il Vicedomino con la bandiera di S. Marco con gran solenità, et el Vicedomino preciede tutti. Et questo anno el Duca in persona vi andò, dimostrando grande amor a Venetiani. Et essendo venuto lì uno secretario de Napoli de suo fiul, subito el Duca lo remandò indriedo, se divulgava per far venir a Ferara don Ferante suo fiul, tamen non fo per questo. Et come per lettere di esso Zuan Francesco Pasqualigo, ditto el cavalier, vicedomino ivi, date a dì 25 April se intese, come sul Ferarese era accadesto una cossa stupenda de notte tempo sora certe possessione, maxime Riam (Ariano) et Crespin, era sta scorzato assaissimi arbori, parte tagliati, et le vide rotte, ch'era cossa mirabile el danno fatto, et in uno loco più di uno altro; unde per Ferara et el Ferarese stavano molto admirati. Et come poi per persone degne di fede havia udito, che molti havia la notte fatto la varda in ditti campi, et pareva vedesse una ombra a modo di homo che andava facendo tal cosse, unde dicono esser una fantasma, et altri volontà de Dio per li peccati cometeno Feraresi, licet nescio qua de causa. Verum est che cussì fo scritto a la Signoria, et letta la lettera in Pregadi, confirmata etiam per lettere di Domenego Malipiero podestà et capetanio di Rovigo, narra che sul Polesene su alcune possessione questo esser accaduto, nè se poteva saper da chi fatto fusse; tamen judicio meo, non era fantasma, ma homeni disposti a far tal danni, come era. Ma ritorniamo a li stratioti. Li quali, zonti che fonno a Lio, de mandato di la Signoria, per Piero Duodo loro provedador li fo dato di prestanza do page per uno, zoè ducati 3 tra loro e 'l cavallo, al mexe, eccetto li provisionati, che hanno ducati 4 over 5 al mexe, i quali fanno provisionati per soi meriti a la guerra di Ferrara del 1483. Adoncha questi stratioti fin qui hanno toccato 4 page, do dal capetanio general quando fanno fatti, et do quivi. Li capi veramente haveano ducati 8 per paga, et questi fece la mostra su Lio, dove vi volse venir a veder Monsignor di Arzenton ambassador dil Roy, et ben tutto considerava. Poi fanno mandati per Lio a Chioza. Ai qual per la Signoria le era, oltra le page, data la biava per li soi cavalli, secondo l'ubligatione era.

A Milano in questo mezo el Duca andò a Vegevene, et con lui vi andò Zorzi Negro secretario, era con l'orator nostro, el qual rimase [320] a Milano. Et el sig. Galeazo di S. Severino col campo era pur vicino a Aste, et voleva accamparse et piantar le bombarde. Et mandò uno trombeta dentro la terra. Dove el duca di Orliens disse: Ch'è di quel traditor di Ludovico? Et el trombeta risponde: Signor, di breve el sarà qui. Et lì in Aste era venuti nuovamente assà Franzesi, intra li qual 2000 cernide fatte ivi vicine; et conclusive erano dentro assà persone, et quella impresa non era sì facile come si judicava. Et per spie mandate ivi di questo fo certificati, et per lettere di Domenego Benedeto, podestà et capetanio de Crema, se intese come havia mandato uno cremasco a inquerir quello in quelle parte si faceva; el qual fo preso, et tandem fo lassato mediante alcuni suoi zuramenti, dicendo andava a Santo Antonio di Vienna. Questo notificò come ne la Franza, Franzesi se preparava, et che la Raina de Franza sì per causa di questa liga, quam vedendo el Duca de Milano haver mandato zente verso Aste, et che faceva zente in quantità grande, et voleva venir de qua da monti. Et cussì per tutta la Franza se faceva gran preparamenti de arme; questo perchè el Duca di Orliens havia scritto al Parlamento di Paris et al Parlamento di Garnopoli et in altri luogi, et al Duca di Borbon, come el Duca de Milan era venuto per tuorli Aste, et che dovesseno venir ad aiutarlo, perchè voleva, havendo Aste, serar el Re di mezo, a ciò non potesse ritornar in Franza. Et el Duca de Milano questo intendendo, etiam lui scrisse a ditti Parlamenti et Signori, excusandosi che lui non havia mandà zente per tuor Aste, nè serar i passi al Re, ma che era sforzato, perchè lì in Aste el Duca di Orliens se ingrossava molto et minazava de venirli adosso a tuorli el stado, et per conservar el suo ivi havia mandato, per obstar et non per muover guerra. Et cussì per alcuni mandò ditte lettere ne la Franza, et havendo grande amicitia con la marchesana di Monferà, el qual stado li era recomandado, esso Duca le scrisse che le dovesse dar aiuto et favore a le sue zente, bisognando, et pur se la non voleva esser con lui, dovesse esser neutral, nè mostrarsi sua nemica. La qual gli rispose, voleva esser con el Re de Franza. Si che è da considerar, quelli 25 homeni d'armi alozati nel suo territorio, i quali la notte da 400 Franzesi fo assaltati et presi, sì come è scritto di sopra, fusse di suo consentimento. Ma el Duca di Orliens era pur in Aste con assà Franzesi, et ordinò a quelli castelli circumstanti che non si movesseno niuno di paesani, ma lassasse solum scorsizar a Franzesi a danni de Milano; et cussì andava quelle cosse.

Zonse a Milano in questi zorni, o vero a Vegevene, uno ambassador [321] dil Duca di Loreno, che alias fo a soldo nostro in Italia a la guerra de Ferara, et poi partite per andar al governo de Franza, perchè era morto el re Ludovico padre di questo re Carlo, et ivi fo de' primi, benchè poi fusse privato dil governo, et andò ne li soi paesi. Nome, Renato, disceso di la caxa de Andegavia. Et za del 1480 essendo morto Renato duca de Andegavia et za Re de Napoli, successe per testamento in quel ducato Carlo suo nepote, et negli privilegii et ragione ch'egli avea nel Reame preditto. Unde ditto Duca di Loreno vedendo esser escluso, andò a campo a Marseia con le zente dil re Ludovico de Franza per tuorli quel Ducato, et tamen non potè far nulla et si partì de l'impresa. Or al presente mandò ditto ambassador qui in in Italia, et expose al Duca de Milano come, non volendo Franzesi tenisse el Regno di Napoli, meglio saria che lui vi venisse in Italia a dominarlo, havendo la ragione havia in ditto Reame; tamen non li fo risposo ad vota.

Ma la zente di esso Duca de Milano mandò uno trombeta in Aste, notificando al Duca di Orliens come el voleva haver Aste, non per romper guerra ma per assecurarsi. Et li fo risposo che 'l se deffenderia valentemente. Ma dopoi iterum mandò a dirli che mandasse via Franzesi di Aste, che etiam el signor Galiazo manderia li suoi alozamenti. Tamen era di opinione di alcuni oratori di la liga, che ditto campo dovesse far el tutto per haver Aste, la qual se divolgava era debol cossa; però che, havendola, et ponendo pressidio a li passi, Franzesi starebbe mal, et le cosse de qui andrebbe mal per el Re de Franza. Ma questa impresa andava molto pegra. Et in questi zorni accadette che, essendo ditte zente acampate vicino a Aste, et volendo tenir uno bastion lì a presso, Franzesi di Aste ussiteno et a quel bastion fonno a le man con ditti Ducheschi, et combatendo virilmente Italiani, messeno Franzesi in fuga, et assà ne fo morti, presi 17, i quali fonno mandati a Vegevene dal Duca de Milano. Et le cerimonie de la investitura se preparava, et fo decreto a dì primo Mazo nel consejo di Pregadi, di mandar li do ambassadori electi in Spagna insieme con Hieronimo Lion, i quali si dovesseno ritrovar a queste investisene, et poi andar di longo a Zenoa con li do oratori eletti per el Duca, come ho scritto di sopra. Et fo ordinato a Sebastiano Badoer cavalier dovesse repatriar, havendose optimamente portato in questa legatione, et laudato da tutti, et che ivi rimanesse con el successor Georgio Negro secretario suo, per haver la pratica di quel stado, come fece.

Da Mar, per lettere dil Capetanio zeneral si have come si havia [322] habuto lettere da Costantinopoli da mercadanti in enigma, che 'l signor Turco armava; la qual saria compita per tuto Mazo: tamen si divulgava non usciria per questo anno. La qual cossa fu optima nova a Venetiani, et ogni loro pensiero messe alle cosse de Italia, però che prima pur si dubitaveno non volesse questo Turco far qualche movesta.

In questa terra continuamente se faceva consultatione con li oratori di la liga, et fo terminato in Pregadi de far ogni provisione necessaria a star preparati a la guerra, non volendo però romper alcuna lianza al Re de Franza; ma pur se il volesse far qualche novità, se dovesse resister gagliardamente. Le decime se attendeva a scuoder, li stratioti zonzeva; et ancora fo ordinato di far la mostra zeneral a dì X Mazo de tutte le zente d'arme, et fo mandato Hieronimo da Monte, vice collateral zeneral, a poner ordine de tal mostra. Et fo dato prima soventione a tutti li soldati, a ciò fusseno in ordene; et fo ordinato de far di le zente erano in Friul et in Trivixana la mostra a Sacil: et scritto a Leonardo Mocenigo fo del Serenissimo Principe, luogotenente di la Patria di Friul, et a Thoma Mocenigo podestà et capitanio a Treviso, ve dovesse andar. Et de quelle de Padoa et Polesine, a Montagnana; Marco Antonio Morosini cavalier capitanio di Padoa, et Domenego Malipiero podestà et capitanio di Ruigo. Di le zente di Veronese et Bressana, a Monte chiari; Polo Barbo capetanio de Verona et Nicolò Michiel dottor capetanio de Brexa. De quelle erano in Bergamasca, a Martinengo; dove fo ordinato vi andasse Alvise Mudaxo capetanio di Bergamo et Domenego Beneto podestà et capetanio a Crema. Quelle di Romagna fo fatto la mostra a Ravena. Oltre di questo venne in questa terra Taliano da Carpi conduto nuovamente, et venuto a le stantie et andò a la Signoria offerendosi etc. Et anche non molti zorni avanti vi vene el conte Carlo de Pian de Meleto conduto al principio de questa guerra. Et essendo mancati do condutieri nominati di sopra, havia cavalli 300 per uno, et cavalli 150 che restava senza capo, che fo dil prefetto di Roma che fu cassato, unde nel Consejo di Pregadi, a dì 29 April, fo partito questi cavalli 750 tra undexe condutieri partiti pro portione, come qui di sotto sarà notadi, zoè cressuto di le condute haveano.

Al conte Zuan Francesco di Gambara cavalli 40
Al conte Alvixe Avogaro » 40
A Domenego Alexandro Coglion kav.r » 40
A Domenego Tadeo della Montella » 40
[323]
A domino Marco da Martinengo kav.r » 90
A Jacomazo da Venetia » 40
A domino Tucio de Costanza de Cipri kav.r » 40
A domino Antonio de Pigi » 70
A domino Piero de Cartagenia » 40
A domino Carlo Secco » 60
A Vicenzo Corso » 60
A Alexandro Beraldo » 38
A Zuan da la Riva kav.r » 28
A Zuan Gradenigo veneto » 20
A Alvixe Valaresso veneto » 20
A Ruberto Strozzi » 28
A Anibal da Martinengo havia 100 » 28
A Federico Scharioto havia 80 » 28

Ma questi do ultimi non volseno accettar la conduta, dicendo non volevano più far l'exercitio dil soldo.

Vene a Venetia in questi zorni al principio de Mazo el signor Zuan Francesco di Gonzaga, barba dil marchexe di Mantoa, el qual era al soldo dil Re di Franza za uno anno. Etiam vene so moier madonna Antonia, che fo fiola dil prencipe di Bisignano baron dil Reame di Napoli, et sorella di la moier di don Fedrigo di Aragona, con una so fia chiamata Barbara et altre donne in so compagnia per numero XX. In tutto erano persone zerca 90, et alozate in caxa dil signor Ruberto di San Severino, tenuta per ditto Marchexe di Mantoa, dove vi habitava el so ambassador. Et zonto che 'l fu, el zorno driedo esso signor Zuan Francesco si fe' portar, però che ha le gotte nè puol operarsi, a caxa dil Prencipe nostro, dove molto insieme parlò. Dapoi vi andò sua moier, et dimandò una lettera de passo, però che volevano andar in Reame. Questo perchè una sua sorella vedoa li havea renonciato la parte dil suo stato che fo dil padre; et andando lei ivi al Re de Franza, havea promesso a do soi fiuli era con Soa Majestà a soldo suo, di età zoveneti, et ha homeni d'arme 50 di conduta, che venendo ditto suo padre ad habitar in Reame, li daria el so stado, et per questo voleva andar a tuorlo. Ma el Prencipe molto la disconsigliò che non vi andasse, per questi garbugli. Ma lei rispose havia fatto gran spesa, et sperava di haver quel stado, et al tutto volevano andar, racomandandosi a Soa Serenità. Et li fo fatto le lettere patente, et con 4 gripi nolizati per ducati 100 l'uno fino in Puia, ditto Signor se partì a dì ditto, et verso Napoli andò. Ma è da saper che nulla fece, nè potè ottener [324] alcuna cossa; et a la fine di Avosto ritornono a Mantoa, come dirò di sotto.

Et a dì 3 Mazo zonse etiam in questa terra uno messo dil signor Turco, mandato al Marchexe di Mantoa, el qual alozò in casa dil so ambassador, poi verso Mantoa andò, et expose la soa commissione a ditto signor Marchexe.

A Cesena terra di la Chiesia in questo tempo, essendo pur discordia tra Tiberti et Martinelli, che sono le principal caxe di Cesena et cai di parte; unde, dubitando di movesta, el governador che ivi era per nome dil Pontifice scrisse a Andrea da Leze podestà et capetanio di Ravena che li dovesse mandar alcuni fanti in suo soccorso come colligati col Papa etc. Unde ditto Rettor advisò di questo la Signoria, la qual li rescrisse dovesse mandar Jacopo da Tusia contestabile era lì a Ravena alozato con 200 fanti, et mentre che ditto nostro contestabile si adviava per andarvi verso Cesena, ditto governador rescrisse non esser più bisogno. Questo perchè a dì 28 April era ivi entrato Guido Guerra da Bagno, et havea acordato quelle parte et fatto inter eos matrimonio; unde volevano tutti esser fidelissimi della Chiesia, et in benivolentia con la Signoria nostra; sì che per questo ditti fanti non andò di longo et fo sedate le cosse.

In questo mezo Monsignor di Arzenton ambassador dil Re de Franza andò in Collegio a l'audientia, et disse 4 cosse a la Signoria. La prima, che l'havia inteso che 'l Pontifice non havia voluto dar la investisone et coronatione a la Maestà, et che di questo, per essere cosa pertinente a la Chiesia, poco se ne curava. Secondo, che l'intendeva di la investitura obtenuta per el signor Ludovico dal Re di Romani dil Ducato de Milan, et che anche di questa al suo Re feva poco danno, nè si havia a impazar. Tertio, che ditto signor Ludovico havea mandà contra el Duca di Orliens verso Aste zente, et che non sapeva la razon. Quarto, che 'l Re voleva passo et vittuarie per poter ritornar in Franza, et che l'era certo che la Signoria Nostra li vorave mantenir la lianza. A le qual parole, sapientissime per el Prencipe nostro fo risposto. A le do prime proposte, si passò, sì come esso orator si havia poco curato. Ma quanto a Aste, che 'l Duca de Milano havia mandà per defenderse, et forzato per le zente de Franza, che ivi el Duca di Orliens havia fatto venir per passar ai soi danni; et che ex nunc el Re facesse partir di Aste et quelli confini ditte zente, che cussì prometevano nostri de far che Milano lasserà quella impresa, come etiam esso Duca havia mandato a dir al Duca di Orliens preditto, al Parlamento di Paris et di Garnopoli, [325] et al Duca et Duchessa di Borbon. Ulterius, che zerca al passo, Venetiani erano contentissimi, venendo praticà senza far danno nè dispiacer a niuno di colligati; et che erano fermi in mantenerli la lianza.

A Napoli el Re de Franza, havendo compito le zostre, reduto le soe zente in Napoli, fece uno matrimonio dil fio dil Prencipe di Salerno di età de anni X in una fia di Monsignor di Mompensier eletto vicerè a Napoli; et ordinò de far uno parlamento, et far el triumpho di l'entrata, et partirsi con cavalli 8000 et 4000 pedoni, venir verso Roma, lassando in Napoli et Reame Franzesi cavalli 5000 et 4000 pedoni, et 4000 fanti taliani fatti novamente; le zente inutele menava con lui, zoè quelle seguite el campo de Franza fino a qui. Et etiam Zuan Jacomo di Traulzi veniva con lui, uno di principal capetanei; l'Orsini et Petigliano li menava et voleva condurli in Franza. Fece ancora el Re molte provisione per segurar quel Reame, le qual qui non scriverò; se non che volse tutte (le armi) erano in Napoli in man de Napoletani, et quelle fece metter in castello.

Minazava di andar verso l'Aquila, et quella città meter a saco per haverli rebellato, nè li volse dar il dacio come ho scritto di sopra. Et divolgava pur partirsi de Napoli a dì X Mazo, per essere a Roma a dì XX, poi a Fiorenza et Pisa. Tramava acordo con Zenoesi, promettendoli assà cosse, di renderli li soi luogi lui haveva ancor ne le mani, ch'era de Fiorentini, et questo per remuoverli dil stado de Milano. Etiam è da considerar mandasse ad altri potentati et Signori, facendo occulti pati et provisione, maxime al Pontifice; et li mandò uno so ambassador o vero messo in questi zorni. Tamen si preparava a Napoli uno triumpho, di far le cerimonie de intrar come Re, zoè ussirà di la terra, poi intraria con le magnificentie. Et questo diceva voler far al primo di Mazo, et poi dar una paga a le soe zente; et el Re tamen non havea molti danari, imo havia bisogno, benchè alcuni soi baroni fusse danarosi. Et li ambassadori nostri erano a Napoli, quam primum haveno la lettera di la licentia de ripatriar, andono dal Re e tolse licentia; el qual volentiera ge la dete, et etiam per non esser le vie segure, li dè uno so capetanio con 100 cavalli che li accompagnasse vicino a Roma, et comesseli alcune cosse dovesse dir a la Signoria, et volse uno de la fameglia de ditti oratori restasse, perchè voleva mandar insieme con uno suo secretario a Venetia, el qual venne come dirò. Et questi ambassadori a dì primo Mazo se partì, et fece in uno zorno mia 60, et a dì 5 zonseno a Roma non senza grande alegrezza, havendo [326] scorso li pericoli de Franzesi insolenti. Et accidit che una volta... .... quasi non fu morto uno de ditti a Napoli, et questo fu in un passar, benchè se excusasseno che non li vedeva.

Et partiti di Napoli li ambassadori, le cosse de Franzesi era molto secrete, et non se poteva intender molto dil suo successo. Nè li oratori nostri, da poi li notificò di la liga, più parlò a la Majestà dil Re, se non quando tolseno licentia.

A Roma a dì primo Mazo zonse Jacomazo da Venetia, Zuan da Ravenna et altri cavalli lezieri, che la Signoria mandò in aiuto dil Pontifice. Et el Pontifice mandò uno suo comessario incontra a farli dar lozamento a Vitrali mia 20 lontan de Roma. Li provisionati 600, con X contestabeli era fatti, alozò in Roma a S. Gregorio in uno monasterio, et faceva la mostra cridando: Marco! Marco! Unde el Papa have grande alegrezza, et consultava con el nostro ambassador, dicendo si el Re de Spagna, zoè le sue caravelle, ha rotto in Calavria, etiam romperà di sora, come l'intenda el concluder di la liga. La qual cossa mai volse far; et perchè era di opinione che Venitiani et Milano rompesse di qua, et cussì stava in queste consultatione.

Or intendendo l'opinione dil Re de Franza esser al tutto di voler venir a Roma, el Pontifice stava molto di malavoia, et per lettere de primo Mazo se intese come el chiamò li ambassadori di la liga, zoè Spagna, Venetia et Milan; ai qual li disse che 'l vedeva esser lui el primo ponto; digando non voleva perder el papato, et vedeva solum Venetiani lo aiutava, in haverli mandà quelli cavalli lezieri et fatti li provisionati, ma che Milano ancora non havea mandà nè fatto nulla. Unde el cardinal Ascanio li disse, come lui havia za scritti bona parte di provisionati et li cavalli lezieri era in camino. Et pur el Pontifice se lamentava non era condutto el Duca de Urbin, Signor di Pexaro, et so fiul Duca di Gandia; et che la liga la era molto pegra; che Maximiano dovea venir in Italia, et era ancor su le cosse dil Duca de Geler (Gueldria) et di far dieta, unde non sperava la soa venuta; che etiam de Spagna era tanto lontano, che non sapeva che dirsi; et che venendo el Re non sapeva che farsi, havendo li populi contrarii, quasi dicendo li saria forzo piar partito per non perder el Papato. Ma ditti oratori molto lo confortò, facendoli bon animo, prometendo per nome di la liga di non lo abandonar mai, et far ogni cossa in difension di la Chiesia. Et a questo assà si affaticò Hyeronimo Zorzi kavalier ambassador nostro, dicendo a Soa Beatitudine come la Signoria havea X milia cavalli de soldati in [327] ordine et 2000 stratioti za parte venuti a Ravena, l'armada al Saseno di galie 36; tutte queste cosse a comodo de Soa Santità, pur che quella stesse constante, et havendo paura si dovesse levar di Roma. Ancora l'ambassador di Spagna li diceva el suo Re romperia certo ne la Franza, et che doveva venir più grossa armata in augumento di quelle charavelle era in Cicilia. Etiam el cardinal Ascanio et l'ambassador de Milano lo confortò, promettendo cosse assà. Per le qual parole el Papa fo molto ralegrato, et deliberò de voler star fermo in la liga et portar ogni affano più presto che romperla. Et a dì 4 Mazo chiamò concistorio de Reverendissimi Cardinali ad consultar quid faciendum, o vero levarsi di Roma et andar in loco sicuro, o pur star ivi venendo el Re. Et par che mentre erano in queste consultatione, Romani fe' tra loro consejo, perchè za se divolgava come el Papa era in spavento, nè sapeva che farse et che 'l se voleva levar de lì. Unde li caporioni con assà di principali Romani, più de 300, veneno al palazzo dil Pontifice, et fo lassati intrar, et davanti dil Papa domandono quello voleva dir le voxe che sentivano. Et el Papa rispose dubitava di star ivi, maxime per non saper che voler era quello de Romani, et che li era forza de levarsi. Et questo disse per intender l'opinion loro. Li quali unanimi tutti risposeno: voler prima morir che esser contro la Chiesia nè la liga; et che Soa Beatitudine non dovesse temer, che li sariano fidelissimi, et che li dariano ostazi in castello di primi di loro; ma ben chiedevano do cosse: arme et vittuarie, zoè formenti, et lassasseno far a loro. Unde el Pontifice li disse palam, come la Signoria havesse X milia cavalli aparati per venir in suo soccorso et 2000 stratioti. Unde quel populo fo molto contento, promettendoli ogni fedeltà et cussì li caporioni; et quei si partino. Caporioni sono 13 de li primi officii et è uno per rione, cussì come Venetia è partida in 6 sextieri, cussì loro è partiti in XIII parti. El nome di qual caporioni sarà scripto di sotto.

Unde el Papa più si confirmò in voler star fermo et mai adherirsi al voler dil Re preditto; et scrisse uno brieve a la Signoria dimandando aiuto et consiglio, et che l'era certo el Re di brieve dovea venir; et cussì è da judicar scrivesse a Milano, solicitando pur el condur dil Duca de Gandia et el Signor de Pesaro, et etiam el duca de Urbin, che ancora non si sapeva certo si 'l fusse acordato a soldo de Fiorentini. Etiam voleva el Signor de Camarin, sì per haver le sue zente quam el suo stado. Et Venetiani, inteso questo successo a Roma, consultato con li oratori di la liga, risposeno molto dolcemente [328] al Pontifice, ringratiando di la sua constantia, prometendo nostri ogni ajuto, et dette libertà per el Consejo de Pregadi de condur ditto Duca de Gandia, licet fusse in Spagna, et darli per metà col Duca de Milan fiorini 33 milia a l'anno; et fo mandata la commissione a l'ambassador di questo. Et etiam a dì 7 Mazo preseno di mandar Piero Duodo provedador con 500 stratioti, era za venuti, verso Roma; el qual a dì 13 ditto de qui se partì, et andò a Ravenna dove za era venuti et ivi era li stratioti; poi andò a la volta de Roma, come dirò più avanti.

A dì 3 Mazo accadette che Colonnesi volendo ajutar la sua parte di Oddi da Perosa contra Orsini, et uno Antonio Sarsello con X squadre venendo verso Perosa et alozato in Vetrali mia 20 di Roma, essendo ivi tre di Orsini capi di la parte gelfa sua contraria, quelli amazò senza che facesseno alcuna difesa. La qual cosa el Pontifice have molto a mal, di la crudeltà usada.

In questo mezo, oltra li preparamenti si faceva a Venetia, etiam li collegati tratavano acordo, et questo medemo faceva el Re de Franza, et per via de Roma se tratò acordo col cardinal Sanpiero in Vincula, come ho ditto, con Colonnesi, con Zuan Jacomo Traulzi, el qual pur mostrava voler meglio a Taliani che a Franzesi: etiam al principio de questa impresa mandò soa moglie via di Reame, in Piamonte. Ma tanto era l'odio havia al Signor Ludovico, che nunquam volse acordarsi, et non mancò el Re de Franza. Trattava sì, come ho ditto, con Zenca, quam col Duca de Ferrara, benchè fosse suo caro dil Duca de Milano et fiol ricomandato a questa Signoria, et se divolgava li daria passo et vittuarie al suo esercito nel passar. Et in questi zorni esso Duca si mutò di habitatione di castello dove stava, et venne ad habitar in uno altro palazo a li zardini; nè se intese la cagione; et pur in Ferrara molto si straparlava contra sta liga, cridando Franza! Franza! ecc. Oltra di questo per lettere di Zuan Bentivoi primario di Bologna se intese come esso Re li havia mandato a dimandar passo et vittuarie dil bolognese, et che li voleva dar soldo. Et per la Signoria nostra li fo rescritto non si dovesse partir dil stipendio havia col Duca de Milano, nè prometerli per niente passo nè vittuarie, offerendoli darli ogni aiuto. Et cussì fece, benchè vi venisse do oratori, o vero messi dil Re fino lì a Bologna; et questi fonno repudiati, dicendo voleva essere al soldo de chi era, el qual have ducati 16 milia a l'anno di provisione, et era fiul di la liga. I quali messi habuto cattiva risposta, a Napoli ritornò.

[329]

Domente queste pratiche si fanno, Fiorentini volendo pur al tutto rehaver Pisa et altri castelli li erano rebellati, fatto zente dil paese, direttore domino Francesco Secco, andono contra Pisani col campo. Ma Pisani, pur volonterosi di mantenirse in libertà, li fonno a l'incontro. Era loro capitano Lucio Malvezo, et fece insieme alcune battaglie; pur ne fo morti assà, et poco mancò ditto domino Francesco Secco non fusse preso da Pisani, et questo fo in uno loco ditto Libra fratta. Fatto fo che per ricuperar do rocche si teniva per Pisani, Fiorentini vi mandò ivi 200 cavalli et 1000 fanti; eravi commissario loro Piero Vetturi, et Pisani li venne a l'incontro et comenzò la battaglia a hore 20, et durò fino a hore una di notte; unde, sopra venendo la notte, fo necessario separarsi. Et non venne sì presto in favor de Fiorentini, come era ordinato, et tardò assà a venir Francesco Nerli commissario de Pistoia con 3000 fanti: che, si venuto fosse, fortasse, come dicono Fiorentini, Pisani harebbe habuto assà a repararsi. Et cussì passò quelle cosse. Et Fiorentini consultando el fatto loro esser in molto pericolo, venendo el Re per Toscana, et pur si voleva pacifice accostar a lui, ai qual è da creder dimandasse passo et vittuarie; dummodo esso Re non intrasse in Fiorenza se non con 3000 cavalli, il resto dil esercito dovesse alozar di fuora. Et cussì facevano li preparamenti per alozar ditti Franzesi, et feceno la descritione dil populo de Fiorenza da fatti, et trovono assà numero; et etiam fece dil contado, et pur stavano vigilante, volendo rehaver Pisa al tutto.

A dì 5 Mazo l'ambassador dil Re de Franza monsignor di Arzenton andò a Lio a veder la mostra di stratioti, et darli le page, per Piero Duodo proveditor. Li quali stratioti feceno la mostra corando per la marina, et, nel correr sul Lio, uno cavallo di uno stratioto subito cadè morto, che fo mirum quid; et secondo el consueto, per la Signoria nostra li fo pagato uno altro cavallo, et dato ducati 15. Se aspettava uno araldo dil Re deputato in questa terra, era za partito di Napoli, et se stava con desiderio de intender quello richiederla el Roy.

In questo medemo zorno nel Consejo di Pregadi fo messo XI galee grosse, secondo el consueto, a li viazi di Levante; zoè tre al trafego, 4 in Alexandria, et 4 a Baruti; et, incantate a Rialto, trovato li patroni, fo detti li loro capetanei: al trafego, Sebastian Contarini, che investì Chamalli corsaro, come ho ditto di sopra; Alexandria, Alvixe di Priuli; et a Baruti, Marco Orio. Et ancora per avanti fo messo do al viazo de Barbaria, capetanio Jacomo Capello. [330] Quelle de Fiandra non andò, ni etiam fo messo galie al viazo di Acque morte, per causa non intervenisse qualche danno dovendo mercadantar in le terre dil Re de Franza. Le qual cosse erano segnali di voler venir a la guerra.

A dì 6 ditto venne in questa terra uno ambassador dil Re di Romani, chiamato domino Philiberto, natural, di natione bergognon, et prothonotario et preposito di certa chiesa; el qual havia etiam commission dil Duca di Bergogna, fiul di esso Re de Romani, et era stato a Milano, andava al Pontifice. Li fo mandato contra con li piati fino a Lizafusina assà patrici, alozò a San Bortholomio in caxa di Piero Pender mercadante tedesco, a spexe pur di la Signoria. Et a dì 8 andò a l'audientia. Fo divolgato dimandò danari in prestedo per venir el suo Re in Italia. Poi a dì 20 ditto se partì, et verso Roma andò, ma trovò el Papa a Perosa.

Ancora per lettere di Hyeronimo Gritti podestà et capetanio a Roverè, nostri (furono) certificati come a Trento si faceva gran preparamenti, expetando el Re de Romani veniva in Italia, et era 9 zornate lontano, havendo conzo le cosse del Duca di Geler (Gheldria) et altri baroni, et che 2000 cavalli era venuti, et cussì erano in da far. Per le qual nove, nostri expedì li oratori eletti a Soa Majestà, i quali a dì 4 ditto se partì de qui per andarli contra, tamen non fo nulla; et ditto Maximiliano volse star a Vormes a far la soa dieta, come dirò di sotto, et non venne questo anno in Italia, benchè mandò alcune zente poi in soccorso di la liga.

A Milano el Duca ritornò a dì 4 Mazo da Vegevene per far le cerimonie di la investitura; et a dì 7 ditto partì de qui Hieronimo Lion kavalier eletto a Milano, et li altri do andavano in Spagna, i quali, insieme con Sebastian Badoer, si dieno ritrovar a questa solennità, el qual poi dea repatriar. Et ancora zonse el conte di Caiazo, era stato a Napoli col Re de Franza, et dette optima informatione dil tutto al Duca. El signor Galeazo col campo seguiva la impresa de Aste, et andono per haver uno loco ivi vicino chiamato Staze, et quello preseno, et Franzesi ussite di Aste et fonno a le man. Ne fo morti molti di una parte et di l'altra; qual havesse la pegior non se intese, ma pur, judicio meo, Franzesi fonno quelli dil manco danno. Tamen dimandavano trieva per acordarsi, et Milanesi non gela volseno dar, et in Aste era grandissima carestia: se divolgava molti manzava gramegna, per esser assà zente venuta, et è da creder vi fusse penuria, per esser piccola terra et di passo, et za tanto tempo continue andar inanzi e indrio Franzesi, et Milano haver devedato [331] vi vadi vituarie, che prima vi andava assà dil milanese. Ancora fo divolgato di là da le Alpe esser assà zente franzese per passar di qua, le qual per le acque venivano di le neve si descolavano de li monti, non potevano passar. Et el Duca de Milano, deliberato de mantenir la liga, et informato come el Re vegneria a Pisa et forsi a Zenoa, come diceva el Conte de Caiazo, dito Duca fece armar le X galie che 'l Re voleva prima farle armar lui, et ancora quattro nave, come ho scritto; et volse Venetiani contribuisse a la spexa, et cussì li fo mandà alcuni danari a Zenoa, et consultato di far presidio a Pontremolo in Parmesana, passo principal dove el Re dovea passar ritornando per la via andò. Et però esso Duca dimandò 100 elmeti et 500 cavalli lezieri et 2000 fanti et etiam 2000 sguizari, et ha vendo queste zente con le sue lui meteria, erano bastante a tenir quel passo, et za lui havea mandato alcune zente ivi a redurse. Et inter patres disputatum quid faciendum, preseno di darli quello domandava; et ordinò a certi condutieri si redusesse a li alozamenti in Brexana; ancora li offerse 1000 cavalli erano in Romagna, et che li sguizari, potendo haverli, erano contenti di pagarli. Et le mostre fo fatte, come ho ditto di sopra, a dì X Mazo tutte in uno zorno. Et a dì 4 ditto nel Consejo di Pregadi, bisognando haver danari, fo messo do decime al Monte nuovo, a pagarle tutte do in termene di uno mexe, zoè XV zorni la prima, et poi la seconda; et fezeno altre varie provisione, volendo al tutto star preparati.

Al principio di questo mese di Mazo, nel nostro colpho, sopra la Muranela et il Sorzador in mar fuora di do castelli zerca mia 7, pescadori trovono tre pesci grandissimi, chiamati Cai di oio, uno grande come una galia et cussì largo, et altri do più picoli. Questi ha la testa grande, et occhi più grandi assai dil suo dovere, ha una schena molto grossa, piena di pantane etc.; adeo che fo dà, per cadaun pescador che pescavano, di una giavarina, et non li nosete (nocque), imo la giavarina si storzè, tanto è dura la sua pelle: par uno scoio in mar. Con grandissima fatica si pigliano, et pericolosi, si navilii trovano, però che, movendo la coda, fa grandissimo mar, et trazeno l'acqua molto in alto; pur se ne piglia qualche uno, perchè con syroco è mandati a terra, et toccando terra, maxime sabion, non puol partirsi et è amazati, et a pezo a pezo vien taiati et messo a brusar, che vien a modo oio, el qual è posto in botti, et, ut dicitur, di uno cao di oio alias fo tratto a presso 100 botte di oio. Or ditti pesci, poichè steteno in questo mar alcuni zorni, et in Venetia [332] tutti parlavano, desiderando venisse syroco per poterli piar, perchè di raro, imo nunquam in questo mar adriatico è visti tal pesci (benchè dicono alcuni pescatori za anni XXV ne venne uno altro cao di oio, fo judicato venisse driedo le galie di Barbaria venute in questo tempo, capetanio Francesco Bragadin), ma poi andono via, nè più se vedeno et ritornono in altri mari a dimorar.

In Puia, per lettere de primo Mazo se intese come la Rocca de Bari havia levato le insegne dil Re di Franza a questo modo. Che essendo castellan ivi uno napoletan chiamato Bernardino Podorico, et uno suo fratello Zuan Antonio Podorico che era thesoriere di re Alphonso se ritrovava in Napoli con la moier et fiul, unde el re de Franza fecelo retenir in castello, dicendo al tutto voleva suo fratello li desse la Rocca di Bari, et lo mandò con custodia fino a Bari, con conditione, si in termene de tante hore non facesse di haver la Rocca, lo faria impicar. Per la qual cosa el fratello castellano, vedendo el termene era el fratello, si rese et levò ditte insegne... montò con la sua robba su una nave, et andò a Brandizo. Questa città de Bari era dil signor Ludovico nunc duca de Milano, et a lui fo donata insieme con do altri luogi, zoè Modugno et Pallo, et de queste tre terre scodeva le intrade et havia il titolo Duca de Bari: ma in queste novità re Alphonso non li volse dar el dominio di la Rocca, et etiam lui scosse le intrade, come ho scritto di sopra. Ma poi questo Re de Franza li fece privilegii de ditti luogi, ma a hora ha habuto la Rocca che prima non havia; tamen in le terre era governadori di Ludovico.

Da mar el capetanio zeneral a dì primo Mazo ritrovandose a Corphù con 12 galie, et feva conzar et impalmizar le galie per andar al Saxeno, dove era Hyeronimo Contarini provedador di l'armada con 7 galie, et adunade tutte sarebbe galie n.º 36, con quelle tre ve andava de qui et quelle si armava in Candia. Et scrisse a la Signoria che lì staria ad aspettar il mandato di quello haveva a far. Et Antonio Loredan, el qual con do galie dalmatine andò in Calavria a sopraveder quelle cosse et trovar l'armada di Spagna, in questi zorni ritornò a Corphù et notificò al zeneral haver visto lì in Sicilia ditta armada, caravelle 54, una di le qual di botte 2000, dove stava el capetanio, el conte de Trivento, et zerca 12 di botte 400 in suso. Item ditta armada non esser molto in ordine di zente. Et ancora havia visto 12 galie et 5 nave di re Ferandino con la ditta armada, sopra le qual era esso Re, et li fece optima compagnia per l'amor et afetion portava a la Signoria, raccomandandosi a quella.

[333]

A dì 11 Mazo, Luni da mattina, el Prencipe con questi oratori, legato et orator dil Papa, di Maximiliano, dil Re de Franza, di Spagna, tre de Milano, de Ferrara et de Mantoa, con la Signoria et assà Senatori, andono ne li piati a veder varar una barza fatta di novo, bellissima, di porto di botte zerca 1800, costa di spesa a la Signoria ducati XXV milia, et fo assà numero di persone in barche a veder. Et comenzò a venir un poco gioso, ma poi si retenne, unde el Prencipe, essendo in quello venuto uno gripo con lettere dil zeneral, la continentia di le qual ho scritto di sopra, non steteno più aspettar, et ritornò con li oratori a S. Marco. Et poco da poi fo compita di varar. In questo varar è da saper si suol far certe cerimonie: prima far dir una messa dentro; poi, mentre la si vara, li vien tratto da galioti assaissime inghistere di late et vino dentro, significa latte bonaza et vino vittuarie. Et tamen questa non andò fuora questo anno, per non esser di bisogno, et pareva un castello in acqua. Fu menata per mezo S. Marco, et stete fino il compir di la Sensa. Ancora altre barze et nave fonno raconzate. Et Thoma Duodo, capetanio di le nave armade, havia za messo banco et poco da poi andò in armada.

A Milano el campo dil Duca era pur vicino a Aste, et etiam quello dil Duca di Orliens venne a la campagna molto forte in uno loco vicino a Non. Et come vidi una istrutione habuta da exploratori mandati per la comunità di Bergamo a inquerir el successo di quelle parte, et Marco Sanuto podestà et Alvise Mudazo capitanio de Bergamo la mandò a la Signoria. Et prima, che non veniva zente de Franza, che in Aste el Duca de Orliens havia cazado fuora li parenti di Avogari per dubito di tratado, et toltoli assà formenti pagati a raxon de lire 5 la mesura. Item, che quando fo preso quelli XVI homeni d'arme su quel de Monferà, el zorno de poi el signor Antonio Maria andò dove i fonno presi sul Monferà, et fece assà butini de bestiame; ma la marchesana mandò a dolersi de questo, et che non havendo guerra con Milan li fusse fatto tal danni. Et di comando dil Duca li fonno restituiti li animali et il butino fato. Item che li campi erano vicini, et si divulgava di brieve se doveano apizar. La fiera de Verzei in quelle parte assai nominatissima si fazea non obstante queste guerre, et che le zente dil campo de Milano molte si partiva per non haver dinari. Ma per lettere da Milano de l'ambassador, el Duca feva gran preparamenti per la investitura dovea far a dì 17 Mazo, et aspettava li oratori dil Re de Romani, feva provisione di assoldar zente et far far arteglierie, et tutto quello li scriveria [334] la Signoria era contento de far, et perchè la pecunia è quella che in tempo de guerra conserva li stadi et in quella consiste el tutto, volse far una descriptione di quello in uno bisogno troveria da li cittadini ricchi de Milan, et trovò ducati 295 milia, tamen con conditione de renderli; et a ciò non stesseno senza utilità li dette per cautione possessione et altre intrade, et a raxon de ducati 5 per cento a l'anno, sì come nui al Monte nuovo o la Camera de imprestidi, et per questo trovar danari se inimicò molto el populo. Et accidit che uno orese, el qual havia ducati 200, volendoli, come fo divulgato, ditto orese se apiccò lui medemo. El campo veramente suo se tirò X mia più indrio dove era, et messesi in forteza da una banda l'acqua, da l'altra assà repari et artiglierie; pur scaramuzavano; et volendo andar a rehaver uno castelleto tolto per Franzesi, lo nome dil qual ignoro, Franzesi li fonno a l'incontro, et ne amazò assà Milanesi, et li rebattè. Et non molto dapoi feceno trieva per 8 zorni, et tuttavia el campo del Duca di Orliens si andava ingrossando.

Vedendo Venetiani non esser tempo de demorar, et de far ogni provisione per difender el Pontifice, et consultavano la matina con li oratori di la liga, comunicando con quelli tutte lettere. Et a dì 7 Mazo nel Consejo de Pregadi preseno che 'l capetanio zeneral da mar dovesse andar ne la Puja verso Brandizo con l'armada, et ivi star fino havesse altro mandato. Et la sera a hore 5 di note spazò el gripo. Fo scritto al Marchexe di Mantoa si dovesse preparar, che volevano farlo cavalcar in Brexana, la qual nova fo molto grata a ditto Marchexe, et fo ditto donò ducati 50 a chi li portò la lettera. Questo per operarsi et dimostrar la fede havia, però che mai, za anni cinque è nostro soldato, è caduto operarsi. Et rescrisse esser lui et suo barba presti a' comandi di la Illustrissima Signoria nostra. Fo mandato danari per tutte le camere, et a dì 9 ditto mandò Zuan Borgi secretario in Romagna a far metter in ordene el Signor de Rimano et Signor de Pexaro nuovamente conduto. Ancora fo decreto, oltre li cavalli lezieri provisionati et stratioti andava verso Roma, etiam a ogni richiesta dil Pontifice mandarli zente d'arme, et fo fatto il numero di le compagnie, le qual, perchè non bisognò, lasserò de scriver chi fusse. Item si faceva conzar XX redeguardi in l'arsenal, li arsilii tornati con li stratioti si riconzavano, et oltra li patroni a l'arsenal era do provedadori, Zuan Morosini et Antonio Trum, i qual molto se exercitavano in proveder a quello era bisogno a l'arsenal. Et in questi zorni zonse a Lio 4 arsilii de stratioti [335] 520, venuti da Napoli de Romania benissimo in ordene, fatti per Luca Querini ivi rettore, capetanio de parte, uno Piero Busichio cavalier, che alias per soi meriti a la guerra de Ferrara fo di militia decorato, et datoli provisione a' fiuli. Et smontati a la Signoria li capi domandono cinque cosse: primo che havesseno 12 page a l'anno, zoè pagati ogni mexe; 2.º che tutti quelli erano qui venuti, nel ritorno se dovesse scriver a Napoli per stratioti, però che quelli sono scritti stratioti hanno certa immunità et exemptione; 3.º che morendo quelli hanno provisione, li loro figlioli succieda in ditta provisione; 4.º che morendo li cavalli, li siano pagati; et quinto che li fusse dato el pan ogni zorno da S. Marco, et etiam la biava per li cavalli secondo el consueto. Et tutto li fo concesso, excepto di darli el pan. Et poi fo mandato Bernardin Loredan, savio ai ordeni, per Collegio a darli le sue page, non vi essendo el suo provedador, et za era andato a Ravena; ma ditti stratioti non volseno nè tuor danari nè far mostra alcuna; unde, tornato, riferite a la Signoria che era in Pregadi questo. Tamen stratioti medemi do zorni dapoi si dolseno di tutto haveano fatto, dicendo non havia fatto per altro, in star renitenti in voler el pan, se non perchè el Doxe havia tocà la man a Piero Busichio et non a li altri capi, i quali erano cussì servidori de S. Marco come lui. Et veneno dal Prencipe a dir volevano far quello comandava, et li fo dato la paga di ducati 3, et a li capi ducati 4, zoè do page, et mandati verso Padoa et alozati in Padoana, come dirò di sotto. Et ancora con una nave venne XX stratioti, i quali etiam li fo dato soldo, a ciò non fusse venuti indarno; sì che fin questo zorno di 20 Mazo era di qua stratioti n.º 1200, tolto da Modon, Coron, Zante, Lepanto et Napoli di Romania, tutti luogi di la Signoria. Et a dì 14 ditto questi oratori li fonno a veder correr: quello dil Papa, zoè D. Alvise Becheto, perchè a dì 13 el legato episcopo de Chalaor era partito et andato verso Roma, essendo stato quivi legato più di uno anno; quello di Spagna, li do di Napoli et tre di Milano, li quali steteno molto admirati di la sorte et qualità de stratioti et dil suo veloce correr. Et a dì... Mazo con barche fonno tragetati a Lizafusina et a Padoa, et per quelli castelli haveano i loro alozamenti. Et in collegio a dì ij ditto fo cressuto page a molti contestabeli benemeriti de S. Marco, ita che qui a Venetia in corte dì palazo era pieno de soldati che dimandavano stipendio, et poi a dì 25 ditto in collegio fo ballottati tra molti contestabeli, et eletti 8 capi de provisionadi, li nomi dei qual saranno qui sotto scritti, zoè prima a

[336]

Pietro Schiavo contestatele di provisionadi 200
Zuan Alvise Cigogna 100
Zanon da Colorgno 100
Bernardin da Como 100
Piero Grosso 100
Perin da Bergamo 100
Zuan Agnolo da Urbin 100
Paulo Albanese 100

Zonse a dì ij Mazo a Venetia uno corrier venuto di Spagna, partito una zornata avanti zonzesse quello portava la lettera di la liga, et il suo ambassador fo a la Signoria, et notificò come el Re havia ordinà grande exercito per mandar a la volta di Perpignano, et, se nostri rompesse, senza dubio el Re di là romperia; tamen non fo nulla. Et che quel corrier andò per terra in Spagna fo ben intercepto a Brianzon, ma non fu averte le lettere, dicendo non havevano guerra col Re de Spagna. Et che zonto a Madrid, el Re et la Raina havia habuto una gran consolatione di la liga, et volse, essendo zonto la nuova el Zuoba Santo, indusiar a publicarla per tutti soi regni el zorno de S. Marco, a dì 25 April, con gran cerimonie et il successo scriverò di sotto.

A Roma el Pontifice vedendo la voluntà dil Senato Veneto et di Milano esser di dar conduta secondo el suo desiderio al Duca de Urbino, et come ho scritto di sopra era partito di qui el suo secretario, et lui aconzo con Fiorentini; et il Pontifice li mandò a dir che havea fatto gran mal a non voler esser al soldo di la liga, maxime sapiando el testamento dil duca Federigo suo padre, che vol che nunquam lui si aconzi con niuno senza licentia dil Papa, nè mai esser contra la Chiesia; et che, non volendo esser soldato nostro, lo spoglieria dil feudo et investisone come nemico di Santa Chiesia. Et el Duca rescrisse per niun modo voleva esser contra la Chiesia, et che, havendo dato una volta la fede a Fiorentini, quella voleva mantenir, et mandò un so secretario a la Signoria, chiamato Ludovico di Odaxij padoano, et a dì 9 Mazo zonse in questa terra, et si mandò a excusar con la Signoria, et che non havendoli voluto dar conduta condecente a la soa persona, si era assoldato con Fiorentini, offerendosi tamen fiul etc. Et detto secretario stete do zorni et andò via.

A Napoli, essendo partiti li nostri ambassadori, mal se intendeva el successo dil Re, nè quello voleva far. Ivi era tre cardinali, S. Piero in Vincula, S. Dyonisi et Samallo, et se divulgava per [337] tutto questo mexe de Mazo non partiva di Napoli, perchè li cavalli erano a l'herba, et venendo per camino non troveria strami. Ma pur tramava pratiche sotto man, et con Zenoesi, come ho detto, per mezo de S. Piero in Vincula, prometendo dar in deposito a lui Serzana, Serzanella et Piera Santa fin el Re stava in Italia, poi siano dati a Zenoesi. Col Duca de Ferrara era d'accordo, benchè la liga li mandasse a dir alcune cosse. Li oratori fiorentini, senesi, luchesi et de' Pisani erano pur ancora a Napoli. Et è da saper che sempre vi stette un orator de Pisani, chiamato Piero Gripho, a presso Soa Majestà, et novamente ne mandò uno altro chiamato Alvise de Christofaro, et questo per le discordie haveano con Fiorentini.

A Roma, come scrissi, el populo era volonteroso de defenderse. Fenno la descriptione de li homeni da fatti, a ciò a uno bisogno se potesse operarsi. Li conservatori et caporioni fenno 3000 fanti, li 600 provisionadi di la Signoria con li X contestabeli haveano do page per uno, zoè di do mexi. Li Zudei, a ciò non havesseno i danni come prima, assoldò alcuni fanti facesseno guarda a le lor caxe. El Pontifice domandò imprestedo a Cardinali ducati 20 milia, et assoldò el signor Paulo Orsini et el sig. Carlo fiul dil sig. Virginio Orsini; et conclusive tutta Roma era in moto. Et el Papa intendendo che al tutto el Re veniva a Roma, li mandò a dir che volendo venir pacifice senza arme el fusse ben venuto, et volendo venir con l'exercito andasse di fuora via. Et a dì 8 Mazo venne a Roma el cardinal Samallo partito da Napoli, et alozò in palazo dil Papa. Si divulgò tratava accordo. Et a dì IJ ditto chiamato consistorio terminò di mandar do Cardinali contra esso Re de Franza, zoè el cardinal Santa Nastasia et el cardinal Carthagenia, et non ostante che erano in queste pratiche, sollicitava el Pontifice el cavar di le fosse dil castello. Et cavando in questi zorni trovono 6 teste de alabastro bellissime, et altre antiquità, maxime alcune caverne subteranee, cossa de gran spesa; et forniva el castello de artegliarie et munitione. In Roma era gran romori per la discordia di le parte, et Spagnoli con Romani assà volte si amazavano; la notte non se poteva andar per Roma, che erano spogliati, et quasi ogni giorno amazato qualche uno: li prelati scampavano fuora di la terra.

Et a dì 15 ditto, a hora di nona zonse lettere in questa terra de Hyeronimo Zorzi kavalier orator in Corte, date a dì 12 ditto, et venute prestissime, unde fo chiamado Pregadi. Ma prima se redusesse, da poi disnar, la Signoria mandò per li oratori di la liga, eccetto quello dil Papa, et consultava insieme; andono in Pregadi. [338] Per queste se intese come el Re a dì 12 dovea partirsi de Napoli per venir a Roma, et che el Pontifice quasi non era fermo etc.; per la qual cosa Venetiani steteno molto di malavoia, et fo comandato grandissime credenze et streture, et feceno molte provisione, et el Principe parlò in Pregadi et exortò a la difensione di la Republica, et si dovesse pagar le decime volentieri. Et spazò la sera uno corrier a Roma, el qual andar dovesse in hore 40; et comesse a l'ambassador dovesse far ogni cossa che 'l Pontifice se levasse di Roma. Etiam mandò uno gripho al capitanio zeneral, el qual se judicava fusse in Puia, che dovesse star lì intorno quelli scogi de Brandizo, et andar fino a Otranto con l'armada, tamen non metter in terra, nè far altra movesta se non li scriverà altro. Al Pontifice ancora fo scritto non dovesse temer di cossa niuna, confortandolo dovesse star saldo, promettendoli di darli ogni aiuto, et che Venitiani soli li bastava l'animo a difenderlo, non che essendo li altri colligati, maxime el duca de Milan volonteroso assà contra esso Re de Franza; et altre parole de questo tenor li scrisseno, dubitando non si acordasse col Re. Questo perchè non feva alcuna provisione, ma diceva cercaria el suo meglio a li oratori. Et però nostri li promise di mantenirlo nel Pontificado. Fo divolgado el Re promesse de dar el Principato di Taranto a suo fiul duca de Gandia, et altre promissione secrete. Et in questi zorni zonse tre oratori o vero messi di esso Re a Roma; i quali a dì 12 ditto partino: uno andava a Fiorenza, l'altro a Milan, et l'altro a la Signoria nostra, chiamato Joam Boierdino, el qual a dì 23 ditto zonse a Venetia. La soa richiesta et quello volse scriverò poi di sotto. Et a Roma in questo mezo monsignor Samallo dimandò al Pontifice la investitura dil Reame al suo Re, sine præjudicio tercii, e che li fosse dato el passo che 'l voleva venir come amico a visitar Santa Chiesia, perchè in ogni tempo è stato bon fiul et ha difeso quella. Unde el Pontifice li rispose publice: pro nunc non voler darli alcuna investitura; et che volendo venir el venisse di fuora via, et che volendo el Re parlarli, lui andaria in una terra, dove insieme havendo voja Soa Majestà li poteva et poria parlar. Ma ditto Cardinal et l'ambassador dil Re preditto, adunato li conservatori et caporioni di Roma, li expose come el Re li mandava a saludar; et che 'l voleva venir a Roma, et che si ne l'andar a Napoli haveano habuto Romani alcuna cattiva compagnia, era processo per la moltitudine dil gran exercito havia; ma che a hora voleva venir con assà manco zente, et che restauraria tutti chi fusseno stati offesi. Ai quali, Romani, fatto loro consigli, li risposeno [339] che erano atti a mantener la voluntà dil Pontifice, et che essendo Soa Santità et li reverendissimi Cardinali di opinione che la Majestà dil Re non dovesse più intrar in Roma, che cussì etiam loro erano disposti; tamen volevano esser servitori di Soa Majestà. Et habuto tal risposta, el messo dil Re se partì et tornò a Napoli, et el cardinal Samallo rimase. Ma Hyeronimo Zorzi andato dal Pontifice, et presentato le lettere di la Signoria persuadendo Soa Beatitudine a doverse partir de Roma; ma el Papa rispose volerse defender et star fermo; et voleva far 3000 fanti, et con li 1000 provisionadi nostri et quelli de Milan et li 1000 cavalli lizieri, etiam lui havia 600 homeni d'arme ai quali havia dato paga, li bastava a doversi difender; et che staria in castello, et havia per lui il populo, che, come ho fatto la descriptione, era XX milia homeni da fatti; sì che non dubitasse de nulla. Et a Napoli acadete, essendo dismontato re Ferandino in la Calavria a presso Turpia con alcune zente, havendo reaquistato alcune terre, et dove si apresentava tutto si rendeva; unde el Re terminò di mandarli zente a l'incontro, a ciò più non prosperasse. Et mandò mons. de Obegnì con lanze 200 et 1000 Sguizari. Et in questo tempo venendo 6 zentilhomeni franzesi a Capua partiti da Napoli, in uno bosco furono assaltati da alcuni dil paese et amazati, et per più disprecio li fu cavato el cuor dil corpo, che fo cossa crudelissima, et messe gran paura in Franzesi. Etiam el zorno avanti de questo, in Napoli fo morto uno Franzese, et cavatoli el cuor. Queste cose dimostra el mal voler hanno Napolitani a Franzesi.

Venne in questa terra a dì 17 Mazo per Po la madre de madona Maria marchexana de Monferà, et olim mojer dil marchexe Bonifacio di Paleologi. Questa era vedoa, et fo moglie dil dispoti di Servia preso et morto da Turchi, la qual za uno anno da poi la morte dil zenero venne dil suo paese per veder soa fiola, et al presente ritornò con ganzare et burchii et zerca persone 100. Aloxò a S. Trovaxo, in caxa di domino Andrea Sench, olim orator dil Re de Romani; et la sera andò a caxa dil Principe; et habuto lettere di passo, poi che stette alcuni zorni, con uno gripo passò a Segna, demum per terra andò in l'Hongaria, et fo a dì ultimo ditto. Et ha uno fiul capitano de esso Re de Hongaria, tamen per la Sensa stete qui.

Ancora in questi zorni vi venne madona Paula di Gonzaga, fo sorella dil marchese Federigo di Mantoa, padre di questo presente, et moglie del conte Bernardo di Goricia. Alozò a la caxa di [340] ditto Marchexe; poi, visto la Sensa, a dì 2 Zugno andò a li bagni a Padoa; et ritornò a Goritia. Poi etiam vi venne la niora dil signor Sigismondo di Este, fratello dil Duca de Ferrara, con alcune donne; alozò a la sua caxa; et uno fiol secondo dil magnifico Joanne Bentivoi, chiamato Alexandro, con alcuni tutti vestiti a un modo a la todesca, con penachi in testa, veneno incogniti a la Sensa.

A dì 17 Mazo zonse in questa terra Domenego Trivixan et Antonio Loredan cavalieri, erano stati ambassadori a Napoli al Re de Franza; et el zorno driedo riferiteno nel Consejo di Pregadi la loro legatione, et come el Re era mal in hordine sì de zente quam de danari; ma Franzesi inrichidi; et non havia più di 12 milia persone, zoè cavalli, et 8000 pedoni, et cavalli taliani 3000, et alcuni fanti de li qual conveniva lassar parte in Reame. Item che tutto Napoli se doleva di le insolentie de Franzesi, di le cative compagnie haveano da loro, et che Napoli non si poteva più dir quello Napoli era prima; et che 'l Re al tutto se voleva partir, havendo cargado su le galeaze et alcune barze bona parte di le cosse dil castello: porte di bronzo, re Alphonso vecchio di bronzo etc., per mandar in Franza; et che esso Re havea mal animo contra Venetiani, concludendo li havia fatto pessima compagnia; et questo fo da poi el Re intrò in Reame, che prima erano assà ben visti. Et volendo a Napoli haver audientia, convenivano star tre hore aspettar, et ancora, parendole, li licentiavano; et che el Re continue zuogava su una sala con uno suo muleto, et li coreva drio, et con una soa favorita niora di la duchessa di Malfi, la qual molto amava: etiam un'altra tolta a Guastalla. Narrò quelli erano dil suo consejo, nominati di sopra, et homeni di gran inzegno, et che Franzesi non servava alcun ordene; et che uno capitanio comandava una cossa et l'altro non voleva; tamen, verso il re erano fidelissimi et tutti attendevano a uno fine; et che dal concluder di la liga fino a loro partir, non erano ditti oratori ussiti di casa se non quando andono a tuor licentia; et che el Re gela dette volentiera; poi disse che tornasseno, che li havia a dir alcune cosse. I qual tornati, ordinò al suo consejo li dovesse parlar, et cussì li disseno: Domini oratores, direte a la Signoria che vogli mantenir al Roy la lianza, et che non saria venuto in Italia se non havesse habuto la lianza sua, et che in Aste venne el so ambassador ad alegrarse di la venuta di la Maestà Soa, poi a Fiorenza voi fosti mandati; ne l'entrar in Roma et ne l'intrar in Napoli vi avete alegrato del suo prosperar; et che non voglia essa Ill.ma Signoria in questa sua tornata far altro che [341] mantenir la vera promessa, con altre parole. Et concludeno ditti oratori al Senato che Franzesi non per altro modo haver acquistato questo Regno se non che el Reame hanno acquistati loro, ch'è cossa mirabile; et che si dovesse far ogni cossa perchè non erano molta quantità, et havevano assà odio a Venetiani, dicendo erano stati causa di ogni loro infortunio. Et poi che hebbeno refferito, ambidoi introno Savii di Terra ferma, et il luogo li era sta servato; et mentre erano a Napoli fonno creati, licet avanti fusseno stati.

Et intendendo li padri di Collegio questo, deliberorono metterse in ordene, et venendo di qua dimostrar el poter de Venetiani. Et sopra tutti fenno provisione de danari, et benchè fusse messe 6 X.me, do al Monte vecchio et 4 al Monte nuovo, terminono a dì 18 ditto in questo Consejo di Pregadi, de impegnar le volte et bottege de Rialto di la Signoria a rason di ducati 8 per cento, et chi depositava in termene di do zorni havesse do per cento di dono, et quelli li havea affitto in termene di zorni XV dovesse depositar a l'oficio dil Sal, et che fusseno exempti di ogni X.ma per angaria di le ditte intrade, come etiam fo fatto per la guerra de Ferrara; di le qual volte et bottege in questo mexe et in ditto termene, per Marco Bragadin era Provedador al Sal a la caxa fo scosso et trovato ducati 60 milia.

Ancora fo deliberato de mandar a li confini di Oio cavalli 5000 et Stratioti 600, et ivi star, a ciò venendo el Re per la via de Pontremolo potesseno resister non passasse, con la zente dil Duca de Milan, però che etiam lui lì in Parmesana adunava zente; oltra de questo in Romagna vi dovesse a Ravena star cavalli 2000 et Stratioti 600, i quali bisognando presto si conzonzerebbe con questi. Quelle zente dil Polesene non fonno mosse. Et in questo medemo zorno, a dì 18 Mazo, col nome dil Spirito Sancto elexeno per scortinio nel Consejo di Pregadi do Provedadori zenerali in campo, con pena grandissima non potesseno refudar, i quali fonno Marco Antonio Morosini cavalier era capetanio di Padoa, et Marchiò Trivixan fo podestà a Padoa. Ancora preseno de assoldar 2000 Sguizari et far 2000 provisionati oltra li fanti si havia, et ancora zerca 60 Stratioti, erano venuti driedo li altri senza esser soldati, fonno tolti et datoli la paga et mandati in Padoana. Etiam fo assoldato el fiul di Johanne Bentivoi, per do anni, primogenito, chiamato Hannibal, con homeni d'arme 80 et 40 balestrieri, da esser pagato per mità col Stado de Milano; et cussì li fo mandati danari si mettesse in ordene: el qual era in pratica de acordarsi con Fiorentini. Et el conte [342] Bernardin Brazo, fo fiul dil conte Carlo conduttier fidelissimo, vene a Venetia, et habuto danari si andò a levar le sue zente era in Friul et venne in Brexana. Ancora molti cogioneschi, di la compagnia di Bortolomio Cogion capetanio zeneral da terra, chiamate lanze spezade cogionesche; et cussì erano expediti ditti soldati.

A Milano in questo mezo zonse do ambassadori dil Re de Romani, venuti per far le cerimonie di la investitura, chiamati d. Marchio Mechz episcopo di Brixenon et consiglier dil Re, et d. Corado Sturcem primo cancellier dil Re. Etiam vi zonse uno dil Re et Raina di Spagna, nominato mons. Joan Claver aragonexe, et el Duca perlongò de far questa investitura a dì 24 Mazo. Etiam sul Milanese vi zonse in questi zorni uno capetanio de Sguizari o vero Elemani, mandato per Maximiliano in so aiuto. Et esso re Maximiliano si aspettava, perchè per lettere di Hieronimo Gritti da Roverè se intendeva a Trento el vin era montato ducati 6 la botta; ma per lettere di ambassadori nostri andava da Soa Majestà, date in Yspruch, dove era et l'archiduca Sigismondo di Austria homo veterano, licet al presente non habbi alcun dominio per haverlo renonciato a ditto Re di Romani, et se intese ancora la dieta non era compita a Vormes, et non era per venir in Italia cussì presto.

A Ravena accadete che Stratioti alozati a uno monasterio de frati chiamato Santa Maria in Porto, unde veneno a parole con ditti frati, ita che 7 frati ussite fuora, et ferino alcuni Stratioti, et amazò uno cavallo di valuta di ducati 50. Unde Stratioti si messeno contra questi frati, et li feriteno, et poco mancò non li amazasse. Era ivi Piero Duodo loro provedador, et pur fo tasentate le cosse, essendo stati prima causa di tal movesta li frati.

A Roma, per lettere di 18 zonte a dì 21 Mazo, nostri fonno certificati... come era venuti a Roma, et voleva la investisone dal Pontifice dil Reame a lui pertinente de jure. L'altro a dì 18 ditto se partì per andar a Napoli a trovar el Re de Franza, chiamato misser Zanon de Molins, el qual alias fo a soldo di la Signoria nostra a la guerra de Ferrara, quando vi era el suo Duca. Et ancora in questo medemo, ditto orator partito per andar a Napoli, mandando li soi cariazi avanti, in Roma, a una piaza ditta la piaza Judea, fonno assaltadi et tolto ditti cariazi et robe con li cavalli, et fo soldati romani, cridando: Marco! Marco! Et l'ambassador ditto, tornato, fo ricevuto in caxa da Hyeronimo Zorzi orator nostro, et stete do zorni facendoli bona compagnia, et andono dal Papa dolendose de questo. Et li caporioni fece tuor le robbe et messe in salvo; tamen mancò [343] uno cavallo di valuta di ducati 100. Et l'ambassador nostro fece uno edito, si era soldato di San Marco fusse apicato. Et oltra di questo venendo tre oratori dil Re al Pontifice, zoè el cardinal S. Dyonise, mons. de Brexa et Frances mons. de Lusemburg, et alozati mia X di Roma, et etiam veniva el cardinal San Piero in Vincula, ma pur non volse venir di lungo, ed andò a Grota ferata mia 25 da Roma. Ma questi tre venendo per venir a Roma, et el Pontifice ordinò a la soa fameglia dovesse andarli incontra, etiam vi volse andar contra el Cardinal preditto, do cardinali San Clemente et Santa Anastasia. Ma mentre questi andavano, acadete che ditti oratori mandò avanti uno araldo di mons. de Brexa, el qual arente le porte fo spoiato; et ancora el zorno avanti havia mandà el so cuogo per metter ordene a quello era di bisogno, et alcuni Spagnoli di la guarda dil Papa el trovò et lo amazò. La qual cossa intendendo ditti oratori, non volseno venir di longo, et subito spazò al Re notificandoli questo, sì che quelli erano andati contra convenne ritornar, et non vi venne quel zorno. Unde, inteso questo, el Papa have molto a mal, et fece inquisitione chi havia fatto questo, et mandò per piar (pigliare) alcuni i quali erano fuziti a dir al cardinal S. Dyonise non dovesse dubitar de niente, et intrasse liberamente, et poi intrò come più avanti intenderete. Zonse ancora a Roma Sonzin Benzon da Crema zentilhomo nostro, agregado per li meriti del padre l'anno 1483, con 50 cavalli lizieri; et era altri 500 cavalli lizieri alozati a Vitrali, et a dì 24 ditto doveano far la mostra in Roma.

A dì 19 ditto intrò in Roma li ditti tre ambassadori dil Re di Franza a hore 23 bene in ordene. Li andono contra la famiglia dil Papa et de Cardinali, et come vidi una lettera di Roma, mons. de Brexa havea più di 60 mule carge di robe, et zerca 40 pulieri zoveni de Reame, et assà zente d'arme conduceva le ditte robe. Alozono in palazo dil cardinal S. Clemente, et al zorno driedo have audientia. Et Colonnesi erano in Roma praticava con li primarii romani volseno lassar intrar el Re, et che non vegniva per far alcun mal; ma quelli li rispondevano: prima manzerebbe sui fiuli, che consentir mai la sua intrata, et quando ben el Papa consentisse, loro erano fermissimi. Et davano gran pressa, sì in racoglier qualche biava che ancora non era mature, quam in far provisione in la terra. Le porte era partite a custodia de fanti, et fo ordinato li nostri provisionati con Francesco Grasso capitano loro vardasse la porta di San Paulo, et un gran spatio de muro, che fece bastioni, ripari, revelini, et altre cosse necessarie; frustra fece, come dirò di sotto.

[344]

Antonio Grimani procurator capetanio zeneral, in questo meze per lettere di 7 di questo, se intese era a Corphù con galie 19, et feva impalmizar per andar in la Puia, et con desiderio aspettava le tre galie partide de qui, zoè dil provedador Zorzi, la galia Bembo, et la galia Cornera, et etiam el resto di le galie se armava in Candia n.º 12, et havia retenuto do nave, zoè quella di Stefano et Theodosio Contarini, patron Zaneto da Muran, et quella de Piero Sagredo et compagni, patron Antonio Amai; et etiam alcuni gripi meneria da Corphù per far più grossa armada. Et Hyeronimo Contarini provedador era al Saseno. Et è da saper che 3 galie era a l'isola de Cipro, zoè Cabriel Barbarigo, Zorzi Cabriel, et la tragurina. Quello poi di ditta armada seguite, più avanti scriverò.

A dì 19 ditto venne a Venetia Zuan Bragadin patricio nostro, era stato mercadante a Napoli, et partito de lì el zorno driedo si partì li oratori nostri, et andò in Puia, et andò la matina in Collegio et referite molte cosse a la Signoria, maxime come tutta la Puia desiderava de esser sotto S. Marco, et, non volendo la Signoria tuorli, chiameria Turchi, però che per niente non volevano più Franzesi, et che a Leze era el vicerè mons. de la Spara con zerca 200, el qual stava in castello, et li populi li era contrarii per certe manzarie havia fatto, et volevano esser restauradi; et lui stava con paura, come se intese per Marin Morosini venuto mercadante stato in Leze; tamen da poi se partì, et andò ad habitar a Misagne mia 8 a presso Brandizo. Item come quelli di l'Aquila non havea voluto pagar el dacio di le piegore al Re, et andono in Puia et tolseno li soi bestiami et li menò su el suo. Ancora in Manfredonia acadete certa novità contra Franzesi. Item che Franzesi erano zente poltronissisima, sporca et dissoluta; prima sempre stano in pecai (?) et in atti venerei; le tavole sta sempre preparate, nè mai si cava mantili, nè si scova sotto; che intravano al principio in le caxe in Napoli, tolevano le miglior camere, et in la pezor mandava el patron di la caxa; andavano in caneva, toleva vini et formenti, et mandavano a vender in piaza; sforzavano le femene, non havendo alcun rispetto: poi le robavano et toleva li anelli di dedo (dito), et quelle feva resistentia, li tagliavano li dedi (dita) per haver li anelli; stavano molto in chiesa a loro oratione; havea 12 milia cavalli et 500 Sguizari, et el resto era zente inutile, osti, meretrice, arte di ogni sorte; et che tutte le arte in Napoli era lavorato per Franzesi: el Re cavalcava per la terra hora con 100, hora con manco di XVI cavalli, senza servar alcun ordine nè decoro regio; che el Re era liberal, ma [345] non havia danari, et li soi erano richi, vestiti di seda etc.; che l'ultimo zorno che 'l se partì, vide disficar et averzer alcuni magazeni de mercadanti zenoesi, et tuor la roba et cargarla su le galeaze insieme con le altre arteglierie; et che el Re voleva far un fontego a Segna per Todeschi, a ciò specie non havesse spazamento a Venetia; item che Franzesi lievano assà vanie, et conclusive fevano pessima compagnia a Napolitani: et che vorebbeno Napolitani più presto esser sottoposti a ogni altra generatione che a questi; che non vi sono ivi porte nè fenestre, ma brusate per non comprar legne; li cittadini al meglio potevano si partivano de lì, lassando la roba et la caxa in le man de Franzesi, et loro habitava in le ville; et che a le donne era sta usato gran violencie, prima usato con quelle contra il voler suo, de li mariti, padri et fratelli. Et accidit che uno barone franzese, intrato in caxa di uno cittadino che havia una bellissima fiola, et volendo ivi far bona ciera et disnar, volse fusse presente la ditta figlia; et poi disse al padre che al tutto lui la voleva haver, promettendoli etc. Et el povero padre rispose voleva dimandar a la moglie et a uno suo fiul. La qual per niente non volendo soportar tal inzuria, et non potendose defender in altro modo, el fiul disse: ordinate el venghi et dateli l'hora, et cussì fo ordinato. Et venne dito franzese, et andò in camera con lei, et avanti lui la tocasse, vi entrò ditto suo fratello, et amazò quel franzese et scapò via. El padre medemo andò con lagrime a notificar tal caxo al Re; el qual mostrò molto dispiacerli, et haver meritato la morte. Et disse: fate venir vostro fiul dentro qui, che li perdonarò. El qual venuto, a pena si butò a piedi dil Re, che da alcuni franzesi fo amazato; et el Re non fece altro. Le donne erano ne li monasterii; pur fo divolgato al Re cavò una munega di uno monasterio, Santa Chiara, et usò con lei, non li bastando la favorita di Malfi; et ancora molte altre che li era menate per soi Franzesi.

A Milan, a dì 18 Mazo zonse Hieronimo Lion et Francesco Capello kavalieri, con Marin Zorzi dottor, nominati di sopra; de li qual, do andavano hora in Spagna. Li vene contra prima 4 del consejo secreto, consejeri dil Duca, poi Sebastian Badoer kavalier, cum altri pur dil Consejo. Demum, fuora di le porte de Milan venne el Duca con zerca cavalli 700, et el Marchexe de Mantoa, el qual ivi in questi zorni era andato per ritrovarse a la investitura; etiam venne li do oratori dil Re de Romani, uno di Spagna, uno di re Ferandino, uno di Fiorenza, uno di Ferrara, uno di Monferà et uno de Luchesi. Item el signor Galeoto di la Mirandola, el conte de Caiazo, el signor [346] Fracasso di San Severino et Hannibal Bentivoi fiul di messer Joanne da Bologna, con altri di la corte, et accompagnò ditti oratori per mezzo la terra, con grande honor fino a lo alozamento a loro deputato, et per el Duca facto ornar. Et la sera li fo fatto le spexe, poi el Duca li mandò ducati 50 da farsi le spexe. Et questi do andavano in Spagna per questi 8 zorni, et a Lion dimorava ivi, li dette li ducati 100 secondo el consueto, sì come si dà al suo in questa terra. Et el zorno sequente, che fo a dì 19, andono a l'audientia vestiti d'oro, et Marin Zorzi con uno manto di seda, per non esser cavalier. Et volendo esso Marin Zorzi far l'oratione, per esser el più zovene, latina, el Duca volse la facesse vulgari sermone, et cussì fece. Et in questo medemo zorno el Duca con el Marchexe et tutti li oratori andono contra don Alphonso da la ca' da Este suo cognato, fiul primario dil Duca de Ferrara, veniva a questa investitura, et alozò in castello, et la investitura era ordinato di far la Domenega proxima a dì 24.

Ancora in questo zorno venne lettere al Duca dil suo campo di Aste, come haveano habuto uno castello mia do lontano di Aste a discretion, chiamato Aliano, et seguitavano vigorosamente l'impresa, tamen haveano inteso zente franzese passar di qua da monti, et esser passato el Bastardo de Borbon et 800 franchi arcieri. Sul Milanese era comenzato a zonzer zente alemane et Sguizari, et altri volevano soldo, i quali capitono nel ditto campo. Oltra di queste, se intese che el Re feva sollecitar la sua armata a Provenza. Aspettavano ancora a Milano oratori de Fiorentini, et il vescovo Angelo legato dil Pontifice per intravenir a ditta solennità, tamen non ne veneno.

Fiorentini continuamente fevano consigli per difenderse di la venuta dil Re, et fo divulgato volevano intrar in la liga, et li soi oratori erano a Napoli più volte al Re dimandono licentia de repatriar, ma el Re non ge volse darge, dicendo volea venisseno con lui a Fiorenza; et pur esso Re eccitava Pisani, et fo divulgato in questi zorni haver mandato a Pisa 800 Bertoni meschiati con Sguizari, et tre nave de formenti. Et etiam, Pisani acquistarono la fortezza di Librafratta, Fiorentini l'havia recuperata. Et el duca de Urbin, accordato a soldo de Fiorentini, se metteva in ordene: et quello acordò ditto Duca fo Francesco Gadi secretario de Fiorentini, el qual altre volte venne in questa terra per causa de certi contrabandi de panni trovati a Vegia, come orator de quella comunità. Ora a dì 24 April condusseno in Augubio l'accordo di darli ducati [347] 30 milia a l'anno, tenendo elmeti 220, et non li potè dar titolo de capetanio[129], et non volevano quelli romper. Et in questi zorni acadete a Fiorenza certe novità, però che fonno retenuti do Fiorentini di caxa di l'Antella, et folli opposto volevano far novità in la Republica, et uno di XX acopiatori, chiamato Juliano Salviati, refudò l'ofitio suo; unde in elezer in loco suo uno altro fo qualche discordia, et molti non volevano mandar suoi ambassadori a Venetia et a Milan, licet vi fusse uno per praticar de intrar in sta liga; et tanto ebbeno paura dil Re che mai volseno esservi.

A Roma essendo zonto li oratori dil Re di Franza, come ho ditto, et deputata dal Pontifice l'audientia, andono tutti tre, el cardinal San Dyonisio, mons. di Brexa, et Frances mons. de Lusemburg. Et essendo per intrar dove era el Papa, se ritrovò esser lì el Cardinal Curzense, et volse intrar con loro, dicendo era stato primo havia praticato per el Re col Papa. Et ditti oratori non volse vi entrasse, unde fenno di gran parole, tamen non intrò, et d'indi se inimicò col Re. Or intrati dimandò tre cosse: la prima la investitura dil Reame et coronatione, promettendo pagarli ogni anno ducati 50 milia di censo, secondo il consueto primo, et darli ducati 100 milia che restava debitori di più censi a la Chiesa el re Ferando et Alphonso; seconda, che 'l voleva venir a Roma come bon fiul di Santa Chiesia, et esser a parlamento con Soa Santità, et pur volendo fuora di Roma l'era contento, et che 'l dicesse qual terra li pareva, et non volendo che 'l voleva vegnir con tutto l'exercito in Roma et non con puoca zente; et che ivi poneriano qualche conclusione zerca a la expeditione contra Turchi. Unde el Pontifice volse far concistorio; et cussì a dì 22 Mazo chiamò concistorio, et rispose a ditti oratori che manderia do ambassadori a Soa Majestà, et che 'l venisse in Roma; ma di la investitura lui era zudexe, et bisognava intender le raxon di queloro dimostrava haver action in ditto Reame, et che non mancheria di raxon: etiam voleva haver l'opinion de li soi colligati, et comesse dovesse scriver al loro Re questa risposta. Et a dì 21 ditto Hyeronimo Zorzi orator nostro andò a visitar ditti oratori, dimostrandoli bona ciera.

A dì 20 zonse lì a Roma Piero di Medici partito da Napoli non con molta benivolentia dil Re, et Juliano suo fratello era in Civita de Castello col Cardinal.

A Napoli per lettere di 17 Mazo, di Lunardo di Anselmi veneto [348] consolo nostro, in zifra, venute a dì 23 ditto, se intese come Franzesi erano mal visti in Napoli, et ogni zorno seguiva qualche inconveniente, et Franzesi dubitavano di non esser taiati a pezi, et che, judicio suo, non partiria questo mexe el Re, perchè le artiglierie fece cargar su le galeaze havia fatto discargar, benchè da po' le fo iterum cargate; et che havia fatto un per di noze di mons. de Ligni suo cuxino in la fia fo dil Gran Siniscalco, a la qual apartien el principato di Alte mura ha don Fedrigo, et quello ge lo dete in dota privando don Fedrigo di quello; et che era zonto uno messo dil Signor turco al Re a dimandarli el corpo di suo fratello Giem sultam, prometendo darli reliquie de Santi a l'incontro, che saria assà acete a esso Re, per haver nome de Christianissimo. Item che havendo più volte fatto conzar in Napoli, per intrar come Re con triumpho, pur a dì 12 ditto intrò sotto una umbrella d'oro con la chieresia, che li andò contra, et li Sezi era conzati con bancali et altri adornamenti.

Ferandino veramente zonto a Messina, che fo a dì 17 April, dove vi messe in terra la Raina et fo honorifice ricevuta come sorella dil loro Re, et li veneno contra esso Re col palio d'oro, et li promise darli 2000 fanti pagati per loro fino guerra finida et fusse ritornato in Napoli, con questo li prometesse di farli liberi et exempti Messinesi de ogni angaria, dacio etc. sì de Napoli quam de ogni altra terra di Reame; et cussì li fece privilegio. Et trovato le caravelle de Spagna, era smontato in la Calavria, operato come ho scritto di sopra, et molte terre havia rilevato la soa insegna. Et el re Alphonso suo padre, partito de Mazara con le so cinque galie havia et do barze, a dì 20 April, fo el zorno de Pasqua, andò a Palermo dove da don Joam de la Nuze vicerè de Sicilia per el Re de Spagna fo con grande honor ricevuto, et lui non volse dismontar, ma su la pope di galia fe' XII cavalieri. Quello di lui et di re Ferandino poi successe, scriverò di sotto.

Maximiliano re de Romani in questo mezo compite la dieta, tamen le cosse di Elemagna era in gran combustione, nè poteva esser la soa venuta in Italia presta come se sperava. Questo perchè molti soi baroni et el Conte Paladin et altri erano sdegnati sì per haver tolta moglie del parentado de Milan, la qual cossa senza il suo voler fece, quam per haver dato la investitura a questo duca Ludovico presente, et non li volevano dar alcun aiuto a venirsi a incoronar. Et in questo tempo passò per Roverè et per Veronese uno [349] so ambassador andava a Roma dal Summo Pontifice, et cussì passavano quelle cosse.

Da mar, per lettere di 9, venuto uno gripo prestissimo, per le qual nostri fo certificati come el Capetanio zeneral era con galie 19, et preparava l'armada, facendo impalmizar, et restato per causa di biscoti, i quali lui faceva far a Corphù, di non esser andato in Puia, et più presto poteva se expediria passando in Puia juxta i mandati; et tamen haveva qualche dubitatione di l'armada de Turchi che non uscisse, la qual era quasi in ordene, et molto grossa, ut dicitur vele 200. Et mandò lettere, da Costantinopoli di 20 April de Alvise Sagudino secretario nostro ivi zonto, et notificò esser zonto et recevuto con grande honor et festa, quanto mai altro orator vi andasse. Et andato a la presentia dil Signor, quello si levò da seder dil suo mastabè, et feceli gran festa, et referita la sua imbassada, havendo salutato per nome di la Signoria Soa, li dechiarite la morte certa di suo fratello a Napoli; la qual nuova el Turco hebe molto a grata et disse: Ela certa? benchè da altri avanti l'havemo intesa, ma non la credevemo. Et perchè è stà tanto quella Signoria a mandarme a dir tal bona nova? Et el secretario si excusò che el tempo et le fortune dil mar lo havia tenuto, et che subito che la Signoria intese la verità lo spazò per notificarli questa consolation. Et el Turco poi li disse: Havemo bona paxe con la Signoria. Li rispose: Bonissima. Et poi esso Signor si messe la man a la testa, dicendo: Allà! quasi rengratiando Dio di la morte dil fradello, et disse voleva haver sempre bona paxe con la Signoria, et che 'l suo stato fusse di quella. Item che 'l voleva mandar a dimandar al Re de Franza el ditto corpo, e darli reliquie, come mandò et ho scritto di sopra. Et volse intender come el Re de Franza era venuto in Italia, et la Signoria lo havea lassato tanto prosperar. Et ditto secretario li rispose che era certo, nostri fin quel hora havrebbe provisto a ciò el non prosperasse più; et altre parole tra loro usono, volendo sopra tuto esser grande amico nostro. Item che sperava obtenir che vi tornasse Baylo, come prima. Narra etiam come 60 galie era butate in acqua, et altre palandarie, fuste et navilii, a la suma di zerca vele 200 havia la sua armada, nè si sapeva dove volesse andar; tamen era da ussir, altri diceva a Scyo altri a Rhodi. Ancora notificò el Signor haverli dimandato la causa la Signoria feva grande armata, come l'havia inteso. Li rispose: Per questo Re de Franza, a ciò per terra e per mar se potesse, volendo, farli guerra, e disfar li soi pensieri. Et el Signor disse: Sta ben. Et dimandò poi [350] che exercito ha ditto Re. Rispose: Persone da 30 in 40 milia venute con lui, poi le zente di Reame et la soa armada. Et el Signor disse: Hallo bona paxe con la to Signoria? Li rispose: Bona. Et alcuni bassà disse: Come si è bona paxe, perchè la Signoria fa tanta armada et ha mandà a tuor Stratioti? Et ditto secretario rispose: Per star preparati, per poter obviar a quello puol occorrer, perchè quando l'intra lo fuogo in caxa dil vicino, si vuol haver l'acqua preparata li circostanti. Oltra di questo el Signor mandò per Camalli turco, corsaro assà nominato di sopra, et li dete salvo conduto: si judicava el volesse farlo capitano di parte di la sua armada, et lui non volse andar, per dubbio di la vita: ymo sul mar si fece forte, et habuto uno schierazo dal Bassà di Nigroponte, sì che havia zerca 200 in sua compagnia.

Et pochi zorni da poi queste lettere da Corfù, venendo uno altro gripo con lettera dil general dal Saseno, di 16 o ver 19, et zonto a Parenzo volendosi partir per Venetia, nel colpho di Trieste sopravenne fortuna et rebaltò el gripo et anegò homeni XV, scapolò solum do, i qual tolse le lettere veniva a la Signoria, et le portò bagnate, et li fo donato ducati 10 per uno. Etiam era lettere di Constantinopoli di 30 April, notificava come el Turco feva lavorar l'armada di 90 galie, 60 fuste, 4 nave, 4 palandarie et altri navilii per numero vele 200, et che voleva far uno exequie molto honorevol a suo fradello, per la qual cossa i panni d'oro et d'arzento era in gran pretio, et tutti ne comprava, et fece dar barili do di aspri, che era assà milia, per l'amor di Dio per l'anima de so fradello preditto; et havia gran alegreza.

A dì XV Mazo zonse Piero Bembo soracomito a Chasopo. Item è ha saper come per avanti zonse a Corphù 7 barze di Spagna carge de Zudei vegneva di Reame, armade benissimo, et voleva metter in terra; et el zeneral non volse lassar dismontar, e loro andò su la Turchia, et ivi le discargò: era de teste n.º 1000 in suso.

A dì XV el zeneral si levò da Corphù, e zonse quel di Chasopo con galie 12 et una fusta; et a dì 16 zonse el gripo armado, la Signoria li commetteva dovesse passar a Brandizo.

A dì XVI ditto zonse lì uno ambassador di Brandizo per nome di la comunità volea dar le chiave al zeneral, el qual non volse accettar se prima non scriveva a la Signoria.

A dì XVII ditto zunse al Saseno, dove era andato el zeneral, uno ambassador de Garipoli, dimandando soccorso di zente et vittuaria; et el zeneral rispose avisaria etiam, ut supra.

[351]

A dì 19 passò dil Saseno in una fusta di 17 banchi di Turchi, con uno ambassador di la Porta andava a Brandizo con lettera dil Signor al re Ferendo, et l'ambassador era homo molto sagace, et cussì andò di longo a Brandizo.

A dì ditto venne uno gripo da Constantinopoli con lettere, come el Turco feva grande armada, za galie XXV impalmade, con molte bombarde, passavolanti et artegliarie.

Item el capetanio zeneral mandò Zuan Francesco Venier in Arcipelago, era soracomito, con comission di poter retenir nave et galie quanto li pareva bisogno, per tenir securo el mar de corsari, et altra cossa potesse ocorrer.

A Corphù rimase 5 galie, le qual se impalmizava, con ordene de venir drio a Brandizo el capetanio, et comesso al Baylo de retenir et armar ogni nave capitasse de lì et mandar in Puia.

Domente queste cosse in Italia se fanno, fo divolgato el Re Federico de Dacia, el cui titolo è Dacie, Suetie, Norvegie, Gothorum, Alanorumque Rex, haver cridato la guerra al re Henrico de Inghilterra el cui titolo è Anglie et Francie Rex ac dominus Hibernie. Ancora el Duca de Yorch, fo fiul di re Edoardo, essendo stato ne la Fiandra con suo zerman cusino archiduca de Bergogna, al presente dovendo, ut dicitur, de iure esser Re di l'isola de Inghilterra, deliberò passar con aiuto de alcuni populi. Et la causa perchè ditto Regno a lui li aspetta, et il modo fuzite de l'isola, più avanti, quando passerà ne l'isola, lezendo vedrete. Et ditto Re de Inghilterra scrisse una lettera a la Signoria, alegrandosi di la liga, et che, havendoli dato noticia, etiam lui forsi sarebbe intrato, et che era amico, offerendosi etc.

A dì 23 Mazo zonse a Venetia quello messo nominato de sopra dil Re de Franza, chiamato Joam Boierdim, et alozò a S. Zorzi con mons. di Arzenton, et a dì 24 andò a l'audientia con ditto ambassador; et prima vete (vide) gran quantità de soldati, chi volevano conduta, chi erano expediti. A li qual ditto araldo usò alcune parole bestial, et per ditti soldati li fo risposto. Hor, intrato da la Signoria, notificò in conclusione el suo Re voleva la lianza li era sta promessa, et che cussì como a l'andar per la Signoria non li era sta dà alcun impazo, ymo aiutato, cussì pregava facesse nel ritorno, però che 'l vuol tornar in Franza. Et li fo risposto sapientissimamente; la qual fu assà secreta.

Venne ancora in questi giorni el conte Ranuzo di Farnese et altri condutieri, sì per intender el voler de quella, quam per offerirse, [352] havendo fatto le sue mostre; et a questo fo cressuto, oltra li 400 cavalli havia, altri cavalli 200. Etiam venne Febus di Gonzaga, cusino dil Marchexe di Mantoa, et con Antonio Triumpho ambassador suo, et andò a la Signoria, però che li era fatto comandamento facesse cavalcar la zente verso Oio; el qual Marchexe havia cavalli 1700, in tempo de pace, et in tempo de guerra con suo barba cavalli 1200. Et questi volse soventione, et li fo dato, oltre le page ordinarie, ducati... milia subito.

Venne etiam uno secretario dil signor de Pexaro, chiamato Lorenzo da Siena, et ditto Signor fo condutto con cavalli 400 a soldo di la liga. Et a dì 20 ditto venne Bartolomio di Rossi bolognese, secretario de Hanibal Bentivoj, per ringratiar la Signoria di la conduta habuta, et haver danari per potersi metter in ordene; et el stado de Bologna era con nui, perchè el magnifico Joanne havia stipendio et provisione de Milano di ducati 16 milia a l'anno.

Et vedendo nostri el Pontifice pur star constante in volerse mantenir a Roma, fo terminato a dì 23 Mazo nel Consejo de Pregadi de far cavalcar a Roma el Signor de Rimano con la soa conduta, et quello di Pexaro, et la zente dil Duca de Gandia. Et fo dato ad Alvise Becheto orator dil Papa ducati 2000 per ditte zente, et fo scritto a Piero Duodo provedador de Stratioti a Ravena, dovesse transferirsi verso Roma, et fo scritto a Roma de queste provisione, prometendo mai mancarli de ogni aiuto. Et a dì 25 ditto feceno alcuni capi de provisionadi, nominati di sopra, et scrisse a li rettori di le terre nostre de terra, che per tutto se dovesse far la descriptione de li homeni da fatti, et quelli volevano soldo, però che fama era Venetiani voleva far X milia provisionati. Et scrisse a Lunardo Mocenigo, luogotenente in la Patria dil Friul, dovesse con Nicolò Savorgnan cavalier et azonto a la dignità dil Mazor Consejo per soi meriti, veder facesse 1000 provisionati lì in la Patria, li qual ad ogni bisogno fusseno preparati. Etiam per Collegio elexe Piero Michiel da San Polo provedador al levar le zente de Romagna, zoè Rimano et Pexaro, et quelle condurle a Roma. Fo mandato 200 curaze di l'arsenal a li Stratioti a Ravena, a ciò fusseno armati, et altre provisione a la zornata nostri faceva, preste, optime et necessarie; et el Collegio se reduseva molto a bon'hora.

A Milan a dì 26 Mazo fo fatto la solennità di la investitura: la qual, el modo et come sarà qui sotto scritto. Et è da saper che prima fo fatta uno venere, secreto, in camera dil Duca con tutte le [353] cerimonie, et queste per esser bona hora, habuta dal suo Maistro Ambrosio, astrologo, dil consejo del qual nunquam si parte, imo tutto fa per ponto di astrologia. Et poi publice si doveva far la domenega, a dì 24; ma ditto astrologo non volse, et fo dimorato fino a Luni, nel qual zorno fo tanta pioza, che pareva el mondo venisse a terra; et cussì fo fatta el Marti, a dì 26 ditto.

Ordine et cerimonie usate a Milano in la investitura dil Duca a dì 26 Mazo 1495.

Prima fo conzato tutte le strade veniano dal castello fin a la piaza dil Domo, con certi corni de dovicia fornidi d'erbe et in mezo le sue arme. Et a l'intrar nel campo dil Domo era uno edificio di legno con tre porte a la romana, conzado con depenture et erbe. Et passado ditte porte, et zonti su la piaza, era un soler tanto largo quanto la presentia di la chiesia, alto... de' gradi, con colone, el cielo dil qual era coperto di raxo cremexin con stelle d'oro fatte a man. A l'incontro dove si montava suso era questo medemo pur coperto di raxo, ma con arbosseli d'oro per dentro. Nel loco preditto era un altar con certi santi, non grandi, d'arzento di sopra; vi era una credentiera d'arzenti, sopra la qual vi era tra vasi et secchii grandissimi, pezi 58; item figure di santi, 35, coppe et altri vasi a compimento più di cento e undexe grandi et magnifici; valea zerca ducati 30 in 35 milia. Da la banda era aparechià do loze da sentar, a banda destra per la Excellentia dil Duca, sopra la testa e a le spale d'oro a la sua divisa, che è bianco et paonazo; el cancello davanti era coverto de restagno d'oro con tre cussini pur di restagno. Da la banda zanca, dove dovea star li Ambassadori, era di sopra a le spale pur di drapo d'oro, sì come ho ditto, el canzello davanti coperto di raxo cremesin; in terra tapedi e bancali, e poi molte banche per sentar diverse persone. Et a l'hora deputata, el se partì de Castello i Ambassadori dil Re de Romani con 50 trombeti, acompagnadi da zerca 100 cavali tra la sua fameglia et altri cortesani e signori, i quali condusseno al Domo su el ditto soler, al luogo destro deputato a la persona dil Duca. Da poi non molto, a hore zerca 16 venne la compagnia e corte sua a do a do, numero 388, tutti vestidi di seda, d'arzento et d'oro, la mazor parte a la longa, su boni e belli corsieri, tra i qual era più di 130 vestiti d'oro, più di 80 d'arzento, el resto de seda. Driedo i qual venne el Signor in mezo di l'ambassador di Spagna et di Napoli, driedo lui era la Duchessa [354] in mezo di Sebastian Badoer et Hyeronimo Lion oratori veneti, poi altri do che andavano in Spagna, Francesco Capello kav.r et Marin Zorzi dottor; driedo loro Fiorenza, Ferrara, Bologna e Zenoa et altri; poi donne 58 a cavallo driedo la Duchessa, vestite a la castigliana, ben in ponto, et la mazor parte d'oro con belle perle et altre zoie. Poi 4 carete: una bellissima dorada, coperta di restagno, et cussì i collari di 4 cavalli liardi la tirava; et le altre tre coperte una di arzento et do di seda, ne le qual era donne di la corte sua con bellissimo ordine. Et zente assà per tutto, sì per i balconi come per la terra; i frati de ogni ordene tutti suso le strade a lai (a lato) i muri sì nel andar come nel ritorno. Apresentadi suso el soler, cadauno ai luogi soi, a banda destra li Ambassadori dil Re de Romani, et el Duca in mezo; a banda zanca tutti li altri Ambassadori et signori, zoè el Marchexe de Mantoa, don Alphonso fiul dil Duca de Ferrara, misser Hannibal Bentivoj fiul dil magnifico Joanne, e cadaun sentadi secondo i suo luogi. Era su quel soler più de persone 1000, tra li altri era 160 dottori vestidi di scarlato con colari et bareti di varo. Da poi sentadi el venne l'arzivescovo de Milan, zoè quel va orator in Spagna, con molti prelati e calonegi ben vestidi, et lui aparato per dir li officij, et cussì quello per lo evanzelio et epistola. Ditto l'introito et cantado do epistole et l'evanzelio et altre cerimonie fatte a l'ambroxiana, cantono le litanie et certe laude per raxon benissimo, per esservi boni cantadori in Milano. Et poi si levò in piè uno misser Corado, uno de li Ambassadori dil Re de Romani preditto; el qual fece una oratione a tutti, et presentato al Duca la lettera dil suo Re con alcuni capitoli, quali el Duca letti in publico, li fu apresentado uno messal et in pie', coram omnibus, zurò di observarli. Poi li fece cavar uno suo vanto (guanto), digandoli certe parole, li messe uno anello in dedo (dito). Poi si fece dar uno manto di raxo cremexin foderà di armelini e con un colar largo 4 dea pur fodrato, aperto sopra le spalle, sopra el qual disse etiam alcune parole, et sì gel messe indosso sopra una vesta lui havea a mezza gamba pur di raxo cremixin. Indi poi li fo portato una bareta, fatta a modo una celada, con una ponta da driedo longa, e davanti con un revoltin, con uno filetto de varo, et di sopra un centurin d'oro a torno. Dopoi li fo apresentado uno stendardo tutto rosso in la man zanca, picolo, in segnal di sangue, con le arme. El Duca havia bolzegnini biavi in piedi. Or poi li fo dà uno stendardo grando d'oro con l'aquila negra, el bisson inquartà, ne la man destra. Dà questo, el tolse el rosso et butollo al populo con molte altre [355] bandariole di l'arma sua fatte di tela. Poi li fo apresentato la spada nuda in man, la qual dete a tegnir al conte di Melzi, et el stendardo fo dato a portar al conte Galeazo de San Severino. Dopoi li dette il sceptro, zoè una bacheta, la qual ditto orator gela presentò con una reverentia fin in terra; la qual in cima havia uno pomo d'oro. Et fatto questo, se conzò a sentar tutti, et montò su uno solaruol misser Jasom del Mayno jurisconsulto famosissimo et dil consejo secreto de ditto Duca, et fece una oratione in ringratiar quelli oratori per nome dil suo Signor de la investitura habuta, et fo molto longa. Poi compita, et levato el Corpo de Christo, et finita la messa, hauta la beneditione era hore XX, et li fo apresentà per li dottori uno baldacchin damaschin bianco torniato de vari; e quelli lo portono tutti a torno el cavallo dil Duca insieme 4 di primi di Milano, che era a le staffe, vestiti d'oro fin in terra. Era portata avanti el stendardo et la spada, portata da li sopraditti. La Duchessa driedo con le damisele, oratori etc. tutti a cavallo, in tutto n.º 400, cridando i soi servitori: Duca! Duca! ma pochi dil populo. Et cussì ritornono in castello, con soni di trombette, pifari, campane et bombarde; sì che, tornati li oratori a caxa, era hore 22. Et è da saper che a torno la piazza dil Domo era soleri, et in tutti zerca persone 50 milia vedeva. Poi la sera el Duca mandò a donar a li do oratori veneti andavano in Spagna do privilegii, per i quali li donava la soa insegna che la podesseno usar come loro propria in segno di grande amor et benivolentia. Et poi a dì 27 dopo disnar esso Duca, con ditti oratori dil Re de Romani et Hyeronimo Lion orator veneto et altri, cavalcò a Pavia per far certe cerimonie e tuor quella contrà, et tornò poi a Milano a dì 31 ditto come int.... Tornato el Duca in Milano fece provision de haver danari con ogni suo forzo, mandando per cittadini in Castello, et da loro voleva danari. Item have lettere di Vormes da li soi Ambassadori era al Re de Romani, come era aviati 2500 fanti elemani, parte venivano per la via di Trento, et parte per la via di Cuora; etiam de brieve doveva aviar cavalli 3000 in favor di la liga. Ancora have lettere da Monferà, come passava i monti cavalli franzesi 1500, franchi arcieri, dil campo di Aste. El Duca fece far ogni diligentia niun non andasse nè venisse di Franza; et nel tempo di la sua investitura fo preso uno corier veniva di Franza con lettere di diversi signori drizate al Re, che li aricordava dovesse ritornar in Franza, et che non feva per lui star in Italia, et quanto più l'indusiava el feva pezo.

[356]

Come el Re de Franza se partì di Napoli.

El Re veramente di Franza, havendo messo ordine al reame di quello era de bisogno, et acquistato tutte queste terre grosse a la marina da uno cao a l'altro, zoè Ortona, Manferdonia, Barletta, Trane, Molfetta, Giovenazo, Bari, Manopoli; in la Puia, Otranto, Taranto, Rossano, Cotron, Squilazi, Rezo, Salerno, Malfi, Castelamar, Mola et Gaeta, mancava solum a la marina haver Brandizo, Galipoli, Torpia et Lamantia; acquistato etiam fra terre et castelli numero grandissimo, et tutto senza arme, deliberò più non dimorar in Napoli, ma venir et ritornar in Franza, et compir li soi disegni. Et lassò in Calavria vicerè mons. di Obegnì, in Puia mons. di la Spara, et in Napoli vicerè mons. di Mompensier; el qual rimase in Castello nuovo. Et in tutto rimase in reame cavalli franzesi 6000 et pedoni 4000, et con lui menò cavalli 8000 et 6000 fanti et altre zente inutele. Et a dì 19 Mazo 1495 mandò la soa guardia avanti fuora de Napoli a Aversa, mia 8 de lì; poi lui a dì XX, che fo el zorno de San Bernardin, venne lì a Aversa ad alozar quella notte, et partì a hore XXI di Napoli. Poi el zorno sequente, fo 21, venne a Capua, et la sua zente aviò verso Roma. Demum andò temporizando a zardini et piaceri fino a Gaeta, però che avanti più non vi era stato. Ma lassiamo qui el Re, et di le cosse fece el Pontifice a Roma scriviamo.

Come el Pontifice se partì di Roma per la venuta dil Re de Franza et andò a Orvieto.

El Pontifice, vedendo che 'l Re al tutto volea la investitura, et venir a Roma dicendo haver a vodo de visitar la chiesa de San Piero, et exhortato continuamente da li oratori di la liga, maxime dal Veneto, dimostrando el pericolo portava Soa Santità restando in Roma, venendo il Re; unde, a dì XXV Mazo deliberò in concistoro de doverse partir de Roma con li Cardinali tutti, et andar mia 60 lontan in una terra chiamata Orvieto, situada sopra uno monte, vicina a Siena, et loco fortissimo. Et doveasi partir a dì 27 ditto, lassando tamen in Roma el cardinal Santa Nastasia, di natione zenoese, locotenente, con grandissima autorità, rimanendo tutti li officii di la corte cussì come ivi fusse el Pontifice, potendo conferir et sigillar etc. Oltra di questo el zorno avanti, che fo a dì ditto, se [357] partì de Roma el cardinal Grimani veneto, eletto dal Pontifice legato nel ducato spoletano; et questo a ciò visitasse quelli lochi di Perosa vicini. Ma poichè el Papa andò in quelle parte, non usò la sua legatione. Questo cardinal è fiul di Antonio Grimani procurator, capetanio zeneral da mar nostro. Ancora a dì 25 ditto el cardinal S. Dyonise con li do altri oratori franzesi se partì de Roma e andono contra el Re, non havendo potuto obtenir la investitura, et con loro andò do oratori dil Papa: lo episcopo de Concordia Chieregato, et frate Gratiano, sì per riferir al Re la volontà soa, quam per poter esser advisato di ogni suo successo, et tenirlo in amicitia. Et poi a dì 31 Mazo, per lettere di l'orator nostro se intese, date a dì 28 in Civita Castellana, come a dì 27 di Mercore da mattina, el Papa se partì di Roma con 20 Cardinali in compagnia, zoè questi: el Cardinal de Napoli, el Michiel, Lisbona, Recanati, San Clemente, Parma, Benivento, Monreal, Orsini, Alexandro, Cartagenia, Siena, San Zorzi, Sanseverin, el qual era capetanio di le zente di la chiesia, Ascanio vice canzellier, Cesarino et Grimani, de Lonado et Valenza, et ancora el Curzense che prima era in amicitia col Re. El cardinal Farnesio era legato in Viterbo; el Medici se ritrovava a Petigliano et ivi restò; li altri Cardinali non venne col Pontifice et era però fuora di Roma, et teniva dal Re, zoè San Piero in Vincula, Savelli, Colonna; e col Re era San Dyonise, Sammallo et el cardinal de Zenoa. Et oltra questi Cardinali venuti col Pontifice, venne tutti li oratori se ritrovava in Roma. Et cussì a dì ditto, fo la vizilia di la Sensa, a hore 12, con li 600 cavalli lizieri di la Signoria et li 500 provisionadi, li 500 cavalli de Milano et 400 provisionati, et altri provisionati di esso Pontifice et altre zente d'arme di la Chiesia et veneno mia 28 a Civita Castellana ad alozar; tamen el Papa fece mia 36, et slongò la via, et questo per non passar per terre de Colonnesi et Savelli, et qui si ripossò quel zorno, per esser di la Sensa. Et in camino come el Papa vete (vide) tanta zente, a presso X mila cavalli, disse: Nui semo pezo che femene, et si havessemo saputo de haver tanti valenti homeni, non saressemo partidi di Roma. Et chiamò l'ambassador veneto, el qual li disse: Beatissime Pater, sempre ho ditto la verità a la vostra Santità. Et el Papa disse: Vui sete nostro carissimo amico, et volse li cavalcasse a lai (lato). Era, come ho ditto, el cardinal Sanseverin capetanio di le zente di la Chiesia. Et poi, el Venere a dì 29, se partì de Civita Castellana et andò mia 12 a uno loco chiamato Orta, et ivi alozò do zorni. Poi el Sabato zonse a Orvieto, et questa nova fo molto accetta a Venetiani [358] di la partita dil Papa da Roma, che mai non se credeva dovesse partirse; et molto fo laudato l'ambassador nostro Hieronimo Zorzi in haverlo saputo exhortar a questo. Et è da saper che 'l primo zorno se partì de Roma el Pontifice, a hore 3 di notte, zonse a Civita Castellana; et poi a dì 30, el Sabato, zonse, come ho ditto, a Orvieto a hore do di notte con li Cardinali et oratori; et ne l'andar da Orta a Orvieto le zente d'arme si conzò in una certa pianura, ita che fo bellissimo veder, maxime le zente di la Signoria, et praecipue li cavalli dil marchexe di Mantoa. Et el Pontifice chiamò l'ambassador nostro, et li disse voleva che queste zente se alozasse sotto Orvieto, et che fusse le guarde di la soa persona. Et cussì l'ambassador ordinò, benchè el Pontifice havesse 1000 provisionadi. Et qui a Orvieto steteno, tamen con paura, per essere vicini venendo el Re, el qual era a Marino mia 12 di Roma lontano, et però era de opinione de partirsi de lì el Pontifice et andar a Perosa, etiam per caxon di le vittuarie. Ma el Re, inteso la partita dil Pontifice de Roma, molto se dolse dicendo che lui voleva andar a Roma per devotione et non per far (danno) a Santa Chiesia. Et con li oratori dil Papa era con lui molto si doleva, et etiam scrisse una lettera a Orvieto al Papa. Ma lassiamo (questo), et altre provisione scriviamo.

Quello seguite a Venetia in questo tempo.

A dì 27 Mazo, fo la vizilia di la Sensa, nel qual zorno a Venetia ne la chiesia de San Marco, comenzando a vespero fino a l'altro zorno a vespero, è il Perdon plenario et jubileo, senza offerir danari, perpetualmente concesso alias per papa Alexandro terzo quando fuzite di Roma per la persecutione di Federigo Barbarossa di l'anno 1177, et venne a Venetia incognito, dove, ritrovato da Sebastian Ziani doxe, et vestito come Pontifice, esso Doxe andò contra l'armada di Federigo predetto, di galie 75, et nostre era solum 30, et ita, volente fato, a la ponta di Salbua in Istria, rupe et fracassò ditta armada, prese el capitanio Othone fiul di l'imperador preditto, et quelo menato a Venetia dove poi esso Imperador se transferite, et fo pacificato le cosse, et el Papa per causa di Venetiani ritornò a Roma nel pontificato. Et non ingrato di questo, concesse al Doxe tutte queste cerimonie: bollar le lettere in piombo; la spada e 'l cussin d'oro; la cariega d'oro; uno cirio bianco; l'ombrella sopra el capo; li tromboni d'arzento; 8 stendardi de diversi colori; le qual tutte cosse el Prencipe li zorni solenni porta avanti. Item concesse el Perdon preditto, [359] et che ogni anno el zorno di la Sensa el Doxe dovesse andar in mar a sposar quello con uno anello, come veri signori di quello; et però hanno certa jurisditione in questo colfo. Et in ogni anno in questo tempo si fa sopra la piaza di S. Marco una bellissima fiera, chiamata da nui la Sensa, et el Doxe è consueto de andar con le cerimonie ducal in Chiesia a vespero, et sta sopra el pulpito. Et questi oratori a hora fo con lui: dil Pontifice, Franza, Spagna, poi quello altro de Franza venuto ultimamente, et Napoli, zoè Ferandino, tre de Milan, Ferara, Mantoa et Pesaro, domino Tuciano baron di Ongaria et don Consalvo fiul di l'orator yspano. Demum la matina andò nel bucintoro con ditti oratori, eccetto Spagna era amalato, et con el Senato fino fuora de li do castelli, dove vi vien el Patriarca, et sposò el mar, et quello benedì, et udite messa a San Nicolò de Lio, juxta el consueto. Et tornati, esso Prencipe menò tutti li oratori, la Signoria et zerca 60 patricii a disnar con lui; el qual pasto fo bellissimo, sì come è assueto de far. Poi disnar se redusse con li oratori di la liga in Collegio a consultar.

A dì 29 ditto, fo el zorno drio la Sensa, li do oratori de Milan, zoè el Vescovo de Como et domino Francesco Bernardin Visconti, tolto licentia da la Signoria, se partì de qui et andò a Milan. Andò per la via de Padoa et Verona et Brexa, dove fo molto honorati; rimase tamen qui Thadio de Vicomercà, orator era prima.

A dì 30, essendo andato in Collegio el zorno avanti mons. di Arzenton con quello altro Joam Boierdin, oratori dil Re de Franza, tolse licentia per andar via dal suo Re, usando assà comodate parole, ringratiando el Prencipe di la bona compagnia gli era stà fatta in questa terra, et che l'haveva causa sempre d'esser amigo de questa Signoria, et cussì prometteva con el Roy in ogni tempo de far, offerendose etc. Al qual el Prencipe li rispose sapientissimamente. Et cussì a dì ditto tutti do se partino insieme, de mandate Dominii, con Alvixe Marzello era official a le raxon vecchie, et andò a Padoa, poi a Ruigo, dove fonno assà honorati et fatoli le spexe. Et andati a Lago scuro sora Po venne alcuni comessari del Duca de Ferrara contra, et el Marzello tolse combiato et ritornò a Venetia, et ditto Arzenton andò di longo a Ferrara. Li venne contra el Duca con assà cavalli, et li fece grandissimo honor, cridando tutti: Franza! Franza! Alozò in castello, stette tre zorni, et li fo dimostrato grande amor et benivolentia. Poi se partì et andò a Bologna dove etiam stette alcuni zorni, vedendo di poter voltar el magnifico Johanne Bentivoi. Demum andò a Fiorenza, poi dal Roy, come dirò [360] di sotto. Et le parole usate a Soa Majestà per lui sarà scritte di sotto; le qual fo molto varie.

A dì 29 ditto, havendo habuto nostri lettere di Constantinopoli et dal Capetanio zeneral da mar, conclusive come el Signor Turco armava a furia, nel Consejo de Pregadi preseno che restasse col Capetanio lì in Puia a quelli scogi de Brandizo galie 20, solamente retenendo, se a lui pareva, nave et navilii per far summa de vele, et dovesse mandar uno di provedadori, qual li pareva, in l'Arcipelago, con libertà potesse retenir le altre galie XVI, et dovesse ivi star per confortar quelle galie, a ciò non dubitasse de Turchi, retenendo ancora ditto provedador nave etc.

Ancora fo ordinato che l'exercito terrestre se dovesse redur, come ho ditto, sora Oio: cavalli 5000 et fanti 2000. Et a dì 30 ditto era partito Marchiò Trivixan provedador, et andato a Padoa, poi in ditto loco. Et fo fatto comandamento a le zente nostre, in termine de X zorni dovesseno, sotto pena di la disgratia di la Signoria, tutte ritrovarse in Brexana, zoè quelle deputate. Et el Marchexe de Mantoa, partito de Milano, venne a Mantoa, et habuto danari, dette paga a li soi soldati, et quelli aviò in campo.

Et a dì ultimo Mazo se partì Piero Michiel provedador a levar el Signor de Rimano et de Pexaro et altre zente lì in Romagna, zoè cavalli 1200, et quelle menarle verso el Pontifice, perchè, volendo venir in qua, havesse compagnia. Etiam Piero Duodo provedador, con li stratioti 500, se partì a dì 7 Zugno, et uno Nicolò da Nona stava a Zara, el qual con 25 cavalli venne de mandato di la Signoria per andar pur verso Orvieto. Et per lettere de Milano di li oratori se intese come era capitato ivi molti Sguizari, i quali volevano soldo, et che el Duca havia tolto quelli li bisognava, et el resto volevano o vero partirsi o haver soldo; et però el Duca confortò la Signoria quelli tolesse, maxime volendo 2000 Sguizari. Et za nostri havia mandato in terra thodesca uno secretario, chiamato Zuan Dolze, el qual era a Trento et ne assoldava ditti Sguizari era sul Milanese, a ciò non andasse da li nemici, et darli fiorini di Reno 4 al mexe per uno. Et fo scritto a li oratori a Milan li dovesseno tuor, et li fo mandati li danari. Era ancora a Milan Sebastian Badoer, licet havesse habuto licentia; questo perchè per le cosse occorrevano li fo scritto ivi restasse: poi a dì 4 Zugno li fo data piena licentia de ripatriar. In questa terra concorreva grandissima zente, sì homeni d'arme quam capi de fantarie et provisionadi, che volevano soldo; tra i qual Andrea dal Borgo, olim capetanio di le [361] fanterie sì alla guerra de Ferrara quam di Thodeschi; ma poi fo casso, et andò dal re Alphonso. Et in questa guerra fo operato etiam Mathio Mazor ferarese et altri assai; tamen questi non haveno soldo alcuno. Provisione cotidiane de danari se faceva, et le decime si scodeva sì a la Camera d'imprestidi quam a le Cazude; et Venetiani era su grandissima spesa de ducati 80 milia al mexe; et in questi do mexi havevano speso, come viti (vidi), ducati 200 milia: era cassieri di Collegio Carlo Valier et Piero Barbo. Et a dì do Zugno in Collegio elexeno pagador in campo Daniel Vendramin, nepote che fo dil Serenissimo Prencipe; et a dì 12 ditto de qui se partì e andò a Senigà, dove si reduceva el campo, come tutto scriverò di sotto. Et quelle zente d'arme erano sul Polesene di Ruigo fo ordinado vi andasse in Brexana; et sul Polesene fo mandato zente nova, zoè el signor conte Felippo di Rossi, cavalli 450; misser Piero de Carthagenia, cavalli 100; et Brazo, fratello dil conte Bernardino, cavalli 75: in tutto cavalli 625. L'andata di le zente a Roma et di stratioti, perchè non era bisogno, fu revocata; et li stratioti pur erano ancora in Padoana et a Padoa alozati in cittadella. Et per haver gran numero de zente et grosso campo, scrisse la Signoria a li Rettori di Terraferma dovesseno far la descriptione de quanti provisionadi si potrebbe haver: quello trovono scriverò di poi. A Nicolò (?) Savorgnan solicitato il far de 1000 provisionadi in Friul. Et la comunità de Brexa mandò a offerir homeni da fati X milia, de Bergamo X milia, de Verona 5000, et de Vicenza 5000. Padoa ni Treviso non fonno experimentadi. Fo mandato Francesco da la Zueca secretario da Paris da Lodron, signor de alcuni castelli in la Val d'Agre, et per soi meriti zentilhomo nostro, dovesse far 1000 provisionadi et venir in campo. Et volevano Venetiani haver un grosso exercito preparato al bixogno di le persone apresso 50 milia, perchè el Re, si nel venir volesse far alcuna movesta, li potesseno contrastar gaiardamente. Et pur in Aste el Duca de Orliens se ingrossava. Et in questi zorni fo preso uno corrier dil Re andava in Aste, con lettere che 'l Re scriveva, dovesse redurse tutte quelle zente in uno, et non esser a le man con el campo dil Duca de Milan, fino che lui non li scrivesse altro. Et cussì passavano le cosse a Venetia.

Per lettere di 24 da Napoli, zonte a dì 31 Mazo, dil consolo nostro, se intese come el Re, partito el vicerè, rimase in castello, et che Napoli restò molto povero et quasi ruinato, et li cittadini mal contenti, et re Ferandino era smontato in la Calavria et prese Rezo [362] (Reggio) per forza, dove vi era zerca 200 Franzesi i quali fonno tagliati a pezzi. Et intrato in la terra, dette la terra a sacco, per poi, da compassione mosso, comandò a li habitanti li fusse perdonato. Etiam have Cotron, et cussì andava prosperando, reacquistando molti lochi; et Franzesi partiva di la Calavria et fuziva a Napoli; et che Taranto si voleva dar et levar le insegne aragonese, et el populo voleva ma li baroni non volevano: questo perchè si dubitavano di Ferandino per esserli stato ribelli. Tamen lui li perdonava, et mandò a dirli sora la fede sua. Quelli di l'Aquila havia levato le sue insegne dil Re, et straciate quelle de Franza; tamen li oratori di l'Aquila erano sotto el Re de Franza. Et per queste bone nove di re Ferandino, ditti soi oratori la sera fo 31 ditto, sul campo di San Polo dove habitavano, el qual l'anno avanti per li provedadori de Comun fo salizato et è grande et belissimo campo, fece do gran fuogi et gran feste in segno di leticia.

Di Maximiliano per lettere di 23 Mazo di oratori andavano a Soa Majestà, et era date a Ulma zornate 6 da Vormes, notificò come voleva far un'altra dieta, et che pur era qualche differentia tra loro con il Conte Paladin, et che le terre franche pur mandava ambassadori a ditta dieta, et tutto quasi era conzo, excepto con il duca Zorzi de Baviera, el qual era in inimicicia con esso Re de Romani; et se divulgava in quelle parte che 2000 cavalli doveva passar in Italia, et che solicitavano el suo cammino. Ma per intender la verità di questo Re, come da molti intesi, maxime da uno Cherson hebreo stava a Roverè et spesso advisava la Signoria di progressi di esso Maximiliano, come non era per venir in Italia; sì che ogni suo aiuto sarebbe tardo, et però Venetiani convenivano esser quelli facesse el tutto.

A dì ultimo Mazo la notte fo retenuto per el Consejo di X maistro Nobele franzese bombardier, era provisionato a Brexa et havia ducati 25 al mexe di provision; et la mattina primo di Zugno fo Consejo di X a bona hora, et fo collegiato et sbarato el palazo. Tocò a questi: Andrea Querini conseier, Francesco Barbarigo cao dil Consejo di X, Bernardo Bembo dottor et cavalier avogador di comun, et Francesco Mocenigo inquisitor dil Consejo di X. Et li fo dato assà strepà de corda. Era oposto, a quel fo divulgato, che per amicitia el teniva con mons. di Arzenton, et quello etiam havia acompagnato, li havia dato cognitione et modelli di le fortezze di la Signoria, et have falsificato a Brexa la polvere di le bombarde, ita che, traendo, le bombarde veriano a schiopar. Altri diceva con fuogi [363] artificiali voleva brusar l'arsenal. Tamen quel che fosse, non se intese; ma è da judicar per haver ditto qualche parola; et fo spazato di Collegio, et chiamato el Consejo di X, fo expedito et lassato star dove era, in Toreselle; et fo ditto ivi staria fino che queste cosse dil Re de Franza qui in Italia havesse fine: et cussì ivi sta.

A Milano el Duca tornato di Pavia feva provisione ma non spendeva molto, o fusse perchè el non avesse, o non volesse spender; pur dimostrava volonteroso contro questo Re de Franza, et diceva a li oratori nostri tutto quello li comanderia la Signoria era preparato de far. Et dolendose nostri de haver grande exercito et non haver in Italia da tuor per capetanio zeneral da terra, esso Duca si offerse di andar in persona in campo et far ogni cossa, la cui reputazione havria molto zovato in uno exercito. Le cosse de l'impresa di Aste andavano a la longa; tutti steva su le difese, et meglio saria stato mai non si havesse mandato zente ivi per quello intravene da poi. L'exercito duchesco, zoè de Milan, si dubitava; molti se partiva per non haver danari; tamen teniva i passi che non vi potesse nè andar nè venir lettere de Franza. Et in questi zorni fo preso uno corrier con lettere dil Duca di Barbon al Re; poi ne prese uno altro con lettere in zifra; tamen, iudicio de molti, fu gallico stratagema, perchè advisava in Franza se feva gran preparamenti etc. Ma ben è vero in Aste Franzesi se ingrossava, come per lettere de Marco Sanudo et Alvixe Mudazo rettori de Bergamo se intese, venute prestissimo; et haveano loro exploratori di quella comunità. Et ancora ussite 400 lanze di Aste, et recuperò uno castello che Milanesi havia preso, et tagliò li custodi a pezzi, forestieri. Et dubitandose molto Venetiani, etiam el Duca de Milano, che 'l Re non venisse a la volta de Zenoa, et con quelli acordasse, restituendoli Serzana et Serzanello et Pierasanta, et senza contrasto havria l'adito di andar et venir in Franza al suo piacer, et per mar et per terra; deliberorno di far ivi ogni provisione: et le X galie si armava, et 4 nave; oltra di questo el Duca volse armar do altre nave, et nostri contribuite a la spesa. Questo fece per dar danari a Zenoesi, a ciò stesseno contenti. Et el Re de Spagna terminò de mandar ivi uno suo ambassador a confortarli, et proveder et mantenir ne la fede Zenoesi, però che sotto el suo regno Zenoesi molti vi sono. El qual orator fo divolgato esser eletto uno, chiamato el dottor bazilier De la Torre, fiscal, ma poi fo uno altro, come dirò di sotto. Tamen Augustin Adorno governador de Zenoa era fermissimo; pur fo mandato fanti ivi a custodia.

[364]

Et a dì 24 Mazo, per lettere di Pisa, zonse al porto de Livorno l'armada dil Re de Franza, venuta de Provenza, zoè galie sotil 7, 3 fuste, 2 nave et do galioni et uno brigantino; in tutto, legni XV, benissimo armati de homeni. Quello poi de ditta armada seguirà, scriverò di sotto.

Intrata dil Re di Franza in Roma, de ritorno, et quello fece, et come poi si partì.

Vedendo Romani la partita dil Pontifice et Cardinali, chiamato loro consiglio, considerando el Re esser propinquo a Val Montona, elexeno 9 ambassadori i quali dovesseno andar contra Soa Maestà offerirli la terra, et pregar non facesse intrar Sguizari. Et cussì a dì 28 Mazo, a hore 15 si partino; zoè questi: d. Dominico di Maximini, d. Mario Melino, d. Doniso Matruo, d. Stefano da lo Buffalo, d. Incoronato, d. Hieronimo Porcaro, d. Francesco Leno, d. Camillo et d. Evangelista de li Rossi. Et questi andono contra el Re; tamen se divulgava per Roma non voleva venir, non vi essendo el Papa. El castello Santo Anzolo in questo mezo fo coperto di botte piene de terra, zoè el muro lavorato di novo, et fevano grandissime guarde. Li quali oratori, zonti a Marino dal Re, li expoxeno la loro imbassada; et el Re li rispose poche parole; poi zonse Sammallo cardinal, et suplite, nomine regio. Et a dì 29, a hore 23, do de ditti oratori, zoè d. Dominico di Maximini et d. Francesco Leno ritornono in Roma con el sig. Prospero Colona, per metter ordine de li alozamenti et vittuarie da esser date a questi Franzesi; li altri 7 oratori rimase col Re. El Re era arivato a Val Montona, et la Domenega, per non esser uso a cavalcar, ivi riposò, et volse venir pacificamente senza molestia de alcuno, et fo contento non intrasse Sguizari in Roma, et disse voler star 3 o ver 4 zorni et non più in Roma, et diceva haria habuto grato di parlar col Papa. Era zonto per la via di Hostia vituarie in Roma di grani, vini et orzi. Et poi la matina, fo 30 ditto, questi do oratori con li governadori, conservatori et il signor Prospero si congregò insieme a consejo, dove fo chiamati li fornari, mazillari et quelli vendevano vittuarie, et ivi messe ordine per il modo dil viver de questi Franzesi, a ciò che senza danno nè molestia di alcuno potesseno passar, sì come era la volontà regia; nè volseno alcuno habitasse in caxa de Romani, ma solum de prelati et in caxe vuode; et questo per non far dispiacer al populo; et ancora con el reverendissimo cardinal Legato fo decreto el Re alozasse [365] in palazzo dil Papa, et tutta l'altra zente in borgo; et el signor Prospero rimase a disnar con Soa Signoria.

In questo zorno, a dì 30 Mazo, intrò in Roma el cardinal San Dyonise, et tutto quel zorno non fece altro che intrar Franzesi 24, 60, 100, 200 et 250 al trato, benissimo in ordene; et veneno quietamente: et in quell'hora fo mandà uno bando che, sotto pena di la vita, non entri alcuno in caxa di persona niuna, senza licentia di ditto Cardinal S. Dyonisio. Don Ferante fiul dil Duca di Ferara intrò el zorno avanti sul tardi, et alozò in caxa dil cardinal Ascanio; et la notte, Sabado a dì 30, alcuni Sguizari andorono (fo ditto non esser di la compagnia dil Re) et messeno a saco certe caxe de Roma a presso la caxa dil cardinal di San Severino et a presso San Jacomo di Spagnoli, et hanno morto uno medico spagnol. Li Spagnoli si scondevano, et la terra era in gran spavento. Introno in la segrestia di la chiesia di Santa Maria Mazor, et fece assà danno d'alcuni arzenti. Ma la Dominica mattina el sig. Prospero, inteso questo, montò a cavallo con alcuni Franzesi, et mandò a cercar quelli havia fatto tal danni, et fece drezar un gran paro de forche in campo di Fior, et ordinò fusse impicati do, dicendo la volontà regia era non fusse fatto violentia nè danno a persona alcuna, et, si alcuno farà, saranno apicati. Et cussì a hore 23 fonno li ditti do apicati. Franzesi diceva non era ben fatto far in Domenega justicia, et lui rispose: di ogni tempo si vuol et diesi (si deve) castigar li ribaldi.

A dì primo Zugno da matina comenzò a intrar zente franzese, et durò fino a hore 21; el forzo passò per campo di Fior, per Castello parte et Ponte Sisto transtyberim, et carete 60 de artigliarie di ogni qualità, grande, mediocre et piccole; et come vidi una lettera di Roma, l'exercito dil Re tra Sguizari et pedoni, homeni de fati zerca 4000, homeni d'arme 800 in 900, arcieri con li cavalli lizieri et la sua guardia fino a la summa di 5000, fin 6000 persone inutele. Li Sguizari erano bandiere X et mal contenti non havea habuto danari za do mexi, et el Re li promise de farli ricchi in questo ritorno, mettendo a sacco qualche città; in tutto non passava cavalli 12 milia. Et col Re veniva el sig. Virginio Orsini et conte di Petigliano con grandissime guardie, bona custodia, per condurli in Franza; et a hore 21 el Re intrò in mezo di do cardinali San Piero in Vincula et San Dyonise; poi driedo el cardinal di Zenoa in mezo di do signori. Era vestito di restagno d'oro et uno cappello in capo; fece la via per Ponte Sixto, et volse alozar in palazo di San Clemente [366] et non in quello dil Papa, dicendo non voleva far despiacer al Pontifice; et prima dismontasse a lo alozamento andò a visitar l'altar di S. Piero. Li venne contra verso il borgo el cardinal Legato et li offerse el palazzo a Soa Majestà, dicendo el Pontifice era contentissimo, et che per questo Soa Beatitudine era partita per darli ogni comodità; ma lui non volse, et questo fo de Luni; et fo dato ordine la matina de far cantar una solenne messa in la chiesia di S. Piero: se divulgava la canteria el Legato predito. Or el Re, pur dolendose di l'absentia dil Pontifice, subito mandò a Orvieto do soi ambassadori, come dirò scrivendo dil Pontifice, a dimandar li voleva parlar; et prima li mandasse, mandò a tuor salvo conduto di mandarli. Et benchè el Re havesse promesso di non lassar intrar Sguizari, pur li introno, et Franzesi comenzò a perseguitar Spagnoli, adeo che non si vedea uno Spagnol in Roma; et Franzesi andò a la caxa dove habitava l'ambassador nostro, et voleva averzer la stalla per tuor el feno et metter li soi cavalli. Ma el patron de chi era la caxa, di primi de Roma, difese; et intervenendo el sig. Fabricio Colonna, che fece star davanti la porta alcuni de soi, dicendo ditta caxa era data a lui; et cussì Franzesi restono di far altra movesta. Era con el Re Zuam Jacomo de Traulzi. Or el zorno driedo, a dì 2 Zugno, el Re mandò parte di le sue zente a Isola, che è uno loco dil sig. Virginio Orsini, et la notte a hore cinque principiò per la Via dil Populo et parte per la via di San Piero, zoè di la porta. Ma Romani in questo mezo, el Marti da sera, feceno ogni cossa pregando el Re dovesse liberar el sig. Virginio et conte di Petigliano. Et el Re li rispose voleva menarli con lui fino in Aste, poi li libereria. Et il Mercore a dì 3 Zugno a hore 10, el Re, aldito messa in San Piero, venne a li gradi de S. Piero acompagnato dal Legato, dove tolse licentia, et montò a cavallo et ussite fuora per la porta di San Piero, per andar a la volta de Viterbo, poi a Pisa. Demum se divulgava lì in Roma anderia a Zenoa a remetter el Cardinal et domino Obieto nel Stado. Et 4 cardinali el seguite, zoè S. Piero in Vincula, Zenoa, S. Dyonise, et Samallo. Or el Re andò alozar a Bachano, poi andò ad alozar el Zuoba a Viterbo mia 40 da Roma et 60 da Siena. Et è da saper che 'l sig. Prospero e Fabricio Colona rimaseno con le sue zente a Roma, et poco da poi Prospero voltò al Re preditto. Tamen Fabricio stete fermo con esso Re a suo soldo. Li cardinali Savello et Colonna erano a' loro castelli; li Vitelli nel Apruzo, et il Prefetto a Sinegaia; et el Re celerava molto [367] el suo camino; et al tutto se judicava volesse andar a Zenoa. Et quello di lui seguirà, scriverò. Ma dil Pontifice scriviamo.

Partita dil Pontifice et Cardinali da Orvieto et come andò a Perosa.

Essendo el Pontifice partito da Roma et venuto a Orvieto con 20 Cardinali, et il Re intrato in Roma, a dì 4 Zugno venne ivi uno ambassador dil Re preditto, chiamato Peron de Basser, el qual fo quello che essendo in corte dil Roy venne in Italia et a la Signoria nostra, come scrissi di sopra, a dimandar el passo et la lianza; et per questa impresa venuto in gran reputatione a presso el Roy et dil suo consejo. Et dito Monsignor venne con trenta cavalli benissimo in ordine dal Pontifice, et habuto audientia, expose dapoi la salutatione che 'l suo Re havia molto a caro di parlar a Soa Beatitudine, et se doleva di la sua partita, et voleva esser bon fiul di Santa Chiesia, sì come era sempre stati li soi passati. Ma el Pontifice li rispose sapientissimamente, et poi con reverendissimi Cardinali considerando et oratori, il meglio esser partirsi de lì et negarli di voler parlarli, el qual Re era mia XX lontano de lì, a Viterbo, perchè venendo con exercito harebbe convenuto far quello el dimandava di la investitura, et non li volendo parlar, in Orvieto non erano molto sicuri, etiam per la carestia, et cussì deliberò de partirsi da Orvieto et venir a Perosa terra fortissima. Et a dì 3 ditto a hore 22 zonse lì a Orvieto do ambassadori dil Re de Romani, zoè uno di qual è qui stato in questa terra, et havia commissione di l'archiduca di Bergogna suo fiul.

Venerdì 5 ditto el Pontifice et Cardinali con tutta la corte de matina a bona hora se partì da Orvieto per andar verso Perosa, et cavalcò el Papa zerca mia X parlando con l'ambassador dil Re de Franza, el qual lo andava persuadendo non si dovesse partir etc. Ma pur (vedendo) el Papa constante, ditto orator tolse licentia, et ritornò dal suo Re, el qual in questo zorno a hore 22 era intrato in Viterbo, et dovea star fino el Luni, però che, per esser la Domenega el zorno de Pasqua, zoè la Pentecoste, non cavalcava et stava a riposarsi lì in Viterbo.

Ma el Pontifice seguite el suo camino, et alozò la sera mia 15 da Orvieto, a uno loco ditto el Castel di la Pieve, et le zente d'arme veneno ad alozar a Monte Lion; poi la matina, fo Sabato, se partì et venne in Perosa; et le zente d'arme (per) mia do si messeno per ordine su la strada, et fece do ale che fo bellissimo veder, et el Papa [368] zonse a hore 22. Poi tutti se aviono a montar su la terra, la qual è montuosa et difficile ad ascender; andono processionaliter a San Piero, dove era tutto el clero, et el modo fo questo. Li primi fonno Alexio Becaguto capetanio de li Stratioti di Mantoa con 100 Stratioti, Zuannato Bardella capo di balestrieri di Mantoa con 100 balestrieri, Zuan Greco con 100 balestrieri, Jacomazo da Venetia con tutti li soi. Poi Cesare Conte et altri di la Chiesia con cavalli lizieri; poi le fantarie o provisionadi di la Signoria, poi quelle de Milano, tertio quelle di la Chiesia; poi le zente d'arme dil Papa sotto diversi condutieri, zoè Bortholomio Dalviano, Zuan Battista Conte, el fiul dil conte di Petigliano con alcuni altri, zerca homeni d'arme 300; poi venne la guardia dil Papa con li soi capetanei, fo di le persone da 7000 in suso in tutto; et venne da San Piero fino al palazo di Signori in piaza. Successe poi li XX Cardinali et el Papa sotto uno baldachino condutto, circondato da tutti quelli di la terra; et prima li oratori, juxta el solito. Fo bel veder: era le fenestre piene de done, et le piaze di populo. El conte Zuane Drivandino et Soncin Benzon restono da driedo, perchè erano a la custodia dil Pontifice; et cussì el Papa alozò in palazo; li altri Cardinali, oratori et prelati in diverse caxe in la terra.

A dì 7 Domenega, fo el zorno de Pasqua, el Papa ussite di palazo. Prima venne fuora di la camera aparato in pontifical, tenendoli la coda Hieronimo Zorzi orator nostro. Zonto in sala con li Cardinali, montò in cariega, et fo conduto in capella, zoè in chiesia; et ivi fo cantà una solenne messa. El Papa havia al montar in cariega el pivial et la mitra, ma non el regno. Finito la messa, volendosi partir, molte donne perosine, ornate al loro modo et assà formose, andono a voler basar el piede a Soa Santità; el qual persuaso dal cardinal S. Severin et Valenza stete fermo. Et cussì le andono a una a una, circumdate de preti etc. Poi fo publicà la indulgentia, che chi era stato a quella (messa) contriti et confessi, havesse plenaria indulgentia di soi peccati. Et è da saper che nel intrar in Perosa, el Papa era portato et avanti de lui el corpo de Christo, juxta il consueto de Pontifici, che sempre dove cavalca porta el corpo de Christo con lui. Et fo fatto grandissima festa per Perosini, benchè el zorno avanti quel populo era stato in arme per causa di le parte, come ho scritto di sopra, zoè Bajoni et Odi al presente sono fora ussiti. Capo et principal in la terra è il signor Simoneto di Zuan Paulo Baioni, et, si non fusse queste parte, Perosa sarebbe perfettissima terra, ma sempre stanno in remori et [369] portano spade nude sotto li mantelli. Li Bajoni sono favoriti da Orsini et Odi da Colonnesi; et ogni zorno corono fino su le porte, adeo non lassava intrar vituarie, et però vi era gran carestia, sì etiam per esservi le corte. Et el Pontifice terminò de non partirse fino non vedeva di assettar quele discordie. Questa legatione havia habuto el cardinal Grimani, ma, essendovi el Pontifice, non potè usar alcuna sua jurisditione. Za non era zonto a l'orator nostro la deliberation dil Senato, quando el Papa se partì da Orvieto, che li offeriva ogni terra nostra, et dovesse venir in qua, dove li piaceva, et fino a Ravena, si pur el Re lo volesse perseguitar. Et questa nova dil zonzer a Perosa venne a Venetia a dì X ditto.

Quello successe in diversi luogi.

Fiorentini in questo mezo feceno molte provisione secrete in Fiorenza, sì de far star homeni per le caxe, quam altre. Et li 4 soi oratori erano col Re ritornono a Fiorenza, et restò solum Neri Caponi. Et elexeno tre oratori a Soa Majestà, i quali fonno questi: Domenego Bonsi cavalier, Juliano Salviati et Pandolfo Ruzelai; uno di qual, zoè questo Pandolfo Ruzelai, essendo vedoo et in la Republica de primi, si convertite da uno frate Hieronimo da Ferara de l'ordene de Frati Predicatori, el qual come sancto in Fiorenza era reputado, et predicava in favor dil Re. Or questo cittadino se vestì frate de ditto ordene, et in loco suo fo creato ne' loro consegli uno altro oratore al Re de Franza, Andrea de Pazi, novamente venuto mercadante di Franza. Et questi tre, a dì 5 Zugno partino da Fiorenza et andono a trovar el Re. Et fo divulgato li dimandava li soi luogi, promettendo darli assà danari; et el Re li disse che, venendo a Fiorenza, li faria cossa li sarebbe in piacere. Ma Fiorentini per questo non restono de metterse in ordene de arme: per via de Milano trasse assà numero de curaze per armar el populo, adeo cussì come prima erano rudi nel mestier di le armi, cussì al presente tutti erano forniti de armature; et, como loro dicevano, al bisogno sariano più di XXX milia curaze. Cercavano ancora de intrar in liga, ma non ossavano per tema dil Re, perchè erano li primi, qual, per la dissensione tra loro per causa dil modo dil governo, .... et quasi si poteva dir el suo Stato esser etc., havendo perso Pisa con molti castelli, et Librafrata, Serzana, Serzanello e Pierasanta in man dil Re, et Monte Pulzano rebelatosi a Sanesi, sì che bona parte dil loro Stato è alienato.

[370]

A Venetia consultatione molto cotidiane si faceva; et a dì 4 et a dì 5 fo Pregadi et steteno molto tardi. Se divulgava volesseno romper, tamen mai la Signoria volse, se prima non haveano justa causa; et pur spendevano de molti danari. Le zente cavalcava verso i Orzi, et a dì ditto zonse Marchiò Trivixan provedador zeneral in campo a Senigà, et per le strade di Brexana ogni zorno s'incontrava soldati. Et perchè Marco Antonio Morosini kav. capetanio de Padoa, eletto provedador etiam in campo, per invalitudine di la persona si excusò, unde a dì otto ditto, nel Consejo di Pregadi fo eletto in loco suo, provedador in campo, Luca Pisani, fo consejer, et alias in la guerra de Ferara et de Todeschi operato, et partì de qui a dì 17 ditto, et verso Oio dove con le zente andò; tamen trovò el campo passato, et esser sul Cremonese, et avanti zonzesse fo eletto capetanio a Verona.

Et considerando nostri le zente andar in campo, et non vi esser alcun capetanio o vero governador, unde poi molte disputatione; a dì 5 ditto, nel ditto Consejo presono che lo illustre Francesco di Gonzaga marchexe di Mantoa fusse governador zeneral di tutte le zente sì da pie' come da cavallo, et fo subito expedito a Mantoa uno corrier con la lettera, chiamato Panegeto, el qual zonse a Mantoa a hora che 'l signor era a tavola; et letto la lettera, ringratiò Iddio che fusse venuto el tempo de mostrar la fede havia alla Illustrissima Signoria, et se con tutto el cuor et vera fede non era disposto de servir quella, che mai non havesse ben etc. Et con grandissima alegrezza, sonando campanò a Mantoa, donò al corrier tutto quello se ritrovava indosso, zoè calze, zipon, vesta de veludo verde et bereta.... et li fece donar ducati 50 d'oro; et rescrisse ringratiando la Signoria, et che a dì X se partiria de lì et vegniria in campo insieme con suo barba sig. Redolfo, dal consejo dil qual non si voleva partir. Et in quella sera medema che 'l fo creato governador, fo uno Sabato, in la caxa dove stava el suo orator Antonio Triumpho, zoè quella dil sig. Ruberto a la Carità, fo fatto fuogi con lumiere fuora di balconi, et gran feste; et li fo dati ducati X milia a ciò el si ponesse in ordene. Et a dì 9 ditto nel consejo di Pregadi fonno creati do patricii a portarli el stendardo et baston de governador, zoè Piero Marzelo fo di Jacomo Antonio fiol, era stato prima a Vicenza, et Zorzi Emo era ai X Savii. Ma poi fo fatto altre deliberation, et dove doveano andar a portar el baston de Governador, portò de Capetanio zeneral da terra, come dirò di sotto.

A dì X ditto se partì de qui Thoma Duodo, capetanio di le nave [371] armade, con una barza di botte 1500; et verso Brandizo andò a trovar el capetanio zeneral et el resto di l'armada.

A Milan a dì 5 Zugno se partì, tolto licentia dal Duca et accompagnato da lui, Sebastian Badoer kav. orator nostro, et zonse in questa terra a dì 13 ditto, come scriverò di sotto. Rimase adoncha Hieronimo Lion kav. et Zorzi Negro secretario, et el Duca in questo tempo feva provisione de trovar danari per far do eserciti, uno in Parmesana, l'altro augumentar quello de Aste, perchè se divolgava el Duca de Borbon dovea venir qua da monti con assà lanze, ut dicitur, 6000 et 4000 pedoni; tamen non era il vero, et il suo campo era assà mal in ordene e mal pagati, et assà soldati e fanti se partiva. Antonio Maria di San Severino fece far do bastioni, et Franzesi se ingrossava; tamen havia in mandato dil Re di non se apizar, come se intese per uno corrier intercepto, et però schivavano el scaramuzar, come da prima erano assueti. Et el Duca voleva andar in persona in Parmesana a sopraveder quelle cosse; et lassava governador in Milan el Duca de Ferrara so suocero. Et el sig. Fracasso di San Severino stava in Milan et praticava de haver conduta da la liga, zoè la Signoria et Milan 200 elmetti, et don Alphonso fiul dil Duca de Ferrara, el qual era a stipendio di esso Duca suo cugnato, et havia elmeti 200, et habuto la imprestanza era ritornato a Ferrara; unde el Duca lo mandò a chiamar dovesse venir con la soa zente, el qual rispose non poteva esser in ordene fino mexi tre. Et el Duca, dolendose molto, mandò a Ferrara per acqua, venuto in do zorni uno so ambassador chiamato Baldissera de Pusterla kav., el qual zonse a dì 8 Zugno, et exposto la sua imbassada, sì che esso Duca de Ferara volesse venir a Milan, quam esser constante in non dar passo al Re, et etiam che 'l mandi suo fiul don Alphonso a Milan, et non essendo in ordene di le zente vogli dar di le sue zente, unde fo contento di darli le zente, et che di brieve el si partiria ditto so fiul. Ma quel zorno se dovea partir, li assaltò la febre, et convenne indusiar alquanti zorni; zerca a la sua andata de Milan si excusò et non andò. Et ditto ambassador habuto tal risposta, et altro, che il tutto non se puol intender, essendo sta do zorni, ritornò a Milan. Et per lettere dil Vicedomino nostro da Ferrara se intese che 'l magnifico Johanne Bentivoi et la comutà de Bologna havia mandato a dimandar al Duca vastadori per fortificar Bologna, et che 'l Duca li havia risposo li bisognava a lui, benchè securo fusse dil suo Stado, essendo in mezo de Venetiani, Milanesi, Bologna et Mantoa. Et questo fece per mal animo havia [372] contra nostri, per il veterano odio di Ferraresi; et etiam vedendo che sul Polesene era a custodia 625 cavalli et molti fanti.

A dì 5 Zugno a mezo zorno zonse uno corrier di Londra con lettere di XVI dil passato, nara come la nave Zorza, che fo ditto esser rotta con le do galie de Fiandra, quella esser zonta in Ingilterra..., havendo però scorso grandissimo pericolo, et stata mexi 4 et zorni 12 che non si sapeva nulla, e tutti credeva fusse rotta. Questa nova fo molto grata a la terra, et più a li parcenevoli; et più presto si harebbe voluto intender di le do galie; tamen se intendeva esser perite. Et per consejo di Pregadi ditta nave fo tolta a far compagnia a la galia restava Bragadina, insieme con la nave Malipiera, et questa havesse ducati 1200 di la marcadantia fino a...; et cussì subito fo expedito uno fante con lettere dil zeneral.

A dì 6 ditto zonse una nave di Puia con lettere dil zeneral de dì 25 Mazo, notificava haver scrito per avanti, et come a dì 19 ditto essendo al Saseno col provedador Hieronimo Contarini et 12 galie et una fusta, et partiti con prospero navegar, a dì 20 zonseno juxta i precetti di la Signoria et sorzeno a uno scojo vicino a Brandizo mia do, dove era uno casteletto. Et quei di la terra trete assà bombarde la notte, et fece fuogi in segno di grande alegreza, et li fanti erano ivi, contestabele uno Hieronimo da Cividal, zoè quelli mandati di qua, cridava: Marco! Marco! Era col capetanio tre barze de Spagna menate da Corphù, et el resto di le galie fino al n.º 19 dovea vegnir driedo; le qual rimaseno per conzarse. Or el capetanio fece far una crida, che niun non dismontasse di galia, nè andasse a la terra senza soa licentia; tamen il dette licentia a molti. Et el zorno driedo venne a galia dal capetanio, don Cesare fo fiul natural di re Ferando, con uno fiul fo di Camillo Pandon era vicerè in la Puia, et uno fra' Lunardo, che za fo capetanio di le galie di Cathelani di esso re Ferando, et governador che era in Taranto et quello de Manferdonia con molti altri de Brandizo principali: et, fatto le debite acoglienze, era reduto el Provedador con li Soracomiti in galia dal capetanio, et ditto don Cesare molto ringratiò la Signoria poi esso capetanio di la sua venuta, et, che non venendo, Brandizo haria scorso manifesto pericolo, perchè li cittadini tumultuava et erano cupidi di novità. Et el capetanio rispose esser ivi venuto per confortar quelli populi stessono constanti in la fede a caxa di Aragona offerendosi etc. Unde ditto don Cesare molto contento ritornò a la terra, et mandò al capetanio uno bellissimo presente de vituarie, el qual el capetanio partite con le altre galie, et dismontò in [373] terra per veder quel castello in bocca dil porto, fortissimo, con artiglierie e munitione per anni 5. Era lì in porto una fusta de Turchi, la qual, come disse don Cesare, era uno ambassador dil Signor con lettere a re Ferandino, et, dicitur, li offeriva Turchi 18 milia era a la Valona, et esso don Cesare li havia risposto non bisognava al presente, ma pur manderia advisar el Re, et che ditto ambassador ritornasse che, bisognando, el suo Signor sarebbe dil tutto advisato. Ma pur ditta fusta stava ivi in porto, judicava volesse veder quello feva l'armada di la Signoria. Tamen a dì primo Zugno se partite, come dirò di sotto. Et zonta ditta armata a Brandizo tutti quelli lochi si teniva per re Ferandino più si rifermò nella loro volontà; et quelli si haveano reso a Franza, voleva comenzar a rebellar et darse a San Marco; et, sine dubio, si el capetanio havesse habuto commission de aquistar tutta la Puia, sarebbe stata di la Signoria al presente.

Et a dì 23 ditto alcuni Franzesi essendo assueti de venir fin su le porte de Brandizo danizando, li quali erano reduti a Misagne mia 8 lontani de lì; or in questo zorno zerca 500 tra i fanti et quei de Brandizo si messeno in ordene con la vigoria di l'armada, et andono fino al ditto castello di Misagne, et parte si andò ad imboscar; et mons. di la Spara vicerè, era ivi con zerca 200 cavalli, venne fuora, et quelli fanti fenze di fuzer, et si venne reculando tanto che Franzesi fonno messi di mezo, et fonno a le man; et questa fo la prima baruffa fatta in Reame, Taliani con Franzesi, et ne fo morti 9, presi zerca 80 de Franzesi, et esso vicerè fo preso con tre feride su la testa; el qual fo menado in Brandizo, et el resto, al meglio poteno, fuzite in Misagne. Et don Cesare subito mandò a notificar questa vittoria al zeneral, dicendo che per sua causa la havevano habuta. Et messo questo vicerè in fondi di una torre, el qual si dette taglia lui medemo ducati 15 milia; era richissimo et havia più de ducati 30 milia de contanti, come se divolgava, et lì in Puia era inrichito. El qual mandò dal capetanio nostro a dirli come el suo Re havia bona paxe et lianza con la Signoria, et lui grande amicitia fata a Roma con so fiul cardinal, et per tanto li voleva parlar. Unde el capetanio mandò el suo capelan a parlarli. Quello conferite fo secreto, et quivi non sarà scritto. Et volse el capetanio li mandasse el suo miedego a medegarlo;el qual li promesse, ut dicitur, ducati 1000, si lo variva; sì che quelli el preseno fece un gran botino. Quello di lui seguite, intenderete poi.

Ancora se intese come don Cesare voleva armar una galia per [374] forza, sopra la qual voleva metter suso questi Franzesi presi, et altri vilani de lì che erano stati rebelli al suo Re. Et el zeneral a dì 25 ditto se ritrovava haver galie 19, et aspettavano di hora in hora una galia candiota, sì che in tutto a quella impresa era 20 galie. Li Sopracomiti nominerò di sotto. Et do nave, zoè quella de Stefano et Theodosio Contarini, patron Zaneto da Merrani, de botte 550, et quella de Piero Sagredo e compagni, de botte 300, patron Anteo Amai, etiam el capetanio mandò a Corphù ne dovesse mandar di altri. Et etiam se have lettera da Constantinopoli, la continentia di la qual scriverò di sotto. Hor, zonto questa tal nova a Venetia, la Signoria mandò a notificar questo a li oratori di la liga, et ancora a li oratori di re Ferandino; et la sera per Pregadi spazò uno gripo a ditta armada, che comandava al capetanio non dovesse far altra movesta. Et in questi zorni quel Zuan Caraffa orator di Ferandino, era venuto in questa terra, se partì et andò a trovar el Pontifice a Perosa, et ivi restò orator.

Da Constantinopoli, per lettere dil secretario di 12 Mazo, se intese che el Signor non credeva ancora certo la morte di suo fratello, et però voleva saper meglio da la Signoria la verità, et di che morte era mancato, o di morte natural o violenta, et che desiderava haver el suo corpo per via di la Signoria, per metter le sue ossa arente quelle de li soi passati et farli solenne esequie. Item che esso secretario lo havia advisato di la liga fatta, et che parlando con 4 soi Bassa di primi zerca questa liga, ai quali pareva molto di novo, et cadauno da per si li parlò, dicendo: come va queste cosse? El signor Ludovico lo ha fatto venir el Re de Franza in Italia, et a hora ha fatto liga? La Signoria, si la voleva, nel principio poteva ostar a la venuta et l'ha lassato venir et prosperar; et a hora è stati causa di sta liga. El Papa prima era in amicitia con el Re de Napoli, poi dette el passo al Re de Franza, et pur è dentro. El Re de Spagna li ha promesso fede et bona paxe, et have do contadi; et pur è contra esso Re de Franza. Et l'Imperador era pur so amigo etc. A le qual parole saviamente ditto secretario rispose, dicendo havevano fatto questa liga per conservatione di stadi loro, et senza nuocer a niuno; ma loro concludeva le cosse de Italia hora era piova hora era sol etc. L'armada si poneva in ordene et faceva gran pressa a expedirla, non però sì gran numero come diceva de far prima; et che l'era molto sfredito el Signor. Pur judicava che ditta armada usciria, et che Christiani marangoni et calafai lavorava etiam le feste contra el so voler, di comandamento dil Signor, et altre nove [375] scrisse in zifra, le qual fonno secrete, et zonse qui a dì 6 ditto.

A dì 7 ditto per una nave, patron Piero Alvise, et scrivan uno Dimitri de Michali, la Signoria nostra fo certificata, et el patron et scrivan questo referite in Collegio, come, venendo con la soa nave da Serviza carga di sal, a dì 24 April, tra Maiorica et Menorica discoverse una grande armada, la qual era zerca 40 caravelle o vero barze de Spagna, capetanio uno Consalvo Fernandes di Agilar castigliano nominato di sopra, et che era zerca XV da botte 400 in 500, el resto da 200 in zoso, con cavalli et zente armate suso; et che el capetanio volse ditta nave calasse. La qual calò, et andò dal capetanio, et inteso come era nave de Venetiani, li fece bona compagnia, et velizono insieme alquanti zorni. La qual armada andava in Sicilia. Et che li fo ditto el Re voleva mandar ancora altre caravelle presto, et questa zonse a Messina a dì 24 Mazo dove era le altre barze, capetanio el Conte de Trivento, con grande piacer di re Ferandino et di re Alphonso che ivi se ritrovava. Narrò ancora come re Ferandino prospera in la Calavria, et era dismontato a Rezo, et habuto per forza la terra, et el capetanio franzese menato a Messina li fece taiar la testa.

A dì 9 ditto venne uno corrier de Spagna, zoè el primo portò la nova di la liga, con lettere di ij Mazo, el qual venne per mar da Barzelona a Zenoa, et portò lettere al so ambassador, et etiam a la Signoria dil Re et la Raina, in castigliano, scritte molto dolcissime, dimostrando l'amor havevano a questa Signoria, et el contento di la liga fatta, la qual loro l'havevano fatta publicar per tutti li regni la Domenega drio San Marco, a dì 26 April, et fatto processione (et questo perchè el zorno de San Marco non se varda in Spagna), a ciò fusse con più solennità. Et, come l'ambassador disse in Collegio, il Re feva grande exercito; tamen non voleva romper se prima qui in Italia non se rompeva; tamen Venetiani fevano ogni cossa che se rompesse in Spagna.

In questo medemo zorno zonse lettere di Zenoa di 5 Zugno de Francesco Capello kav. et Marin Zorzi dottor, andavano oratori in Spagna insieme con li do oratori dil Duca de Milan. Notifica come a dì primo ditto erano partiti de Milan, accompagnati dal Duca fino fuora di le porte, et da Sebastian Badoer et Hieronimo Lion kav. oratori più de longo. Et la sera alozono a Pavia, dove venne li do oratori milanesi. Et el Marti poi a Tortona, el zorno driedo a Borgo di Forni, et al Zuoba a Roverillo, fo el 4 dil mexe, ch'è una villa di Zenoa mia tre lontano, dove Bernardo et Thomaso Salvago [376] con alcuni altri zenthilomeni zenoesi li accompagnò. Verso Zenoa li venne contra prima Zuan Adorno fradello dil governador et capetanio di le fantarie, poi etiam venne Augustin Adorno governador di Zenoa et Coradolo Stanga prothonotario comessario dil Duca de Milan con molti cavalli, et fatte le debite acoglientie introno in Zenoa con gran magnificentia, et li acompagnò fino al palazo di Polo Palavesin situato sopra la marina, benissimo ornato di panni d'oro, veludo, rasi et razi finissimi. El populo tutto su le strade e balconi, le bottege erano serrate, però che fo fatto comandamento sotto pena de ducati 100 dovesseno serar, per honorar li ambassadori venetiani. Le galie sottil erano in porto se movevano in segno de allegrezza, salutando ditti oratori, et fonno assà presentadi: et conclusive molto honorati. Item come in Zenoa era 20 galie et 21 nave, di le qual galie 9 era armate et 4 nave grosse benissimo in ordene, et che li era sta parechiato una nave di botte 3000, chiamata Jansilla, per passar a Barzellona a mia 600; che esso governador pur se dubitava de Zenoesi, per esser cupidi di nove cosse, che non ribellasseno al Duca de Milan et aderirsi al Re de Franza, et che non era fatto alcuna provisione per el Duca; tamen lui et li soi erano fermissimi et constanti, et prima voranno morir che partirse di l'ubidientia de Milan et in amor con la Signoria nostra. Et cussì a dì 8 ditto tutti 4 oratori con la so fameglia montono in nave, et andono a loro viazo, et zonseno a dì 13 a Barzelona, et trovato l'Alteza dil Re et Raina erano partiti di Madrid et venuti a Burgos, come tutto sarà scritto de sotto. Et ancora advisò la Signoria haver inteso da alcuni mercadanti, che havia habuto lettere di Barzelona, come a dì 19 Mazo era morto el re don Joanne di Portogallo, di malatia longiqua, zoè idropesia, de età de anni 43, et non havea figlioli legittimi, però che uno solo havia, chiamato don Alphonso, era maridato in donna Isabella fiola dil Re de Spagna presente, la qual adhuc de età de anni XXV vive a presso el padre, con provisione tamen di esso Re de Portogallo per el so viver annuatim. Adoncha ditto don Alphonso morite l'anno 1491, corando sora uno cavallo, de età de anni 17; cadete et morite in la città di Santarre (Santarem).

Questo Re de Portogallo ha moglie una zermana chiamata Lionora, sorella di don Emanuel duca de Viseo, che fo fiol de don Ferante infante fratello di esso Re, et per sangue regio a ditto Duca de Viseo li vien la corona, el qual è zerman suo et dil Re de Spagna; ma fo divulgato el Re haver fatto testamento, et lassato el [377] regno a uno so fiul natural, chiamato don Zorzi, di età de anni 13, in governo tamen e protetione dil Re de Franza, non havendo nominato el Re de Spagna suo parente et vicino, però che Portogallo è in mezo di la Spagna. Et una mattina per tutto in questa terra se rasonava di tal nova, dubitando el Re de Spagna non fusse impazato in quelle cosse, et non potesse attender a romper al Re de Franza. Tamen dopoi se intese ditto Re star benissimo, sì che non fo.

A dì 10 ditto venne uno gripo di l'armada di Puia, con lettere dil Capetanio zeneral di do Zugno, notificava esser ivi a li scogi de Brandizo, secondo li comandamenti di la Signoria, et che niuno di l'armada havia fatto movesta, nè niuno si poteva lamentar. Erano galie XXI, se aspettava di zorno in zorno Bartholomio Zorzi provedador di l'armada dovesse zonzer, et che tutta la Puia, volendo nostri, leveria S. Marco, et che re Ferandino et le sue galie havia habuto Rezo, et tajato li Franzesi a pezi, come ho ditto di sopra, et etiam havia rehabuto Cotron, et che Otranto, dopoi el zonzer di l'armata nostra ivi, havia levato le insegne aragonese, et li Franzesi erano lì se havia reduto in castello, tamen el zorno driedo a patti se reseno, e andono fuora di la terra; et etiam uno castello mia 7 di Otranto, chiamato Robia, havia levato le ditte insegne.

Item erano venuti da don Cesare a Brandizo alcuni di primi di Leze per far trieva, et volevano patizar de non star più sotto Franzesi; che sperava fra tre zorni hariano Leze. Et a dì primo dil mexe, alcuni Franzesi erano a Misagne ussite fuora, et fece corraria fino a presso Brandizo, ma don Cesare con alcuni altri tra cavalli et fanti n.º 700 ussiteno di la terra, e come i fo fuora non trovono li nemici, et tornono in Brandizo. Et in quel zorno zonse uno gripo con lettere di la Signoria, comandava al capetanio non se partisse sino non li scriverà altro.

Item come havia mandato, a dì 26 dil passato, Francesco Valier soracomito con un'altra galia dalmatina verso Monopoli, per intender qual cossa di novo; et zonto ivi mandò el Copano in terra, et Franzesi li disse: che vegniva a far qui? Risposeno quello li accadeva. Et loro digando: vui sete nemici dil nostro Re, et venite in le so terre. Et nostri ge rispose: non era el vero. Tamen non volseno dismontar, et ritornò queste galie a Brandizo. Ancora a dì 2 Zugno mandò Piero Bembo soracomito con la so galia verso Messina a trovar l'armada de Spagna et el re Ferandin, et intender come andavano quelle cosse. Et quello nel ritorno referite sarà scritto [378] più avanti. Et come per una lettera venuta in questo zorno di ditta armada vidi, come re Ferandino era passato con alcune barze et galie in la Calavria con 12 milia persone, et havia fatto render assà castelli: Rezo dove eran 150 Franzesi tutti amazati, et al capo fece taiar la testa. Item come quelli di l'armada desideravano di poter far fatti, altri per acquistar fama, altri per farse richi mediante el dar a sacco.

In questi zorni se intese come el gran maistro de Rodi, cardinal de natione franzese et nominato di sopra, havia a requisitione dil Re de Franza armato la sua barza de botte 3000 benissimo in ordene, et quella havia mandato verso Napoli, la qual voltizava de lì via, et venne a Porto Pisano, et cussì restò a servigi di esso Re.

A Venetia in questo mezo consultatione quotidiane se faceva, zerca el campo, a solicitar le zente vi andasse, et dar danari fuora. Fo rivocata l'andata di Piero Duodo con li Stratioti verso Roma, et ancora era a Ravena. Tamen a dì 7 se partì con li Stratioti di Ravena, et de li altri Stratioti erano alozati a Padoa, Monselese, Este et Montagnana per n. 537 in tutto. Per Collegio a dì 6 Zugno fo decreto vi fusse loro capo et diretore Bernardo Contarini, alias a la guerra de Ferrara in simel exercitii de Stratioti operato, homo de grandissimo cuor et governo, come per el so successo, lezendo le opere fece in Milanese, intenderete. Et fo fatto senza niuna utilità, ma con cavalli cinque libentissime accettò. Et partito de qui a dì 8 ditto, et andando li Stratioti tutti, lui con 187 cavalcò verso Verona dove tutti se redusse in uno; et a dì 12 andò a Peschiera, poi verso el campo era sora Oio a Seniga, mia 8 lontan di Brexa, et Marchiò Trivixan provedador li ordinò dovesse andar ad alozar a Asola, et cussì andò et fece li Stratioti stesse a la campagna per non far danno a li cittadini, dove ivi era alozato el conte Bernardin Brazo con la so compagnia.

Ancora Chozanderle thodesco andato in Collegio se offerse di menar in queste parti 1000 Theutonici, parte schiopetieri et parte provisionadi, et in questo termene de zorni X, nè volse altro cha ducati 1000 pro nunc; et cussì fo expedito a dì 6 ditto, et a farli in terra thodesca subito andò.

Fo ordinato guastadori et cernide, non però ni de Padoana ni Trivixana; et fatto le mostre di schiopetieri erano nel paese nostro, zoè villani, però che alias fo fatto un bel ordine, che per ogni villa fusse scritti do schiopetieri, et quelli volesse esser a tal exercitio fusseno exempti de ogni angaria personal; tamen al tempo di [379] guerra fusseno ubligati de andar in campo; et questo è numero di 8000.

Item a ciò che oltra le spexe ordinarie per le Camere di Terra ferma, retrovandose molti debitori, fusseno li danari sovrabondanti mandati in questa terra, a dì 9 ditto per Collegio elexeno do provedadori dovesseno andar per ditte Camere a solicitar el scuoder, et far quanto di sopra è ditto. I quali fonno Luca Trum et Zuam Battista Bonzi (?) ma poi essendo andato quello scortinio con desordene, et non volendo el Trum accettar tal fatica, a dì 10 ditto poi fonno creati Marin Moroxini et Zuam Battista Bonzi; et cussì el Bonzi solo partite de questa terra et andò per le Camere exercitandose; et mentre vi stete fuora, usando ogni diligentia in mandar danari a Venetia, in mexi.... mandò tra campo et questa terra ducati.... milia. Et etiam unum non praetermittam, che a li bisogni di la terra ditto patricio prestò de contadi ducati 3 milia; tamen se conzò come a li altri li fo restituido al suo tempo.

Et a dì 9 ditto, nel Consejo de Pregadi, essendo redutto le zente sora el fiume di Oio a Senega, che dovesseno passar di là, et etiam fatto far uno ponte per el Duca de Milan sopra Po, passavano in Parmesana, dove con le zente di esso Duca le nostre se dovesse redur et star ivi. Et per lettere di Marchiò Trivixan provedador in campo date a Seniga, se intendeva el campo ingrossarse sì de zente d'arme come de fanterie et provisionadi. El marchexe de Mantoa governador de lo exercito, a dì 13 ditto se partì de Mantoa con parte de li soi, et zonse a la dreta in campo a dì... come dirò di sotto, lassato so barba Redolpho di Gonzaga che veniva driedo con el resto di la conduta. Et a ciò con più anemo ditte zente nostre passasse de là, fo mandato a dì 12 ditto Daniel Vendramin pagador in campo con ducati 20 milia, et etiam per camino ne have de li altri per dar una paga. Et non solum quelli erano per el stipendio ubligati vi andono in campo, ma molti a sue spexe; et fo fatto su burchiele sora Oio, lì a Seniga, uno ponte per passar in Cremonese. Se judicava, come fo, che 'l Re venisse a la via de Pontremolo; et però ditto campo se reduseva in Parmesana per obstarli nel descender de li monti. Dubitavano ancora non facesse la volta de Zenoa, et el Duca de Milan ne havea gran paura, et vi mandò mille fanti; et el Conte de Caiazo con alcune zente era venuto in Parmesana dove dovea adunar la massa di le zente, cavalli 2000, come appar per la tariffa mandata per el Duca in questa terra; et etiam el Duca diseva voleva venir lui medemo in Parmesana a sopraveder [380] quelli passi, non restando de far ogni provisione perchè l'andava per lui. Tamen Venetiani spendeva, et feva grande exercito, el qual sarà qui sotto scritto. Pur esso Duca havia paura di non perder el Stado, con inzegno et astutia aquistato, et tutto quello faceva con Hieronimo Lion kav. orator nostro consultava, et obediva ogni consiglio di la Signoria, vedendo maxime esser in ordine di zente.

Exercito di la Signoria[130].

Havendo descritto queste zente, ritorniamo al primo nostro instituto, de descriver el successo di tempi. Et el Re de Franza, intrato el Zuoba a dì 5 del presente in Viterbo, ricevuto honorifice da Viterbesi et dal legato cardinal Farnesio, et quivi stette Venere et Sabato, et per essere le feste di le Pentecoste volse etiam star la Domenega. Poi a dì 9 partì, et andò a Bolsena; poi verso Acquapendente per andar in Siena, et mandò mons. di la Guisa con alcune zente d'arme avanti. El qual arivato a Toscanella, che è una terra di la Chiesia, et volendo Franzesi intrar in la terra, quelli dentro non volseno, dicendo stesseno di fuora li dariano vittuarie; et loro non contenti voleva pur intrar; ma li cittadini serono le porte. Unde Franzesi deliberò di darli la battaglia; et loro difendendose, pur Franzesi introno dentro per forza, et usò gran crudeltà: ne amazò più de 800 senza le femene et puti, et quella terra messe a sacco; et fo divulgato fo morti in quelle baruffe zerca 200 Franzesi. Ancora, non contenti di questo, andono a Montefiascon, dove è scritto esser i miglior vini di Toscana; el qual loco messe a sacco, senza tamen occisione; et cussì San Lorenzo, tutte terre di la Chiesia. Et questa nova venuta a Perosa, al Pontifice et cardinali haveno molto a mal, et subito spazò l'ambassador nostro lettere a la Signoria a dì 9 ditto; et zonse a dì ij a nona a Venetia, et advisò questo; benchè per un'altra scrivesse adviseria meglio la verità. El Re veramente venne la sera ad alozar a Montefiascon, mia 20 lonzi da Viterbo, et mostrò haverli dolesto tal cosse, et terminò de mandar a excusarsi al Pontifice el cardinal S. Dyonise era con lui, come dirò di sotto. Pur fo usata tal crudeltà.

A Ferrara el Duca havia pur cattivo animo et veterano odio [381] contra Venetiani, et, pochi zorni è, vi venne uno ambassador dil Re de Franza a conferir con lui, el qual passò per la via di Ravena, poi ritornò al suo Re. Et questo fo avanti mons. di Arzenton vi andasse de qui. Et per lettere del Vicedomino nostro, venute prestissime, a dì ij Zugno zonte, se intese esso Duca non haver voluto andar a Milan; pur havia mandato don Alphonso so fiul, et datoli zente: el qual ancora non era partito, doveva partirsi a dì 9, et che mandava molti corrieri con lettere al Re de Franza, sotto scusa scrivea a so fiul don Ferante. Et a dì 9 ditto expedite uno so orator a esso Re, chiamato domino Antonio di Constabeli kav., el qual partite molto celeramente, andando verso Fiorenza. La cagione perchè, non se intese; ma è da judicar tramasse qual cossa insieme; et benchè nostri vedesse chiaro el so cattivo anemo, mostrava di non veder, aspetando el tempo.

A dì ij ditto zonse lettere de Vormes de Zaccaria Contarini et Benedetto Trivixan kav., oratori al Re de Romani, i quali zonseno a dì 28 Mazo molto honorati, et have audientia dal re Maximiliano. Dove Benedetto Trivixan, per esser più zovene, fece l'oration elegantissima, et poi have un'altra audientia secreta, exhortando sua Cesarea Majestà a dover venir in Italia, et che dimostrava esser contento, expedito havesse la dieta, la qual atendeva a expedir, et ancor non era compita, et che voleva mandar zente in Italia come era ubligato per li capituli di la liga, et poi venir a tuor la corona: tamen, judicio suo, sarebbe longa questa venuta. Speravano solicitar almeno le zente fusse mandate, le qual anderia a la volta de Milan. Et a ciò el tutto se intenda, qui sarà notado tutti che si ritrovavano a la dieta, sì come ditti oratori mandò a la Signoria, tutti elemani, come vedrete.

Principi, Signori, Prelati, Duchi, Marchesi, Conti et Oratori stati a la Dieta fatta a Vormes[131].

In questo mezo, a Venetia Zuan Battista Spinelli, orator dil re Ferandino, sul campo di San Polo dove habitava, assoldò et scrisse assà provisionadi, zerca 1000, et fece li caporali per mandarli in Puia in aiuto dil suo Re, et dette paga ad alcuni ducati do per uno. Li pagava le arme, a quelli non havevano, a suo conto. Tamen li faceva far le spese fino a Brandizo, et prometteva avanti [382] dismotasseno di farli dar quattro page per uno, et che andando a recuperar terre tenute per Franzesi, quelle aquistasseno per forza, intrati questi in la terra, qual caxa che voleva podesse signar, et tutta la roba ivi ritrovasse fosse sua. Per la qual promission molti si andò a far scriver, adeo ogni zorno su ditto campo era assà zente. La qual cossa fo fatta senza saputa di la Signoria; ma, inteso questo, a dì 14 Zugno per i Cai dil Consejo di X li fo mandato a dir a ditto orator non assoldasse nè greci schiavoni nè albanesi; ma, volendo, assoldasse lombardi. Unde l'ambassador ubedendo depenò molti, et ne rimase solum 200 scritti. Et cussì, fatto al n.º di...., mandoli via con Thomaso so fradello, el qual era stato dal Re suo, et ritornato in quelli zorni, etiam vi andò el castellan de Manferdonia, come ho scritto di sopra.

Et dubitando nostri el Re non venisse a la volta de Bologna, per mantenir el magnifico Joanne Bentivoi et quella comunità ne la fede data, a dì ij Zugno per Collegio fo mandato uno secretario, chiamato Antonio Vinciverra, homo dotto et molto exercitato in diverse legatione, el qual portò con lui ducati 18 milia, el qual, fatto la volta de Ferrara a Bologna andò, et fo molto honorifice ricevuto, come dirò di sotto. Et mandò a offerir li 500 stratioti erano per andar a Perosa, et ancora bisognando 300 homeni d'arme; et elexeno governador di le zente de Romagna esso magnifico Joanne, non come capetanio ma come nostro patricio; el qual l'anno 1488, 14 Marzo, venuto in questa terra fo creato, ed io mi ritrovai a la soa creatione. Se dubitava de novità, perchè li Malvezi erano confinati lì sul Bolognese, haveano rotto li confini loro, et andati dal Re, et però continuamente faceva fortificar Bologna. Et fo scritto a Piero Duodo provedador, era in camino per andar dal Pontifice, dovesse andar sul Bolognese. El qual se partì da Ravena a dì 7 ditto con Stratioti 500, et Nicolò da Nona venuto da Zara con 22 Stratioti verso Cesena, ma da quei de la terra li fo serate le porte, licet fusse terra di la Chiesia, et non fo lassati intrar. Et poi, andati a Bertenoro, pur fonno assà carezati et presentati, et, inteso el decreto dil senato, verso Bologna se aviò.

Come el Duca de Orliens tolse Novara al Duca de Milan.

Domente queste cosse se fanno, Franzesi i quali per ogni via cercano de venzer, sono homeni astuti et atti a la guerra, unde havendo fatto occulti patti con Opizin Cazabianco primario cittadin [383] de Novara, terra dil Duca de Milan, mia 25 da Milan et 50 da Aste et X da Verzei, el sito et conditione di la terra scriverò di sotto, de dar la terra al Duca di Orliens; questo, per l'odio grandissimo havia al Duca de Milan, però che, ut dicitur, li era imposto ditto Opizin havia fatto amazar uno, et li era voluto manzar ducati 14 milia, etiam per esser da la parte Gelpha et havia gran parte et seguazi in Novara; el qual Opizin era zenero di uno di Visconti. Or a dì X Zugno a l'alba, Franzesi venuti secretamente per alcune vie de sora, passato Po et Tesin, habuto el passo da la Duchessa de Savoia, introno in Novara per la porta di S. Stefano cavalli 250, poco da poi ne subgiunse altrettanti, ita che fonno 500, et preseno el dominio di la terra per esso Duca di Orliens, el qual ancora non era intrato, ma era in Aste. El castellano dil castello vedendo questi Franzesi, pur deliberò de tenirse. Et inteso questa nova a Milan, che mai dubitava perchè era straman, et però non li havia posto custodia, in quella matina medema per esser così propinqua, dolendosi molto, subito expedite Filipin dal Fiesco con 40 provisionadi, et lo mandò in la rocca, et a hore X intese questa perdeda, et mandò etiam statim a notificar a l'orator nostro, el qual spazò lettere a la Signoria, et zonse a dì 12 a mezozorno qui. Ancora esso Duca scrisse al signor Galeazo di S. Severino, che era col campo fra Vegevene e Biagrasso di là da Tesin et lontano di Novara, che li dovesse andar o mandar zente a socorerla, et fece in Milan provisionadi in quel zorno, et comenzò a spender danari, et divolgava voleva far 6000 provisionadi, et con uno grandissimo forzo andar in persona a Novara et receverla. Et in una notte venne tre corrieri de Milan a Venetia, tamen le provisione fo sì tarde, et non andò nè el signor Galeazo nè esso Duca, adeo che 'l Duca di Orliens con assà zente intrò dentro, et non fo possibile ad haverla, et si convenne mandar tutte le... zente di persone a presso 30 milia, come lezendo se intenderà di sotto. Ma Franzesi comenzò a fortificarse, et fece uno ponte sora burchiele per passar le fiumare bisognava da andar et venir in Aste, et messe custodia a li passi, sì che 'l Duca de Milan fo ferito dove mai el si credeva, et era comissario dil Duca intrato el zorno avanti Francesco Goro. Questa città de Novara, secondo si leze, fo edificata da Geodone et da Elicio su un certo monte non molto discosto dal fiume Tesin, et da lui quel monte fo chiamato poi Elicio, et poi Novara quasi Nova ara, zoè altare, perchè ussendo quivi Elicio con Venere sua madre, feceno un altar et offeritene gli sacrificii a li Dei; poi la cresceteno Franzesi, Insubri, [384] come scrive Ptolomeo et Plinio, et era quasi una villa; ma per la bontà dil paese sin... quasi inhabitato, perchè son monti et valle. Di questa città fo episcopo Santo Gaudentio, etiam in tempo di Clemente papa quinto vi fu Dulcino heresiarca, heretico crudelissimo; et conclusive questa terra è antiquissima, grande et di poca fortezza, licet el castello sia fortissimo; et di questa città ancora più avanti qual cossa particularmente, a Dio piacendo, scriveremo.

Oltra di questo perder di Novara, ancora Franzesi havia un'altra pratica a la man, de entrar in la rocca de Alexandria di la Paia, però che retrovandose in ditta rocca alcuni Franzesi presoni, et el campo de Milan de lì vicino si levò per venir a soccorrer et rehaver Novara, la notte venne alcuni Franzesi per intrar in la rocca con el tratado havia concertato, ma da certi frati, o vero uno preosto vicino a la rocca fonno sentiti, et cridando, ditti Franzesi essendo discoverti, parte fuzite, altri fonno presi.

Venitiani in questo mezo, consultando esser de bisogno de aiutar etiam el Duca de Milan, havendo mandato a dimandar 300 Stratioti per mandarli a Novara, unde a dì 13 Zugno preseno nel Consejo de Pregadi de mandarvi Bernardo Contarini era poco lontano dil nostro campo con Stratioti 500; et cussì li fo scritto dovesse andar subito verso Milan. El qual, inteso a dì 16 tal volontà dil Senato, se aviò con li Stratioti, di Asola dove era, a Crema, et ivi fo dato una paga a ditti Stratioti et a Milan andò. Ancora in questo zorno a dì 13 fo decreto nel Consejo di Pregadi capetanio di le fantarie Jacomazo da Venetia, havia 200 cavalli et era a Perosa, come ho ditto di sopra, et la sua conduta fo data a Cola so fiul; et za li era sta scritto dovesse venir in campo. El qual a dì 12 se partì de Perosa, et a dì 15 ditto arivò in campo, et se exercitò capetanio di le fantarie; cossa che a molti parse de novo, perchè più non era stato sopra fantarie; ma per la soa vera fede fo creato.

Fo expedito etiam lettere al capetanio zeneral, ordinato a li rettori di Terraferma quello havesseno a far; et perchè pur se intendeva el Pontifice voleva partirse el zorno drio el Corpo de Christo, che seria a dì 18 Zugno di Perosa e andar a Sisi (Assisi) mia 9 de lì, poi a Fuligno et Roma, fo scritto a l'ambassador in Corte dovesse persuader Soa Beatitudine dovesse, per securtà soa et per quelo poteva accader, venir in Ancona et non voler cussì presto ritornar a Roma. Et fo mandato el corrier che dovea esser a Perosa in hore 40, essendo però altri a le poste; et cussì fonno fatte molte provisione; et per Collegio fo ordinato de far solenne et diuturne [385] oratione a l'eterno Dio, pregando inspirasse nel cuor de quelli governava la Republica a dover terminar qual fusse el meglio per questa terra, però che dal Pontifice et Duca de Milan nostri erano exhortati a dover romper per ogni via al Re de Franza, havendo lui rotto a essi collegati; et di questa opinione era etiam l'ambassador de Spagna; et per questo implorono el divino auxilio, mandando danari la Signoria per li monasterii de frati et donne religiose de questa terra.

A dì 13 ditto zonse qui Sebastian Badoer kav. era stato orator a Milan mexi 8, et la mattina expose la soa imbassada in Collegio, et intrò Savio grande, che el suo luogo fo resalvato, zoè poco da poi fo creato. Et da poi disnar in Pregadi etiam referite sapientissimamente, et fo da tutti la sua legatione laudata, zoè che 'l Duca molto si racomandava al Prencipe et Serenissima Signoria, di la qual era fiul, narò la vita di esso Duca et el suo governo, et come è zerca 40 dil suo Consejo, che l'ha in tutto homeni d'arme 1600, tra i qual don Alphonso et Hanibal Bentivoj, che havia de intrada de Milan ducati 160 milia et 160 milia del territorio et altre sue terre; havia de spesa ordinaria in Milan ducati 18 milia, la sua corte 18 milia, et la Duchessa vechia di sua provisione ducati 18 milia; tamen di questi el deva come li piaceva. Che 'l marchexe Hermes, fradello fo dil Duca morto, steva in castello amalato con la quartana, et cussì la Duchessa zovene et il putino, el qual era zentilissimo puto, con custodia in castello. Che l'era mal voluto da li populi per causa di le angarie, et etiam toleva danari da chi ne havea, ubligando tamen li dacii di do anni: et fin qui era debito ducati 800 milia. Dimostrava non haver dinari per tre raxon: la prima per haver fatto disfar alcune † d'oro et mandato zoie a Zenoa per far armar. Item per haver desfatto et messo in zeca le medaie d'oro de li soi passati, che era bellissime. Et tertio per haver dato in dote a sua neza maridada nel Re di Romani ducati 400 milia, et 200 milia prestati al Re de Franza, et 120 milia li havia costado a otegnir la investidura. Che non feva niuna cossa senza consejo di mistro Ambrosio suo astrologo, fino del darli licentia. Che 'l dormiva poco, et la matina vestendose, ditto certe oratione, lezeva tutte le lettere, et quelle expediva la risposta a diversi cancelieri; ma tutte le voleva reveder. Che spazava molte suplication et gratie andando a una Santa Maria di le Gratie. Che molto amava sua moglie, havia do figliuoli; el mazor nomeva Hercules. Che dimostrava haver gran paura dil Re de Franza, tamen havia gran fede in la Signoria, et [386] feva di lui gran extimatione venendo a caxa a tuorlo e menarlo in castello, poi a compagnarlo; et nel combiato li disse voleva lassar in testamento a so fiuli sia sempre in amor con questa Signoria, et cognosceva non esser altro Stado simile al mondo. Et altre parole disse, le qual ad plenum non fo divolgate.

A dì 14 Zugno da mattina, fo el zorno di la Trinità, zonse lettere di Perosa di XI, nara et dechiara la verità di metter a sacco Toscanella, et usato la crudeltà, et Montefiascune sì come di sopra ho scritto. La qual cossa seguite a dì 8 ditto. Et come el Pontifice pregava la Signoria non stesse più a proveder, et che si aspettava a dì 12 el cardinal S. Dyonise per venir a excusar el Re, che di questo non era stato conscio. Et havendo la Signoria in questo zorno ordinato et fatto sonar Gran Consejo, juxta el consueto, per non esser tempo de demorar, imo de far ogni provisione, et molti Savii de Collegio erano di openione de romper, et per lettere ancora de Milan erano solicitati, dismesseno consejo, et chiamò Pregadi; et consultato hore 7 fo disciolto el consejo, et comandato gran credenze; tamen per tutta la terra se divolgava, come era la verità, fusse preso de romper guerra al Re de Franza per ogni via, sì da mar come da terra et scrisse subito a Perosa al Pontifice, zoè a l'orator, tal deliberatione, et mandò le lettere in hore 40, et fo decreto spazar un gripo al capetanio zeneral a Brandizo, el qual, si possibel fusse, andasse in zorni 6, che dovesse con tutta l'armada partirse de lì et andar lì in Puia a le terre si teniva per el Re de Franza, et quelle combatterle non si volendo render, et acquistarle per forza, trattando Franzesi per inimici. Tamen, quelle volevano ritornar sotto caxa di Aragona, non li fusse dato alcun impazo. Et essendo fatte le lettere e tutto, parse ad alcuni Savii de Collegio de suspender l'andata di ditto gripo pro nunc; la qual cossa fo molto mormorato da tutti i patricii; et fo bona causa che si perse de acquistar bona parte di la Puia per la dimora fece. Tamen pur a dì 17 ditto fo spazate le lettere et el gripo andò a suo viazo con lettere etiam di l'ambassador di Spagna era qui, drizzate al conte de Trivento capetanio di l'armada dil suo Re in Sicilia, che dovesse romper, perchè cussì era la voluntà dil signor Re et Raina. Oltra di questo, nostri scrisse a Milan di la deliberation fatta dil romper et però era bisogno de far ogni provisione per acquistar vittoria contro Franzesi; et el Duca fo molto aliegro de questo. Ancora fo expedito lettere in Elemagna al Re di Romani et in altri luogi, provedendo a quello era necessario; et in questo Venetiani dimostrò se, quando [387] volevano, poteva far le cosse preste; che fece tante provisione et un grande exercito in poco tempo.

Et per intender l'opinione in queste importante materie de Fiorentini, i quali, per quanto se intendeva, per parole osate a Milan per el suo ambassador, che volentiera vorebbeno esser in acordo con la liga, et essendo a hora el tempo de unirse quasi tutti i potentati de Italia contra Franzesi che quella volevano subiugar, se non li fosse sta per nostri remediato, come è la verità; et el Re havia cattivo animo contra ditti Fiorentini, però che, essendo a Viterbo, usò alcune parole a soi oratori di volerli render Pisa, Serzana, Serzanello, Pietrasanta et el porto de Livorno, ma che raxon era che Piero de Medici, el qual era a presso di lui et descaciato de Fiorenza per soa causa, dovesse ritornar; et etiam voleva ducati 20 milia da loro ad imprestedo. Et Fiorentini erano in gran spavento, pur fevano provisione le qual saranno di sotto scritte, nè sapeva si el Re volesse, da poi stato a Siena, venir a Fiorenza o andar a Pisa o vero per la marema de Siena altrove, et non sapevano che farsi. Era lì in Fiorenza quel fra Hieronimo da Ferrara di l'ordine di S. Marco de frati Predicatori, nominato di sopra, el qual el populo lo reputava per santo; et come frate Hieronimo diceva una parola, non bisognava contradirli. Questo predicava publice in favor dil Re de Franza, dicendo era un messo da Dio mandato, con molte parole; adeo che comoveva gli animi de Fiorentini ad adherir a esso Re, che fortasse, come ragion voleva, li sarebbeno stati contrarii, havendo ricevute molte inzurie. Unde nostri in questi zorni expedite, et si partì a dì 10 Zugno, uno frate Piero Dolphin, zeneral di l'ordine camaldulense, zoè di San Michiel di Muran, et patricio veneto, homo di grande autorità, bontà et reverentia, et molto amato, a Fiorentini dove era stato gran tempo, et tolse di andarvi in tre zorni a Fiorenza et esser con quella Signoria, et intender la volontà loro; si vogliono Franzesi siegua la vitoria usando le crudeltà usavano, o vero esserli contra et far quello hanno altre volte fatto li loro passati, che elexeno acquistar et non perder.

A Bologna el magnifico Johanne feva molti preparamenti, et suo fiul Hanibal era quasi in ordene per venir in campo, et a dì 14 Zugno zonse ivi Antonio Vincivera secretario nostro ben visto et honorato, et exposto a quella comunità quanto li fo comesso, trovò Bolognesi esser gaiardi et volonterosi a difendersi. Et offerto, oltra li Stratioti, etiam el signor de Rimano et el signor de Pesaro con loro condute, si Franzesi ivi venisse. Et come se intese, esso magnifico [388] Johanne scrisse a la Signoria, offerendo X milia fanti al bisogno, benissimo in ordine, di Bologna et Bolognese. Li Stratioti 500 con Piero Duodo provedador erano zonti, et alozati mia 12 da Bologna a uno loco chiamato Castel San Piero. Et zonto ditto secretario, haveno una paga; et ditti Stratioti steteno lì in Bolognese zorni 13, et poi veneno in campo in Parmesana, come dirò di sotto. Et 21 Zugno, facendosi certa festa a Bologna di San Raphael, et si mette tre palii, panno, una bandiera et una spada con un per de spironi, et correno li cavalli barbareschi; et Stratioti alcuni volseno correr, et havene uno di loro el terzo premio, et cussì passavano quelle cosse.

In questo mezo a Venetia molte provisione necessarie fonno fatte, et el Prencipe con li Padri di Collegio ogni mattina se reducevano molto a bon'hora in Collegio, haveano lettere prestissime de ogni banda, maxime di Perosa et Milan, et li corrieri haveano le poste, et perchè fusse presti steva do barche a la riva di palazo, et do a Lizafusina dil Consejo di X, a quatro remi per barca, le qual menavano ditti corrieri. Et fo mandato ducati 2000 a Corphù per far zente passasseno in la Puja, et scritto per la Dalmatia a li rettori dovesseno mandar li Stratioti ivi era in armada dal zeneral, dove ne era n.º 50, zoè a Sibenico 50, Traù 40 et quelli di Catharo non fo voluto muoverli per esser vicino a Turchi. Et ancora Zuan Dolce secretario era andato a soldar schiopetieri alemani, havendo fatti alcuni, mandò in campo Francesco da la Zueca solicitava Paris da Lodron facesse li 1000 provisionadi, et venisse in campo. Et a dì 16 Zugno per lettere di Roverè se intese esser de lì passati 300 schiopetieri tedeschi, fatti per el nostro secretario che andava in campo. A Lionello dal Nievo vicentino fo ordinato facesse 500 provisionadi da Vicentina. Le terre de Terraferma mandò a offrirse per do mexi de mandar zente in campo a soe spese, zoè di Vicentina fanti o vero provisionadi 2000, Brexani 1200, Veronesi 2200 et Bergamaschi 2300; sì che bisognando, come fo fatto la descriptione, si havia da persone 30 in 40 milia in campo. Et a Roma fo scritto, zoè a Perosa dove era el Pontifice, che non era più tempo de demorar, et che Soa Santità con li rimedii opportuni di excomunicatione et altro dovesse proveder, et non ritornar cussì presto a Roma, perchè, ritornando, Colonnesi faria forsi qualche novità, dove si aritrovava el sig. Prospero e Fabricio Colonna ivi rimasti, pur in amicitia col Re, et erano stati dal Re a Viterbo; et ancora perchè se podesse haver in campo li 1000 cavalli lizieri nostri [389] et de Milan, et le zente dil signor di Pesaro doveano andar in aiuto dil Pontifice. Et benchè questa deliberation di Pregadi andasse velocemente a Perosa, pur a dì 16 da matina si have lettere di l'orator in Corte, date a dì 13 Zugno in Perosa, advisava el Pontifice con reverendissimi Cardinali volevano al tutto, passato el Corpo de Christo, ritornar a Roma; come aspettavano lì in Perosa el sig. di Pesaro zenero dil Papa, el qual dovea venir a dì 16; et a dì 12 a hore 22 era zonto ivi el cardinal San Dyonisio, et uno altro episcopo, chiamato mistro Adamo, per nome dil Re de Franza a excusarse de quello era sta fatto a Toscanella et Montefiascon; et ancora eran tornati lo episcopo de Concordia et frà Gratiano, erano stati legati a presso esso Re; et che el Pontifice el zorno avanti era cavalcato per la terra, vedendo monasterii, et con Soa Beatitudine ditto nostro ambassador havia gran benivolentia. Et che a dì ij ditto volendo audientia, ritrovandose in letto, lo fece intrar; cossa che a niuno altro assueta de far. Et etiam a dì 9 zuogando alcuni a la balla su la piazza, el Papa era al balcon, et volse l'ambassador li stesse a presso, concludendo era Soa Santità in grande amicitia con la Signoria nostra; che erano in una terra dove non si trovava danari per le parte, et voleva tuor ducati 400 a cambio per i banchi per dar paga a le zente, et non catava; unde forzo li saria de mandar a tuorli a Roma. Le qual zente erano alozate mia cinque de lì, in uno loco chiamato La Frata, dove era un bosco.

A dì 15 Zugno venne uno corrier di Spagna con lettere di 20 Mazo, el qual corrier era stato 7 zorni in Barzelona ad aspettar passazo; per le qual se intese el Re et Raina in quel zorno esser partiti con la corte di Madril, et venuti a Burgos terra vicina a Navara, dove aspettava oratori dil Re de Romani venivano per contrazer parentado, come se divulgava, di la fia di esso Re de Romani in el Principe primogenito dil Re, et etiam l'archiduca Filippo di Bergogna in la principessa donna Johanna relita dil fio dil Re di Portogallo; le qual noze è assà zorni se divolgava: quello seguirà sarà scritto di sotto. Item come si faceva gran preparamenti di zente mandate a la volta di Perpignano per romper al Re de Franza, et che la Raina de Franza et Duca di Borbon governava el Reame de Franza, inteso che ebbeno di la liga, et che in Spagna si facea zente, havea mandato alcune lanze a quelli confini per custodia di suoi luogi; ma el Re et Raina de Spagna al tutto volevano romper, come disse el so ambassador in Collegio haver lettere da tre parte: prima che havia ordinato l'armada de Byscaia se dovesse [390] redur insieme tutti quelli navilii, et se metesse in ordene perchè voleva mandar in Bertagna a danizar a quelli passi: tamen per lettere di Londra se intese ivi in Bertagna el Re de Franza faceva far grande armata, et armavano ogni legno a la suma de più de 100 vele. Item che el Re de Spagna preditto havia fatto far comandamento a le zente de l'Andalusia, zoè Yspania ulterior et dil Regno de Aragona et de Valenza, che dovesseno adunarse a uno, perchè da quella banda dil Mar Mediteraneo voleva etiam dar adosso Franzesi verso Linguadoca, et che la sua persona con la Raina era venuto a Burgos principal terra de Castiglia per esser più vicino a Fontarabia, per romper a Baiona terra de Franza nel mar Oceano, sì che da tre bande voleva romper, oltra l'armata sua era in Cicilia in ajuto di re Ferandino. Et se divulgava voleva mandar el Duca di Alve capetanio di gianiseri (gendarmi) con zente in Cicilia, et il Re scrisse al capetanio che dovesse far quello la Signoria nostra et el so ambassador era qui li ordenava. Et nostri credevano che ad ogni momento la Spagna dovesse romper, et però erano inanimati molto; ma mai rompete, come dirò di sotto.

El zorno avanti, che fo a dì 14 Zugno, venne in questa terra domino Christoforo Crispo Serovestaner orator dil Re de Romani, el qual havia assà benefici in terra thodesca senza cura, et ha la expectativa dil Vescovado di Trento dal Re, dopoi la morte di questo Vescovo, dove il temporal et spiritual.... Or questo za do anni era stato in studio a Padoa, et venne per la via de Trento a Roverè, poi a Verona, Vicenza et Padoa; et ivi se ritrovò a tempo dil Santo, zoè di Santo Antonio a dì 13 Zugno, dove si fa solenne processione e fiera bellissima. Et li fo mandato contra alcuni patrici. Et questo ambassador venne per star in questa terra con zerca 12 persone, alozò a San Bortholomio in caxa di Piero Pender mercadante tedesco pur a spexe di la Signoria; poi fu messo habitar a la Zueca, demum a Santa Maria Zubenigo in ca Pasqualin.

El zorno da poi che 'l zonse, a dì 15, el zorno de San Vido, essendo consuetudine dal 1310 in qua per una liberatione have in tal zorno la Republica da uno Baiamonte Tiepolo si voleva far signor di questa terra, et fo discoverto; per questo ogni anno el Prencipe cum la Signoria et alcuni patricii invidati vien da San Marco per terra fino a la sua Chiesia, la qual per esser situada di là dil Canal grando si fa uno ponte sopra galie grosse vecchie sono in l'arsenal, et ivi alde messa, poi ritorna con li piati et fa pasto a quelli lo compagnano et oratori, et va con le cerimonie ducal. Or [391] ditto orator fo invidato, et cussì vi venne l'orator dil Papa, lui, di Spagna, Napoli, Milan et Mantoa, e domino Truiano di Hongaria. Et a dì 16 poi have audientia, et expose la soa imbassada, et come era sta mandato da la Cesarea Majestà dil Re Maximiliano suo, per confirmation di la amicitia havia con questa Illustrissima Signoria, notificando la sua venuta, sarebbe presto compita la dieta.

Et a dì 16 zonse lettere de li nostri ambassadori a esso Re di Romani, de 6 del presente mexe, narra come lì a Vormes si seguiva pur la dieta, et che li elettori de l'imperio non lo consigliava a dover venir questo anno in Italia a coronarse, et che el Re attendeva andar a caze et piaceri, et che erano zonti do ambassadori dil Re de Scocia, i quali venivano da la Majestà dil Re, poi in Italia dal Re de Franza, i quali ex parte regis sui pregò esso re Maximilian non venisse in Italia a dar danno nè fastidio al Re de Franza molto amico di loro Re, offerendosi etc. Item come erano ditti nostri oratori stati a visitation de li elettori de l'imperio, et narratoli l'operation dil Re de Franza, et che Italia haveva bisogno di esser subvenuta, però dovevano exhortar el Re a venir a coronarse. Et questi li risposeno non haver saputo da niuno, nè inteso dal Papa el bisogno de Italia, che saria bon proveder. Ancora el Re preditto disse a nostri oratori che 'l Duca de Milan li restava a dar ducati 80 milia, per resto di la sua dota, et che lui non havea danari, et che esso Duca de Milan li havia promesso di dar ducati 100 milia venendo in Italia, sì che saria bon che la Signoria nostra li mandasse altri 100 milia ducati, perchè lui vegniria di qua con 5000 cavalli et X milia pedoni, et li ambassadori li disse come di questo scriveria a la Signoria. Item come li haveano dimandà una patente di poter far et assoldar 2000 Sguizari a soldo nostro, et che el Re li havia risposo non vi era più Sguizari, sì perchè el Re de Franza ne havea molti con lui, quam per quelli che lui mandava a Milan, havendoli richiesti el Duca.

Qui saranno notati li Franzesi di conditione che restono in Reame.

A ciò el tutto se intenda, volendo ritornar el Re de Franza, da poi acquistato el Reame, verso Franza, o vero verso Milan, come ho scritto di sopra, lasciò questi Franzesi di conditione, ai quali dette grandissima autorità nel Regno: mons. di Belcher marescalco dil Regno; mons. di Mompensier vicerè in Napoli; mons. de Obegnì governador in Calavria; mons. di Persì locotenente in Calavria; [392] mons. di la Spara vicerè in Puja; a Taranto governador d. Juliano, el qual el Duca lo fece Duca di Santo Anzolo in Calavria; in Manferdonia Gabriel de Monfalcon; a l'Aquila, Bale de Vitrì con 50 lanze. In tutto rimase in Reame cavalli franzesi.... et pedoni, computò Sguizari,... Item in Hostia rimase capetanio M.... de Guerra, et in Reame suo fratello Gratian de Guerra. In Pisa veramente, al governo dil qual era Serzana, Serzanello, Pierasanta et Livorne, uno chiamato mons. Dandragesi (d'Entragues).

Come el Re de Franza de ritorno intrò in Siena.

El Re de Franza pacifice et cum grande honor intrò in Siena a dì 13 Zugno, de Zuoba, dove deliberò de star fino passato el zorno dil corpo de Christo, ch'è a dì 18 di questo, sì per consultar meglio tra quelli dil suo consejo i soi progressi et camino havesse a far, quam per metter sesto et ordene, come diceva, a quella republica senese. Poi voleva venir a Fiorenza, però che da Siena è distante solum mia 30. Et è da saper che, come fo intrato in Siena et visto su la piaza zerca 1200 fanti ch'erano a guarda di la piaza, el Re ordinò fusseno spogliati, toltoli le arme, et scazoli fuora di la terra in camisa, dicendo non bisognava a Senesi questa spesa. Et el populo levato in arme, el Re fece retenir, come fo divulgato, zerca 50 de primi zentilhomeni de Siena, et tolse el dominio de man di la Signoria che tunc governava, et stavano juxta el solito nel palazzo di Signori. Et a ciò el populo non li fusse contrario, non volendo tuor el Dominio in sì, quello messe in le man dil populo, che governasseno quel stado come a loro pareva, et el populo voleva el Re fusse loro Signor. Et el Re, per non innovar altro in Italia, havendo da far assà, non volse; ma ben lassò 500 cavalli a custodia di quella terra, et partito che 'l fo, liberati li retenti, el stado et dominio de Siena ritornò come prima, pur in varie parte, che avanti era assà pacifico stado; come tutto dirò di sotto.

Questo Re havia con lui oratori 9 de Fiorentini, li nomi di quali ho scritto di sopra, et pur dimostrava voler intrar et venir in Fiorenza, non se curando de observar li capitoli. Et questo voler andar a Fiorenza parse molto di novo a Venetiani, et che prima el Re divulgava de andar a Pisa, poi a Zenoa, dove si dubitava havesse intelligentia; ma, andando come amico a Fiorenza, segno sarebbe stato che saria sta d'accordo con Fiorentini, et essendo d'accordo con ditti Fiorentini, ex consequenti conveniva renderli Pisa, et esser [393] in inimicitia...[132] per la via era venuto, dove in Parmesana si adunava l'exercito di la Signoria nostra, et vi era etiam qualche zente dil Duca de Milan; ma quello di la Signoria era molto grossissimo, come dirò di sotto, et el doppio di zente di quello havia esso Re, sì de zente d'arme, fanti, stratioti, elemani, schiopetieri, provisionadi, zente di Bergamo, Brexa, Verona et Vicenza, adeo più de 30 milia persone sarà in ditto campo, bastanti a esser vittoriosi non che a resister che non passino nè vadino a danni dil Duca de Milan, benchè Franzesi siano zente molto destra, et assueta nel mestier di le arme; et non fanno presoni, come se fa in Italia, ma tutti mandano per il fil di la spada; et tanto più prenderanno forza, quanto combatteranno per uscir de Italia et ritornar ne le patrie loro, dove erano da le so zente aspettati.

Ma Fiorentini, come etiam qualcossa di sopra ho scritto, fece molte provisione: prima de adunar zente dil contado in la terra, et con arme stesseno in le caxe preparati, adeo a uno bisogno saria stati armati da 20 milia persone in suso; fece metter travi per le strade, per poter sbarar, molto grossi; le finestre di le caxe suspecte fonno fatte murar, et assà altre provisione fo divulgato; detteno taia a Piero de Medici, ducati X milia vivo et 5000 morto, et tutto il suo, salvo la dote di la moglie, messeno nel Comune, sotto però scusa de voler vender et pagar sì la Republica di quello Medici li havia tolto, quam altri creditori di esso Piero e fradelli che volevano esser satisfacti; et el palazo de ditto Piero, bellissimo, messeno a l'incanto per venderlo, ma non trovono se non ducati 6000, el qual val più de ducati.... Ancora mandono oratori novi al Re, tra i qual vi andò Hieronimo de Ferrara predicava ivi, nominato di sopra, et in gratia dil Re, et molto so amico, et per lui et in suo favor publice predicava. Et Fiorentini mandono a dir al Re di le provisione haveano fatte, et che 'l populo era su le arme, et si pareva a Soa Majestà di voler intrar, che vi intrasse, senza però danno di la Republica; ma che haveano fatto consejo, et che tutti erano de opinione Soa Majestà li observasse li capitoli jurati sul Corpo de Christo, zoè renderli Pisa, Serzana, Serzanello, Pierasanta et Livorne, essendo christianissimo, li volesse far render a Senesi Monte Pulzano; ma la risposta dil Re non se intese. Ma è da saper che 'l [394] Re, avanti intrasse in Siena, a Motrone loco de Fiorentini, et ivi fo onorato assà, et era ritornati in Fiorenza do ambassadori dil numero di nove, zoè Lorenzo Morelli et Lorenzin di populani, olim de Medici; li altri sette rimaseno col Re, benchè poi tutti si partino da lui. Et benchè questi ambassadori andasse inanzi e indrio, non restono Fiorentini de far di molte provisione; fece redur le sue zente d'arme erano a la campagna contra Pisani zerca cavalli 3500, in Fiorenza, zoè el Duca de Urbin, el qual intrò con grande honor con le sue zente, et alozò nel palazzo di Julian Gondi, et Francesco Secco, conte Ranuzo di Marzano, Hercules Bentivoj et altri condutieri.

Ancora la Signoria de Fiorenza feceno 5000 fanti a custodia dil palazo et di la libertà; dette segno al contado con segnali et soni di campane, volendo Franzesi far novità dovesseno venir in la terra; messe fanti in diversi luogi di la terra, maxime in uno palazo de quelli di Pazi, situado a uno contado di la terra dove vi habitava mons. zeneral di Bertagna, di natione Perpignano, era lì per nome dil Re, et quello la Signoria lo messe in una altra caxa più dentro la terra, et qui messeno 500 fanti ad alozar; etiam in le caxe di Piero de Medici, et cussì in diverse caxe, chi X et chi XX fanti per una; et in el palazo di Piero sopranominato, dove habitava soa moglie madonna Alphonsina Ursini, fo messo 1000 fanti, et lei mandata fuori, et andò a starvi in uno monasterio, et mandono Fiorentini a dir al Re che per niente non volevano più Medici in Fiorenza, et za haveano comenzato a vender dil suo, sì che Fiorentini al presente non feceno quelli preparamenti a Franzesi nel ritorno che fece quando veneno, zoè scritto sopra le caxe bolletini: questa caxa sarà per mons. tal etc. Et in questi zorni li acopiatori nominati nel secondo libro, che Fiorentini haveano creati per uno anno a dover dar gli ufficii loro, erano solum 19, perchè uno refudò per avanti. Or questi, vedendo el populo non li piaceva l'autorità sua, refutono quelli, et messe tal libertà haveano nel consejo a crear la Signoria, et d'indi si farà per consejo la Signoria de Fiorenza per sorte et ballote, et non si saprà più chi deve esser; et quelli primi fonno creati, più avanti sarà scritto. El qual consejo de Fiorentini fonno zerca 2400, et per non haver sala vi capissa tanta quantità, hanno decreto de partir questi in tre volte, zoè 800 per volta, i quali stagano mexi 6, et poi succieda li altri, ita che in mesi 18 tutti fonno stati dil consejo de Fiorenza.

Monsignor di Arzenton era stato qui ambassador dil Roy, partito [395] de Bologna andò a Fiorenza, dove stette fino a dì 13 de questo, et poi se partì et andò a trovar el Re a Siena. Al qual, dopoi le debite reverentie, et riferito la soa legatione et molte cosse de Venetiani, consultato col Re li disse: Christianissimo Re, io vi dirò, la mia opinione saria che Vostra Majestà facesse cussì. Io son stato a Venetia, ho visto grande potentia, e sopra tutto assà danari, e tutti paga volentiera le sue angarie, ch'è cossa incredibile. Cognosco ancora Venetiani mal volentiera vien a la guerra con toa Majestà, per esser homeni pacifici, pur non ti vorebeno più vicino; fanno grande exercito, et hanno grande armata, et continue quella ingrossa, et non è dubio, havendo Venetiani con toa Majestà, haverai quello vorrai in Italia, et con le bone si otien da loro el tutto. El parer mio saria che tu mandassi 4 ambassadori a Venetia, a dirli come tu vuol venir a Venetia a veder la terra, et visitar la Signoria et el Doxe to carissimo amigo. Venetiani, che amano la paxe, son certo saranno contentissimi, e ti faria più honor che mai fece a niun Imperator che vi venisse, et spenderia più di ducati 20 milia in honorarti, perchè è terra honora molto forestieri, maxime la toa Majestà, et de guerra più non se parlerà in quella terra. Ti veramente andarà con che zente ti parerà a Venetia, et el resto avierai a la volta di Pontremolo per andar in Aste. Si Venetiani non volesse che le passasse, tu porà dir che tu vuol conzar le cosse a Venetia, et saranno contenti; unde, stato alquanti zorni, porai tornar in Aste, et poi far et seguir el pensier de toa Majestà; et cussì haverai indubitata vittoria. Unde, facendo el contrario, bisognerà menar le man, et de chi sarà la vittoria è dubio: uno ti dico, che Venetiani fa grande exercito. Ma el Re et altri consultori non li parse de far questo, et intravene la rota et vergogna soa al Taro. El Re essendo a Siena mandò a dir a quelli di Ascole, terra subposta a la Chiesia, li dovesse dar 9000 ducati erano debitori al re Alphonso, come a quella persona che era successo nel Regno di Napoli. Quello seguite non so.

Domente queste cosse el Re de Franza et Fiorentini fanno, el Duca de Orliens, havendo la via al suo piacer di venir di Aste a Novara, et fatto uno ponte su Tesin, passato Po a Verzei, terra dil duca de Savoia mia X da Novara, partito de Aste con 3000 cavalli et 4000 pedoni, et a dì 13 Zugno intrò in Novara, dove se ritrovava in tutto con lui zerca X milia persone tra Franzesi et homeni paesani di esso Duca di Orliens, et ancora la rocca si teniva per el Duca de Milan, dove era intrato Filippin dal Fiesco capetanio dil castello de Milan con alcuni provisionadi per il soccorso da driedo, come [396] ho scritto di sopra, tamen non vi era molte artiglierie nè vituarie. Unde Franzesi le dete termene uno zorno a renderse, altramente più non li vorebbe li custodi a pati, ma li dariano la battaglia, benchè non avesseno bombarde. Ma quelli di la rocca, sapendo certo la volontà dil Duca de Milan esser di venir in persona a darli soccorso con assà zente, fonno a parlamento con Franzesi, che li dovesseno dar termene do zorni, et si non li veniva soccorso promettevano renderse, et cussì fermono tal acordo. Et subito expediteno lettere al Duca de Milan a notificarli quello haveano fatto, et el Duca dete fama di voler assoldar X milia provisionadi, et scrisse al signor Galeazo di San Severino suo capetanio, el qual era col campo tirato di verso Aste venne a Vegevene, mia 14 lontan di Novara, era homeni d'arme 700, fanti 6000 et altre zente paesane, che dovesse andar a soccorer Novara, zoè la rocca. Ma parse al ditto sig. Galeazo de non metter l'exercito suo in pericolo, rescrivendo al Duca era meglio perder la rocca che l'exercito, et che, si ben andasse, nulla potrebbe far, per esser Franzesi assà numero, cavalli 3000 et pedoni 5000, et haviano bona parte dil populo da loro, mediante quel Opizin Cazabianco, richissimo citadino de Novara, con la parte Gelfa. Et inteso questa nova de l'intrar dil Duca di Orliens in Novara et successo, a dì 16 ditto, in questa terra nostri fonno molto di malavoia, pensandosi quello havesse a seguir, che in recuperarla poi bisogneria gran spexa, come fu.

Oltra di questo el Duca de Milan dubitava molto de Zenoa, che non se accordasse col Re de Franza, et mandò danari per far alcuni fanti lì a Zenoa al suo commissario Coradolo Stanga, et Agustin Adorno governador di Zenoa era molto fidelissimo a esso Duca, et Zuan Adorno suo fratello, capetanio di le fanterie, era solicito in ogni cossa et poner custodia a li passi de quella riviera. Et in questi zorni fo divolgato Baptistin de Campofregoso, olim doxe di Zenoa, el qual è di primi di la parte contraria Adorna, che adhuc domina, questo steva in Franza, or venne con zente, et intrò in Monaco, ch'è uno castello di Alberto Grimaldo sul Zenoese, et quello dominio agiustò per nome dil Re de Franza. Ancora Zenoesi dubitavano dil Cardinal de Zenoa, olim doxe et arzivescovo, et di Obieto dal Fiesco prothonotario, i quali cercavano de tramar nove cosse, et seguivano el Re de Franza. Et per remover li sospetti parse al governador, con aiuto dil Duca de Milan, de mandar pro nunc fuora de Zenoa molti cittadini numero 600, di varie caxe di la parte di Campofregoso, tra i qual fu Zuan Doria, che venne ad habitar a Venetia, [397] et alcuni altri i quali fortasse qui più avanti saranno nominati. Et scrisse el governador preditto una lettera a la Signoria nostra, data a dì 19, come era lui con el resto de quella comunità deliberati de star sotto la fede de Milan, et non si acordar col re de Franza, et che ivi erano 6 nave armate et X galie, et che havia el suo capetanio in ordene, chiamato Bricio Justiniano, homo veterano et in mar et cosse marittime assà exercitato, et che ditta armada era in porto in ordene, che a uno segno saria in mar per andar dove piacerà a la Signoria nostra, et che li patroni di le galie erano Zenoesi, tutti cai de parte. La qual armada de galie 9 et do nave uscite poi et andò a la Spezia, come dirò di sotto.

In questo mezo per lettere di Hieronimo Lion kav. orator nostro a Milan se intese, le qual lettere venne prestissimo perchè le poste era duplicate, hor el Duca non faceva quelle debite provisione se conveniva a la recuperation de Novara, sì perchè el non havea danari, quam perchè el populo de Milan li era inimicissimo, et non usciva di castello imo de la rocheta, nè ossava andar per la terra, per dubito dil populo. Et a questo se puol conoscer l'odio Milanesi li portava, che a tanta cossa quanto è haver Franzesi mia 25 lontan in Novara, lori medemi tutti unanimi dovevano andar col so Signor a ricuperar quella terra, ma non solum (non) si mosseno nè se offerse, imo volendo el Duca assoldar provisionadi, non catava; per la qual cossa stava molto sospeso, et havia gran paura, perchè el populo usava di stranie parole contra di lui. Et per haver danari fece disfar alcune medaie d'oro havia, et arzenti lavoradi, et fece bater in questi zorni ducati 150 milia d'oro con la sua testa suso, et 50 milia de moneda, et nel suo campo, che diceva era persone X milia, chiaro se comprese non vi esser ditta quantità, imo assà manco. Or concludendo, el Duca scrisse a suo fratello cardinal Ascanio dovesse andar a Milan, perchè quodammodo non sapeva che farse, et per alegrar el populo et quello farsi benivolo, levò el quintello a Milan et per tutto el suo dominio, che era una angaria havia per avanti in tempo del Duca defonto posta, zoè de pagar el quinto più ai dacii; la qual cossa fo principiata de usar al tempo dil duca Francesco; et cussì al presente la levò, eccetto quella di le mercadantie, zoè el quintello. Ancora levò l'addition dil sal, che era soldi 30 di più per ducato, la qual lui la instituì ne l'anno 1490. Oltra di questo strazò et anichilò tutte le condanne di Cremona et Cremonese, et revocò li exuli di quella terra, a ciò li fusseno fedeli, contra el Re de Franza si aproximava in quelle parte. Et el Duca aspettava con desiderio li [398] Stratioti nostri, guidadi et governadi per Bernardo Contarini, el qual a dì 16 era partito di campo sora Oio per venir verso Milan, et benchè Stratioti volesseno la soa paga avanti cavalcasse, tamen con destrezza li condusse fino a Crema; et pur Stratioti non volse andar di longo, et convenne ivi darli la sua paga, et li levono garbuio, dicendo non volevano andar in paesi alieni, se non haveano uno ducato di più di la soa paga al mexe per uno. Et fo necessario di questo ad visar la Signoria, et però dimoravano tanto ad andar. Or, concludendo, el Duca a l'ambassador nostro dimostrava che se la Signoria nostra non li deva aiuto, non sapeva che farse, dubitando non l'intravenisse a lui come a re Alphonso, et rechiedeva aiuto et consejo, et che li fusse mandato qualche patricio, a ciò el populo havesse cagion di star quieto, vedendo la Signoria voleva aiutarlo. Et zonte tal nove a Venetia, chiamato el consejo di Pregadi, a dì 17 Zugno, deliberorono di far ogni cossa in suo favor, benchè poi rendesse mal merito, et licet vi fusse ivi uno ambassador, pur per confortarlo elexeno, con pene grandissime, do patricii di primi senatori, Luca Zen et Andrea Venier, i quali erano stati consiglieri, con condition la mattina dovesseno risponder si volea andarvi o vero sottozazer (sottogiacere) a le pene; et accettando si debino partir in termene de tre zorni. Ma questi do patricii, la matina che fo el zorno dil Corpo de Christo, nel qual dì et a Venezia et per tutta Christianità si fa solenne processione, andati in Collegio renonciò tal legatione; el Zeno per esser in uno officio chiamato al luogo di procuratori sopra le cosse di Sopragastaldi, et non poteva esser astreto; et el Venier si excusò per non esser molto sano. Et in questo zorno fo chiamato Pregadi, che di raro, sive numquam, el dì dil Corpo de Christo se fa Pregadi, et fo balotado la sua excusatione et preso di accettarla: tamen tutta la terra mormorono, che a tanto bisogno non fusse andati a servir la Republica. Et fo creato in loro loco do altri patricii integerrimi, Marco Zorzi era Savio a Terraferma et Benedetto Sanudo fo provedador al Sal. Questi, considerando el ben publico et che per la patria cadauna fatica era minima, libenti animo, eodem instanti andono a la Signoria et accettono libentissime, dicendo erano pronti et presti a doverse partir quando quella li comandava. Et poi venne di Milano tal nova, che parve al Collegio di non mandarli, et cussì non andono: tamen da loro non mancò di andarvi.

Or in questi do Pregadi fo fatto molte provisione, maxime a trovar danari. Et a dì 17 fo preso parte che quelli voleva metter [399] arzenti in zeca per far monede, fusseno fatti creditori de li lavoradi a ducati 6 la marca et in peza ducati 6 et ¼; l'oro veramente a ducati 76 la marca: sì che veniva haver di dono quelli metteva, a rason di ducati 12 per 100; et quelli mettevano in termene de zorni XV habi un certo don, oltra la utilità, et li obligavano el deposito dil sal ogni mexe ducati 8000; i quali li provedadori portano a li Camerlenghi, nè de quelli puol far alcuna cossa, sotto grandissime pene limitade per el Consejo di X, comenzando el deposito in Novembrio proximo et successive; oltra de questo, li obligano le XXX et 40 per cento se scuode a li Governadori di le intrade. Item si possino scontar in decime si meterano per zornada; tamen questa provisione a dì 24 ditto poi fo sospesa, et non seguite, perchè trovono altra miglior via de trovar danari presto. Et in questo zorno essendo Pregadi suso, venne lettere de Milan notificava come el Duca de Orliens era in Novara con zerca persone 8 in 10 milia, tamen non voleva uscir di la terra nè venir a la campagna a l'impeto dil campo duchesco. Pur Franzesi scorsizavano fino a presso a Vegevene, dove era ditto campo, et a Mortara, castello mia 8 da Vegevene, fece molte corarie. Et a dì 18, pur essendo Pregadi suso, zonse altre lettere di 17, narano che a dì 16 hore 19 haveano a Milan lettere dil campo, come essendo venuto 150 cavalli de Franzesi per danizar verso Vegevene, el signor Nicolò di Corezo soldato et consier del duca de Milan li era andato con alcuni dei soi soldati contra, dei qual ne havea amazato 60, li altri fugati, parte feriti, ritornono in Novara. Questa nova molto piacque a nostri, perchè Franzesi comenzasse a sentir le arme de Italiani, desiderando che come Stratioti zonzerebbeno ivi, fariano dir di loro, come con effetto fue. Et el signor Galeazo de San Severino capetanio del campo mandò a dir al Duca de Orliens venisse a la campagna et non stesse come stava in Novara serato. Et esso Duca non vi volse venir, atendendo a far repari a quella città. Et poi a dì 19 venne lettere di 17 di l'ambassador nostro a Milan, scritte a hore 24, come el populo de Milan era alquanto acquietato per el venir de li Stratioti, et el Duca ancora; tamen non usciva dil castello; et che alcuni principali di quella terra erano andati in rocca a parlar al Duca, dicendo Soa Excelentia non si desse fastidio, che per niente non erano disposti de veder non che tener dal Re de Franza nè dal Duca di Orliens, ma morir sotto la caxa sforzesca; et che per queste parole el Duca se era alquanto consolato, aspettando li Stratioti, li qual dovevano zonzer a dì 19; et poi lui in persona voleva andar in campo [400] con grandissima zente. Et intendendo non volevano Stratioti partirse di Crema se non haveano uno ducato per uno di più al mexe, come ho scritto de sopra, el Duca li mandò a prometter lui quel ducato; et più che li voleva dar la soa usanza di uno ducato per ogni testa de Franzesi portavano in campo. Et li mandò contra uno suo secretario comissario, per farli dar alozamenti per camino, et farli far bona compagnia. Item come era zonto a li soi confini 600 Sguizari li mandava el Re de Romani, tamen a suo soldo; et el Duca confortava molto la Signoria a far passar el suo exercito in Parmesana, dove havia za mandato el Conte de Chaiazo con alcuni altri condutieri et fanti a custodia de Pontremolo; et fece far uno ponte sopra Po tra Cremona et Parma sopra burchi numero 33, a ciò comodamente le nostre zente passasse, come dirò di sotto. Ben mandò a pregar la Signoria per el so ambassador, che le zente nostre nel passar facesse manco danno potesse, per caxon di non commover li populi a qualche novità; et etiam mandò comissario lì in Parmesana Francesco Bernardin Visconte, che fo qui oratore, et nominato di sopra.

Et da Zenoa si have lettere dal governador Agustin Adorno, che nostri non dubitasse di la fede di Zenoesi, et che le pratiche dil Re de Franza non havia sortito effetto, per le bone provisione lui havia fatte; et che lo casteletto era in man dil Duca de Milan, et messovi fanti in custodia, et che nel suo consejo haviano deliberato non partirse di la liga; et che, parendo a la Signoria, le nave 6 et X galie armate et in ordene uscirebbe per andar a trovar l'armada franzese al porto de Livorne, et che volevano mandar do nave carge d'artiglierie et munitione a Scio dubitando de Turchi, perchè minazava de andar con l'armada a soi danni, et che quelli de Scio haveano mandato uno ambassador al signor Turco, et però pregavano la Signoria se volesse interponer a far Turchi non desse fastidio a ditta isola de Scio. Et cussì, a dì 19 ditto, nel Conseio de Pregadi fo decreto et scritto al secretario nostro a Constantinopoli che andar dovesse a la presentia dil Signor, et pregarlo non vogli dar impazo a Zenoesi per le cosse occorrevano in Italia, perchè, non dagando fastidio, Zenoesi sarebbe con nui contra el Re de Franza, el qual se non se gli opponeva, voleva dominar tutta Italia et poi andar contra Soa Signoria. Et non andando a Scio, Zenoesi non darà el passo al Re, el qual se lui l'havesse saria molto contrario a la quiete et paxe de Italia. Et fo expedito subito el gripo a Corphù.

A Bologna in questo tempo vi venne uno araldo di mons. di [401] Bressa a dimandar al magnifico Johanne Bentivoi et quella comunità passo di dover passar con le soe zente. Unde Bolognesi li risposeno non volevano Franzesi su el suo, per non patir più danni, come al principio di questa impresa haveano patito per el campo dil Re alozato ivi vicino; et che era assà altre vie da passar. Demum vi venne uno secretario dil Re, pur a dimandar passo et vittuarie, promettendo, a ciò non havesse alcun dubio di haver danno, di mandarli ostasi in Bologna. Et fatto conseio per farli risposta, dove volseno Bolognesi vi entrasse Antonio Vincivera nostro secretario; et scrisse esso magnifico Johanne a la Signoria quello dovea risponder. Et per nostri li fo rescritto non dovesse per niente darli nè passo nè vittuarie; et cussì era l'opinione dil Duca de Milan; et che dovesseno licentiar ditto secretario. Unde Bolognesi cussì feceno; et dimandò a la Signoria per loro difensione 1000 cavalli, i qual non venisse sul Bolognese ma stasse a quelli confini. Et fo (scritto) pro nunc a le zente erano in Romagna, dovesseno star preparate per questo; et ancora a loro compiacentia scritto a Piero Duodo, provedador di Stratioti alozati vicino a Bologna, non dovesse lassar far niun danno a Stratioti a quel paese.

A Ferrara el Duca pur mostrava cativo animo, et el Vicedomino nostro non era ben visto, imo per Ferrara et tutto el Ferrarese cridavano: Franza! Franza! Et in questi zorni ritornò Antonio di Contestabeli kav., era stato orator di esso Duca al Re de Franza, et partito molto contento da Soa Majestà; et se divolgava per Ferrara el Signor esser in grande amicitia con el Re. El qual signor et duca Hercules havendo za ditto per niuna cossa più se voleva armar, al presente, nescio qua de causa, fece far nette et imbrunir le soe arme; i qual signali era de volerse armar. Et don Alphonso suo fiul tandem era partito de Ferrara con 60 cavalli, et andato a Milan dal cugnato, tamen el padre lo serviva de alcuni homeni d'arme soi, a ciò havesse la so conduta.

A Perosa el Pontifice era volonteroso de ritornar a Roma, et cussì tutti li Cardinali; tamen l'ambassador nostro persuadeva, nomine Senatus, Soa Santità non havesse sì gran pressa, et vedesse prima qual via tegnerà el Re. Se ritrovava lì in Perosa el cardinal Sancto Dyonise, et uno altro episcopo, come ho scritto di sopra, havendo fatto la excusatione dil Re di non esser sta suo voler fusse messo a sacco niun loco dil Pontifice o vero di la Chiesia, et che Soa Beatitudine ritornasse con la Corte a Roma, et non haver alcuna paura di lui, perchè 'l voleva esser fiul di Santa Chiesia et render [402] le terre lui teniva di la Chiesia per soa securtà; et dette li contrasegni a ciò fusse mandato a tuorle nel pristino dominio, uno per nome dil Papa. Oltra di questo el sig. Prospero Colonna scrisse una lettera al Pontifice che dovesse ritornar a Roma, che li prometteva non seguiria più danno alcuno, et che Roma pareva deserta non vi essendo la Corte. Unde più el Pontifice se inanimava, et terminò al tutto, passato el zorno dil Corpo de Christo, partirse; tamen, a requisitione di la Signoria nostra stete tre ziorni più lì in Perosa, dove le parte erano su le arme, zoè li fora ussiti Odi con li Bajoni erano dentro; nè el Pontifice potè conzar quelle cosse. El camino voleva far el Pontifice in ritornar a Roma era andar a Foligno, Spoleti, et per zornata si governeria; ma una volta voleva partir di Perosa. Et a dì 16 dil presente mexe di Zugno, a hore 22, intrò in Perosa el sig. Zuane di Pesaro con madonna Lucretia soa moglie fia dil Pontifice con zerca 100 cavalli. Li andò contra li oratori et la fameia dil Papa, et ne l'intrar esso Pontifice era a la fenestra, et li dete la benedition, et poi stete ivi 4 zorni, et ritornò a Pesaro. Et havendo nostri mandato a dimandar al Pontifice la zente havia sì di la Signoria quam de Milan, a ciò venisseno in Parmesana a ingrossar el campo, perchè Soa Santità non havia più bisogno; et, exposto questo, el Pontefice volse tre zorni de rispetto per veder come andava le cosse dil Re. Et inteso in questo mezo la nova dil perder de Novara, di la qual cossa con reverendissimi Cardinali have gran dolor, et fo contento ditte zente ritornasse, come per lettere di l'orator di 16, zonte a dì 19, se intese; et non solum quelli cavalli lezieri havia mandà, etiam el Signor de Pesaro suo zenero fo contento vi venisse, sì come era ubligato per il stipendio havia, ma non venne: ben mandò el sig. Galeazo suo fratello con la soa conduta, qual di sotto scriverò, in campo a Novara. Tamen el Papa volse tenir 500 provisionadi nostri a presso de sì; et li cavalli lezieri, zerca 1000 in tutto, in quel medemo zorno a dì 16 si aviono a la volta de Parmesana, facendo la volta de Romagna, perchè el Re era in Toscana. Et è da saper che 'l cardinal Ascanio vicecanzelier, fratello dil Duca de Milan, havendo habuto lettere di venir a Milan, dimandò licentia de portarsi da Perosa al Papa insieme col cardinal de San Severino per el bisogno occoreva a Milan, sì per confortar quelli populi quam per operarsi; ma el Pontifice non volse che lo abandonasse, adeo convenne..., ma poi sopravenne lettere ivi de Milan, che non bisognava, et che restasse col Pontifice et cussì fece. Et el Papa disse a l'orator nostro, che la Signoria attendesse pur a [403] esser gaiarda contra el Re, che lui anderia dove a quella piaceva, o in Ancona, o altrove; ma dubitava a hora di promover questo, perchè li Cardinali tutti volevano ritornar a Roma, maxime non havendo paura dil Re el qual andava a Pisa; et era contento Soa Santità al bisogno etiam lui aiutar la liga con le censure, et altre cosse necessarie. Conclusive dil Papa non si temeva alcuna cossa, et era fermo in opinione.

El Re de Franza in questo mezo non restava de tentar tutte le vie et modi per tirar qualche uno con lui. Prima con Zenoesi, promettendoli gran cosse, ma non potè far. Or con Fiorentini, et benchè li desseno el passo, pur vedeva haveano contra di lui mal animo, et non vi volse andar a Fiorenza. Con Bolognesi, però che, havendo habuto Bologna, Ferrara era con lui, et al suo piacer poteva venir fino sul Polesene di Ruigo et in Padoana non havendo habuto contrasto; ma Bolognesi non li volse dar nè passo nè vittuarie, imo el suo secretario de Bologna, el magnifico Joanne licentiò, dicendoli: dite al Re non solum è per non haver quello el dimandava, ma venendo di qua provereti le nostre arme come le tagliano; el qual secretario nel venir gioso dil palazo di Signori su la scala usò assà bestial parole. Ma el Re non potendo far quello el desiderava, terminò venir a Pisa et a Pontremolo; et a dì 23 aviò el suo exercito da Pisa a Poggibonzi, loco de Fiorentini, mia 12 da Siena, 18 da Fiorenza et 28 da Pisa, situado sopra strade di le qual si pol andar e a Pisa e a Fiorenza, et però non se intendeva ben dove volesse andar. Ma per lettere di Perosa se intese havia aviato li soi cariazi cargi de spoglie et di gran valuta per numero zerca X milia some, benchè Franzesi dicevano molto più, che dil Regno di Napoli et quasi di tutta Italia, eccetto il tenir di la Signoria, riportavano in Franza. Queste eran aviate verso Pisa, dove poteva parte cargarle su la soa armada, era zonta al porto de Livorne, et parte menar con sì per terra. Li qual cariazi haveno mal fin, come dirò di sotto; et però avanti el dì de l'ultima partita un beato chiamar non si conviene, sì che la fin fa tutto. Et cussì come nel principio el Re de Franza prosperava et era fortunato, cussì da poi li venne assà cosse contrarie, et però si puol (dir) exitus acta probat. Sed de his satis.

L'exercito veramente nostro era radunato a Seniga sora Oio, et continuamente zonzeva condutieri et fanti. Et a dì 15 Zugno el marchexe de Mantoa governador con cavalli 500 ivi zonse, et fo ricevuto da Marchiò Trivixan provedador, honorate molto. El sig. Redolfo so barba, et Phebus di Gonzaga so cusino veniva de indi [404] con il resto di le zente. Jacomazo da Venetia capetanio di le fantarie ivi era venuto da Perosa; le mostre el provedador voleva fosse fatte avanti passasseno di là da Oio. Et Daniel Vendramin pagador con danari da far la paga, a dì 18 Zugno, fo el zorno dil Corpo de Christo, in campo zonse.

El ponte sora Oio, era fatto su burchiele lì a Seniga, passa alla Bina sul territorio dil Duca de Milan. Demum uno altro per el Duca era fatto sora Po, in uno loco ditto la Giara; sì che, passato Oio, l'exercito era sul Cremonese. Or zonto el Governador in campo, scrisse a la Signoria come havia diligentemente col provedador Marchiò Trivixan examinato sì l'exercito quam el passar; et havia ordinato el modo dil campo, desteso trabache et pavioni (padiglioni) a la campagna, et fatto li cai di colonello, et che se ritrovava fino quel zorno cavalli 5500 et zerca pedoni 6000, il resto cernide et guastadori, schiopetieri etc. Et come era zonti in campo fanti 1299 (sic) da Bergamo, fatti et pagati per quella comunità, mandati ivi per Marco Sanudo podestà et Alvise Mudazo capetanio de Bergamo. Per lettere di qual rettori, la Signoria fo certificata dil ben voler de Bergamaschi, et de questo numero parse al provedador o vero capetanio di le fantarie di tenir solum 800, el resto mandono indrio a Bergamo. Et che mancava zonzer alcuni condutieri. Et col nome del Spirito Santo, a dì 19 ditto comenzerebbono a passar Oio le zente d'arme, però che za di fanti 6000 erano di là passati, et che li soldati dimostravano volonterosi di apizarse con Franzesi, et haveano habuto la paga. Et inteso questo, fo scritto in campo statim dovesseno solicitar el passar, et publicar tra soldati come el Re venia con assà richeza; et li mandono le copie di le lettere, che de li X milia cavalli de cariazi che menava con lui advisava, a ciò lezesse publice al provedador in campo per inanimar le zente andasse con bon cuor a tal butini. El campo se andava per zornata ingrossando. Sguizari o vero Elemani, fatti in terra thodesca per Zuan Dolce, za per Roverè ne erano passati 300 che veniva. Nicolò Savorgnan con li 1000 provisionadi de Friul era partito de Udene; et a dì 20 si era a Vicenza Cazanderle thodesco ne havia 500 a Mestre, aspettava tre zorni el resto. Paris di Lodron, al qual se ritrovava Francesco da la Zudeca, soldava provisionadi a ducati 3 al mexe, Lionello dal Nievo et altri. Et in questa terra fo fatto a dì 21 ditto X altri capi de provisionadi, li qual saranno qui nominati[133].

[405]

Et cussì a tutti fo dato danari, a ciò andasseno a far li fanti. Et fo decreto nel Senato che le zente di Romagna venisse a conzonzerse con l'exercito in Parmesana, perchè el Re, facendo la via di Pisa, non era più bisogno de custodia in Romagna; et solicitato Piero Michiel facesse cavalcar el signor di Rimano etiam lui in Parmesana. Et a dì ditto, Marchiò Trivixan provedador volendo andar dove habitava el Governador per consultar de passar, el qual passar non pareva al ditto Governador, dubitandose etiam per andar in paesi alieni, licet el Duca de Milan fusse suo cugnato; et esso Governador fo più presto, et venne a trovar ditto provedador, et erano alcuni condutieri. Et ivi Marchiò Trivixan comenzò, come la Illustrissima Signoria per la fede vedeva et conosceva era in la sua persona, lo havea eletto Governador dil suo exercito a tanta impresa, et reliqua, che longo saria a scriver tutte le parole. Et el Marchexe rispose, ringratiando la Signoria Illustrissima di la bona opinione havia fatto di lui, promettendo di farla esser certa di la fede si tempo acadeva, et che voleva li fatti fusse quelli la dimostrasse, et le opere sue, le qual per zornata si cognosserebbe. Et poi el conte Ranuzo del Farnesio, uno di primi nostri condutieri, havia cavalli 600, disse che, per amor portava a la Signoria Serenissima, l'era contento de portar ogni honor, et recever ditto Marchexe per suo capo, et tanto più quanto saria el consiglio dil sig. Redolfo expertissimo nel mestier di le arme. Et questo medemo disse el conte Bernardino Fortebrazo et altri principal condutieri. Et poi el Governador fece alcuni editti in campo, ut mos est; et el sig. Redolfo andò di là di Oio a la liziera a sopraveder el ponte, dove el comissario dil duca Francesco Bernardin Visconte havia fatto far sopra Po; et explorato el tutto, ritornò in campo, et si preparavano a dover passar Oio con tutto l'exercito.

A dì 20 Zugno venne lettere di Fiorenza di Piero Dolfin zeneral de Camaldole narra de l'intrar dil Re, di successi de Siena, et a dì 17 era partito et venuto ad alozar a Pogibonzi, poi a dì 21 ditto intrò in Pisa, come dirò di sotto, et che era stato con molti di primi di Fiorenza, i quali non volevano far altra novità contra el Re al presente per esserli molto vicino, et vedevano la liga far le provision pegre, et non era altri che Venetiani facesseno nulla, et però volevano cercar di star in paxe col Re, cercando de plano de haver li soi luogi; tamen che non daranno aiuto di zente a esso Re. La qual cossa fo mal fatta, et Fiorentini ebbeno mal consiglio; che si havesse aderido a la liga, al presente havendo fatto le provisione [406] come havia in Fiorenza, saria stato buono per loro, et tutte le sue terre havia rehabuto. In questo zorno venne lettere da Brandizo di 6 dil mese dal capetanio zeneral, narrava ritrovarse con galie 25 ivi, et che a dì 3 era zonto Bartolomio Zorzi provedador di l'armada con la galia, soracomito Nicolò Corner, benissimo interzata et in ordine, et do altre di Candia; et che juxta i precepti manderia uno provedador in l'Arcipelago, tenendo solum 20 galie. Che Piero Bembo soracomito nostro non era ancora ritornato di Messina, et pregava la Signoria non volesse lassar quella armada lì a quelli scogi involirse, et però che ancora non havia habuto la licentia dil romper, et che quelle rive di Puia erano volonterose di non star più sotto Franzesi nè ritornar sotto casa di Aragona, ma darse a S. Marco, et che queste terre si teniva in Puia ancora per el Re de Franza, aspettando però vi andasse qualche uno a tuorle, zoè Manferdonia, Monopoli, Barletta, Trane, Molfetta, Bari, Leze et assà altre. Item che don Cesare in Brandizo havea ubedientia poca, tamen l'esser di l'armada havea confortati quei populi per re Ferando.

A dì 21 ditto da mattina andò in Collegio da la Signoria Cazanderle thodesco dicendo: Serenissimo Prencipe, l'è 9 zorni che manco di qua, et ho 400 schiopetieri et 600 fanti; ordini Vostra Serenità dove li piace faci la mostra, et volentiera l'arebbe fatta in questa terra. Et fo ordinato la facesse a Mestre, et andasse di longo in campo. Et lui disse: si ne volete altri 2000, datime 2000 ducati, et li anderò di subito a far. Et in questa matina medema feceno li capi di provisionadi et fanti per Collegio, sì come ho scritto di sopra, et questo perchè el Duca de Milan havia mandato a dimandar nel nostro campo 500 fanti per mandarli con 500 soi a Zenoa, havendoli richiesti Agustin Adorno governador, et cussì fo scritto al provedador in campo dovesse mandarli, et per questo fo fatto questi altri fanti.

In questo zorno a nona zonse lettere di 19 da Perosa, come el Re a dì 15 havia fatto consignar a uno messo dil Papa el dominio et fortezza di Civitavecchia, et quelli custodi franzesi ivi erano montò su con loro robe, et de lì se partino; etiam Teracina rendette; et che ancora se ritrovava a Perosa el cardinal Sancto Dyonisio, con l'altro episcopo ambassador dil Re de Franza; et che ditto nostro orator havia molto exhortato el Pontifice non ritornasse cussì presto a Roma, ma venisse in Ancona, juxta la intention nostra; ma al tutto, a dì 22 si voleva partir et ritornar a Roma. Et [407] che el zorno avanti, fo el dì dil Corpo de Cristo, ivi fo fatto solenne processione; et in quel zorno di 19 havea fatto concistorio, et terminato al tutto tra reverendissimi Cardinali de ritornar con la Corte a Roma, et non andar a Foligno nè altrove, ma venir a Orvieto et alla distesa a Roma. Et che Colonnesi con Orsini, zoè le parte in Roma, fevano qualche novità insieme, et essendovi la Corte se remederia a molte cosse. Et dil Re, havendo tolto la volta di Pisa, più non temevano. Item che don Gracilasso di la Vega orator yspano havia habuto lettere, come XV barze de Spagna, di l'armada era a Messina, veniva a la volta de Livorne per andar a Zenoa, a ciò Zenoesi stesseno saldi. Item che l'armada de Franza, partita de Napoli, era zonta a Pisa sì come ho scritto di sopra, dove era l'altra soa armada de legni numero XV, venuta de Provenza; tamen la verità fo tutta una sola armada.

A Milan el Duca feva batter monede a furia, et diceva voleva andar in persona a recuperar Novara e tuorli li ponti et acamparse a la terra; tamen che intendeva in Aste si aspettava el Duca de Borbon con assà zente franzese veniva in soccorso et aiuto dil Duca de Orliens. Item che Sguizari 700 dil Re de Romani erano zonti a Como, et veniva nel suo campo, solicitava molto a far passar l'exercito in Parmesana avanti el Re vegnisse a Pontremolo; et che el suo campo a l'impresa de Novara era homeni d'arme 700, et 80 homeni d'arme era a custodia de Alexandria di la Paia, el resto Sguizari provisionadi e fanti a presso persone X milia, et con desiderio aspettava li Stratioti; et che 'l Duca li havia mandato ducati 500 a ditti Stratioti per quello ducato de più volseno, et non volevano passar a Crema, a ciò fusse presti; et desiderava venisseno per poter mandar a dar el guasto a Novara et Aste a li formenti erano in campagna et za erano maturi, a ciò Novaresi non li accogliesseno et havesseno vituarie da tenirse; et intendeva in la terra esserne poche, et per zorni XV, et che 'l Duca de Orliens voleva uscir con le so zente a la campagna vicino al so campo. Et madona marchesana de Monferà, essendo in amicizia col Stado de Milan, havia fatto romper uno ponte chiamato di la Siesa, sora l'acqua di la Siesa, a ciò per quella via non potesseno ritornar nè haver soccorso di Aste. Et cussì zercava esso duca Ludovico de tuor li passi, et poi assediarli in Novara, benchè molto se dubitava dil Re non venisse a conzonzerse insieme con tutti do campi dil Re et Duca di Orliens. Et però faceva pressa a la Signoria, l'exercito andasse in Parmesana. Sguizari veniva per zornada, ita che haveria 2000 [408] Elemani nel suo campo, et che havia lettere da Zenoa quelle cosse passavano bene, et era uscito di Zenoa le 9 galie et do nave armade, et andate verso Portofin contra l'armada franzese; et questo istesso se intese per lettere di 19 da Zenoa dil governador drizate a la Signoria. Et a ciò la verità de quelle cosse se intenda, a dì 22 ditto nel Consejo di Pregadi fo decreto che Zorzi Negro, era secretario a Milan, andar dovesse a Zenoa subito, et ivi star exequendo quello li sarebbe comandato; et ancora vedendo come fino a dì 20 l'exercito non era passato Po, et che 'l Governador pur have qualche rispetto a passar, unde, disputato inter Patres, a dì 22 ditto, che al tutto dovesse passar, perchè el Re sollicitava di venir a Pontremolo, come scriverò de sotto.

In questa notte di 22 Zugno, Agustin Barbarico prencipe nostro, di alcuni dolor colici gravemente si amalò con agitation di febre, et a hore 8 scrisse a Padoa li fusse mandati li medici lezevano publice ivi, zoè M.º Zuan da l'Aquila, et M.º Hieronimo di Verona. Et cussì a hore 20 el zorno driedo fonno qui, et curono Soa Serenità di tal egritudine in brievi zorni. Pur la terra se doleva di la sua absentia in collegio in tanti bisogni et necessità di la Republica, et in tanta rerum perturbatione. Et questo mal li venne da tanti strachi, perchè non cessava mai di faticarse, la matina in Collegio, da poi disnar audientia, Collegio, Consejo di X, Pregadi o Gran Consejo, adeo non havea una hora de riposso, et voleva far tutto; tamen piacete a Iddio di presto liberarlo, et fo sanato.

Essendo sta preso in Pregadi una parte, de vender tanto Monte Nuovo per ducati 50 milia de boni danari, a ducati 75 el cento, zoè di quelli erano debitori di decime, et che fusse li ultimi danari de ditto Monte Nuovo francati da la Signoria, perchè, compito le guerre, vanno difalcando ditto Monte Nuovo; et fo confermata a dì 21 nel Mazor Consejo. Or a dì 22, per Alvixe Loredan era a le Cazude, fo fatto principio a scuoder ditti danari, et era uno miracolo le persone erano ivi con sacheti de ducati et monede per depositar. Et el primo zorno scrisse ducati 32 milia, et restò ducati 18 milia, et in do carte dil so zornal solamente, et ancora ne avanzava più de 100 milia, tanto era le persone volevano depositar, sì che è da considerar per questo, esser in questa terra assà danari, perchè tutti questi erano di vedoe, scuole, pupilli etc., et non de richi nè mercadanti. Et havendo scosso di più dil dover ducati 12 milia, unde vedendo questo modo facile de trovar danari, el Collegio detteno licentia dovesse tuor ancora fino a la summa de 40 milia ducati, [409] ma non con el dono de tanto per cento, sì come li primi; et fo sospeso la parte de li arzenti in zecca, et era termene zorni XV a depositar questi danari; et in do zorni fonno expediti. La utilità era solum a raxon di ducati 6½ per cento, sì che fo una bella invention a trovar danari, senza angarizar li cittadini. Fo ancora provisto, tutti queloro erano tansati a pagar a li governadori per tutto el mexe, dovesseno pagar senza pena; et questo feceno per dar comodità a li botteghieri et arte; ma passato el mexe, pagasseno poi con la pena.

A dì 22 ditto fo retenuto per el Consejo di X uno Joan Martinis, cathelano di Barzelona, el qual era venuto pochi zorni avanti in questa terra, partito di Roma avanti el Re v'intrasse, et el Papa se spartisse. Questo andava vestito assà bizaramente per Rialto, con gran seguito de Patricii et altri, perchè lui publice rasonava molto di queste guerre et perturbatione de Italia, dicendo era stato con XVI Re, 4 Pontifici, 70 Cardinali et con molti Re et Signori havea grande familiarità, come era il vero, per esser faceto, era di bon parlar, mostrava haver gran inzegno. Or dubitando i Cai di X non fusse spion, con bel modo fo mandato per lui dove alozava, a caxa di alcuni spagnoli, dicendoli venisse a parlar col Prencipe. Et, venuto, fo retenuto et collegiato, et tocò a questi: Francesco Foscarini da San Lorenzo conseier, Lorenzo Venier cao dil Consejo di X, Lunardo Grimani Avogador de Comun, et Polo Trivixan kav. inquisitor dil ditto Consejo. Et andati in quel'hora in camera, et examinato, et cussì la mattina cognossendo non esser in dolo, a dì 25 ditto fo lassato, admonendolo non parlasse più de Stadi. Questo stete alcuni zorni in questa terra, poi si partite.

In questo zorno venne lettere di Spagna di 29 Mazo da Burgos dove era el Re, et se intese la nova di la morte dil Re de Portogallo non esser vera, imo stava benissimo; et che in Spagna se feva preparamenti a la guerra, et che rompendo nostri di qua loro romperiano di là.

Ancora zonse lettere di Elemagna, de li oratori nostri al Re de Romani, di 12 di l'instante, narra come la dieta non era ancora compita, et che era capitoli 120, de li qual mancava 40 a consultar, tamen li più facili; et di brieve saria expedita. Et compita, el Re faria pensier de vegnir in Italia, et voleva mandar el Duca de Saxonia con 500 cavalli et pedoni in Italia in aiuto di la liga, et za erano partiti do soi capetanei per venir a la volta de Milan; uno chiamato d. Sigismondo Belsperger, l'altro d. Federico Chapeler, i quali fevano [410] el camin de Cuora. Item che tutti Sguizari erano venuti a Milan, havendo stipendio dal Duca et non dal Re de Romani come si judicava, sì che poco aiuto ebbe la liga da Maximiano. Item come esso Re et quelli consultori, havendo trovato un modo de haver ducati 800 milia con picola angaria universal in Elemagna, et ditta quantità haveria questo anno, sì che, havendoli, porà venir in Italia.

Da Bologna venne lettere come el magnifico Johanne Bentivoi era fermissimo in far ogni cossa, non atendendo a quello li mandava a dir el Re de Franza; et suo fiul Hanibal con la sua conduta era in ordene de partirse a dì 27 et vegnir in Parmesana, et cussì etiam li Stratioti 500 et le zente di Romagna vegneria in Parmesana, et non havea ivi più bisogno; tamen intendeva in Bolognese dovea vegnir alcune squadre franzese; le qual venendo, esso magnifico Johanne medemo voleva andar a investirli; et per tutta Bologna se cridava: Marco! Marco! Al contrario de quello fevano Ferraresi, i quali usavano stranie parole contra nostri, come per lettere del Vicedomino se intese. Item è da saper che Stratioti erano lì in Bolognese alozati in una pianura a presso Castel San Piero sora una acqua chiamata la Scheza mia 12 lontan da Bologna, et ivi steteno 13 zorni. Hor habuto lettere, Piero Duodo provedador di la Signoria dovesse quelli condurli in Parmesana, unde subito montò a cavallo, et con li Stratioti numero 800, a dì 21 Zugno intrò in Bologna, et fo honorifice ricevuto con grande alegreza di la terra. Et in questo medemo zorno li altri Stratioti con Bernardo Contarini intrò in Milan, come dirò di sotto. Et est mirum che in le terre cussì fatte, como Milan et Bologna, uno die, varietà de Stratioti intrasse in le ditte città, e tutto el populo de Bologna corse a vederli, et, fato la mostra, ricevuto le paghe, veneno verso Parmesana el zorno da poi, non havendo fatto alcun dispiacer dove erano stati; et Bolognesi se laudavano.

Adoncha a Milan, a dì 21 ditto, zonse Bernardo Contarini con Stratioti numero 635, et con gran fatica li condusse, et se partì de Crema, però che volevano dui ducati de più per uno; et el Duca li mandò a prometter ducati uno de più, sì come scrissi di sopra; ma Stratioti non volseno promesse ma danari; et fo necessario a Bernardo Contarini loro ductore impegnar li soi arzenti per darli quel ducato de più per uno, et haveno la paga a Crema, et se partino insieme con quattro siniscalchi dil Duca erano venuti a solicitar la soa venuta, et partì da Crema a dì 21 ditto, veneno mia X ad alozar a Lodi, et benigne dal commissario de Lodi fo ricevuto, offerendose [411] da parte dil Duca; poi, disnato, se partino a hore 18, et a le 22 hore introno in Milan, che era mia 20, et zonti a presso el borgo, li venne contra quatro de primi dil Duca con do nostri patricii erano andati a veder quel campo, zoè Piero Bragadin et Homobon Gritti, et in tutto el borgo era pien de populo venuto a veder Stratioti a loro inusitati et novi a vederli. El Duca et la Duchessa montono a cavallo con la soa Corte et veneno su la piaza per veder ditti Stratioti, et fece gran carezze a Bernardo Contarini; et volendo quello tuor licentia, el Duca li fece dir havia a caro Stratioti corresse un poco. Et cussì fo fatto correr con le lanze et maze de ferro con gran piacer dil populo. Poi andò a li alozamenti nel barco, dove era preparate tavole a torno per dar a manzar a li Stratioti; et Bernardo Contarini alozò in caxa di l'orator nostro; et poi el zorno driedo a hore 4 di notte se partì per andar a Vegevene insieme con li do patricii sopra nominati con grandissima pioza, che arivò a hore 18; li venne contra el capetanio sig. Galeazo di San Severino et sig. Fracasso et Antonio Maria di San Severino, el sig. Nicolò da Corezo, el conte Hugo di San Severino, el conte Scaramuza di Visconti et altri cortesani, et con gran festa receveteno Stratioti et acompagnò Bernardo Contarini fino al suo alozamento nel borgo de Vegevene. Et el campo franzese era za venuto in campagna, alozato tra questi lochi... nel qual, come se divulgava, era homeni d'arme 350, arzieri a cavallo 1000, cavalli lezieri 1000, et fanterie zerca 8000, et scorsizavano prima fino a presso Vegevene. El campo duchesco, come per lettere dil preditto Bernardo Contarini se intese, era homeni d'arme 800, fanterie 3000, cavalli lizieri 100 et li nostri Stratioti; i quali zonti detteno gran reputatione a ditto campo; et Franzesi si hebbeno paura. Ancora aspettava 3000 Elemani, et a dì 23 ne zonse 400 benissimo in ordene.

In Novara era gran carestia, et el Duca de Orliens volse metter una angaria dil sal a li populi de Novara; ma Opizin Cazabianco, fo quello lo havea introdotto dentro, li disse: Signor, non far, per non te tuor el populo nemico; et cussì non fece altro. Tamen se intendeva era volonteroso de poner angarie a Novaresi, et el Duca de Milan feva al presente el contrario; usava umane parole a li cittadini, et fece uno editto, che tutti quelli che conducevano in termene di 3 zorni vittuarie in Milan, zoè vini, formenti, et altro, potesseno portarle senza pagar nè dacio gabella nè intrada. Et questo fece a ciò vittuarie fusse menate in Milan per quello poteva occorrer, havendo i nemici propinqui; i quali in questi zorni preseno do [412] lochi dil Duca preditto vicini a Novara, chiamati Villa nuova et Caxicol, non però molto da conto, et si reseno a patti. Et benchè non sia a proposito pur qui voglio scriver, che uno maistro Ambrosio de Rosate, medico et summo astrologo dil Duca de Milan, dal consiglio dil qual el Duca nunquam se parte, imo tutte le sue cosse fa per hora astrologica data per ditto maistro Ambrosio; et è mirum quid la fede li presta. Or questo disse al Duca, come a dì 29 Zugno el Re de Franza harebbe una gran rotta, la qual cossa poco radegò; che a dì 6 Luio seguite la battaglia, et fo fugato dal nostro exercito, come scriverò di sotto.

A dì 23 ditto venne lettere di Marchiò Trivixan provedador in campo, date di là di Oio; et se intese come la Domenega passata, fo 21 dil mexe, col nome de Christo le zente d'arme havia dato principio a passar Oio, et alozati sul Cremonese in uno loco ditto Larzira, eran squadre 55 et fanti 5000; et che 'l provedador Pisani non era ancora zonto in campo, et el Governador con alcune squadre non era passato e temporizava de passar, aspettando el resto di le zente, perchè el campo se ingrossasse più; le qual zente di hora in hora zonzeva, et non solum li soldati stipendiati, ma etiam molti altri senza alcun stipendio, per far vadagno et per aquistar fama, a loro spexe andono in campo, et questo per li gran butini conduceva con lui el Re de Franza. Adoncha el campo nostro a dì 22 seguite tutto a passar Oio lì a Seniga, el Governador et Provedador con tutto el resto, et andono a la riva de Po dove era fatto el ponte per el Duca de Milan de sotto de Cremona zerca mia 5, et fatto in quel zorno mia 28, zoè perchè la riva de Po è mia 22 di Oio, et Fontanelle di là di Po, dove andono ad alozar, è mia 4; et cussì el Governador volse in quel zorno passar etiam Po. Et mentre passavano l'exercito, el Provedador notificò di questo la Signoria; et come el conte Ranuzio del Farnesio et el conte Bernardin Fortebrazzo erano con le loro condute benissimo in ordene andati un poco avanti di là de Po degli altri, et volevano andar a trovar el Conte de Caiazo a Pontremolo per essere più presto loro ivi che 'l Re, et che haveano ditto, si sarebbono avanti el zonzer de Franzesi, sine dubio prometevano al Governador di haver vittoria. Di la riva di Po a Pontremolo, era mia 40 et più. Et che tutte le zente andavano molto vigorosamente per causa di haver li cariazi dil Re, come speravano. Et poi, a dì 28 per lettere di 25 da matina, nostri fo certificati come per tutto quel zorno harebbe l'exercito passato, andando più propinquo a Pontremolo che podesseno, et che erano cavalli 6000 et 6000 [413] fanti, aspettando con desiderio le zente di Romagna et li Stratioti, et che 'l Conte de Caiazo havia mandato a dimandar 600 fanti, parte per meterli a quelli passi di Pontremolo, parte per mandar a Zenoa; el qual li havea mandati. Et che esso Conte, per quanto intendeva, non havea più di 7 squadre. Adoncha la Signoria nostra bisognava esser et fusse quella che a tanta impresa et a Franzesi con il suo exercito ostasse.

Et da Milan in questa matina di 23 ditto venne lettere scritte di 20 di Zenoa, che a dì 19, zoè el zorno avanti, acadete a la Speza, ch'è una forteza su quella riviera, che venendo 500 cavalli et 200 fanti di quelli erano a Pietrasanta, Serzana et Serzanello, pur de Franzesi et sequazi dil Re, insieme con Alexandro de Campofregoso, fiul secondo dil Cardinal di Zenoa, però che 'l mazor, chiamato Fregosino, era preson in Aste con taia de ducati 8000, come ho scritto di sopra; hor ditta zente, havendo qualche intelligentia con la soa parte, contraria de quella al presente domina Zenoa, veneno per tuor ditta fortezza, la qual era ben custodìa, ma non potè haver effetto loro disegni; imo li custodi fonno a le man con quelli, et li rebatete, morti zerca 40 cavalli. Et questo fo segno di la fede de Zenoesi. La qual Speza è lontan di Zenoa mia 60, et cussì tornono senza haver operato nulla. Et ivi, tra la Speza et Porto Venere, era di Zenoesi nove galie et do nave armate con li danari nostri et de Milan. Et, seguito tal cossa dil rebater de li nemici a la Speza, el Governador et comissario dil Duca advisò a Milan, et cussì per lettere di l'ambassador nostro di 21 a hore 16 se intese, et zonto qui a nona, et che Zuan Alvixe dal Fiesco, fratello di Obieto prothonotario, era in Zenoa, havia scritto al Duca voleva esser fidelissimo, et Soa Excelentia non dubitasse per esser suo fratello col Re de Franza; et se divulgava el Re voleva mandar mons. di Brexa con alcune zente contra di loro; li qual se difenderiano gajardamente. Et el Governador dimandò 500 Sguizari et 1000 fanti; et questo perchè dubitava di certo passo, et però voleva ponerli custodia. Et el Duca scrisse in campo, vi andasse 500 fanti. Et el provedador, parendoli haverli dato assà, scrisse a la Signoria che era mal desminuir le forze di l'exercito. Pur deliberò che Piero Schiavo contestabele, a dì 27 ditto, de campo se partisse, et andasse a la Speza, mia 30 lontan de lì: tamen, per quello successe poi, non andò.

A Bologna lettere continuamente zonzeva di la vera fede dil magnifico Joanne Bentivoi et Bolognesi, el che 'l Re havia mandato [414] da Pisa lì uno messo a dimandar consejo a esso Bentivoi, qual via havesse a tenir; et che gajardamente li havia risposo che dovesse pacifice amicarsi con la Illustrissima Signoria et Stado o vero Duca de Milan: conclusive, che Bologna era prontissima a far ogni cossa contra Franzesi, et el secretario nostro ben visto et molto carezato.

A Ferrara el Duca, vedendo el grande exercito preparava la Signoria, dubitando che, compito ste cosse de Franza, non fusse quello havesse a patir danno per li portamenti soi cattivi, in questi zorni scrisse a suo zenero Duca de Milan, come, vedendo la tyrania dil Re de Franza usata in Italia, maxime a Siena, et metter di lochi di la Chiesia a sacco, era disposto di darli ogni aiuto, et li prometteva mandar in campo, per recuperation de Novara, homeni d'arme 100 dil suo, et bisognando anderia in persona in campo contra esso Re, et che non dubitasse non li daria passo nè vittuarie, tamen non era da fidarse. Et pur el presidio nostri teniva sul Polesene mai volse cavarlo, dubitando esso Duca non facesse qualche novità; et ben che 'l promettesse di esser contrario al Re, pur so fiul don Ferante era con ditto Re. Et quello fece a tempo della battaia, lezendo intenderete di sotto. Et pur se divulgava li daria passo per la via de Grafignana vicino a Lucca, dove el Re se trovava. Et intendendo questo, el Duca mandò per Zuan Francesco Pasqualigo dottor et kav. vicedomino nostro lì in Ferrara, dicendo come l'intendeva de qui se diceva le tal parole, ma che la Signoria non dubitasse di alcuna cossa, che mai li daria passo nè niun aiuto, imo, volendo nostri, si armeria, cossa che za havia deliberato più de non exercitar; et che lui et le sue zente offeriva a comodi di questa Illustrissima Signoria, di la qual voleva esser bon fiul.

Per lettere de Fiorenza se intese che li oratori loro erano stati dal Re de Franza, et tornati, et che 'l Re non era voluto venir in Fiorenza, ma andò a Pisa, havendo però fatto quelle novità in Siena. Et che havia privato el Sig. de Piombino, era capetanio de Senesi, dil suo soldo, et Zuan Savello, el qual havia con Senesi 200 cavalli et 20 balestrieri etiam privò di la conduta, dicendo a Senesi non bisognava tener zente d'arme nè altra fantaria; et che la spesa facevano in ditte zente d'arme, che era ducati 20 milia a l'anno, voleva desseno ditta quantità a suo cuxin, mons. de Lignì, el qual custodirebbe quella città, et che 'l dominio fosse di loro Senesi come prima.

A dì 25 Zugno, fo el zorno di la apparition de San Marco, Hieronimo [415] Zenoa capetanio de Rialto, el qual fo fatto capo de 300 fanti, come scrissi, a hore 12 su la piazza de San Marco fece la mostra di la soa compagnia benissimo in ordene, tolti tutti di questa terra; et fece uno fatto d'arme tra loro, che fo bel veder; et era assà zente. Et el zorno da poi partì et andò a Padoa, poi verso el campo nostro.

Ancora fo mandato Alvixe da la Polvere, maistro di bombardieri, con zerca 200 in campo, per conzar le artiglierie su li cari era preparati a Verona et Bressa con passavolanti.

In questo medemo zorno zonse una fusta di Brandizo, di l'armada, la qual ancora non havia habuto le lettere col mandato de romper, ma ben se judicava, per esser stato boni tempi, hozi saria zonto ivi. Et per lettere di 18 dil mexe se intese, come a dì X havia mandato el capetanio zeneral, juxta i precetti, Bartholomio Zorzi provedador con do altre galie, zoè Marin Dandolo et Antonio Loredan soracomiti, a la volta dil Arcipielago, per custodia di quelle ixole, con comissione potesse retenir tutte galie scontrava, zoè quelle se armava in Candia, et quelle tre erano in Cypro et veniva verso Brandizo, soracomiti Zorzi Gabriel et Cabriel Barbarigo; in tutto saria galie 14. Et etiam li avia dato expresso et amplo mandato, potesse retenir ogni navilio, come a lui pareva, per ingrossar l'armada, sì che ditto provedador era partito, et lui rimasto con 20 galie; et a ciò el tutto se intenda, qui sotto sarà scritto el numero di l'armada nostra, et li soracomiti rimaseno col zeneral, et quelli fonno col provedador in Arzipielago, per dubito di l'armada dil Turco. Item come era ritornato Piero Bembo di Messina, et havia portato lettere di Ulixes Salvador, date in Messina a dì X de l'instante, la copia di le qual mandava a la Signoria; la substantia di ditte qui sarà descritta. Primo, come a dì do di questo era partito de lì el re don Alphonso, per andar ad habitar a Monreal lontano di la città di Palermo mia 4, nel qual loco voleva far la soa residentia, fino che a Dio piacerà, et con lacrime et poca fameglia se partì. Item come era molti mesi che de lì arrivò el Conte de Trivento, capetanio zeneral dil Re et Raina di Castiglia con barze et caravelle 22. Poi a dì 26 dil passato ne zonse, barze et caravelle di le preditte Majestà, numero 39, et con quelle cavalli zanetti 500, et pedoni 1500; et el zorno sequente ditti cavalli et pedoni furono discargati a Rezo in la Calavria, et fin qui l'armada non ha fatto nulla; ma questa notte partirà per Napoli: sarà barze et caravelle numero 55, et galie sottil de Ferando numero 12. De qui se divulga, apresentati che saranno nel colfo de Napoli, rehaveranno la terra. Et a dì 4 de l'instante, el re Ferando [416] con so exercito assaltò le zente dil Vicerè de Calavria franzese, et durò la battaglia zerca hore 6; Ragonesi et Casigliani fonno vincitori; presi cavalli zerca 40, pedoni 200 tra morti et presi. È stato per questo illustrissimo sig. Vicerè comandato a tatti li baroni et feudatarii di questo Regno, che siano per li XV di questo mese con cavalli et arme che sono obligati, et saranno zerca 1200, i quali si dice dieno passar in Calavria a l'acquisto dil Reame et fo fatto el comandamento molto stretto, con gran pene et perdition di loro baronie. Questi Re et Raina de Napoli hanno pochi denari, et mandò in questi zorni a Roma et a Zenoa molte zoje per esser serviti sopra quelle de danari. L'è venuto de qui Piero Bembo soracomito; tutti se ha maravigliato di la galia soa era benissimo in ordene, et de qui hanno più speranza in la Illustrissima Signoria, mediante li Stratioti et l'armata marittima, di la recuperation dil Reame, che di nulla altra potentia. Et questo è quanto si conteneva in ditte lettere. Or el capetanio zeneral comesse et ordinò a Piero Bembo preditto, che dovesse deponer quello havia visto in Cicilia; et cussì deponete; et quello depose sarà qui sotto scritto. Scrive etiam el capetanio che Brandizo non era cussì fermo ne la fede dil suo Re, come doveria; et che don Cesare dubitava non facesseno qualche novità li cittadini; et che a dì 13 era partito de lì la Prencipessa mujer de don Fedrigo, montata su do nostre galie, per andar a Otranto a governo di quella terra; et che l'armada pur stava a uno scoglio senza far O, et le zurme erano volonterose de far qualche cossa.

Relatione de Piero Bembo soracomito al Capetanio zeneral de quello fece in Cicilia.

De comandamento dil magnifico misser Antonio Grimani provedador capetanio zeneral dignissimo, depono io Piero Bembo soracomito tutto el successo de l'andata mia a Messina, de comandamento de Soa Magnificentia. Et prima dico che 'l partir mio de qui fo a dì 2 Zugno; et a dì 4 a hore 22 zonse in Garipoli et lì fece licenziar do navilii cargi de fomento de rason dil magnifico misser Andrea Bragadin; tamen el governador de ditto loco de Garipoli me disse voler tuor certa quantità de ditto formento per bisogno di la terra, et quello pagar cortesemente; la notte poi, che partì. Et a dì 9 ditto, a hore 8 di zorno, zonse a Rezo, nel qual loco trovai el prencipe don Fedrigo con un'altra galia in conserva et immediate feci calar et sorzer, et andai in terra a far reverentia; el qual molto [417] mi accarezette, et intrato in la casa con Soa Signoria mi tenne per spacio di una hora a rasonar de diverse cosse. Da poi le zeneral offerte et congressi, domandai a Soa Signoria dove se trovava la Majestà di re Alphonso et Ferdinando. Me rispose: don Alphonso esser partito de Messina con 3 galie et andato a Palermo, et la Majestà dil re Ferdinando esser passata da Calavria in una terra chiamata Semenara, lontana da Mexina mia 12, la qual novamente si havea resa a Soa Majestà, et lì era passato con cavalli 1000 di zente d'arme benissimo in ordene, fra li qual ne era mandati di Spagna con l'armada ultimamente venuta, per la Majestà dil Re et Raina di Castiglia; et ancora haveranno fanti 4000, fra li qual ne erano 1500 pur mandati de Spagna per la Majestà ut supra; li qual cavalli et fanti, per quanto io ho possuto intender, erano benissimo in ordene et zente fiorita. Et ancora come el Marchexe de Pescara, el qual se trovava in campo con Soa Majestà, era sta a le man con certe zente di la Majestà dil Re de Franza, et ha tra morti et presi da persone 400, a presso a una città nominata Terranova, lontana mia 12 dal ditto loco de Seminara fra terra, ne la qual feva residentia del Vicerè (del re di Francia). A presso intesi da Soa Signoria, come de contento di la Majestà di re Ferando, el Marchexe de Pescara era sta do volte a parlamento col preditto Vicerè per contratar acordo, ma le cosse erano redute che 'l volea esser a parlamento con la Majestà dil Re, dove el sperava che fino a quella hora fosseno rimasi d'accordo, ciò è che ditto Vicerè se ne andasse a la bona hora; salvo lo haver et le persone. Domandando poi mi a Soa Signoria di la condition di l'armada, la qual se trovava in porto de Messina, mi disse esser barze et caravelle armade numero 60, galie numero 17, computò le tre erano andate a Palermo, et che era altre 40 fra barze et caravelle disarmate; di le qual le zente soe erano andate in campo con la Majestà dil Re. Ancora me disse Soa Signoria come tutta l'armada era preparada per partir subito, come facea tempo, per andar verso Napoli con la Majestà di re Ferando, et questo perchè da tutta terra de Napoli era chiamato Soa Majestà. Et me disse haver habuto tal intelligentia per bona via; et me disse Soa Signoria se io voleva andar a trovar la Soa Majestà de ditto Re, che era poco lontano. Li risposi haver comission andar a trovar el Capetanio di l'armada. Et spazato, Soa Signoria me disse: ancora tu venirai a Messina, dove troverete la Majestà di la Raina. Et domandò dove se trovava la Magnificentia dil capetanio et con quanta armata. Resposi a Soa Signoria: a Brandizo con galie 23 et nave 4, et come se aspettava la [418] magnificentia dil Provedador di hora in hora con galie 3, et di Candia et di Corphù et di Cypro di zorno in zorno, et altre galie, le qual tutte ascenderanno a la somma de 40, benissimo in ordene, et ancora el capetanio di le nave armade da Venetia, et, di molte altre bande, nave et fuste armade per modo che Vostra Magnificentia sarà molto potente; la qual stava di bon et gaiardo animo, per far tanto quanto li fusse comandato per la Signoria nostra. Et tolsi licentia da Soa Signoria. La qual immediate cavalcò a la marina, et montò in la galia, stando con la conserva a Messina. A hore 23 la matina sequente, che fo a dì X, andai a visitation di la Raina, la qual trovai molto mesta in una camera picola, ornata de pani negri, et Soa Majestà vestita de uno manto negro con uno velo baretin in testa. Con Soa Majestà era el prencipe don Fedrigo, et la mojer che fo di Scandarbeio. Facto reverentia et basciata la man a Soa Majestà, li presentai alcune lettere diretive a la Majestà dil Re, le qual mi erano state date qui a Brandizo, et parte di Garipoli. La Majestà Soa molto mi acarezò; et, ancora che io non volesse, me fece sedere, et da poi le zeneral offerte fatte per nome di la Majestà dil Re, et similiter Soa Majestà mi offerse tutto el poder suo ad ogni beneplacito di la Magnificentia Vostra. Tolsi licentia da Soa Majestà, et andai a visitar el sig. Vicerè. Et da poi le zeneral offerte, Soa Signoria similiter offerendose, la qual molto acarezò et honorome et teneme per spacio di una hora, narando tutto quello che io havea inteso dal prencipe don Fedrigo, ma più che la Signoria Soa havea voluto andar con li piè de piombo, et esser novo in quel Regno, et non have altro comandamento da la Majestà dil Re et Raina de Castiglia, salvo che si alcun loco se teniva per nome di la Majestà de re Ferando, darli ogni aiuto et favor; et che la Majestà di la Raina soa sorella desiderava molto de corer in pressa; et che Soa Signoria si havia trovato in molti travagli et che 'l sapeva certo che la Majestà dil Re et Raina sua,... esser conforme con la volontà de la nostra Serenissima Signoria... fosseno più resguardate che le proprie de Soa Majestà. El qual Signor è magnifico, liberal et molto benigno et gratioso. Tolsi licentia da Soa Signoria, et andai alla barza grossa a trovar el signor capetanio di l'armada de Spagna. Zonto a la barza, Soa Signoria mi venne contra, insieme con el patron di la ditta barza, et me condusse a la soa camera; al qual presentai lettere consegnatomi per Vostra Magnificentia. Soa Signoria, quelle lette, me tirò da una parte et volse farme sentar a presso Soa Signoria, narrandome tutto quello che per el sig. Prencipe mi era sta [419] ditto; et disse di le condition di la soa armada, come de l'andar suo a Napoli non aspettava altro che 'l tempo. Volse intender Soa Signoria le condition di l'armada nostra; informai Soa Signoria dil tutto, come feci al signor don Fedrigo. Me disse Soa Signoria el Vicerè, come in Spagna el signor Prencipe se trovava a li confini de Franza con 30 milia persone, fra le qual ne erano 15000 cavalli, et che 'l teniva per certo che fin quel'hora l'havesse rotto a la Majestà dil Re de Franza. Tolsi licentia da Soa Signoria, la qual molto se offerse. Magnifica zeneral ho inteso tutte le sottoscritte cosse da Isepo de Zovan, patron de una nave de portada de botte 250, carga de noselle, de raxon dil magnifico misser Andrea Bragadin, venuta da Napoli in zorni 5, et era zonta el zorno avanti al mio zonzer a Messina. El qual me disse come la Majestà dil Re de Franza era partito de Napoli a dì 22 dil passato, con persone numero 12 milia; et havea lassato in Napoli 2000 persone, fra le qual el forzo era Sguizari, et non tropo ben in ordene in la terra et ne li castelli; et come Napolitani chiamavano la Majestà di re Ferando, et che pochi zorni avanti dil suo partir era zonto galie 8 et barze 12 franzese molto mal in ordene, armate in Provenza. Et vedendo venir questa armada, Napolitani si levorono a romor, pensando che fusse l'armada de Spagna, et comenzono a cridar Ferando! Ferando! Et fonno a le man con Franzesi et Sguizari, et fonno taiati da zerca 50 a pezi di l'una et l'altra parte. La qual armada, per quanto el ditto patron me disse, era venuta per cargar artegliarie et munition de Napoli; el qual patron havea portà molte lettere et certi homeni da Napoli, li qual in effetto chiamavano la Majestà di re Ferando. Et ancora come, el zorno avanti el partir suo da Napoli, era zonto el corrier da Roma, el qual disea la Majestà dil Re de Franza havea passato Roma con le soe zente per andar a trovar la Santità dil Papa per esser con lui a parlamento.

Da ser Ulixes Salvador, Magnifico Zeneral, ho inteso le sottoscritte nove. Et prima tutto quello che me fo ditto per el sig. Prencipe, Vicerè et capetanio di l'armata, et a presso come tutti i lochi se haveano habuti per la Majestà di re Ferando, comenzando da Rezo e tutte le altre terre et lochi erano presi, hanno levato do bandiere, una de la Majestà dil Re et Raina de Spagna, l'altra di re Ferando. Et a presso come la Majestà di re Ferando havea fatto un presente a Messinesi in perpetuo del trato de carra 50 milia de formento ogni anno senza alcun pagamento, e tutti Messinesi, per tutto el regno suo fosseno franchi d'ogni gabella, si de intrada come de insida, [420] et e converso li Messinesi havea ottenuto nel suo consejo de far fanti 1000 per mexi 4 a soe spexe a servitio di la Majestà dil ditto Re, in recuperation del suo Stado. Et ancora me disse el ditto ser Ulixes, che tutti li baroni de l'ixola haveano hauto comandamento dal Re et Raina de Spagna de andar in campo con la Majestà de re Ferando, li qual za erano cavalli numero 1500, fior de zente et benissimo in ponto, i qual, per quanto lui me disse, esser ubligati a servir per mexi 4 a soe spexe, et come ditta zente passeranno in la Calavria et anderanno a trovar el Marchexe de Pescara, et li resterà con lui ne la Calavria; et come la Majestà dil Re, con li cavalli 1000 che lui tien et fanti 4000, montarà sopra l'armada per andar verso Napoli; li qual in effetto za do zorni era per partir, restava solum per el tempo, et per quanto lui intendeva che, senza alcun dubio, zonta che la fusse a Napoli, immediate haveranno la terra, perchè tutto homo de Napoli lo chiamano; et come ditta armada desiderava molto de partir presto, per poter trovar quella di la Majestà dil Re de Franza, per svalizarla di le artiglierie et altre robe che i cargava de Napoli. Ancora me disse come la Majestà di re Alphonso, molto disfavorito et mal visto da tutti, come disperato et mal contento era partito da Messina con 3 galie, et andato a Palermo ad habitar a Monreal. Ancora come do galie era andate a Zenoa per impegnar zoie di la Majestà dil re Ferando; concludendo tutti li signori et baroni et ogni altra persona, che alcuna cossa se haveria fatto nè potuto far in recuperation dil Stado di la Majestà di re Ferando, senza aiuto et voler de la Illustrissima Signoria nostra; et questo me fo ditto per el signor don Fedrigo, la Raina et Vicerè et capetanio di l'armada et molti altri signori et baroni et cittadini, i qual fonno sopra la galia a visitarme nel zonzer mio a Messina, per modo che fino a hore 4 de notte ne era brigato; et poi similmente el zorno da poi disnar fino al partir mio, che fo la sera, molto fo honorado et visitado et carezado da tutti, per nome di la Vostra Magnificentia. Me partii la sera. La mattina se messe el vento a siroco, per modo che io ebbi una bona zornada, che è sta quanto bon tempo ho hauto in questo viazo; per modo che io tegno certo che quella matina l'armada se levasse da Messina per andar verso Napoli. Da poi el navegar mio è stato con bonaza fino al zonzer mio qui a Brandizo.

De la Magnificentia Vostra, a la qual humilmente mi racomando.

A presso Brandizo, a dì 15 Zugno 1495.

[421]

Questo è il numero di l'armada, capetanio Antonio Grimani, procurator di San Marco[134].

A dì 26 Zugno da matina zonse uno gripo da Corphù con lettere di Alvise Sagudino secretario a Costantinopoli de li 26 Mazo, narra come l'armada dil Turco non era per uscir questo anno fuora, et che 'l feva lavorar le galie, ma non con quella sollicitudine el faceva per avanti, et che molti homeni che erano venuti a la Porta per tuor paga et andar su ditta armada, i quali el Signor li havea licentiati, et havia fatto vender le farine et biscoti era sta preparadi per ditta armada; concludendo pro nunc nostri non dubitasse de armada turchesca. Et che 'l Signor havia inteso che 'l Marchexe de Mantoa havea dà certa rotta al Re de Franza. Demum che ditto Re havea preso Ravena, et danizava la Signoria, di la qual cossa molto se doleva. Et mandò per ditto secretario, et li disse quello havia inteso, et che li dispiaceva summamente, et che lui offeriva in aiuto nostro 25 milia cavalli et 50 galie ad ogni richiesta contra questo Re de Franza, et li comesse cussì scrivesse.

Come el Re de Franza partito di Siena andò a Pisa et Lucca, et quello fece.

El Re de Franza in questo mezo partito di Siena, come ho scritto, venne a Pogibonzi, loco di Fiorentini, et ivi per li soi fo fatto assà danno a li habitanti. Et a dì 20 Zugno, prima che 'l Re, intrò in Pisa el cardinal Samallo, ma non....; ancora intrò in Pisa el Cardinal de Zenoa et monsignor di Brexa con alcune zente; et questi tre veneno per andar verso Zenoa come dirò di sotto. Et el Re poi, a hore 20 a dì 20 che fo el Sabo, intrò in Pisa con grandissimo honor de Pisani; et le soe zente messe a sacco la caxa dove habitava in Pisa Lucio Malvezo capetanio de Pisani ivi mandato per el Duca de Milan; questo perchè avanti el Re vi intrasse, ditto Lucio dubitando di quello li saria intervenuto, venne col suo meglio che potè ad habitar a uno castello sul Pisano chiamato Cassino et ivi stete fino el Re partì di Pisa; tamen have danno assà de questo metter a sacco. Adoncha el Re non volea andar a Fiorenza, et in [422] questi zorni li mandò a richieder a Fiorentini do cosse: la prima che li mandasseno in suo soccorso, per augumentar el suo exercito, Francesco Secco era a loro soldo con homeni d'arme 100; secondo li dovesseno prestar ducati 30 milia. Et mandò uno so ambassador a dimandarli li danari, che almanco li desseno ducati X milia, et di questi danari pagar 200 muli da soma per li soi cariazi. Ma Fiorentini, fatto loro consegli, risposeno: prima, che non haviano zente da mandarli, ma che volendo Francesco Secco per soldato de Soa Majestà, ge lo concederiano; et che danari non havea, et la terra era in gran bisogno, et manco vi era muli; ma ben pregavano Soa Majestà li volesse render le sue terre, come la razon et li capitoli voleva. Et poi, per lettere di 22 da Fiorenza dil zeneral camaldulese a la Signoria, se intese che Fiorentini havia mandato al Re ditto Francesco Secco con 80 homeni d'arme; el qual era andato molto volentiera; et che 'l Re pur voleva li ducati X milia, ma Fiorentini non li voleva dar, pur havia etiam mandato alcune some, et che a hora che 'l Re era passato senza venir in Fiorenza nè darli noia, haveano licentiato le zente di la terra, zoè quelle dil contado, che ritornasseno a loro habitatione; et che Fiorentini si adherirebono a la liga, si vedesse quella tutta esser d'un pezo.

Et el Re, deliberato de starvi poco in Pisa, subito aviò le sue zente verso Serzana, per vegnir a la volta de Pontremolo; ma in questo mezo volse prima andar a Lucca, et era openione de molti che a Pisa facesse cargar li soi cariazi su la soa armata ivi era, et etiam le 8 galie conzate a Napoli per monsignor di Mompensier vicerè, come per lettere di Lunardo Anselmi consolo nostro in Napoli date a dì primo Zugno se intese, et d'indi non si hebbe lettere da lui fin questo zorno, per esser le vie rote; la qual armada era lì in porto de Pisa. Et per saper quello è necessario, questo Re, inteso el grande exercito faceva Venetiani, et passato in Parmesana, el qual saria de persone più de 30 milia, molto celerava el suo camino per esser a Pontremolo avanti tutto el campo nostro fusse in ordene, ma non potè esser sì presto che nostri fonno avanti; qual via volesse tenir non se intendeva, per non esser oratori nè dil Pontifice, nè di la Signoria, nè de Milano; et essendo a Serzana poteva far tutte queste vie per andar in loco securo verso Aste. La prima quella de Zenoa, però che tutta questa cossa consisteva in haver Zenoesi, li qual fonno fidelissimi a la liga; pur dubitaveno nostri di la Speza molto, ch'è mia 12 da Serzana. L'altra era una via in Lucchese, a Castelnuovo et Grafignana, dil Duca di Ferara, per vegnir in Modenese; [423] la qual via non era molto bona da condur exercito per li monti assà aspri. L'altra via era una fece el signor Ruberto di San Severino, quando col signor Ludovico, al presente duca de Milan, ritornono in Milan, i quali erano in Toscana, andono prima in Lunesana, poi in Valmagra, e dismontono li monti a la Fraschea sul Tortonese, la qual via si chiama Monte 100 †, et pol etiam referir a le capane; ma questa è molto saxosa, arida et angusta, nè si poi passar ditti monti senza gran pericolo, et maxime a uno monte chiamato....., et a questa via el Duca de Milan mandò alcuni fanti a certi passi, però che X fanti sono bastanti a tenir ogni gran exercito. L'altra via è quella de Pontremolo, et questa elexe el re per la miglior, ch'è lontano Pontremolo da Pisa mia 60, dove era una forteza che si convegniva passar per mezo, et el Duca li havea messo a custodia 2000 fanti et soi comissarii, etiam el conte de Caiazo vi dovea esser, come ho scritto di sopra, et passato Pontremolo el Re conveniva vegnir mia.... per monti, fino al descender in uno loco ditto Fornovo, per andar poi su la via Romea va a Piasenza et in Aste: sopra i qual monti era tutti questi castelli Berce, Belforte, Petra, Mogliana, Caxego, Tarenzo et Fornovo vicino a Carona etiam borgo in una valle chiamata la Sporzana; ma pur qual via volesse far el Re non se intendeva per nostri, tamen per essere questa de Pontremolo la miglior, el nostro exercito ivi si pose, alozati a la Gierola, come dirò di sotto.

Da Bologna lettere di 24 zonte a dì 26, venute in hore 30 per le poste, notificava aspettavano le zente de Romagna per mandarle in Parmesana, et etiam la conduta dil Duca de Gandia, et Signor di Rimano, el qual era in camino et veniva di longo, et che era venuto lì uno ambassador de Fiorentini a ringratiar Bolognesi et il magnifico Johanne di la offerta li haveano fatto di aiutarli bisognando, et che esso nostro secretario era stato a parlamento con ditto Bentivoj insieme con l'ambassador de Milan, dove se ritrovò questo de Fiorentini; el qual disse che Fiorentini sarebbeno con la liga vedendo far qual cossa, et che 'l magnifico Johanne volse ditto nostro secretario parlasse. El qual disse come la Signoria nostra havia in campo in Parmesana cavalli X milia et X milia fanti, et li mostrò la lista, et come le zente de Romagna veniva per esser in uno, et che haveano 1200 stratioti, dei qual 600 ne era a l'impresa de Novara, et che nostri facevano el suo dover et più dil dover, et che di brieve harebbono uno campo che za molti anni in Italia (non) era stato el simile. Item haveano armada di 40 galie, nave etc., [424] et che col Pontifice se havia zente et provisionadi; concludendo Venetiani fevano quello sempre hanno fatto, più di quello imprometevano. Le qual parole fo molto accepte a ditto ambassador, et cussì ritornò a Fiorenza, dove a dì 18 di questo era in Fiorenza zonto un ambassador dil Pontifice, chiamato Alberto Magalotto, per exhortarli a non voler dar favor al Re de Franza, et se dovesse adherir a la liga. Item se intese come per exploratori mandati da Bologna a Pisa che 'l Re era ancora in Pisa, et voleva venir a Lucca, non si sapeva qual via volesse tenir, et che Senesi li havia dato ducati 20 milia, et ivi rimasto monsignor de Linì con 300 lanze, et che 'l Cardinal S. Pietro in Vincula et el Cardinal de Zenoa con Obieto dal Fiesco doveano andar con zente verso Zenoa, et che za erano venuti a Serzana, et tramavano acordo con alcuni Zenoesi; tamen non poteno far nulla, et Zenoesi fonno fermissimi et constanti.

El campo nostro veramente, passato Po, era alozato in uno loco detto Fontanelle, dove havevano assà penuria de vittuarie, per la gran quantità erano, et che sarebbono a li passi avanti el Re venisse a Pontremolo; et che fin quel zorno di 24 Zugno erano più de X milia persone, et che 'l Duca non havia fatto proveder de vittuarie, ma che li havea mandà a dimandar altri 500 fanti per mandar a Zenoa, et che avanti li havesse dati esso Marchiò Trivixan provedador, volevano haver dato noticia a la Signoria. Et questa richiesta medema fo fatto a la Signoria per l'ambassador de Milan, pregando cometesse a li provedadori, che, bisognandoli zente, li devesse mandar senza altra dimora. Et cussì a dì 26 ditto per el Consejo de Pregadi li fo scritto a ditti Provvedadori che, acadendo al duca alcuna cossa, dovesseno consultar col sig. Governador, sig. Rodolpho, conte Ranuzo, conte Bernardin et altri principal condutieri insieme col conte di Caiazo, et senza scriver altro di qui dovesseno far quello deliberavano tra loro, perchè el bisognava celerità et non metter tempo in queste provisione, havendo però a mente l'honor et utilità dil stado nostro.

A dì 26 ditto venne lettere di Elemagna de li nostri oratori al Re de Romani, date a Vormes a dì 15 dil mexe, notificava la dieta non esser ancora compida, et che el Re restava per non haver danari de venir in Italia, ma voleva mandar el Duca de Saxonia con cavalli 2500 et 400 pedoni, ma che esso Duca dimandava tre cosse: la prima ducati 70 milia per la sua persona; et che fosse pagà le zente; item fusse assegurado de rescuoderlo, casu quo fusse preso in battaglia da Franzesi. La qual cossa el Re volea pur adatar, et [425] cussì stevano in queste pratiche; ma altro a nui ce bisognava. Et che ancora erano ivi li oratori dil Re de Scocia, et era venuto novamente uno orator dil Duca di Borbon cugnato dil Re de Franza, et che el Re considerando che non senza suspetto di la liga sarebbe stato, si ditto orator havesse dimorato lì a Vormes, unde, aldito quello el dimandava, li dette licentia dovesse andar via.

Da Milan di Hieronimo Lion kav. orator nostro continuamente veniva lettere, come el Duca era di bona voja vedendo li provedimenti faceva nostri, et che spesso lo veniva a trovar fino a caxa, et di ogni banda havia bone nove, et era molto aliegro; che 'l nostro campo saria avanti a Pontremolo cha Franzesi, et che esso ambassador li dete la lista di le zente sarà in campo; lo qual molto laudò la Signoria, usando grandissime parole, et con li altri oratori se ritrovava, laudava molto questa Signoria. Et de campo suo da Vegevene havevano come era zonti alcuni Elemani o vero Sguizari, i quali prima però passono per Milan, et che zonti Stratioti lì a Vegevene havea dato gran vigor a le soe zente, et donde el Duca de Orliens correva tutto el zorno fino vicino a Vegevene, al presente, ch'è a dì 25, Stratioti se haveano fatto sentir, che fo el zorno drio zonzesseno a Vegevene, et come per lettere de Bernardo Contarini se intese che quella mattina montò a cavallo con li stratioti, et etiam le zente d'arme, per veder se li nemici li bastava l'animo di vegnir a combatter, et mandato le guarde avanti uno mio, se scontrono ne li nemici, zoè 40 homeni d'arme, 100 balestrieri, et tra arzieri et ditta guardia fo a le man con loro, ne preseno Franzesi tra vivi et feriti numero 26, et morti 9 et 12 cavalli, et se il resto dil campo li trovava, overo li stratioti, niuno sarebbe fuziti. Adoncha Franzesi comenzono ad haver contrasto, et ogni zorno Stratioti feva qual cossa, come dirò di sotto; et con questa vigoria ditto campo si levò da Vegevene, et venne mia tre più propinquo a li nemici, in uno loco chiamato Caxuol, a dì 28 di questo, come al suo loco tutto sarà descritto.

Ancora da Milan si have come el Pontifice havia dato licentia al Cardinal Ascanio, fratello dil Duca, potesse venir a Milan, ma che el Duca, non havendo più bisogno de lui, li scrisse Soa Reverendissima Signoria facesse quello li pareva, et cussì non venne.

A Perosa el Pontifice havendo a dì 19 fatto concistorio et terminato de ritornar a Roma, nè andar a Foligno et Spoliti, sì come voleva esso Pontifice, ma per la più curta a Roma; et statim 6 Cardinali se partino; tamen disseno de aspettar Soa Santità propinquo [426] a Roma, per intrar insieme et farli compagnia. Et a dì 22 a bon'hora con el resto de Cardinali et oratori el Papa partì da Perosa et venne a Orvieto, et per lettere di l'ambassador nostro, zonte a dì 25, date a dì 22 et 23 in Orvieto, questo se intese; et come a dì 24 dovevano partir et andar a Viterbo, et esser ad ogni modo a dì 27 in Roma. Item che 'l Pontifice havia habuto lettere del suo ambassador andato a Fiorenza, il tenor di quella dil camaldulense, et cussì havevano risposo Fiorentini a esso ambassador come fece a nostri; et che 'l Papa havia voluto esso ambassador nostro cassasse 200 provisionadi, et era restati solum 320 a custodia di Soa Beatitudine fino a Roma; et che havendo notificà a Soa Santità la deliberation de romper al Re de Franza, era molto contento, et li havia ditto come sarebbe bon de tuor in liga re Ferdinando per remetterlo nel stado, et che di la excomunica non era tempo di promuover alcuna cossa, fino non fusse zonto a Roma. Ancora che de lì intendevano el Re havia hauto da Senesi ducati 20 milia, et era a Pisa, et voleva andar a Lucca per haver danari per dar paga a le sue zente che li bisognava.

In questo mezo a Roma seguiva le discordie de Orsini et Colonnesi, et tra loro se dannizavano; et accidit in questi zorni che Colonnesi andati a campo a uno castello de Orsini, da li custodi fonno maltratati, et molti di loro morti, tra i qual uno Julio Porcharo, di primi di Roma, et uno vicentino valentissimo nel mestier di le arme, chiamato Mazel Fiochardo, et altri capi per numero X; et cussì confusi et territi Colonnesi fonno repudiati. I quali non molto da poi tra loro fenno trieva per alcuni zorni, per adunar le biave di la campagna; tamen partesani in Roma se occidevano, et li Orsini prosperava assà; et per questo el Pontifice celerava la soa andata in Roma, per cessar questa novità.

A Fiorenza è da saper come el Re de Franza, essendo a Pogibonzi a dì 18 de questo mexe de Zugno, se partì de Fiorenza fra Hieronimo da Ferrara nominato di sopra, con zerca 50 soi seguazi, però di boni de Fiorenza, et andò a trovar el Re, non però con comissione alcuna di la Signoria soa ma motu proprio, et causa visitandi regis. Or, zonto a San Cassano, visto havea gran seguito, volse quelli licentiar, ritornasseno in Fiorenza; ma loro non volseno tornar, dicendo erano venuti a farli compagnia, et cussì zonse a Pogibonzi, et andato a la presentia dil Re, fo da Soa Majestà visto molto volentieri, et volse venisse con lui fino a Castel fiorentino, dove conferiteno insieme, et quello confessò et comunicò di soa [427] mano con gran devotione; et el Re, in segno di esserli grata la soa venuta, a ciò non tornasse a piedi li donò el suo muleto picolo, el qual a Napoli tanto li era caro; et cussì questo frate, tolto licentia, a dì 20 ditto ritornò a Fiorenza, essendo stato col Re tre zorni. Et el Re venne di longo a Pisa, et Fiorentini havevano Neri Caponi et li tre altri oratori novi pur a presso esso Re, i quali, come per una lettera venuta di Fiorenza intesi, exposeno che l'intrar in Fiorenza era a comando et piacer de Soa Majestà, et sarebbe ricevuto con quel honor come mai; ma ben era vero havevano fatto di gran provisioni; et questo perchè Piero de Medici loro ribello era con Soa Majestà, a ciò non intravenisse alcuna novità, perchè pur havea molti fautori in quella terra, et che si Piero fusse sta licentiato da Soa Maiestà, sarebbe cessato tutti questi provedimenti, i quali però non erano fatti, se non a fin de ben. Item pregavano li fusse reso Pisa, Piera Santa, Serzana, Serzanello et Livorno, secondo la forma de li capitoli zurati de observar; ma el Re li respondeva bone parole, tamen però non li rendeva alcuna cossa. Et ancora non pretermeterò de scriver questo, licet qui non sia il suo loco, seguendo i tempi de la historia: come monsignor di Arzenton el qual, come scrissi, stete a Fiorenza alcuni zorni, et partito per andar dal Re era a Siena, intendendo el Re andava a Pisa, et li soi cariazi da alcuni villani fo presi et tolti; et inteso questo, Fiorentini li mandono driedo zente, et quelli ricuperono, et preso quelli haveano comesso tal cossa, et remandono ditti cariazi a esso monsignor di Arzenton, notificandoli quello era sta fatto non esser sta di voler loro; et cussì Arzenton rehebbe li so cariazi. Et a Fiorenza preparavano, a dì 28 de questo, de far el so consiglio, et elezer nova Signoria, per novo modo nè mai più usato, nè sapevano quelli dovesse esser, perchè fevano a sorte electione, poi ballotavano, et li eletti di sotto saranno descripti, a ciò in ogni tempo se veda li primi. Et a dì 23 dil mexe, fo la vizilia di San Zuane Baptista protetor de Fiorentini, nel qual zorno in Fiorenza si suol zostrar et far gran feste; or vedendo loro che Monte Pulzano se teniva pur per Senesi, et che 'l Re non havia voluto fargela render, mandono certe zente a recuperarla, zoè Francesco Secco, conte Ranuzo de Marzano, Hercules Bentivoj con loro condute, et alcuni fanti; et se messeno a campo. Et in questo zorno andati certi fanti per far corsa, zoè dar el guasto a le campagne, a ciò se dovesseno render, non volendo patir el danno; ma in Monte Pulzano era un capetanio di Senesi, chiamato Zuan Savello romano, el qual havia 200 cavalli di conduta, et venne fuora di la terra; et quelli [428] fanti fense di recularsi et fuzir, et loro li veniva seguendo, unde vi sopravenne zente dil campo preditto de Fiorentini, et fonno a le man con Senesi, et fo preso ditto Zuan Savello da uno Francesco Gerardi fiorentino de soa man, et menato in campo, presi et morti assà di una parte et l'altra, et etiam qualche Franzese militavano per Senesi. Hor era comissario in campo de Fiorentini Gulielmo Pazi, et cussì ditto capetanio con alcuni presoni fonno mandati a Fiorenza. Et el duca de Urbin dovea venir in campo per rehaver al tutto quella terra, la qual li habitanti se difendevano gaiardamente per Senesi, et pur el campo vi stete alcuni zorni, ma non poteno far nulla; et pigliono l'impresa de recuperar Pisa. Et voglio qui notar uno capitolo di una lettera scritta in questi giorni a Venetia per uno Fiorentino. Nui siamo a campo a Monte Pulzano, habiamo stretto, habiamo preso lo capitano, fin pochi giorni sentirete el botto; si aderisseno a la liga, ha tropo vicino el lupo; si si scoterà, si scoprirano li agnelli; ancor non è posto el barzello nè pichiata la campana; tal si trova in stato, che fin poco haranno carestia di bon partito.

Fiorentini con el Re intrinsece haveano grande odio, benchè non mostrasseno perchè non era tempo; et havea gran ragione, perchè lui havea visto quella Republica bellissima, et tuttavia al Zeneral camaldulense, nomine Venetorum ivi, deva bone parole; ma meglio per loro sarebbono stato li fatti. Et el zeneral de Bertagna era lì in Fiorenza per nome dil Re, in questi zorni si partite, et andò a trovar el Re, adeo al presente non vi resta più Franzese in Fiorenza, tamen poi ne venne uno altro chiamato Monsignor...

Piero veramente de Medici rimase a Siena quando el Re partì per Pisa, et poi fo divolgato tornato a Brazano, et la soa facoltà era venduta ogni zorno per Fiorentini.

A Bologna el magnifico Johanne faceva molte provisione sì de zente quam de mandar exploratori a Pisa a inquerir li progressi dil Re, et so fiul Hannibal benissimo in ordene, fece la mostra a Bologna, dove vi era Antonio Vincivera secretario nostro, et l'orator de Milan, et lui sopra uno cao di lanza con le barde con San Marchi etc. cridando Marco! Marco!, et benchè havesse etiam soldo dil Duca de Milan, pur non haveva troppo bissoni. Et fece una polita mostra; et a dì 27 se partì, et venne in Modenese, poi in Parmesana, dove era el nostro campo, et zonze a tempo de operarse ne la bataglia; et parte di le zente erano a Ravena etiam zonse lì a Bologna, et venne de longo in campo, menate per Piero Donado tunc [429] camerlengo di Ravena. Item se intese per lettere dil secretario nostro, come l'ambassador de Milan havia scritti mille fanti, et li dava tre fiorini per uno al mese, che son ducati do e mezo nostri, et che li 2000 fanti la Signoria li havia comesso dovesse far, non havia ancora principiato a farli, perchè voleva prima Milan fusse fornito, et più lui era certo haver el fior di la zente, et che ivi ne era gran quantità, et in do zorni li compirebbe di far. Item che zerca 50 Sguizari, di quelli era cum el Re a Pisa, havendo nostri modo de desviarli, pur per via de Bologna se partino dal Re, et veneno in campo nostro a tuor soldo; i quali fonno benigne ricevuti, et ancora speravano ne vegnirebbe; et che alcuni esploratori erano tornati referivano come la Domenega, a dì 21 Zugno, essendo el Re a Pisa a vespero ne la chiesa principal, udite certe voce che cridava Misericordia! Misericordia! Unde el Re domandò ad alcuni quello voleva dir questo. Li fo risposto erano Pisani che non volevano più tornar sotto Fiorentini, ma restar in libertà. Et el Re messe la man a la testa sul capello, dicendo: Sora la mia corona, state Pisani di bona voja, che vi prometto et zuro di mantenervi in libertà, et lasserove qui zente a custodia et difensione vostra. Per le qual parole tutto quel populo si ralegrò et molto ringratiò Soa Majestà, cridando: Viva! Viva el Re de Franza! Et tutto quel zorno feceno feste de balli et soni di campane assà. Et che in quel zorno el Re mandò a dir a Fiorentini non se pensasseno de haver Pisa.... venir a Lucca, et che Luchesi lo aspettavano con grande jubilo, benchè si judicava volesse danari da loro, non li havendo ancora resi li ducati X milia have quando da prima vi fue; et che le sue zente, parte erano andate verso la Speza con el cardinal S. Piero in Vincula et Felipo monsignor, zoè monsignor di Bressa a sopraveder quelle cosse, et tramaveno de redur Zenoesi con loro, li qual havendo, sarebbe sicuro de poter ritornar in Franza; et parte etiam di le zente era aviate verso Pontremolo, che è una forteza dil Duca de Milan fortissima. Et è da saper che 4 forteze ha il Duca preditto su quatro passi molto forte, zoè Trezo, Picigoton, Rebecho et Pontremolo. Et questo passo el Re molto desiderava haver, et però havia celerado molto el suo camin di Roma in qua; ma poi, intendendo l'exercito nostro era passato Po et redutto a Gierola in Parmesana, alquanto stete sopra de sè, et tentò de haver el passo da Zenoesi; non restando etiam de haver questo, come lo hebbe, qual di sotto sarà scritto.

Da Zenoa lettere di 24 drizate al Duca de Milan, come erano [430] più constanti che mai, et che era necessario provisione preste et mandar fanti ad alcuni passi a la Riviera de Levante, dove pur ne era qualche dubitatione, perchè tutta quella Riviera era partesani di caxa Fregosa; et che era venuto uno araldo dil Re de Franza a dirli come el Re era loro amico, et che per l'amicitia havevano, li voleva far rehaver Serzana et Serzanello, che furon soi, che Soa Majestà se ritrovava haver ne le mano tolti da Fiorentini, et assà altre parole, concludendo de haver el passo. Et che el Re mandava in Zenoa tre soi ambassadori, i quali erano a Serzana za in camino, i quali era certo sarebono accepti a quella comunità, zoè il reverendissimo Cardinal San Piero in Vincula el cardinal de Zenoa di caxa Fregosa, et Obieto dal Fiesco prothonotario, do Zenoesi et uno di Savona, et verebono a tratar cosse in benefitio di quella communità. Ma Agustin Adorno governador scrisse al Duca quello voleva li rispondesse; et el Duca subito mandò a dimandar el voler di la Signoria; et cussì li fo rescritto che per niente non volesse acettar ditti ambassadori per esser Zenoesi, et che mandasse a dir al Re, si piaceva a Soa Majestà de mandarli oratori, vi mandasse Franzesi, et non Zenoesi, i quali sarebono ben visti, confortando esso Governador et Zenoesi in la fede promessa, et non si acordar per niun pato con Franzesi. Et è da judicar li fusse promesso per la liga di farli rehaver li suoi luoghi, si de jure li vegnivano, compita questa guerra. Et Zorzi Negro nostro secretario era a Milan, ricevuto el mandato de andar a Zenoa nomine Dominii, a dì 24 ditto se partì de Milan, et andò a Zenoa, dove fu honorifice ricevuto, come dirò poi.

Domente in queste parte tal cosse seguine, a dì 28 Zugno zonse lettere di Lunardo di Anselmi consolo nostro a Napoli, di 11, 12, 13 et 14 di l'instante, narava come in Napoli seguiva ogni zorno assà rumori et custion (questioni, baruffe), et se trovava Franzesi morti per la terra da Napolitani, cussì a hora era el contrario; et che volendo el Vicerè armar certe galie lì in Napoli, essendo sul molo Napolitani, si messeno in arme et amazò alcuni Franzesi, et che non desideravano altro cha che zonzesse l'armada di re Ferando ivi con la sua persona, la qual di brieve se dovea partir di Sicilia et venir de lì, et che era certo Napolitani li receveriano con grande piacer. Item come l'armada franzese, zoè 8 galie, fuste et brigantini, zerca numero di vele XV, la qual fo quella zonse per avanti a Pisa, armata in Provenza et venuta a Napoli, tolto in conserva alcune galie lì a Napoli, era in quelli zorni partita per andar a tuor Yschia; ma li custodi virilmente se haveano difeso, et fo necessario [431] la ritornasse a Napoli; et che una barza di re Ferando era passata in mezo di ditta armada, dimostrando non se curar; et Franzesi non have animo o vero modi di darli fastidio: ma che scompagnò una galeaza franzese carga de artiglierie un pezo fuora de Napoli et de quelli scogli, et la lassò andar al so viazo; ma ditta armada da poi se partì de Napoli, et venne a Pisa, sì come ho scritto di sopra.

Da Ferrara ogni zorno veniva lettere dal Vicedomino nostro, non però molto da conto, imo piene de busie dicevano Ferraresi, et pur el Duca mostrava de dolerse de portamenti de Franzesi. Don Alphonso era andato a Milan, et le sue zente in campo nostro in Parmesana, zoè dal conte de Caiazo, per esser soldato dil Duca, et la soa persona el Duca non volse vi mandasse, ma lo ritene a presso di lui a Milan in castello. Et è da saper che esso duca de Milan, havendo cussì abuto da la Signoria, scrisse al Duca de Ferrara suo suocero, che 'l vardasse in tanto pericolo de non dar passo a Franzesi nè alcun aiuto, perchè pur l'intendeva el Re voleva vegnir a la volta de Modenese sotto el so dominio. Ma el Duca li promesse, non solum de non dar passo, ma esser sempre cum la liga ubidientissimo, et cussì prometteva de far.

Da Milan lettere a dì 27 che 'l suo campo ancora non era partito de Vegevene, ma vedendose a hora più potenti de li nemici, essendo zonto alcuni Elemani et Stratioti 660 con Bernardo Contarini, volevano andar ad alozar mia 3 propinquo al campo nemico, et di breve esser a le man; et andati 50 cavalli de homeni d'arme con 50 Stratioti a sopraveder dove el campo se dovea alozar, et Stratioti desiderava pur de veder Franzesi et provarli che homeni erano; et che do fradelli de Piero Busichio capetanio de Stratioti, i quali erano assà ben a cavallo, andeno più ben verso li nemici, i quali erano montati a cavallo, una parte, zoè 17 Franzesi, li veneno contra, et erano venuti fora de li stecadi, et questi do soli Stratioti dete dentro, et quelli 17 investite, adeo che li separano, et a la prima ne hebeno amazati do, et do menò vivi in campo, li altri fuziteno in li stecadi. Per la qual cossa el signor Galeazo capetanio con Bernardo Contarini et altri conduttieri volse examinar ditti Franzesi vivi, per intender come stava el campo nemico; et inteso el tutto, et dove stavano le scolte, donato el ducato per testa a li do Stratioti, el zorno drio, fo a dì 25, parte di queste zente de Milan si messe in ordene per andar a scaramuzar, et Bernardo Contarini montò a cavallo con alcuni Stratioti, et si aviono verso i nemici; et Franzesi veneno parte fuora a scaramuzar, et Stratioti se andò [432] a imboscar et dete in mezo, et ne amazono 9, presi zerca 30 vivi, li quali li menò in campo; la qual baruffa etiam ho scritto di sopra. Ma occorse che uno Stratioto, fiul di Piero Busichio sopra nominato, corendo contra i nemici, non potendo retenir el cavallo, fo portado fino ne li stecadi, et quello fusse de lui seguito non se intese; benchè speravano, non essendo sta amazato in quella furia, di rehaverlo per contracambio di qualche uno di questi Franzesi presi, come fo, che deteno certi Franzesi per haver questo Stratioto. Et el Duca, intendendo tal nuove, havea grande piacer, et ordinò fusse dato a loro regalia in campo a ditti Stratioti; et pur esso Duca non se partiva de Milan, ma feva ogni provision adherendose sempre a li voleri di la Signoria nostra, temendo però molto de non perder el Stado.

A dì 27 in Venetia morite Antonio Triumpho ambassador dil Marchexe de Mantoa, essendo stato zorni 12 amalato di dolor colici. Questo era stato 5 anni orator a questa Signoria, et per honorar chi esso rapresentava, el qual era nostro Governator in campo, li fo dato solenne exequie in chiesia di la Charità, et el corpo poi fo mandato in Mantoa, dove fo sepelito. Et el Marchexe non molto da poi vi mandò uno altro per suo ambassador a star in questa terra, chiamato Zorzi Brognolo.

In questo zorno venne lettere da Viterbo da l'orator nostro, date a dì 25, narra come a dì 24 el Pontefice se partì da matina da Orvieto, et in quel zorno era ivi zonto; et che a dì 27, sì come havia deliberato, voleva intrar in Roma, et che esso ambassador anderia avanti, per poter venir contra Soa Beatitudine; et che Romani lo aspettavano con desiderio; et che di le censure el Pontefice diceva non era tempo. Di progressi dil Re poco intendevano, et manco di le cosse di Napoli. Et per el Senato li fo scritto, zonto el Papa a Roma, cazasse el resto di provisionadi, non havendo più bisogno; et dette licentia a Francesco Grasso loro capo, el qual a dì 4 Luio di Roma partite per qui.

In questi zorni zonse in questa terra uno messo di Beatrice raina che fo di Hongaria, muger di re Matthias et sorella di re Alphonso di Napoli; la qual al presente, da poi la morte dil marito, habita in Ystrigonia terra in Hongaria con suo nepote Cardinal, fiul dil Duca de Ferrara, el qual è di ditta città episcopo, nominato di sopra. Et questa ha annuatim da questo Ladislao re di Boemia et Hongaria, successo nel regno da poi la morte dil marito, la sua provisione. Hor ditto messo menò con sè bellissimi cavalli di pelo [433] baio, i quelli essa Raina mandava a donar a Napoli a suo fratello Re, non sapendo che dil regno era privato; et etiam fo divolgato li mandava ducati 30 milia d'oro. Et zonto che fo questo messo quivi, parlato con l'orator napolitano qual via havesse a far, a dì 23 Zugno montò a cavallo, et andò per Rialto a San Marco, per dimostrar a la terra la bellezza de ditti cavalli; et si faceva menar do cavalli a man, coperti di una cossa havia el pelo assà lungo, poi lui homo mostrava di qualche condition, hongaro, et la sua fameglia driedo con lanze et banderuole, che fò assa' bel veder. Et cussì havendo l'ambassador de Napoli fanti 300 per mandar in Puia, tolto una caravella, a dì ditto montò li ditti fanti, contestabele uno Anzolo Romano et Domino Thomasio Spinelli fratello di l'ambassador medemo, et questo messo di Hongaria con li cavalli: et verso Brandizo navigono; poi che si fusse et che seguisse, ignoro.

Di campo veniva lettere continuamente, notificando a la Signoria ogni loro progresso. Et a dì 25, a hore 23 zonse in campo Luca Pisani Provedador zeneral designato, insieme con Marchiò Trivixan, el qual stete a zonzervi, da poi partito de qui, zorni 9. Et el campo nostro era posto mia 4 vicino a Parma, chiamato Ponte di Tharo, essendosi levato di Ponte di Lenzo, et quivi venuto l'exercito ad alozar, et qui trovò el conte de Caiazo, governador di le zente dil Duca de Milan, le qual erano pochissime. Et avendo mandato li Provedadori de andar di lungo verso Pontremolo col campo, parse al Marchexe de Mantoa nostro governador zeneral di non andarvi, per bon rispetto, el qual di sotto sarà scritto. Et cussì scrisseno a dì 25 ditto, a hore 4, ditte lettere al Senato, dove erano messi col campo, et che in quel zorno essendo stati a parlamento con el conte de Caiazo, quello era partito per andar a custodia de Pontremolo, dove intendevano el Re havia mandà a sopraveder quel passo, el qual, per quanto se divulgava, era ben custodito. Ma questo non andar di longo di le zente, havendo passà Po, parse molto di novo a tutta la terra nostra, et dette molto da suspectar falsa materia, ma tutto era a bon fine, per non andar a metter tanto exercito tra monti, dove non si havesse potuto operar. Et a dì 25 fo Consiglio di Dieci, 26, 27, 28, 29 et 30 fo Pregadi, consulendo a quello era di bisogno. Et a dì 27 da matina venne lettere di campo di 26, date pur al ponte de Tharo, come el conte de Caiazo da Pontremolo havia mandato a dimandar in campo li fusse mandato 1000 fanti; et questo perchè ivi fusse bona custodia, perchè quelli fanti erano prima comenzavano a partirse, et che dovendo venir lì l'antiguarda [434] dil Re, dubitava Franzesi non havesse quella fortezza, et che li haveano mandati. Item come in quella matina era sta preso, per nostri, tre sacerdoti et uno layco vestiti a modo pellegrini, i quali disevano vegniva de Roma, andati per expeditione di certe bolle, et fonno examinati, et cognosceteno chiaro erano preti, et dubitavano non fusse spioni dil Re: questo perchè certi nostri balestrieri diceva aver cognosciuto uno di ditti sacerdoti balestrier a cavalo dil Re de Franza, et havealo dispogliato verso Ravena, in principio de questa guerra, quando el Re andava in Reame; ma che erano sta licentiati, non essendo spioni come parse a li Provedadori, et andono al suo viazo. Item che aspettavano li Sguizari erano a Ponte Vigo et venivano in campo. Et cussì poco lontano era Piero Duodo provedador con li Stratioti, et anche la zente de Romagna, le qual con desiderio aspettavano a ciò el campo fosse più grosso. Item come questa notte a l'alba se dovevano levar col campo et andar verso Fornovo, al principio di monti, mia 20 lontan di Pontremolo; tamen non si levono. Queste lettere di campo dette a pensar a nostri, et tutti erano di malavoia, dubitando per le parole dil conte di Caiazo, che Pontremolo non si perdesse facilmente, che prima diceva era passo, volendosi tenir, inexpugnabile. Et el zorno drio, a dì 28 venne lettere, ditto passo ancora si teniva, le qual lettere fo di 27, date pur al ponte de Thar vicino a Parma mia 4. Et per quelle se intese come la notte passata, dormendo li Provedadori, veneli al letto domino Phebo di Gonzaga cuxin dil Governador, dicendo come Franzesi havia habuto Pontremolo, et che el Marchexe era de opinion de non si levar de lì, come haveano messo l'ordene de levarse la mattina, si pareva però questo a ditti Provedadori: et questo perchè, andando col campo a Fornovo, sariano mia XV distanti da li nemici, et buono sarebbe aspettar de ingrossarse con le zente de Romagna, Stratioti, Sguizari, et altri mancavano; et cussì deliberorono non si levar. Et la matina poi venne el conte de Caiazo con Francesco Bernardin Visconte comissario dil Duca de Milan da li Provedadori, domandando altri 300 fanti per fornir i soi luogi, et cussì fin qui ne ha habuto 1300, et li Provedadori vedendo el tempo non esser de dimorar, in quella matina spazono molti cavalieri per diverse vie, ai qual concesseno che tutte le zente trovaveno per via li dovesse far comandamento da parte di la Serenissima Signoria et soa, che dovesseno non dimorar ma cavalcar in campo; con una lettera averta cometeva questo, et che li Stratioti erano zonti in campo in quel zorno, et che intendevano [435] Hanibal Bentivoi veniva in campo era mia 20 lontano, et doman lo aspettavano con desiderio, et cussì quelli de Ravena, zoè el conte Carlo di Pian di Meleto, Talian da Carpi et Anzolo Francesco da Santo Anzolo; al qual per la Signoria in questi zorni li fu cressuto fino al numero de 100 cavalli; etiam aspettavano Sonzin Benzon, Zuan del Drivandim, Zuan Griego et altri cavalli lizieri erano stati a Perosa col Pontifice; et che era zonto certe carete de artiglierie, però che di Verona et di Brexa fo ordinato fusse mandato carete de artiglierie in campo.

Intendendo tal cosse, Venetiani non cessavano de consultar; et in questo zorno mandono danari in campo per dar paga a le zente di Ravena, le qual in campo andò senza haver danari avanti se partisseno, dimostrando la fede portavano a la Signoria, et che non era tempo de dimorar a far mostra, essendo el Re sì propinquo. Et è da saper che nostri erano su gran spexa da terra, oltra l'armada era in mar, sì a Brandizo quam in Arcipelago; et el campo voleva al mexe, oltra l'ordinario di le Camere, ducati 60 milia; et za haveano trovati et con bel modo, senza danno di la terra, danari per tegnir l'exercito tutto el mese de Avosto senza metter altre decime, et questo per li 8 milia ducati di la provision nova a la Camera di imprestidi; et oltra li ducati 50 milia primi dil Monte nuovo, ne tolseno per altri 30 milia, et con grandissima pressa etiam questi ultimi, licet fusse senza don, in tre zorni fo compito de depositar a le Cazude. Li debitori di la Signoria per tutti li officii erano solicitadi a pagar, et maxime quelli di le Cazude, sì de Monte nuovo quam vecchio, et le decime dil clero li governadori di le intrade scuodevano; quelli erano a le casse de li 8 officii hanno dacii, erano solicitadi da la Signoria a scuoder, licet per queste guere la terra era quasi suspesa, et in magnum quid: li qual dacii sono questi: Dacio del vin, Tavola de l'intrada, Tavola di l'insida, Messettaria, Ternaria vecchia, Ternaria nova, Justitia nova et Beccarie; li qual dacii hanno de intrada a l'anno sottosora ducati......; sì che per questo si puol conjecturar la magnanimità de Venetia. Oltra de questo fo mandato ducati 7000 a Bologna a Antonio Vincivera secretario nostro, a ciò facesse li 2000 fanti; artiglierie di l'arsenal per Po fo mandate in campo, schiopeti, spingardi et passavolanti; benchè le nostre artigliarie traze ballote di piombo, et quelle di Franzesi traze ballote di ferro, et sono passavolanti assà longi.

Adoncha Franzesi, sì come ho scritto, a dì 26 Zugno introno in Pontremolo senza haver alcun contrasto. El modo fo, che intendendo [436] li custodi el Re col suo exercito havia habuto S. Stefano, loco pur dil Duca de Milan vicino a Serzana, et che alcuni Franzesi veniva verso Pontremolo, alcuni fanti ussite per scaramuzar con loro, ma inteso erano 2000, havendo paura che quelli habitanti ne li monti signorizava Pontremolo, ch'è posto il passo in una valle, cridava: Franza! Franza! deliberorono partirse, et lassar quel passo a Franzesi, et loro venir a la fin de monti a uno altro passo chiamato Fornovo, et lì fortificarse, ch'è mia 20 di Pontremolo, et 9 dove era el nostro campo; et quivi el conte de Caiazo con le soe zente stete con 1000 cavalli et 200 fanti, benchè a nostri fusse scritto da Milan ivi era 30 squadre et 5000 fanti. Ma parse al Governador de mandar a custodia de quel passo de Fornovo, et a li Provedadori, Piero Schiavo contestabele con 3 altri contestabeli con 3000 fanti; el qual, sì come scrissi di sopra, dovea andar a li 26 a custodia di la Speza in la Riviera di Zenoa, mia 30 dil ponte di Thar dove era el campo nostro. Ma mentre era in camino, acadete che Franzesi haveno ditta Speza da Zenoesi tenivano da li Fregosi, pacifice; i quali, vedendose potenti più de li Adorni, con lo aiuto di Franzesi scaziati li custodi era per il Duca messi, levono le insegne de Franza et feceno gran comotione et novità in quella Riviera, come dirò di sotto. Or, inteso questo, li nostri fanti vi andava....; et Franzesi non solum la Speza ma molti castelletti de quella Riviera de Levante oteneno, per causa di le parte de zentilhomeni Capellazi, et populo. Questa nova di la Speza zonse a Venetia la verità a dì 28 ditto da matina, benchè prima nostri ne dubitasse molto, per le lettere viste quatro zorni avanti, scritte al Duca de Milan per el governador de Zenoa, che ditta Riviera era in manifesto pericolo se non se li se provedeva in mandar fanterie; tamen che lui a Zenoa se defenderia. Et in questo medemo zorno etiam se intese de Pontremolo. Adoncha a dì 26 di questo Franzesi otteneno do passi, quel de Pontremolo et quello di la Speza senza combatter, a loro molto necessarii et, ut dicam, la chiave de Italia: quel di la Speza per haver l'adito di far voltar Zenoa: et questo per tornar in Aste, et conzonzersi col campo dil Duca de Orliens, et dar fastidio al stado de Milan. Questa forteza di Pontremolo dette molto da pensar a nostri, et li padri de Collegio stette assà de malavoia. El Prencipe pur era amalato, et per queste cative nove più li cresceva el mal; et tanto più dolse a nostri, quanto per poca cura era perso ditto passo; et el Duca scriveva esser cossa inexpugnabele, et vi havia messo bona custodia, et che non si temesse; tamen veteno [437] (videro) la experientia al contrario, et la pusilanimità de li custodi, havendovi voluto mandarvi in la fortezza uno nostro patricio, et meglio sarebbe stato; et per questo erano in gran pensier. Et a dì 30 Zugno nel Consejo di Pregadi feceno molte provision, et scritto lettere in diverse parte, et fo comandato gran credenze, et più di l'usato, adeo non volevano dir si Pontremolo era perso; et preseno de mandar danari in Dalmatia per far zente, et far altri 2000 cavalli de Stratioti, però che in Stratioti havevano gran speranza et fede; et scrisseno in campo dovesse haver gran diligentia di non si apizar con Franzesi, et solicitasseno, le zente vi veniva, venisse.

Ma el Re de Franza in questo mezo, a dì 22 Zugno intrò in Lucca, ricevuto con grande honor da quella comunità, sì come a la prima feceno, et atendeva pur di far voltar Zenoa, e far trame occulte, come è da judicar facesse. Poi venne a Pietra Santa, demum a Serzana; et essendo la sua persona lì, mia 12 da Pontremolo, le soe zente have San Stefano, loco del Duca de Milan, et etiam Pontremolo, come ho scritto; dove li Sguizari fece gran crudeltà, qual scriverò di sotto et per che cagione. Et pur ancora non se sapeva el certo, qual via volesse tenir, o venir contra el nostro exercito o andar per la via de la Speza. Et cussì etiam Franzesi stavano tra loro a consultar quid fiendum, havendo con lui Zuan Jacomo di Traulzi et Francesco Secco degni capitani italiani, li quali menava con lui in Aste per privar Italia di tal homeni. Et el Re mandò uno suo ambassador a Bologna, el qual zonse a dì 27 da sera; et la mattina ebbe audientia. El qual, da parte dil suo Re dimandò al magnifico Johanne Bentivoj conseglio, che via dovesse far Soa Majestà per ritornar in Franza, però che Zenoesi non li voleva dar el passo. Li rispose che per Lombardia non bisognava Soa Majestà passasse, perchè coreva pericolo di esser taiato a pezzi, come era la verità; notificandoli el grande exercito havia la Signoria in campagna in Parmesana. Et ditto messo rimase assà sora de sè, et poi li disse che 'l Re venisse amicabiliter a dimandar passo a la Illustrissima Signoria et al Duca de Milan, li quali per soa benignità li concederia, volendo ritornar in Franza et non far novità in Italia più; et che pur volendo passar per forza, la soa miglior via era quella de Zenoa. Et habuto tal risposta, ditto orator ritornò al suo Re. Et questo se intese per lettere dil nostro secretario in Bologna a dì 29 ditto da matina in questa terra.

Da Milan lettere di 28 et 29 ditto da matina, come el Duca [438] molto si havia dolso dil perder di Pontremolo; et di campo, che volendo Franzesi di Novara far uno certo ponte sopra un'acqua per poter haver vituarie, uno fiul fo di Zuan Piero dal Bergomino, capetanio di fanti, insieme con alcune altre zente paesane, ivi era andato et scazò Franzesi di tal opera, disfacendo el ponte, et menò via le burchiele, sì che Novaresi et quelli stavano dentro patirono assà, non sperando haver vittuarie da altro loco che di Verzei, et altre terre dil Duca di Savoia, et che mandava madona Beatrice duchessa moglie dil Duca, era partita lei sola senza el marito, in compagnia de molte donne di castello de Milan, et andata a Vegevene, essendo prima andata per la terra de Milan con gran pompa, tamen era mal vista da ogni uno, per l'odio haveano a suo marito, el qual stava in castello et lì faceva li soi provedimenti, con bona custodia di la persona soa, et molto dimostrava amar la Signoria. Or che ditta Madona era andata in campo, el qual era lì a Vegevene a dì 27 ditto, et zonse a hore 2 con alcuni comessarii dil Duca, sì per sopraveder le cosse, quam per inanimar el capitan suo facesse qual cossa. Item che intendeva che a Novara Opizin Cazabianco et el Negro et li altri primarii cittadini che fonno causa di dar Novara a Franzesi, dubitando el Duca di Orliens non se acordasse con Milan, era andati, col suo miglior poteno portar, ad habitar a Verzei, et era per numero zerca 50; et questo era signal consideravano nunquam el Duca di Orliens poteva tenir quella terra, et dubitavano di la vita loro. Et per lettere di Bernardo Contarini sora i Stratioti se intese che a dì 28, a hore 12, di comandamento dil Duca et hora astrologica, col campo si levò da Vegevene et venne mia 4 ad alozar in uno loco chiamato Caxolo. Et come fonno partiti di Vegevene tutto el campo in ordene mia uno lontano, fo posto el campo come havesse a far fatto d'arme, zoè partino le zente d'arme in cinque squadroni: le fanterie elemane inanzi, le fanterie italiane a drieto, cavalli lizieri et balestrieri, et da uno canto li Stratioti, et dall'altro ditti cavalli lizieri; di qual fo fatto do ale a le zente d'arme; et che la Duchessa volse venir a veder l'ordene dil campo, et poi lei ritornò a Vegevene, et el campo venne di longo ad alozarsi a Caxuol. Et el numero di le zente sì de Milan quam de inimici, di sotto sarà scritto. Et alozato che fo el campo, Bernardo Contarini mandò alcuni Stratioti a discoprir le guardie dei nemici, insieme con certi thodeschi, et corseno fino su le porte, et lontan li do alozamenti mia 3, preseno 9 pedoni che trovono et uno homo d'arme franzese, et ne amazono tre pedoni, et ritornò in campo. Et quella matina seguente, [439] fo a dì 29, andò 25 Stratioti verso uno castello chiamato Villanova, lontan da Caxuol mia 4, el qual Franzesi lo teniva, et presentati ditti Stratioti con uno balestrier dil Duca per guida, li fanti erano dentro per numero 12 si deteno, salvo l'haver et le persone, et Stratioti introno dentro. Et poi per el capetanio, inteso questo, qui fo messa custodia, laudando molto la probità de Stratioti. Et in questo zorno poi, intendendo Franzesi erano messi in fuga, et haveano abbandonato do lochi, zoè Cerano et Tracano, castelli dil Duca de Milan per loro aquistati, li Stratioti montò a cavallo con li cavalli lizieri italiani, et corendo mia 4 introno dentro ditti castelli, dove fo lassato per Bernardo Contarini 200 Stratioti et molti pedoni a custodia, et el resto de Stratioti corseno fin su le porte de Novara, et non trovò niuno, però che i nemici erano reduti in la terra; et cussì ritornono in campo, dove fo terminato la matina levarse col campo, et andar alozar a Trecano, lontan de Novara mia 3, per poter meglio far correr ogni zorno fino sule....

Or qui scriverò la conditione di campi, sì come fo mandato a la Signoria.

Zente d'arme le qual se atrova nel campo dil Duca de Milan a l'impresa de Novara[135].

Zente dil Duca di Orliens in campo[136].

A dì primo Luio venne lettere di Roma di 27 Zugno di sabato, nel qual zorno el Pontifice intrò dentro Roma con grandissimo triumpho, a hore 22, però che fonno coperte le strade dove el passava de panni, fatto soleri con feste; et molti cardinali che erano intrati el zorno avanti, et cussì Hieronimo Zorzi kav. orator nostro, el qual el venere etiam era intrato, tutti ussiteno fuora per venir a honorar Soa Beatitudine, et cussì esso Pontifice con XXI cardinali et assaissimi episcopi et li oratori ritornò in Roma, essendo stato fuora zorni... perchè a dì... Mazo se partì, et a dì 27 Zugno ritornò, et Romani fonno molto aliegri che la corte fusse tornata. Et in quella sera l'orator nostro spazò lettere a la Signoria notificando questa tornata, et come a dì 18 de l'instante in Gaeta el popolo et zentilhomeni erano stati a remor, et questo per causa di certa novità [440] voleva far Franzesi, zoè di metter angarie ivi praeter solitum al populo, et li zentilhomeni consentiva. Or adunato esso populo in uno, si messeno in arme et deteno driedo a Franzesi et zentilhomeni, i quali si reduseno, per fuzir tanto furor, tutti al meglio poteno in la rocca, et mandò a Napoli et a li lochi vicini di Colonnesi a dimandar aiuto. Et a dì 24 ditto, fo el zorno di San Zuane Baptista, intrò per la via di la marina in la terra monsignor di Beucher, el qual era rimaso gran siniscalco dil Regno, in Napoli habitava. Et ancora vi entrò el cardinal Colonna con zerca 3000 persone in tutto, et con quelli Franzesi erano in rocca, et zentilhomeni ussiteno fuora contra el populo, el qual havia cridato: Ferro! Ferro! Aragona! Aragona! et di quelli Gaetani ne amazono numero 1500 et più, che fo una crudelissima cossa veder in quella città tanti corpi morti per la terra, et etiam li puti; et le donne veramente non volseno amazar, ma le vechie fonno mandate a Napoli, et le zovene cargate et poste su certe galeaze per mandarle in Provenza; ma, ita volente Deo, poi da Zenoesi ditte galeaze fonno prese et le donne liberate: sì che Gaeta a questo modo fo trattata, et fatto quel che nunquam più fo audito, che contra uno populo si usasse tanta crudeltà senza ragion. Item che re Ferandino in Calavria prosperava felicemente, come per lettere de Ulixes Salvador havia inteso, date in Sicilia a Messina, drizate a esso orator, et che in uno loco ditto Terra nuova havia serato in obsidione monsignor de Obegnì vicerè franzese, et che in quelli zorni erano stati a le man, et el Re havia preso 50 cavalli et 300 Franzesi, et questa nuova è quella di sopra ho scritto. Ma al presente è da considerar certo, re Ferandino sia sopra l'armada soa aviata verso Napoli; et come vidi per una lettera scritta a Zuan Bragadin, per uno suo patron di nave era a Messina, come l'armada deputata a venir a Napoli in tutto era questo numero: caravelle et barze 45, galie 18, galioni 2, barzoti 2, el resto tra fuste e bragantini 20; in tutto vele zerca 70 (?), la qual armata se partì da Messina, a dì... Zugno, et la lettera vidi era di 21 ditto. Quello de ditta armada seguirà, scriverò poi. Ma da Roma etiam scrisse ditto orator che 'l Pontifice trovandose con 21 cardinal, secondo el consueto dovea a dì 3 Luio far l'ultimo concistorio, et poi, fatta la celebration de San Piero, per el cativo aere era a quelli tempi in Roma, li reverendissimi Cardinali dovea partirse et andar per quelle terre vicine a star fuora per tutto el mexe de Avosto, a ciò passi quei tempi pericolosi di egritudine per li gran caldi. Item [441] che Colonnesi con Orsini erano su le arme, et una parte con l'altra si danizava.

In questa matina medema di primo Luio venne lettere di 30 Zugno da l'orator nostro a Milan, come el Duca havia habuto lettere di Zenoa dal Governador, el qual benchè quella Riviera de Levante si fusse rebellata et venuta in favor dil Re de Franza, tamen che in Zenoa erano fermi in la fede data, licet del populo ne era qualche dubitatione, et che haveano dato quella risposta a l'araldo dil Re di non voler vi entri li do Cardinali et Obieto dal Fiesco per ambassadori dil Re; et cussì ditto araldo era partito; i quali tre erano a la Speza et per quella Riviera.

Item che el campo, a dì 29 da matina, quello era levato da Caxol et andato ad alozarse a Trecano mia 4 da Novara, et che Stratioti havia corso fina su le porte, et Franzesi non si haveano mossi, tanto erano in fuga et spauriti per Stratioti, et che feceno di gran butini de animali et ritornono in campo. El qual a dì primo Luio se doveva levar de lì et andar ad alozar in Arcano più vicino ancora a Novara, et che la Duchessa era a Vegevene, el Duca a Milan, et che in campo ne era opinion de andarsi a campar di là da Novara, in uno loco chiamato Agaglia, però che Franzesi non erano più col campo a la campagna ma tirati in la terra. Et è da saper che ditto campo dil Duca de Orliens era alozato tra Trecano et Cerano. Et inteso de Stratioti si tirò via de lì, i quali Stratioti dette in le coaze, et prese zerca 25 di chariazi, et alcuni Franzesi fo morti, et de Stratioti uno solo, et el cavallo dil Stratioto ritornò in campo, però che questo costume hanno i loro cavalli, et le teste portate a presentar al capetanio et a la Duchessa ebbeno uno ducato per uno, et questo fo nel principio, benchè sia qui scritto. Et el campo preditto duchesco era al presente assà ben in ordene, et fortissimo, et superior de Franzesi; et di breve speravano de haver vittoria, et che Stratioti haveano menato assà villani presoni in campo, i quali per esser dil contado fonno lassati andar.

Et in questi zorni fo preso certe lettere scriveva el Duca de Orliens al Re, come era venuto contra di loro certa qualità de zente che non sapeva quali si fusse, i quali haveano messo tutta la so zente in fuga, et che erano homeni senza arme, con barbe, lanze, mazoche et spade, et cappelli in testa. Et mentre Pregadi era redutto, però che 6 zorni continui fo Pregadi per far provision a tanta importantia et pericolo quanto era, per esser el Re cussì vicin al nostro campo; et zonse lettere di 30 di campo come era zonto [442] Hannibal Bentivoj con 9 squadre di zente d'arme benissimo in ordene, et una de cavalli lezieri, et una de balestrieri a cavallo et 800 fanti con lanze longe, le qual havea in cima una bandiruola, et con rodete, dei qual 400 era balestrieri a piedi, et 400 fanti; in tutto zerca persone 2300, adeo in campo era al presente più di 20 milia persone. Etiam zonse el conte Carlo de Pian de Meleto con el resto di le zente di Ravena, zoè squadre 20. Item che 'l nostro campo con le zente dil conte di Caiazo erano reduti insieme, et diviso le squadre et squadroni, fatto li colonnelli, li qual di sotto saranno notadi; et che la matina seguente doveano levarse di ponte di Thar, et andar ad alozar più propinquo a la montagna, a la badia de Gierola, et che erano in campo a hora 12 milia cavalli, et 5000 fanti, et oltra li 1500 mandati a Zenoa et ancora mancava assà fanterie a zonzer. Et che 'l Governador, Provedadori et condutieri haveano fatto consejo, et terminato de portarse vigorosamente, venendo Franzesi di qua da monti, et che erano volonterosi de apizarse con loro, et dicevano, si el Re venisse di longo, che promettevano a la Signoria indubitata victoria. Et per exploratori mandati in su quei monti et in campo dil Re erano certificati Franzesi esser a Pontremolo, et Sguizari havea brusato quella forteza, et amazati molti di la terra; questo perchè quando da prima de lì passono per andar in Reame, da li habitanti fonno morti alcuni di la soa compagnia, sì come nel primo libro è scritto; et però haveano voluto far la vendeta.

Item che la persona dil Re era ancora a Serzana mia 12 di Pontremolo, et che Zuan Jacomo di Traulzi molto in favor dil Re se adoperava, et che Franzesi erano venuti in su per questi monti, et havia habuto a pati un'altra forteza chiamata Berce et cinque altri castelli pur dil Duca de Milan, i quali fonno alias dil signor Piero Maria di Rossi, et per el Duca toltoli el Stado, l'anno 1482 a tempo di la guerra de Ferrara, che li tolse 22 castelli. Et morto in quel tempo esso signor Piero Maria, Guido suo fiul et fradelli veneno da la Signoria, fo data condutta et provisione, et fo valentissimo capetanio et fidelissimo, et za in la guerra de Todeschi strenue si portò. Ancora fonno azonti nel numero di zentilhomeni de questa terra, et nell'anno 1490, 10 Ottobre, esso signor Guido in questa terra morite, et la sua conduta fo data a so fiul conte Filippo di Rossi, el qual al presente è a custodia di Ruigo. Questi Rossi erano di primi di Parma, però che sono 4 parte in Parma principal: videlicet Rossi, San Vidali, Palavicini, et Corezesi; una di le qual è estinta et ch'è questa di Rossi; et in Piasenza ancora ne son altre [443] quatro: Anguisoli et Landesi, i qual son gebelini, Scotti et Fontanelli gelfi. Et questa digressione basti, et ad rem redeamus.

Item per lettere di campo se intese come Luca Pisani provedador era stato quel zorno in Parma a sopraveder, dove era lì Governador el signor di la Mirandola, et le soe zente erano in campo a soldo dil Duca col conte de Caiazo, et in quella sera discoverseno uno tratato dil castellan de Parma, el qual havia concertato con Franzesi de darli la terra venendo, et fo preso et mandato a Milan. Et ancora in quel zorno era zonto in campo Nicolò Savorgnan kav. da Udine et zentilhomo nostro con 1000 furlani, homeni disposti a ogni cossa. Et conclusive tutti, ex uno ore, dicevano mai non haver visto in Italia a tempi nostri simel exercito et sì fiorita zente: tutto in laude di la Signoria. Se ritrovava in questo tempo, oltra li provedadori et pagadori, 4 patricii andati per veder lì in campo, zoè Piero Donado camerlengo de Ravena, Homobon Gritti, Piero Bragadin et Vettor Pixani dal banco; el qual Pixani se ritrovò in campo al tempo di la battaglia. Et in questo zorno di 30 Zugno a hore 23, do balestrieri a cavallo dil conte de Caiazo menò dal Governador uno Franzese buffon, et dimandato dal ditto Governador dove eran li provedadori et condutieri quello andava fazendo, rispose era venuto a Fornovo et per quei lochi a far comandamento da parte di la Majestà dil Re sotto pena dil fuogo, che dovesseno preparar vittuarie et far dil pan, perchè Soa Majestà voleva venir con tutto lo exercito. Et domandato come nomeva.... mons. dil Cornet. Et el signor Marchexe ordenò li fusse dato da bever, et lui disse non beveva vin. Et el Signor disse non li podeva dar di l'acqua perfino a meza note. Et lui disse: la caxon? Et el Signor rispose: perchè i nostri cavalli va a beverar e turbia l'acqua, adeo fino a meza notte non se puol bever. Et questo Franzese disse: El fatto mio va mal! Et cussì rasonando fo menato dal Marchexe fino sotto la forca, et li disse: Vedistu questi do Signori? Lui disse: Che fanno? Et el Signor disse: Questi ti faranno dir la verità. Et tandem havendo gran paura, riferite el Re havia una bella compagnia, et volevano al tutto venir di qua da monti, non havendo paura dil nostro exercito. Et el Governador li disse: L'ha pur perso el regno de Napoli? Et lui: Non è vero. Li procuratori disse: L'ha pur perso Gaeta. Et etiam non volse consentir. Unde, non potendo haver altro da lui, fo dato a quelli l'haveano preso. Et è da saper che a dì 28 zonse in campo 300 elemani, bellissima zente, et cussì se andava ingrossando quello.

Queste lettere venute in Pregadi tutti comenzono a star di bon [444] anemo, vedendo el bon cuor haveano sì el Governador signor Rodolpho et altri condutieri et soldati. Et in quella sera scrisseno lettere assaissime in diversi luogi, et alli rettori di le terre nostre, dovesseno star preparati per li bisogni, et far far bona custodia, et mandar quelli dovevano mandar in campo. Et in campo fo scritto, ringratiando del bon voler haveano.

Ancora è da saper che per ditte lettere di 30 da Pisa, zonte el zorno di Nostra Donna a dì 2 Luio, se intese esser zonte 50 carete de artigliarie, et che Hannibal Bentivoj subito zonto volse far la mostra, et li fanti 800 havea con lui era quelli assoldati per l'orator de Milan, et che soldati, per haver li X milia cavalli de cariazi, erano più volonterosi de apizarse con Franzesi che quasi de haver la loro paga, di la qual era tempo; et che preso alcuni de quelli monti, confessono a la tortura Franzesi veniva di longo, erano mal conditionati, li cavalli magri et molti per caldi strachi et amalati, non haveano che manzar, et che per questa causa al tutto come disperati verebbeno zoso, et per paura de Franzesi li custodi de Fornovo haveano abandonato quel passo, et che nostri havendo inteso ivi erano venuti poco lontan a sopraveder 300 Franzesi, in quella notte medema li Provedadori havia mandato li Stratioti et 1500 fanti lì a Fornovo, et la matina a dì primo Luio el campo si levava per andar a Gerola, come ho scritto de sopra; et che intendevano la guarda dil Re havia ordinà le squadre, et che la Signoria non dubitasseno, li dariano vittoria grandissima, et aspettavano con desiderio el Signor de Rimano era in camino, et Paris de Lodron et Cozanderle.

Adoncha, inteso tal nuove per li padri de Collegio, et che al tutto venendo di longo si conveniva menar le man, benchè molti teniva non venisse, et facesse stratageme, e tolesse altra via, tamen ragione era assae dovesse venir di longo, et la grandissima penuria, et come se intese uno pan valeva mezo raynes, et venendo, si caso fusse, quod Deus avertat, che rompesse el nostro campo, sarebbe stato signor de la campagna, et con l'odio portavano li populi al Duca de Milan haria acquistato quel Stado, et sarebbe seguito mal assae, et per non metter in tanto sbaraio, molti patricii erano de opinion che 'l nostro campo, nisi coacti, non dovesseno far fatto d'arme; et cussì scrisseno in campo. Ma li Provedadori rescrisseno che non solum li soldati, venendo Franzesi, volevano esser a le mano, ma che andando per altra via, però che havia una via da Borgo per li monti, che poteva andar, erano nostri disposti di [445] seguitarli, et che anderebbono a Piasenza, sì che si stasse senza pensier, che speravano in Dio per il buon cuor di tutti haver vittoria. Unde per questo in Collegio, non vi essendo el Prencipe el qual era amalato, deliberorono de implorar l'auxilio divino, juxta quel ditto: nisi Dominus custodierit civitatem, in vanum vigilant qui custodiunt eam, et ordinò fusse fatto special oratione per tutti li monasterii de questa terra de religiosi, et a poveri monasterii 32 li fo donato 300 stera di farine quando preseno di romper, et al presente ne mandono altri 300 stera, pregando Iddio donasse vittoria a nostri, combattendo maxime per difensione de Italia et ben di la Christianità. Et ancora fo dato a madona Fiordelixe Zorzi et Beatrice Capello, donne che fonno dedite a procurar per la pietà, per presonieri et povertà, li fo dato stera 600 de farine che dispensasseno, 100 stera per sestier, a povere persone. Et a dì 3, 4, 5 Luio fo fatto processione a torno tutte le chiese, cantando le litanie, et ditto messe a ciò per queste vie el nostro protetor Iddio volesse donar a nostri vittoria contra Franzesi.

Per lettere di Alemagna, da li oratori al Re de Romani di 20 Zugno, se intese come esso Re era occupato a la Dieta, et che ivi se ritrovava nel suo Consejo uno baron di Bergogna, el qual era etiam con l'ambassador di l'archiduca, et per esser homo de gran inzegno et desiderar el ben di esso Re, non solum confortava dovesse venir in Italia, ma che, non possendo cussì presto expedirse, dovesse far romper al Re de Franza al suo signor Duca de Bergogna, sì per far quello è ubligato come colligato, quam per l'odio dovea portar al ditto Re de Franza per le inzurie ricepute; tamen che altri poi disconsegliava, si che de Maximiliano non se sperava alcun aiuto come in effetto fu.

A Ferrara di primo Luio, Hercules duca de Ferrara con cavalli zerca 400 se partì de lì, et andò verso Serzana; dove volesse andar non se intendeva, ma ben con lui portò assà cariazi de tapezarie et arzenti. Se divulgava andasse per dar el passo al Re, et per questo portava questi adornamenti, per poter recever honorifice Soa Majestà; ma esso Duca diceva andava per veder di conzar le cosse, et che el Re tornasse in Franza senza dar impazo a suo zenero Duca de Milan. Tamen per nostri tal sua andata era di gran suspetto, et se divulgava per la terra di far un capetanio in Po, et mandar galioni et barbote, non tanto per offender, quanto per haver armada in Po, per li bisogni potevano acader. Et questo Duca mandò vittuarie al Re, etiam polvere, come se intese.

[446]

Da Milan el campo dil Duca da Novara a dì primo Luio a hore X si levò in ordene di Trecano, et si apresentò mia uno lontano di Novara con ordene di battaglia, et inimici non li bastò l'anemo de ussir di le porte. Feceno nostri dar fuogo a 12 passavolanti drizati verso la terra, et ivi steteno fino a le XV hore; ma vedendo che haveano serato le porte et tagliato le strade, a caxone non se potesse correr su le porte, et visto questa fuga, Bernardo Contarini comandò che alcuni Stratioti coresseno di là de Novara mia X; i quali subito corseno, et non trovono scontro niuno, ma fece de gran butini de bestiame, et con gran terror dil paese Stratioti tornono in campo. Et poi el campo venne ad alozar a una villa ditta Perna, uno mio et mezo lontana di Novara, et volevano tajarli le acque a ciò non potesseno masenar; et far provisione siano assaltate le vittuarie venivano da Verzei et assediarli. Et in questo zorno, disnando, in campo fo cridà: Arme! Arme! et in meza hora el campo fo in ordene et veneno fuora, ma fo una dimostratione de inimici, però che ussite solum 700 arzieri a cavallo di Novara, et Bernardo Contarini con 300 Stratioti cerniti et 200 cavalli lezieri dil Duca deliberò di esser a le man. I nemici, oltra li 700 arcieri, era 100 homeni d'arme et 1200 fanti, et non venendo molto lontano de li borghi; et cussì per redurli in qua, Stratioti apizò una scaramuza, et mandò 1200 cavalli lizieri verso i pedoni per tenirli in exercitio, et esso Contarini con li Stratioti se aviò verso li 700 arzieri et fonno a le man, et per esser in luogo circondato di fossi non li poteno far Stratioti tropo mal, pur ne fo morti 12 et portate tre teste sopra la lanza, ritornono a li alozamenti. Et soldati se meravigliono di tal crudeltà, et esso Provedador per dimostrar la Signoria voleva se facesse guerra da dovero, li dette la regalia del suo ducato uno per testa, et intendevano el Duca de Orliens havea mandà bona parte di le artiglierie a la volta de Aste, sì che Stratioti messe in reputation quelle cosse, et Franzesi in gran fuga et pavento.

A dì 3 ditto, inteso Stratioti per le scolte i nemici erano ussiti fuora, questi se aviono con el loro Provedador a la volta de ditti nemici, et trovato 40 pedoni imboscati, tutti fonno presi senza snudar spada. Li altri stevano serrati in la terra, et el Duca de Orliens fece buttar uno ponte sora Po, distante da Novara mia 36 verso Aste, a ciò per quello potesse venirli soccorso di Aste. Et per obviar questo, el capetanio signor Galeazo mandò 60 Stratioti et 40 balestrieri per brusar ditto ponte, a ciò etiam potesseno libere nostri corer fino in Aste senza impazo. Et ancora in quella matina, per [447] ordene dil Duca, mandono a la volta di Zenoa 70 homeni d'arme et 100 cavalli lezieri, perchè cussì el Governador de Zenoa li havea richiesti; et el Duca de Orliens per quanto intendevano feva far spalti in la terra de Novara. Et in questi zorni fo preso uno corier con lettere di ditto Duca, drizate al Re in zifra, rispondeva come havea inteso et habuto lettere di Sua Majestà, et che l'era obsesso in Novara, nè si poteva partir nè ussir per causa de Stratioti. Et a dì 4 Luio, per nostri dil campo preditto duchesco, fo preso 12 villani et 8 sacomani con loro cavalli; et molti castelli ivi dintorno, che prima haveano ribellato di Milan et datosi al Duca de Orliens, al presente si rendevano voluntarie a nostri; et come per una lettera di Bernardo Contarini vidi, fin questo zorno havea fatto restituir a instantia dil Duca da 600 fin 700 cai de anemali grossi et assà altre robe et danari de butini havia fatto Stratioti, dicendo erano de li soi dil paese.

El campo veramente nostro di Parmesana a dì primo Luio se levò di ponte di Thar, et tutto in arme come havesseno a far battaglia, et veneno mia 2 più propinqui a la montagna, in uno loco ditto Gierola, et qui si poseno a li alozamenti, essendo stato zorni 6 al ponte di Thar. Et, fatto consejo, non volseno andar più di longo per manco pericolo, et per esser qui a la discoperta et quasi in fortezza. Et era in campo assà abondantia de vituarie, et, come de patricii che vi fu a veder se intese, pareva de esser in una città, per ritrovarvi di ogni cosse, et ogni arte, et tutti danarosi, perchè li danari di S. Marco corevano, et tutti stavano aliegri et di bon animo. Et è da saper che li Provedadori mandono a dimandar a Parma alcuni guastadori per bisogno dil campo, et quelli cittadini, fatto loro consegli, risposeno non li voler dar, per non angarizar el so paese. Or, avanti descriva altro, l'ordene dil campo voglio scrivere.

Ordene di l'exercito di la Illustrissima Signoria et colonnelli partiti a dì primo Luio.

Squadra prima:
Stratioti greci sotto Piero Duodo provedador cavalli 700
Zuan Griego con soi balestrieri cavalli 100
Sonzin Benzon e Zuan di Ravena balestrieri cavalli 100
Stratioti dil Governador zeneral cavalli 100
Stratioti dil signor Talian da Carpi cavalli 25
Stratioti di Hannibal Bentivoj cavalli 10
Balestrieri dil Governador preditto cavalli 200
[448]
Balestrieri dil signor Ranuzo dil Farnese cavalli 33
Balestrieri dil signor Antonio da Montefalco cavalli 20
Balestrieri dil conte Bernardin Brazo cavalli 25
Balestrieri dil conte Zuan Francesco di Gambara cavalli 10
Balestrieri di Piero Schiavo Contarini cavalli 25
Balestrieri dil Conte de Caiazo cavalli 50
Balestrieri di Hannibal Bentivoj cavalli 55
Balestrieri dil signor Galeoto di la Mirandola cavalli 50
Balestrieri dil signor de Carpi cavalli 40

La persona di lo illustrissimo signor Marchexe de Mantoa Governador et di signori Provedadori et Conte de Caiazo.

con el squadron de li alozamenti.

Colonnelli.

Jacomazo da Venetia capitano di le fanterie, tutti li elemani, marchesi et ducheschi per uno colonnello colonnello 1
Nicolò Maria Giacomo albanese » 1
Li fanti di la guarda dil signor Marchese e Zuan Mato » 1
Piero Schiavo contestabele » 1
Li bolognesi fanti » 1
Gorlino » 1

Colonnelli di le zente d'arme con le fanterie.

El conte de Caiazo et mirandoleschi squadre 14
Hannibal Bentivoj et signor Ludovico da Carpi » 11
Lo illustrissimo signor Marchexe Governador zeneral » 11
Signor Antonio di Montefalco et Zuan Francesco di Gambara » 14
Conte Bernardin et Marco da Martinengo » 17
Signor Ranuzo dil Farnesio et conte Alvise Avogaro » 16
Alexandro Coglion et Tadeo de la Motella » 13
Conte Carlo di Pian de Meleto et Talian da Carpi » 13
 
Sono squadre 109

De le quali ne restano do squadre per antiguarda di le artiglierie et cariazi.

[449]

Da poi sono zonte le infrascripte zente.

La zente di d. Alphonso fiul dil Duca di Ferrara, homeni d'arme 160, cavalli lezieri num.  100
Balestrieri dil Marchexe de Mantoa » 100
Stratioti del ditto, cavalli » 100
D. Nicolò da Savorgnan, con fanti » 100
Zenoa fanti » 300
Zuan Bernardo Pellegrin fanti » 100

Questi se aspetta in campo

El signor Pandolpho de Rimano con cavalli 400
El signor de Pesaro o ver el fradello con » 400
D. Paris da Lodron con provisionati num. 1000
Lionello dal Nievo fanti » 500
Cozanderle todesco, elemani el resto » 700
Fanti fatti a Bologna per el secretario » 200
Item le zente dil Duca de Gandia cavalli » ....

Et poi che fo el campo reduto a Gierola, et zonte parte di le ditte zente in campo, feceno di nuovo li colonnelli, li quali saranno di sotto al loco suo descritti.

Qui comenzano baruffe seguite in campo con Franzesi venivano zoso di monti.

Et sì come ho scritto di sopra che el campo nostro venne ad alozar a dì primo Luio a Gierola, et in quel zorno intendendo per una spia come zerca 2000 Franzesi, zoè 500 cavalli lezieri et resto pedoni, se doveano calar zoso di monti per piar (pigliare) el lozamento de Fornovo, ch'è a la fin di la montagna, a ciò el nostro campo non vi andasse ad alozar ivi, et Stratioti andati contra costoro trovono uno squadron di zerca 1600 che venevano zo del monte, unde Stratioti deteno dentro a pe' dil monte, et fonno a le man, et quelli rupe et fracassò metendoli in fuga, che ebbeno de gratia de ritornar indriedo, et ne amazò quelli Stratioti zerca 30, et prese 12 vivi, et le teste portono in zima le lanze a li Provedadori, et li presoni menono in campo; tra i qual era uno gran maistro sguizaro con 5 ferite, et franzese uno homo da conto, el qual volevano pagar [450] assà danari et fusse lassato, et havia una ferita arente la bocca da la banda dreta, et un'altra sopra la gamba, et judicaveno li Provedadori havesse a morir. El capo sguizaro menato in campo fo assà honorato da li Sguizari nostri, dicendo era homo di farne extimation, et quello andavano a visitar. Adoncha Stratioti cazò Franzesi fin a la montagna, dove erano certi passavolanti soi, et loro diseno uno, el qual azonse a uno Stratioto da Coron et quello amazò; et in quella fiata Stratioti feceno carne et non volse più presoni; et etiam uno Stratioto fo ferito da una lanza et do cavalli feriti. Et Stratioti feceno assà bene di questa prima baruffa, però che questi Franzesi presi et quelli fonno amazati haveano assà danari, et tal dà ducati 200 in suso et anelli molto grossi da ducati 25 l'uno d'oro, i quali haveano in dedo; et presentò le teste a li Provedadori, basandoli la man a la greca, ai qual fo dato uno ducato per testa, secondo el consueto, et li anelli recolti ne le sue bezasse (bisacce) presentono etiam a li Provedadori, et al so Piero Duodo; i quali fonno pesati, era di oro ducati 1500 et più.

Ancora uno balestrier bolognese prese uno Franzese solo di 400 balestrieri che erano, et Stratioti fece quello è di sopra scritto, et li soldati tocavano la man a Stratioti, cridando: Marco! Marco! Et è da saper che 'l primo Stratioto apresentò una testa de Franzese al Marchexe, li donò ducati X, et basolo per mezo la bocca; la qual cossa Stratioti molto stimano di esser carezati. Oltra di questo, Stratioti prese tre mercadanti fiorentini vestiti a la franzese, havea uno fameio et uno corier in loro compagnia per guida, venivano de Franza et andavano a Fiorenza; et fonno menati da li Provedadori, et examinati, visto non erano homeni de mal afar, fonno lassati andar via.

Questi Franzesi venivano zoso di monti erano l'antiguarda dil Re: cavalli 2000, 1600 Sguizari et 400 cavalli lizieri. Et nostri che li andono contra fonno 1200 cavalli lezieri et non più, tra i quali 600 Stratioti con Piero Duodo loro Provedador; et questi messeno Franzesi in fuga a ritornar indriedo. Ancora Stratioti preseno cavalli X de Franzesi. Et si Stratioti li havesseno lassati venir di longo et non fusseno stati cussì presti a investir, sine dubio tutti erano presi o tajati a pezi; ma fo tanta la fogosità per la morte dil suo Stratioto, che non volseno star a indusiar; et questo seguite a hore 16. El Franzese se tolse de taja lui medemo ducati 1000, et el Sguizaro havea ducati 500 adosso, et 4 anelli in dedo (dito) de ducati 25 l'uno d'oro; et se tolse de taja ducati 500. Et Stratioti [451] referitono in campo, Franzesi esser valenthomeni; tamen che de ditti non temeno, et speravano diman, venendo zoso, haver altra vitoria che questa. El campo nostro, el qual era za di le nostre squadre 100 et 20 de Milan, cavalli lizieri et Stratioti zerca 2000, et fantarie assà numero, alozato pur a Gierola, stevano preparati facendo far bone guardie a li passi, a ciò Franzesi non venisseno zoso di monti a trovarli disproveduti. Et messeno custodia a Fornovo, et ordinò li colonnelli, li quali più avanti saranno descritti, et quelli prima avesseno a investir i nemici, venendo a la campagna; sì che li Provedadori scrisseno che soldati erano de bon animo, et desideravano Franzesi venisse, et che si dovesse star aliegri, perchè erano certi de haver victoria. Et per paura de Parma, perchè Zuan Jacomo di Traulzi con la parte gelfa tramava pur novità, fo mandato ivi 400 provisionati, et Francesco Bernardin Visconte comissario dil Duca de Milan. Et è da saper che nostri tramavano pratiche secrete con ditto Zuan Jacomo di Traulzi, venisse da la banda di qua; et andava messi su et zo de questo; tamen promise de venir et non venne. Franzesi veramente si tirono a li monti; quello facesse non se intendeva, o volesse el Re venir di longo, o pigliar altra via; et necessario era de prender partito per la grandissima carestia haveano su quei monti sì de vittuarie quam de strami. Et qui è da considerar el Re facesse molti consigli con li soi, qual via havesse a tenir, ma pur fo advisato (non voglio scriver da chi, ma da chi era nemico de questa Signoria) che nostri per niun modo non volevano el campo fusse a le man con loro, ma li lassasseno andar; et però volse venir di longo.

Questa nova zonse in questa terra a dì 2 Luio, el zorno de San Marcilian, a hore 3 de notte, nel qual zorno da nostri è celebrato per haver habuto gran victoria per i tempi passati; et le lettere fo fatte a dì primo a hore 21. Ergo in 28 hore venne le lettere. Et inteso tal nova in quella sera medema, fo mandato a notificar questo a li Savij de Collegio, a caxa, per Zacharia Davit uno di Secretarii de Collegio, et la matina non sapendo far altro, se non ordinò el continuar le oration a implorar el divino auxilio, et da poi disnar per Pregadi fo scritto in campo, laudando la fede dil Governador et bona voluntà di l'exercito et portamenti de Stratioti. Et cussì tutti stevano in expectatione de haver lettere, che Franzesi siano venuti, et che se havesse fatto d'arme.

Ma molti, come ho scritto, questo apizarse non gli piaceva, per il pericolo et danno potea seguir: volendo più presto el Re prendesse [452] altra via o vero dimorasse a venir, tanto che le zente mancavano a venir in campo fusseno zonte, zoè signor de Rimano et de Pesaro, et conduta dil Duca de Gandia, Paris di Lodron, Cozandorle todesco, Nicolò Savorgnan, licet di sopra habbi scritto fusse zonte, ma zonse parte, et lui era poco lontan; sì che, fatta la descriptione, mancava siemile persone, le qual per zornata zonzevano, et etiam Zenoa el qual era propinquo, con 300 fanti; et pur nostri stava con desiderio de haver lettere de campo, et a li Provedadori comesseno dovesse scriver do lettere al zorno almanco, una la mattina et l'altra la sera, et le poste erano redopiate per haver avisi presti; ma per tutto questo zorno, nè etiam el 3 Luio fino a la notte non venne lettere. Et poi venne lettere di 2 del mese a hore 24, narava come el campo era stato tutto quel zorno in arme, aspettando el venir de Franzesi, ma che fino quell'hora non veniva nè era parso niuno; et che non trovavano spie de poter mandar a veder quello faceva Franzesi su quei monti; et che in quell'hora era venuto do homeni d'arme di la compagnia dil Traulzi per haver soldo di qua, fuziti dal Re, i quali portò uno pan di quelli se vendeva in campo di nemici, assà picolo et negro; et che non haveano più vittuarie, et era 4 zorni l'exercito non havia vino; et che erano Franzesi per el rebatter de Stratioti molto confusi, et stavano sopra de sè, havendoli rotto li soi disegni: et el Re era ancora a Pontremolo, et parte di le soe zente a Terenzo et a Bordan, el qual Bordan è assà forte, fo castello di Rossi, dove molti judicava qui havesse a lassar le loro some et cariazi in ditta forteza, la qual bisogna bombardarla volendola haver, per poter venir più lezieri a la battaglia; et che parte de ditta zente erano andate a la via de Borgo per tuor strame et sopra veder quelle vie assà estive da condur exercito, et è la via fece el signor Ludovico et signor Ruberto Severino, come ho scritto de sopra, va a Tortona. Et è da saper che in questi castelli, dove sono Franzesi al presente, hanno 4 vie: o vero tornar in driedo a Pontremolo; o andar in Tortona per monti assà aspri, ma non puol menar cariazi; o venir di longo contra el nostro exercito; o vero andar per quelli monti in Rezana (Reggiano) passando questi fiumi o vero torenti, zoè Baganzan, Parma, Lenza et Crostolo, et discender a Montechio o vero Torrechiara, et andar a Rezo, havendo però el passo dil Duca de Ferrara, el qual nostri molto sospettava non lo havesse; questo per esser andato esso Duca lì in Rezana, come ho scritto de sopra. Tamen molti era de opinion dovesse venir di longo, et esser a le man con el nostro campo; et el tardar faceva, era perchè havia [453] mandà Felippo mons. con alcuni cavalli et 1500 Sguizari verso la Speza et quella Riviera de Zenoa, et che aspettava ritornasseno nel suo campo, perchè havia mandato per lui. Et ancora scrisse al Prefetto signor de Sinegaia et Colonnesi, dovesse venir con zente in augumento dil suo exercito, non restando de mandar zente a Fiorentini, come dirò di sotto; pur pativa assà sinistri su quei monti, con poche vittuarie.

Et a dì 3 Luio, come se intese a dì 5 da matina per lettere di Provedadori date a Gierola a dì 3 hore 22, in questo zorno zonse assà numero de persone in campo; la compagnia de d. Alphonso fiul dil Duca de Ferrara, cavalli 600, era soldato de Milan, et la soa persona non venne, ma rimase col cognato in castello a Milan. Item venne Gilberto da Carpi con cavalli 200, pur per el Duca preditto. Ancora era zonto cavalli lizieri dil Marchexe de Mantoa Governador zeneral nostro, et mancava venir 200. Zonse lanze spezade rubertesche cavalli 340, et de ditta compagnia non mancava se non do homeni d'arme a zonzer. Etiam de altri condutieri che mancava compir le sue condute, a hora tutti erano zonti. Et come vidi per una lettera, in questo zorno zonse 8 squadre de cavalli armati senza cavalli lezieri, et etiam vi zonse Nicolò Savorgnan con li 1000 schiopetieri et provisionati dil Friul, benchè scrivesse di sopra era zonto, ma, per esser poco lontano, quei di campo reputava zonto. Et ancora venne 200 provisionati di la comunità di Asola benissimo in ordene, pagati a soe spexe per mexi uno. Mancava zonzer li 600 provisionati, che 'l signor Governador havea scritto a Mantoa a la Duchessa soa moglie et soi comissarii fosseno fatti di Mantoana, i quali di brieve doveano zonzer; et cussì Cozanderle, Zenoa et d. Paris de Lodron, al qual era Francesco de la Zueca nostro secretario et molto sollicitava; et questi tre de hora in hora erano aspettati in campo. El signor de Rimano era in camino, tamen molto longo, et non zonse a tempo. Soldati erano molto desiderosi, per el gran numero de zente a hora de squadre 130 et X milia fanti, de esser a le man con Franzesi, et haveano mandà molti de soi cariazi, chi a Parma et chi a Cremona, per remagnir più lezieri in far fatti d'arme. Abondantia grandissima era nel campo nostro, et in loco securo per li repari haveano fatti, et non si volseno muover de lì per molti respecti, maxime per li strami per li cavalli; et erano lontani di Fornovo mia cinque, dove era posto bona custodia, et cussì a Garona, ch'è sul monte una rocca, et Fornovo è il suo borgo a basso. Et el zorno avanti el conte Alvixe Avogaro con altri condutieri [454] et cavalli lezieri et fanti andò alquanto su la montagna per intender de Franzesi; tamen niuno non parseno. Et a dì 3 inteseno per una spia tornata di campo nemico, come el Re in persona era partito de Pontremolo et venuto mia 12 più in qua a Barze, dove era una parte dil so exercito, et el resto a Tarenza e Bardon mia X da Barze et 6 da Fornovo.

Adoncha Franzesi era mia 15 lontan dil nostro campo, zoè di Barze a Gierola, et li villani tutti de quelli monti si messeno su le arme per poder menar le man bisognando, maxime si Franzesi fusseno rotti, per haver etiam loro, di questo gran butino menavano, qualche parte. Et fo advisato la Signoria che Franzesi venendo zoso de monti voleva mandar li soi cariazi avanti, a ciò soldati et Stratioti atendesseno a robar, et loro in questo mezo o andar su la strada romea, o vegnir a combatter, et esser vincitori, volendo prima metter la roba che la persona a pericolo. La qual cossa fo mandato advisar a li Provedadori dovesseno questa stratagema notificar in campo; onde fo fatto bone provisione per el Governador zerca questo.

Et in ditto zorno di 3 Luio venne in campo nostro do trombeti dil Re de Franza, uno da matina, l'altro da poi manzar. El primo, andato davanti el Governador et Provedadori, domandò do cosse: prima de voler parlar al Conte de Caiazo, et essendo ivi ditto Conte, dimandò quello el voleva. Li disse che la Majestà dil Roy mandava per lui, che li dovesse venir a parlar. Al qual rispose el Conte non poteva venir, per esser homo di la liga et nel campo di la Illustrissima Signoria de Venetia. Et pur ditto trombetta o vero araldo replicò dovesse venir. La seconda fo che dimandava li presoni pigliati el zorno primo de Luio, et maxime uno zentilhomo di Bertagna, per el qual faceva grande instantia, offerendo assà danari; et pregava, non lo volendo dar, li fosse fatto bona compagnia. El qual preson era de Stratioti, et li haveano dato taia. Dimandato a questo trombeta per el Governador, quello feva el Roy; rispose che al tutto voleva venir zoso di monti di brieve, et benissimo in ordene de zente. Hor fu licentiato; et poi la sera ne venne uno altro con quelle medeme parole, de voler el Conte de Caiazo vengi a parlar al Roy, et che Soa Majestà mandava a notificar al Marchexe de Mantoa, come le so zente in Calavria havea amazà re Ferando et che re Alphonso era morto; sì che dil Reame non restava più altro contrasto. Et che el Duca de Milan non haverà più paura, essendo morto questi do soi nemici, et che al tutto el Roy voleva venir a provar le soe spade, et che l'era propinquo al nostro campo. Et Marchiò Trivixan [455] provedador li disse: prima che 'l conte de Caiazo essendo in campo di la Illustrissima Signoria, non volevano lui andasse dal Re; et che se maravegliavano di uno Re cussì fatto, che ha fama di Christianissimo, de mandar a dir busie; et che non era el vero quello diceva, però che haveano novelle più fresche di loro, che re Ferando prosperava in la Calavria, et za tutta era recuperata mediante l'armada di serenissimi Re et Raina de Castiglia, et che di brieve intenderanno l'haverà recuperato Napoli, come fin quell'hora nostri erano certi l'avesse recuperato; et che nostri steva con bon animo, volonterosi de apizarse; et che 'l Re vostro vegna pur presto, che li mostreremo gaiardamente el volto et da valenthomeni, et proverà si le arme de Italiani et di la Excelentia dil signor Marchexe et altri condutieri di la Illustrissima Signoria sono bone de difender et offender, et che erano gaiardi in expectarlo. Et poi li feceno admonitione non dovesse più vegnir alcun Franzese in campo, et dovesse dir al Roy non mandasse; perchè, venendo, ordinaria a le antiguarde fusseno taiati a pezi. Et con tal risposta, et alcune savie et fidelissime parole mandò a dir el Governador al Roy, di simel sustantia, ditto trombeta ritornò a Berze, et poco mancò che nel ritorno fusse amazato da Stratioti; ma pur fo acompagnato via senza alcun danno.

Et in questa terra a dì 5 la sera pur zonse lettere, (scritte) a dì 4 dil mexe a hore ij, et qui zonse a hore 22, le qual conteniva come in quella matina essendo li Provedadori in chiesia per udir messa, et a pena cominciata la messa, che zonse lì uno trombeta dil Re, vestito di veluto negro, con una tromba mazor di quelle va davanti al Prencipe, et una bandiera atacà a la tromba di 4 braza per longeza et uno e mezo per largeza. Et quando zonse lì, Marchiò Trivixan provedador li disse: Che diavolo vienstu a far qui? Lui rispose veniva da parte dil Roy a portar una lettera a li signori Provedadori. Et li disse ditto Provedador: Va in malora, che non volemo sue lettere. Et lui si volse partir; ma Luca Pisani, altro Provedador, disse: Vien qua, lassa veder. Et el trombeta, che za havea ditto: In bon hora, io mi tornerò in driedo; per queste parole dette le lettere. La qual era di monsignor di Arzenton che fo qui ambassador, drizata a Marco Antonio Moroxini kav. et Marchiò Trivixan, credendo el Moroxini fusse in campo, come fo eletto Provedador. Et conteniva che el suo Roy havia bona lianza, liga et amicitia con la Signoria nostra, et mai havia voluto romperla; et cussì era certo che Venetiani non voleva altro che conservarla; et però se [456] maravegliava de questo exercito sì grande ivi posto, a ciò la Majestà dil Roy non passasse. El qual Roy prometteva de ritornar in Franza senza far alcun danno, con altre parole simele. Et subito li Provedadori spazò uno corrier con questa lettera a la Signoria; la qual lettera, come se diceva, fu drezata al Consejo di X. Et dato la risposta a ditto trombeta per li Provedadori, dimandato dil Re, disse che bisogneria menar le man, et non parole; et che el Re facia in persona fatti d'arme, el qual era sempre circondato da 50 zentilhomeni franzesi, et che se nuj l'aspetemo, Soa Majestà non fuzirà. Et cussì ritornò dal Re preditto. El campo nostro era benissimo in ordene, et assà incrudeliti contra Franzesi; et questo li Provedadori conoscete, per più fiate fo cridato: Arme! Arme! che in uno ottavo de hora tutto lo exercito fo armato a cavallo, aviandose verso el monte. Et fra a dì 3 da sera, la note, et a dì 4 el zorno, se armò cinque fiate tutte le zente, perchè le guarde vedeva qualche Franzese venir a soraveder, et cridava: Arme! Arme! in campo, et tamen era 0.

In questa matina di 5 Luio venne lettere de Milan, narra le cosse seguite per Stratioti, sì come ho scritto più avanti, et notificò quello haveva el Duca habuto di Zenoa, di l'armata de Franza, mandando la copia di le lettere a la Signoria, le qual qui sotto saranno poste. Et oltra di questo, per lettere di Zorzi Negro nostro secretario a Zenoa di do de l'instante, se intese prima come era arivato, et li grandi onori li era sta fatto et li fanno Zenoesi, qual etiam per altre havia scritto; et che Zenoesi se volevano mantenir in la fede data al Duca de Milan, et per conseguente a la Signoria nostra; et el grandissimo dispiacer ricevuto havea quelli Signori dil scorno hanno fatto quelli di la Riviera, de darse al Re de Franza. Et che a la Speza volendo metter Franzesi a sacco alcune caxe di Zenoesi; quelli, al meglio poteno, mandono loro robe in caxa dove alozava el Cardinal de Zenoa, a ciò fusse difese da lui, essendo da la parte franzese et con Franzesi ivi intrato. Ma per questo Franzesi insolenti non steteno, che volseno intrar in ditta caxa, non obstante che 'l Cardinal se li fece in contra su la porta, non volendo intrasseno: et loro non riguardando a la dignità ecclesiastica, imo con furia quello ferino, et poco mancò non fusse morto; et messeno la roba a sacco, secondo el consueto de far danno a tutti.

Item come l'armada di esso Re (galie 7, fuste 2, galioni 2 et uno bragantino), havendo l'armada de Zenoa galie 9 et 4 nave grosse, capetanio Bricio Justiniano, la qual era vicina a la Speza, [457] lì al Porto Venere, et habuto vista di ditta armada la qual tornava di Napoli, et fo quella era sta a combattere Yschia, li deteno l'incalzo; la qual se tirò in uno porto chiamato Sestri, vicino al colfo di Rapalli; et questa armada zenoese li andò drieto, et in quel ponto, uno trar di balestra luntano, si messe et subito spazò a Zenoa a notificar de questo. Et cussì Coradolo Stanga prothonotario comissario dil Duca de Milan expedite lettere al Duca; et questa mattina de 5 Luio, Domenega, Tadio de Vicomercà kav. orator de Milan andò in Collegio con grande alegreza a presentar la copia de ditta lettera, la qual è qui sotto scritta. Et in campo, el conte de Caiazo have questa nova a dì 4 ditto la matina, et notificò a li Provedadori.

Exemplum literarum d. Coradoli Stangae prothonotarii ad Illustrissimum Dominum Ducem Mediolani.

Illustrissimo signor mio. In questa ora è gionto uno messo di l'armada nostra venuto a posta, quale dice come l'armada inimica s'era retrata in terra, e che la nostra li era sotto uno tirar di balestra, in modo che tenimo per certo de haver almanco tutti li legni, et quello li era dentro; quale sono galeaze 7, due fuste, uno brigantino, et due galioni; et la Excelentia Vostra tenga la presa fatta per certa. Se pensa hora de mandar per terra per pigliar tutti li homeni desesi; la qual nova me ha parso dar volando a quella per consolation, con la qual el bono animo vedo in questi magnifici, et spero ancora consolarla presto dil resto, perchè comprendo in loro tanto dispiacere dil scorno ricevuto de la preda de li lochi de Riviera, che non pensano in altro che recuperar la gloria amissa. Li nemici sono stati a Portofino, e quello castellano si fece forte incredibilmente, in modo che perseverando merita da la Excellentia Vostra laude e merito. In bona gratia soa humilmente me racomando.

Genuae, die secundo Julii 1495.

Coradolus Stanga prothonotarius
et comissarius.

Et havendo el Duca de Milan bisogno de danari, mandò a dimandar per el so Ambassador danari in prestedo, et non essendo honesto se fasse senza qualche cautione, perchè bastava di la grandissima spesa faceva nostri, tutto per aiuto di esso Duca, che 'l Re de Franza et Duca de Orliens voleva privarlo dil Stado; et però mandò alcune zoie et perle, et cussì in questo zorno, a dì 5, per deliberation dil Consejo di X fo trato dil santuario ducati 50 milia, et [458] prestati a ditto Duca Ludovico; et poi ancora fo prestati di altri, come al loco suo tutto, Domino concedente, sarà scritto.

In questo zorno di 5 Luio, essendo Gran Consejo reduto, fo chiamati zerca 50 patricii, tra cavalieri, dottori et altri, et fonno mandati contra el Vescovo de Brexanon veniva in questa terra Ambassador dil Re de Romani, et era zonto a Mestre con 30 cavalli. Et cussì questi, venuti zo di Consejo, et non poteno esser a hora a Margera, et trovato che za ditto orator veniva, dismontono li patricii a San Segondo, et per Nicolò Michiel dottor più zovene, secondo el consueto, li fo fatto una oratione latina assà breve et ex tempore, excusando la Signoria non havea saputo avanti. Et cussì lo acompagnò a San Zorzi Mazor, dove habitava l'ambassador dil Re de Franza, et honorifice, a spexe de San Marco, stete qui alcuni zorni, et a dì 7, el Marti, fo a l'audientia et referite la soa legatione, zoè che la Majestà dil suo Re dimandava ducati 100 milia da questa Signoria per dover venir in Italia, et per el primo Ambassador suo, el qual era etiam qui et stete fermo, et questo Episcopo ritornò, insieme con ditto orator dimandò questo medemo. Ma per el Vicedoxe li fo risposto se faria li consegi per darli risposta; in questo mezo dovesse veder la terra. Et in questa matina medema, per lettere de Roverè se intese esser zonto a Trento quel capetanio di ditto Re de Romani, con zente, chiamato domino Sigismondo Belsperger sopra nominato, che veniva in campo a Novara de Milan, et ancora che in Trento se faceva preparamenti per 800 cavalli, che el zorno drio dovea lì zonzer, come etiam de questa venuta de ditti cavalli per lettere di oratori a esso Re se intese.

A di 6 Luio da matina zonse lettere di campo di 4, hore 24, per le qual, oltra quello advisò la Signoria secrete, se intese come era in quel zorno zonto Zenoa con li 300 fanti, et havia fatto la mostra. Et è da saper che ditto Zenoa menò con lui alcuni valenthomeni bandizati di le terre nostre, et per Quarantia Criminal li fo fatto salvo condutto. Item che era zonto fanti de li campi ultimamente fatti, et do fradelli fioli che fo dil conte Iulio da San Bonifacio da Verona, erano venuti con 200 provisionati a soe spexe per do mexi, pagati in campo; et che l'exercito era benissimo in ordene, non dubitando de Franzesi, i quali non parevano, et judicavano fusse assà confusi; et che haviano inteso quanto la Signoria nostra li haveano advisati, de haver cura et andar saldi etc.; et che la causa non erano andati ad alozar col campo a Fornovo era per boni respecti, et che di questo nè di altro la Signoria non se dovesse [459] dar alcun fastidio, che non facevano niente senza el consejo, oltra di lo Illustre Governador et signor Rodolfo, etiam dil Conte de Caiazo, conte Ranuzo, conte Carlo de Pian de Meleto, conte Bernardin et altri strenui condutieri, et che 'l meglio era terminato tra loro, et però haviano deliberato de star lì a Gierola per comodità de cavalli; et venendo zoso Franzesi, sariano più a la larga a far fatto d'arme; et haveano fatto li colonnelli, di esser a la battaglia, bisognando, li qual saranno notadi qui sotto: tamen che a Fornovo haveano messo bona custodia de fantarie. Ancora che in quel zorno, parendo pur certi Franzesi su quelle colline armati, parse a Nicolò di Nona, fo quello venne in campo con Piero Duodo con 22 cavalli, ha ducati 20 al mexe de provision, et sta a Zara, homo valentissimo, havendo grandissima voluntà de operarse et dimostrar la fede havia a questa Signoria, non però con licentia de Provedadori, ma da lui, andò con X cavalli di soi a sopraveder, et trovato questi Franzesi armati per numero 40 a cavallo, dette dentro con li soi cavalli lezieri, a modo de Stratioti; et Franzesi non si sepe tanto difender, che ne amazò 4 di loro, et portò tre teste in campo, et uno Franzese vivo; el qual havendo una gran ferita di lanza, zonto in campo morite: pareva homo de conditione et assà disposto. Et che quel zorno fo cridato: Arme! Arme! et tutti se messeno in ordene, come havesseno a combatter, che fo bel veder.

Ordene de li colonnelli come haverano andar contra li nemici, fatto a dì 3 Luio 1495 in campo a Gierola[137].

Da Milan se have lettere di 4, come in campo era stà preso uno portava lettere del Duca de Orliens al Re de Franza, date a dì ultimo Zugno et primo Luio, et par siano responsive ad alcune ricevute di esso Re, dicendo: Christianissimo Roy, ho inteso che volete io vegni con le mie zente a dì 13 di questo mexe verso Piasenza, per ritrovarse tutti do li exerciti in uno, et che Vostra Majestà sarà lì a quel tempo. Ve notifico come in campo dil Duca de Milan, come vi ho scritto, se ritrova certa zente chiamata da loro Stratioti, che non so si sia Turchi o diavoli, che danno tanta molestia a nostri, che non osano ussir fuora di la terra de Novara, perchè li amazano, e porta le teste su le lanze, et coreno ogni zorno fino su queste porte, cussì come per avanti nuj corevamo fino a Vegevene, sì che non è possibil [460] de venir, perchè le zente hanno paura, et non voleno venir; et si venisseno sariamo rotti, et tutti amazati. Con altre parole, ma questa è la conclusione di ditta lettera.

Da Bologna, come, a dì 4, mille fanti benissimo in ordene, fatti per el nostro secretario, erano de lì partiti, venendo a la volta dil campo, et che fin do zorni spazerebbe li altri 1000, et manderia subito via, cognoscendo la celerità bisognava; et che 'l magnifico Iohanne Bentivoi, et li signori Bolognesi erano fermi et in grande amicitia con la Signoria, et erano certi se havesse a far fatto d'arme, perchè el Re era su quei monti poco lontan dil nostro campo.

Da Ferrara, el Duca esser zonto a Rezo, et per Ferrara se divulgava come etiam esso signor disse al suo partir al Vicedomino, che l'andava a compiacentia de so zenero Duca de Milan, et che di la soa andata non se dovesse haver paura, et che voleva esser bon fiol de questa Signoria, non però voleva esser nimico dil Re de Franza. Ma Venetiani sospettava assà, per la via de Rezana non mandasse vittuarie al Re, et però li haveano mal animo. Et in piaza de San Marco tutti, quando era Pregadi suso, mormorava se dovesse far capetanio in Po, et mandar gripi, fusti et barche con alcuni rediguarda erano sta reconzati in l'arsenal. Et a dì 2 Luio, a ciò io noti molte cosse, zonse a Ferrara Sigismondo Cantelmo fo fio dil Duca de Sora, veniva di Ortona, el qual era sta con el Re de Franza in Reame per veder si poteva rehaver el stato dil padre, ma non havendo potuto rehaverlo, era ritornato a Ferrara assà mal contento. Ancora Antonio di Contestabele kav., che fo quello andò per el Duca de Ferrara ambassador a esso Re a Siena, et con Soa Majestà venne fino a Pontremolo, et de lì se partì et ritornò a Ferrara, nel qual zorno el Duca se partì et andò a Rezo, lassando governador in Ferrara so fradello sig. Sigismondo di Este.

A Ravena, per lettere de Andrea Zanchani podestà et capetanio, se intese ivi esser zonto Zuan Paulo de Manfron, che fo quello era a Napoli con re Alphonso, et per nostri conduto con 200 cavalli, et che se aviava alla volta dil campo, et che a dì... ditto passò de lì el sig. Pandolfo de Rimano con la sua compagnia venivano in campo, ma questi do non veneno a tempo.

Da Roma, per lettere di 3 dil mexe, come Hieronymo Zorzi orator nostro havea visto una lettera drizzata al cardinal Curcense, scritta in Napoli a dì 22 Zugno per mons. di Mompensier vicerè, come a dì 21 mons. di Obegnì vicerè in Calavria, el qual era con 100 homeni d'arme et 1200 Sguizari, havia rotto re Ferando, a uno [461] loco ditto Semenara, el qual havia 1000 cavalli et 4000 pedoni, de li quali era sta amazati più di 3000, el resto rotti e fracassati; et che ditto re Ferando era fuzito con 4 cavalli in Rezo. Questa tal nuova, come scrisse ditto orator, non era credibile, per non haverla per niuna altra via. Tamen che dil tutto havea voluto advisar la Signoria: tamen, si questo fusse, vegniria a verificar quello mandò a dir el Re a li nostri in campo. Item che in Roma si faceva ogni giorno comedie et feste, et qualche oratione si recitava al Pontifice per alegrezza di la sua tornata; et come in quella notte di 3 Luio ivi era morto Benedetto Soranzo patricio nostro, Arciepiscopo di Nicosia su l'isola de Cypri; el qual el zorno avanti havia disnato di bona voia, et tre ore da poi li vene uno accidente, et butato al letto perse la favela et ogni sentimento, zoè cadete apopletico, ut mos est praelatorum, et morite la note. Questo havia beneficij per ducati 1500 de intrada a l'anno; et el Pontefice subito mandò a bollar tutto quello havia, et sequestrar li danari in banchi 14 milia, et conferite l'arcivescovado de Nichosia al Rev.mo cardinal Grimani, et una abatia a Campo S. Piero fu data a Francesco Querini episcopo di Sebenico, et un'altra di Ravena fu data a requisition dil Cardinal nostro patricio di cha Gritti, adhuc puto. Item che 'l cardinal Grimani havia dato el suo vescovado de Baffo, havia, a Jacomo da cha da Pexaro pur nostro patricio, era suo maestro di caxa, et cussì fonno dispensati ditti beneficij. Et subito in questa terra per el consejo de Pregadi fonno confirmati, et datoli le lettere dil possesso, havendo le bolle di Roma. Ma el cardinal Grimani, volendo el Pontifice l'arciepiscopo de Nichosia andasse a ressidentia nel so arciepiscopato, contracambiò con Sebastian di Priuli prothonotario apostolico, che li dette una abatia havea a Zara, et certa pensione; et cussì ditto prothonotario fu fatto arciepiscopo; et cussì fonno adattate quelle cosse. Sed ad rem revertamur.

In questo medemo zorno, a hore 24, zonse lettere de li oratori al Re di Romani, date a dì 28 Zugno, che la dieta pur si faceva, et el Re non poteva venir in Italia per questo anno, et similia verba: dil qual ozimai non è più bisogno.

Da Zenoa, lettere di 3 dil secretario nostro, come l'armada franzese essendo a Sestri combatete quel castello, et l'armada zenoese li era vicina, unde li custodi se difeseno vigorosamente; unde ditta armada ussite, per andar via, ma l'armada zenoese la seguitò: per la qual cossa la franzese vedendo non poter fuzir, intrò nel porto di Rapalli et Zenoesi si messe a la boca di ditto porto, sperando al [462] tutto di haverla, o vero brusarli li navilii; et che da Zenoa era partito Zuan Adorno, fradello dil governador, con 300 fanti per andar per la via di terra contra li homeni de ditta armada; et che in quel zorno el governador havia mandato alcuni fanti et zente per augumentar ditto suo fradello. Questo, perchè intendevano mons. di Brexa o ver Filippo mons. et Obieto del Fiesco veniva con alcune zente a Rapalli, in aiuto di la sua armada. Quello seguirà, sarà scritto di sotto.

Da Ferrara, lettere del Vicedomino, come in quella terra non si cridava altro che Franza! Franza! Et che Ferraresi dimostravano mal voler contra nostri, et che 'l Duca era zonto a Rezo, et li havia scritto una lettera, la qual mandò a la Signoria, come l'haveva inteso el campo nostro esser fortissimo et ben in ordene: et advisava el seguito di le cosse de Zenoa.

A Fiorenza, per lettere di merchadanti se intese come haveano a dì 28 Zugno fatto la nova Signoria, et intrata in palazo al primo de Luio per novo modo et forma di eletione: li quali saranno qui sotto scritti. Et compito de far el novo governo, messeno ogni loro inzegno in rehaver Pisa. Et che el conte Ranuzo di Marzano, Hercules Bentivoj, le zente di d. Francesco Secho et el Duca de Urbino al principio de Luio ritrovandose in campo a Pandera, castello di essi Fiorentini, et el campo de Pisani a Cassina, dove era Lucio Malvezo loro capetanio, or fonno a le man, et fo presi di le zente di Pisani zerca 60 tra i qual alcuni nepoti di ditto Lucio Malvezo; et poco mancò lui non fusse preso, et preso uno fiul dil sig. Ruberto di San Severino, natural cugnato di esso Lucio; et fatta questa scaramuza, li campi ritornono a li alozamenti, non però che non fusse morti alcuni di una et l'altra parte. Item che 'l Re essendo a Lucca, partiti li tre Ambassadori de Fiorentini da Soa Majestà nominati di sopra, e ritornati a Fiorenza. Et el Re seguendo el suo camino verso Pontremolo, non volse pur render Pisa, et però Pisani se difendevano in libertà, et el Re mandò uno messo a Fiorenza, o vero araldo, con lettere, dimandando tre cosse: prima, che dovesseno far trieva con Pisani per do mexi, nominando li signori Pisani, perchè lui saria quello voleva adatar le cosse; secondo, che li prestasse ducati 20 milia, per haverne bisogno per pagar lo suo exercito, maxime a hora, havendo el campo de Veneciani a l'incontro, per tuorli il passo; tertio, che li dovesseno mandar le zente di Francesco Secho, el qual Fiorentini per avanti concesse al Re la soa persona ma non la soa conduta, et per questo venne a trovar el Re con alcuni cavalli lizieri. [463] Hor al presente el Re voleva le sue zente, per augumentar l'exercito.

Ma Fiorentini, fatto loro consegli, rescrisseno al Re che farebbeno do ambassadori a Sua Majestà, et che, di la trieva con Pisani se doleva molto el Re li chiamasseno signori, et che non li pareva honesto di far trieva con soi vassalli, et che, venendo a loro misericordia, li fariano cossa li sarebbe in piacere.

Item de li ducati 20 milia erano contenti, per l'amor portavano a Soa Majestà, servirlo de ducati 15 milia quando sarà zonto in Aste, et che li altri cinque el Cardinal mons. Samallo, quando fo a Fiorenza, promesse a quella Signoria di prestarli ducati 5000 in ogni loro bisogno, et che al presente erano nel bisogno, et però fariano ditto Cardinal desse questi danari a Soa Majestà.

Tertio, che di le zente dil Secho le ge bisognava per reaquistar molte terre li erano rebellate, et maxime Pisa, et per defendere el loro stato, et cussì expediteno ditto messo. Non restava continuamente Zuan Battista Redolfi, loro orator a Milano, de dir al Duca che volentiera se aderirebbono a la liga, ma pur che 'l Re li era assà propinquo: conclusive, temevano. Et uno suo contestabele era in Modenese a far 400 fanti, venuti ditti fiorentini, in questi zorni li scrisse non dovesse farli, et non haviano bisogno.

Questi sono li primi eletti di la Signoria di Fiorenza per novo modo:

In questa mattina, a dì 7 Luio, alcuni castellani erano in questa terra andò in Collegio, notificando a la Signoria nostra come li castellani di la Patria preditta di Friul, vedendo el bisogno havea la Signoria di zente, come veri subditi et fidelissimi, tra loro volevano mandar in campo 300 fra cavalli lizieri et provisionati, zoè la mità cavalli lizieri et l'altra mità provisionati pagati a loro spexe per do mexi, et che li capi era Alvixe da la Torre di 100 cavalli et [464] 50 provisionati; Elia da Cusan capo de 50 cavalli et 50 provisionati; et uno altro. Et dimandono una lettera di passo, a ciò potesseno andar in campo; la qual fo subito fatta, et molto ringratiati di la bona voluntà haveano.

Di campo etiam zonse in ditta mattina lettere di 5 del mexe, di sera, come el Governador con li Provedadori, essendo in quella mattina a l'hora di la marangona cavalcati a veder certi repari, fo per le guarde discoperto uno grosso squadron de Franzesi, che volevano discender el monte et calarse ne la valle dil fiume dil Taro. Unde lo illustre Governador, con el sig. Redolfo, fece metter lo exercito tutto in arme, senza son di tromba nè di tamburo et ogni altro instrumento, nè cridar: arme! che fo cossa bellissima a veder, l'ubidientia de tutti, l'hordine et la inumerabel zente, et andar tutti li squadroni con li soi ordini a le poste senza strepito alcuno. Et alongato zerca uno mio et mezo fora de li alozamenti, li squadroni preditti feceno alto, et fermati sopra la campagna, la qual era ampla et apta a tal cossa, aspettono li nemici, credendo vi dovesse venir per combatter; perchè ancora Franzesi venivano etiam loro, passo passo, con le artiglierie avanti, sopra la giara, et assà stretti. Et venuti uno mio vicin a nostri, i quali erano fatti in 5 squadroni, si fermò. Et erano avanti nostri zerca 1000 tra cavalli lezieri et balestrieri a cavallo, i quali se tiravano indriedo quanto li nemici venivano avanti; ma fatto alto, Franzesi scaricò assà artiglierie, et comenzono a tender li pavioni (padiglioni) et tende, et ogni altra cossa per accamparse ivi. Qui era el Re con tutte sue zente. In questo interim li Stratioti, li quali erano ascesi el monte per veder qual via tenesseno li nimici, visto lo fermar suo, disceseno el monte, et li andono a trovar da banda manca, a ciò le artiglierie non li potesseno nuocer, et lì se ataccono con loro, per modo che portono gran quantità di teste, cavalli et barde et arme, zoè balestre, spade et armadure di dosso assà: in conclusion, non feceno preson alcuno, ma più de 40 Franzesi amazono, et veneno con questa vittoria in campo nostro. Et visto el Governador che Franzesi non volevano venir a la battaglia, li quali con grandissimo animo desideravano nostri che li venisse, ordinò si tornasse a li alozamenti; restò solum el sig. Redolfo, barba dil Marchexe preditto, con 20 squadre a la veduta, et poi etiam lui si venne a disarmar. Et Stratioti, in quel numero de morti, ne amazò uno capo di squadra, de condition, per quello fo judicato, et portato la testa a li Provedadori per haver el ducato insieme con le altre, questa havea una botta di simitarra sul fronte. Ancora [465] menono alcuni cani brachi bellissimi, tolti ai nemici; i quali rimaseno molto confusi, pur se alozono a pe' dil monte. Et da poi in ditto zorno, Stratioti, cavalli zanetti, Soncin Benzon con li soi cavalli lizieri, ancora dil Marchexe, fonno a le man in diverse hore con i nemici, scaramuzando, e tal fiata ne hanno amazati 15 et 20 senza danno di nostri. Questi Franzesi veneno come disperati, perchè in quella valle non haveano da manzar ni da bever, et in queste baruffe uno solo Stratioto fo ferito, et amazato uno cavallo; et questo è il danno nostri ha habuto ozi da i nemici; et Franzesi stavano con gran guardie, et simel nostri. Era lontan un campo di l'altro solum mia 4, et cussì li Provedadori advisò a la Signoria, come, ad ogni modo, el zorno driedo non potevano fuzire di non esser a le man con nostri, et che si dovesse far pregar Dio ne donasse vittoria, et che tutto el campo erano molto vigorosi et di bon animo, sperando senza dubio haver vittoria; et che dubitaveno non andasse per certe vallade et alcuni monteselli in Piasentina, et che, andando, el Governador con tutto el campo erano disposti de seguitarli ad ogni modo; e che in quel zorno, da poi manzar, zonto era in campo Paris da Lodron con 300 fanti et Jacomo dal Sabion con 100 fanti benissimo in ordene et bella zente; et a hore una de notte etiam zonse altri 250 fanti di quelli di Paris da Lodron. Et, come per una lettera de Daniel Vendramin pagador vidi, che fo presentado a li Provedadori 37 teste, et che per una spia havevano inteso come era morti 20 cavalli dei nemici, per manzar formento; sì che, sforzati, veneno zoso di monti a camparse a Fornovo. Et per una lettera di Anzolo di Mafei, era con lui, vidi che Stratioti 24 investite 80 Franzesi in quel zorno, et ne amazò X et assà feridi, et li messeno in fuga. Item che, per quanto intendevano per spie dil numero di l'exercito, non passava persone X milia da fatti; el resto zente inutile, et nostri era do volte tanti. Item in quel zorno zonse 68 spingarde sopra careti, et se aspettava el resto fino al numero di 260 da Verona; le qual el zorno driedo doveano zonzer; et come zonseno, non havendo più bisogno, li Provedadori quelle remandono in driedo.

Et oltra questa lettera di campo, a hore 20 ne zonse un altra di 6 dil mexe a hore 12; et per non esser ni Conseio di X, ni Collegio, ni Pregadi reduto, fo subito mandato per li Cai dil Conseio di X, et quella fo letta. La qual conteniva, come in campo era venuto uno trombetta, da parte di mons. di Arzenton, dicendo voleva in quella hora venir a parlar a li nostri Provedadori, et veder di conzar le cosse, et voleva salvo condutto. El qual in quella matina [466] venne per tenir in parole el nostro exercito, a ciò Franzesi o andasse via o vero venisse a trovar nostri disproveduti, come di sotto per el successo chiaro si puol comprender.

Da Milan lettere di 6, come el so campo prosperava mediante Stratioti, i quali fevano continue corarie et butini di bestiame, et speravano di breve metter campo a Novara, et piantar le bombarde; et come di 5 da sera, le loro scolte assaltò le scolte inimiche, scorzevano certe vituarie in la terra, et certe artiglierie, et, essendo a le man, nostri li tolse 6 para de buoi che conduceva con li carri ditte cosse, et tagliato li sacchi de formento erano su li muli, a ciò el formento se spandesse. Ma che li venne socorso, per esser sotto le mura di Novara, et nostri convenne lassar le artiglierie, era 6 passavolanti, li qual veniano di Aste, et libere introno in la terra; et che 'l Duca attendeva a intender el successo de questi campi, dove consisteva el tutto.

Di Zenoa, come l'armata era assediata dove ho scritto di sopra; et che 'l Duca havia mandato dil suo campo a Zenoa....., le qual a dì 3 se partì, et che doveano esser zonte. Ma qui a Zenoa a dì 6 acadete certe novità: li partesani di la terra con quelli de li borghi, nei qual ne intravene qualche Franzese, et ne fo morti et feriti assà. El cardinal san Piero in Vincula, el cardinal de Zenoa, et d. Obieto dal Fiesco prothonothario, erano a quelle riviere, et Filippo mons., per el qual el Re mandò a dir dovesse lassar quella impresa, et redurse col suo exercito a la volta de Pontremolo, perchè voleva discender i monti. Et etiam in questo zorno Bernardo Contarini scrisse a la Signoria di progressi di Stratioti, la qual qui sarà notada.

Copia de una lettera.

Serenissimo Principe et Sig. mio. Heri, a hora prima di notte, significai a Vostra Excellentia del prender di XII villani da Novara, et 8 sacomani con i loro muli et cavalli; hozi, credendo che li nemici voleseno far le loro vendete, montassemo a cavallo, zerca 250 Stratioti, et andassemo verso Novara. Io mandai avanti 50 cavalli solum, per incitarli et farli venir fuora de Novara; non gli ha bastato l'animo ussir. I nostri sono corsi fino a le porte, et siamo stati salutati da passavolanti, spingarde et balestre; tra i qual, do colpi de ditti passavolanti hanno dato in mezo di la campagna, et havemo portato le ballotte de piombo de ditti passavolanti in campo, et sono [467] de pexo lire 10 l'una. Io non so qual sia el rispetto de la Excellentia de questo Duca, che fino questo zorno non habia provisto di far che 'l se vadi ad alozar nei borghi de Novara.

Principe ill. et Signor mio, io sono stato molto ripreso dagli miei parenti, che io non habi sollicitato nel scriver a Vostra Sublimità. Prometto a Dio et a Vostra Sublimità et per la servitù ho con Vostra Excellentia, mai è passato uno zorno che non habbia scritto a Vostra Sublimità de le occorrentie de questo campo, et ho tenuto uno cavalaro a posta, datomi per quel magnifico Podestà de Crema, et ogni notte l'ho mandato con lettere directive a Vostra Excellentia fino a Milano, in mano dil ambassador de Vostra Signoria, pregandolo et supplicandolo che con celerità ditte lettere siano mandate a Vostra Sublimità, come per mie lettere di 3 dil instante significai a Vostra Excellentia. Et a caxon che V. S. intenda el mancamento non procede da mi, supplico a quella non gli rencresca se con la presente sarò alquanto tedioso, per justificar parte dil honor mio. Illustrissimo Principe, dico che a dì 13 Junij, a hore 18 scrissi a vostra Excellentia dil zonzer mio a Vegevane et del honore et accetto mi fu fatto; et a dì 24, a hore 20, scrissi a Vostra Sublimità dil combatter de doi Stratioti contra 17 Franzesi arcieri a cavallo, dei qual 2 ne fonno presi, feriti et malmenati. A dì 25 ditto, a hore 18, scripsi dei Franzesi presi numero 26, et morti 9, et amazati 12 di loro cavalli. A dì 26 ditto, a hore 24, scrissi a Vostra Excellentia del prender de 9 pedoni et do balestrieri a cavallo. A dì 27 ditto, a hore 2 di notte, significai a Vostra Sublimità de la cavalcata fatta con i cavai lezieri dil sig. Duca, et certi homeni d'arme, et per essere stati discoperti la cavalcata fonno fatta invano. A dì 28, a hore 18, notificai a Vostra Excellentia che de qui non havevano trovato spelta nè orzo, ma vena trista e dolorosa, per la qual i nostri cavalli sono smagrati. A dì 29 ditto, a hore 18, Illmo Principe, significai a Vostra Excellentia como erano partiti con il campo da Vegevene, et andati a camparse al loco de Casolo, distante da Vegevene mia 4, et como madama la Duchessa venne in campagna a veder l'ordene di le squadre et tutto il campo; significai etiam di la prexa dil castel de Villanova, et una poliza di le zente si atrovano in questi dui campi, la qual iterum mando a Vostra Excellentia, deinde, a dì 29 ditto, a hore 3 di notte, da Casolo significai a Vostra Excellentia come i Franzesi haveano abbandonati doi castelli, et degli Stratioti messi in guardia de queli con certe fantarie. A dì ultimo dito, a hore 2 di notte, notificai a Vostra [468] Excellentia dil zonzer nostro a Trecano, che fo a hore 21, et alozati che fossemo feci correr li Stratioti fin su le porte de Novara; i qualli havia vadagnato bestiami assaissimi et altre robe. A dì primo Luio, in Trecano, scrissi a Vostra Serenità dil levar dil campo, con ordene de battaia, et apresentati a uno miglio a presso Novara, et lì dimorassemo fino a hore XV aspettando dovesseno ussir fuora, et vista la viltà loro, fessemo discargar 12 passavolanti a la volta di Novara, et poi ritornassemo al nostro lozamento a Trecano. A dì 3 Luio, a hora prima di notte, significai a Vostra Excellentia come partissemo da Trecano et venissemo ad alozar a una villa dimandata Pernà distante da Novara uno mio et mezo; et alozati che fussemo, atrovandose tutti a disnar, fo cridato: Arme! Arme! Et subito armati, tutti insieme andassemo fuora, et fo morto XI de i nemici, et portato in campo tre teste in cima le lanze. A dì 3 Luio, a hora prima di notte, in Pernà significai a Vostra Serenità come havevamo prexi 40 dei nemici, et dil mandar di 60 Stratioti et 40 balestrieri per brusar uno ponte, che si dicea esser fatto sopra Po, verso Aste; i qual, ritornati, dicono non haver trovato alcuna cossa. Etiam significai a Vostra Serenità de 70 homeni d'arme e 100 cavalli lizieri, partiti di questo campo quella medema mattina, di comandamento dil Duca per andar a Zenoa. A dì 4 ditto significai a Vostra Sublimità come havevemo prexi 12 villani da Novara, et 8 sacomani con lor cavalli et muli, et fatto restituir assaissimi animali grossi, robe et danari, che gli Stratioti haveano guadagnati per compiacer a questo sig. Duca, digando esser so servitori, ancora che per Franzesi fusseno dominati. Questo poco de replicar ho voluto far, con humele et debita reverentia a la Vostra Sublimità, a ciò quella cognosca haver a questa impresa uno solicito et bon servitor, et Dio perdoni a cui ha retenuto le mie lettere, et ha voluto farse honor con el pericolo et fatiche mie. Quello seguirà per zornata, Vostra Sublimità serà advisata. Ai piedi di la qual, humelmente et devotamente me ricomando.

Ex fidelibus castris apud Villa Pernate, die 5 Julij MºCCCC LXXXXVº hora XX.

Bernardo Contarini schiavo et servitor
di Vostra Signoria.

[469]

Digresso di l'auctore, come stava Italia in questo tempo, et li potentati.

Ben che fino questo zorno habbi narato tuto el seguito di la venuta di Carlo re de Franza, al presente esso Re volendo ritornar in Aste, sia per qual cagion si voglia, et l'esercito di la Serenissima Signoria con alquante zente de Milan, essendoli opposto contra, unde necessario è di far fatto d'arme; voglio qui descriver come in questo tempo Italia si ritrovava, et la conditione de li potentati succincte, a ciò se veda et intenda in quanto pericolo era di esser subietta et dominata da zente gallica. Alexandro romano pontifice con alcuni cardinali era in Roma tornato, dove confusione grandissime de Colonnesi et Orsini, principal parte Romane, vi era, et tra loro se molestavano. Cinque Cardinali seguiva el Re: Vincula, Zenoa et Samallo, et do altri. Erano pur da la so parte, ma non si partino de li soi castelli, Savello et Colonna. El Reame de Napoli dilacerato da Franzesi. Napoli, con molte terre, si teniva per esso Re, et Ferandino danizava in la Calavria, et l'armata veneta in la Puglia. La Signoria di Venetia era su grandissima spexa; licet fusse ligata con Papa, Re di Romani, Re di Spagna et Duca de Milano, lei sola spendeva assà quantità de danari. Havia exercito instructissimo, et za molti anni non visto tale in Italia; armata di galie zerca 40, et Antonio Grimani procurator loro capitano maritimo. Et questa Venetia sola, ut ita dicam, fu quella varentò Italia. El Duca de Milan, molto odiato dal populo, senza danari, et con exercito a recuperar Novara et etiam in Parmesana et a difender Zenoa, dubitando dil Re non li tolesse el Stado, et molto in benivolentia con Venetiani, dicendo: Quis separabit nos? Fiorentini, perso el dominio de Pisa, dato al Re Pietrasanta, Serzana, Serzanello et Livorno, et ancora non li erano sta restituiti. Et Monte Pulzano ribellatosi a Senesi, et quello comandava el Re, faceva; quasi havendo persa la loro libertà et teniva col Re. Senesi in confusion, et grandissima parte sottoposti a voleri gallici. Zenoa in magno periculo; pur Augustin Adorno teniva con il loro signor Duca de Milan; et in Riviera, per le parte de Franzesi, seguiva assà novitade. Luchesi quello ordinava el Re seguiva; et do.... li presentò le chiave, ma el Re non li fece alcun danno, et era de soi. Bologna et il magnifico Ioanne, conoscendo el ben suo et de Italia, era con Venetiani et Duca de Milano federati. Peroso, su le arme, per le parte de Oddi et Bajoni, [470] Cesena ancora in comotione, per Tiberti et Martinelli, intervenendo Guido Guerra, che pur teniva dal Re de Franza. El Duca de Ferrara se dimostrava neutral, ma per esser cupido di nove cosse tramava col Re occulte, et havia mal animo a Venetiani. Duca Guido de Urbino, soldato de Fiorentini. Marchese di Mantoa nostro Governador zeneral nel exercito, et il suo stado tutto marchescho. Sig. Iulio di Chamarin non era operato, stava a le so terre. Sig. Rodolfo Malatesta di Rimano, con Venitiani soldato. Sig. Zuane Sforza de Pesaro, soldato di la liga. Madama di Forlì in amicitia con Franza, et con Milano, et nel principio si operò, ma al presente si stava a li soi Stati, et governava so fiul Ottaviano. Sig. di Piombino era casso dil soldo havia con Senesi. Vitelli, et prefato sig. di Senegaia, soldati dil Re; Mirandola, Corezo et Carpi con la Signoria et Milano. Conte di Petigliano et sig. Virginio Orsini erano contra so voja menati col Re de Franza. El sig. Prospero et Fabricio Colonna, rimasti a soi castelli, teniva dal Re. La Marchesana de Monferà et Duchessa de Savoia mostravano esser neutral tra il Re et Milano, tamen davano assà aiuti et lozamenti a esso Re. Sì che a questo modo era partita la povera Italia; la qual, si ben havesseno tutti considerato il danno harebbe a seguir, si Franzesi vi ponesse la mano su qualche altro Stato oltra el Reame acquistato, sine dubio la ragione voleva tutti havesseno seguitato el savio consiglio de Venetiani; i quali, visto el Re non si contentava di haver hauto el Reame, che voleva altro in Italia, et non più se parlava de andar contra infedeli, li puoseno le man davanti, et liberò Italia de tanto pericolo. Sed de his hactenus.

Finit Liber Tertius

[471]

Clarissimo Melchiori Trivisano Classis Maritimæ Reipublicæ Venetæ Imperatori designato Meritissimo Marinus Sanutus Leonardi filius Venetus Patricius Salutem.

Quanto sia l'amore et ubligatione che ciascuno patricio debbe havere a li soi compatrioti, li quali in ogni loro operatione per la Republica più che bene si portano, magnifico Marchiò Trevixano, non mi accade exprimere, perchè gli eruditi l'intendeno, et gli ignoranti il cognoscono, et il vulgo il predicano. Ma solum vi entra medio una rubigine, la quale intermossa, tutti operanti a benefitio publico sarebbeno exaltati; et vi subjunge la invidia, ch'è di natura pessima, nemica dil bene e contraria a ogni honesto vivere: le qual do parte de invidia, con la detratione, sono quelle che, come ho ditto, pervertono gli homeni dal recto judicio. Ma ben che queste vi sia, pur la fama de la verità è sempre, nè pol star molto occulta. Che, si questo non fusse, vedendo per far bene talhor esser mal da alcuni remeritati, niuno si sforzeria patir fatiche, continui affanni, sonni perdere, il giorno senza quiete stare, et cose contrarie a la età loro sostenere. Adoncha il merito pur è dato a ciascuno secondo li gradi soi. Et io, uno di quelli patricii mi ritrovo essere, el quale con ogni dimostratione, et non solum con li suffragii, honoro, extollo et magnifico quelloro si operano bene per la nostra Republica, come Toa Magnificentia continuamente ha fatto, sì alias essendo in armada vice generale, et in la pretura patavina, quam in questa legatione in exercito terrestre contra a l'impeto gallico posto; et a quelli legeranno li toi progressi et sapientissimo governo, li sarà spechio e norma, maxime a chi useran tal ufficio ne li posteri tempi. Et havendo alquanto considerato, dopoi finita questa mia decima lucubratione, ch'è tutta la guerra gallica in Italia, opra di farne qualche conto per la verità di quella et cosse nuove, poi l'intitolata al Serenissimo Principe nostro, mi pensai extollerte con questo poco de inculte parole, et titolarti uno di cinque libri. Concludendo, io [472] et tutti gli altri patricii et senatori te siamo grandemente ubligati per li modi tenuti, frequenti a imitatione, trovarsi in questa tua età ne la battaglia al Taro in Parmesana, dove fu spanto assà sangue, et fortasse più che za molti anni in Italia sia seguito; et poi seguir l'exercito gallico già quasi rotto et posto in fuga, et governar pacifice col collega tuo tanto exercito di la Signoria nostra, a presso di quaranta millia persone; et demum, andato a l'ossidione di Novara, terra dil Duca de Milano, da Galli tenuta, dove sei stato qualche zorno; et benchè quella non si ottenisse, pur chi legerà questa vedrà esser ivi sta fatto assai. Ergo, merito te habiamo designato la pretura maritima, ne la qual son certo, ut moris est, talmente ti porterai, che a la dignità ultima, inter nos Venetos, adjungerai. Et quanto sia di Toa Magnificentia, licet longa familiarità con quella non habbi per avanti habuta, per questa la sarà certificata, io esser suo quanto io son. Et a Toa Magnificentia mi ricomando, quae diu felix valeat. Vale.

Ex urbe Veneta, ultimo Decembris 1495.

[473]

Marini Sanuti Leonardi Filii de reditu Caroli Franchorum Regis ex Neapoli in Gallia et de fuga et clade accepta ab exercitu Venetorum apud Fornovum Parmesani Districtus Incipit Liber Quartus Feliciter.

Essendo lo exercito franzese disceso per la via di Pontremolo propinquo a Fornovo, ultra el Taro, fiume torentuale, fu scontrato ultra flumen da l'exercito instructissimo di la Illustrissima Signoria di Venetia, propinqui a miglia 4, che erano alozati a Gierola, li qual feceno diversi movimenti et scaramuze, sachizato il loco di Fornovo per nostri, et Franzesi expulsi, sì come nel libro precedente è scritto. Il perchè poi si redusseno Franzesi in capo di la valle, et ivi in una collina eminente, a la ripa dil Taro, distante da Parma mia 5, et stabiliti et fixi; deliberono nostri, movendose, omnino apizare et far fatto d'arme. Et inteso questo la Majestà dil Re de Franza, venne la Domenega et tutta la notte seguente nel suo campo, per non dimorar più su quelle montagne; et havia exercito de homeni et cavalli da fatti zercha 8000, et cavalli lezieri 2000, el resto zente inutile; et altri attendevano a li cariazi per ritornar in Franza, et questo non era poco numero di zente di tal sorte inutile. Havea zerca colpi 60 de artigliarie su carete, zoè spingardi, passavolanti, et altre generatione o vero sorta de artiglierie, variamente per loro chiamate, et butavano ballotte de ferro de assà grandezza, harebbe bastato a una bombarda non picola: in tutto, concludendo, erano da XV in XVI milia persone.

El nostro veramente exercito era bellissimo, et forsi za molti anni tale in Italia (non si era) visto, sì come molti veterani homeni d'arme publice dicevano, zente disposta sì da pie' come da cavallo numero grande: di cavalli 12 milia, nei qual era homeni d'arme 2800, li primi de Italia, condutieri strenui et experimentati; cavalli lezieri, computando ballestrieri a cavallo, numero zerca 1500, et Stratioti 750; fanterie da zerca X milia, et el Duca de Milan; sotto el conte de Caiazo era persone zerca 2000 tra cavalli et pedoni, [474] però che esso Duca il cargo di qua havia lassato a la Signoria, et lui pur havea el campo a Novara. Mancava zonzer, in ditto exercito venuto, Cozanderle thodesco, capo di 1000 teutonici tra schiopetieri et lanzarioli, el qual a dì 20 Zugno havia fatto la mostra soa a Trevixo, et andava in campo, et era poco lontano. Ancora Paris da Lodron con li soi provisionati, li qual di hora in hora dovea zonzer, et eran in camino cernide de Veronese et Vicentina; et li 2000 fanti fatti a Bologna mancavano; de li qual parte el zorno driedo el fatto d'arme zonseno in campo. Oltra di queste fantarie, mancava di zente d'arme el sig. Pandolfo Malatesta di Rimano con 400 cavalli, Zuan Paolo di Manfron, vicentino, condutto nuovamente con 200 cavalli i quali tutti erano inviati per venir in campo. Ancora la conduta dil sig. Zuane Sforza di Pexaro, era a soldo dil Pontifice et nostro, con 80 homeni d'arme et 60 balestrieri a cavallo, et cussì le zente dil Duca de Gandia, le qual veneno poi quando el campo fo a Novara, sì come dirò di sotto. Adoncha mancava assà zente di venir, per augumento di l'exercito nostro.

Hor venendo el Luni, a dì 6 Luio, el qual zorno era ordinato per le disposition fatal se dovesse far fatto d'arme con Franza, et in questa matina venne uno trombetta in campo nostro, zoè da parte di Zuan Iacomo di Traulzi, era uno de capitanei dil Re, el qual ne li zorni superiori ritrovandose su quelle montagne, le so zente italiane con Franzesi veneno a parole per caxon di alozamenti et vittuarie, adeo esso Zuan Iacomo l'have molto a mal, et più volte volse venir da la banda nostra, ut dicitur, cossa che molto nostri desiderava, et za ne era qualche pratica; et cussì mandò uno suo trombetta, come ho ditto, fenzando de mandar a dimandar al Marchexe de Mantoa alcuni danari che l'avea spexo a Napoli in uno cavallo per Soa Signoria. Tamen è da considerar mandasse o lettere o vero qualche aviso; conclusive fo divulgato voleva la notte passar di qua; et li Provedadori di campo, subito a hore 13 spazò uno corier in questa terra, a dì 7 hore 22, et perchè non era redutto el Collegio nè alcun altro Consejo, et el Principe nostro pur amalato, unde subito zonte tal lettere, mandono per li Savij dil Collegio, et per li cai dil Consejo di X, tra li qual vidi Paulo Trivixan kav., era Cao quel mexe, andar in gran pressa in palazo, et lesseno le lettere, et cussì nostri stavano in questa expectatione che ditto Traulzi dovesse venir di qua, et anche quello havesse a seguir di campo, essendo propinqui tre mia de inimici, et non restavano de far far oratione. Et unum non praetermittam di scrivere, che uno, qual fusse [475] non so, andò a trovar alcuni di Collegio, notificandoli che al tutto Franzesi con nostri in questo zorno di 6 Luio doveano esser a le man: la qual cossa non potea saper nisi per astrologia o altra indivinatione et virtù havesse. Et queste parole per piaza di S. Marco se diceva, dove continuamente patricii et altri se reducevano per intender quello seguiva.

Ma ritorniamo al Re de Franza. El qual, venuto zoso de monti, et reduto con l'exercito su quelle giare dil Taro dove si fermò, et mandò uno suo trombeta da li Provedadori nostri a richiederli el passo, dicendo che con la Signoria non havea guerra alcuna, ma sempre la real casa de Franza esser stata et esser amica di essa Signoria, et con Soa Majestà havia bona lianza, et che mons. di Arzenton verrebbe la matina in campo a parlarli, volendo un salvo conduto. Questo stratagema Franzesi usò, dicendo Arzenton anderà e li tenirà in parole et in tempo, adeo el campo non starà su le arme; et io in questo mezo montarò su la strada romea, et anderò al mio viazo; ma li andò fallito el pensiero. Imo questo zorno di Luni 6 Luio, è zorno di esser in memoria da Franzesi celebrato, per essere sta zorno infortunatissimo; però che da 4 parte have grandissime disgratie et danni et rotte; primo qui, a Zenoa, a Novara, et a Napoli Ferdinando intrò, sì come tutto sarà scritto di sotto.

Hor non havendo hauto el suo trombeta risposta bona, perchè tutti li nostri erano volonterosi de apizarse, el Re con li soi primi capetanii ordinò el suo exercito per redurlo tutto insieme, mandando li cariazi verso el campo nostro ordinate, le artiglierie nel mezo et in la coda, verso el campo nostro, volendosi aviar al suo viazo verso la via romea. La qual cossa, prevista da l'exercito Veneto, tutto a l'arme disposto, el Governador zeneral havendo dato la cura a so barba sig. Redolfo di Gonzaga per la longa pratica havea de governar el fatto d'arme, fatti li colonelli, sì come ho scritto ne l'altro libro, et ordinato al conte di Cajazo con el suo squadron fusse el primo investisse, et esso Marchexe governador secondo, et sic de singulis; mandò la compagnia cojonesca con Tadio da la Motella et Alexandro Coglion condutieri fra il monte et la giara dil Taro, fino a la coda dil campo nemico, a ciò fusse da quel canto serrato, et preocupate le artiglierie loro; et per mezo el traverso fo mandato li fanti pedestri, balestrieri, cavalli lezieri et Stratioti, li qualli tutti passarono el Taro a guazo. Et la matina poi, inteso per le scolte a hore zerca 14, come Franzesi se ne venia per la giara a costa al monte, et le loro artiglierie salutavano nostri, et trazevano con [476] tanta furia che tutti sarebbeno spaventati, si non fusse stato la grandissima volontà de nostri de provarse con Franzesi per liberation de Italia, et per haver fama con la Signoria nostra, altri per romperli et farse richi con loro cariazi; et cussì in quella matina, licet li Provedadori nostri non erano di opinione che 'l campo dovesse andar a trovar Franzesi, considerando el grande pericolo era, ma parse pur al Governador di non voler indusiar, vedendo era il tempo, et che se non havesse investito, Franzesi se ne andava a loro viazo. Et fatto con lui un grosso squadron del fior de li condutieri et homeni d'arme, et tutto el campo armato a li so lochi, che, come da quelli vi si trovò, fu di belle cosse a veder che mai si potesse veder, et si aviò verso li nemici nostri, i quali erano mia 3 lontano. Li squadroni veramente era cussì ordinati: Caiazo primo; Governador, zoè Marchese di Mantoa, suo barba sig. Rodolfo et volse con lui sig. Ranuzo dil Farnese; terzo sig. Antonio di Urbino, el qual era el primo squadron fusse, sì di più numero, quam de valenti homeni, et questo non si mosse, che, si havesse mosso, sine dubio tutti li nemici erano presi et morti. L'altro fo quello dil conte Bernardin Fortebrazo. Quello di Tadio da la Motella et coioneschi, nominato di sopra, era sta mandà al monte, come ho ditto. Et ultimo quello dil conte Carlo di Pian di Meleto, che era redeguardo. Stava a custodia di lozamenti et stendardi Luca Pisani et Marchiò Trivixan provedadori, et Daniel Vendramin pagador in campo. Et è da saper che 'l sig. Rodolfo, havendo fatto li soi disegni, ordinò a li capi de li squadroni, sotto pena di la vita, niun si dovesse muover de li soi lochi, se lui, che andava col squadron dil Marchese a combatter, non ritornasse a farli venir a far fatto d'arme, non credendo di morir, come fu. Li fanti veramente, secondo li soi ordeni, andava corando drio li squadroni; et convenne passar tre acque dil Taro, che erano spesse a modo fango, per modo tal che andavano fin a mezo el petto, et li cavalli fin a mezo la panza. Et cussì col nome de Christo partito el Governador, li altri squadroni streti et in ordine li venia driedo, seguitandolo per esser tutti a le man con Franzesi, et tutti passono le ditte acque nominate di sopra.

Ma ritorniamo a quello fece Franzesi. In questo mezo nostri si preparava, etiam loro ordinono le zente, et fece uno squadron a l'impeto de nostri di 3000 et più combattenti, et voltaron le spalle al monte, et in mezo ne fece uno altro, dove era la Majestà dil Re, armato, circondato de molte artiglierie; poi da la destra mano, verso li cojoneschi et la valle, disteseno una ala de cavalieri et pedoni; [477] et alla sinistra feceno el simele, verso lo ascender di la collina va a la via romea; in mezo di la qual ala messe un altro terzo squadrone de cavalieri, 600 in 800. Et è da saper che sempre Franzesi in loro battaglie suol far tre soli squadroni di tutto lo exercito; el primo se chiama antiguarda, el secondo la bataia, el terzo retroguardia; et saepius el Re, o vero el capitanio, sta in lo squadrone si chiama la battaia. Adoncha, in questo zorno sexto di Luio, zerca a hore 16, sopra la giara dil Taro, in agro parmensi, tra do ville chiamate Opian et Medesan el fatto d'arme cussì passò. Essendo assaltati li nostri con scaramuza, a l'hora preditta, lo strenuissimo squadron nostro dil Marchexe di Mantoa animosamente sula ditta giara secca assaltorono li nemici con desterità impetuosa, zoè lo squadron che era fra le ale, fatto a l'incontro de nostri, et primo a investir, ut dicitur, fo esso Marchexe, el qual passò con una lanza uno homo d'arme franzese da una banda a l'altra, et combattè con gran vigoria; et fu tale la virtù de nostri, che in breve spatio di tempo questo squadron nemico ruppe et fracassò et messe in fuga, ita et taliter, che li nostri, con amplissima vittoria, trascorseno fino a l'ala immobile de li cavalieri deputati a la guarda di la Majestà dil Re, et tanto probatissimamente feceno quanto fusseno stati ...... Etiam el squadron dil conte Bernardino, mentre el Governador combatteva, intrò ne li nemici; et il primo feritore, sì come ho scritto, fo esso Marchexe di Mantoa, con tanta strenuità che nihil supra, et più ne amazò di soa man, et prese el bastardo di Borbon lui medemo, el qual si rese et, dicitur, si questo non fusse stato che se interpose in mezo, harebbe preso el Re, perchè più volte li hebbe le man adosso. El secondo feritore fu el sig. Redolfo; terzo el sig. Ranuzo dil Farnese; quarto el conte Bernardin Fortebrazo, dil qual più di sotto parleremo; poi Ruberto di Strozi, Alexandro Beraldo, Vicenzo Corso, Alvise Valaresso patricio Veneto et condutier nostro, li conti Brandolini, et cussì successive tutti li capi di squadra nei cavalieri di quei strenuissimi squadroni rupeno la lanza loro. Tutti cridava: Marco! Marco! Italia! Italia! rotti! rotti! Et fo atroce pugna. Non si sparagnava la vita l'uno l'altro, ma tutti per el fil di la spada erano mandati sì da nostri quam da Franzesi. Non si faceva presoni, come in le guerre de Italia; ma Franzesi cridavano: A la gorgia! A la gorgia! Nostri: A la morte! A la morte! Sì che era crudelissima battaja, et assà sangue coreva su la terra. Et cussì nel principio, havendo nostri vigorosamente el primo suo squadron rotto et frachassato, li pedoni et cavalli lezieri et li Stratioti, li qual doveano [478] attender a compir di fugar li nimici, ma, come cupidissimi di preda, assaltorono li cariazi franzesi e comenzorono chi in qua chi in là a strazar forcieri, valise, padiglioni et trabache vilupate, con tanta avidità et rapacità che fra loro intrò discordia, zoè tra pedoni e Stratioti. Il che veduto per li nimici, col consejo di Zuan Jacomo de Traulzi se distacò e riserrò del circulo di la Majestà dil Re da l'ala sinistra quelli cavalieri strenuissimi, con cerchii d'oro e sopra veste di panno d'oro et d'arzento et di veluti a diversi colori, con pedoni nel mezo et ne la coda, con tanta destreza et peritia militare, che non solum rebatè nostri che contra de loro prosperavano, ma quasi li rupeno et li pedoni sui de la prefata sinistra trascorseno a li nostri, depredatori de li loro cariazi, con tanto impeto, che ne amazorono molti e molti pedoni. Li Stratioti erano, con quello haviano potuto tuor, partiti et andati via di la battaja, che dovrebbeno esser stati in ajuto de nostri. Et poi da l'ala dextra i nemici assaltarono le squadre cojonesche, che havea preso le artiglierie, e queste veneno da nostri veniva reculati da Franzesi, et questi, nominati di sopra, nostri, essendo strachi dil combatter et haver rotto el primo squadron, fo necessario etiam ripararse da questo secondo impeto, el qual era el fior di le zente nemiche. Et si el squadron dil conte Antonio d'Urbino tunc si havesse mosso, et fusse venuto a combatter, per esser etiam questi valentissimi cavalieri et grosso squadron, sine dubio Franzesi tutti erano rotti. Ma esso conte mai si volse muover, dicendo havia in comissione dil sig. Redolfo di non muoversi; et non comprendeva che 'l poteva esser sta amazato in la battaja. Et Marchiò Trevixan provedador, che era armato in campagna, li mandò a dimandar la causa che 'l non se moveva col suo squadron, andar a socorer nostri erano malmenati da Franzesi. Disse quello havia in comission, et pur ditto l'andasse, rispose: se vuj provedadori me l'ordinate sopra di voi, andarò. Et loro non volseno asumersi tal cargo, licet era cosa da fare. Et cussì non andò. El sig. Marchexe tuttavia combatteva, e fo mudato in quella battaia di tre corsieri, et non poteva partirse perchè, partido lui, li altri lo harebbeno sequitato, et cussì nostri saria sta rotti; et el sig. Redolfo era sta amazato; sì che le cosse a questo modo passava. Et questi do squadroni dil conte Bernardin, et il suo dil Marchexe, et etiam quello dil conte de Chaiazo, che investite etiam lui, et assà de soi fonno amazati, conveneno loro soli combatter con Franzesi. Et questo fatto d'arme fo el più horribele et crudel, come ho ditto, fusse sta fatto in Italia za molti anni. Et Franzesi con [479] nostri combatteva virilmente: l'habito loro, oltra le arme, era stivali sopra le schiniere, et sopra le curaze quelle sue veste con manege longe, chi di veludo, et chi de seda de altre sorte, et di panno; e sopra le celate capellazi grandi, et parte di loro havia elmi. Tutti li cavalli senza barde, tristi da armizar, ma optimi a cavalcar, con le selle pariano coperte, et tutti quelli combateteno erano homeni disposti a far fatti d'arme, et molti se ne ha trovato che più presto hanno voluto morir che mai renderse ad alcuno presone, et amazaveno perfino li ragazeti picoli. Et unum non voglio lassar de scriver: che vedendo alcuni di quelli dil squadron di ditto conte Antonio di Urbin, che esso non si voleva et non potea moverse, se partino con loro cavalli di ditto squadron, et andò a combater con li nimici; tra li qual el strenuo Zuan da la Riva cavalier veronese, et etiam D. Antonio di Pigi.

Et in questa battaja fonno morti di una parte et l'altra dile persone più di 3000; de nostri zerca 1000, et el resto de Franzesi. I quali prima che aterasseno niuno de nostri, erano do o tre di loro amazati, et assà di primi soi baroni, come di sotto più diffusamente sarà notado. Ma de' nostri homeni de condition fonno morti questi: el sig. Redolfo di Gonzaga, barba dil Marchexe di Mantoa preditto, et quello havia el governo dil campo per suo nepote Governador, che tunc havia anni 28, et nunquam più experimentado in combatter ni in niuno altro exercito, tamen cussì strenuamente si portò. Etiam fo amazato el conte Ranuzo dil Farnese condutier di 600 cavalli valentissimo, Vincenzo Corso, Ruberto di Strozi, Alexandro Beraldo et altri capi di squadra, sì come per una poliza di quelli fonno morti qui sotto notada il tutto si vederà, zoè de li homeni da farne qualche extimatione.

Questi sono li morti nostri nel fatto d'arme da Franzesi[138].

Ma de Franzesi sono sta amazati zerca 80 baroni, tra i qual 16 capi di gran reputatione; et ben la verità non se potè intender, dil numero di loro fonno morti, ma pur certo passono 2000; et di nostri, fatta la descriptione, mancò 960. Adoncha fo crudelissima battaja, la qual durò per spatio de do hore et non più. Et prima nostri, come ho ditto, li haveano rotti et fracassati, zoè da una parte combatteva el Marchexe de Mantoa et conte Bernardin Fortebrazo, [480] da l'altra el conte Ranuzo, da l'altra cojoneschi, et da l'altra el conte de Caiazo et d. Annibal Bentivoi. Et se 'l non fusse stato la cupidità di la preda de molti italici homeni d'arme, oltra li Stratioti et fanti, tutti Franzesi erano da nostri malmenati; però che, frachassato el primo squadron nimico, nostri elexeno a far presoni per haver taja, altri a robar li cariazi et menarli via, perchè quasi tutti fonno acquistati et tolti da nostri, come dirò di sotto. Et mentre queste cosse fevano, assaltò quel squadron, el qual trovò li homeni d'arme cussì separati, et allhora fo la crudelissima battaja, et quelli havevano presoni fu forzo lassarli, volendo varentarsi la vita; et cussì veneno in qua per mezo mio combattendo una parte et l'altra virilmente. Era grandissima pioza, la qual fo causa Franzesi non potevano operar le loro artiglierie, come fece nel principio, che pur qualche danno dette a nostri, amazando cavalli. Ma Iddio provete a mandar tal pioza grandissima, et el colonello bracesco dil conte Bernardino fo quello che sempre combatete; adeo di 360 homeni d'arme che era, ne fo morti zerca 80, senza li famegli et ragazi; et il fidelissimo conte Bernardino fo ferito mortalmente, et have assà ferite, come dirò più avanti. Et si non fusse stato uno suo ragazo che lo tirò nel fosso, et lì stette come morto, sarebbe stato compito di amazar da Franzesi. Hieronymo Zenoa capitano di 300 fanti, etiam virilissimamente combattendo fo ferito di 12 ferite acerbamente, et de li soi do terzi fonno morti, et have 4 botte di spada su el volto; tamen varite poi; el qual fo portato in questa terra per Po, et zonse a dì 12 ditto. Et è da saper che, mentre nostri combattevano, el conte Nicola Ursini di Petigliano, era presone col Re, vedendo questo era el tempo de esser liberato, fuzite con 3 cavalli nel nostro campo, et, smontato, comenzò a confortar nostri, dicendo Franzesi erano quasi rotti, et che, non obstante di nostri ne fusse sta morti alcuni, che dimane prometteva vittoria indubitata, però che erano sta amazati li più valenti homeni havia la Majestà dil Re; et che non havendo se non tre squadroni fatto fatti de nostri, et che quel strenuissimo dil conte Antonio d'Urbino non era sta operato, che era una magnificentia a vederlo in ordine armato in campagna, iterum concludeva Franzesi erano spazati. Per le parole dil qual tutto lo exercito nostro prese conforto, che pur si dolevano di la morte de tanti capi, maxime dil sig. Rodolfo loro governador, et dil sig. Ranuzo. Et ancora per el prefato conte di Petigliano fo referito che la Majestà dil Re, vedendo la vittoria et prosperar de soi cavalieri, voleva con la ala destra proseguirla, che sarebbe stato [481] assà danno a nostri, non si movendo li altri squadroni, che si fusseno mossi, Franzesi rotti erano come in più lochi ho scritto; ma che esso conte gli disse: Sacra Majestà, non fate; perchè Italiani son grossissimi et gran numero, che si tutti fusseno a la battaia venuti, harebbe fatto gran danno a le zente di Vostra Majestà: ita che, per tal soe parole, restò. Hor vedendo Franzesi non potevano acquistar alcuna vittoria, ma ben star in pericolo che non si movesse li altri squadroni e darli adosso, feceno recolta, et si redusse a lo ascender di la collina che va verso la via romea. Quello feceno poi sarà scritto de sotto. Ma nostri etiam, fatto recolta, havendo dato gran rotta a Franzesi, preso li soi cariazi de valuta più de ducati 100 milia, ritornono etiam loro a Gierola a li alozamenti, stracchi et lassi; et non solum quelli havevano combattuto, ma etiam li altri erano stati con le arme tutto quel zorno indosso. Et el sig. Marchese non tanto dolendose di la morte dil barba et de soi, et maxime dil so Joan Maria, el qual fo quello li scapolò la vita quando fu le cosse di missier Francesco Secco suo barba, che ut dicitur, lo voleva atossicar, et questo li manifestò ogni cossa, d'indi fo so favorito, et li dete più de 20 milia ducati; sì che non tanto si doleva di la morte di questi, quanto de non haver potuto dar compita vittoria a la Signoria nostra de Franzesi, ma stava con bon animo, el zorno sequente de esser a le mano, et però puosero altro ordine ne li squadroni, di quello era. Et cussì per quella notte non seguite altro, ma steteno con bone guardie; et el simel fece Franzesi. Et è da saper che poi che 'l conte Bernardin fo ferito et butato nel fosso el so cavallo, el qual si non l'havesse hauto, sine dubio sarebbe stato amazato; ma oltra questo cavallo è gaiardo et bellissimo, etiam lui nel combatter con denti, calzi et altro aiuta el so patrone, si che esso conte molto amava ditto cavallo; et ritornato in campo al so alozamento fo rubato, et, ut dicitur, da quei dil conte di Caiazo, benchè sempre dinegasse et al Duca et a la signoria nostra, tamen ditto cavallo più non si trovò, et cussì privo fu. Non voglio restar de scriver questo altro disordine: che mentre Stratioti dovevano attender a danizar Franzesi, poichè si ebbeno fatto ricchi de li cariazi, zerca 200 di loro con ditte somme andono su uno monte, et ivi steteno a veder come andavano le cosse. Adoncha Franzesi perse in uno zorno (come per uno epigrama ch'è ex tempore da uno andava per Venetia fazando elogio et epigrama fece, et sarà scritto de sotto) quello che nel regno di Napoli et in altre città de Italia havia vadagnato et volea portar in Franza; sì che Stratioti et homeni d'arme feceno [482] bene li fatti soi. Et a ciò, oltra le cadene, vestimenti di ogni qualità et sorte, se intendi quelle cosse digne di memoria che furon prese, et inteso dapoi questa rota che nostri haveano: primo, stendardi do dil Re, uno de li qual have el duca de Milan, l'altro fo donato a Marchiò Trivixan provedador, era una † bianca in campo rosso; pavioni (padiglioni) dil Re de assà sorte; lo elmeto et la spada dil Re, la qual la Signoria hebbe da Stratioti, et la pagò; l'ufficio dil Re, sopra dil qual era un'oratione in franzese, la qual Carlo Magno imperator la diceva, et fo translatata in latino, et sarà qui posta; l'anconeta con reliquie assà, di la qual de sotto trateremo; li sigilli d'arzento dil Re; una zangola d'arzento, la qual have el conte Avogaro; et molte altre cosse, di le qual scrivendo sarebbe tedioso. El bastardo de Borbon, chiamato bastardo Mathio, che fo presone dil Marchexe, ut dicitur, havea ducati 4000 in la sella scosi dil cavallo, et si volse dar de taia lui medemo ducati X milia; ma el Marchexe lo mandò in custodia a Mantoa: quello di lui seguite, ne la fine di l'opra intenderete. Et a questo modo passò el fatto d'arme quel zorno a dì 6 Luio: et si tutte le zente nostre havesseno voluto far el dover era grandissima vittoria. Ma non voglio restar de scriver ancora questo, che mentre si facea la battaia, alcuni de quelli di don Alfonso de Ferrara, vedendo nostri havea pur da far per l'impeto gallico soprazonse, corseno via; et li provedadori, vedendo questo, se li fece incontra dicendo: Ah, fiuli de San Marco, dove andate? Tornate a la battaia. Alcuni tornava, altri corseno fino in Parma, cridando: el campo di la Signoria è rotto, licet fusse superiori de li nimici: per le qual parole tutta Parma se doleva, serando le bottege, et el sig. Galeotto di la Mirandola, era lì gubernadore per il Duca de Milan, fece far custodia a le porte. Tamen poco da poi soprazonse altri soldati de nostri, con presoni et cariazi, et notificò el prosperar de nostri, et rota de Franzesi: unde tutta Parma se consolò alquanto.

Questa nova de esser sta a le man con Franzesi nostri, venne a Venetia in hore 32, zoè zonse le lettere de Provedadori, scritte a hore 3 quel zorno, a dì 8 ditto, a hore zerca 13, et mi ritrovai in sala di l'audientia, andato per inquerir si era venuto nova alcuna, et venne una voce fuora di Collegio: li campi è stati a le man. Subitamente tutto el palazo et la corte se empite de zente, per intender el successo; et fo manifestato a tutti quello era stato, et legevase lettere de campo de varie persone in diversi lochi lì in palazo, publice; tra le qual una molto copiosa di Anzolo di Maffei, drizata al mio [483] carissimo Carlo di Priuli di Costantino fiul, et altre. Et per non haver la Signoria, per le lettere di Provedadori inteso ad plenum la vittoria era stata, ma ben la morte de li strenui condutieri nostri et zerca 500 dei nostri, dicendo che non potevano avisar el tutto per quella sera, però non feceno sonar campanon, ni far fuogi, sì come, si allhora havesse inteso quello poi inteseno harebbe fatto. Et tutti correva di Rialto a San Marco quella matina, come desiderosi de intender el ben publico; et tutto el popolo de questa terra molto si alegrò, cridando: Marco! Marco! Et alcuni puti per Rialto cridava: A Ferrara! A Ferrara! Adeo tutta la terra era in motu. Et alcuni savogini mercanti erano in questa terra, per essere vestiti a modo franzesi, fonno da puti assà molestadi; et ritrovandose in questa furia a Rialto, corseno in chiesia. Poi andono a la Signoria lamentandose; unde fo proclamato su le scale in Rialto, niun li dagi fastidio ni de parole ni de fatti, in pena de lire 50; et s'il fusse puto havesse 50 scuriae; et si fosse homo grande, fusse frustado da San Marco a Rialto, et dovesse star uno anno in preson. Questo feceno nostri per non haver guerra con Savoia, et per conservar la franchisia de questa terra. Et per la morte de questi do signori Redolfo et Ranuzo, et per el ferir dil conte Bernardino, nostri non sentite molta alegreza de la vittoria habuta de i nimici. Et da Milan in questa mattina de 8 Luio, si have lettere di 7 et non sapevano ancora dil fatto d'arme fatto con franzesi a Fornovo, et notificava come, per lettere di Bernardo Contarini date in la villa di Perna, che in quel zorno di 7 Luio a hore 19 mandò 12 Stratioti a imboscarse per metter di mezo certi franchi arcieri, li quali venivano fuori de borgi di Novara; et le scolte de i nimici scoperse Stratioti, et con quele scolte ditti 12 Stratioti fonno a le man, et di queli ne amazono 9 et preseno 6 cavalli. Unde, per esser fatto la scaramuza in li borgi, Franzesi si messe in ordene, et veneno fuora; ma li Stratioti corseno in campo, cridando: Arme! Arme! Et subito esso Provedador con 250 Stratioti montò a cavallo, però che li altri erano andati per scorta de vittuarie per el campo. Hor ditti Stratioti 250 fonno a le man con uno squadron di cavalli 200, et assà pedoni i quali da ditti Stratioti fonno rotti et reculati fino ne li borgi de la terra, feriti assà, morti XV, et cavalli 32, et fatto presoni 4 homeni d'arme in numero di 17 Franzesi, tra li qual uno mons. Alvise di Sansonagia, fiul che fo de mons. Jacomo cavalier dil Dolfinà, homo era de condition; et questo fu menato in campo in lo alozamento de ditto Provedador. Et de Stratioti fo in questa scaramuza feriti 7, [484] morto uno cavallo, benchè ne prendesseno tre cavalli de li nimici; et de li XV che amazono, che era tra homeni d'arme et arcieri, fo sepeliti per li nimici numero 7. Ancora notificò, come el zorno driedo se voleva ditto campo levar dove era, et andar ad alozar mia do de là de Novara, a uno loco ditto Minone, dove essendo, non porà venir al Duca de Orliens alcuna nova de Aste; et come per una spia in quel zorno inteseno, in Novara era poca vittuaria, et però li volevano assediar, aciò prendesseno partito, sì che cussì come Franzesi havea messo quello territorio de qua da Tesino fino a Vegevene tutto in fuga, a hora per la venuta di Stratioti tutto è reacquistato, et li nimici stanno assediati in Novara, che prima Ducheschi stavano in Vegevene, come per una lettera dil Duca de Milan se intese, scritta al so Ambassador era in questa terra.

Exemplum literarum Ducis Mediolani

Ludovicus Maria Sforcia Anglus, Dux Mediolani etc.

Sono molte le cause, quale ne obligano infinitamente a quella Ill.ma Signoria; intra le qual essendo non mediocre l'aiuto de li Stratioti soi, mandati in Novarese, el beneficio so omni hora si fa maiore, per la qualità dil magnifico missier Bernardo Contarini provedador al governo d'epsi Stratioti; però che la singulare soa prudentia et vigilantia non solum fa che l'impresa non poria esser più aiutata quanto è per la venuta de Stratioti, ma che quasi posti l'inimici in disperatione, non lassandoli mai ripossare. Et in questa vivacità de tenere assiduamente infestati li inimici, li ha conjuncto una mesura de modestia incredibile, ad tenere in obsequio et officio epsi Stratioti. Le qual parte essendo rare, ne strenzano, ultra l'obligo quale habiamo a la Magnificentia Sua, ringraciarne anche omni hora quella Ill.ma Signoria, et farli testimonio che dal magnifico Provedador non possiamo restar meglio aiutati. Mediolani 7 Julii 1495.

A tergo: Domino Thadeo Vicomerchato equiti consiliario et oratori apud Illustrissimum Dominium Venetiarum.

In questa notte medema, domente nostri stavano in expetatione venisse lettere de campo, zonse lettere de Zuan Francesco Pasqualigo Vicedomino nostro a Ferrara, notificava questo esser sta a le man di campi, et che 'l Duca, di Rezo, ha via scritto al sig. Sigismondo so fradello, rimasto al governo de Ferrara come el campo di la liga era stae a le man con Franzesi, et che nostri erano sta [485] rotti, et notificò la morte de quelli conduttieri, comettendoli dovesse mostrar ditta lettera al Vicedomino. Et nota che volse dir campo di la liga, licet tutte le zente quasi era a soldo di la Signoria, eccetto el conte de Caiazo, che era per Milan, come è chiarito de sopra; unde per tutta Ferrara se dimostrava grande consolatione de questa rotta. Concludendo, Ferraresi era di cattivo animo contra Venetiani, et che in Ferrara si buttava passavolanti, si metteva ferri in cao a le lanze, fortificava li passi loro dil Ferrarese. Ancora che esso Vicedomino, da poi queste lettere la Signoria fo certificata, volendo mandar uno suo con lettere a Bologna, in strata, poco fuora de Ferrara, fo assaltado et batudo, adeo convenne ritornar in driedo. Et che Ferraresi usavano assà stranie parolaze et bestial, per el grande odio ne havea. Ergo non immerito li puti cridava, et ogniuno diceva: A Ferrara! A Ferrara! Et li puti in questa terra cantavano una canzone:

Marchexe di Ferrara, di la caxa di Maganza,

Tu perderà 'l stado, al dispetto dil Re di Franza!

Et il populo era molto volonteroso de andar a tuor Ferrara; et li artesani et bottegeri quando andavano a li X Savij a esser tansati, tutti offrivano di pagar el dopio, volendo andar a Ferrara: tamen la Signoria non volse in questo tempo far niuna dimostratione contra esso Duca, el qual era in Rezana, et havia mandato molte vittuarie in campo dil Re di Franza, et barili di polvere per le artiliarie (che, si questo non fusse stato, non harebbe potuto el Re operarle), et non considerava l'ubligatione havia a questa Signoria, per haverlo una volta messo in stato, et a so zenero Duca de Milan che vi andava il so stato a pericolo, et a la vita di l'altro Marchexe de Mantoa nostro governador etiam so zenero. Et è da judicar con questo Re havesse tramato molte trame, tutto per rehaver el Polesine de Ruigo, acquistato per nostri con justissima guerra l'anno 1482, dove per la Signoria è sommesso, et si teneva a custodia in questo tempo zerca cavalli 600 et alcuni provisionati, nè mai li volseno mover. Et so fiul Don Ferante era pur a soldo dil Re, et quasi tutta Ferrara vestiva a la franzese, cridando Franza! Franza! Et come fo divulgato, che el zorno avanti el Re venisse zo di monti a Fornovo, esso Duca de Ferrara fo in campo a parlar a Soa Majestà stravestito, et li disse come l'opinione di Venetiani era, nostri non se apizasse nè facesse fatti d'arme con Soa Majestà. Et cinque zorni avanti seguisse el fatto d'arme, nel nostro campo acadete, che alcuni Ferraresi volendo insieme combatter, uno de loro andò dal [486] Marchese governador, pregando Soa Signoria volesse venir a veder et cussì vi andò. Et zonto dove era ordinato, trovò 4 Ferraresi haveano le balestre carge, et li comandò discargasseno; tre de loro disserò el vereton in l'aiere; el quarto non volse; unde da quelli dil Marchexe preditto li fo butà la testa via da le spalle, et poi fo preso quello venne a chiamarlo, et examinato lo fece apicar subito; et mandò uno editto: niun Ferrarese ne le soe terre più non potesse habitar, et quelli erano lì dette termine tre hore a sgombrar el so paese: quale fusse la cagion, lasso considerar a li Savij lezerano.

Ma el Duca de Ferrara, da poi inteso la verità del seguito in campo, et come nostri haveano habuto vittoria et toltoli li cariazi, et assà franzesi morti, scrisse ad Aldobrandino di Guidoni dottor da Modena so ambassador in questa terra, dovesse andar in Collegio et alegrarsi con la Signoria di la vittoria havea habuto el campo di la liga. El qual orator, andato a dì 13 Luio, non potè haver audientia. Ma inteso el Serenissimo Prencipe come l'ambassador de Ferrara havia voluto audientia, deliberò a dì 14 la matina venir in Collegio; et venuto ditto orator, volendo alegrarsi, disse quanto li era comesso; El campo di la liga. Et el Prencipe rispose: Qual campo di la liga? Dicemo esser nostro, et nui l'haver pagato, et non la liga. Poi disse come per la terra se divulgava, che 'l so Signor in queste novità non havia fatto il dover so, excusandolo molto, disendo voleva star al paragon. Al qual el Prencipe sapientissimamente rispose, et li fece lezer due lettere del Vicedomino, de li portamenti di Ferraresi contra de esso Vicedomino et de nostri, li comemorò quello l'anno passato comportò el Duca a quelhoro fece quelle poltronarie in loza del Vicedomino a Ferrara, dagandoli taia solum lire 25 de pizoli. Conclusive li disse: questi non erano boni muodi, nè cosse dovesse esser accepte a niuno de questa terra, et che 'l non havea cagione. Et cussì dette licentia a esso orator.

Come el Re de Franza col so exercito se partì con gran fuga di le giare dil Taro.

Compita la battaia Franzesi si redusse a lo ascender di la collina che va verso la via romea, et lì stete, sì come ho ditto; et la mattina seguente a dì 7 ascese, et de lì se allontanono in uno loco atto et comodo a do mia, ficando trabache et paviglioni a l'incontro di la banda di l'esercito nostro, facendo strepiti et movimenti di battaia, traendo qualche botta di artilaria, dove el nostro campo [487] tutto sempre stette in arme, aspettando di assaltare o vero di esser assaltato. Et cussì stando, a hore 16, vene uno trombeta dil Re da li Provedadori a dimandar tregua per 4 hore et parlamento, però che la Majestà dil Re voleva mandar quattro de soi a parlar al Capetanio et Provedadori, zoè mons. cardinal de Samallo, el mareschalco de Giae, mons. de Pienes et mons. d'Arzenton; et cussì li fo concesso, per veder quello richiedevano, i quali si poteva reputar rotti et in fuga. Et cussì a tal parlamento andò el Governador marchexe, li Provedadori et conte di Caiazzo con alcuni altri nostri condutieri, sora una certa aqua pur dil Taro. Da l'altro canto di la ripa dil Taro preditto venne mons. di Arzenton con alcuni altri Franzesi, ma non quelli tre doveano vegnir. Et dapoi le salutatione, fo da esso mons. di Arzenton collaudato molto li nostri Italiani usque ad summum, dicendo che haveano sostenuto la pugna et combattuto con li primi baroni et cavalieri dil mondo, quali sempre erano stati vittoriosi in battaie orribile et grandissime guerre. Da poi dete parole sub spe concordii sive autem che erano aparechiati a la battaia, et che quelli altri baroni et mons. cardinal, che la Majestà dil Re li havia deputati a venir con lui, non se fidando, et non conoscendo, come fo io, Venetiani, et però voriano uno salvo conduto in scrittura, et io, per essere stato a Venetia e saper vostra parola è carta fatta, son venuto. Adonca V. S. farà el salvo conduto; et domatina piacendovi de redurvi in questo loco, noi tutti veniremo a parlarvi, et son certo concluderemo cosse per beneficio de tuti nui. Et cussì fo concertato l'ordine; et fo mandà uno trombeta dil sig. Marchexe con esso mons. di Arzenton, aciò potesse la mattina ritornar da nostri a notificar la loro venuta. El qual trombeta non ritorno più, et non se intese quello di lui fusse fatto. Hor, interloquendum Arzenton molto si dolse de li morti in battaia, li quali ancora erano su la campagna meschiati li corpi con li cavalli, et fu spanto grandissimo sangue licet per pre' Zaneto di Santo Apostolo et per pre' Piero Magatello, capelani di Provedadori nostri, et per altri capelani et preti di campo ditti corpi nostri tutti trovati nudi, perchè erano stati spoliati, altri fonno sepulti con gran lacrime lì a Gierola in la chiesia, altri nel cimiterio; et li homeni de qualche conto fonno messi in casse et mandati in loro terre a sepelir: come fo el sig. Redolfo. Guido de Gonzaga et Zuan Maria, favorito dil Marchexe, fonno in casse mandati a sepelir a Mantoa; il conte Ranuzo in Brexana, dove era li soi lozamenti; Ruberto di Strozi et Alesandro Beraldo, cussì come in vita erano compagni carissimi, cussì [488] fonno trovati li corpi uno a presso l'altro, et fonno sepeliti in chiesia a Gierola insieme, benchè poi fusseno in casse mandati a Padoa, et il Strozi fo sepolto a Santa Maria di Betelem, dove era la madre. Questo era il forauscito di Fiorenza etc. Et altri valenthomeni et de qualche conditione fonno messi in depositi, poi portati a sepelir. Et fo numerati li corpi de Franzesi, fonno trovati più de 2000; et era, come ho scritto, una terribilità a veder dove fo fatto la battaia, per tanti corpi, mescolate le budelle de cavalli con quelle deli homeni; qua era una testa et là un brazo; uno homo sbudelato et uno cavalo morto; adeo dirò cussì, fo crudelissima battaia, come da 200 anni in quà in Italia,.... quasi dicat, combattevano per el ben de Italia, come era con effetto: Hor, ditto Arzenton dimandava a li Provedadori (se) havea fatto niun preson. Risposeno non sapeva ancora; solum el bastardo de Borbon. Et lui disse: Manca mons. tal etc., nominando assà gran maestri, dicendo saranno sta morti: Et cussì fece uno trombeta dil Re, che venne poi, partito Arzenton, in campo con una poliza, dimandando se sapevano nulla, dagandoli li segnali. Et come intese non era fatto preson alcuno, venne palido nel volto, dimostrando, per quello diceva, mancava assà baroni franzesi; come etiam per le arme et altri trovati, chiaro si puol concluder et suspettar siano stati de degni homeni et valentissimi, perchè tutti de tal sorte si operò, come fece de nostri, che li vili et pusilanimi ateseno a robar, et strenui combattevano.

Ma Franzesi, consultato tra loro quello dovesseno far, vedendo esser in manifesto pericolo de esser compitamente rotti et fugati, et forsi niuno sarebbe tornato in Franza a portar la nova di la grande sconfita; et passato el zorno, zoè el marti, a dì 8 de notte venendo el mercore, artificiosamente mostrò de distender trabache et paviglioni in longo, et feceno fochi grandissimi, ne li qual brusono li corpi morti de soi nobili. Ancora, come li villani riferiteno, brusò assà numero de soi feriti; et stavano male, et non l'era speranza per non poter menarseli driedo, et lassarli non voleva, aciò per nostri non fusse inteso la gran rotta haveano habuto: et questo fo gran cossa, brusarli vivi et de soi medemi! Et etiam brusono paviglioni, et trabache; forzieri et barde dorate tagliono in pezi, per non portar tanto peso drio et volseno rimaner a la liziera: tamen non lassò le artilarie, menate su carete tirate da cavalli 14 in 16 l'una, aciò fusse securtà loro nel camino. Et in quella notte el Re con più de 500 zentilhomeni Franzesi fece cantar una solenne messa, e tutti se comunicò, zurando de mantener la fede, et, a modo disperati, con [489] grandissima foga, a hore zerca 4 de notte, mentre li fochi grandi ardevano, si levò el Re con el so campo dove era, senza son de tromba nè tamburo come se suol far quando lieva uno exercito, ma a scavezacollo con gran pressa, riservato alcune tende verso el campo nostro, a ciò non se acorgesse de questa soa levata; et montono su la via romea andando verso el borgo san Donin; et lì disnato a le 20 hore; poi zonse ad alozar a Firenzuola. Et nostri in questo mezo credendo la mattina esser a parlamento, secondo l'ordine, vedendo li gran fuogi fatti per inimici, do hore avanti zorno mandono le spie fuora, ad explorar quello facevano i nimici. Et tornati al far dil dì riferiteno Franzesi erano fuziti, et che poteva no esser mia 8 lontano; et fo grandissima cossa, che tanta superbia quanta è quella de Franzesi fugisse la notte et al modo fugiteno; et ne l'andar non fevano dispiacer a niuno, et de qui fino in Aste era mia 80, qual li feceno in zorni... come dirò de sotto. Et per la strada fo trovato qualche Franzese morto, fo judicato esser de li feriti che, per non esser brusati, volseno seguitar el campo. Ma inteso questo per el Marchexe de Mantoa, Provedadori et Condutieri fatto consejo quid fiendum, et tutto el campo se messe in arme et a cavallo, volendoli proseguire le pedate dei inimici; et per el crescer dil Taro fo impedito, sì che fo forza et necessità a ritardar quel zorno. Et el conte de Caiazo con li balestrieri a cavallo li andò drieto per dar nele coaze; et scrisse a Milan al Duca, dovesse mandar zente a obstarli non passasse in Tortonese. Et esso Conte da poi disnar a dì 8, mandò dir a li nostri Provedadori li dovesseno mandar li Stratioti, perchè intendeva l'artilaria era rimasta da drio con poche zente et mal conditionate, et che sperava de zonzerli in le coaze... Unde li Provedadori subito mandò corando a dir a Piero Duodo, Provedador de Stratioti, era alozato un poco discosto dil campo, et li comesse montasse a cavallo con tutti li 700 Stratioti havea, et andasse a trovar el conte de Caiazo perseguitava Franzesi. Et rispose anderia statim; tamen, non fu a hora. Et consultato, come ho ditto, el Governador et Provedador, deliberono de andar con tutto lo exercito driedo; ma per quel zorno non poteno, come ho ditto. Et spazò lettere volando per tutto a Milano al Duca, dovesse far provisione de mandar zente a l'incontro, a ciò Franzesi havesseno contrasto, tanto che nostri zonzesse; et per tutto el conte de Caiazo in Piasentina, mandò a notificar a li contadini, el Re era rotto, et che fuziva, et che li obstassero facendo danni; tamen el campo Franzese fo più presto nel cavalcar, cha questi in far provision. Et quella matina el marchexe [490] de Mantoa zurò de far la vendetta de li valenthomeni li erano stati morti, maxime dil so Zuan Maria so barba, sig. Rodolfo et altri. Et a dì 9 la matina, el campo nostro se levò di Gierola, et andò per quella via seguitando li nimici, li quali erano assà lontani, ma speravano si dovesse astallar in qualche luogo, et etiam haver contrasto de Milan, che nulla hebbe, o vero di le zente paesane; ita che non si presto zonzesseno in loco sicuro, come fo. Et tuttavia el conte de Caiazo li seguitava, et villani dava in le coaze et becava qualche cariazo et qualche cavallo; et loro dubitando non disordinasse, non fece difesa alcuna; ma andavano al so camino, avendo però gran custodia a le artilarie, in le qual havevano grande speranza. Li feriti veramente nostri, zoè el conte Bernardin Fortebrazo fo mandato in Parma, et ivi medegato; et cussì li altri; li presoni a Mantoa, et li butini molti fonno mandati a Brexa in custodia et in Parma. Ma Stratioti, che haveano fatto un bel et rico butino, et come per lettere de Domenego Benedetto podestà et capetanio de Crema se intese ivi esser zonto 100 Stratioti, con 80 some de butini fatti, et che ivi ditti Stratioti stavano a custodirli, i quali doveano atender a seguitar nimici; sì che, concludendo, in questa battaia Stratioti non si portò bene. La causa fo, ateseno a robar. Et anche scriverò questo: che qualche cariazo fanti haveva vadagnato, che Stratioti sopravenendo li amazono, et tolse li cariazi, sì che di loro assà di nostri fanti fo morti, et Stratioti comenzò a perder la fama apud Venetos, et laudando sommamente la zente d'arme. Et questo seguito dil fuzer dil Re zonse la nova in questa terra a dì 10 Luio de matina, zoè lettere di 8 di sera de Provedadori a hore 24; et cussì poi altre lettere venne de quello succedeva. Et chiamato el Consejo dei Pregadi, vedendo questo successo, molti sospettava la Majestà dil Re in la battaia non fusse sta amazato; et ne era assà ragione da creder sì per le arme trovate, che dimostra esser quelle dil Re, quam per la fuga et comunicarse et brusar li soi feriti, perchè el bastardo de Borbon diceva el Re era armato in quel squadron, et che el Marchexe li era vicino. Ancora, per lettere di Bologna zonte in questo zorno, che notificava di la consolation habuta el magnifico Johanne Bentivoj et Bolognesi, et le feste et soni de campane con fuogi haveano fatto, et scrisse la vittoria et assà più numero de morti de quello se judicava fusse de Franzesi, et che per quelli venuti de campo regio dicevano che in quella notte che Franzesi fusiteno, se diceva per el campo el Re era morto, et che non se trovava. Et etiam uno di quelli de Zuan Jacomo de Traulzi, venuto in questa [491] terra, andò in Collegio del Principe, et disse come in campo de Franzesi si mormorava di la persona dil Re, che non fosse sta morto in la battaia. Et è da saper che fo messo in Rialto molte scomesse a dì ij ditto, zoè Hironymo Tiepolo da Londra.... per conto che el Re fin quel zorno era sta amazato et non era vivo; et 4 patricii tocò ducati 120 a darli ducati 400; et cussì se stava su queste pratiche: tamen el Re era vivo. Ancora in questi zorni fo messo scomessa et fatto aseguration, che le galie de Fiandra, nominate per avanti, non erano rotte; et fo dato ducati 50 per 100; et come esso Hironymo Tiepolo diceva, la nova doveva zonzer a dì 12 ditto ad ogni modo; tamen non vene alcuna nova et più de galie se intese. Hor nel Consejo de Pregadi, a dì 10 ditto fo decreto, per ringratiar Dio de tanta vittoria, quanta havia donato a le zente nostre, de far la Domenega proxima, a dì 13 e questo, una solenne procession a torno la piaza de San Marco, portando le reliquie de questa terra a torno, con tutta la chieresia, frati, scuole, etc. per render infinite gratie al nostro Signor Iddio; et cussì etiam scrisse per tutte le nostre terre da mar et luogi dovesseno far. Et de questa parte fo messa, have tutte le balote num. 206, niuna de no et niuna non sincera, et come dirò de sotto. Adoncha la fo fatta, fo ordinato messe per tutte le chiesie de conto Ducal, et una procession de obsequio per le aneme de quelli erano sta morti in battaia, et precipue dil Ser Redolfo et Ser Ranuzo, la cui morte molto dolse. Et intendendo come si haveano portà Stratioti, mandò la Signoria per el Consejo di X a suspender el butino, et scrisseno a Crema dovesse tenir li cariazi et mandar li Stratioti in campo, perchè poi parterebeno el tutto; et che la †, il calice, patena et altri adornamenti di la capella dil Re, presi per Stratioti, dovesseno mandar in questa terra, li volevano tenir per memoria, volendo a tutti satisfar quello valevano. Et Piero Duodo dovesse far inquisitione chi havea l'elmo et la spada dil Re, che la Signoria voleva ditte cosse. El qual elmeto poi fo portato in questa terra a dì 22 ditto; era coverto da le bande di cape d'oro con smalti suso, de sopra coperto di schiame d'oro et de smalti, et una corona d'oro firmata sopra con alcune zoie, Etiam la spada era bellissima. Et oltra de questo, alcuni zorni da poi, per lettere di Andrea Zancani podestà et capetanio de Ravena, se intese come era zonto certi fanti a Ravena, erano partiti di campo et quelli portono li sigilli fo dil Re et altro, come scriverò de sotto al loco suo, et al tempo fonno portati a Venetia. Ma lasciamo queste cosse de campo, et de altro scriviamo.

[492]

Essendo in questa terra venuto lo episcopo di Brexanon, orator dil Re de Romani, a dimandar a la Signoria ducati 100 milia, per venir in Italia, a imprestido, excusando el suo Re non havia potuto venir fino hora per caxon di la dieta, et volendo risposta, fo consultado in questo zorno. Venuto a l'audientia, li fo risposto per el Principe, come erano certi dil bon voler havia Soa Majestà, et che al presente, Gratia Dei, più non bisognava, et che 'l poteva considerar la grandissima spesa a hora si havea, sì di l'exercito de persone 25 milia tutte pagate dil nostro, et di l'armata in mar; concludendo non li potevano servir de denari; et che erano certi che gran consolation prenderia Soa Majestà, inteso havia la vittoria et fuga dil Re de Franza. La qual nuova per nostri fo expedito uno corrier con lettere a Soa Majestà a Vormes, et etiam in Spagna, a Roma et in altri luogi, offerendoli el Stado nostro. Et ditto ambassador habuto tal risposta, scrisse al Re; et poi che stete zerca un mexe da poi in questa terra, in Elemagna ritornò. Et è da saper che Thodeschi non fonno molto contenti di questa vittoria; et quelli di fontego el dimostravano, perchè harebbeno voluto el re Maximiano de Romani fusse stato quello havesse habuto questa fama, come havia el Marchexe de Mantoa; ma chi fusse stato ad aspettar li soi aiuti, sarebbero stati tardi. Etiam fiorentini, licet dal Re havesseno habuto pessima compagnia, pur, per la natura loro, non dimostravano quelli mercadanti erano in questa terra, molta allegreza.

Da Roma era lettere che 'l Papa rotto havesse al Re de Spagna guerra, et Maximiliano a Franza, lui faria le censure, et pregava nostri perseverasse a la destrution de Franzesi. Tamen non havea ancora inteso la vittoria, come da poi Soa Santità l'intese primo per via de...........

In questo zorno di X Luio, per uno navilio venuto de Bari, se intese, come l'armada di la Signoria nostra, ha acquistato Monopoli per forza, terra in la Puia, olim di re Ferandino la qual si teneva per el Re de Franza, et che era sta amazato da una bombarda Piero Bembo Soracomito. Et poi a dì 12 ditto vene uno gripo con lettere di 5 Luio dil capetanio zeneral, notificava el successo de quello in Puia havia operato, riportandose a le lettere di 3 scritte, le quale non erano ancor zonte per el contrario navegar. Tamen poi le zonse, zorni 4 da poi le prime. Et è da saper che el gripo, con la licentia dil romper, partì de qui a dì 18 Zugno et zonse a Brandigo a dì 26 ditto, ergo in 8 zorni vi andò et el patron moveva battaia..... dil ditto grippo. Et zonte a mezo zorno ditte lettere di la Signoria [493] al zeneral, et fo ordinate le scale da scalar mure et altri instrumenti bellici, et per esser provenza freschissima non si potè muover per quelli do zorni l'armata de Brandizo. Ma a dì 28 Zugno la sera se partì ditta armata, galie 20, la barza capetanio Thoma Duodo, et le do nave nominate de sopra: patroni Zanetto da Muran et Anteo Amai. Et a dì 29 passato mezo zorno zonseno a Monopoli, restò però da drio galie 4, le quale haveano a remurchiar le nave. Zonta ivi la ditta armada, el capetanio Antonio Grimani mandò el copano in terra a chieder che li cittadini deputati li venisseno a parlar, perchè havea da comunicar certe cosse con quelli. Fatto la imbassada, li (cittadini) a li liti stavano armati con balestre carge, et cridavano Franza! Franza! Et uno domino Prudentio, era ivi capetanio per el Re de Franza non volse niuno vi venisse, ma mandò uno so araldo. Al qual el capetanio li disse como la Majestà dil so Re aveva rotto guerra a li collegati di la Ill.ma Signoria, zoè al Pontefice et Duca de Milan, et però Soa Serenissima Signoria li havia commesso dovesse romper guerra ai so Re, sì che: Partiteve de questa terra, altramente ve trattarò come inimici. El qual rispose: la Majestà dil so re è amico di la Vostra Signoria, et che erano deliberati di morir per quello. Et ritornò col copano a la terra, dove tutta la terra comenzò a cridar: Franza! Franza! Et messe le bandiere franzese sopra la torre dil porto, e si messeno in arme. Et el capetanio nostro, visto che trazevano alcuni colpi de bombarda, se tirò nel porto nominato el Paltan. Et in questo interim venne sera, et zonse la barza, e sorse da largo et el resto di le galie. Et el capetanio fece congregar Hironymo Contarini provedador di l'armada, Thoma Duodo capetanio di le nave, et li sopracomiti in la soa galia, et consultò quello havesseno a far. Et ciascuno ditto la sua opinion, rimaseno in questo: si tentasse la via de demostrar de darli el guasto, con brusar li olivari et uno campo di formento era lì proximo, per veder se si voltavano. Et messeno in terra Stratioti et certi homeni per galia, et corseno fino su le porte, et lì fece uno poco de scaramuza. Fo etiam fatto questo, per veder che zente se ritrovava dentro, et brusò el formento et qualche pochi de olivari, ma questo 0 valse. Et la matina seguente, a dì 29 Zugno, fo concluso darli la battaia. Et è da saper che in quella notte el sig. Alexandro da Santo Stefano spazò uno messo lì in Napoli, exhortando quel populo non volesse aspettar la battaia di l'armata di la Signoria; a cui li fo risposto, era rebello; che volevano morir per mantenir Franza. Li mandò etiam uno la mattina preditta, et volseno etiam amazar il messo. [494] Tandem, con el nome de Dio, a hore 5 de zorno fo principiato la battaia. Preparate in primis le galie imbarbotate numero 16, et garidate da prova in sino a l'arbore, et messi tutti in arme, dato da far colation a la zurma, fo fatto dir un laudo (cussì da marineri chiamato) per el qual pregavano Dio ne desse vittoria. L'armiragio Antonio di Stefani fo quello el disse, stando in pie' armato a cao, el zeneral armato a meza galia et Marco Buza suo canzelier insieme. Et fece el capetanio far uno comandamento, sotto pena di la forca niun non se partisse di le sue poste, et el capetanio volse esser el primo che investisse con la sua galia con la prova in terra. Et la terra faceva grandissima difesa de bombarde et archibusi, et nostri li rispondeva con bombarde et passavolanti. Et el capetanio divise la battaia da mar in quattro parte, zoè esso capetanio con Francesco Valier, Nicolò Corner, el Gresolo zaratin et Piero Damian, Sebenzan vechio et andono a investir per mezo la terra verso Brandizo da la banda dil porto. In el porto proprio fo deputato el provedador Marin Signolo, Francesco Zen, Francesco Polani da la Canea, Francesco Bertolazo zaratin, et Gregorio Cinalello zaratin, sopracomiti con loro galie. Da la banda de levante, verso Brandizo, Piero Bembo, Piero Loredan, Spalatin, Sebezan novo et Lisignano, sopracomiti. Dal canton dil porto, verso el Pantano, fo deputate le tre galie corfiote et l'ystriana. Etiam ordinò un altra azion da la banda de terra, con li stratioti et homeni zerca 60, con scale, et una bombarda che trazeva da la chiesia de San Francesco a le defese, azò manco forte i fosseno da la parte de mar. Et quando la galia dil capetanio prima se apresentò a le mure, el capetanio preditto se tirò verso l'arboro, et quelli di la terra salutava de bombarde et freze; et perchè la galia non se poteva con la prova acostar in terra, messeno el ponte per andar in terra, non aspettando più la barza nè altre nave, le qual non potevano venir avanti, se non quella de Zanetto da Muran. Et dubitando non venisse soccorso, ordinò dismontasse la zurma, et li galioti saltono in acqua, non però senza uccision de uno, et tre feriti da li sassi; et cussì andono in terra. Et nostri con passavolanti tirava a le difese, et cussì balestrieri et arzieri nostri acostate le galie a le mura, cessò le bombarde et si comenzò a stringer la battaia con sassi terribili, adeo non se tentavano nostri de metter scale a le mura, per la gran defension faceva. Et il capetanio osò queste parole: Ah! figlioli, io che son capo vostro, voglio esser el primo che metta questa scala in terra a le mure! su figlioli de San Marco! Et dette la terra a sacco, promettendo al primo montava sopra li [495] muri ducati 100, al secondo 50, al terzo 25. Et con questa vigoria da tutte quattro le bande fo combattuto virilmente, et fo messo la scala a le mura. Et subito uno balestrier dil capetanio, chiamato Todarin, saltò sopra le mura, et molti altri volseno andar drio, et la scala si rompè, et sempre questo stete fermo difendendose al meglio poteva. Con aiuto d'altri balestrieri di le galie conzata la scala, secondo fo Marcheto Capelo, et andò sopra una caxa. Il terzo Mathio Rizzo, et el quarto Zorzi Volzimonte. Et il capetanio have in man una maneruola todesca, stava a pope; confortando tutti; et tra li passavolanti, bombarde, soni de trombe, et cridi, l'aere era intronato, et uno non se intendeva l'altro. Et questa battaia dal canto dil capetanio durò una hora, et da altre parte durò una et meza. In la qual battaia fo amazato Piero Bembo soracomito, homo de farne gran conto, da una spingarda la qual li passò da banda in banda, arente la tetina zanca; et a uno li era vicino toccò nel petto, et subito questi moriteno. Ancora do Soracomiti, zoè di corfioti nominati di sopra, fonno feriti, et morite uno. Et conclusive tutti li altri Soracomiti si portono vigorosamente, maxime Francesco Valier, era a lai (lato) dil capetanio et saltò in acqua con la imbrazadura a far condur le scale a le mure; et etiam Nicolò Corner meritò gran laude. Fo morti in questa battaia....., feriti 15; morti in la terra 90, et feriti 150; fo crudelissima battaia. Hor, intrati nostri in la terra, non cessono de combatter et usar assà crudeltà, et una parte et l'altra si slanzavano. Partesani fo taiati a pezzi, tutti nostri scontravano, zoè zerca 150; et in le caxe fo trovati assà morti et feriti, femene et puti: uno di anni cinque fo ferito de uno mandreto in la fronte; un altro de anni 7 era cazato sotto alcune doge de boter a la piaza, et si teneva con una man stropati li ochi, et andato ivi Francesco Brognolo cogitor dil capetanio, vedendolo tutto sanguinoso, zercò si l'era morto, et lui sentendose tocar disse: ah fratello, non mi amazar, ma dame un poco de aqua: costui havia tutto el brazo sinistro mozo, fin quasi al cubito. Alcuni monasterii fonno aperti per forza; tolti li calici, piviali et zò che trovarono; molte donne corseno a la chiesia, et, se le haveano cossa alcuna, fonno spogliate. Inteso questo el capetanio, do hore da poi preso, mandò el suo armiraio et il miedego in la terra, a veder le donne non fusseno violate. Li corpi erano de li morti per le strade con el sangue, nudi over in camisa, el numero zerca 90, feriti 150. Le donne le prime di la terra, spogliate, con straze intorno, con li capelli zo per spale sparsi, et erano redute nel vescoado con molti puti. Et fo fatto [496] comandamento che, se niuno faceva più tal crudeltà, ne movesse alcuna cossa, li fosse taiato la testa. Era per le strade cridori, galioti con barili et altre robe, lavacro de oglio et sangue. Et la sera poi esso capetanio zeneral dismontò, et andò in la terra, per asegurar le persone; et con una ronca in man cazava li galioti in galia. Et intrato prima in chiesia, comenzò uno crido: Marco! Marco! con pianti et batter de man, che fece lacrimar el capetanio et altri; et licentiò le donne andasse a caxa securamente. Et per non esser pan in la terra, el populo cridava: fame! fame! esso capetanio fece dispensar assà miara de biscotto, et el zorno seguente stera 200 formento, era de quel Prudentio franzese capetanio per el Re de Franza, el qual fo fatto presone, et se voleva rescattar per ducati 4000. Ancora el capetanio fe' comandamento, che, in pena di la forca, tutte le cosse ecclesiastice fusseno rendute; et cussì fo fatto; et etiam quelli haveano donne le dovesse restituir, et li cavalli da masenar le olive et li boi et utilità dil populo. Et ancora poi fece vender la roba qui in la terra a loro medemi, et el terzo manco de quello la valeva; però che fo fatto grandissimi butini, per valor a presso de ducati 20000 de ogli et altro; sì che li galioti si feceno richi. El qual butino fo venduto a quelli cittadini per ducati 1300, et che valeva ducati 4000; et etiam el capetanio donò vin al populo per farselo quello benivolo; et fece exempti per anni X; i quali tutti si rallegrarono, come dirò de sotto. In la scaramuza et la battaia è da saper fo morto Alvise Tinto veneto, era lì mercadante, e toltoli da galiotti ducati 130. Or li puti veniva con vino et acqua fresca porgendo a nostri, cridando: Marco! Marco! Et al primo dil mexe la matina da poi, honorato le exequie di Piero Bembo sopracomito, che fo messo in deposito al Domo, di lo qual tutta l'armata si dolse di la sua morte; poi el capetanio zeneral andò sotto la loza di la terra, et congregati tutti li cittadini, aldito prima messa dil Spirito Santo, et il populo cridando: Marco! Marco! fo levato el stendardo de S. Marco, et spegazato l'arme dil Re de Franza, et a hora li fece exempti di ogni angaria per anni X, salvo dovesseno dar una piadena de frutti etc. Questa terra de Monopoli è bellissima, tutta murada dentro et fora a quadri de pietra tufo; non ha castello; giardini bellissimi et aque vive; abondante de ogli più de terra di la Puia, et di le doane egli si traze ducati 20 milia a l'anno. Li cittadini molti erano anzuini, et si scusavano non si habia voluto render, perchè dubitava non ritornasse sotto caxa di Aragona: la qual cossa non vosene redir parola; et però feceno tanta difension, oltra le bombarde et sassi, [497] pignate de calcina, ogio bogente, pezzi de travi etc. Et la bandiera dil Re de Franza el capetanio la tolse per tenir a eterna memoria, et fece governador de ditta città Thomà Duodo capetanio di le nave, fino la Signoria vi mandasse altro provedador.

Et a dì 2 Luio quei de Pulignan, mia 8 de lì, mandò soi messi al capetanio a renderse a San Marco, et fonno benigne accettati. Et la sera venne el suo episcopo con presenti de polli et persuti, dimandando aiuto da nostri, perchè quelli de Conversano, dove erano reduti Franzesi in uno, li molestavano. Et per suo conforto li fo mandati alcuni Stratioti, et Nicolò Corner soracomito per loro governador. Et è da saper che in armada eran 45 Stratioti, et el zumo di la battaia zonse Zorzi Malacassa con altri 45 da Traù, et a dì 4 ne zonse altri 45 da Sibenico, li quali tutti numero 135 fonno mandati a Pulignano, et a dì 4 ditto fonno a le man con quei de Conversano, erano 150 cavalli lezieri franzesi et 200 pedoni, et di le persone 3000 ivi redute paesane, et feceno una scaramuza per meza hora. Fo morti de li nemici numero 17, computà el conte de Gavina; et de li nostri, morti 3 et feriti 5. Et si separavano Stratioti havendo questo, e ritornò in la terra, mandando al capetanio a dimandar più zente, perchè loro non erano bastante al gran numero de li nemici. Unde el capetanio li mandò tre galie; le qual zonte, feceno grande alegreza, et levono do stendardi de San Marco con gran solennità; etiam mandò Alvise di Albori, homo valentissimo, con X compagni nel castello, et il zorno driedo mandò altre XV page in ditto castello, con cui XXV; et per uno al mexe li dette una paga et meza. Ancora Mola si levò San Marco, ma la roca no. Ma a dì 5 ditto, Franzesi la reacquistò per forza, però che nostri non li havea mandà alcun pressidio; pur poi fo recuperata. Et a dì 3, quelli Franzesi di Conversano scrisseno una lettera a quelli di Monopoli, confortandoli volesseno ritornar sotto el Re suo, dicendo haver cinque squadre di homeni d'arme et molte fantarie, et si manezava de far a loro come fo fatto a Gaetani. Zonse a dì 3 Bocari da Sibinico con cavalli 50 de Stratioti, et el capetanio mandò tre galie a Brandizo, a tuor li Stratioti ivi erano; et scrisse a la Signoria come voleva lassar 4 galie a Monopoli per custodia, et lui se voleva partir con el resto di l'armada, et andar a Manfredonia et Molfeta et altre terre si tenivano ancora per el Re de Franza; et che havia fatto discargar li orzi erano su la nave de Anteo Amai, per rispetto di cavalli di Stratioti, che de lì non se ne trovava; et come lì a Monopoli si potrà far un molo più bello di quello de Modon, et pregava [498] la Signoria li dovesse mandar quello era bisogno in augumento sì di l'armada, quam di zente, a ciò potesse acquistar et danizar quelle terre in la Puia, si teniva per el Re de Franza. Fo dato a esso capetanio a Monopoli una armadura fo di re Ferando, la qual era in le man di quel Prudentio franzese, el qual solo fo causa di la ruina di quelli poveri cittadini.

Ancora per lettere da Corfù, drizate a esso capetanio, et di Constantinopoli, se intese Camallì corsaro havea preso a li Dardanelli una caravella de Candia con 150 botte de vin, et havea amazato homeni 18, et el sig. Turco havea comesso el sanzaco de Garipoli lo seguitasse con tutte le fuste poteva, per prender ditto corsaro, et cussì esso sanzaco lo seguitava. Di l'armata turchesca nulla seguiva; pur andava fenzando de lavorar ditta armata, et ogni giorno provava bombarde. Le lettere era di X, et 13 di Constantinopoli; et questo basta quanto a le cosse de mar.

Da Milan venne lettere al suo ambassador, dovesse andar in Collegio et pregar la Signoria seguitasse l'impresa, laudando la virtù dil nostro exercito, et che era ubligatissimo a questa Signoria, promettendo mai ni lui ni soi discendenti partirsi da li precepti di quella. Et anche per lettere di X Luio, di Hieronymo Lion kav. orator nostro, se intese esso Duca haverli usato gran parole in laude di la Signoria; el qual era amalato, nè usciva di camera, et che havea mandato el sig. Fracasso con 100 cavalli lezieri et pedoni alemani 200, a la volta di Tortona, per veder de devedar el passo al Re, et Franzesi non passasseno, benchè pareva cossa difficile a essa Duca; et ita fuit, come dirò di sotto, imo fece careze a esso Re. El qual sig. Fracasso volse con lui 50 Stratioti, i quali non volseno andar, per non dividerse da la compagnia; ma ben volevano andar tutti. Et cussì Bernardo Contarini dimandò al capetanio sig. Galeazo di San Severino, el qual mai volse se partisseno de lì, et cussì restono in campo a Novara, pur ancora in la villa di Perna, ni erano mossi, come voleva, esso campo per caxon di le pioze, che havea ingrossato li passi. Item che quelli Franzesi de Novara steva dentro, et che haveano habuto per spie el Duca de Orliens haversi molto doluto di la rotta dil Re, et stava assà sospeso, et si voleva partir et ritornar in Aste, ma li soi non lo lassaveno; unde nostri stavano vigilanti, a ciò non scampasse via. Et per lettere de Bernardo Contarini a la Signoria, di 9 ditto, se intese, come, havendo preso mons. Alvise di Sansonagio, come ho ditto, et lo teniva con lui nel suo alozamento, lo volse examinar, fatoli gran demostration [499] che, si non diceva la verità, Stratioti li voleva taiar la testa; et havia fatto venir Stratioti dentro a dimandarli, per modo che 'l tremava, et si butò con li zenochi in terra. Or, interogato di più cosse, rispose. Et prima dil governo dil Duca d'Orliens, che 'l stava con grandissima reputatione; qualche volta sta serato tre zorni in caxa, che non si lassa veder, ma l'ordinario si è de dar audientia do volte a la settimana, et ha per suoi conseieri l'infrascripti, videlicet: mons. de Roan vescovo di Ambues, mons. Zuan de Loan governador de Orliens e governador di la terra de Novara, mons. di Corde (el nome non lo sapeva dir), mons. de Magli zamberlan: et questi sono quelli che hanno el Governo de ogni cossa. Dimandato che opinion è dil Duca di lassar Novara, come l'ha fatto li altri luogi, rispose che chi havesse vardato a la fuga dil Duca, el secondo zorno saria andato con Dio; ma li soi conseieri l'ha fatto soprastar, e chiamato el so consejo, nel qual entra questi cinque capetanij de zente d'arme (a nostro modo sariano condutieri), mons. de Sara, capetanio di le zente d'arme dil Dolfinà, mons. di Giudallum luogotenente del marascalco de Giae, mons. Menori capetanio di le zente d'ordenanza, mons. Jalatiel capetanio di le zente d'arme d'ordenanza (zoè ordenanza vol dir le zente di la corte), el luogotenente di le zente d'arme di Joam Perom, el nome nol sa; i quali, congregati insieme, fo deliberato di non si levar per honor et beneficio dil suo Roy, et assignata la raxon che li bastava a loro per el suo dimorar a Novara, tenir tanto exercito a sua posta, et non habbi caxon de adunarse insieme con el campo de Parmesana contra el suo Roy. Dimandato zerca a vittuarie, rispose a trovarsi dentro de Novara vittuarie per uno mexe, et non più. Dimandato s'è alcuna parcialità tra loro, per esser zente de varii paesi, rispose che tra le zente d'arme de Franza e quelle dil Dolfinà sono molte discordie, perchè li Franzesi tieneno per zente vil quelli dil Dolfinà; et se quelli dil Dolfinà havesseno el poter, cussì come non hanno, za li haveriano taiati a pezi; ma stanno bassi per non haver possanza. Dimandato la qualità di le zente d'arme, disse a trovarse in Novara lanze 500 a cavalli 4 et 3 per lanza, ma la mazor parte 4; et che cadauno homo d'arme ha do arzieri a cavallo, et che son 1000 altri arzieri dil Re; che son arzieri 2000, et 5000 alemani a piedi, la mazor parte balestrieri. Dimandato l'ordene dil suo pagamento, disse che homeni d'arme, e tutto il resto, se pagano da tre mexi in tre mexi, li homeni d'arme a raxon de scudi X al mexe, et li arzieri scudi 6, et li pedoni scudi 3. Dimandato quanto indriedo haverle pagade, rispose [500] che a dì 20 dil presente vorano page per 3 mexi. Dimandato se i aspettano soccorso de Franza, o ver di Aste, rispose che l'è vero che 'l Duca ha scritto in Aste per soccorso di 200 homeni d'arme, et per danari per la paga di tre mexi; ma non sa certo si 'l soccorso venirà etc. Item che havia fatto experientia con uno altro preson arzier, e fatoge dar molte torture; la examination dil qual non è stata diferente a la prima, salvo nel soccorso, el qual afferma che per tutto el paese de Franza, el qual eran hozi 29 zorni che mancava di Guascogna, è venuto insieme con 100 arzieri a cavallo, come è sta fatto una cria per tutta Franza, che tutti li baroni, cavalieri et zentilhomeni subditi al Roy, monteno a cavallo et vegnino a soccorso dil Re. Et per le terre dove l'ha passato per venir in Aste, havia visto far mostre di zente, le qual se mettevano in ordene. Et ancora advisò come in quel campo duchesco, capetanio el sig. Galeazo, questi erano li consultori: el sig. Fracasso, el sig. Antonio Maria, el sig. Nicolò da Corezo, et el conte Hugo di San Severino; et anche lui entrava, ma non fevano niuna cossa senza el consejo dil Duca, et che haveano ardentissimo animo de apizarse con li nemici, licet quelle zente siano mal pagate; et che erano di tre generation, Italiani, Elemani, Albanesi o ver Greci; tamen tutti erano di uno voler contra Franzesi. Item rechiedeva danari per la paga di Stratioti, li quali a dì 26 Zugno l'haveano livrata, licet havesse hauto 6 page. Et è da saper, che a dì 26 Marzo comenzò la prestanza, et però pregò la Signoria li fusse mandati danari.

A Venetia, a dì 12 Luio di Domenega fo fatto in piaza di San Marco una solenne processione de tutti li frati, preti et batudi di questa terra, portando cadauno qualche reliquia de Santi o vero cosse de arzento: era bellissimi aparamenti. Conclusive, fo degna processione; et fo messo a torno la piaza li panni, per schivar el sol, sì come se suol far el zorno dil corpo di Christo. Non vi potè esser el Prencipe, per non esser ancora molto gaiardo; era vicedoxe Andrea Querini conseier più vechio. El Patriarca aparato, et questi oratori: dil Pontifice, do dil Re di Romani, de Spagna, de Napoli, de Milan et de Ferrara, con molti senatori per numero 120, vestidi de seda et scarlato, et alcuni cavalieri vestiti d'oro, i quali qui saranno nominati: Polo Pixani era Avogador di Comun, Polo Trivixan era Cao dil Consejo di X, Piero Balbi, Zorzi Pixani dottor, Zorzi Corner et Marco Dandolo dottor. Et li altri cavalieri haveano o.... d'oro, o ver qualche altra insegna. Et fo sonado campanon per quel zorno, ma non fo fatto fuogi la sera, nè messo lumiere per li campanieli, [501] perchè ancora non sapevano la vittoria quanto era stata, et non havendo fatto nel principio, ni etiam in questo zorno volseno far altro.

Dil ritorno di re Ferando di Aragona in Napoli, et fu accettato di cittadini.

Domente queste cosse intervengono, di la battaia fatta per l'exercito veneto con el Re de Franza, a dì 13 Luio zonse lettere di Roma di 9, per le qual se intese haver di Napoli di 7, come a dì 6 de l'instante, fo el zorno el Re de Franza ebbe la rotta, re don Ferando de Aragona re de Napoli con galie 9 et zerca 31 caravelle de Spagna, si apresentò a la città de Napoli, volendo ritornar nel Regno. Ma pur molti napolitani soi nemici con Franzesi si messeno in arme, et da li castelli ditta armada era salutata di molte bombarde, et el populo cridava: Franza! Franza! benchè per lettere di Lunardo di Anselmi vice consolo nostro fusseno certificati... Qualche uno pienamente cridava: Marco! Marco! dimostrando sarebbeno stati contenti dil dominio veneto, e non star sotto Franzesi nè ritornar sotto caxa di Aragona. Et per quel zorno ditta armada se tirò alquanto lontana, a ciò le artilarie non li offendesse; et poi el zorno seguente, fo a dì 7, esso Re dismontò a le Madalene, et con molti cittadini li era venuto contra, intrò in Napoli per la porta de Formelo vicina a Castel de Capuana. Et come si apresentò a la terra, el populo armato cridò: Ferro! Ferro! Videlicet: Viva Ferando! Et cussì col nome di Christo andò Sua Majestà ad alozar in Castel de Capuana, el qual era senza guardo et non custodito da Franzesi. Adoncha, pacifice, col favor dil populo et cittadini, benchè li fusse contrarii, Ferandino è intrato in Napoli. Et el populo con li soi messeno a sacco la caxa dil Prencipe de Salerno et dil Prencipe de Bisignano et dil conte de Conza, erano stati soi rebelli. Ma mons. de Mompensier vicerè franzese erano tirati col Prencipe de Salerno et altri Franzesi in Castel nuovo, fornito di munitione et artilarie; et cussì in Castel dil Uovo, torre San Vincenzo, Pizza Falcon et uno Monasterio di Santa Crose, a modo di forteza et Castel Santo Elmo erano Franzesi a custodia, sguizari et altre generatione. Et questi castelli si teneno per el Re de Franza. Et el consolo nostro, intrato che fu el Re dentro, andò subito a la soa presentia, alegrandose da parte di la Signoria nostra dil suo felice ingresso; el qual Re li usò dolcissime parole, digando che 'l conosceva esser ritornato [502] in Napoli per le operationi di essa illustrissima Signoria, a la qual in perpetuo voleva esser ubidientissimo fiul. Item che mandò tre galie per don Fedrigo prencipe de Altemura suo barba era in la Calavria, el qual pur da mons. di Obignì vicerè havea habuto qualche danno, et li havia el Re mandato a dir venisse a Napoli. Et a ciò che el tutto se intenda, vi sarà scritto una lettera, scritta al Duca de Milano da Roma per suo fratello mons. Ascanio cardinal. Narra ad plenum questa intrata.

Exemplum litterarum Rev.mi D. Vice cancellarij S. R. E. Cardinalis Ascanii ad Illustrissimum Dominum Ducem Mediolani.

Illustrissimo Principe et Exc.mo D. frater et pater honorandissimus. In questa hora, che sono circa 24, ho hauto aviso di Capua de lettere delo incluso exemplo. L'homo è venuto con esse lettere è fameio di missier Jacomo, quale li scrive et riferisce lunidì a dì 6 era in Napoli, mandato dal patrone, che l'armata dil re Ferandino, quale era gionto a Yschia il dì avanti, se mosse a li 6, et venne verso Napoli, et fece scala a la Maddalena, dove concorse molto numero di cittadini napolitani, et deliberorono che la notte seguente più segretamente potesse, bona parte di la zente, qual la Majestà Soa havea conduta con sè, et cussì stete. El dì seguente, che fo Marti a dì 7, a hore 13, tutta la città comenzò a cridare: Ferro! Ferro! Et la Majestà Soa, acompagnata da uno gran numero di cittadini napolitani, intrò ne la città per la porta di Formelo a lato dil Castello de Capuana, quale era stata abandonata; et cavalcava Soa Majestà uno cavallo liardo grosso, con el stendardo a fiame, et tutti li segi erano alzate le bandiere de la Majestà Soa. La quale fo accettata con universal et incredibil letitia, accorrendo tutto el populo a basarli li piedi. Parte de Franzesi, quali si trovono in Napoli, a li primi cridi dil populo erano malmenati, parte si salvavano in diverse caxe, ma la mazor parte era fuzita et salvati in Castel Nuovo. Et in quella hora lo homo à portata la presente me dice che partì et venne con celerità a Capua per anonziar al patrone el successo di Napoli, e passando per Aversa dice che la ditta città medesimamente havea la sera avanti levate le bandiere dil serenissimo re Ferandino, et gionto a Capua, dove la sera avanti erano sta mandati 300 fanti de la Majestà Soa, trovò el medesimo; et dice che 'l populo havea preso il locotenente de Capua per havere la rocca, quale hebbe in mano soa, referisce anche come la rocca del [503] Monte de Ragone, la quale teneva li Caraffeschi, havea alzato le bandiere di la preditta Majestà. Significa anche come trovandose in Napoli el Principe de Salerno, et volendo fuzire in Castel Nuovo, el populo el confortò a stare et lo assegurò; et nondimeno parve non volesse assegurarse. Referisce anche come Castel Nuovo, da poi la intrata dil Re, non trahe più come l'havea fatto prima; et anche la Majestà Soa havea mandato a dire a mons. de Mompensier che trahendo la Majestà Soa retraria in le bombarde li corpi de li Franzesi et maxime mons. di la Spara suo parente, el quale havea con la Majestà Soa. Aviserò con ogni diligentia el successo. Questi principii ò inviato, volendo con la celerità di la tascha pagata.... L'armata dil Re, per quello se intende, è di 80 vele et di 6 in 8 milia persone. La narratione che Franzesi haveano fatto, di haver data la rotta in Calavria al prefato Serenissimo Re, è stata falsissima, et niente. A la Excellentia Vostra me racomando. Rome, die 9 Julii 1495.

Exemplum litterarum D. Jacobi de Capua ad Ill.um et Rev.um Dominum Vicecancellarium.

Alla gratia bona de Vostra Ill.ma S. me ricomando. Aviso quello ch'è in questa hora 17. Questa città de Capua ha alzate le bandiere di la Majestà dil sig. re don Ferando el quale con grande alegrezza...... et saria impossibile a scriver con quanta alegrezza tutto è fatto per questa università, m'è parso dar aviso a Vostra Illustrissima Signoria, tenendomi certo che la ne piglierà piacere, per lo amore grande che quella porta a ditta Majestà dil Re suo nepote. Et ancora il simele ha fatto Napoli et Aversa. Baso le man a Vostra Illustrissima Signoria, et in bona gratia di quella de continuo mi racomando. In Capua, 7 de Luio 1495.


Et zonto che fo questa nuova a Venetia, Zuan Battista Spinello dottor et cavalier, orator di esso re Ferandino, andò con grande alegrezza in Collegio, et la sera havia sul campo di San Polo fatto far grandissimi fuogi in segno di leticia, però che la notte lui have lettere di questo. Et cussì questa mattina, a dì 13 Luio, si congratulò con el Principe era andato in Collegio quella mattina, et con la Serenissima Signoria, di esser tornato el suo Re in caxa soa, pregando fusse ajutato; et etiam esso orator et quello di Spagna domandò fusse fatto sonar campanon in segno di gaudio [504] per la terra. Et cussì per la Signoria fu ordinato che per quel zorno tutte le contrade et a San Marco sonasseno campane, ma non fo fatto lumiere ni fuogi. Et quam primum fo udito ste campane sonar, tutta la terra credeva nostri, seguiva el Re de Franza, havesse habuto qualche vittoria, ma poi inteseno la verità, et la cagione perchè si sonava. Unde molti si dolseno che per tanta nostra vittoria non se havesse fatto dimostratione alcuna de alegrezza, altro che la processione fo fatta. Et da poi disnar, chiamato el Consejo de Pregadi, consultono quello havesse a far, et si dovesse seguir l'impresa di Puia, et fu decreto et scritto al capetanio zeneral dovesse seguitar in acquistar terre teniva el Re de Franza nostro nemico, ma che vardasse di haverle pacifice, et far ogni acordo prima che darli battaia, a ciò non segui la morte de nostri, et la crudeltà seguì a Monopoli; benchè nostri judicava fino quell'hora esso capetanio havesse acquistato altro, ma nulla fece, come dirò di sotto. Et ancora li fo mandato ducati 3000, et do gripi cargi de munitione et artilarie tolte da l'arsenal nostro.

In questo tempo a Cesena, terra di la Chiesia, seguite alcune novità, come per lettere di Andrea Zanchani podestà et capetanio di Ravena se intese: zoè a dì 12 Luio di Domenega, celebrandose uno solenne vespero ne la chiesia di San Francesco, ne la qual se ritrovava molta zente, venne Achylle Tiberti con 13 compagni con certi pugnali et spade sotto li mantelli, et andorono 4 volte su e zo per ditta chiesia, et quando li frati comenzono a cantar questo salmo: Laudate pueri Dominum, messeno man a ditte arme, tutti a uno tratto et comenzono a menar le mano in tal forma, che immediate in ditta chiesia subito fonno morti 7 et certi altri si messeno in fuga, et li preditti seguitandoli, per modo che ne morì zerca 25, li quali saranno notadi qui da st'altro ladi, et questi fo de li Martinelli et altri, loro parte contraria; et sachizò et spianò le caxe, gridando: Giesia et Libertà! Et poi andorono a la rocca, et feceno intender al castelano non tragesse per la terra, perchè loro la tenivano per Santa Chiesia, ma che haveano estirpati li traditori; et si fortificano in la murata. Et el Luni seguente da matina haveano ordinato di far li Martinelli assà più male, zoè che si dovevano adunar in piaza le zente dil Duca de Gandia et, adunate, seriano corso el volgo per vederle, et li soldati, qualli erano deputati, doveano cinque o sei per parte pigliare le boche di la piaza, et certi altri qualli erano ascosi in caxa di li Martinelli, et doveano a uno segno de spingarda correr al palazo di li Signori, et quello pigliar et [505] amazarli; et il simel dovevano far quelli di la piaza, et poi andar per la terra amazando quanti ne trovavano de li soi nemici Tiberti. Ma prima, a loro Martinelli el zorno avanti intervene che fonno amazati, sì che credendo amazar, loro furon li morti. Ma per questo successe la Domenega, non seguite altro se non la morte di questi 25 di Martinelli. Et da poi in Cesena feceno uno zeneral consejo, et volseno che ogni sorte di zente, et di contado et di la cittade, intervenisse, et proposeno, come era di novo designato dal Pontifice loro governadore el Vescovo di Arles, per el qual segue tutti questi inconvenienti, come dirò di sotto; et cussì volseno cadauno dicesse la sua opinione. Tandem fo concluso, nemine discrepante, di non lo voler acceptar; et cussì feceno intender a do soi, che esso Episcopo havea mandato a la comunità per intender etc. Poi formono una suplication al Pontifice, de communi omnium consensu, suplicando vogli mandarli uno altro governador, perchè niuno non vogliono aceptar el vescovo di Arles; el qual, come fo divulgato, voleva intrar per forza, con lo ajuto dil sig. di Pesaro, et che havia fatto comandamento per tutto el vicariato de Fano vengi zente; et el castellano di Cesena era suo parente. Quello seguirà l'intenderete da poi. Ma per saper la causa de questi homicidii et novità de Tiberti et Martinelli, la qual inimicitia prese origine zerca anni 7, però che essendo in Cesena governador el Vescovo di Rimano, contraxe parentella con questi Martinelli, et successive comenzò a favorirli et honorarli più che non faceva di Tyberti; per la qual cosa l'odio, stato za molti anni tra queste parte, et era quasi extinto et viveveno pacifice, comenzò a rinovarsi, et Martinelli vedendo haver parentado con el governador et esser exaltati, etiam suscitò novi odij con li Tyberti, unde, partito ditto governador di Cesena et functo officio, fo spegazate le sue arme per Cesena, et prohibiteno non se portasse calze a la sua divisa, et altre inzurie feceno questi Tyberti per dispetto di la parte contraria. Da poi sucesse uno governador el qual fu neutrale et si faceva temere; demun successe questo ultimo governador Vescovo di Arles, el qual fo partesano sviscerato de Martinelli et persecutore acerrimo di Tyberti; et nel tempo suo sempre exaltono li Martinelli, et Tyberti scaciati et messi in exilij per rebelli. Et essendo pur ditto Arles governador, fo remesso a contemplation dil Re di Franza uno altro per governador pur per la Chiesia, zenoese di caxa de Fieschi, et come zeneral comissario dil Re stette alcuni zorni. In questo mezo, conclusa la liga, el Papa remesse costui dil governo, et fino questo zorno Cesena [506] stete senza governador. Or parse al Pontifice de nuovo designar questo Episcopo de Arles, fautore de Martinelli; et pretendendo lui de vegnir al suo governo designato, questi Tyberti, cognoscendo a loro inimicissimo, per questo feceno ste novità seguite, de amazar li Martinelli e soi principali seguazi, a ciò non havesseno più contrasto, et li nomi de quelli fonno amazati quivi è notadi, zoè: Malatesta Martinello et sachizata la sua caxa, Ruberto Martinello sachizata et spianata la caxa, Francesco Martinello, D. Matheo et Francesco dottori fradelli, fiuli del dicto Gasparo Martinello con 3 soi famegli, Maestro Piero orefice, parente del Vescovo di Rimano, D. Bartholomio Benintendi dottor, Orlando Benintendi suo fradello, et sachizata la caxa, Jacomo Zamarino, capo di squadra dil duca de Gandia, et sachizata et spianata la caxa, Francesco Lanzeto, Alberto de Thomio banchier con un fameglio, Baldissera so fiul, Marco cameriere, Jacomo da Montiano, parente di Martinelli, Don Matiolo, alievo di caxa di Martinelli, Anibal di Lapi, Francesco Paxolino, Gaudiano da Montiano e Basso suo fradello, Jacomazo da Cremona, Zuan Francesco di Martinelli, Bernardino da Modiana. Item reteneno 13 altri seguazi de Martinelli. Et è fuzito Paulo di Ettor, sachizato la caxa, Anselmo di Dandini, Thomaso Martinello et Baldissera da Palazo.

Seguito dil Re de Franza.

In questo mezo el Re de Franza seguiva el suo camino. Et stato a Borgo San Donnin, andò di longo a Firenzuola, poi passò Pontemuro et alozò di fuora di Piasenza, poi a Castel San Zuane, et passò vicin a le mure di Tortona, et andò in Aste senza danno alcuno, come dirò di sotto tutto el suo successo. Et tuttavia l'exercito nostro lo seguitava. Et come per lettere di XI se intese de li Provedadori, date a hore 9 in Piasenza, che ditte nostre zente in do zorni haviano fatto mia 43 perseguitando essi Franzesi, et che il campo andava come havesse a far fatto d'arme, et in ogni loco li era portate vittuarie. Et per saper quella strada, dal Taro a Borgo San Donnin è mia 6, da Borgo San Donnin a Firenzuola mia 8, da Firenzuola a Pontemuro mia 5, et de lì a Piasenza mia 13. Et che continuamente nostri trovava qualche Franzese morto per strada et altre cose de cariazi; et che li villani li haveano ditto che li devano vittuarie et tutte le pagaveno; et che in camino morite uno de soi baroni, el qual veniva portato driedo cussì morto, et altri feriti erano [507] portati su le sbarre. Et questo non voglio restar de scriver, che per le hosterie in questa fuga Franzesi andava scrivando con carbon: Havem più perdù che guadagnà, et la fin farà li conti.

Et a dì 14 Luio venne lettere in questa terra di 12, a hore 13, di campo, date in castel San Zuane, mia 24 di là de Firenzuola, come l'exercito Franzese andava con veloce camino, et intendevano esser lontano dal nostro campo mia 22, et che za si poteva dir esser in loco securo; tamen nostri frequentavano di andarli driedo, et che lo Conte di Caiazo lo havia zonto, et per bona via erano certificati andava parlando con quelli Signori per strata, et che quando andò driedo, andò più presto per confortar quei populi di Piasenza et Piasentina che per offender Franzesi, perchè etiam non harebbe potuto farli nulla; et che Franzesi haviano vittuarie di ogni banda, et che sì da la banda di sora havesseno voluto Milanesi far el so dover, zoè di taiar strade presto con guastadori, et altre provisione in ostarli, non passeno si presto, nostri li harebbono azonto, et che il sig. Fracasso con li cavalli lezieri et elemani erano in Tortona, et che intendevano el Vescovo di Tortona havia reduti molti paesani per mandarli a certi passi; tamen li mandò più presto per deffension dil Tortonese che per offender Franzesi; et che i nemici facevano il camin da corieri, non fazando dispiacer ad alcuno, e andavano a la soa via.

In questo interim, ritornando el Re in Aste, vedendo non haver più el conte de Petigliano, et che il sig. gentil Virgilio Orsini andava con lui di malavoia, unde li dette licentia et cussì ditto signor con zerca... cavalli andò in un castello dil Duca de Milan. Et inteso questo per la Signoria, fo scritto a li Provedadori di campo dovesseno mandar per lui, et farlo venir in campo, et far inquisitione diligente di la condition dil Re et de Franzesi, et cussì ancora dal Conte di Petigliano, el qual havia habuto ducati 1000 in dono et cavalcava con l'exercito, operandose in ogni cossa come havesse habuto nostro soldo, qual l'have dapoi, come scriverò più avanti. Et per lettere di campo poi se intese, date a Vogara a dì 13 Luio, che ditto campo franzese era reduto in loco securo di là di Tortona mia cinque, et prendeva el camino per Piamonte, per lettere di la Marchexana di Monferà, et che più non speravano di zonzerlo. Item che, passando el Re di fuora via di Tortona, mandò uno araldo al sig. Fracasso di San Severino, era lì in Tortona, li mandasse vittuarie et renfrescamenti, et che Fracasso li andò a parlar, et li fece portar vittuarie et quello rechieseno, et che li havia ditto a Soa [508] Majestà la caxon di questa guerra; et che lui era col Duca di Orliens, li tenisse la soa terra di Novara, et che 'l Re li rispose voleva esser bon amico di esso Duca, benchè fusse seguito quello era seguito, et havesse fatto liga, et che di le cosse di Novara lui voleva esser zudexe di le differentie tra il Duca di Orliens et esso Duca de Milan, che ditto Fracasso rispose: Sacra Majestà, bisogna li sia reso una volta Novara et Pontremolo li e sta brusato. Et el Re disse: Di Novara spero conzerò tutto, et li donò uno cavallo. Poi seguite el suo camino verso Aste. Queste parole Fracasso scrisse a Milan seguite, ma la verità Deus novit. Sì che in 7 zorni el Re de Franza fece 80 mia, et cussì si redusse in loco securo. Ma voglio pur scriver come a dì 15 Luio da matina, uno savogim mercadante, venuto in questa terra, disse a la Signoria come per camino si havea scontrà nel campo dil Re, dove si mormorava di Soa Majestà, et che molti credevano fusse morto in battaia; et nostri pur stevano con qualche sospetto; ma zonto poi la nova che 'l sig. Fracasso li havia parlato, tutti fonno chiari esso Re esser vivo, licet nel principio quelli havea inzegno et pratica di le cosse sempre cussì judicò, et io sempre fui de opinione el Re fusse vivo come era.

Cosse seguite nel Campo di Novara.

Nel campo di Novara in questo mezo a dì 11 Luio la mattina per tempo si levò di la villa di Perna dove era alozato, et venne ad alozar mia do de qua de Novara in una villa chiamata Minona verso Verzei, dove arivono a hore 23; et questo per haver convenuto far una volta longa, per causa di le strade era rotte per le gran pioze erano state. Et in ditto loco el campo se puose, et tolse la via di le vittuarie venivano di Aste et Verzei. Adoncha comenzono a sediar Novara, la qual è terra situada in campagna, distante da la montagna mia X, ha quattro bellissime strade: la prima va verso Milan, passa el fiume Tesino; l'altra va verso Vegevane; la terza va verso Aste, convien passar Po a Verzei terra dil Duca de Savoia; la quarta verso il monte, dove si va a la volta di Elemagna; et ditta terra è circondata di campagne bellissime et acque in abondantia; et questo basti, per haver di questa assà scritto di sopra. Et a dì 13 da poi una Bernardo Contarini montò a cavallo con 70 Stratioti, andando a piacer verso Franzesi, et trovono 6 cavalli di loro, et quelli prese; et come scrisse in questa terra, li cavalli et panni non valeva 4 ducati per uno; unde fonno spogliati, tolti li cavalli, e lassati andar. [509] Et a dì 15 cavalcò esso Provedador con 300 cavalli de Stratioti, et la mazor parte andono fino ne li borgi di la terra, e snudò certe case, tolto li letti, et niuno Franzese venne fuora a la difesa. Et in questo zorno a hore 16 ivi arivò 14 Stratioti, et quelli sotto Piero Duodo, i quali non sapevano dove si andasse, et stete con li altri. Et è da saper che el nostro campo che seguiva el Re, visto non poter far nulla, a compiacenza dil Duca de Milan passò Po et venne a conzonzersi con questi a l'impresa preditta, come scriverò il tutto al luoco suo. Et adoncha, aproximatosi ditto campo mia 14, però che a dì... Luio zonze, a dì 16 ditto da mattina venne el conte de Petigliano avanti nel campo duchesco, et insieme con el sig. Galeazo, capetanio Bernardo Contarini, et altri conduttieri andono a veder uno alozamento distante mia uno, dove era el campo preditto duchesco, et questo per alozar el nostro exercito, era atraverso le montagne sopra la strada andava a Novara comodo assà de acque, pradi et strami; et visto diligentemente esso Conte ogni cossa, tornono a disnar; et poi le scolte fece intender come i nemici erano ussiti fuora, 100 homeni d'arme, 600 arzieri a cavallo et 200 elemani a piedi. Unde el capetanio sig. Galeazo subito mandò tanta zente contra de ditti inimici, et ancora Bernardo Contarini armato montò a cavallo con tutti li Stratioti, et fece 3 squadre di Stratioti, in modo di una ala, et fece tutti zurasse voler morir per honor di la Signoria, lui era ne le squadre di mezo; ed andavano cridando: Marco! Marco! San Zorzi! San Zorzi! Et esso Provedador vedendo li nemici in ordine de battaia, non obstante questo fo el capetanio, comenzò a dimostrar de investir: et cussì tutte tre le squadre de Stratioti deteno dentro in uno istante, et nemici si messeno in fuga; li pedoni se tirò a le sbarre per esser vicini al borgo, fo discavalcati 26 homeni d'arme, morti de questi 10, et 12 fonno recuperati per li loro pedoni, ma ben morti li cavalli, et fo fatto presoni 4, tamen feriti a morte, et di pedoni et arzieri molti ne fonno feriti. Et questa vittoria fo senza aiuto de zente d'arme nè de cavalli lezieri nè balestrieri, però che nunquam niun homo d'arme fin qui a Novara havia visto Franzese per la ciera in campagna, se non li presoni erano menati in campo. Adoncha tutto l'honor era de Stratioti, i quali venivano adorati in ditto campo. Et in ditto campo et in questa baruffa fo ferito do Stratioti et uno cavallo; et per questo Bernardo Contarini comenzò a venir, et merito, in gran fama apud Venetos, et la Signoria li scriveva lettere laudandolo summamente. Et a ciò il tutto se intenda, qui sotto sarà scritto uno summario di [510] quello fece Stratioti lì in campo, dal tempo zonseno fino che venne il nostro exercito lì a Novara, et prima.

Summario de Franzesi presi da Stratioti nel campo di Novara in questi tempi.

A dì 24 Zugno si andò col campo a Vegevene, per uno Stratioto fo preso do homeni d'arme con i so cavalli et arme.

A dì 25 ditto a Vegevene, morti 9, presi 9, feriti 26 Franzesi, tra arzieri et homeni d'arme; cavalli, tra morti et feriti, 12.

A dì 2 Luio in Perna morti 12 Franzesi, portà 3 teste su le lanze in campo.

A dì 4 ditto, presi 12 villani di Novara, 8 Sacomani con i loro cavalli et muli.

A dì 7 ditto, cavalli 12, presi 6,..... cavalli et amazono 9 arcieri.

A dì.... ditto la sera, presi a la scaramuza 4 homeni d'arme, tra i qual mons. Loys di Sansonaia, morti 25, di quali li nemici ne fece sepelir 15; el resto fece sepelir nostri; item cavalli 31, pedoni 15, et un altro homo d'arme, el qual tolseno li Elemani, oltra cavalli assaissimi morti.

A dì 16 ditto in Megnone fo discavalcati homeni d'arme 26, de li qual X morti et 4 presoni con ferite; cavalli 12 morti, et fra arzieri et pedoni morti e feriti assaissimi.

A dì 17 Luio da matina, per lettere di 13 di Zenoa dil Secretario nostro, se intese come l'armada franzese de legni n. 12, tra galie et galioni et barze, era stata presa; sopra la qual havea trovato oltra li butini, che fonno assà, boche 300 di artilarie, 400 botte di polvere, le porte enee di Castelnuovo di Napoli, le qual costono ducati 20 milia, ut dicitur; etiam 200 donne, tra donzelle et altre giovane, licet da franzesi fusseno state assà tastate: le qual fo quelle tolseno a Gaeta, come ho scritto di sopra; et ancora 20 moniche, le qual essi Franzesi menava in Franza, et il modo le preseno, sì come per do lettere mandate al Duca de Milan, le qual saranno qui sotto scritte, se intenderà. Et essendo andato a ditta impresa Zuan Adorno capetanio di le fantarie fratello dil Governador, et Zuan Alvise Dal Fiesco fratello di Domino Obieto, tamen teniva col Duca de Milan, con molta zente verso Rapallo a dì 13 ditto a hora di terza l'armata zenoese assaltò ditta franzese et quella prese con tutti li homeni, che non potè fugir [511] niuno. Et fo preso il capetanio mons. de Miolans, el qual era amalato; et esso medemo disse a Baptista Spinola, che fo quello lo prese, come dil suo proprio era su ditte Galie per ducati 10 milia, sì che zenoesi vadagnò per questa impresa più de ducati 100 milia, oltra li legni et le artilarie; et cussì ditta armada fo menata in Zenoa con grandissima consolatione. Et uno di quelli fantacini prese mons. Peron de Basser assà nominato di sopra, et quasi la prima causa di far venir el Re de Franza in Italia, et con inzegno si seppe liberar, perchè non era conosuto, et li dete ducati 125 a quello lo havia presone, et fo lassato; el qual andò a trovar li altri, zoè mons. di Bressa et il Cardinal San Piero in Vincula et quello di Zenoa, i quali si ritrovavano a Besegna su quella Riviera. Et Zenoesi con questa vigoria volevano mandar zente contra de questi. Ma Filippo mons. di Bressa preditto have comandamento dil Re dovesse venir con tutte le zente in Aste da Soa Majestà, unde subito si miseno in camino con li ditti do Cardinali, et venivano per certe vie per scontrar el Re, da poi inteseno el successo de Fornovo. Ma el Marchexe de Mantoa et Provvedadori nostri di campo, intendendo el venir de queste zente, mandò Piero Duodo provedador con li Stratioti zercha 200 et Cozanderle Todesco con 500 Elemani per obviarli la via, et si quelli fusseno venuti sarebbeno stati presi; ma loro, inteso questo contrasto, feceno un'altra via assà arida et cativa per alcuni monti, et tandem non senza pericolo zonseno in Aste, dove era zonto el Re, et San Piero in Vincula fo sempre al so consejo, ma quelli nostri fanti andono in Alexandria di la Paia per custodia di quella città.

Questa è una oratione devotissima scritta in franzese sul officiolo del re de Franza Carlo ottavo, la qual dicono fo di re Carlo Magno, transcripta et traduta in italian ydioma, ut infra, ad literam[139].

Come l'exercito di la Signoria andò poi a campo a Novara in aiuto dil Duca de Milan.

Essendo apropinquato l'exercito di la Signoria a Vegevene, per andar ad acamparsi a Novara, a dì 17 Luio, Piero Duodo provedador con li Stratioti volse prima venir a conzonzerse con li altri [512] era sotto Bernardo Contarini, et li andò contra esso ditto Bernardo Contarini, usandoli savie et acomodate parole, volendolo ricever come suo cavo (capo), perchè quello fo electo per el consejo di Pregadi. Et zonto Piero Duodo scrisse a la Signoria, come per non metter division fra Stratioti era con lui con questi altri, non stava ben dui capi ivi; et zonse ditta lettera a dì 20 ditto. Et considerando el Principe con li padri de Collegio come optime se portava el Contarini, et senza alcun salario, prima li scrisse una lettera laudandolo summamente, exortando el perseverar di ben in meglio, et fo decreto che lui con li 50 Stratioti dovesse star separati di quelli era con el soprascritto Piero Duodo provedador, et fo mandato danari per dar paga a li Stratioti, et etiam a lui per farse le spexe, trombeta et stendardo, fo dato licentia potesse operar, licet ancora non havia titolo di Provedador, ma solum Governador o vero diretor de ditti Stratioti. Conclusive, le sue opere fo dimostrate esser accette a la Signoria. Et poi il campo preditto nostro, a dì 19 ditto, zonse a Castel Chiasuol mia uno et mezo di Novara et zerca uno dil campo duchesco, li venne contra el sig. Galeazzo capetanio zeneral dil Duca de Milan con tutto el so campo; et con gran vigoria nostri se alozono. El qual castello, è da saper, la notte avanti fo preso a patti, salvo l'haver et le persone; nel qual erano franzesi 30, dei qual molti fonno feriti. Et questi intendendo venia l'exercito di Venitiani, se volseno render; et fo trovato era assà biave et più de fuora in alcune caxe, le qual franzesi, intendendo ivi andava el campo duchesco, le brusono con le caxe, zudegando poterse loro tenir nel castello. Ma come li fo trato 4 passavolanti, subito se reseno al sig. Galeazzo capetanio con li so Elemani; pur fo trovato fermenti et vin poco et altre robe; le qual volendole partir tra Elemani et fanti ducheschi, tra loro veneno a remor, et ne fo morti alcuni. Et sopra venuto el nostro exercito, fo sedato el tutto. Et, subito zonto, scrisse li Provedadori in questa terra, come lì in campo era do openion. Una dil sig. Governador et altri condutieri fo de andarse alozar ne li borgi, et per assedio veder de rehaver Novara, facendo el tutto non vi entrasse vittoarie nè soccorso, unde convegnisse prender partito; et cussì voleva custodir tutti li passi. Quella dil Conte de Caiazo et ducheschi era di piantarli le bombarde per forza, non si volendo render, con battaia veder di haverla; et questa sarebbe stata la miglior via et manco spesa. Item che era venuto uno trombeta di Aste in campo, da parte di mons. di Arzenton che fo qui ambassador, dimandando [513] salvo condutto de poter venir con 40 cavalli in campo a veder di conzar le cosse, et che loro Provedadori non l'haveano voluto far, benchè el Governador dimostrasse fosse ben fatto a farlo, per intender el voler suo. Et zonte quelle lettere a dì 22 da matina in questa terra, et el corier de le poste disse publice el nostro campo esser sta rotto et messo di mezo; unde, parse molto di novo a quelli l'uditeno, et stavano assà sospesi et di malavoia, non sapendo la verità. Et poi, lette le lettere, et visto la cossa come era, de baruffa de Elemani solamente, fo ordinato subito ditto corrier fusse retenuto a ciò havesse nunciatura di tal nuova. Et per li cai dil Consejo di X (era questo mese Marin Contarini, Francesco Mocenigo et Polo Trivizan kav. da la Dreza) li fo dato cinque strapà de corda, per voler intender dove havia inteso questo; et poi fo lassato con admonitione più non dovesse dir quello non sapeva, ma portasse solum le lettere. Et da poi disnar fo chiamato Pregadi, et scritto in campo che per niente fusse dato audientia a esso Arzenton, maxime havendo visto quello sempre ha operato, sì in la giara dil Taro, quam quando era qui orator; et che dovesseno piantar le bombarde, et al tutto veder de acelerar l'impresa et rehaver la terra, tuttavia havendo a mente et caro la vita di soldati nostri, la qual la Signoria molto amava. Et el zorno seguente venne lettere di 21 de Milan, come il campo havia cinto di ogni parte l'assedio a Novara, et non havia lassato aperta se non la via di monti; et questo fece a ciò venisse Franzesi per darli soccorso, li qual da nostri sarebbe stati presi, perchè non potevano venir senza esser visti da nostri; et che 'l Duca voleva mandar bombarde in campo; et che la Domenega venendo el Luni de notte, fo di 19, in Novara era sta visto gran fuogi, judicavano dimandasse soccorso; et che pur volendo mons. di Arzenton, zoè il suo messo, risposta da li Provedadori dil salvo condutto, etiam da ditti Provedadori questo istesso se intese; li quali, non havendo ancora habuto el decreto di la Signoria, ma tolseno rispetto uno zorno. Et poi a dì 20 la sera, consultato con el Governador, li detteno ditto salvo condutto, et che si ben per loro non l'havesseno fatto, el capetanio dil campo duchescho za lo havia fatto. Quello di lui seguite, et si venne o non venne, sarà scritto di sotto. Item, notificava come, per presoni presi di Novara, erano certificati esser assà numero de zente, el Duca d'Orliens et el Gran Bastardo de Borbon et altri signori assà, et che haveano vittuarie per pochi zorni, et non potendo venirvi per niuna via, necessario li sarà prender partito: la qual cossa [514] feva per nui. Et a ciò el tutto se intenda, qui sarà notado quello fece summarie el nostro exercito, dal zorno che zonze fino a dì 28 Luio, come per una lettera venuta di campo vidi. Et prima, alozato che fu el campo, el sig. Marchexe de Mantoa, governador, con alcuni pochi da poi disnar essendo ussite di la terra zerca cavalli 200 per far la sguaita (la spia) a nostri sacomani andavano disproveduti, et per le guarde discoperti, ditto Marchexe andato, fonno a le man con nostri sti Franzesi, dei qual fo morti 4, feriti X, et de nostri fo feriti zerca 6, morti do, et do cavalli: et Franzesi fuziteno in la terra, et si disfidono per el zorno seguente, fo el Marti a dì 20. Unde, el campo se messe in arme et cavalcò, zerca persone 4000 tra le fanterie el homeni d'arme, verso la terra, et ne ussite Franzesi 2000, el forzo era però Sguizari, et fono a le man le fanterie, et de ditti fo morti 4, feriti da 30 in 40; de li nostri, do morti et zerca X feriti; et scaramuzono un hora. Et el sig. Marchexe non intrò in la scaramuxa, ma stette sempre a veder. Et Franzesi fono reculati ne li borgi. Et a dì 22, a uno castello mia 8 lontan dil campo, dove era zerca 40 cavalli di sacomani franzesi che andava lì intorno, da quelli dil castello fono presi e fatto presoni. Et a dì 24 de matina fo messo a sacco uno castello, chiamato Castellazo, che si teniva per franzesi, et dentro ne era da 30 persone, fonno tutte prese. Et la sera poi, volendo andar carra 10 in 12 di vittuarie in Novara, le qual venia condute per una strada di sopra verso la montagna, et havia una grossa scorta de Franzesi, i quali si haviano imboscato, et le zente de Paris da Lodron era sta messe do trati di balestra lontan di la terra con la sua compagnia, esso Paris di zerca provisionati 800, et vedendo ditte vittuarie le preseno et menavale per via per modo che ussite fuora la varda de Franzesi, e fono a le man con nostri, et recuperò li suoi carri, et menolli pur in la terra; et mandando in campo a dimandar soccorso et cri: Armedar! Arme! subito quello si messe in arme, ma non fono a hora. Et questo è quanto successe in sti zorni. Et a dì 25 ditto zonse in campo el sig. Pandolfo Malatesta de Arimano con squadre 12, era a soldo nostro; etiam zonse Zuan Paulo di Manfron, el fratello del sig. di Pesaro, et le zente dil Duca di Gandia, come dirò di sotto. In Novara era pur carestia; el pan picolo se vendeva uno soldo l'uno; vin poco et cussì strami da cavallo, come per uno fo preso questi zorni intesene nostri. Et si questi 12 carri non intravano, stavano molto mal. Atendevano a fortificar la terra, far fossi, repari dentro le mure; et in rocca era [515] assà vittuarie et artilarie, et ogni zorno aspettava soccorso di Aste. Et è da saper che mons. di Arzenton, licet havesse el salvo condutto, non venne in campo, ma fo divulgato andò verso la Franza, o vero per far venir la zente o tuor danari, come di sotto più diffusamente scriverò. Verum est, che in campo era spetato, et lui non venne, et la cagion non se intendeva.

Questo è l'ordene per lo levarsi da Vespola e andar a conjungersi con l'altro campo verso Novara, fato a dì 18 Luio 1495.

Primo li guastadori.

Dom. Piero Duodo, provedador, con li stratioti di Levante.

Tutti li altri cavalli lezieri italiani.

La persona de lo Illustrissimo sig. conte de Caiazo.

El squadron de li alozamenti.

Le fanterie con tutti colonelli, nel modo parerà a misier Jacomazo, de' quali è antiguardo missier Nicolò da Savorgnano, oltra li Todeschi, quali andaranno inanzi.

Zente d'arme.

El colonello del sig. Antonio da Montefeltro, et conte Zuan Francesco de Gambara.

El colonello dil conte Bernardin Fortebrazo, et di Domino Marco da Martinengo.

El colonello de Domino Thadeo di la Motella, et domino Alexandro Coglione.

El colonello dil conte Carlo di Pian de Meleto, et domino Talian da Carpi.

El colonello dil sig. conte di Caiazo, et di domino Hanibal Bentivojo.

El colonello de lo illustre sig. Marchexe, al qual tocca el retroguardo de ditte squadre per le artilarie con 200 fanti dil prefato Marchexe.

Li cavalli a man manca caminando con la zente d'arme ch'è li capi de li colonelli, elezeno uno condutiero per cadauno, et lo mandino per tempo con el sig. conte di Petigliano et sig. conte de Caiazo, per partire lo alozamento. Item, che ogni uno facia che li sacomani vadino nel suo colonello, et si sarà trovati fuora alcuno, sarà apicato etc.

[516]

Ordine de le factione hanno a fare partitamente li marascalchi dil campo.

Primo che missier Marco da Martinengo et el conte Johanne Francesco de Gambara habino cura di mettere et ordinare le guarde, vedete, scolte et scorte, con tutte le altre factione dil campo secondo acaderà a la giornata, havendo intelligentia con la....

Che missier Febus et el conte Alvise Avogaro e missier Carlo de li Tagiati pigliano cura di le vittuarie, e provedano che non siano impedite, anzi prestino favore et aiuto a chi ne condurà, a ciò che 'l campo resti abondante.

Che missier Tuzo et Aloisio de San Nazaro stiano a la cura de cariazi, et per camino provedino che si vadi con l'hordine statuito, drizando simelmente le artilarie al loco suo.

Che Zuliano de Cotignola habi cura continuata de li guastadori, et de far far le spianate, tante nel cavalcar come ne li alozamenti et dove bisognasse.

Item, che ancora che li ditti marascalchi siano deputati a la factione partitamente, come di sopra, si debbano però in tutte le altre cosse varie et operare et atendere insieme, et ad ogni volta che chiunque di loro si trovano uniti possano dar sententia et determinare ogni cossa di qual sorta si voglia, pertinente a l'oficio suo.

Exemplum cuiusdam literae Alexandri Benedicti Veronensis, physici in castris.

In castrorum tumultu sumus, tumultuarias accipies literas meas, passus.... prope Novariam sumus, geminaque castra locata sunt, in quibus XL.ta milia hominum firmata sunt. Novarienses auxilia a rege expectant; ille Aste fixit castra; tormenta maxima huc mittuntur pro.... oppugnatione, circa Urbem.... non constituunt: in dies res protrahitur, magna Venetorum impensa. At Ludovicus Mediolani Dux consulto id facit; qui capta urbe, Venetos domum reverti dubitat, Gallorumque regem redditurum. De Venetis militibus hic pauca subjungam.

Petrus Duodus, militum levis armaturae Dux, magna potitus est.... V.m aureorum, nequiter inter stratiotas divisa. Aloysius Valaressus acriter pugnavit, ab omnibus laudatur, sine praeda est totus [517] miles... Grittius in agmine erat juxta castra, cui pugnare non contigit. In commentariis historiam redegimus, quam expectabis. Vale. Ex castris venetis et sociorum, die 22 Julii 1495.


Non voglio restar da scriver come fo divulgato, che 'l Re de Franza, essendo za securatosi et fugito, ut ita dicam, de Italia, a quelli soi che nel fatto d'arme ben se portò a Gierola da poi a chi donò 1000 scudi, a chi 500, a chi possessione, a chi gratie. Et come fo ditto, el fiol dil Duca de Ferrara, don Ferante era con lui, li concesse privilegio de Duca de Melfi. Et è da saper che ditto Duca de Ferrara advisò esso Re, essendo per discender li monti al Taro, de 3 cosse, le qual fo causa che ditto Re si apizasse con le zente nostre et venisse di longo a passar: primo che la Signoria nostra non havia tante zente come era la fama, et, si ben fusse, non sariano preste; secondo, che Italiani haveano poco animo, et non poriano resister a le forze de Franzesi; tertio, che nostri in campo non haviano libertà de investir nè apizarse, et che questa era l'opinione di la Signoria; di le qual cosse tutte andò fallite.

Ancora voglio scriver, come partito el nostro exercito da Gierola, in campo fo amazà Lorenzo Avogaro, zentihomo nostro et cittadino di Brexa, era lì in campo franzese, et venuto nel nostro per adatar el conte de Petigliano, et fo incolpò di.... et vero. Lo amazò do fratelli, videlicet Hannibal et Zuan Antonio Del Denedo.

A dì 19 Luio zonse lettere di Roma, a dì 16, come el Pontifice era molto alegro di la gran vittoria havia inteso esser stata, benchè molti scrivesse in Corte al contrario, maxime Fiorentini, come ho ditto; et che di le cosse successe a Napoli, esso orator nostro non havia alcuna cossa, ma ben havia mandà tre messi, parte per mar et parte per terra a Napoli, con lettere a Lunardo di Anselmi et ad altri, per inquerir alcuna nuova; tamen ancor non erano tornati. Et che 'l cardinal Orsini li havia mostrato lettere, et etiam a la Santità del Pontifice, come mons. di Belcher era intrato con li altri in Castelnuovo, sì che non fu vero che Ferandino l'havesse ne le mano, come fo ditto; et che sperava di brieve Ferandino haria li castelli. Item, che 'l signor Prospero Colonna era andato a Napoli per veder de assestar le cosse, et voleva esser in amicitia con Ferandino preditto, el qual se ritrovava in Napoli in Castel de Capuana, et che se divulgava voleva mandar tre ambassadori, uno al Pontifice, l'altro a questa Signoria, et el terzo a Milan; et che molti lochi dil Reame voluntarie erano venuti sotto soa Majestà et [518] caxa di Ragona, non però le terre grosse. Et quei de San Zermano, volendo per suo Re esso Ferando et non più el Re de Franza, li habitanti si erano levati in arme et pigliato el capetanio era lì a quel passo, franzese, et quello fece squartar in obrobrio de Franzesi et exaltation di Aragonesi; et che fino do zorni a la più longa ritorneria li messi mandati a Napoli, per li qual copiose l'ambassador nostro preditto sarà advisato dil tutto. Item, che 'l reverendissimo Cardinal de Medici era tornato in Roma, et dimostrava non voler cussì questa rotta, tamen Romani la credevano. Et poi a dì 24 ditto zonse altre lettere pur di Roma, date a dì 20, per le qual la Signoria fo advisata di molte cosse di Napoli; tamen che ancora non havia hauto risposta di sue lettere. Ritornati li tre messi mandati qui, vehementer se meravigliava, ma che havia hauto una lettera di 14 dil Ferandino, data in Castel de Capuana, drizata a esso Hyeronimo Zorzi, orator nostro, per la qual li advisava Soa Majestà come havia reabuto pacifice quasi tutta la Puia, tranne Barletta et Manferdonia, nominando fra le altre città. Item, Terra di Lavoro, Salerno et S. Severino in la Calavria, et altri luogi; et che ogni zorno veniva syndici de diverse terre a darse et ritornar sotto di lui, zurandoli di novo homazo, et che sperava di brieve haver el Castelnuovo, nel qual era mons. di Mompensier et el Principe di Salerno con altri, et che ditto castello bombardava la terra, facendo molti danni. Si ralegrava di la vittoria habuta la nostra Signoria contra el Re de Franza. Et come da poi per altre lettere se intese, in Napoli fece gran feste de fuoghi per la terra per tutte le strade, li qual durava tutta la notte, tamen quelli de li Castelli non sapevano la causa di questi fuogi, et credeva facesseno per esser ritornato il loro primo Re. Et tal rota a Napoli se intese a dì 2; ergo in cinque zorni l'ebbeno, che fo molto veloce et prestissimo; et la copia di ditta lettera mandò a la Signoria. Et ancora el so ambassador andò a la Signoria con grande alegrezza, et a molti patricii mostrava una poliza, diceva haver habuta dal suo Re don Ferando, de li lochi et terre reaquistate; la qual sarà qui sotto notada. Et esso Re medemo scrisse una lettera in questa terra, data in Castel di Capuana, a dì.... de l'istante, dagando al Principe dil Padre colentissimo, ringratiando molto la Ill.ma Signoria, però che, mediante quella, era ritornato nel Stato, et sperava haver li castelli, et recuperar tutto el Regno perso; et notificò el modo era intrato. La qual lettera era in carta pergamina, bollata tamen di [519] cera; et il suo orator la presentò: la qual qui sarà notada, et fo letta in consejo de Pregadi a dì 25 Luio con grande piacer de tutti.

Lista de le terre rendute a la Majestà dil re don Ferando di Aragona, da poi esser intrato in Napoli.

Lo Ducato de Melfi, Capua, Aversa, Calbi, Carinolla, Sexa, La torre di Monte dragon, Castel a mar de Vulturno, La torre de Franco luxe, Teramo, S. Zermano con tutte le terre di la Badia, Murgliano, Nolla, La Sora, La Tripolda, Avellino et altri castelli vicini, Sarno, La torre del Greco, Carigiano, Castelamar de Stabia, Rico, Sorento, Masa, Salerno, Nocera dil Pagano, La cava, Montoro, tutto lo contà de Conza, Troya, Fogia, Nocera di Puia. In Puia, Manferdonia, Barleta, Trani, Bisignan, Molfetta, Juvenazo, Barri, Molla, Pulignan (non era vero), Leze, el contà de Venoxa, el contà de C...., el contà de P...., el contà de Spoleti, el contà de Matalon, Puozuoli, Carpi.

Et inteso questo prosperar de nostri, per varie opinione erano nel Senato, tandem a dì soprascritto preseno di far uno orator a Napoli a ditto re Ferandino, per dimostrar cussì come erano contenti di ogni sua allegreza et recuperation dil Reame; cussì ancora farli noto quello Venetiani havia operato in ogni tempo con el Re de Franza, et zerchato sempre de conzar le cosse in Italia. Et el zorno driedo, fo 25 Luio, venne pur lettere di Roma di 21, però che l'orator nostro era vigilantissimo in scriver et advisar il tutto, adeo tutti lo laudava summamente. Et si have lettere di Lunardo Anselmi, consolo a Napoli nostro, di 12 et 13, la continentia di le qual, per scriver la verità di ogni cossa, havendo quella, autentice qui sarà scritto, et maxime di quelle di 17, per le qual esso consolo narra el tutto assà copioso. Et prima, come per lettere di 12 di Roma, di l'ambassador nostro, havia inteso la rotta seguita a Fornovo, et felice successo de nostri a Novara, et che a dì 15 ricevette ditte lettere. Le qual habute, subito andò in Castel di Capuana a trovar el Re, el qual havia per lettere dil cardinal Ascanio inteso quasi questo, et era li soi dil Consejo reduti, zoè el Conte de Brienze, el Conte de Matalone, el Conte de maridiano, el Marchese de Pescara, el Conte de Muro, domino Marino Branchatio, domino Andrea de Genaro et Theodoro Tranlci et altri, et li lexe ditte lettere, le qual molto a Soa Majestà piaque, atribuendo gran laude a questa Signoria liberatrice de Italia. Et disputato qual camino potesse far [520] el Re de Franza per liberarse, et concluseno deliberavano intender el successo. Et richiese ditte copie di le lettere di campo per farle exemplar, et mandar a la Serenissima Regina in Cicilia, et allo Illustrissimo Prencipe de Altemura, et cussì gele dette. Et el zorno avanti, havendo habuto queste bone nuove, esso Re a mezo zorno cavalcò a la Nonciata a referir gratie a l'altissimo Dio, et fece far fuogi per tutta la terra, che a pena se poteva passar per le strade mentre duravano. Et poi la mattina a dì 17 fo a San Domenego a messa al Crucefixo molto divotamente. Item, che a dì 16 de matina fo certa scaramuza a li repari, che alcuni Franzesi erano venuti fuora et altri erano descesi sul molo di alcune galie, per pigliar una torre; quali con le artilarie di la terra furono scaziati, con morte di 16 di loro a li repari; pur fo qualche danno, et più fu una ferita ebbe el Conte de Monte Odorisso nel zenochio, loco assà pericoloso: era persona notabile, et maxime nel exercitio militare. Item, come in quel zorno aspettavano dovesse zonzer el sig. Prospero Colonna, et el Re li fece preparar stancie in Castel de Capuana a presso a lui, et che si divulgava saria dacordo etiam el Prencipe de Bisignano, mediante ditto Colonna ch'è suo parente. Item, tutte le terre di la Puja se erano rendute al re Ferando, et che Soa Majestà usa ogni liberalità et munificentia, et quelli li erano rebelli et contrarij sono deventati devoti et fedeli, et che 'l conte da Liano et Joanne Paulo da la Maura, fugiano a Benivento, et fonno presi et menati da Soa Majestà, et liberò et perdonoli. Item, che 'l sig. Zuan Francesco di Gonzaga con la moglie et figlioli, che come ho scritto, andò a Napoli a trovar el Re de Franza, el zorno quando zonse l'armada de Ferandino di Napoli, fugite a la sera; et esso Re li mandò a dir liberamente venisse, et venne, et quello molto acarezò; el qual die ritornar a Mantoa, andando in Puja, poi per mar in questa terra. Et che nel castello se ritrovava el Conte de Conza, per causa dil Prencipe di Salerno, et el Re li havia perdonato; niente di meno volse suo fiul governasse el Stado; et per questo voleva ditto Conte ussir di castello, ma non fo lassato. Et come dice un'altra lettera di Hyeronimo Rengandori fiorentin, data a dì 18 Luio pur in Napoli, dirizata al nostro orator a Roma, che per lettere di 15 de lì, de Piero de Medici, haviano inteso la verità di la rota, la qual sarà causa di redure a devotion di quel Re el resto dil Reame, come el prencipio processe da la pigliata de Monopoli per la nostra armata; la qual cossa inanimò ciascun a convocar Ferandino senza paura; et cussì ritornò in Napoli. Et che quello [521] Regno e tutta Italia, con la sapientia, prodentia et gajardi provedimenti di questa Signoria è stata redempta, et trata di mano di barbari, zente superba et insolente. Item, che in Terra di Lavoro manca solo a reacquistar lo castello de Salerno; el qual era forte et fornito per alcun mexe. Tutta la Puja si havia dato, se non il Monte di Santo Anzolo et Taranto. In Abruzo si teniva Ortona, Civita di Chieti, Sermona et l'Aquila. In Calavria era mons. di Obegnì, Vicerè, con 1000 sguizari et 200 homeni d'arme amalato. El Prencipe di Bisignano, el conte de Meleto, et de Capazo si sperava di redur con Ferandino, et che 'l Conte de Capazo havia mandà a dir al Re, quello si farà per li altri di caxa Severina lui etiam seguirà. Et el Re preditto ha mandato el conte de Matalon con 100 homeni d'arme, et dize sarà n. 2000 fanti in Calavria.

Item, che li castelli assiduamente salutavano con le artilarie Napolitani, senza tamen far danno fin qui; et hanno assà vittuarie de megli, et risi maxime; et l'armata franzese di barze do, galiaze do, et altri legni fino a la summa di 16, stava tra li do castelli distesa, mia..., con vento a proposito, facilmente se bruserebbe; et che fra tre zorni si dovea combatter et che l'armada dil re Ferandino nominata di sopra era lì dintorno et che quella notte era intrati do bragantini franzesi venivano di Hostia in ditta armata. Et che nostri, zoè el Re, pativa assà per non haver bombarde grosse, et quelle havea era poche; et el Re fece intender ne li castelli la rota e la fuga dil Re, offerendose de far passar do o tre di loro fino a Pisa ad accertarsi di questo. Ma loro mostrano poco stimarlo, et che Capua, Aversa et Nola li haviano portato a Ferandino danari, et menate zente d'arme et fanterie; el simel li baroni, et lo Duca de Traieto, le università convecine, et molti mercadanti et cittadini con danari; et el populo donò al Re ducati X milia. Item, quelli che non haviano consignato al Re de Franza el rescosso, consignò al presente a questo Re; in somma havia habuto zerca ducati 50 milia; molti monasterij li havea portati arzenti, perchè se ne servisse, et non li volse pigliare; et che 'l Re usa ogni umanità, piacevolezza, liberalità et gratiosità con ogni uno; parlando a tutti, nè niuno si partiva di Soa Majestà scontento; nè volse intender alcuna offesa, nè che li fusse parlato di vendetta, per bonazarse li populi. Et che, come ho scritto, el Conte da Liano, Jo. Paulo da la Maura et Troiano Gentil a Soa Majestà ribelli, confiscato el suo et condenati a morte, fogendo, fono presi a Forsolana, et Soa Majestà li fece liberar, et perdonò, et li confirmò ne li Stadi loro: cossa [522] assà notabile, et che non se havia provisto ancora a la ordination di la justitia, nè ordination dil Regno, aspettando il Principe di Altemura, o vero non li paresse ancor tempo; et che in quel zorno era zonto el Sig. Prospero Colonna, ricevuto con molta festa dal Re. Et questo basti, quanto a ditte lettere. Et a dì 17 ditto, esso re Ferandino succedeva prosperamente, sì come ho qui scritto.

Et inteso tutte queste nuove per nostri, consultando quid faciendum, scrisseno al Pontifice erano di opinione che Soa Santità come capo di la Christianità, et havia quel Regno per suo et li dava censo, dovesse mandarli zente, zoè li 400 homeni d'arme Soa Santità dicea haver, a ciò esso Ferandino fusse soccorso mediante la lega; et che poi che 'l sig. di Pesaro non poteva venir in campo a Novara, et voleva mandar suo fratello, saria el meglio la sua persona a Napoli vi andasse con queste zente. Et haveano za a dì 25 eletto nostri ambassador a Napoli Nicolò Michiel, dottor et kav., era venuto capetaneo de Brexa el qual del 1493 fu orator a Napoli a re Ferdinando vechio, et da lui nel so partir ricevette la militia; ma per la età, et esservi stato in tal legation si excusò, et fu acceptata la soa scusa. Et a dì 27 ditto fo eletto uno altro, Polo Capello kav., era stato ambassador l'anno passato in Ungaria ad allegrarsi dil regno a re Ladislao di Boemia, insieme con Marco Lando, dottor et kav., da el qual Re fonno decorati di la cavalaria et libentissime accettò. Tamen non andò, mentre fo compito quasi questa impresa, zoè l'opera mia, come dirò da poi.

A dì 26 Luio venne lettere di Trane di 15, non però drizate a la Signoria, narava come el nostro capetanio zeneral con l'armata era ancora a Monopoli, et havia mandato Francesco Valier, soracomito, con una altra galia per quelle terre di la Puia a marina, a dir dovesseno render, non aspettando l'armata, zoè a quelle si teniva per Franza; et che a dì 7 venuto lì a Trane, quelli cittadini essendo di varie oppinione, però che 'l populo si harebbe dato, visto le gran promesse li era fatte et la bona compagnia si faceva a Monopolitani, ma li zentilhemeni non volevano, fino non intendeva il successo di caxa Aragona. Et è da saper che in questa terra, sì come ho scritto nel secondo libro, Venetiani hanno certe jurisditioni, ottenute da re Lanzilao, et cussì si observa di levar el stendardo di San Marco ogni festa, per mezo la chiesia di San Marco et dil palazzo dil capitano et altre. Hor conclusive, questi di Trane risposeno al preditto sopracomito andasse a Manferdonia, poi ritornasse, che li saria dato risposta. Et in questo interim venne la nova in Puia [523] come Ferando era intrato in Napoli, et amazato assà Franzesi, sì che Barletta fo la prima levasse le insegne aragonese. Et a dì 9 etiam Trane levò, fazando feste etc., et mandono a Napoli a zurar fedeltà et omazo; et ancora Molfetta, Manferdonia, Bestize, con tutte altre terre di marina fece questo medemo, da Monopoli et Poligniano in fuora, che si tene per San Marco. Tamen che alcune rocche come quella di Bari et di altri luogi, non si havea voluto dar, et si teniva per il Re di Franza, ne le qual era Franzesi, ma che volevano aspettar uno di caxa di Aragona, che venisse et li presenterebbe le chiave. Et è da saper, si la Signoria nostra havesse voluto usar più celerità, et fusse stada cupida di acquistar Stado, senza dubbio acquistono tutta la Puia, perchè tutti bramavano Venitiani, et non volevano star più sotto Franzesi, et aspettaveno de zorno in zorno l'armada nostra, la qual steva a Brandizo senza far nulla; sì che si puol veder la bona volontà de Venetiani in voler spender per liberation de Italia, et non se curar de tuor altro Stado di altri, ma ben conservar il suo, che è assà et bellissimo sì da mar come da terra. Dil capetanio nostro Antonio Grimani, da 8 dil mexe in qua, non si have alcuna lettera fin questo zorno; et se intendeva havea mandà per Bortholomio Zorzi, provedador di l'armada, era con galie 6 a custodia di l'Arzipielago, dir venisse da lui, non essendo più paura per questo anno di l'armada turchescha. Item, mandò a Corfù a tuor zente per augumento di l'armada.

Adoncha, concludendo, re Ferando prosperava et reaquistava el suo regno; et a tutti perdonava, dicendo: Io son Ferando; et si havete sig. Baroni fatto alcuna inzuria o rebellion al Re mio padre o mio avo, non l'havete fatta a me, et vi perdono. Et volendo perdonar al Principe di Salerno, era in Castello con Franzesi a Napoli, in questi zorni li mandò a dir venisse a lui, che li perdonava ogni offesa. El qual rispose era Anzuino et volea morir al servizio dil Re di Franza. Et vedendo nostri el so felice successo, risposeno a la lettere di Soa Maestà sapientissime, con parole di gran conforto, congratulandose del so felice ingresso, sperando di rallegrarsi di l'aquisto di tutto el regno, et come per soa exaltazione li aveano eletto Paulo Capello kav. ambassador a Soa Majestà, el qual presto lo manderebbe, et conferirà con Soa Majestà el tutto.

[524]

Remuneratione fatte a molti benemeriti di la Signoria per le operationi fatte al Taro.

Parendo a li Savij di Collegio et a quelli che governano la Republica Veneta, non esser cosa più degna et laudabele in uno Stato quanto premiar quelli che nelle cose opportune si adopera, non solum dimostrando bon voler et vera fede, ma ancora meteno la propria vita per la salute dil Stato di quelli da li qual hanno stipendio; et conciosiachè in questa battaglia fatta a Fornovo su la giara dil Taro contra il Re di Franza, molti si portò valentissimamente, mediante de li quali seguite la fuga de Franzesi, non havendo stimato la vita per questa Signoria; et havendo inteso li principal nostri morti, et etiam quelhoro vivi fedelissimi, deliberono remeritarli con queste provisioni saranno notade qui sotto. Et cussì, a dì 24 Luio, nel Consejo di Pregadi fecero tutti questi decreti, et prima:

Conoscendo la fede de lo ill.mo sier Francesco de Gonzaga, marchese de Mantoa, Governador dil nostro exercito, et non havia ancora habuto el baston et stendardo, et strenue si havea portato in questa impresa, et per remunerarlo, licet fusse d'anni 28 et non più in altra battaglia experimentado, fo eletto Capetanio zeneral nostro da terra di tutte le zente sì da piè come da cavallo, et mandarli con grandissimo triumpho infino in campo el baston et stendardo: et per Piero Marcello et Zorzi Emo, eletti a questo oratori, fonno mandati, come dirò di sotto. Item, che l'habia tutta la conduta l'ha, et più quella di suo barba sig. Redolfo morto..... Item, ogni anno, per el suo fratello, li sia dato ducati 2000, et per il fratello di madona Ixabella soa mujer ducati 1000 ogni anno; et che di presente li sia dato ducati X milia d'oro de contanti, mandati fino in campo. Questo fo assà presente, et da esser stimato. Era in questa terra do soi oratori, venuti a inchinarsi a la Signoria, zoè dom. Phebus di Gonzaga suo cusino, et l'altro Zorzi Brognolo, era venuto per star fermo de qui; ancora uno Zuam Carlo, suo secretario: et in questa sera feceno assà fuogi et feste a la soa caxa; et la mattina andono in Collegio a referir gratie, et in questa sera medema li fo scritto.

Ancora, havendo ne li zorni superiori la Signoria ricevuto una lettera sapientissima di madona Catharina relitta dil sig. Redolfo di Gonzaga morto da Franzesi, et letta in Pregadi, la qual fece quasi tutti lacrimar, et era di questo tenor: Serenissimo Principe et Excelsa Signoria. Heri mi fo portato el corpo del sig. Redolpho mio [525] dolcissimo consorte, la morte dil qual mi fo di amarissimo dolor, el qual m'ha lassà cinque figlioli, 3 femene e do maschij, li qual haveria mandati a far uno presente a la Vostra Serenità come servi, ma per esser quelli in tenera età gli nutrirò a nome di quella come suo schiavij, et come i serà in età perfetta, i manderò a donar a la Signoria Vostra, a la qual i racomando insieme con la povera madre, e prego V. S. si degni dar risposta a l'aflitta madre. In modo che, come ho ditto tutto el Pregadi si commosse, et preseno, sì come la richiese, prima di tuor li soi castelli in protetione et dar a lei con li figlioli di provisione a l'anno in vita ducati 1000 d'oro, et mandar tre sue fiole a spexe di la Signoria nostra, quando saranno a età legiptima, condecentemente. Item, a li do filioli promettono di dar a tempo saranno etiam in etade, la conduta havea il padre; la qual al presente ha el sig. Marchexe di Mantova loro cusino.

Et essendo morto quel strenuissimo sig. Ranuzo dil Farnese, preseno di dar la sua condutta di cavalli 600, zoè a uno suo fiul ha anni 14, cavalli 200, et ad uno altro di manco età altri cavalli 200, come havia il padre; licet in questa guerra havesse 200 in più: la qual condutta, fino saranno atti a governarla et ad età perfetta, sia governata per uno che parerà a la Signoria nostra. Item, che habbino de provisione a l'anno con le sorelle ducati 400; et le ditte etiam siano maridate juxta el so grado de li danar di la Signoria, quando saranno a la etade. Et el conte Bernardino Fortebrazo, condutier nostro, el qual era ancora a Parma in caxa di Don Andrea Baiardo, uno dei primi di quella città et si miedegava, et oltra li altri medici andò a la sua cura, per la Signoria nostra li fo mandato maistro Andrea Morandino cyroycho excellentissimo sta a Padoa, et etiam di qui uno maistro Zuam de Tristan da Verona, pur cyroycho; el qual lui lo richiese. Et per saper el tutto, come per una lettera soa scritta da poi megliorato assà. A dì 20 Luio in questa terra a Piero Marcello, fo di Jacomo Antonio kav. fiul, la qual ho etiam letta, come successe esso Conte in la battaglia, et la substantia sarà qui posta. Primo come lui non era di openione de apizar el fatto d'arme, ma voleva lassarli muover et loro stessi se rompevano; ma deliberato el sig. Marchexe di dar dentro primo, a lui tocò el secondo colonello, et el tertio al conte di Chaiazo; et assaltato ogni uno li nemici al luoco suo, procedevano a l'impresa. Et esso Conte armato, sopra el so cavallo combattendo, molti messe al basso. Et poi lo assaltò uno kavalier con sopravesta su le arme de veludo negro e d'oro a falde, et steteno un pezo a le man; tamen, [526] ferito, si rese a lui et detoli el stocho suo, el qual messe a la cadenella de l'arzone; et demum ne prese uno altro, et successive in un momento 4, computà do kavalieri boni baroni, con catene al collo, et havia 4 stochi di nemici a un tratto a l'arzone. Et tuttavia andava combattendo verso el stendardo, con openion, si era seguitato, di haverlo o tutto o parte. Et zonto lì, lo afrontò uno gran maestro, et fonno a le man; et al suo cridar era saltato ditto conte da altri 4 kavalieri, et li presoni havia si mosse contra di lui, salvo uno; tandem combattè contra 8, et in fine have una bota di aceta in la tempia, un'altra in su la copa pur d'aceta et lo stornite; poi una lanza restata in la schiena, et cussì tramortito fo gittato da cavallo a terra, et li deteno 12 ferite, 7 su la testa, 3 in la gola, et do in le spalle; et si non havea el gorzerino doppio sotto l'elmo, le ferite in la gola l'harebbe morto; ma non lo penetrono: tamen li dette passion, adeo non poteva ingiotir l'aqua. Et cussì, habuto 12 ferite, Franzesi lo lassono per morto, abbandonato da tutti, dil so colonello, et fo conculcato da cavalli. Ma uno suo regazo lo strassinò in uno fosso, et il suo ragazo za era sta morto, che lo serviva a combatter, et tuttavia pioveva. Cessato il fatto d'arme fo per uno de li soi portato in campo a lo alozamento, et visitato da li Provedadori, et per essere in extremità li fo ricomandato l'anima; poi fo portato a Parma, et li medici de lì non se curavano medicar tal ferite, dicendo non era speranza. Et Alexandro, so cancellier, mandò a Bologna per medici, et li fo levato tre pezzi d'osso di la testa, in modo restò scoperto tanto cervello come uno fondi di bona tazza, per haver fatto di tre feride una sola; poi zonse la soa donna et lettere di la Signoria che molto lo rallegrò, et etiam maistro Andrea Morandin; adeo comenzò a star meglio, et in pochi zorni varite. Et el sig. Galeoto di la Mirandula, comissario de lì dil Duca, do volte lo andò a visitar, offerendoli per nome dil Duca etc. Et cussì la Signoria mandò per lui, et zonse in questa terra a dì primo Avosto, non però al tutto compito da varir; et fo medicato, mandatoli danari per la Signoria; et alcuni Savij di Collegio, nomine Dominij, lo andò a visitar, confortandolo etc., adeo in brevissimo tempo varite, et andò molto alegramente in Collegio, et tutta la terra have piacer di la sua salute per la sua fideltà. Adoncha, a questo conte Bernardin el qual havia 460 cavalli, li fo cressuto di condutta fino a summa di mille, et dato di provvisione a l'anno ducati 500 per la sua persona. Et a uno fiul fo di Vincenzo Corso morto ut supra, li fo dato el resto di la condotta che erano rimasti vivi degli homeni d'arme dil [527] padre; el qual havia 200 cavalli, et mandar le so fie, et dar ducati 400 per dota; le qual non havendo madre, siano messe ad habitar in uno monasterio qual parerà, et habi ducati 40 per farsi le spexe.

Ancora Alexandro Beraldo patavino virilissimamente morto, fo conferito la sua condotta di cavalli 100 a uno suo fradello chiamato Francesco, et etiam confirmatoli la provision havia annuatim a la camera de Padoa, de ducati 8 al mexe, per haverse alias questo Alexandro in Roverè a la guerra di Thodeschi ben portato. Unde li fo dato ditta provisione.

A Ruberto di Strozi fiorentino foraussito, fo dato la sua condutta a uno suo fradello si ritrovava etiam ferito da franzesi a Ferrara; el qual scrisse a la signoria una lettera dicendo voleva morir come el fradello per quella. Et per questo, a ciò si restaurasse per Zuam Francesco Pasqualigo dottor, kav., vicedomino a Ferrara, li fo fatto dar ducati 100 d'oro.

A la muger de uno Zuan Bianco era contestabele, morto ut supra, tamen era saracino valentissimo, li fo dato una caxa in la cittadella di Verona, dove potesse habitar, et ducati 6 mese in vita suo.

A Nicolò da Nona fidelissimo nostro, havendosi operato strenue et non ateso tuor cariazi come li Stratioti, questo havia ducati 20 di provisione al mexe a la camara di Zara, che de coetero habi ducati 25 al mexe et 30 in tempo di guerra, et cavalli 100, et in tempo de pace tegnir cavalli 25.

Et oltra di questo fo scritto a li Provedadori in campo, et mandato queste provisione date, et che proclamano, che per questo la Signoria non si dimentica de li vivi restati che si hanno ben portato contra Franzesi; et che la volontà di la Signoria è di remeritar tutti ai benemeriti, et che hanno fatto questo quanto per la informatione habuta, et a li morti tanto; et che tutti debbino vigilar in portarsi bene etc. Et scrisseno al sig. Marchexe capetanio zeneral, et il titolo di la mansione e qui posto: Illustri et Potenti Domino Francisco Gonzaga Marchioni Mantuae et omnium nostrorum gentium armigerarum Capitaneo Generali filio nostro carissimo.

Ancora in ditto zorno fo premiato li heredi et muger di Piero Bembo patricio nostro, morto Soracomito da le artilarie de i nemici a la battaglia de Monopoli in Puia: fo preso che uno suo fiul habi a l'anno in vita soa ducati 120 da l'ofitio dil Sal per spexe de viver. Item, maridar do so fie quando saranno in età perfetta, et darli de li danari di la Signoria ducati 2000 per una; et do altre fie voleno andar munege, ducati 200 per una al suo munegar; et un'altra [528] vestita nel monasterio di Santa Maria de le Vergene li sia dato a tempo di la soa sagra, per la festa ducati 50, et cussì fonno date queste provisione.

Seguito ne li campi di Novara fino a dì primo Avosto 1495.

El nostro campo in questo mezo alozato a Castel Tigliano, dove stava li Provedadori, el resto a la campagna; et erano vicini mia... a Novara, et stavano su pratiche de moversi, per non esser in loco sicuro alozato. Et li ducheschi zerchava molto di tuor le fanterie dil ditto, et non bastava. Zonto che fo lì ditto nostro campo, volseno 500 fanti per mandar in Alexandria di la Paia, poi fanti per mandar a Tortona, poi altri 500 per custodia di uno castello di la Duchessa di Savoia haveano preso, chiamato Castellazzo, come ho scritto avanti; et a dì 26 Luio dimandono fanti 1000 et cavalli 300 per mandar a custodia di uno passo, et li fono dati. Et Marchiò Trivixan, provedador, volea poner fine a l'impresa et dar el guasto a Novara; ma loro non volseno. La causa non se intendeva; imo intendendo nostri che in molti lochi vicini erano robe de inimici in salvo, non volseno consentir che le se tolesse, et dicevano voleva haverla più presto fatta che disfatta la terra; però non erano di opinione di piantarli le bombarde, le qual non erano però lì, ma dicevano di ozi in domane die zonzer, nè il guasto consentì fusse dato per non disfar el paese, ma haveano piacer di tenir el nostro campo ivi. Et a dì 26 ditto fo mandato Francesco Grosso, capetanio di la cittadella de Verona, nominato di sopra, con molti cavalli et fanti per expugnar uno loco chiamato Brionza, lontan dal campo mia 6, di la Duchessa di Savoia; et zonti haveno la terra, ma la rocca si tenne, et voleva pati. Mons. di Arzenton have el salvo conduto, et non venne in campo; et fo divulgato era andato in Franza. Et a dì 27 da matina li nostri Provedadori, ricevuto lettere di la Signoria dil crear dil capetanio zeneral el sig. Marchexe se andono a congratularsi con Soa Signoria el qual era molto di bonavoja e contento. Poi feceno lezer le lettere publice di le provision date, et come la Signoria era per premiar quelli che viriliter et con fede si havia portato nel fatto d'arme, adeo tutto el campo benedizea el Senato, digando, se uno moriva, lassavano a' sui figlioli et padre et madre. In questa sera mandono zerte zente d'arme et fanterie al loco di Brionza, a ciò non li vegni soccorso, perchè la rocca tolse termene fino a dì 28 a le 20 ore a renderse se non li venendo soccorso. Et per una lettera [529] venuta a la Signoria dil Marchese di Mantova, tunc governador, fo decreto a dì 24 Luio per il Senato, et scritto in campo a li Provedadori dovesseno far comandamento a Piero Duodo, era sopra i Stratioti, dovesse subito venir a Venetia non passando per Crema. Et cussì a dì 28 da mattina li fo fatto tal comandamento; el qual subito montò a cavallo et venne verso Venetia, et zonse a dì 4 Avosto; et tamen non fo trovato in lui oppositione alcuna, pur non fo più rimandato in campo, ma el governo de li Stratioti tutti fo dato per li Provedadori a Bernardo Contarini, et poi confirmato per la Signoria, demum a dì... Avosto preso nel Consejo di Pregadi per portarse bene havesse titolo de Provedador de Stratioti, et ducati 100 al mexe, come havia esso Piero Duodo et ogni altra cossa. Et per spie tornate in campo a dì 28 Luio, li Provedadori inteseno fra Turin e Aste si feva aparati per alozar assà numero de persone, le qual di breve dovevano zonzer; et che 'l Re havia fatto tre consegli in Aste, et volea venir in persona a socorrer Novara. Ma poi haviano terminato non si mover ma mandarvi zente, et esser a le mano con nostri; et per questo li Provedadori erano in qualche consideration, et per non star col campo in loco securo, perchè, dove erano, da tre bande potevano esser assaltati: primo da li nemici da Verzei; secondo da le zente de Novara, dove eran zercha persone 3000 da fatti; tertio di le zente di Aste. Et convenendo combatter da tre bande, impossibil saria stato a resister; et li Ducheschi volevano nostri se tirasse mia 3 lontan, in loco manco securo; et nostri volevano redursi a Vegevene, et sarebbeno stati securissimi; et cussì stavano quotidie in disputation, scrivendo a la Signoria quello li pareva dovesseno far. Et in questo zorno la roca di Brionza se rese a patti.

In Aste per una spia inteseno se facea con gran pressa uno revelino a la porta. El conte Carlo de Pian de Meleto era con le sue zente in guarda de Tortona; li Ducheschi el mandò a Zenoa, et etiam Zuam Griego con balestrieri, la qual cossa non piaque a' nostri, de haver mandato senza licentia. Et a dì 29 Luio da mattina fo fatto consejo da li Provedadori, dove se redusse el capetanio zeneral nostro, et el conte de Chaiazo so fradello, et el conte de Petigliano, et altri conduttieri, et Jacomazo capetanio di le fanterie, et parlato per tutti quid agendum; ultimo volse esser Marchiò Trivixan, provedador, dicendo al tutto et mostrando con rason evidentissime, che meglio era andar alozarse in loco che si havesse el stado de Milan da drio le spalle, perchè non haveriano briga de custodir se non [530] davanti per niente, perchè davanti saria el campo dil Re, dai ladi (lati) le zente di Novara, da l'altro lai (lato) quelli di Verzei. Et disse molte rasone, le qual non voglio qui scriver. Et tutti quasi si risolse ne la soa opinione, excepto li Ruberteschi o vero Sanseverini, li quali volevano sbaraiarsi et star in campagna; tamen non deliberono cossa alcuna. Era anco in questo conseio Bernardo Contarini, al qual in questo zorno li fo dato el governo de li Stratioti; et a hore 19 andò dove alozaveno li Stratioti dil Duodo, col canzelier de li Provedadori; el qual li comesse dovesseno tutti obedir questo come so Provedador, et tutti li basò le man, et fonno molto contenti, perchè havia etiam lui la lengua loro, et li acceptò benigne. Habuto nostri la rocca Brionza, el conte de Chaiazo mosse le so zente a custodia, et el sig. Talian da Carpi con la so compagnia fece ussir, et fo mandato a guarda di un'altra forteza chiamata Torqua. Le fanterie nostre per zornata andavano fuzendo, et non potevano nostri far tante provision che restasseno, secondo el costume de fanti, ma per la paga tutti erano. El Duca de Milan intendendo questo de li campi, deliberò de venir lui medemo in campo, per veder con l'ochio meglio li alozamenti, et udir tutte le opinion; et scrisse volea venir. Item, mandò più volte et in questi zorni a dir a la Duchessa de Savoia, che restasse di dar adito et alozamenti a' Franzesi; ma lei si scusava dicendo non poter far altro, ma che per sui subditi non sarà dato alcuna molestia a' nostri; et per queste parole el Duca non voleva, li Stratioti corseno a dar el vasto fino a presso Verzei. Et questo basti dil seguito fin primo Avosto. Quello succederà vederete.

Quello seguite a Napoli et in Reame fin a dì primo Avosto.

In questo mezo a Napoli el re Ferandino continuamente andava a li repari sopravedendo, et andava armato con una curazina et falda di maia et una partesana in man, insieme con el sig. Prospero Colonna, el qual zonse lì a dì 18 Luio, come ho scritto; et el consolo nostro spesso andava a parlarli, dimostrandoli nove de qui de li campi. Et essendo insieme a dì 21 a una fenestra, esso Re disse: Io ho causa de star de bona voia, conoscendo con quanto amor quella Illustrissima Signoria s'è mossa ad aiutarme, unde, avegna che io habbi portato sempre ogni paterna reverentia per la bona amicitia è stata fra quella et la Majestà dil sig. Re passato, tanto più al presente la ho in honore et reputomeli ubligato, quanto che ha fatto più per me che per niun de quelli. Et però sempre li sarò buon et optimo [531] figliolo, et spero lo cognoscerà in dies; et cussì in tutte cosse occorrano sempre per servitio di quella, et per ciascun de quella terra, me troverà prompto et ben disposto etc. Et è da saper che andò contra el sig. Prospero Colonna, per honorarlo, Don Alphonso fratello dil Re et Don Carlo fratello dil Cardinal di Aragona, ambi naturali; et molto signori aozò in Capuana in Castello, et cenò la sera con il Re, et de amico dil Re de Franza si fece di questo re Ferandino. Ma so fradello sig. Fabricio era pur soldato ancora, et sviscerato, dil Re de Franza lì in Reame.

A Napoli li repari se lavorava continuamente, et era assistente el Marchexe de Peschara, fidelissimo al Re nuovo. Di continuo tirava a la terra artiglierie, et faceva pur qualche danno. Et a dì 18 di notte feno assà luminarie, et treteno più del solito; la causa non se intendeva. Et a dì 21 da matina, a hora di messa, quelli dil castello trete una bombarda, la qual dette nel tetto di la chiesia di San Domenico, dove era assà persone; inter caetera, el consolo Lunardo di Anselmi nostro, et fece uno buso, spavì (spaurì) ogni uno, et passò oltra di fuori. Item, a Napoli haveno a dì 20 lettere di 16 de Trani, come le rocche di Bari, Trani, Barletta et Manferdonia ancor se tenivano per Franzesi, ma speravano di breve haverle. Item, a dì 23 si aspettavano lo duca de Melfi a Napoli, et il simile lo duca di Gravina. Era divulgato esser morti in Calabria mons. di Obegnì, tamen non sapevano certo; ma ben stava malissimo. Et a dì 23 el molo grande con una torre si rese al re Ferandino; la qual torre subito il Re la fece ruinar, et fatto repari per ponervi le artiglierie, con le qual potrano far danno al castello da la banda dil mar, et l'armata; et li repari quotidie se lavoravano, et el Re andava ogni dì a soraveder. Et in castello si diceva mons. di Mompensier esser amalato, et steteno 3 zorni che non frequentono cussì el trazer, come soleano. Item a dì 24 inteseno le rocche preditte di la Puia erano rese; et che Leze havia alzato le bandiere di Ferandino, et preso el Duca con uno altro si chiamava el re de Pitot. A Taranto erano reducti molti Franzesi. El Prencipe de Altamura era a Brandizo; et per intender el tutto, qui sarà scritto una lettera dil re Ferandino, scritta a soi secretarii a Roma.

Exemplum literarum Ferdinandi regis.

Rex Siciliae al Ripol et Berardino.

Questa sera havemo hauto aviso da missier Piero Carazolo, quale mandamo in questi dì al Ducha de Melfe et al Duca de Gravina, come [532] ditti Duchi hanno già alzate le nostre bandiere et si sono reduti a la nostra fideltà, et che erano in camino per venir ad trovarse con le zente loro. Similiter questa sera è venuto da noi lo canzelario del conte di Capaze, el qual ne ha affirmato, per parte de ditto conte, come sarà lo simile incontenente; et che manderia subito da noi lo figlio con le zente soe. Da Amanthea è venuto uno nostro fidato, et qual partì Domenica di quella città: dice che passando dui dì avanti per Cosenza, intese che mons. di Obegnì stava malissimo, te che da poi essendo in l'Amanthea, venne nova che era morto. Come sarà la nova certa, ve ne daremo aviso; fra tanto del preditto darete noticia a la Santità dil Nostro Signor, et a lo Ill.mo et Rev.mo Vicecancellier nostro patre, et al magnifico don Gracilasso, ambassador de Castiglia, perchè semo certi ne haveran piacer. Le zente franzese che sono in Calabria erano divertite ad Tropeya, et stavano de lì intorno, et ogni dì se presentano a la terra la qual sta fortissima. Et lo Rev.mo Cardinal scrive che di quelle cosse stieno di bon animo, et che ne lassemo lo pensier a lui.

Date in Castel nostro Capuano, Neapolis, 22 Julii 1495.

Rex Ferdinandus

Chariteus.

A tergo: Magnificis viris Aloysio Ripol et Berardino Francho secretariis et consiliariis nostris dilectis.


Et a dì 25 zonseno a Napoli el Duca preditto de Gravina et el Duca de Melfi con le militie loro. El Principe de Altemura smontò a San Cathaldo in Puia, et quel Duca si dete a lui a discreptione di la Majestà dil Re; demum andò a trovar el nostro capetanio zeneral con le tre galie havia, poi andò a Manferdonia per alcune reliquie gallice, che de lì se atrovava. A Napoli, preso el molo, fo messo per re Ferandino alcune artilarie tiravano a l'armata franzese. A dì 26 de notte el sig. Prospero Colonna con una galia partì de Napoli per andar dal Principe di Bisignano so parente, per condurlo a ubidientia dil Re. El prefetto de Senegaia era a Sora, indurato in nimicitia con el prefato Re; el qual pochi zorni avanti fo scritto, per via de Ravena, a la Signoria era morto, tamen non fo vero; pur era amalato.

A dì 27 lì a Napoli venne nova, el Principe de Altemura havia habuto, oltra tutte le forteze de Puia, anche el Monte de Santo Anzolo; et che tutte quelle zente franzese, di le qual era capo uno don Juliano, dovevano venir de lì assecurate. Et a dì 28 da matina con le bombarde fo profondato una de le barze franzese lì a Napoli. El [533] conte de Monte Odorisso, fratello del Marchexe de Pescara, che fo ferito da' Franzesi, come ho ditto, stava pur cussì; poi varite. Et el consolo nostro, a dì ditto, havendo ricevuto lettere di 26 da Roma, andò in Castello da la Majestà dil Re, el qual li disse, Soa Majestà havea scritto in questa terra, dimandando l'armata nostra in suo aiuto; et che 'l favor de quella armata havia grandemente zovato a tutte cosse sue, incomenciando da quello fo facto a Monopoli, per la pertinentia de quelli, che exinde tutte altre terre fonno più facilmente venute a obedientia. Per el qual benefitio grande, disse Soa Majestà, siamo per haver perpetuo obligo verso quella Ill.ma Signoria, come havemo et haveremo; et che sperava haver di breve il Castel nuovo, perchè el cavo (capo, capitano) era stato a parlamento con il conte de Trivento, et che comenzavano a patir; et Castel di l'Ovo ha segnato, quello farà Castel nuovo, etiam loro faranno. Item el Re mandò el sig. don Cesare con zente a Taranto, et speravano si darà incontinente. El Prencipe de Salerno se intese in castello era amalato. Et in questo zorno di Napoli se partì uno ambassador deputato a Roma al Pontifice, chiamato Hieronimo Sperandio, dottor, che alias vi fu, et anche in questa terra, come ho scritto di sopra.

Exemplum literarum Regis praedicti.

Rex Siciliae etc.

Ripol et Berardino. Questa sera havemo habuto nova da Calavria, quelli de Terra nuova havevano mandato ad Reggio el capetanio dil serenissimo sig. Re de Yspania et nostro....., che è là, che si dovesse conferire in Terra nuova, atento che mons. de Obegnì era morto. Et preditto capetanio era stato deliberato partisse per quello camino, et poi andare a le zente franzese che son rimase in quella provintia. In questi dì, da quelli stavano al Castel nuovo fo mossa certa pratica per mezo dil capetanio di l'armada, che essendo noi stati ad parlamento con ditto capetanio fin ad l'armata, parendone che non c'erano cosse di substantia, dicessemo al ditto capetanio che non volevamo audire più simil pratice, et restamo in conclusione che se quelli dil castello non veniriano ad cose di fondamento et stabile, che non si dovesse dare più orechie, et auscultare cossa che dicesseno. Questa sera per ditto capetanio ne è stato mandato a dir, che domane ci vole venire a parlar, parendoli havere cosse di substantia. Noi intenderemo quello volerano dire, et [534] a presso dil tutto vi aviseremo. Volemo che debiate comunicare ogni cossa con la Santità dil Nostro Signor et con lo rev.mo et ill.mo sig. Vicecancellier nostro patre, et con li magnifici Ambassadori di Spagna et Venetia, et con chi altri ve parerà. Hozi è venuto a noi Bernardin Branzia dal sig. Fabricio, el qual non era ancora arrivato. Jacomo Pontano noi lo havemo expedito; domane se ne torna con expeditione di quanto ne ha referito.

Data in Castello nostro Capuano. Neapolis, die 27 Julii 1495.

Ferdinandus Rex.

A tergo: ut superius scripsi.

In questi zorni, andando di Roma a Napoli certe lettere dil cardinal San Dyonisio a mons. di Mompensier, vicerè, era in Castello, fonno intercepte et presentate al re Ferandino. Le qual qui saranno notade.

Copia di una lettera scripta a mons. di Mompensier per el cardinal S. Dyonise, di la rota.

Mons. Io me recomando a Vuj tanto de bon cuore come posso. Io non ho hauto mai altro che una lettera de vuj, despò che el Re è partito da Napoli, nè saputo nove de vuj, si non per...., el qual m'ha scritto d'Aquapendente arente Siena, et heri mi manda le lettere originale che mons. lo conte de Lignì scriveva al suo locotenente al ditto luogo di Siena, zercha la vittoria et felicità che 'l Re havia hauta contra soi inimici; le qual ve ho mandate per la via de' mei signori Colonnesi, che ho tutti zorni confortadi et intretegnudi al manco male ho saputo, perchè tanti corieri hanno sta perduti et presi et amazadi, che non so si haverete hauto le ditte lettere. De recao ve rimando la copia, et vi prego che mi faciate sapere de le vostre nove al longo, per questo presente portador; azò che le menzogne et false inventioni di nostri inimici, noi hanno creduto far grandi danni et dispiazeri, et desviar assà di boni amici dil Re. Ma Dio sia laudato, che la verità di la vittoria de se est notoria, et clare cognosciuta tante volte, a fine che non facemo de recao sua utilitade de false inventioni. Io vi prego che spesso me scrivete de vostre nove, et la verità; et mandatine le lettere che vorete scriver al Re, perchè ho preso intelligentia per farle tenir secrete fino a Siena a mons. de l'Isle, che seguramente le manderà al Re. Mons., despò le ditte lettere, noi havemo per conto seguro che 'l Re sie arivato a Casal, et a questa hora pol zonzer mons. d'Orliens. [535] Noi havemo la vegnuta de' mei signori lo principe d'Orange et mareschalcho de Riuss con una grandissima armada. Mons., io prego a Dio che vi daga bona vita et longa et vittoria contra nostri inimici. Mandatine la risposta a Gaieta, per la far me tegnir come ho scritto al capetanio.

Scritto in Roma, adì 19 Luio 1495.

Io tutto vostro,

Cardinal de S. Denis.

Copia de un'altra lettera de uno franzese, che nara al suo modo la rotta.

Villa nuova. Luni ultimo, che fo 6 de questo mese, lo Re desfece in bataia el marchese de Mantoa con tutta l'armada de' Venetiani e parte de quella del Duca de Milan, le quale stavano al numero de 25 milia in 30 milia persone, et poi che hanno sta bene batuti, si poseno ben a l'andar. Io vi assegno la più bella et grossa compagnia che mai homo habia visto, et meglio in hordene al mondo. Et a fine che voi sapiate meglio la facione, per contar ai altri, voi dovete saper che per il Domenega davanti, la matina, loro arivò a Fornovo, che è do mia del suo campo, et credeva el ditto sig. che al ditto zorno avere la battaglia, perchè aspettava soi inimici più de 8 hore sopra la bella riva; et quando vete che loro non volevano marchar avanti, lui s'è logà de fora dil ditto Fornovo, apropinquandosse, e lo dì driedo, che fo el dì de la batalia, el ditto sig. partissi del suo lozamento intra 7 et 8 hore la matina, per andarse alozar viso a viso del ditto campo, de l'altra banda de l'acqua per tutto. Et in camino li inimici per 4 bande in terribelmente et bello ordene et lo più malitiosamente, a quello che dicono i vechij capetanei, come era possibele; dove nui marcheremo verso lo antiguarda et sguizari. Et potevano esser in questo squadron de 300 in 400 homeni d'arme con 1000 pedoni. Arente loro, più alto, a sua man dextera, marchava l'altro squadron, per venir dar sopra la costa de nostra avantiguarda. Et li doi grossi squadroni che stava in camin, de 400 in 500 homeni d'arme, et le più zente da bene, passarono lo ditto fiume, poi noi, per venir dar sopra la battaglia dove era il Re in noi, fazando sempre scaramuze de Stratioti per ne atargar. Et fezeno sì grande diligentia, queste due ultime squadre che vi parlo, che rimanerono li primi intra de noi, a la banda dove stava al Re; et forno sì bene reculati, che forno rotti et messi in fuga, et sopra el campo et ala che li fo dado, forno morti bene 3 o 4000 homeni d'arme, senza [536] piar nissuno presonier. Inter li quali fo morto el sig. Redolfo, barba dil marchexe de Mantoa, che stava el più homo da bene havesseno; uno altro signor, che si dimanda conte Bernardino et lo fratello dil sig. di Corezo, con 15 o ver 16 capi de squadre de quelli che erano li più valenti. Et quando lialtri che marchavano contra nostra ditta antiguarda vederino la ditta rotta, se retegnì subito, et tegnerono scorta d'un lato, et noi de l'altro, et poi se retirono pocho a pocho. Et credo che, se non havesse stà perchè non voler azzardarlo tanto, a causa di la persona dil Re che stava lì, che quelli non haveriano habuto meior marchà che li altri; nè in logo di chargarli, li fo dati tanti colpi di canoni, che rimagnò in campo da 3 in 4 mille et 500, et lo campo rimase dove fu fatto la ditta battaia al Re; lo qual logo dormì tutta la notte, et lì fece suo lozamento. El ditto Marchexe de Mantoa si era informato dil vestimento dil Re, et de qual banda stava per quel zorno; et per lo saper meglio el vero, mandò uno trombetta fino dove steva el ditto Signor, dimandando trieve per quel zorno, che era cossa strania, perchè non erano longo uno da l'altro uno trato d'arco, et marchava per venir fuore. Ergo, quel ditto trombetta parlò a Re, et se è possuto bene imparar quello che dimandava, perchè havea cargo de monstrar el Re a suo maistro: le qual cossa credo che fece, perchè ritornasse incontinente senza altra risposta.

Per le trombete che è stà mandadi dopoi a veder, che stava in presone de nostra zente, è stà saputo come havia fatto uno squadron 40 de li soi capi, per piar o far qualche grande despiacer al Re quel zorno; et forno la più parte de quelli che le...., perchè rimase più di la mità. Li hanno el bastardo Matheo presonier, mons. de... et lo bastardo de Pienes; che è tutti quelli che havemo noticia. Similiter hanno presonier el conte de Petilane, et di nostri non è stà morto, salvo Julian Bonivel, Panquenarde, Marten et Balaibre; et de questi 4 non se sa nova nissuna, perchè credo che sono morti. El Re non ha vogliuto che si habbia scritto le nove di la vittoria fin a questa hora, perchè la fazone de Italia si è de farsse beffe; et che la soa fuzita, poi che forno rotti, forno verso el so campo, el qual hera fortificato tante volte. Se il Re havesse voluto, loro havia sì grande fastidio a la monstration che fenzevano de abandonar, tanto che havesse perso sue forze che havesse, caminando in quella parte. Ma el Re volse più presto dormir dove havea stà fato la bataia. Et si avesino sta zente da bene, sono bene in hordene, ne haveriano combatuto un'altra volta, ma fin a a questa hora havemo cavalcado ogni [537] zorno senza trovar loro nè altri che habia dimandato niente, salvo alcuni piccoli Stratioti che ne fano... Et havemo tanto fatto per nostre giornate, che doman con l'aiuto di Dio saremo passati a diexe meia arente tutto il paexe del Ducato de Milano. Et si alcuno dimandasse perchè mi ve facio la festa oltra sì tosto, si è perchè mons. d'Orliens è tanto deble di suo contato, che è forza andiamo a darli socorsso; ma andaremo prima fino a Casal, perchè el convien passar lì per le grosse fiumere che sono in questo paexe. Intervene er sera al più tarde a la nostra compagnia la mazor fortuna per loro che poteva intervenir, si havesse durato; perchè una fiumera, che lo ditto Signor havea passata una hora avanti, dove li cavalli non erano fino a li zenochij, in uno momento venne sì grossa, che l'artiglierie che era driedo, et più di la mità de' nostri Sguizari et qualche 600 homeni d'arme rimagnereno da l'altra banda tutta la notte. Ma Dio ne ha sì bene ajutati, che questa matina è discresciuta in modo, che ogni cossa è venuto verso de nui; et si l'havesse piovesto hozi, erano in pericolo d'esser combatuti d'una banda, et nui da l'altra, et haveria stà pericolo de perder. Quelli de questo paese, perchè poteno saper de novo, dicono che hanno fatto suo poter a seguitarne; et de quelli de denanti, che sono al Duca de Milan, che, segondo loro, domane farne qualche vegnuta. Ma poichè semo informati, metremo prova a far loro come a l'altra volta. Niente de men non credo la mità de quello che se dice; et se l'intervene qualche cossa, per uno altro, che mons. de Polysì m'à mandà, ve manderò tante nove. Io credo che dovete saper più tosto le nove che veneno da Zenoa, che non si fa de qui; perchè le poste che veneno sono robate, ma tanto, d'uno camino l'è. Luni medemo che noi combatessemo a Fornovo, dove vi desiderava con quelli di l'armada che combattino, li ordinati e li.... de Zenoa, le desfece, et rimaxe de zenoesi zercha 40 o vero 50 homeni d'arme. Se dise che questa zornata medema mons. d'Orliens fo asaltato dal Duca de Milano, et have el meglio niente de mancho. Queste ultime nuove non sono troppo sicure.

Scritto a Orovenze, a dì 10 Luio, la matina, 1495.

Mi havea dementegà a dirve, come a dì de la battaia forno morti più de mille et 800 Stratioti, et non altro.

Signato: L. de Luxemburgh.

[538]


Et queste lettere, benchè siano mal scritte, ad literam sono acopiade di le autentice, translatade di francese in latino.

In questi zorni, poi che ancora siamo su le cosse dil Reame, in Puia acadete, come a dì 21 Luio per uno navilio venuto se intese, come volendossi partir tre nostri merchadanti patricij di Leze, per haver la Signoria nostra ivi l'armata, fonno ritenuti, zoè Lucha Vendramin, fo de sier Alvise, et Zuan Querini, de sier Piero, et uno altro. Et li soi parenti andò a la Signoria, dolendossi di questo, et che dovesseno proveder. Unde alcuni puiesi scolari, studiavano a Padoa, pur de ditta terra, fo scritto a li rettori di Padoa li dovesseno far retenir et ponerli in castello; et cussì fo fatto. Unde dopoi nostri fonno lassati, et questi fo liberati. Vene ancora lettere del capetanio zeneral di l'armata, di 17, 18 et 19 Luio, date pur in Monopoli, come tuta la Puia havea levato le insegne di re Ferandino, excepto alcune roche, come di sopra ho scritto, et quello comandava la Signoria dovesse far, recomandando molto il locho di Monopoli, et che si dovesse mandar custodia, partendo l'armada de lì. Ma lassiamo queste cosse di Puia, e di altrove scriviamo.

Modo et hordine di le investiture date a Vormes per il Re di Romani.

Per lettere di oratori a Maximiliano, di 17 Luio, se intese come, essendo quasi a fine la dieta, el Re volse dar le investiture, et l'hordine et modo qui sarà scritto. A dì 14 Luio, de marti, la majestà dil Re, accompagnato da tuti li principi, baroni et oratori, che a Vormes vi era, et a tutti fonno dati li suoi luogi, andò a dar principio a far le investiture publice. Primo, sua majestà andò con la comitiva in uno tribunal grandissimo, fatto su una piaza, et coperto pro majori parte di restagno d'oro, el resto de pani de seda et de bone tapezarie; et deseso in una caxa driedo il tribunal, Soa Serenità se vestì in habito regal, che fo un paro de stivaleti d'oro, l'amito, camixe, stola, manipolo et streta de vanzelio, damaschino biancho; sopra, un pivial de campo d'oro. Tutti i ditti paramenti con so frisi d'oro guarniti, et capuzo recamado di perle, con zoie di ogni sorte di bon presio. In testa l'havea la corona, ne la man dreta el sceptro, ne la man sinistra el mondo; avanti li era portado la spada. Tutte le predette cosse d'oro, di gran precio, con bellissime zoie. Li principi electori ecclesiastici haveano mantelli da preti, grandissimi, messi per il collo, come portano li cubicularij in [539] concistorio; in testa havevano barete de scarlato, longe et conze a piete, come solea portar i vechii; li manti et i capuzi et le barete fin a mezo erano fodrate de armellini con le code. Li electori laici haveano questo istesso habito di pano cremixin; li episcopi non electori haveano i so mantelli, capuzi et barete di raso paonazo; fodradi di dossi i manti e i capuzi tutti, et le barete fin a mezo. Li principi non electori haveano manti de raso cremexin, come quei de' nostri oratori, fodrati d'armellini senza code, con uno bavaro quattro deda, et un garzo da pe' et dove el mantelletto è averto, de quella medema largeza. Li principi che, morte alterius, poteno succeder ad esser electori, haveano in testa un capello de raso cremexin, fodrato de armellini, voltado davanti in suso, et da driedo in zoso, a modo de caloieri grechi. Li altri haveano barete pur di raso, con un frixo di 4 deda di armelini. Li langravij questo instesso habito di raxo pavonazo, fodrà di dossi, et li marchexi fodrà di vari. Et poi sua majestà si messe su una sedia con li electori a torno, da la banda dreta li prencipi ecclesiastici et da la sinistra li laici; et investì prima li arciepiscopi Magontia et Coloniense, et poi el conte Palatin et el duca Federico de Saxonia. Cadaun di loro con 400 cavalli, tutti vestidi ad una livrea, con un stendardo rosso che dinota la fedeltà et omagio de l'imperio, et tanti altri stendardi quanti stadi che uno hanno, con titolo di marchexe in suso, con le arme dei stadi: el duca Federico ne havea 12. Li arciepiscopi haveano su una maza ligadi con un cordon li sigili, perchè uno è chanzelier per Germania, l'altro per Gallia, et l'altro per Italia. Li electori laici haveano su li stendardi rossi quello hornamento che è suo ufficio a portar davanti la majestà dil Re, come el conte Paladin, el mondo; el Duca de Saxonia, la spada; et el sceptro, el marchexe de Brandiburg. Quelli erano a cavallo haveano una bandiera picola su la testa dil cavallo, et una su la testa loro, con l'arma di quel stado dal qual i hanno la principal domination. A questo modo cadauno di loro veneno con i so 400 cavalli corando fino al tribunal, et desmontati di bon passo a la presentia dil Re, e ditto alcune parole in thodescho, preseno li stendardi furono buttadi a la ruffa. Poi la majestà dil Re fece molti cavalieri, tra li altri domino Urban d'Alba, orator di Monferà. Nel far de le investidure, el vene molti jostradori ne la piaza, con lanze grossissime et feri moladi, adeo che ogni volta che i corano, etiam andasseno pian, ciaschuno chi con li chavalli et chi da per loro..... zercha a li luogi de li oratori fu pur qualche garbuglio: tra uno orator di Hongaria [540] et quello di Napoli, nostri et quel de Milan. Da un canto era li oratori di Spagna, Napoli et Milan; da l'altro, Hongaria, Venetiani, et Monferà, et li oratori di alcuni Vescovi. Et è da saper che Maximiliano non volleva terminar, li nostri dovesse precieder Milano, ma voleva tenir la cossa in discussa, con assegnar luogi che si potesse dedur raxon ad utramque partem; tamen pur nostri, sì come a Roma et in ogni loco hanno sempre precedesto a Milan, et etiam al presente li andarono di sora. Et il zorno sequente, Soa Majestà, similibus solemnitatibus, investì l'arciepiscopo Triverense, el duca Alberto do Saxonia, el duca de Metelbur et el duca Federico de Brandimburg; et a dì 16 poi investì el Langravio d'Axia et alcuni altri marchexi et prencipi. Insumma fece zercha 30 investidure, che era bellissimo veder quelle cerimonie. Et per lettere de ditti Oratori, oltra di questo la Signoria fo certifichata, che a dì 15 lì era intrato el duca Henrico de Brunxvich con 350 cavalli in arme, benissimo in ponto; et molti di loro armati quasi a la italiana; e benchè su le arme non havesseno sopravesta alcuna, qualche uno havea etiam le barde; el resto erano armati a la leziera, tutti vestiti ad uno modo con genere suo. Et questo Ducha fra 3 zorni se dovea partir per Italia, et in effetto venne, come dirò di sotto. Di la dieta, molti diceva era conclusa, altri era prope conclusionem.

Item, che a dì 14 da sera haviano ricevute lettere, el Re, di 7, da Milano, con exempij di lettere dil conte di Caiazo, de 6, che narava el conflitto de' nostri con franzesi etc. Et quel zorno, a dì 17, ditti oratori andò a disnar con l'arcivescovo Coloniense, uno di electori di l'imperio, el qual li fece uno solennissimo et degno pasto, dove rasonono assa' cosse zercha a queste cosse de Italia. Et hæc satis.

Novitade di Cesena.

Sì come ho scritto di sopra di le novitade seguite in Cesena, a dì 12 Luio, et pur non cessando, Guido Guerra da Bagno intrò dentro con alcuni partesani a la fine di Luio, et teniva da la parte de Tiberti, et fece far uno bastion fortissimo tra la rocha vechia et la strada, per obviar el socorso potesse esser dato da quel canto a la rocha nova. Item, fece far certo reparo, o ver parapeto, in la murada, azò quelli di la rocha nuova non potesseno offender la terra, et che quelli di la terra potesse socorrer quelli di la rocha vechia.

Item, come per lettere di Andrea Zanchani, podestà di Ravena, [541] se intese, et etiam per una lettera de Collela Grego, contestabele a Cervia, el qual mandò uno Francesco d'Alexandria, suo caporal, homo fidato et sufficiente, lì a Cesena a inquerir, et poter notifichar esso podestà dil tutto. Come, a dì primo Avosto, a hore 15, Guido Guerra disse a tutti li soi cittadini: Andate a disnar, poi tornate tutti armati; judicava per dar la battaglia a la rocha nuova, tamen non seguite altro; et che aspettaveno 500 fanti di Bologna. Et a di 12 steteno etiam in arme, et a hore 24 ne gionse 50 fanti di ditto numero. Et in ditto zorno, a hore 21, fo fatto publica crida, che tutti li marangoni se ritrovasseno in piaza con li istrumenti soi, quali subito veneno in gran numero, et ritornono ne le murate, dove si messeno a lavorar getti, scale, et ogni altra cossa necessaria per dar una battaglia. Et a dì 3 da matina fece portar in Cesena gran quantità di legnami per coprir il ponte di la porta dil fiume, acciò potessesi intrar e ussir di la terra per ditto ponte senza offesa di la rocha, et comenzono a lavorar. In questo zorno li fanti cridavano: Siega! Siega! Bagno! Bagno! ch'è la caxada di Guido Guerra. In la rocha era zercha 50 homeni d'arme, li qualli se difendevano virilmente. Et l'arcivescovo di Arles, dal qual causa dite novità, se ritrovava a Montifior, et diceva volleva venir a Cesena con le zente dil sig. di Pexaro e ducha di Gandia. Tamen, Piero Michiel era lì a Pexaro, a guidar ditte zente, sollicitava di menarle in campo a Novara. Et a dì 3 Avosto venne a Ravena dal Podestà uno domino Thomaso Buzardo, cuxin del prefato episcopo, con lettere credentiale, dicendo esso episcopo havia terminà di andar a socorrer la rocha di Cesena, et desiderava saper si la Signoria nostra li havia dato alcun hordine di darli quelle fantarie eran lì; et si tal ordine non era zonto, perchè il teniva fusse in camino, pregava ge le volesse consentir, perchè si dubitava non la expugnasseno. Et el podestà si excusò, non havia altro hordine, nè potea darli senza licentia di la Signoria. In Cesena in questo mezo la rocha era bombardata, et loro di rocha bombardavano etiam. Et vedendo il Pontifice queste novità, mandò uno breve a Guido Guerra, che sub poena excommunicationis non dovesse turbarli la sua città di Cesena, imo ussir de lì, et lassar viver pacifice quelli cittadini, nè impazarsse in quelle cosse; et che mons. lo episcopo di Arles potesse andar al suo governo di ditta terra. Et zonto ditto messo a Guido Guerra, quello lo fece statim impichar a uno arbore con il breve davanti il collo, che fu cossa assà crudel. Tamen, dopoi fonno sedate le discordie, et il Pontifice mandò uno altro governador, chiamato domino Nicolao Fiesco, genovese, episcopo [542] di Forlivio, vedendo el populo non volleva questo vescovo di Arles. Et non quattro mesi dopoi, ditto Guido Guerra, quello fece ad altri li fo fatto a lui, come tutto di sotto sarà scritto.

A Venetia, a dì primo Avosto, essendo compito di fabrichar el fontego di la farina a San Marcho, ch'è bellissimo; et questo fo decreto per più comodità dil populo, che cussì come era uno a Rialto, ne fusse uno a San Marcho; et eletto do signori, li qualli fonno Benedetto da Molin et Marco Falier, fatto li fontegeri, et quelli havesseno custodia di quello. Or in questo zorno fo fatto una precession di Rialto a San Marcho, con trombe et pifari, con uno San Marcho biancho, et tutti li fontegeri et fachini che portono su le spalle 460 stera di farina per metter in ditto fontego; poi vene li signori scrivani etc. Et fo di sabado, et comenzono a metter farina dentro et vender. Et il marchexe di Mantoa mandò in ditto fontego stera 400 di farine, le qual fusse vendute lire 4 el ster, acciò el populo havesse bon merchato, che vallea lire 5 il ster; sì che a questo modo have principio ditto fontego.

A dì 30 Luio, in Pregadi fo messo 4 decime, do al monte vechio et do al monte nuovo, a pagar una fin mezo il mexe di Avosto, l'altra per tutto il mexe; et si possi metter arzenti in zecha, juxta el solito. Et la parte prima fo presa, et fo dato tal cargo a Maffio Soranzo, fo di domino Vettor, cavalier et procurator, havesse tal arzenti a receverli, et con una bolleta de li provedadori dil sal erano fatti creditori a la camera de imprestidi al monte nuovo. Et poi, a dì 7 Avosto, fo preso che chi pagava le do decime donate in termene di zorni 8, zoè fino a XV dil mexe, havesse di don ducati 12 per cento; le qual decime era numero 55 et 56, et quelli davano arzenti al sal, a ducati 6 la marcha, saranno fatti creditori di le decime numero 57 et 58. Item, che quelli pagava al termene le decime dil monte nuovo, numero 38 et 39, habino di don ducati 5 per cento, oltra il pro'. Queste provision fo causa si scodesse da ducati 25 milia in su per decime, ma fevano per richi et non per poveri, perchè ad ogni modo li poveri non pagava se non con pena poi di X per cento a le cazude, et non havia dono alcuno. Sì che nostri feva ogni cossa per trovar danari, per la grandissima spexa haveano, maxime dil campo a Novara.

Ancora in questo zorno fo preso, l'armada marittima era a Monopoli, fortifichato quel locho, et lassatoli custodia et uno soracomito per governator, qual paresse al zeneral, poi dovesse passar a Corffù, et ivi star fino la Signoria nostra li comandava. Et zercha [543] questo fo assa' disputato, però che era tre oppinione di Savij di Colegio: alcuni volleva ditta armata andasse a Napoli, per dar reputation a re Ferando; altri andasse a Zenoa, poi a Niza di Provenza dil re di Franza; altri a Corffù. Et questa fu presa, et spazato al capetanio lettere. In questo mezo si amalò di dopia terzana; et poi, alquanto migliorato, messe governador in Monopoli Nicolò Corner, era soracomito, et in Pulignano Nicolò Paladin, cavalier, era soracomito.... Et poi, a dì 12 Avosto, nel conseio di Pregadi, per le nove succedeva di Napoli, fo decreto ditta armada, col capetanio zeneral nostro, Antonio Grimani, procurator, el qual era quasi varito, dovesse andar a Napoli; et questo per haverla con grande instantia el Ferandino richiesta. Quello seguite scriverò di sotto.

In questi zorni fo mandato in campo ducati 6000 al Marchexe di Mantoa, capetanio zeneral nostro, a ciò facesse 1000 provisionadi per guarda di la sua persona. Et ditto capetanio, abuto la nuova di la sua creatione, scrisse una lettera a la Signoria, di sua mano, rengratiando, promettendo fede perpetua. Et a dì 3 Avosto, per Colegio, fu eletto pagador in campo, in luogo de Daniel Vendramino, era amalato, Orssato Morexini; et abuto danari de qui, a dì 10 ditto, et venuto a Padoa, et sic successive per le camere, havendo danari per poter far la paga al suo zonzer; et menò con lui rasonato Andrea di...., scrivan a la camera di Padoa.

A dì primo Avosto, nel conseio di Pregadi fu conduto il conte di Petigliano, zoè scritto a li Provedadori in campo dovesseno tramar di accordarlo con la Signoria nostra, con fiorini 30 milia in tempo di pace et 40 in tempo di guerra, per anni 5, titolo di Governador zeneral, tengi cavalli 1400; ma lui non volsse aceptar, et tamen si adoperava a li exercitij dil campo. Pur a la fine con più summa fo conduto, come, descrivendo le cosse seguide questo mexe in campo, sarà scritto. Et il sig. Virginio Orssini, habuto licentia da' nostri et dil Duca de Milan, ritornò versso Roma a li suoi castelli.

In questo zorno, zonse in questa terra una bellissima reliquia, zoè la anconeta che fo dil Re di Franza, portata per uno di Val Brembana, chiamato Cristallo, el qual era ballestrier dil Marchexe di Mantoa, bandito dil brexan et bergamasco, al qual prima li fo fatto salvo conduto. Et con lui vene uno cittadin di Bergamo, chiamato el conte Urssino di Rotta, fidelissimo nostro, et quello mi baptezò io Marin Sanudo, compositor di questa ystoria. Et per saper il tutto, havendo questui in campo preso uno franzese di anni zercha 66, [544] chiamato Cabriel Molendina, el qual era stato, ut dicitur, a servicio dil Re di Franza, et li trovò ditto Cristallo adosso ducati 101, o vero scudi...., questa anconeta con zoie et degnissime reliquie, zoè di la vesta di Christo et tutti li misterij di la Passione, cossa di farne grande extimatione; et uno subioto d'oro ch'el Re talhora sonava, chiamando certi chani.... Et habuto tal cosse et questo preson, si fuzì di campo, et vene in bergamasche; et conferito con ditto conte Urssino, come havia tal cosse, lui consigliò dovesse venir a presentarle a la Signoria, che li faria di gran bene. Et lui dicendo non era mai stato a Venetia, nè sapeva a che modo far; unde ditto conte Urssino, fidelissimo, volse venir im persona a sue spexe a menarlo a ditta Signoria nostra. Et, zonto, li fa fatto salvo conduto per anni 100 et uno, et presentato la ditta anconeta, a tempo era reduto el Conseio di X, et vista con gran devotione per le cosse sacre eran dentro, come per lettere in francese pareva, vi fosse etiam zerte perle et zoie atorno. La qual vidi et basai in la capella de' Procuratori, con gran devutione, perchè ivi fu posta, poi messa nel santuario di le zoie. Et volendo remeritar a questui portò tal presente, li dixeno dimandasse quello volleva. Rispose, esser cavato dil bando; et cussì fu fatto il salvo conduto. Demum, a dì 18 Avosto, preseno de darli ducati 10 al mexe di provisione, et ducati 50 per spexe l'havia fatto, et ducati 100 de beneficii, zoè de intrada a l'anno a uno suo fiol, et habbi la taglia data a ditto franzese, che era ducati 300, et li 100 ducati li trovò adosso; sì che fu assa' remeritato. Ma ben, prima li desseno alcuna provisione, scrisse a li rettori de Bergamo dovesseno mandar de qui ditto franzese, era lì in custodia; et cussì mandato, zonse in questa terra a dì 7 ditto, fo messo in caxa dil capetanio di le preson. Et poichè fo examinato, fo dato et restituto a ditto Crestallo, che lo havia preso. Et per quel poeta nominato di sopra, fo fatto a questa anconeta, o vero paxe, epigrama, zoè questo:

Epigramma de anchoneta ac reliquiis acceptis a Gallis.

Abstulit a Gallo pacem Deus armipotente;

Quid mirum, pacem si modo Marcus habet?

Despexit pacem Gallus. Miracula cernis:

Anchoneta patet, paxque reliquit eum.

Hanc Crystallinus rapuit, qui bergomas extat,

Maximus hic meritis perspicuusque suis.

[545]

A dì 10 Avosto, zonse in questa terra uno gripo, sopra il qual domino Prudentio da Trane, era capetanio dil Re a Monopoli, et menato per Alvise di Albori; et, poi che stete alcuni zorni qui, fo lassato andar, havendo habuto salvo conduto dal capetanio zeneral.

A dì 12 ditto, vene lettere di Antonio Vincivera, secretario a Bologna, come el magnifico Joanne havia per spie, el Re de Franza a Turim stava di malavoia, per esserli morto in la bataia 83 baroni, et che per tutta la Franza era levati assa' coroti.

A dì 6 Avosto, zonse lettere per la via di Zenoa, di Francesco Capello, kav., et Marin Zorzi, oratori nostri al Re et Raina di Spagna, date a dì 12 Luio in Burgos. Narra come erano stati da Barzellona fin a Burgos in camino zorni XXI, et passato per lochi amorbati, et cativi alozamenti habuti a Barzelona chatelena, Saragosa di Ragon; demum assa' honorati. Et che a dì 6 ditto, zoè Luio, di Luni, fo il zorno di la bataia, ritrovandossi mia 3 di Burgos, li veneno contra molti signori et gran maistri, zoè li presidenti de la città de Burgos, el comandador mazor, tutti li cavalieri, il comandador di Chalatra', il comandador di la Cantara, il comandador di Lion con cavalieri di l'hordine di San Jacomo, el conseio de Aragon, el conseio de Chastiglia, lo arziepiscopo di Messina, lo arziepiscopo di Calgos, lo episcopo de Burgos, de Vallentia, lo episcopo de etc. Item, de Villa, de Salamanca, de Tui, de Almeria, de Maioricha, de Barzelona con altri prelati, el ducha di Nazera, conte di Benivento, l'armirante di Ragon, conte de Niena, conte di Goziano, conte di Trivigno, marchese di Villafranca, presidente di Moran, prescidente de Chastiglia, signori et baroni et cavalieri assa' altri; in tutto 3000 cavalli, fra i qual era 200 mulle. Et a hore 24 faceva l'intrata in la terra; et il Re et la Raina erano a le finestre, et con gran jubilo dil populo introno a questo modo. El Capelo con l'arzivescovo de Milan, ambassador dil Duca, et il Zorzi con l'altro de Milan; et andati a lo alozamento. Poi el zorno driedo, ebbeno audientia. Era sentato il Re et la Raina su do sedie regal, et li fece bona et perfetta ciera, et volse tutti 4 sti oratori lì sentasseno per mezo, su uno scagno. Et presentate le lettere di credenza, Marin Zorzi li fece una oration latina; et il Re li fece risponder a uno maistro Diego, frate predichator valentissimo. Poi Zuan Battista di Sfondradi, orator de Milan, fece la sua oratione et risposta. Andono el Re, la Raina et questi 4 oratori in una camera secreta; et Francesco Capello notifichò a Soa Majestà el bisogno de Italia, et che dovesse romper al Re de Franza. Et il Re disse che ad ogni modo [546] el volleva romper, et che 'l manderia di ogni ij uno; et dimostrò poi lettere havia di Perpignano, come Franzesi li havia scritto, che dovesseno levar ditte zente, che etiam loro si leveria. Item, che havia cavalli 13 mille et 8000 pedoni, et che scrivesseno in questa terra et a Milan, che certo romperia, perchè la liga lui la voleva mantegnir, et esser amico nostro.

Per lettere di Fiorenza, a dì 8 ditto, se intese come Fiorentini, seguendo pur l'impresa di reaquistar Pisa, et etiam Monte Pulzano da' Senesi, in questi zorni a presso Cassina et Monte di Sasso fonno a le man con Franzesi, et ne rupe zercha 200; parte di qual fonno aperti per mezo, perchè si divulgavano haveano danari ne le viscere, tamen non trovono alcuna cossa. Et pur non restavano Fiorentini di volersi acordar et far liga con il Re. Do loro ambassadori erano a Turin; et certo si divulgava, tal liga et amicitia havesse a esser causa di perturbar Italia, per aderirsi a esso Re. Quello seguite, et le lettere scritte zercha questo, di sotto intenderete.

Per la venuta di le nave di Soria, le qual zonseno a dì 16 ditto, et per lettere di Damasco, nostri fo certifichati come el sig. Turcho havia mandà uno ambassador al Soldan al Chaiero per queste cosse de Franza, havendo mo assae paura, et che de li Mori quasi vollevano far garbuio a le natione, dicendo: Questo Re di Franza prosperava, et vuj non reparate. Unde ne veniva a dischatiar nuj, sì come le prophetie loro dicono, che a questi tempi la sua leze deva patir. Unde Zuan Vallaresso, consolo, chiamato il conseio di 12, terminono di far certe lettere false, pareva venisse de qui, per le qual si advisava esso Re de Franza era rotto et andato in malhora, come, ita volente Deo, fu pocho da poi; et di questo deteno sacramento a tutti, adeo, mostrate queste lettere, Mori fonno aliegri, et non seguite altro; pur merchadanti stevano con gran paura di loro. Et oltra di questo se intese come il Soldan, havendo inteso che nel monasterio di frati di monte Syon in Jerusalem, li frati haveano arme nel convento, et che aspettava el Re de Franza, unde mandò alcuni Mori lì a veder, et vollea ruinar el tempio e occider li frati; et, cerchato ben per tutto, non trovono se non cortelli da taiar dil pane; et li frati li dixeno non erano di tal sorte, nè venuti a la religion per tenir arme ascose, et che era vania et calunnia. Unde, trovato la verità, non seguì altro.

A Roma el Pontifice, exortato da li oratori di la liga, et maxime dal veneto, dovesse excommunichar el Re de Franza, a ciò [547] tornasse in Franza, lassando pacifice Italia, unde, chiamato concistorio et desputato, deliberono di farli uno brieve, el qual sarà qui sotto scritto; et questo per lettere di 3 Avosto di Roma se intese; et voleva mandar uno mazier fino a Turin a portarlo. Anchora fece esso Pontifice in concistorio uno nuovo decreto, che de cætero, li 4 Patriarchi siano cardinalli, zoè quello de Jerusalem, di Constantinopoli, di Antiochia et Alexandrino; et questo fece perchè aliquando in corte fra ditti Patriarchi et Cardinali sono venuti in contrasto zercha a li luogi, perchè li Patriarchi dicevano dover preceder et esser propinqui al Pontifice, et Cardinali non vollevano; et questo fo causa di l'odio ha el Patriarcha da cha' Lando nostro in corte per haver voluto precieder; unde non l'hanno mai voluto far cardinal, et tamen è dignissimo prelato. Hor el brieve dil Pontifice, mandato al Re de Franza, scriviamo; el qual fo traduto in terza rima per Zorzi Summarippa, veronese patricio, et butato a stampa; ch'è belissimo lezer.

Exemplum brevis sanctissimi Domini nostri ad Carolum Regem Francorum[140].

Cosse seguite in campo di Novara, dil mexe di Avosto, succincte descritte.

Vedendo questa gallicha historia, per le cosse successe et qui verissime descripte, venir assa' grande volume, unde mi è forzo di abreviar; et però, pretermetendo lettere per li tempi zonzevano in questa terra di campo, però che una al zorno almancho era scritta a la Signoria per li Provedadori, solum qui scriverò zorno per zorno quello seguite dil mexe di Avosto, et sic poi successive in ditto campo. Et nil miremini, lectores; chè, licet non me habi trovato presente, ma tutta la verità, nil praetermisso che sia da conto, qui scriverò, et prima:

A dì primo Avosto, pur essendo el campo nostro a Castel Chiasol sotto Novara, et in grandissime desputatione di levarse, Ducheschi volevano se tirasse più avanti, et li Provedadori volevano redurse in loco securo. Unde el Duca de Milan scrisse el zorno driedo vollea venir in ditto campo.

[548]

Item, in questo zorno esso Duca mandò una lettera al sig. Galeazo suo capetanio in campo, notifichandoli esser conclusa la liga con la compagnia dil Bo, o vero li sette comuni che sono sguizari, i qualli fin hora hanno dato assa' aiuto al Re de Franza. La qual nuova, intesa da' nostri, fo tenuta perfettissima. Et poi venuto a Milan, li capitoli sigillati, di questo fece gran dimostratione di alegreza, facendo fuogi; et cussì in campo. Questo accordo fo fatto per forza de danari; et fo divulgato esso Duca de Milan le deva ducati 30 milia in tempo di pace et 40 milia in tempo di guerra. Et ditti sguizari mandono a dir a li sguizari erano in campo dil Re de Franza, et quei sono in Novara col Duca di Orliens, in termene di 3 zorni si debbino redur in loro paesi, sotto pena di rebellione et confiscation di beni. Et cussì in campo aspettavano ussisse li sguizari di Novara.

In questo zorno vene una spia nostra da Verzei, mia X di Novara, dove il Re havia mandato cavalli 400 et 3000 pedoni, et continue veniva li franzesi; notifichava il Re esser a Turin, et si aspettava a Verzei a dì 2 ditto; et che judichava in tutto, ivi, fin quel hora, vi fusse di le persone 8000, et divulgavano di venir asaltar il nostro exercito; et ditta spia, per esser tolto suspetto, ebbe cinque ferite.

A dì 3 ditto, Bernardo Contarini, provedador di stratioti, scrisse a la Signoria una lettera, come li era stà dati in governo li altri stratioti da poi el partir de Piero Duodo, i qualli si sforzerà di governarli secondo le sue picol forze, non sparagnando faticha etc.

Item, che inteso la creation de lo illustrissimo sig. Marchexe, capetanio zeneral, per segno di alegreza, havendo uno cavallo bellissimo leardo de valuta de più de ducati 100, el qual lui lo havea guadagnato, et quello alegramente donò; stratioti prendono qualche sacomano franzese, discalzo et in camisa, unde li bastonò et cazono in la terra; et ultimo, havendone preso alcuni, per più disprecio de' franzesi, esso Provedador fece stratioti li vendesseno per uno melon l'uno, tanto pocho li stimavano.

A dì 2 ditto, el Duca de Milan con soa moglie et oratori di Spagna, Napoli et veneto, con la soa corte partì di Milano et vene a Vegevene; demum in campo. Et questo zorno, a hore 6, venendo la Domenega, fo a dì 2 Avosto, montò a cavallo el capetanio zeneral nostro, et el suo capetanio sig. Galeazo, et Bernardo Contarini con 80 cavalli de stratioti, et andono contra Soa Excelentia mia do di là da Vegevene, et, scontrato con bel hordene, fatto le debite acoglienze, [549] Bernardo Contarini preditto volsse dismontar et tocharli la mano; ma il Duca mai li volse tochar, se non montato fo a cavallo. La Duchessa era con do charete, una coperta di pano d'oro, l'altra di veludo cremexin; et cavalchando versso Vegevene, molto ringratiò esso Bernardo di portamenti in suo servitio; et dismontò a Vegevene; a hore 20 montò a cavallo et vene a Vespole, dove dovea alozar Soa Excellentia quella sera, mia 6 distante dil nostro campo, dove scontrò Luca Pixani, provedador nostro, el qual con assa' cavalli li veniva contra. Et però il Duca volsse passar ditta villa, et in campagna, tochato la man a ditto Provedador, ritornò ad alozar a Vespola, et el capetanio zeneral, provedador, et el resto veneno in campo per quella notte. Poi la mattina, fo a dì 3 ditto, essendo il Duca a cavallo per venir in campo, volendo ussir di Vespola, la mula li scapuzò e gittolo in una pozza di fango, per modo tutto se infangò etc. la veste; subito si mutò, et dove era vestito di una veste damaschin negro, curta per fino al zenochio, si tramudò in una di quella foza, damaschin cremexin; et, aproximato mia do dil campo, el sig. Marchexe, capetanio, con Lucha Pixani, provedador, Daniel Vendramin, pagador, Bernardo Contarini, condutieri et molti stratioti, li andono contra, et lo acompagnò fino a lo alozamento dil sig. Galeazo, suo capetanio, di S. Severino; et nostri tolseno licentia de Soa Signoria. Li oratori era con lui veneno a smontar a lo alozamento dil nostro campo; et cussì non seguite altro quel zorno.

A dì 4 ditto, el Duca, capetanio zeneral nostro, et il suo, li oratori Spagna, Napoli, et li provedadori con Hironimo Lion, kav., orator nostro, et Bernardo Contarini, conte di Petigliano, et il conte di Chaiazo, reduti in uno, consultono utrum el nostro exercito si dovesse levar dove l'era, redurse più avanti, o andar a Vegevene, o pur star fermo. Et parlò sapientissimamente el conte di Petigliano. Rispose el Duca. Poi parlò Marchiò Trivixan, provedador; et cussì steteno in desputation. Et il Duca volsse veder, oculata fide, el tutto; et chavalchò per li alozamenti, dove Ruberteschi erano di opinione stesse el nostro exercito; tamen per questo zorno non concluseno alcuna cossa. Soa moglie, la Duchessa, vene a star con lui in campo; et, oltra li 3 oratori nominati, havia tre altri etc.

A dì 5 ditto, Bernardo Contarini non potendo correr a Verzei, perchè non volevano anchora romper guerra a la Duchessa di Savoia, da matina mandò 200 cavalli de stratioti a la volta de Verzei, per veder si Franzesi vollevano venir a scharamuzar con loro; et, aproximati a mezo mio lontano di la terra, trovono zercha 20 cavalli [550] franzesi, et 10 ballestrieri a cavallo di Zuan Jacomo di Traulzi; li quali, visto stratioti, si messeno in fuga; Franzesi si salvono in la terra; et li balestrieri fonno tra morti et presi tutti con molte ferite; uno di qual fo examinato per esso Provedador, et la examination soa mandò a la Signoria.

In questo zorno fo fatto in campo una mostra zeneral di tutte le zente; era colateral nostro Hironimo di Monte sopranominato; et el Duca de Milan nel suo campo, sopra tutte le zente d'arme, Lorenzo d'Orffeo da Mozanega, et comissario suo Galeazo Visconte. Hor el Duca con madona soa moglie volse veder questa mostra, che fo bellissima, et za molti anni non fo fatta simile.

A Venetia, vedendo le cosse de Novara andar a la longa, preseno in ditto zorno che si dovesse strenzer Novara, bombardarla et far il tutto per poner fine a l'impresa. Et cussì par el Duca contentasse, et fusse dato el guasto a la terra, et ogni altra provisione; fo tre volte a consultatione con li Provedadori, stete uno dì et mezo in campo, poi tornò a Milan.

A dì 7 ditto, terminato di meter Novara in assedio, in questo zorno dete principio, che prima la notte intrava vittuarie dentro a loro piacer; et mandono cavalli 200 con 100 fanti a uno locho mia 4 lontano, chiamato...., per custodia; adeo franzesi più non porano ussir di la terra.

Item per li ballestrieri presi per stratioti a dì 5, se intese el Re esser a Turin, e diceva aspettava zente de Franza da persone 20 milia; et che domino Joan Jacobo di Traulci si trova a Verzei.

In la terra inteseno vin non vi esser; pan rasonevolmente, et che la notte questi paesani el portano, perchè il pagano bene. Item, nostri principiono a far le strade per poter dar la bataia a la ditta terra di Novara, et il Duca di Orliens si confortava con la venuta dil Re.

A dì 9 ditto, nostri corsse et spianò uno castello chiamato Bulgaro, fra Novara e Verzei; item, seguiteno di dar el guasto a Novara, tagliando arbori, vigne etc.; et stratioti prese do franzesi et alcuni chariazi; a la volta di Verzei fo mandato altri 400 fanti.

A dì 10 ditto, el nostro campo se levò dove era, et vene a conzonzerse con quel dil Duca de Milan, vicino a Novara, in uno locho chiamato Caxuol; et li Provedadori alozono in castello, el capetanio et altri di fuora; li pavioni (padiglioni) e tende erano stese, bellissimo veder, et li stratioti a la campagna, et Bernardo Contarini sotto una trabacha.

[551]

A dì 12, per spie inteseno el Re esser tra Turin et Chier, con la inamorata sua a Chier, dove spesso andava et stava a piaceri, recreandossi alquanto de li affanni portati. Et a dì 11 vene uno trombeta suo in campo a dimandar uno preson; el qual disse, Soa Majestà era a Chier, aspetava zente, et veria a Verzei poi a combatter con nostri.

In questo zorno vene fuora de Verzei zercha 100 todeschi, si atrovava ivi col Re sotto il Traulzi; et questi veneno per il comandamento di loro capi sguizari; et, venuti nel nostro campo, ebbeno soldo. Et anchora di altri sguizari di Novara ussite, in summa numero 250 in tutto, e tutti fonno charezati, e dato soldo da' nostri.

Quelli dil campo duchescho menava in longo di dar el guasto a Novara, et di ozi in domane menava la cossa; tamen pur da la sua banda poi conveneno dar.

In Novara fevano gran repari, et ogni zorno se fortifichava sì dentro come fuori; non haveano vin ma ben axedi, di li qual ne bevevano quelli baroni, con zucharo butado dentro; formenti assai, et feceno molini cinque da man; et cussì masenavano in farine; fevano pan negrissimo et chativo; carne poche, nè non ve haveano se non di chavallo. Et perchè scharamuzando con thodeschi ogni giorno franzesi, pur ne era feriti qualche uno, et volendolo miedegar, dicitur el vuovo valleva soldi 30 l'uno, cossa incredibile, per non esser galine. Questo tutto si have da uno nostro prexon che fuzite; ogni notte fevano signali de fuogi, dimandando soccorsso.

A dì 14 ditto, dil campo duchescho se partì alcuni homeni d'arme, capo uno fiul fo dil conte Zuan Boromeo, et andò a li alozamenti. Li provedadori si dolse con el sig. Galeazo, capetanio, et con el conte de Chaiazo. Risposeno, non saper nulla, et che provederebbe a questo.

Fo scritto a Millano al Duca, mandasse 2000 guastadori in campo, per esser gran bisogno per le cosse acadeva.

In questa matina, per uno di Monferà, partì di Novara, inteseno el Duca de Orliens fece far una crida, che, in termene di 3 hore, tutti quelli non haveano soldo si dovesse partir di la terra, con tutte le meretrice et li soi homeni; unde se partì tunc 150 homeni non haveano soldo. Item, mazenavano al zorno, con quelli molini da man, da manzar per 100 homeni et non più; non bevevano vin za zorni XV, per esserli manchato. Dil Re si divulgava a dì XV dovea esser a Verzei, tamen indusiò qualche zorno a venir.

In ditto zorno zonse in campo borgognoni 60 a piedi, belli homeni [552] et ben armadi. El capetanio zeneral volsse si toleseno a nostro soldo per uno mese, a fiorini 4 di Rens per uno; erano stati a Milan, sperando el Duca li desseno soldo più di un mese, et ebbe solum uno fiorin per uno.

El sig. Marchexe de Mantoa, capetanio zeneral nostro, non se sentì bene et se amallò di fluxo; stava in letto in una cariola sotto il suo pavion (padiglione), et li Provedadori lo andò a visitar.

A dì XV ditto, Piero Marzello et Zorzi Emo, i qualli a dì 28 Luio nel conseio di Pregadi fonno electi oratori a portar el baston et stendardo di capetanio zeneral in campo a lo illustre Marchexe di Mantoa; unde, partiti a dì 6 Avosto da Venetia con molti zoveni patricij, andati per veder il campo, et trombe et pifferi dil Principe nostro; et zonti a dì 14 a Vespola, la sera ivi alozono. Et la matina, fo il zorno di S. Rocho, dovendo venir in campo, Bernardo Contarini con stratioti li andò contra mia 5, et, trovato ditti oratori, veneno di longo. Et el sig. capetanio mandò suo fratello, sig. Zuane di Gonzaga, era al soldo de Milan, et Hanibal Bentivoy, pocho lontano di Vespola; poi li andò contra el conte di Petigliano con un squadron a cavallo armado a la liziera et senza elmeti; poi andò una squadra de cavalli todeschi a cavallo, pur armati a la liziera; poi li cavalli alemani dil Duca, armadi come andavano, zoè il corpo di la curaza, arnesi, schiniere et zelade. Et zonti ditti oratori con lo stendardo spiegato et il baston avanti, sonando trombe et pifari, si tochono la man; et lì fo dimorato alquanto. Et dismontati al pavion dil capetanio, dove era fatto uno altar da dir messa, con alcune cortine atorno, fo dil Re de Franza, divisade di raso bianco et veludo paonazo, con molte lettere dorade di sopra, zoè questi segni C. A., che vien a dir Carlo et Anna, la nome di esso Re et Raina. Et qui sotto era, oltra el capetanio nostro, provedadori et oratori, el sig. Galeazo, capetanio zeneral dil Duca, el conte di Petigliano, el conte di Chaiazo, sig. di Rimano, sig. di Corezo, Hanibal Bentivoy, sig. Gasparo Frachasso con tutti altri nostri conduttieri et ducheschi, vestidi di zornede d'oro et d'arzento, con belle colladene d'oro. Et el sig. Marchexe havia una zornea di restagno d'oro, et avanti lui era uno forzier coperto de panno d'oro, dove el se inzenochiava. Il stendardo era posto in mezo il pavion, et baston d'arzento sopra l'altar; et fo cantato una solenne messa, con cantadori, pifari, et trombe venuti de qui. Et, fornita, fo portato el baston a Zorzi Emo, el qual dovea far le parole, et il stendardo. El qual apresentò a ditto Marchexe, per nome di la Signoria, dicendo con [553] gran gravità, che la Illustrissima Signoria per li soi boni portamenti et opere havia diliberato ornarlo del ditto capitaniato zeneral, zoè dil titolo di tutte le sue zente d'arme, et decorar Soa Excellentia di l'insegne dil sceptro et vexilo dil protetor nostro San Marcho, a conservation et mantenimento dil Stato di essa Illustrissima Signoria, a honor et perpetua gloria de Soa Excellentia, et a confusion de tutti li inimici de quello Illustrissimo Stado, con altre parole di questa substantia. Et lui rispose: Magnifico ambassador, a mi par impossibele poter responder a le parole de Vostra Magnificentia, ma dirò ben che non per merito alcun quella Illustrissima Signoria, ma per l'amor et benivolentia che quella li portava, la se havea degnà de honorarlo de tal insegne, dil baston et honorifico vexillo. Lo qual con gaiardo et forte animo lo accepto, sperando far tal opere, che la Illustrissima Signoria cognoscerà haverlo conferito a persona che li mostrerà qualche bon fructo, preponendo el ben, utele et comodo de quello Illustrissimo Stado a la vita propria, et in fino nel corpo di mia madre era servidor de la prefata Illustrissima Signoria. Potrà haver uno capetanio più praticho de mi, ma di fede tale mai lo troverà al mondo. Et finito, tutti andono al suo lozamento; et li ambassadori veneno alozar con li Provedadori, et la sera fo convidati li zentilhomeni a zena col capetanio a uno suo pavion, et cussì poi la mattina a disnar alcuni andono etc.

In questa notte passata, el sig. Galeazo, capetanio dil Duca, et el conte di Petigliano andono asaltar li borgi di Novara con zercha 8 in X milia persone, tra cavallo et piedi, da diverse bande, per brusarli si tenir non li potevano. Et da una banda esso sig. Galeazo con 5000 alemani et 400 cavalli, da l'altra el conte de Chaiazo con alcuni altri pedoni et cavalli, da la parte verso Vegevene la nostra zente col conte di Petigliano; et l'hordine era di andar do o ver tre hore avanti zorno, ma non andono ducheschi se non a l'alba. Et cussì nostri, acostati a ditti borgi, principiò a fichar fuogo in alcune caxe, et con i nimici principiono a scharamuzar. Fonno rebatudi fino a le terze sbare, per modo comenzono a trazer bombarde, passadori et freze; li nostri con schiopeti et passadori. Et in questa baruffa fo morti de' nostri zercha 200, feriti alcuni; et da una spingarda fo morto Alvise Lanza, contestabele nostro; li altri moriteno, fonno alemani dil campo duchescho, et de' nostri zercha 64; et, si asaltavano a l'hora deputata, nostri certo ottenivano li borgi.

In ditto zorno, di 15 ditto, zonse lettere di la Signoria di 12, cometeva dovesseno nostri far corarie fino a Verzei, brusando etc., [554] perhò che li ducheschi numquam havia voluto, dicendo Madama di Savoia era parente dil Ducha, et non era bon farli danno, perchè era costreta a far quello la faceva, non potendo resister a' franzesi.

Item, questa sera zonse el nontio dil Pontifice in campo con la scomunega dil Re di Franza; era mondano, et mandò uno dal Re a dimandar salvo conduto.

Per uno preson nostro, era in Novara, rescatato et pagato la taia, vene in campo et referite esser gran fame in la terra; masenavano a man, non haveano vin se non chara 5 in tutta la terra, assa' amalati da ponta. Et questa notte, tre hore avanti zorno, alcuni cavalli di Verzei con farine intrò in Novara; et che si aspettava venisse il Re a darli soccorsso.

A dì 16 ditto, li Provedadori fece lezer la lettera di la Signoria al capetanio, andati a soa visitatione con li oratori. Et disse, era stato sempre di questa opinione; et che se dia etiam el guasto a Novara, con mortari et mangani trazer a la terra; le bombarde grosse, erano mia cinque di là de Vegevene, di l'hordine dil Duca fo tornate ivi.

Item, 100 alemani, fuziti dil Re, nostri soldono con fiorini de Rens 4 al mexe per uno. Et li do capi referite esser tre settimane erano partiti di Aste, dove era il Re con persone utele et inutele 13 milia; haver solum 3000 alemani, di qual eran scampati 1500; tamen poi li zonse altri mille et ducento, et quelli fuzino fo per non haver le so page.

Item, che 'l Re havia mandà in Franza per danari, ma non li havea potuto haver, però che dicevano, vollevano prima Soa Majestà vadi in Franza, poi faranno quella deliberatione li parerà; et ch'el Re volleva venir, passà questo caldo, a Verzei, a far la massa, poi socorrer Novara.

Item, zonse in campo nostro 200 elemani, venuti di Elemagna per haver soldo, et per conseglio de domino Zorzi di Pietra plana, capetanio di li elemani ducheschi, nostri li asoldono. A tutti fo dato sacramento per el ditto Zorzi, juxta el solito, di fedeltà; tamen haveano poche armadure.

In questo zorno zonse in campo Orssato Morexini, pagador, con ducati 18 mille. Li andò contra Bernardo Contarini con alcuni contestabeli et stratioti.

Quello andò a Turin, per tuor il salvo conduto per il Nontio dil Papa, ritornò dicendo bisognava saper la sua nome.

Per do sacomani de Reame, era con Zuan Jacomo de Traulzi, [555] fuziti di Verzei, venuti qui, et riferiteno li soldati taliani in Verzei esser mal voluti da' franzesi, et che alozano separati da loro, et in tutto sono da 8 in 10 millia persone, tra le qual 2000 alemani et alcuni guasconi; et che era zonto, za tre zorni ivi, el sig. Constantin Arniti, venuto da Monferà con cavalli 40, et aspettava il resto fin 100 homeni d'arme; cento era con il Traulzi, el resto franzesi; et vollevano metter li pavioni fuora di la terra, ma pur terminono de aspettar el Re; tamen haveano gran paura de stratioti; dopoi che i preseno i ballestrieri dil Traulzi, dicevano voler venir contra nostri e intrar in Novara.

A dì 17 el Duca de Milan scrisse in campo, esser contento si cora a Verzei, et si riportava al suo capetanio; et cussì consultato, el conte de Petigliano et el conte di Chaiazo erano di oppinione. Ma pur el sig. Galeazo slongava.

El capetanio zeneral nostro, migliorato, ussì di lo alozamento, et vene da li Provedadori; tamen non era ben varito.

In campo nostro era za zonti 40 homeni d'arme di la conduta dil Duca di Gandia, sotto questi, videlicet: sotto il conte Christofaro di Gonzaga, numero 20; sotto Iacomo da Poiana, vicentino, numero 8; sotto Zenon Avogaro, da Treviso, numero 8; sotto il Zenoese, era con il prefetto, numero 2, et do altri separati. Questi erano mediocremente a cavallo, ben armati, atti homeni a cavallo, ma in arte militar inexperti, dil Zenoese in fuora. Haveano habuto ducati 30 per curaza da domino Aloysio Becheto, orator dil Papa qui a Venetia.

Venne Francesco Grasso da Roma, et 4 contestabeli, zoè Zuan da Feltre, et tre altri. Li Provedadori li tolseno, et li dette 100 provisionati per uno, zoè di 150 page di Alvise Lanza, et 100 di provisionadi fo dil Cicogna, el qual era partito senza licentia. Item pagò 200 di Bernardin di Ugoni, era amalato et partito di campo. El residuo di quelli fo di Zuan Biancho de Sicilia et di Zuan Anzolo di Urbino. Et a li presone de li contestabelli deteno provisione; et oltra di questi fanti, la Signoria scrisse dovesseno far 200 elemani, non potendo haver nè desviar quelli era con il Re et duca di Orliens in Novara; et li Provedadori li mandono a far, come dirò.

A hore 3 di notte zonse una spia di Verzei, et notifichò come dovea venir cavalli 300 di farine per entrar in Novara, li qualli doveano partir a hore una di notte, e far più di 20 mia quella notte, e venir in la terra, e slongava la strada X mia per andar per vie [556] sigure. Et el capetanio zeneral subito, licet fusse amalato, montò a cavallo et fece metter in hordine le zente, zoè 700 homeni d'arme, et Bernardo Contarini dete la mità di stratioti et alcune fantarie. Et a hore 4 andono a la volta di Vespola, mia 5 dal campo, versso Vegevene, perchè doveano ditta scorta et vittuarie far quella via. Anchora in quell'hora montò a cavallo el sig. Galeazo, capetanio zeneral dil Duca de Milan, con homeni d'arme 400, fanti alemani 5000, et esso Bernardo Contarini con il resto de stratioti; et andono a la volta di Novara, in su la strada maistra versso la montagna, e lì dimorò per fino a do hore di zorno. Visto non pareva niuno, el sig. Galeazo ritornò, et cussì etiam era ritornato el capetanio. Ma Bernardo Contarini, desiderando con li stratioti di far qualcossa, andò per quella strada maistra versso la montagna, et, chavalchato mia 8, si voltò per costa verso Verzei, visitando molti castelli, era prima dominati per franzesi, ma per stratioti reaquistati; et, acostato a uno castello chiamato la Badia, mia 3 vicino a Verzei, et non potendo haver alcun li venisseno contra, se non che trovò in una ara cinque franzesi con assa' femene che tribiava; et li franzesi volendo scampar, li stratioti li azonze con le lanze in la schena, ne amazono tre, do feriteno a morte, dei qualli non si potè far alcuna examination. Et cussì ritornò stratioti a li loro alozamenti.

Quelli di Novara mostrava fuogi et li studava, poi di novo li apizavano; per i qual signalli dimostrava esser in gran necessità, dimandando soccorso da Verzei.

A dì 18 ditto, essendo stato la notte avanti el capetanio zeneral nostro per aspettar venisseno quelli cavalli con le vittuarie, et non essendo venuti, dubitando la notte seguente non venisseno, mandò el conte Carlo de Pian de Melletto et Carlo Secho con bona suma di zente su la strada, da la qual via havevano più sospetto.

Fo principiato a far uno bastion a presso la terra, et, per non haver guastadori, non se compite sì presto; unde li Provedadori rescrisse di novo a Milan li mandasseno, perchè non era venuti di 2000 se non 200, li qualli erano stati do zorni et fuziti; et, volendo dar el guasto, necessario era esservi guastadori.

Item, fo comenzà a far uno fosso per fortifichar el campo, et continue lavoravano; ancora fo principiato a dar il guasto a la terra da uno canto.

Et a hore 4, nostri inteseno era ussito di Novara più di 500 cavalli a la liziera, e fuzivano verso Verzei; et quei di la terra, a [557] hore 2 in 3, trete molte bombarde præter solitum, et levono 3 volte fuogo in zima di la torre, poi lo smorzò. Et el capetanio, inteso questo, subito montò a cavallo a la liziera con assa' cavalli, et andono driedo di questi fuzivano. Quello seguite, intenderete.

El messo, andò a tuor dal Re el salvo condutto, non era ancora ritornato, et el Nuncio pontificio stava lì in campo.

A dì 19 ditto, per tre vie, nostri haveno nuove di Verzei. Prima, a mezo zorno, zonse uno fo mandato per Tadio da la Motella a Verzei e a Turin, et referì esser partito a dì 16 da Turin, dove el Re con la so corte era, et spesso andava a Chier per veder la inamorata soa. Item, di Franza non era venuta zente, ma ni anche si aspetavano; et che da Turin fino a Verzei era alozate da 4 in 5 milia persone, in Verzei 8 in 10 milia; in tutto, el Re se ritrovava haver da XV in XVI milia persone, in tutto, tra utele et inutele, senza quei sono in Novara; et che se dicea volea venir a trovar il campo, et socorrer Novara. Et che el Duca de Savoia steva malissimo.

Item, a hore 22, el capetanio zeneral have per do soi trombetti, venuti da Verzei, come in questo zorno era zonto ivi 8000 elemani et 1800 homeni d'arme, et che volea venir asaltar lo nostro campo di notte da tre lai (lati) a un tempo; da Verzei, da Novara, et da un'altra via; tamen per questo nostri non hebbeno paura, ma avevano con grande....; et el capetanio havia ordinato li collonelli, e tutto.

Item, a hore una di notte vene uno vexentin, bandito di Vicenza, chiamato Basilio de la Scuola, el qual era stato in campo dil Re, et ozi, partito di Verzei mostrando andar a Turin, vene da' nostri et refferì a li Provedadori esser in Verzei lanze 1000 tra franzesi et taliane, elemani zercha 5000, con alcuni guasconi, borgognoni, savogini et paesani; in tutto, con quei è col Re, persone 15 in 16 milia; et che aspetavano el Re là per tutta questa altra settimana; et che ogni zorno andava in Verzei do homeni d'arme ducheschi a parlar con quelli baroni. Item, che hanno mandato el balio del Degiun a condur gran numero de elemani; tamen era ito con pochi danari; et era mesi cinque li provisionati non havia habuto denari; et a Verzei era zonto el Maraschalcho de Giaè et altri gran maestri, per veder qualche bon lozamento, per metersi col campo fuora di la terra; altri diceva era venuto per dar la paga.

[558]

Zente da cavallo et a piedi si ritrovava in Verzei, sì come riferite el vicentin sopra ditto.

Mons. de Fois, locotenente dil Re lanze 60
La compagnia dil Duca di Orliens » 60
Compagnia di mons. di Lignì, cuxin dil Re » 100
Compagnia di mons. l'armiraio di Franza venuto » 100
Compagnia di mons. Arbereto venuto nuovamente » 50
Compagnia dil Grand Venor, idest cazador, ut supra » 50
Compagnia di mons. di Borbon venuta, ut supra » 50
Compagnia porta castroni per insegna, venuta ut supra » 50
Mons. di Guisa » 50
Mons. d'Alban » 50
Mons. d'Armansa » 50
Mons. d'Auson, fratello di mons. de Obegnì » 50
Mons. di Serva » 50
Compagnia de mons. de Verzì » 30
El balì.... d'Auson » 20
Mons. de Beumon » 40
D. Zuan Jacomo di Traulzi » 40
 
  Summa lanze 900

Cavalli lizieri numero 1000; et questi hanno do arzier a cavallo per homo d'arme.

Homeni da conto è ivi.

[559]

Fantarie.

Tra todeschi, savoini, guasconi, piamontesi et altre generation, zercha 5500.

Artilarie.

Serpentine numero 5, di 8 pie' et mezo in circa longe, traze ballote di ferro de lire 35, a unze 18 la lira.

Colovrine, zoè passavolanti, numero 4, di 12, 13 et 14 pie' longi l'uno, traze ballote di lire 22 et meza.

Falconi, a modo spingarde, numero 14, traze ballote di piombo di lire 10 in 12 l'una, sono longe pie' 7.

Item, per quanto inteseno li Provedadori da quel messo di Thadio di la Motella, era intrati quella mattina, a dì 19 Avosto, 40 cittadini di Novara in Verzei. Fu fatto duplicar le guarde et scolte dil campo, et ordinato steseno vigilanti, a ciò nostri non fusse intercepti.

Havendo la Signoria nel conseio di Pregadi preso, a dì... Avosto, di dar al conte di Petigliano in tempo di pace ducati 33 milia, et in tempo di guerra el terzo più, zoè ducati 44 milia a l'anno, et tegni le zente proportionate al stipendio, et questo per anni 5 et uno di rispetto in libertà di la Signoria, et titolo di governador, perchè non si havia potuto acordarlo con quello li Provedadori li offerseno al principio; et a dì 19 era stati a parlamento. El qual dicea havea col Re di Napoli in tempo di paxe fiorini d'oro 33 milia, a incoronati ij per fiorino, eran carlini 12, zoè lire 6 de nostra moneda, et in tempo de guerra la mità più, et perhò non volleva acceptar quello nostri li offeriva, ma dimandò licentia; tamen, dicendo volleva star ancora X o ver 15 zorni in campo per far cossa grata, et li Provedadori li dete per avanti ducati 500, juxta li comandamenti di la Signoria.. Et in questo zorno, a dì 19, ricevuto lettere di questo, ditti Provedadori volseno parlar con esso conte, el qual pregò che per do zorni non ne parlasseno alcuna cossa, per esser li cieli mal disposti, però che è homo segue molto astrologi et hore. Et cussì restono; poi parlono, et concluse come dirò.

Et in questo zorno ritornò el messo andato al Re per il salvo conduto, et il Re non li volse farlo. Ma quelli soi gran maestri li disse: Fa el nontio vegni sopra la nostra fede. Et cussì ditto messo [560] la matina seguente, abuto cavalli da' nostri Provedadori, se partì et andò dal re; tamen non li apresentò el breve, et rimase de li soi, come dirò di sotto; e più non ritornò.

A dì 20 ditto fo consultato da li Provedadori con el capetanio, conte di Petigliano, et li ducheschi, però che dubitavano di non esser asaltadi da' franzesi, sì da quelli erano a Verzei, quam di li altri di Novara. Et el conte di Petiglian disse, li pareva, essendo el Re più grosso de nui, de non aspettarlo lì. L'opinion dil conte di Chaiazo era, che 200 homeni d'arme et 500 fanti, era in Trechano, venisseno in campo, et ivi rimanesse Zuan Griego con li soi ballestrieri a cavallo et 100 fanti. Et concluseno cussì, perchè el campo si augumentasse. Item, che da poi manzar el conte di Petiglian et il conte di Chaiazo dovesseno andar a veder li alozamenti de Monteselli, do a mia luntan dil campo più al basso, o vero inquerisse qualche altro più securo lozamento.

In questo zorno fuzite in Novara zercha 20 ragazi de li stratioti con li soi ronzini, et fo ben ricevuti dal duca d'Orliens, et datoli ducati 6 al mexe per uno et le spese; et questo per non haver auto el suo dover da li soi patroni, i qualli haveano tochato lhor page.

Li Provedadori have lettere di Pavia di Piero Michiel, provedador, conduceva le zente dil sig. di Pexaro in campo, governate da suo fratello sig. Galeazo, zoè 80 homeni d'arme et 60 ballestrieri a cavallo, et acelerava el camin. Et a dì 22 da matina zonseno in campo. Et Piero Michiel, sopra ditto, poi partì di campo, zonse a Venetia a dì 2 Septembrio.

A dì 21 ditto, da matina, stratioti andò a imboscarsse a presso la terra; et ussite fuora alcuni cavalli franzesi a la liziera, con i famegij o ver ragazi de li stratioti ivi fuziti; et pocho lontano di la terra stratioti erano ascosi ussite, et li dete driedo fino a li repari; et de li soi famegij, che volseno pur contrastar, do di fatto fo morti in la scharamuza, do fo presi, uno di qual era ferito su la testa mortalmente, el qual, menato in campo, morì. Fo feriti do altri, et uno franzoso; et stratioti dimandò a li Provedadori, quel suo famegio prexo, a exempio de li altri, fusse impichato subito. Ma Piero Busichio lo dimandò lui di gratia li fusse concesso lui medemo lo impalasse, per metter terror a li altri. Ma li Provedadori non volseno, et lo fece impichar.

In questo zorno, da poi manzar, li fanti di Chozanderle, todescho, si levò a remor, dicendo volleano danari, et esser satisfatti di [561] le spexe haveano fatto nel venir in campo. E li Provedadori con bone parole li disse, non esser tempo di la paga, et al tempo ge saria data. Et loro non volendo questo, mostrò adunarse insieme et volersse partir, andando su certa pianura, et ivi steteno fermo. Et vedendo essi provedadori Chozanderle haver da loro pocho ubidientia, mandò a pregar domino Zorzi di Pietraplana, capetanio di elemani ducheschi, che andasseno a tasentarli et farli ritornar, mediante la sua reputation, la qual era assa'. El qual subito andò, et li fece ritornar, per esser molto reverito; et si questo non fusse, in campo non si poria governar todeschi.

Per uno eleman fuzito di Novara in questa matina, se intese in la terra esser gran fame; ogni giorno ne fuziva X in 12 elemani al troto, andavano a la volta dil monte; non haveano pan ni vin, ma formento, et non pono masenar a man a suficientia per tutti; et che viveano di carne et formazo, bevevano mosto, et pocho ne era; et assai de li animali era in la terra, per necessità morivano ogni zorno più di un paro.

Essendo andati, come scrissi, el conte di Petiglian et conte de Chaiazo a veder il lozamento di Monteselli, tornati, riferiteno non esser buono; et ozi andono a veder uno altro. Et tornato el conte di Petigliano, li Provedadori insieme col capetanio zeneral parlono con ditto conte di Petigliano, et li offerino ducati 33 milia im paxe et ducati 44 milia in guerra, et che questa era la intention di la Signoria; et lui non volleva. Tandem li disseno, ducati 33 millia et ducati 48 millia; et esso conte pur renitente, dicendo meritava più. Et chiamati dentro Piero Marzello et Zorzi Emo, ambassadori al conte, etiam tutti lo exortono. El qual conte, conclusive, dimandò ducati 33 milia in tempo di paxe, et ducati 50 milia in tempo di guerra. Et vedendo nostri esser la differentia solum di ducati 2000 in tempo di guerra, Luca Pixani, provedador, ambassadori et etiam el capetanio li promesseno ditti ducati 50 milia. Et cussì fo fermato l'acordo, et scritto a la Signoria. La qual rescrisse esser contenta. Et el conte mandò poi in questa terra Filipo di Arezo, suo secretario, Bortholomio de Vico et Antonio, suo fratello, tutti tre a far et sigillar li capitoli necessarij; a li qual dette plena comission. Et per non si poter far lì in campo instrumento di man di notaro, per non vi esser il modo, li Provedadori a dì 28 ditto conveneno scriver a la Signoria, et far fede questi venivano qui per tal causa. Et cussì esso conte fo condutto governador zeneral dil campo.

In questa sera a hore 3, essendo trate 3 o ver 4 bombarde da [562] Verzei, et quelli di Novara risposeno, el capetanio nostro dubitò per questo signal non venisse socorsso a Novara. Et poi vene una di le guarde, et disse le zente nostre, era a Chamariano, havea asaltà alcune some di vittuarie andava in Novara et quelle havia prese. Unde el capetanio subito montò a cavallo, et mandò zente dove el bisognava, et stratioti. Et ditti stratioti, pocho lontan di Verzei, se scontrò in alcuni cavalli lizieri dei nemici et X homeni d'arme, et quelli investiteno. Li cavalli lizieri si messe in fuga, et li homeni d'arme volse far testa; et, non potendo resister, voltò le spalle, et stratioti ne prese uno vivo, amazò cinque et preseno etiam 6 franzesi, i qualli havia solum el corpo di la curaza, et molti altri pedoni da 40 in 50. Driedo veniva 80 homeni d'arme da Verzei; li qual, sentito la furia de stratioti, ritornono indriedo, sì come per la confession di l'homo d'arme se intese. Quelli veramente di la guarda de Chamariano prese 12 in 15 cavalli da soma, con alcuni presoni, et sacheti di farine streti et longi, tien mezo staro nostro l'uno; etiam altri sachi di pan, carne salade, butiro et qualche refrescamenti. Et erano però assa' some, parte fu prese, come dico, parte ritornò a Verzei; per modo intrò in Novara solum X cavalli con X di quei sacheti di vittuarie. In questa scaramuza de stratioti, do de loro fonno presi da li nemici, perchè li cavalli li straportono fino in le man de essi franzesi che fuzivano.

Et li Provedadori comesse a Bernardo Contarini, dovesse examinar l'homo d'arme preson de stratioti. El qual riferite de li 80 homeni d'arme veniva, come ho scritto, era solum 2000 elemani, ma el balì dil Degiun era andato a quelle montagne de sguizari per far 8 in X milia; le altre fantarie erano piamontesi, savogini et zente paesane; et notifichò le zente ivi erano.

Lista di le zente d'arme e fantarie sono a Verzei, secondo la examination di uno homo preso, facta a dì 22 avosto, nome Francesco d'Aracurt[141].

A dì 21 ditto, di notte, el sig. Frachasso di San Severino volse licentia dal capetanio nostro et dal sig. Galeazo, suo fratello, capetanio di Milan, di poter andar a far una coraria in certo loco, dove teniva el suo disegno anderia bene. Et la licentia habuta, andò con più di 100 homeni d'arme sul Verzelese, et fece uno bellissimo et [563] richo butino, et la notte driedo ritornò in campo con il buttin di più de 200 animali grossi, piegore 900, et presoni 22 da taia. Et questo fo il principio di correr su quel di Verzei, per la qual cossa, madona stava alquanto suspesa. Et ditto Frachasso vadagnò assa'; se divulgava prima fusse andato dal Re, ma ritornò con ditto butino in campo.

A dì 22 ditto. Hozi, essendo stà comandato per el capetanio 100 stratioti de la compagnia che era con Piero Duodo, provedador, di andar a le scolte a l'alba dil zorno; andati, se incontrorono in 8 homeni d'arme et 50 balestrieri a cavallo et cavalli lizieri, ussiti da Verzei, con animo di andar ad asaltar Chamariano, dominato per nostri, qual è castello di Savoia, dove era 25 homeni d'arme, 100 pedoni. Et tre mia lontan dil campo verso Verzei scontrati, fonno a le man. A la fin nostri fo vincitori, cazando ditti homeni d'arme fino a Verzei, morti di loro 8 et tre homeni d'arme presi, et cavalli lizieri 35, tra li qual uno homo d'arme da conto, zentilhomo, et altri 6 armadi con il corpo di la curaza, il resto tutta zentaia et homeni desuteli. De stratioti fo presi do et uno ferito.

A dì 23 ditto, havendo per avanti scritto la Signoria in campo si dovesse far 2000 elemani, per via di domino Zorzi di Pietraplana, et cussì ditto domino Zorzi li mandò a far. Et essendo il tempo di mandarli a levar, et darli fiorini di Rens do per uno lì, et do come zonzevano in campo, unde ritrovandossi in campo venuto a veder uno nostro patricio..... Valier, parsse a li Provedadori di cometterli tal faticha, di mandarlo mia 50 de lì fino a..., per ditti elemani, et più in là si 'l bisognava, per levarli, pagarli et farli venir in campo. El qual patricio, vedendo era necessario per servir la Republica, libentissime questo cargo acceptò. Et cussì in questa matina, a dì 23, si partì con li danari et uno fameio et tre altri in sua compagnia; et, datoli scorta, lo accompagnaseno mia X lontan dil campo, andò al suo viazo.

Vene lettere di li capi dil conseio di X, che li Provedadori non scrivesseno a persone private nove alcune, juxta la leze era; et questo per certi remori di parole fo ditto a Venetia; et li rescrisseno erano contentissimi.

È da saper che, havendo a dì 22 ditto, a hore 3 di notte, li Provedadori scritto, juxta il consueto di una lettera al zorno, a la Signoria, el corier fo pigliato da i nemici di Novara, o fusse franzesi o villani, et tolto le lettere le averzeno, et parse di mandarle a Verzei, poi dal Re, per tre villani. Li qualli, ita volente Deo, fo da alcuni [564] nostri fanti a pe' presi, et toltoli le lettere. Li quali li offerse a ditti fanti ducati 50, et liberasse colui portava le ditte lettere, le qual ancora nostri non le haveano acatate; ma visto, voluntarie se dava tanta taia, lo zerchono e trovoli queste lettere, et lo condusseno in campo a hore una di notte, et presentate le lettere di Provedadori insieme con altre lettere franzese, scritte per el Duca di Orliens al Maraschalcho de Giaè, a mons. di Pienes, a mons. de Fois et ad altri, tra le qual ne era tre in zifra. Su una era scritto li 600 elemani in Novara erano intrati, ma non le vittuarie; solum cavalli 10 con alcuni sacheti di farina streti et longi, da tener davanti l'arzon, de 400 sachi i erano, e alcuni.... de vin e altre cosse da manzar. In altre lettere si conteniva li dovesse mandar danari per dar a le zente da pe' et a' cavalli, zoè ducati 24 milia, come se referiva a quelle in zifra. Per un'altra significhava, come havia preso questo cavalaro con lettere di Provedadori, le qual le mandava a mons. de Fois in Verzei, che le lezesse et monstrasse a tutti dil suo conseio. Et la copia di le lettere in zifra li Provedadori mandono a la Signoria a dì 25, et ditti villani fonno messi in cepi per farli impichar. El corrier non intendevano dove si fusse. Quello sarà, scriverò.

In questo zorno, dovendo partirsse dil campo per ritornar a Venetia Piero Marzello et Zorzi Emo sopra nominati, et il Marzello si amalò e rimase a li Orzinuovi, et l'altro vene di longo, et acompagnati da Bernardo Contarini con 350 stratioti ditti oratori fino a Monticelli, mia 3 distante dil campo, et tolto licentia, esso Bernardo Contarini si voltò in zoso verso Verzei, et cavalchò con ditti stratioti fino mia 8 di là da Verzei, scorzisando tutto quel paese. Et havendo gran voluntà de scharamuzar, quel zorno se redusse sopra una colina, circondata di una bellissima campagna, et ordinò le guardie prima sul fiume, poi ai passi di le strade, et mandò fin su le porte di Verzei zercha 50 cavalli. Ma quelli di la terra mai volseno ussir fuora. Et vedendo stratioti che non ussivano, 100 di loro corse quasi fino a Turin, zoè sino sopra il fiume chiamato la Sciesa, et tolseno zercha cai 600 de animalli, tra grossi et menudi, et li condusseno a salvamento in campo, che niuno non li vene in contrasto. Et questo fo la matina.

El Duca de Milan mandò a drezar il suo pavion, et preparar il suo lozamento per venir in campo.

A dì 24 ditto, in campo se ritrovava molti amalati, per il manzar de fruti, et senestri patidi, sì homeni d'arme, contestabeli, quam fanti; dei qual ne era solum 2500, tra provisionadi et page da guazo, [565] et questo per esser molti fuzidi. Unde la Signoria scrisse, el remedio di tenirli era darli la paga ogni 12 zorni.

In questa matina, per do fanti italiani fo preso uno frate di San Francesco, ussito di Novara, el qual arcogieva fasuoli et pome per portar in la terra. Et menato dal capetanio, li fo dato da disnar; et, examinato, referite in la terra esser gran necessità, et franzesi havia tolto quello havea da viver essi frati, et etiam uno monasterio di monache, per modo li soi frati non haveano che viver, et conveniva far cussì per viver; et che principiaveno a divider le carne per cadauno, et ne era pocha; non haveano pan, et viveano de fruti et fasuoli; masenaveno con molini a man, et il zorno masenavano pochissimo; ne era assa' amalati; e tal zorno al suo monasterio fo sepeliti 17 franzesi; et che aspettavano franzesi el Re de dì in dì li desse socorsso; el Duca di Orliens smarito in la ciera et di mallavoia. Hor li fo ditto vedesse, per via dil suo guardian, di far li habitanti si rendesse; et cussì fo lassato.

Questa matina ussite di Novara zercha cavalli 200 per andar a Verzei; ussite per fame. El capetanio con li ducheschi li andò contra; unde, vedendo franzesi haver obstaculo, se ritornorono in la terra; tamen, zercha vinti cavalli passò, et andono a Verzei.

Ancora in ditta matina Piero Busichio, uno di capi di stratioti, andò con cavalli 100 a la volta de Verzei, et fece prede de alcuni animali grossi et menudi, in tutto zercha 400, et li condusse in campo senza contrasto.

A hore 22 li fanti todeschi di Cozanderle si levono a remor con li fanti italiani nostri, et fonno a le man; ne fo morti di una parte et l'altra X in 12, et fo ferito in una cossa da uno schiopetto Marco da Rimano, contestabelle, et mediante el capetanio et conte di Petigliano, governador, fo cessato ditto remor, et Cozanderle, suo capo, non se ritrovò, per esser andato a visitation di domino Zorzi di Pietraplana, era amalato.

A dì 25 ditto, essendo andati quasi ogni notte stratioti a la guarda, perchè non intrasse vittuarie in Novara, et non havendo trovati, erano quasi desparati. Et inteso Bernardo Contarini, che dovea ussir 2000 cavalli di Novara in far la scorta a zerte vittuarie veniva, montò a cavallo da prima sera con li stratioti, et andò a uno passo, distante dal suo lozamento mia 3; ancora fonno mandate per el capetanio le zente d'arme per altri passi, adeo era impossibile a li nemici a passar senza contrasto. Et, a hore 2 di notte, le scolte vene dal ditto Contarini, dicendo haveano udito una gran chavalchata [566] do mia di sotto di le poste sue; et mandato a dir al capetanio dovesse far star provisti li homeni d'arme, che la chavalchata era passata, li andò driedo a le peste, per modo che, seguitando le peste, li azonseno al passo di una certa aqua, et di là di l'aqua era la nostra zente d'arme. I qualli subito cridò: Marco! Marco! credendo fusseno 2000; et li nemici sentendo, bandonò le vittuarie et si messeno a fuzer; et, per esser notte, nostri have gran fatiche a trovarli; li andava zerchando per le machie, et nostri si corevano l'uno driedo l'altro, credendo fusse franzosi. Bisognava cridar: Marco! Marco! et il nome haveano stratioti, zoè: San Valentin! Et tandem i nemici forono tutti presi. Se dice erano 35 homeni d'arme et 100 ballestrieri; et preseno tutte le vittuarie; et fo gran danno a la terra, che con grandissimo desiderio le aspettaveno. Et da poi fece correr stratioti fino di là de Verzei, et fece butini di 100 cai de animali grossi, et si scontrono in 8 chara di vin andava in Verzei, et li sfondrò le botte e spanse el vin; unde in Verzei montò il quarto più di quello valleva el vin; et tanti animali haveano stratioti, che vendeteno ducati uno l'uno.

A dì 25 ditto, per decreto dil conseio di X, fo mandato Alvise Manenti, secretario di ditto conseio, in campo; alozò con li Provedadori. La caxon fo secreta; stette alcuni zorni, e ritornò.

In questa notte, ussite gran numero di cavalli di Novara, et andati a Verzei; e tanto era la gran fame haveano, che, zonti ivi, si mettevano a manzar tanto, adeo morivano.

Per lettere di Vincenzo Valier da...., se intese che de li alemani ducheschi fuzia a 50 et 100 al trato, et haverli scontrati; et questo per non haver le sue page al tempo dal Duca.

Vene in campo guastadori mandati per il Duca; fu cominziato a far fossi et bastioni, per assecuration dil campo.

Fo portato in campo ducati 20 milia per dar la paga etc. Et per lettere di 23, la Signoria scrisse dovesse el campo star fermo dove era, et non si movesse, per non dar animo a li nemici, et che i guastadori hanno decreto et scritto, si fazi a Brexa, Bergamo et Crema, e sia mandà in campo; et intendendo el bon portamento de stratioti, scrisse a Bernardo Contarini, laudandolo summamente, et che non andasse tanto avanti, e dovesse vardarssi la persona, et confortar et abrazar li stratioti da parte dil Principe per inanimarli. Et cussì fece. Ma el Duca de Milan scrisse in campo, non volleva si facesse più corarie su quel di madona di Savoia; et in execution di le sue lettere, a dì 28 ditto, fo publichato una cria da parte dil nostro [567] capetanio et Provedadori; tamen la Signoria scriveva dovesse perseverar stratioti in tal incursione.

El capetanio zeneral nostro have per spie, questa notte dover partirssi da Verzei 4000 alemani, et venir a soccorrer Novara; unde terminò obstarli, et mandò zente a tutti i passi e strade. Et venendo in ditta notte, per la via erano le guarde, et discoperti, Thadio da la Motella, con la compagnia coionescha, li andò contra, e trovò zente d'arme et fantarie inimiche, e cavalli con vittuarie; et investite, et sacomani havea sacheti longi di farine; altri barileti de vin longi et stretti; altri carne fresca et salada, et polami cotti; et non potendo alcuni fuzer sì presto, saltono di cavallo per sconderse in le machie, lassando li cavalli con ditte vittuarie solli; et nostri prese in questa baruffa 25 homeni d'arme in 30, dei qual era do cavalieri, homeni di condition, et li menono in campo con li elmetti in testa. Sette di loro erano a cavallo, scosi ne le machie, aspettando la notte per poter fuzir; et etiam le vittuarie fonno tolte, et nostri soldati trovono adosso questi, sì homeni d'arme quam sacomani, molti danari. Item, preseno uno secretario dil bastardo di Borbon, è in Novara; el qual havea una busteta apichata a l'arzon dil cavallo, ne la qual era ducati 500; et per paura si butò da cavallo et fuzite, lassando el cavallo con la busteta e danari, li qual fo tolti per nostri. Et questo fo a dì 26 avosto, in mane.

A dì 26, quei di Novara teniva tutta la notte fuogo in zima la torre; la causa non si sapeva, si judichava volesse soccorso. Li presoni, presi come ho scritto, fonno examinati; li qual riferiteno, erano 35 homeni d'arme, 100 pedoni e cavalli molti de vituarie, venivano versso Novara; capetanio era mons. di la Palissa et mons. de Satiglion, et non sapevano si mons. de la Palissa era venuto, però lo lassono a la porta de Verzei, ma ben era mons. di Satiglion con loro. Item, si ritrovava esser in Verzei 600 lanze, senza quelle era col Re con la sua guardia; la qual è 100 lanze, 400 arzieri et 200 ballestrieri a cavallo; de fanti era in Verzei zercha 5000, tra elemani et altre generation, savoini, piamontesi, guasconi etc. El Re se ritrovava a Turin, e andava spesso a Chier; et che era partì 400 elemani per andar a Provenza, per passar a Napoli in soccorsso di castelli; et che era in ville tra Turin e Verzei molti amalati franzesi, ascosi nelle machie, et alcuni fanti, li qualli da li ragazi et villani dil paexe erano presi et condutti in campo. Et cussì a dì 30 ditto, mandono a Crema franzesi ij et arzieri 6 in castello a custodia, ordenando li fusse dato da manzar solum pan et vin. Et fo dato a [568] tutti la so taia; poi ancora fo mandati de li altri, et etiam ducheschi mandono a Milan, a dì 31 ditto, pedoni 53; et questo perchè el Ducha ordinò cussì fusse mandati.

Per uno messo di Anzolo Francesco da Santo Anzolo, venuto di Verzei, se intese, per haver stratioti spanto quel vin, come ho scritto, era cresciuto el vin un quarto più di danari la mesura; et tutto il paese era in fuga per causa de stratioti, et che quei di Novara, vengono lì per fame, tanto manza che moreno.

A dì 27 ditto, li ducheschi have una lettera da uno suo capo di fantarie, in uno castello mia 3 a presso Fontane, advisava, un bon numero de cavalli et elemani se reduceva a....., nè sapeva ad quid; et che si dovesse far provision, dubitando di la rocha di Fontane, licet fusse forte. Unde, andati dal capetanio et Provedadori, deliberorono di mandar questa notte 100 homeni d'arme con 100 cavalli lizieri et 200 fanti a sopraveder, et Fontane è mia 12 dil campo, con hordene dovesseno star pocho, et poi tornasse.

El conte de Petigliano si fece uno pocho di mal a una gamba, tamen veniva da li Provedadori a consultation. Et la Signoria scrisse a li Provedadori che ditto Conte facesse 500 provisionadi, stesse sempre a presso la soa persona. Item, a dì 25 ditto, scrisseno, per li boni portamenti de domino Zorzi de Pietraplana, capetanio di elemani ducheschi, li Provedadori dovesse, nomine Dominii, donarli fiorini di Rens 300.

A dì 28 ditto venne in campo uno ambassador di la Duchessa di Savoia, dolendossi di le corrarie si faceva, et che questa madona non aspettava, essendo amiga di la Signoria, et consanguinea dil Duca de Milan, et che, fino hora, lei havia messo ogni sua forza a far ogni ben.... con il Re, et tamen li era stà tolti castelli per quelli ducheschi, et scorsizato el paese. Et che il Re, inteso questo, li havia ditto che, al presente, era tempo di romper et non aspettar più, et che fin pochi zorni la dominarave 4 castelli dil Ducha; perhò pregava el capetanio nostro et Provedadori non facesse far più corarie, perchè ancora lei poteva far danni su quel di Milan; et che dovea andar a Milan a dir etiam questo al Ducha. El capetanio rispose, poi che l'andava a Millan, el Duca li faria risposta conveniente; ma che si havea fatto comandamento non si facesse più corarie sopra quel di la sua Duchessa, fino non fusse ordinato altro. Et ditto orator restò assa' satisfatto, et tolse licentia, et andò a Milan.

Anchora, in questo zorno, vene in campo uno todesco di Strozpurch, zornate 12 lontano de lì, a uno...., capetanio di elemani [569] 3000, era nel campo duchescho. Et referite, li elemani era col Re de Franza esser partiti per comandamento dil Re di Romani, et tornati a caxa. Item, che era zonto a Strozpurch cavalli 2000, et fanti 5000 di esso Re de Romani, venia in campo in soccorso nostro, et che de lì za erano partiti, venendo di longo. Questo era il Ducha de...., veniva in campo, come per lettere de li oratori nostri a esso Re se intese dovea venir.

Per uno venuto in campo, mandato a li Provedadori per Thadio da la Motella, el qual habitava a Turin, refferì, come a dì 28, a hore 15, el Re fece conseio, et, disciolto, vene fuora mons. de la Tremoglia et mons. di Bres, et che lui sentì dir a mons. de la Tremoglia versso mons. di Bres: El Duca de Millan zercha far apontamento con il Re nostro. Et mons. di Bres rispose: Io el so; ma voria più presto si fesse questo apontamento con la Signoria de Venecia, che con il Moro traditor. Item, che era con el Re 400 arzieri et zercha 100 homeni d'arme e alcuni zentilhomeni de Franza, ch'è la soa guardia; et in le altre ville, da Turin fino a Verzei, era zercha 3000 persone, et in Verzei haveano fatto la description di fuogi; trovò numero 1500; et partivano le zente a tanti per fuogo, zoè 5 homeni per cadaun fuogo, tra uteli et inuteli.

Item, ch'el Re vollea mandar a soccorrer Napoli alcuni cavalli et certi pedoni per mar; et in Verzei era gran numero de amalati, et tamen dicevano voler far gran cosse.

In questo zorno i nemici corsse a uno locho dil Ducha de Milan, chiamato Palestra, tolse animali et amazò tre villani; et, fatto pocho danno, ritornono a' soi lochi.

In ditto zorno zonse Alvixe Manenti in campo; et Zuan de Bernardo fo mandato canzelier di Bernardo Contarini, provedador di Stratioti, el qual prima era con Piero Duodo.

La Marchexana Maria di Monferà, di età zovene et bella donna, in questo zorno morite, et rimase di lei uno fiul, tra li altri, chiamato Guilielmo, el qual era Marchexe, di età picolo. Questa governava quel stado insieme con suo barba, el sig. Constantin Arniti; et fu etiam eletto da quelli popoli in governo dil sig. Marchexe et di quel stado. Et partito di Verzei se ne andò a Casal, et fu aceptato come governador; et scrisse al Ducha de Milan non voler acceptar tal governo senza sua saputa, però che quel stado era comandato a esso Ducha.

Li todeschi di Cozanderle in ditto zorno si levò a remor, et [570] insieme con lui a cavallo si messeno in campagna, dicendo vollevano la sua paga senza far mostra, minazando de partirsse. Et non zovò a li Provedadori darli bone parole, per esser esso Cozanderle homo scandaloso; unde fo forzo al capetanio et al sig. Galeazo, capetanio di Milan, montar a cavallo; et ivi andono con bone parole fonno tasentati; et conveneno mandar per Orssato Morosini, pagador, li desseno la loro paga lì in campagna.

In questa mattina, domino Zorzi de Pietra Plana con gran febre fo portato a varir in Vegevene; et li Provedadori si offerse al suo canzelier in ogni cossa, volendo darli li fiorini 300.

Fo fatto in campo 3 bastioni: uno su la strada che va a Verzei; l'altro a una chiesia di Santa Marta, lontan di Novara mancho di mezo mio, per securtà de li fanti erano in detta chiesia a custodia; et il terzo su la strada di sopra, versso il monte, la qual strada è maistra etiam da Verzei a Novara. Item, fo fatto uno fosso, andava dal bastion primo, era a la strada di sotto, referisce a la strada di sopra, va da Verzei a Novara; el qual fosso veniva a divider Novara dal campo nostro, et questo pocho manchava a fenir, e dentro il fosso era un'aqua che correva; et di qua dal fosso fo fatto uno spalto, alto più di uno passo, con fassine et terren grosso zercha 4 pie'; et ogni zorno con li guastadori seguivano ditto lavor, per fortifichation dil campo.

Vedendo la Signoria la insolentia di elemani, et etiam el capetanio esser de opinion si facesse, in loco di 2000 elemani volevano ancora far, tanti provisionadi; unde scrisseno in campo, a dì 26 ditto, si dovesse remetter a li contestabeli di le page di guazo tante page, computà quelle hanno fino al numero di 2200, et non facesse più elemani ma 2000 taliani; oltra di questo, per lettere di 27, ordinono si dovesse al tutto strenzer Novara, ma non potevano nostri per le gran pioze, et quel terren esser molto al basso et palustre; et che a li stratioti, erano stà amazati li loro cavalli, si dovesse pagarli ducati 15 fin 20 per uno, a quelli presenterà li cavalli da comprar; et questo feceno a ciò stratioti fusse a cavallo; et dovesse dar a Bernardo Contarini, per spexe, ducati 100.

A dì 30 ditto, le zente andono a Fontane, sì come ho scritto di sopra, ritornò in campo, non havendo trovà niente.

Zonse in campo 100 guastadori da Crema, sotto uno cittadin chiamato Christofaro di Marco.

El Ducha de Milan scrisse vollea venir questa settimana in campo; et cussì referite el suo capetanio a li Provedadori.

[571]

In questa matina, essendo andati alcuni stratioti a sacomano, scorseno alquanto versso Novara, et detteno fuga a molti de li nemici, et preseno 6 franzesi, dei qual ne era 4 arzier et do sacomani, insieme con 8 cavalli; sì che stratioti non steva indarno.

A dì 31 ditto et ultimo di Avosto. Fo examinato Bonino, stafier di mons. di Serna, el qual diceva, a uno crido faria venir fuora di Novara zente. Unde, li Provedadori mandò Jacomazo di Venecia, capetanio di le fanterie, con alcuni fanti et cavalli, et el ditto legato, et più volte cridò, tamen mai non vene fuora niuno; unde lo feceno impichar per le busie diceva. El qual, avanti morisse, discolpò molti, dicendo non diceva il vero, però che incolpava molto quel..., capetanio di molti elemani ducheschi, tamen non era in alcun dollo.

Questa notte, essendo stà la sera deliberato de reiterar de dar el guasto a Novara, et Bernardo Contarini mandò 100 stratioti, et el capetanio mandò molti provisionadi e fanti a piedi, et detteno il guasto. Poi questa matina per tempo fo mandà tutti li sacomani e guastadori, con bona scorta di zente armata, sotto la terra a vendemar et tagiar li sorgi et megi, di le qual cosse quei di Novara trazeva grande sustantia; et niuno di la terra vene fuora a difendersse, ma con le bombarde fece alquanto de deffensione, per metter terror a' nostri, tamen non fece alcun danno nè dispiacer. Et in questo zorno vene fuora di Novara uno nostro fante a pe', preso dai nemici, et riferite come in la terra si vendeva pan molto negro e vin mosto. Et intendeva esser formento per tre mesi et non più; animali da far carne uno mexe; et la notte passata era intrati alcuni danari per dar la paga; tamen questo se divulgava, et lui non li havia visti; eran assai amalati, molti morivano; et che tutta questa setimana erano franzesi stati in arme, per il guasto aspettavano si dovesse dar, et eran 4000 ben armadi.

Nel nostro campo ne era molti amalati ne moriva, et etiam cavalli morivano; et li Provedadori continuamente dimandavano licentia de repatriar, et fusseno mandati altri in suo loco; ma il Senato non volsse, considerando la suficientia, maxime di Marchiò Trivixan.

In questa matina, come fortasse ho scritto, fo mandato uno presente al Ducha di Milan, di la preda dei nemici; zoè pedoni 53, tra francesi, guasconi et elemani, aziò ne facesse quello pareva a Soa Excelentia di loro.

La Signoria scrisse gli dovesse ultimar l'impresa; laudava Bernardo Contarini et li condutieri; che se diga a Cozanderle fazi [572] li suoi elemani siano uniti, pronti a li bisogni et aparati; et che advertissa i non fuzano; et che quelle zente di Rimano, Pexaro et Ducha di Gandia, fatte le loro mostre, li debbino dar la soa paga.

In ditto zorno, Bernardo Contarini con li stratioti passò la Sesia, è uno fiume a presso Verzei, a man destra; et lui rimase con il resto in cima una collina, con ordene che quelli che correvano con el butin dovesseno andar a passar mia 5 di sotto, come havia mandato X stratioti a la varda di quel passo, perchè quel passo fusse stà occupato, li butini seria andati più basso mia X seguramente; et poi ritornò in campo.

In questo zorno fo rescatato el cavalaro nostro, fo preso da li fanti de Novara, et tenuto fin ozi; et fo reschatato per uno prete franzese, che za molti zorni era stato presone in campo.

Dil Nontio dil Pontifice, andò dal Re, O se intendeva, che subito dovea tornar, per haver fatto quello ho scritto. Et questo basti quanto a le cosse seguite il mese di Avosto in ditto campo. Et per sequir l'hordene di tempi, altro scriveremo; poi ritornerò al campo, al successo dil mexe di Septembrio, secondo il consueto.

Successo seguito a Napoli et in Reame in questo mexe di Avosto 1495.

A dì primo Avosto, per lettere di Hironimo Rengiadori, date in Napoli et mandate a Roma a l'ambassador nostro, demum in questa terra, come a dì ultimo Luio era ritornato el sig. Prospero Colonna con li capitoli dil Principe di Bisignano, et per il Re fonno subito expeditti. Le cosse di Calabria si prosperava; in Abruzo la città di Chieti alzò le bandiere di Ferando, li castelli più si teniva per il Re de Franza, et assa' molestavano la terra con le artiglierie, et ogni giorno erano a parlamento di acordarsi, tamen senza conclusione. Ferando pativa assai de artilarie et bombardieri; et qui sotto sarà notado una lettera di esso Re, scritta a li soi ambassadori a Roma, di le nove occorreva; la qual è questa:

Exemplum litterarum regis Ferdinandi, Regis Siciliae.

Magnifici viri consiliarii, fideles nostri dilecti.

In questa hora è ritornato lo ill. Prospero Colonna, qual, come vi fo scritto l'altro dì, andò con una galea al Prencipe di Bisignano, et ha riportato tali apontamenti dal ditto Prencipe, che già è a li [573] nostri servitii e fedeltà, et è per far quanto da noi li sarà comandato. El simel dice del Conte de Capacci, et de quelli altri baroni Sanseverineschi. Del che ne è parso darve avviso per vostra noticia, et a ciò lo faciate intender a la Santità di N.S.

Data in castello di Capuana, ultimo Julii, 1495.

Rex Ferdinandus,

Charitaeus.

A tergo: Magnificis viris Hieronimo Sperandio, juris doctori, Aloysio Ripol et Bernardino Franco, oratori et secretariis nostris fidelibus dilectis.


A dì 4 a Napoli se intese a la volta de Castel di S. Giovanni esser sublevato el sig. Fabricio Colonna, lo Duca de Sora, el Conte di Populo, el prefetto sig. di Senegaia, Carlo di Sangiuna, Belengier Caldoro et alguni altri, per il Re de Franza contra re Ferandino, venuti per dar soccorsso a una terra chiamata Venafre, mia 40 lontano di Napoli; la qual terra ha tenuto e tenia le bandiere franzese contra il conte loro Signore, che teniva le bandiere aragonese; et si diceva questi erano con 8 squadre de cavalli et fanterie. Et subito inteso questo, in ditto zorno se partì de Napoli el Marchexe di Peschara con 5 squadre de cavalli et zercha 2000 fanti per seguitarli; et etiam andò lo Ducha di Mellfe con 3 squadre. Et questo perchè i nimici haveano dà voce de sachezar Venafre; et di Capua et altri lochi vicini altre zente li seguitono, in favor de ditto re Fernando. Tamen a Napoli se pratichava acordo con ditto Fabricio Colonna; et havia mandato a Napoli uno so ambassador, chiamato Bernardino..., come ho ditto di sopra, a offerir al Re la persona et le sue zente, et mandò capitolli; i qualli per il Re fonno subito expeditti et remandati in Napoli. Restò in loco dil Marchexe di Pescara el sig. Prospero Colonna, affine di ditto Fabricio, novamente venuto a Napoli a' stipendij di quel Re, come ho ditto di sopra. El Re deliberò di mandar 3 galie in Sicilia, per la Raina, fo moglie di re Ferando vechio, a ciò ritornasse habitar a Napoli.

Le cosse di Puglia, tutto era reso a esso re Ferando, eccetto lo castello di Barletta, et etiam el castello de Trane, non obstante ivi era andato il Principe di Altemura, don Federico, et havia ordinato una battaglia, et datolo a sacho, et al primo intrava ducati 200, al secondo 100, verum li custodi si reseno.

A dì 4 fo profondata un'altra barza francese in Napoli, et [574] un'altra pur con quel colpo di bombarda fu trapassata et ingalonata; et cussì ogni dì indebolivano le cosse franzese.

L'armata di la Signoria anchora si ritrovava a Monopoli, et dete a don Federico cavalli 400 di stratioti, a ciò compisse di recuperar la Puia.

El conte di Monte Odorico, che fu ferito come scrissi per avanti, stava pur grave; tamen varite.

Questa è una lettera del sig. Fabricio Collona, di quello era successo.

Illustrissima Domina, consors honoranda.

Partendo per Venafre con lo sig. conte Populo et lo sig. Troiano, essendo propinquo a la terra 3 miglia, trovamo li nimici che si haveano fatto forti de là dal fiume, el qual divideva tra noi et lor. Li qual inimici erano lo sig. Hieronimo di Totavilla, el Ducha de Malffi, Rinaldo di Capua; con loro haveano tutti li ballestrieri de mons. Ascanio, et li cavalli lizieri et li ballestrieri dil sig. Hieronimo preditto, et fanti assai; et tutti erano più di 100 ballestrieri a cavallo, et cavalli lezieri zercha 60, et più di 500 fanti; nui non havevamo 30 ballestrieri, ni 25 cavalli lezieri, zercha 20 fanti. Con tutto questo avantazo, me aproximi a ditto fiume con 3 squadre et li cavalli lezieri, dove za era la artilaria; et vedendo li nimici disposti a far facti d'arme, li andai incontro solo con la mia squadra et li cavalli lezieri veneno. Loro con molti cavalli lizieri, ballestrieri et homeni d'arme, comenzono la scaramuza, dando l'uno a l'altro di bravi colpi; et ditta scaramuza durò più di un'hora; in la qual zoè furono feriti, tra una et l'altra parte, molti, et cavalli, et forono presoni di loro più di 80, svalizati, tolti li cavalli et morti; de li nostri, feriti zercha 3 o 4. Et anche in la preditta scaramuza è stato ferito de spada, ne la man dreta, el preditto sig. Hieronimo; dubito che non se ne possi prevalere. A l'ultimo de la scaramuza, che ancora non restavano di preliare, tra li molti altri che erano stati conquisi, zoè erano doi dentro al fiume, che li nostri li forno adosso, et, ussiti d'ogni speranza, mi si ricomandaron; li vulsi restituir la vita, et li usai una gran charità et magnanimità. Feci di continente retirar in driedo li nostri, che za li haveano conduti a l'ultimo extremo, et li feci ussir fuora dil fiume et ritornarli di morte in vita. Et cussì fornita la scharamuza, che l'una et l'altra parte, se tiramo indriedo del fiume; et loro se ne andorono [575] a Prata, et io veni a Venafri, dove son stato molto acceptissimo et carissimo di tutta questa università; et spero d'indi haver lo castello. Di tutto ho voluto avisar V.S., a ciò che quella de le felicità ne faza partecipe li nostri. Son certo epsa insieme con mi ne arà piacere. Tamen V.S. non cessi darme avvisi assiduamente de tutte nove accadino, per missi a posta, dicho chiari et senza alguna passione, perchè come sa V.S. me sono importantissime. A la qual mi ricomando.

Venafrio, V Augusti 1495.

Vester consors Fabricius Columna, Taleacotij et Albae comes, armorum christianissimi Regis locumtenens.

A tergo. Ill. D. consorti hon. D. Agneti Monfeltrae de Collumna, Taleacotij et Albae comitissae. Questa è sorella dil Duca de Urbin.


A dì 7 Avosto a Napoli el re Ferando scrisse una lettera a la Signoria; et, parlato col consolo nostro, disse come eri era stato, et parlato con quei dil castello, dimandavano salvo conduto per alcuni, e poter ir salvi; et il re non li volsse far, perchè erano ribaldi, et dicevano una cossa hozi et diman un'altra, et non stavano saldi in uno proposito; però li volleva strenzerli, et frachassarli l'armada; et za havia cominciato. Item, che il Principe d'Altemura, abuto el castello de Trane, dovea andar a Taranto, et non aspettava se non Don Cesare a Brandizo con zercha cavalli 400, et che saria el vicerè franzese; tamen di questa morte non fo vero. Et stete cussì alcuni zorni, che Ferandino crete certo fusse morto. Et ancora li disse di l'acordo dil principe di Bisignano et conte di Capazo; et il fiul de ditto conte venia da soa Majestà, et sperava de acordar Fabricio Colonna, essendoli andato il marchexe di Peschara, era molto suo amico. Item, che esso Re se ritrovava a presso 1000 homeni d'arme, et ogni dì ne zonzeva de li altri, et vollea mandar 7 galie et qualche barza per la Raina; et havia lettere de li Reali de Spagna con bone nove, benissimo disposti a le cosse sue; et vollea mandar uno suo orator a Venetia, a rengratiar la Serenissima Signoria di le cosse geste. Et elexe domino Antonio di Zenari, dottor, operato in essa legation per Soa Majestà.

El castello non restava de trar continuamente a la terra; ruinava ma non però amazasse niuno. Et a dì 7 ditto si scaramuzò nostri con alcuni ussiti fuora de ditto castello; de i qual fo morti 9, et [576] alcuni presi; et de quelli de Ferandino fo morto uno sollo. El capetanio zeneral nostro, per quanto inteseno a Napoli, era ancora a Monopoli con 14 galie; el resto havea mandate contra Camallì; el qual, come la Signoria have aviso per lettere de Levante, era con 6 fuste benissimo in hordine sora il Zante, in conserva con do fuste de mori, et volleva andar a la volta de Barbaria.

A dì 14 ditto fo preso el barco, ch'è uno loco a presso Castel nuovo.

A dì 15 avosto, preso il barco a Napoli, el Re comenzono atender a Santa Croxe, dove franzesi si haveano fortifichato, et faceva gran diffesa; et di monasterio era, si fece fortezza.

Questa matina fo ferito don Zuan de Zervigliano da' soi medesimi per disastro, non però di pericolo.

Et el Re, a dì 14 da sera, have nuova esser acordato con soa Majestà el sig. Fabricio Colonna et lo conte di Populo et l'Aquila e tutto Apruzo; per conseguente tenivano haver di brieve; et il marchexe de Bitonte a hora potrà venir a Napoli, qual prima non potea passar per questi nominati di sopra.

A Napoli aspettavano con desiderio el Vescovo di Melfe con le zente pontificie, doveano andar in soccorsso dil Re.

A dì 25 ditto, zonse a Napoli do nave grosse de zenoesi, zoè una chiamata la Negrona e l'altra Camila, benissimo in hordine; et il secondo zorno che le zonseno, alcuni franzesi montono in uno bragantin per andar in le ditte nave e dar partido a quelle, et quei dil Re preseno el ditto bragantin con ditti franzosi; tra i altri era el patron de la galiaza de Belcari, et el patron di la nave armada, et il tesorier di franzesi; e tutti fono menati al Re per presoni.

A dì 27 comenzò el Re a far bombardar Pizafalcon, si teniva pur per franzesi, et butono gran parte di muraglie zoso, et sperava di breve haverlo; unde franzesi dimandava acordo, et il Re non si curava. Et per più chiara intelligentia di le preditte cosse, qui ponerò il summario di alcune lettere scritte a la Signoria nostra per Lunardo Anselmi, consolo a Napoli, che narra tutto el seguito. Et prima:

Come per la lettera di 4 Avosto apar, che havia inteso da la regia Majestà come el marcheze de Peschara era tornato, per non haver trovato quelli che pratichavano acordo per Fabricio Colonna; et che el sig. Prospero era ivi a li repari, in luogo dil prefato marchexe; et che el Re havia mandato 300 cavalli a rincontro de quelli li saranno contrarij; et che reputava el sig. Fabricio suo et il conte [577] di Populo; et erano andati con ditte zente el Duca de Melffi, el sig. Hieronimo Totavilla, el conte de Venafro; et che a dì 3 era ussito di castello mons. de Clarius, el qual era stato ivi ambassador per il Re de Franza in tempo di Marco Antonio Moresini, kavalier, orator veneto; et con lo ditto ussite 4 altri zentilhomeni d'assai, et fonno in longo ragionamento con la Regia Majestà; però non ce fu niuna conclusione; et il Re sperava presto haver ditto castello; et che di le zente di Calabria, era con il Vicerè morto, tamen è da saper non era morto, licet cussì si credesse, el Re tentava haverle a' suoi servitii. Item, come Soa Majestà havia habuto gran piacer di l'orator creato per venetiani, et che il castello non cessava di tirar a la terra di Sant'Elmo, pur se tirava anche al castello et dal muolo a l'armata...., la qualle ogni trato se diminuiva. Et per lettere di 5 ditto, come el Re li havia ditto, haver habuto aviso dil zonzer di domino Hieronimo Sperandeo, orator suo a Roma, solenemente riceputo; et li andò contra, tra li altri oratori, Hieronimo Zorzi, kavalier, orator veneto nostro. Item, che il castello tirava al continuo, era di gran molestia a la terra; et la Majestà Regia pur ogni zorno era a li repari.

Ancora ditto cònsolo scrisse a dì 30 Avosto a la Signoria una altra lettera di questo tenor. Le cosse di questo Re succedono ben; continuamente se atende a ruinar Pizafalcon, qual è in parte disfato; et, obtenuto quello, haranno Santa Croce et l'armada; la Majestà dil Re spera poter bombardar el castello, et haverà il fosso; et mandava a pigliar a Roma con una galia do bombarde grosse, che il Pontifice li consente, et ne haverano un'altra, che saranno tre; etiam ha deliberato mandar a Gaeta certe galee et barze, et fino 500 fanti per terra con alcuni boni capi, perchè ha qualche intention da quelli cittadini. Li ha ditto haver di Calabria, quelli spagnioli haver preso Terra Nuova et Monte Lione et uno altro loco; el prencipe di Altemura si preparava per Taranto, qual si l'haverà per le vendeme, che sono ogni loro sustantia, oltre le peschason che non ponno dispensar; et andò a questo modo. Questo legato l'altro heri fè convochar segii et molti zentilhomeni, a li qualli, per parte dil Pontifice, rende gratie di buon portamenti di questa città, in haver con tanto amor receputo la Majestà dil Re, con molte aconze parole; et che, quanto al juramento fatto al Re de Franza, Soa Santità absolveva ogniuno, pregandoli etiam per parte di quella, che volesseno continuar in questo buon vollere, secondo haveano incominciato. Li fo, per quelli, risposto ben a proposito. [578] Venafra in questi dì alzò le bandiere; et cussì se attende habbi a seguitar per tutto l'Aprucio, mediante le opperation collonense et del conte di Popullo; et che per lettere di Trani, di 23, li stratioti nostri haveano fatto gran preda de bestiami, tra Altemura, Gravina et Matera et tutto quello paese, de più de capi 6000, et a quell'altre bande de Venosa et Spinazola, de più de 4000 tutti grossi.

Item, come era ritornato Prospero Colonna con la conclusion dil Principe di Bisignano, conte di Cosenza etc., li qualli tutti erano contenti di venir a l'ubidientia di quel Re. El vicerè de Calabria, mons. de Obegnì, se morì; et quelle zente erano rimaste con disordine, el Re atendeva a condurle per sè; tamen non fu vero ditta morte. Item, che il castello di Trani si teniva, non obstante la venuta dil Principe di Altemura, il qualle havea ordinato la battaglia, et datolo a sacho; al primo intrar, saltem ducati 200, al secondo 100; et che eri era stà profondata un'altra barza, et un'altra pur in quel medesmo colpo passata et ingalonata. Et cussì ogni dì se indebeliva le cosse francese. El conte de Monte Odorisso steva pur grieve, et el Re era stato in quel zorno a visitarlo, perchè molto lo amava.

A Roma cosse seguite.

El Pontifice a Roma, volendo aiutar re Ferandino, elexe uno legato a Napoli, chiamato el prothonotario Borges, suo nepote, di natione spagniol; et da questo Pontifice fatto arziepiscopo di... Et a dì 19 Avosto partì di Roma, ed andò versso Napoli.

A dì 21 ditto, vedendo esso Pontifice le continue spexe et operationi de Venetiani contra el Re de Franza, per ben de Italia, scrisse uno brieve, el qual sarà qui sotto scritto, laudando molto la Republica. El qual fo translatato in terza rima per Zorzi Summariva sopra nominato, et butato a stampa.

A dì 28 ditto, in Roma, Hanibal, fio dil sig. Jullio di Camarin, era già soldato di la Chiesia, con le sue zente d'arme zercha XI squadre, et poi fo mandato a Napoli in aiuto dil Re preditto.

A dì ditto, el castelan di Hostia, chiamato Monaldo di Guerra, franzese, però che ancora si teniva per esso Re, fece squartar uno; et questo perchè diceva el Pontifice lo havia mandato, a ciò lo atosigasse; tamen, ut dicitur, non era il vero; pur lo fece squartar, licet fusse molto suo amico, et homo di reputation.

[579]

Exemplum brevis sanctissimi Domini nostri ad Ducem et Senatum Venetorum[142].

Ancora el Pontifice, havendo per avanti scripto al re di Franza, lamentandose del suo capetanio de Hostia, che deva noia a' romani et a le vittuarie li veniva, unde el Re fece risposta. Etiam scrisse a ditto capetanio, le qual do lettere sono queste sotto scritte.

Copia di una lettera dil Re de Franza al Pontifice.

Sanctissimo D. N. Papae.

Sanctissime pater.

Noi havemo receputo el breve de Vostra Sanctità, facendo mentione di missier Monaldo di Guerra che sta in quella parte di là, che non lassa passar per lo Tevere le vittuarie che sogliono andar a Roma. Sanctissime Pater, noi l'havemo sempre cognosciuto per homo da ben, nè mai in lui fo trovato cossa che fusse di reprensione. Noi li scrivemo quello che voi ne havete ditto, e faccio quello che in vostre lettere si contiene senza fallo; le qual mandemo a Vostra Santità, et semo certi che lui non darà alcun impedimento, imo vorrà far tutti li apiaceri et servitii a Vostra Santità et a li habitanti in Roma, a li qualli nui siamo molto tenuti, perchè loro ci hanno molto ben trattati et tutta nostra compagnia, et ultimamente, quando passassemo per Roma; et cussì nui intendemo de loro; et piacia a la Santità Vostra cussì mandarli et notificharli. Sanctissime Pater, nui havemo inteso che vi sono state referite molte novelle de nostra venuta da po' di Roma fino qui, et specialmente quando noi siamo passati, et dove habiamo trovato tutta la potentia de' venetiani et la mazor parte de quella de Millan et altri de Italia et de altri loci; al qual loco piaque a Dio a noi donar victoria contra quelli che vollevano impedir nostro pasazo; et restò de loro quasi 4000 homeni d'arme, et de li più da bene et capi di squadra et conduttieri et de loro altra zente, fino al numero di homeni 3500 in 4000; et de li nostri, in fra boni et mali, non restò 60: il tutto fo in difensione de nostra persona. El Nostro Signor sempre ha condutto nostre facende; et si a lui piacerà le condurà fino a la fine. El [580] qual sa bene nostra intentione quella era de andar contra turchi, per augumentation et exaltation di la fede et de la Sancta Ecclesia, se non fusse stato la machination et malli spiriti che hanno desturbato fino a questi zorni, attendendo a li malvasi prepositi.... Noi siamo stati mal contenti de la effusion dil sangue; niente di meno ci è stato ditto che hanno fatto li fochi de allegrezza in Roma, credendo che eravamo morti o ver menati presone a Milano, o ver a Venetia; unde nui havemo voluto notifichar a la Sanctità Vostra, che quelli che hanno fatto a questa intentione, doveano esser più mal contenti che alliegri. Perchè havemo inteso che Vostra Santità et alcuni de li signori Cardinali havete mandato soccorso de danari e de zente al re Ferdinando contra nostra zente che havemo lassato a Napoli, quello che non potevemo creder de Vostra Sanctità, che per rason non lo pò ne lo deve far; e più conveniente cossa è de quella mostrarse neutralle, che parte fermata, et cussì facendo fa l'officio de bono judice, perchè contra Vostra Sanctità non possamo haver fatto nè pensamo far cossa, per la qual quella da noi non se debba contentar, et speremo de bene in meglio continue, per l'honor de Dio et de sua Ecclesia et Vostra Santità, in quello saperemo et poremo per resone. Sanctissime Pater, noi siamo restati qui per resister al mal voler de' nostri inimici, et per mostrarli con effetto che non sono per venir a loro mala intention; perchè, considerato le turbation et impedimenti che loro ci hanno messo nel nostro Reame de Napoli, non semo deliberato di andar al nostro Reame de Franza,... che habiamo proveduto et assicurato nostro ditto Reame de Napoli, et che se dovessemo nui medesimo andar in persona; unde noi speremo, avanti sia la fin de questo mese, esser cussì forti, che quelli sopra ditti in loro potentie non saperano guardar quello che noi siamo deliberati di far, avanti che noi habiamo recuperato quello che hanno pigliato sopra noi da poi nostra partita, et mostrar a quelli che ne sono stati casone, che noi non semo de sofrir et comportarlo; et despiacentia a noi con tutto el nostro core saria, si in questa facienda intervenisse effusione di sangue, che meglio saria et volleria che le forze nostre et arme, che fusseno uno contra l'altro, fusseno drizzate contra li turchi et infedelli, per ben de la Ecclesia et exaltation di quella. Sanctissime Pater, qualche cossa che a noi ci è stata ditta, et che si potrà dire de Vostra Santità, che quella sia totalmente contra di noi, non lo potemo creder, vedendo le bone parole et tractamenti che voi ne dicesti et facesti in Roma; de nostra parte non remetemo, come Vostra Santità sa, da far verso de [581] quella, modo debito, con mancho male che sapemo et potemo; et tutto el zorno, non obstante qualche cossa che si dice et che si potrà dire ne potesse intervenire, Vostra Santità ce troverà humilissimo et obedientissimo figliolo et christianissimo di la Ecclesia et de Vostra Santità, presto a metter el corpo et li beni per bene et honor de la Ecclesia et de la fede et de la christianità; et quando se potrà trovar le cosse disposte, che Vostra Santità, Principi de' christiani et altri voranno attender a la augumentation de la ditta christianità, ce troverà sempre aparechiato et il primo, per mostrar exempio ad altri, cussì come più volte per nostri oratori et per lettere habiamo explicato et richiesto instantissimamente a ditta Vostra Santità, perseverando et continuando come da principio. Insuper, sanctissime Pater, nui havemo inteso che havete, da pocho tempo in qua, revocato li privilegii dil nostro carissimo et fedel amico cardinale de Santo Pietro ad Vincula, per darli occupatione et turbulentie ne li soi beneficii; et lui è continuamente a presso de nui et ne fa de grandi servicii, come voi sapete. Per la qual cossa nui vi preghiamo carissimamente, che lo vogliate tractare benignamente, per nostro favor, et revocarlo in li soi benefitii et privilegii, et liberar in modo che non sia più impedito in li sui preditti beneficii, cussì come voi et lo Santo Collegio havite promesso, et come voristi nui facessemo per li vostri. Sanctissime Pater, nui preghiamo lo benedetto Figliolo di Dio, che longamente conserva Vostra Santa Ecclesia. Sanctissime Pater, per obviar a la longa vacatione de la Ecclesia de Cosenza, noi ordinamo, uno pezo fa, al cardinal de Sancto Dyonisio, quando il mandamo a Vostra Santità, et simelmente al nostro procurator, lo archidiacono de Chalons, et da poi per maistro Simon Assardi, nostro secretario, de suplicharve che vi piacesse deputar nostro confessor, administrator di la ditta ecclesia de Cosenza; quel che anche non è stato fatto niente, secondo che havemo inteso; et oltra che nostro ditto secretario, facendo questa sollicitudine, è stato amazato, et non sapemo in che modo, cussì supplichemo Vostra Santità che in quella volta li piaccia di voler cussì far, senza metter più questa materia in longo o dissimulatione, che havemo tanto al cor.

Data a Quier, die 21 Augusti 1495.

Vostro fiolo lo Roy de Francia, de Sicilia, de Hierusalem,

Carles.

[582]

Copia di una lettera dil Re de Franza a Monaldo di Guerra suo capetanio in Hostia.

Capetanio, io ho receputo uno breve di la Santità di N. S., come si lamentava et dolle, che non vollete soferir nè permetter che le vittualie et altre cose necessarie per Tevere venghino a Roma nè discendano di quella città. Io li faccio risposta, che vi ho sempre trovato sì bono et savio, che mai non havesti nissuna reprensione, nè spierò che haverete; et che vi scrivo per questa causa. Io vi prego che, continuando sempre vostri boni costumi, che tutti li servicii et piaceri che voi potete fare al ditto nostro Santo Pare, lo facciate, et simelmente a li signori Romani, a li qual voria far piacere con tutto lo mio potere, perchè voi sapete che me hanno ben tratato. El piacere che voi li farete, el tenerò fatto a me medesmo. Simelmente ho recevuto una lettera, per la qual me fate saper de le nove del mio Regno de Napoli, donde vi rengratio; fateli a loro sapere de le mie simelmente. Scrivetemi a presso, et tutti li piaceri et favori che a lor potete fare, fatilo. Io ho concordato con la Signoria de Fiorenza, li qualli vi daranno 1000 duchati a 12 carlini per ducato, et mi ha promesso Neri Caponi che ve li farà deliberar; et simelmente ho concordato con la ditta Signoria, che deve pagar per me a Fabricio Colonna, lo prefetto Viteleschi, Antonio Sabello, al qualle ho cresciuto fino 100 lanze, et a Troylo Sabello li ho ordinato 50, saranno pagati per la ditta Signoria de Fiorenza fino al primo dì de Zenaro proximo; et molti altri ballestrieri franzosi, che io mando, fatelo sapere a quelli sopraditti. Se afferma di le molte parole non vere, donde molti sono consternati; et, intra le altre cosse, da la giornata a Fornovo, ne la qualle hanno seminato che io stava morto, et era presone a Milano et a Venetia, et le mie zente simelmente. Niente di mancho, con lo aiuto de Dio, contra tutte le potentie de' Venetiani, la più parte de quel de Milano, et de molti altri de Italia et de altri luogi, restò de quelli detti mei nemici ben 4000 homeni d'arme, la più zente da ben, ne li qual erano 15 o ver 16 grandi personagi, cussì conti come capi di squadra, et di loro altre zente fino a 3500 in 4000; de li miei non restò, intra boni et malli, morti et presonieri presso a 60, donde il Bastardo di Mattheo è in presone; di che vi ha volluto bene advisar di la verità. Et per questo io arivai in Aste, et seppi che li miei nemici haveano pigliato alcuna piaza del mio Reame de Napoli, mi son deliberato non ritornar nel mio Reame de Franza, che non habbia donato ordine al recuperamento [583] de quello ch'è stato pigliato nel mio ditto regno di Napoli; et per tutto questo presente mese ho speranza che la mia forza et potentia sarà sì bona, che non sarà solamente a ressister a li miei nemici, ma andar in persona o mandar fino al mio ditto Reame de Napoli, et recuperar quello che ha usurpato sopra me, et monstrar a quelli.... che hanno fatto mal. Io ho concluso simelmente a la liga con.... de' sguizari, del quale la bona memoria Re mio padre, che Dio absolva... con loro; et me mandano X milia combattenti che saranno qui nanti la fine de questo mexe, senza quelli che io ho. El mio fratello d'Orliens sta in Novara, ben acompagnato, et è stato dato victuaglie 4 volte da poi 8 dì, non obstante tutta la potentia de li ditti miei nemici; et da poi do dì sono venuti a dar uno asalto a uno de li borgi de la ditta Novara, nel qual restò 200 lanze, che vagliono 300 altri italiani, 1000 feriti, et incontinente s'andorno con lor cosse svergognati, hanno brusato et brusano ogni dì le picole ville et picoli castelli et villazi che sono intra ditta Novara et lo fiume Ticino, et hanno fatto cridar che tutto el populo con lor beni se retireno da quel fiume andando versso Milano. È segno che si vogliono andar senza voler expectar la mia venuta. Se non mi vogliono aspectar, sarà bisogno che io vada o manda driedo a loro, perchè questo è lo camino per andar nel ditto reame di Napoli. Io ho concordato con li fiorentini, et sono amici de' miei amici et nemici de' miei nemici; et per questo favorizateli in quello che poterete, expectando nostra ditta potentia. Mandamo avanti per terra, in nostro ditto Reame di Napoli, 600 homeni d'arme et 3000 ballestrieri; vui ne serete advertito, si presto passerano per vostri confini; per altro loco io mando altri soccorsi; et mi son deliberato, quel che mi costa, che io vederò la fine nanti ch'io vadi nel Reame de Franza. Mandate de mie nove ad Gaeta, ad Napoli, a la Calabria, a li sigg. d'Obegnì, a l'Aquila, al bailo de Vitrì, al prefetto, al sig. Fabricio Colonna, a li Sabelli et altri miei servitori, che per cossa dil mondo non li abandonerò, et che stiano securi che saranno soccorssi, sopra il mio honore, et ben presto, et più presto dal canto di Franza; et quelli che mi aranno ben servito, li recognoscerò per tal modo, che sarà exemplo a li altri. Capetanio, mai non dismentigarò li boni servigii che mi harete fatto, et spero che mi farete; et spero vi farò saper de le mie novelle; fatime saper di le vostre, et di quelle del ditto mio Reame di Napoli.

Scritto a Quier, a dì XXI Augusto.

Charles

Dubois.

[584]

A tergo: Al nostro amato et leale Monaldo di Guerra, cavalier demorante in Hostia.

Et vedendo el Pontifice, come per altre vie etiam intese, che Fiorentini erano acordati et confederati con esso Re de Franza, et fo divulgato li promettevano di dar ducati 70 millia al Re, et il Re li rendeva Pietra Santa, Serzana et Serzanello; i qual danari promettevano di mandar in Reame a pagar le zente contra re Ferando, etiam loro esserli contra; la qual nuova a Venetia zonse a dì 20 Avosto. Or el Pontifice, non vedendo altro remedio a far che Fiorentini non concludesse ditto accordo, et havendolo concluso non lo observasse, li mandò a Fiorenza uno breve, quasi excomunicatorio, si davano favor al Re de Franza. Però el qual, a ciò el tutto si veda, è qui posto.

Exemplum brevis Sanctissimi Domini nostri ad Florentinos.

Alexander Papa Sextus, Florentinis etc.

Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionem.

Praevidentes quam variae calamitates infinitaque secutura essent mala ex adventu carissimi in Christo filii nostri Caroli Francorum regis christianissimi cum copiis in Italiam, pro nostro pastoralis officii debito tantis futuris aerumnis occurrere cupientes, sepe majestatem suam, nunciis ac litteris nostris omni paterno officio et charitate refertis, ut ab hujusmodi in Italiam adventu abstinere pacemque christiano populo dare vellet monuimus, et per viscera pietatis Redemptoris nostri fuimus adhortati. Verumtamen haec nostra imo apostolica salubriaque monita serenitas sua aure surda obaudiens, totam usque ad nostrum Siciliae regnum citra Farum, spirituale beati Petri patrimonium, cum exercitu Italiam penetravit. Ob cujus adventum, quantum subversionis atque destructionis tota Italia in eius libertate, hominum caede fortunarumque direptione passa fuerit, quantumve vos in vestrae Reipublicae oppressione sustuleritis, non modo intellexistis, sed etiam in vestris interioribus estis experti, ita ut existimavissemus vos, sicuti non minus iniuriae atque jacturae quam caeteri a Gallis perpessi estis, ita non minori quidem animo atque fortitudine quam alii adversus ipsos Gallos libertatem tranquillitatemque Italiae infestantes et status Reipublicae vestrae mutilatores insurgere et cum reliquis [585] Italiae potentatibus, ut par est, convenire debere, sicut naturali quodam instinctu singula corporis membra invicem atque ipsius defensione corporis famulantur. Postquam ea, quae de ipsius Regis adventu, mala Italiae praesagiveramus, successere, et Majestatem suam in finibus Italiae cum copiis consistere, nec in regnum Franciae, prout praedicaverat, progredi velle, sed faciem versus Italiam cum armis iterum vertisse percepimus, ex praeteritorum manifesta ratione turbationem libertatis Italiae excidiumque verentes, perhorrescentesque christianorum caedes et sanguinis effusionem, ex parte omnipotentis Dei ipsiusque ac beatorum apostolorum Petri et Pauli ac nostra auctoritate, sub excommunicationis latae sententiae poena, Majestati Suae omnibusque suis adhaerentibus, seu auxilium vel favorem...., per nostras litteras sub plumbo.... proximis superioribus diebus, de venerabilium fratrum nostrorum Sanctae Romanae Ecclesiae cardinalium consilio, mandavimus ut ab omni offensione atque invasione contra Italiae potentatus aliosque christianos infra novem dies a die litterarum earumdem intimationis penitus abstineret, alioquin infra alios viginti, post ipsos novem, dies, propter dictam causam, et ob Regni nostri Neapolitani occupationem in dictam excommunicationis aliarumque censurarum poenam incurrisse. Quibus censuris sicut quoscumque alios, ita vos, contraveniendo et ipsum regem juvando, procul dubio comprehendi manifestum est; et licet a plerisque, inter vos praefatumque Francorum regem foedus conventionemque tractari adversus Italiae potentatus et praefatum nostrum Siciliae regnum nobis relatum fuisset, nil tamen tamquam perhorrendum damnandumque facinus de vobis nedum credere sed ne suspicari quidem potuimus; utpote cum in perniciem Italiae libertatis christianaeque religionis vergeret et jacula ad vos ipsos feriendum interimendumque fabricaretis, censuras ipsas damnabiliter incurrendo. Sed cum multis variisque testimoniis didicerimus, vos praefato regi adhaesisse, vel potius subjecisse quaedam capitula inter vos et ipsum conventa ad disturbandam subvertendamque Italiam et dictum nostrum regnum perspeximus, certe non solum valde admirati fuimus, verum etiam errorem ac coecitatem vestram graviter improbare atque clamare compulsi sumus, quippe cum Galli nil aliud cogitent, ad nil aliud intentius inhient, quam ad occupationem subversionemque Italiae libertatis. Vos profecto obliti esse videmini eorum, quae a Gallis tum venientibus tum redeuntibus, gravi jactura atque scissura status vestri, perpassi estis; de quo plurimum, ob paternum affectum nostrum [586] erga rempublicam vestram dolemus. Certe, sicut coeteris in rebus sapientia vestra ubique digna laude persistit, ita hoc casu apud omnes cum praefato rege conventio et adhaesio contra servitium omnipotentis Dei eiusque sanctam catholicam religionem et fidem, ad subversionem quoque exterminiumque Italiae, unionis et pacis ac publici et universalis boni, ob turcarum in christianos invasionis periculum, evidenter apparet, et tandem status vestrae Reipublicae subversionem est paritura. Hortamur vos, et per viscera benignitatis Salvatoris nostri Jesu Christi rogamus, quod ad iter rectum reverti et cum toto tam excellentis Italiae provinciae corpore conformare atque convenire velitis; quamcumque conjunctionem aut adhaesionem cum Rege Francorum per vos forsitan factam, utpote perniciosam et contra jus fasque atque justitiam penitus retractetis. Et ne nostri pastoralis officio debito deficiamus, quamvis si quid favoris vel auxilii genus praefato Regi contra christianos et potentatus Italiae praestiteritis censuras ecclesiasticas in eum, ut praemittitur, per nos promulgatas vos incurrisse non dubium existat, tamen, ut vobiscum etiam eodem paterno ac pastorali officio praecipue specialiterque utamur, vobis omnibus et singulis, sub excommunicationis ac ecclesiastici interdicti in toto dominio vestro latae sententiae poenis, quas eo ipso, si non obediretis, incurratis, et dictum dominium vestrum ecclesiastico suppositum sit interdicto, monemus, et mandamus quatenus contra christianos et praesertim aliquos Italiae potentatus et dictum nostrum regnum ab omni offensione et invasione abstineatis, nullumque prorsus auxilium vel favorem praefato Regi contra christianos, dictum Regnum, et potentatus praedictos vel eorum status directe vel indirecte exhibeatis. Alioquin si, quod absit, contra facere vel venire praesumpseritis, veniemus contra vos ad executionem ac publicationem. Omnia si graviter atque sapienter considerabitis, et vobiscum mente libera reputabitis, quam acerrime omnes potentatus Italiae adversus vos provocaretis, vires suas in vestris visceribus undique..., expectare profecto non dubitamus, juxta hujusmodi nostra paterna monita et mandata, non patiemini hanc perpetuam infamiam, ut soli vos inter omnes ad desolationem ruinamque Italiae et vestram intendatis, ubi, cum caeteris conveniendo, et vestra et Italiae salus faciles servari poterit.

Datum Romae, sub annulo piscatoris, die octavo Septembris 1495.

Floridus

[587]

Et questo breve etiam per Zorzi Summa Ripa patricio veronese, nominato di sopra, fu posto et vulgarizato in terza rima et butado a stampa, et ancora ad 9 fiorentini per il re Ferando una lettera, la qual qui avanti è posta.

Exemplum litterarum Regis Ferdinandi ad Florentinos.

Rex Siciliae etc.

Magnifici et excelsi Domini carissimi.

Nec immemores nunc sumus, nec futuro unquam tempore erimus, amicitiae quam Ferdinandus avus atque Alphonsus pater, praestantissimi reges, cum florentina Republica per multos annos summa cum constantia fideque tenuerunt; neque item plurimorum ac maximorum beneficiorum, quae ultro citroque in maximis etiam discriminibus collata sunt. Quia ea mens nostra est, id institutum atque propositum, ut veterem ipsam tamque confirmatam amicitiam cum populo vestro, vobiscum etiam renovemus, renovatamque cumulemus officiis, commodis, honestamentisque omnis generis; cum illud omnino persuasum habeamus, nostris his studiis a vobis vestraque republica sic responsum iri, ut nec vinci a nobis velitis quemadmodum a vobis ipsi nec vincamini omni arte, rationeque...; quod quidem, pro tam honesto proposito rectoque desiderio Deum ipsum non modo praestiturum, verum etiam (quae sua benignitas est) curaturum speramus. Ne quid autem forte accidat, quod aut omnino prohibere aut modo aliquo impedire institutum hoc nostrum valeat, decrevimus vestris cum Dominationibus et per litteras et per oratores ingenue ubique agere ac etiam loqui; quandoque aliquid a ratione magis alienum accidit minusque creditur... hoc... illud aperire atque etiam eloqui, quodque in malis corporis humoribus usuvenit, tamquam virus evomere, ne aliqua ex parte noxium esse queat. Ac praesertim id quod nuper prolatum ad nos est multorum tum litteris tum sermone, rempublicam vestram, tot annis tam magnis in periculis avi ac patris nostri sociam, nulla interim a nobis causa data, nec minima quidem, aut offensa..., cum Carolo Gallorum rege hoste nostro consensisse, ut de mittendis etiam adversus nos auxiliis suppetiisque ferendis, scripto cautum sit, firmatisque foederibus pactum fuerit. Tulit florentina Respublica, tulere quoque ejusdem administratores prudentiae laudem eximiam majorum nostrorum temporibus; ac nostris eadem commendata mirum in modum semper fuit, quod amicitiae esset fideique quam observantissima; [588] atque in ferenda gratia non solum grata esset, verum etiam contenderet, ut in illa referenda maior.... appareret. Dignum profecto tam vetustae Reipublicae atque Hetrusci senatus institutum atque officium! Quocirca, animi atque consilii nostri cum simus recte conscii, divulgationem hanc vanam potius fictamque existimavimus, quam aut illi fidem aliquam adhibendam judicaremus; aut nulla utique ratione a nobis lacessitam, nullis injuriis provocatam aut suspicionibus excitatam, in tanto Italiae universae discrimine, a se ipsa, maiorumque suorum tam probato... discessisse illam nobis persuaderemus. Absit crudelitas haec tam stulta ne dicam nefariam! Quando si ullus umquam populus communis publicaeque libertatis assertor fuit, Senatus Populusque florentinus primas in hoc genere laudis partes tulit. Attamen, si mens nostra ejusmodi... ut de populo florentino non aliter quam de amicissimo nobis ipsi persuadeamus, decrevimus tamen ingenue, ut dictum est, cum eo agere, nec, quod aliquando noxium esse posset, nullam... nos divulgationi huic fidem adhibuisse..., neque ab nostro majorumque nostrorum instituto discessisse... In conservanda benevolentia amicitiaque, officiis amplificandis, pollicemur ut neque ab avo ac patre, neque a quoque Reipublicae vestrae amico, quantum facultates nostrae tulerint, superaturum iri patiamur; nulla unquam ratione nobis persuasuri... ut vel suspicemur quidem Rempublicam vestram aut nobis adversam futuram, aut Italiae libertati deesse hac in tempestate tantisque in procellis... Quae quidem omnia, qua sinceritate animi, quo etiam consilio a nobis dicta sunt, eadem mente Dominationes vestrae accipiant rogamus atque etiam adhortamur.

Data in castello Capuanae, Neapolis, vigesimo Septembris 1495.

Rex Ferdinandus.

Oltra di questo, esso re Ferando scrisse una lettera al summo Pontifice, el zorno da poi questa scritta a' Fiorentini, la qual è qui posta, benchè non sia suo loco, volendo seguir li tempi; ma a ciò siano una driedo a l'altra descripta.

Exemplum litterarum regis Ferdinandis ad summum Pontificem.

Sanctissime ac beatissime Pater et domine, post humilem filii commendationes et pedum oscula beatorum.

Egit diebus his sanctitas vestra paterne mecum, ut assolet, in [589] significandis ac communicandis iis quae a Maximiliano romanorum rege inclyto scripta sunt, tum pro conventu a foederatis paucis post diebus Mediolani habendo, tum pro iis comminiscendis peragendisque, quae rebus meis videantur praesertim.... quae de me in socium foederatumque adsiscendo. Itaque, acceptis sanctitatis vestrae litteris, iisque cognitis quae ab ea mihi significabantur, mirifice, uti debui, laetatus sum, et quam par fuit voluptatem inde coepi. Quid enim mihi accidere jucundius, in hoc praesertim statu rerum potuit, quam ex ore Pontificis ac per eius mihi litteras significari, Maximilianum Augustum de rebus meis tantopere sollicitum esse, ut neque factis neque consiliis defuturus mihi ratione ulla videatur, quin illud potius et agat et cogitet atque comminiscatur quod a me quidem ipso vel cogitari vel desiderari salubrius, aut magis e re mea meaque e sententia potuisset? Illud autem in primis me movit ac movet, quod video sanctitatem vestram paterno in his significandis affectu commoveri, cum ea mihi significet, quod profecto nequaquam significaret, nisi ea, quam egomet, iisdem e rebus voluptatem caperet. Itaque Sanctitati Vestrae hac eadem e re et devincior arctius et gratias etiam longe maximas ago; atque eo magis quod compertum ac persuasum omnino habeo, Sanctitatem Vestram sua sponte pro iis quae a Maximiliano rege scribuntur praestandis atque efficiendis, praesertim quae de me in socium adsciscendo nihil penitus aut non tentaturam aut quod in re ipsa fuerit non facturam, ac dictis operaque, summo etiam studio curaturam. Quod declarare mihi cum primis potest oratio ea quam Sanctitas Vestra, lectis Maximiliani documentis cum oratoribus qui tum aderant, nuper habuit, non minus etiam fortiter quam eloquenter; quo fit ut eo maiori fiducia, spe et animo, Sanctitatem Vestram oro et obsecro supplex ad eam praestandam operam, ad illud cum foederatis peragendum perficiendumque, ut e vestigio jam in socium ab illis adsciscar, neque ultra res differatur. Quod e re non solum mea, verum Italiae totius atque ipsius colligationis, foederationisque esse publice intelligetur, cum hoc ipsum Sanctitatis vestrae intersit, vel quia foederis ipsius caput et princeps est, vel quod patris officio in me fungatur. Atque eo etiam vehementius officiosiusque, quod omnes intelligent paternam de me rebusque meis curam ab ea susceptam esse, atque ita quidem susceptam, ut nihil aliud aut agere aut curare videatur elaboratius, quam ut intelligant omnes, patris in me pietate atque officiis uti. Intelligit itaque Sanctitas Vestra quid e sua, sanctaeque Romanae Ecclesiae dignitate sit; quid rerum mearum, quid Italicae etiam [590] quietis usus expostulet; quid horum temporum status exigat; quid futurorum dignitatem, auctoritatem, magnitudinem quoque faciat. Atque haec profecto tametsi Sanctitatem Vestram movere mirifice debeant, ut quidem, quod videmus, movent; illud in primis tamen agitare animo Sanctitas Vestra debet, deque eo apprime sollicitam esse, quod palam videt, quod aperte intelligit, quod manu tractat, nihil neque perniciosius neque laetalius rebus accidere meis posse, quam si de me inter foederatos admittendo cunctatio posthac futura prorsus est aliqua; languescent amici, titubabunt subjecti, et si qui dubiis sint animis, quos quidem esse in tanta multitudine ac confusione non paucos necesse est, in adversariorum partes tamquam impulsi declinabunt... Quam sint haec rebus meis, imo Sanctitati Vestrae, cuius res meae sunt, offutura, Beatitudo Vestra facile intelligit. Quam nec latere illud volumus quod iis diebus Mediolani accidit, cum Guidantonius Vespucius, florentinorum orator apud Ludovicum Mediolani ducem,.... interrogatus ab illo curnam cum Carolo Galliae rege, hoste meo, consensisset Florentina Respublica. Atqui, respondit, Dux eximie, nullam foederatis tuis tuaeque societati injuriam aut fecimus aut facimus. Quid enim ex hoc queri potest, cum Ferdinandus rex neque foederatorum sit e numero, neque aliquo modo foederibus comprehendatur vestris? Responsum sane rebus meis praesentibus maxime adversum, futuris vero etiam incommodissimum. Maximilianus rex, non minus sapiens quam fortis, quem honoris gratia tam saepe nomino, licet absens..., sentit haec..., occurrere, et litteris et consiliis et mandatis atque admonitionibus suis et vult et studet; quae si non sentiret non mitteret, non occurrere etiam studeret, neque eadem hac de re tam saepe scriberet, aut per oratores tantopere insisteret, et aliorum et suos, neque quae tam assiduus monet moneret facienda. Quid Rex ipse Romanorum dicet, ubi responsi certior factus fuerit? Quid Italici permulti, et cives opulenti, et civitatum ipsarum primarii viri? Quid qui nondum mecum in fidem obedientiamque redierunt? Quam autem non modo incommodum, verum etiam pestilens rebus futurum sit meis, si ulterius hoc prolatetur, cum posthac consultationis deliberationisque excusatio reliqua nulla sit. Alexandri Macedonis dictum illud aperte docet, cum publice sententiam illam protulit, fama bellum constare; quae autem fama imoque non infamia atque auctoritatis jactura futura est, ubi factum hoc mecum de me in socium adsciscendo etiam atque etiam differri et tamquam procrastinari videatur, cum procrastinatio ipsa, apud eos qui perverse sentiunt, pro despectu contemptioneque [591] et quadam quasi irrisione habenda atque extimanda sit? Quae ne accidant, Pater Beatissime, cum Sanctitatis Vestrae proprium sit obsistere ac prohibere, quod patris mei, quod Romani Pontificis, quod populorum ac principum providi pastoris officium est, amplectatur rem hanc meam,.... et ita quidem amplectatur ut differri ulterius nullo modo possit. Quod facile quidem impetrabit, si voluerit; si velle hoc se declaraverit. Volet autem, quia pater, pastor, pontifex et sapiens et bonus est, resque meas ita curandas susceperit, ut earum onus omne desumpsisse jam sibi videatur; et quod desumpserit, auctoritate, opera, opibus, consiliis, praesidiisque suis palam ubique faciat. Quo autem animo haec scribo et oro, eodem accipienda a Sanctitate Vestra judico, et peragenda constantissime spero. Bene valeat Sanctitas Vestra quam Omnipotens felicissime conservet.

Data in Castello Capuanae, Neapolis, XXI Septembris 1495.

Seguito di cosse de Napoli et Reame, dil mese di Settembrio 1495.

A dì 7 settembrio, a hore 4 di notte in circa, volendo al tutto el re Ferandino haver il loco di Santa † in Napoli, dove franzesi si havea fortifichato, et con le artilarie quelle muraglie butavano in terra, et di breve li volleva dar la battaglia se non se rendevano; unde li custodi chiamò el Marchexe di Peschara, che venisse a parlamento con loro sotto le mura. El qual andato da quelli franzesi, fo usato... tal tradimento, che li treteno uno vereton in la golla, unde statim expirò. Questo era capetanio di le zente dil Re preditto, et sempre statoli fidelissimo, huomo magnanimo et valoroso; et a tutto Napoli dolse di la sua morte, maxime a essa Majestà dil Re; et non senza gran lacrime fo sepulto. Et questo fo a dì 30 Avosto, come se intese.

El sig. Prospero Colonna, ritornato per acordar el Principe di Bisignano et conte di Capazo, li qualli erano voltati in inimicitia con il re Ferandino, non solum non potè acordarli, ma pur non ebbe audientia, et in questi zorni ritornò a Napoli, et il Re in locho dil Marchexe di Peschara lo elexe capetanio di le sue zente.

El Re, a dì 13 ditto, deliberò di mandar zente, oltra quella havia prima mandato, contra mons. di Obegnì, vicerè franzese in Calavria, el qual non era morto, come fo ditto, et come ho scritto di sopra; imo con zente vollea venir a dar soccorsso a li castelli; et esso Re desiderava molto zonzesse l'armada di la Signoria nostra, [592] la qual a dì 8 ditto era partita di Corfù per venir de lì a Napoli, juxta il decreto dil Senato; et questo desiderava per li molti anzuini era in quella terra, a ciò convenisseno star bassi.

El castello questa notte di 13, et tutto el zorno, tirò bombarde a la terra più dil consueto, et cussì quei dil Re che bombardava Pizafalcone; et in ditto zorno Ferandino cavalchò con il legato dil Pontifice per la terra di Napoli, et non restava continue di far provision, volendo al tutto rehaver li castelli.

A dì 14 di notte fuzite alcuni di l'armada franzese, era lì in Napoli, a presso Castelnuovo, et veneno a re Ferandino; notifichò la calamità de ditta armata, et che stavano per soccorso, et questa speranza li mantenevano, et che quasi tutte le barze era innavicabile per le percution di le artilarie; le galie era sane, ma con pochi homeni, et stavano per fuzir, aspettando l'oportunità dil tempo, et che in castello era stato certo rumor.

In questo zorno el Re se mutò di stantia, di la caxa dil Principe di Salerno, et andò habitar in la caxa dil Duca de Malffi; et questo per dar luoco al Principe di Altemura dovea venir lì, al qual havea questa casa donata.

Et eri si partendo[143] uno galeone di l'armata franzese, et levò l'alboro a una barza di le men guaste; et cussì ogni zorno il Re indebilitava le forze inimiche. Era 4 galie, do di le qual vollevano fuzir. Francesi pativa assai di viver; haveano do panelli di meglio al zorno per uno, sì che a misura si destribuiva; non haveano più carne di niuna sorte, tamen haveano malvasie, et le sparagnaveno usando di l'aceto; et, non obstante havesseno questi desasij, non restava il castello di tirar, non feva danno ma ben gran paura, aspettando soccorsso. Et etiam re Ferandino stava in expectatione di l'armata nostra... di la Majestà di la Raina, per la qual havia mandato le zente pontificie, et a dì 15 ne zonse una squadra; et etiam a dì 14, zonse la galia di ritorno con el subsidio, mandò lo rev.mo vice cancellier a esso Re suo nepote; et el fio dil sig. da Chamarino etiam a dì ditto zonse con le soe zente.

Et essendo in assedio li castelli, et combattendo Pizafalcon, et l'armata franzese esser sotto li castelli, el Re parecchiò do nave, et messe dentro di brusca et polvere di bombarde per mandarle apizate a brusar ditta armata, a ciò franzesi de li castelli andasse a soccorer [593] l'armata; e aragonesi, in quello, haveano uno ponte fatto per buttar al castello di Pizafalcon et tuorlo. Unde, messo la nave in hordine, et trovato homeni che li bastò l'animo de far questo, et a dì ditto fonno messe a vella con uno vento in pope via, et essendo mezo mio lontan di l'armata, quelli dentro li parsse metter foco; et per el gran vento el fuogo se impiò in le velle, in modo che le nave non potè far camin et se brusono tutte avanti zonzesseno a ditta armata nemicha. Quelli le conducevano montò ne la barcha, et ritornò in la terra, havendo gran dolor di haver apizato el fuogo molto per tempo, sì che non fo fatto nulla, et perso la spesa.

Ben che questo non sia el suo loco, pur non voglio restar da scriver, come el zorno drio che fo morto el Marchexe de Peschara da quelli di Santa †, Franzesi ordinò di asaltar el campo aragonese, perchè più non haveano capo, et da tre bande; in modo che si non era li sguizari in varda di le artilarie, et tante ne treteno, che i nemici se tirono indrio, et assai fo morti da ditte artilarie. Etiam di aragonesi, combattendo, qualcheuno fo amazato. Et fato el dì sequente capetanio Prospero Colonna, subito fece parecchi fossadi, e serò Franzesi in modo che non potevano ussir fuora de ditto loco, poi si messe a bombardar l'armada, et sfondrò la galeaza nova, come ho scritto, et guastò bona parte de ditta armada. El castello de Pizafalcon, fino a dì 20 Settembrio, da tante artilarie le muraglie tutte fonno ruinate, adeo pareva mai non fusse stato castello, et remaso solo el sasso vivo; tamen Franzesi si manteniva dentro, et fece certi repari et fossadi dove si ascondevano, che la bombarda non li trovasseno; et, come se intese, si aragonesi butava el ponte, vollea brusarlo. Et, conclusive, fevano grandissima diffesa.

Item Franzesi butò uno vereton con una lettera, la qual dicea: Fè saper al re Ferando, come el tal si è in hordene per amazar Soa Majestà; unde, presentata a esso Re et letta, andò in persona, et fece prender certi zoveni drachioti, et non se intese poi quello facesse di loro. Et visto Franzesi che la sua armata era troppo batuta da le artilarie, et che a la zornata veniva bombardata, deliberono di far ogni suo forzo per pigliar el muolo haveano perso, e questo per salvation de ditta armata. Et zercha a dì 19 Settembrio, Franzesi saltono a montar su ditto muolo, et la varda di repari comenzò a cridar in modo, corsse tanta zente in la terra in soccorsso del muolo et in favor dil re Ferando, che Franzesi tornò con vergogna; tamen fo alquanto combatuto, e morti alcuni di ambe do parte. Et poi, el zorno sequente, Franzesi di novo provò di aquistar ditto muolo; vi [594] andò a la diffesa el re con tutta la terra, et Franzesi conveneno tornar adriedo, con pocho danno di tutti.

A dì 22, Franzesi, postosi in hordine con le artilarie di l'armada, et quella di Castelnuovo, et cussì ussiti di ditto castello, bona parte andono a li repari, e un'altra parte corsse al muolo, et con le barche subito montono suso el reparo. Trovono zercha 25 de quelli dil Re, i quelli si butono in mar per scampar; et de ditti scapollò solum tre, el resto si negò per esser armati; e l'altra parte, che andò a li repari de la chavalaricia, zoè quelli Franzesi ussite del castello, trahendo schiopetti et passavolanti, etiam assai veniva trati dal castello che non lassava intrar aragonesi per la porta di l'arsenal per soccorrer il muolo; et comenzò quei di l'arsena' a romperse, et quei di la ruga Catelana a voltar le spalle in modo, che tutti fuzivano. Et andò una galia con la prova al muolo, et le barche de' Franzesi subito passò a l'altra banda del muolo da driedo via, trahendo passavolanti et volendo ancora tuor el muolo pizolo; et subito tutti li navelii del ditto muolo pizolo si levò et passò al mar de Santa Madalena, dove era le galie di re Ferando. Adoncha Franzesi prese il muolo grando, el barco de San Nicola et lo riparo di la torre di la porta dil muolo. Et aragonesi non poteno far molta diffesa, per esser le artilarie mandate in campo, dove se ritrovava la Majestà dil Re contra mons. de Obegnì voleva venir a soccorer li castelli et etiam nel campo atorno Pizafalcon et Santa Croxe, et altre bombarde poste per ruina di l'armata franzese. Era solum al reparo de San Nicolò una bombarda grossa de ferro, et nel muolo tre bombarde, le qual Franzesi le preseno. Ma pur i nemici non poteno intrar sì presto in l'arsenal, che nostri fonno primi, e comenzò a difender el muolo pizolo. Et in quello se levò le galie dil re Ferando, con un vuoga che pareva venisse per recuperar el muolo; et le galie franzese voltò la sua prova verso a le nostre, et dil castello treteno assai colpi di bombarda a le ditte nostre galie. Tutta la terra, visto franzesi al muolo, zudegando che i se ha vessino fatto forti in li repari cridavano: O dove è l'armada de' venitiani a hora? Et fuora di la porta di la terra, in questo fo pigliato uno franzese andava in la... Or la terra dubitando di novità e tradimenti, serrono la porta di la terra, et li artesani le loro botteghe, et tutti si messeno in arme. E la Majestà dil re Ferando, benchè di sopra scrivesse era contra mons. de Obegnì, tamen ancora non era andato, et andò poi; ma in queste baruffe se ritrovava in Napoli con li soi homeni d'arme, zentilhomeni et cittadini benivoli in la ruga Catelana, et don Carlo, suo fratello [595] picolo natural, era al marchado con bona parte di le zente; et il Re confortava le zente sue andasseno a recuperar el muolo; et loro pur si excusaveno, dicendo non haveano artilarie. Et ditto Re diceva: Fratelli, poi che non me volete soccorer, delibero andar mi in persona, poi che volete che io mora. Et come le sue zente uditeno, una voce, tutti risposeno: Sacra Majestà, non fate, che nui volemo morir più presto. Et subito se partino in do parte, una dal fossado di la chavalarizia, risponde al reparo de San Nicolò, in la porta dil muolo; l'altra parte da l'arsenal; e feno sonar trombe et tamburri con gran remor et strepito, cridando: Viva Ferro! Più di 1000 persone si messe in via, dimostrando grande amor al suo Re. Ma Franzesi, dil reparo de San Nicolò subito si messeno in fuga versso al muolo, et nostri driedo, in modo haveno assa' gran rotta, feriti et morti assa' di loro; et montono in le sue barche et galie, et se ritirò indriedo. Li nostri tirava con archibusi, etiam quelli dil castello a' nostri. Fo recuperato a questo modo el muolo, el qual Franzesi lo teneno in poter, tanto quanto disserono 6 volte la bombarda era ivi; et cussì fo recuperate le artilarie.

Ancora si teniva per il Re de Franza li castelli, zoè Castelnuovo, Castel di l'uovo, Pizafalcon, lo monastier di Santa † et la torre di San Vincenzo. Et re Ferando attendeva a pugnar Pizafalcon, ma per le gran fosse, licet le muraglie fusse a terra, non lo poteva haver. Et ancora l'armada franzese esso Re continuamente faceva bombardar, adeo messe con ditte artilarie in più zorni a fondi la galiaza granda, lo galion nuovo et do altre barze; etiam la nave Camilla di zenoesi, che venne come ho scritto. Et volendo esso Re haver el monasterio di Santa Croxe, et bisognava bombardarlo; unde el Re mandò a dimandar licentia a Roma al Pontifice, perchè pur havea qualche conscientia, per esser chiesia al divin culto dedicata. Etiam mandò a tuor 6 bombarde da Roma, pregando el Pontifice li dovesse servirlo. Et cussì have et la licentia et le ditte bombarde; et subito feceno repari a Santa Croxe, et piantono ditte bombarde grosse, et assa' spingarde et falconetti. Et visto Franzesi non potevano tenirse, dimandò di esser a parlamento con el signor Prospero Colonna, capetanio dil Re. Et cussì a dì ultimo Settembrio fonno a parlamento de rendersse, et fezeno trieva per uno zorno, per veder si se potevano acordar; et, non li bastando questo zorno, ne volse uno altro, poi etiam doi altri zorni per parlar meglio insieme, et andava elongando la trieva; tamen stevano Franzesi su le mure in hordine, et nostri dil campo disposti, si non si rendevano, darli la battaia. Et [596] niun parlavano, altri cha Prospero Colonna et don Zoanne, i qualli andavano ne li castelli; et de' Franzesi veniva do zentilhomeni dil castello a parlar al Re. Et cussì stevano in queste pratiche. Et accidit, che uno sguizaro, valente homo et bellissimo di la persona, vestiva di veludo, havendo uno suo fratello di Santa †, et pativa gran fame et disasij, unde parsse a questo sguizaro nostro di butarli do pani freschi. Et el sig. Prospero, vedendo questo, mostrava volerlo far morir. Ma la Majestà dil Re li mandò dir li dovesse perdonar, perchè era stato causa l'amor dil fratello. Et el capetanio de' sguizari nostri, inteso questo, subito fece sonar la sua trombeta, e insieme con la soa compagnia andò a la volta dil preditto sig. Prospero. El qual signor credeva ditti sguizari venisseno per ajutar el so compagno. Ma zonto lì, el capetanio domandò dove era il suo homo, dimandandolo; dicendo: Io so ben quello debbo fare di lui, et altri cha mi non dia far justicia sopra li miei. Et el sig. Prospero rispose: La Majestà dil Re li ha perdonato. Et el capetanio disse: La Majestà dil Re può perdonar a li suoi; et io farò la nostra usanza, secondo il costume nostro. Et cussì lo tolse, et lo menò in uno loco, dove francesi, maxime il suo fratello, i qualli stavano su le arme, lo potea veder. Et, ordenatamente conzati li sguizari a fila a fila con le lanze, poi el capetanio disse a tutti che, per il sacramento haveano di esser fedeli dove serviano, tegnisseno le lanze, et comandò che questo suo compagno dovesse esser morto da le soe lanze de tutti, et se niun fusse che non desse di la lanza, poi lui sarebbe morto, poi disse a quel sguizaro: Conféssate. E mandato per il prete, fo confessato. Le lanze tutte stavano a la fila con la ponta avanti; et el capetanio disse: Su, corri per mezo. Et il sguizaro alzò li ochi al cielo, et si racomandò a Dio, digando le sue oration. Poi disse: Si ho dato do pani a mio fratello, che moriva da fame, l'ho dato in presentia et palexe, che ogniuno mi vedeva, non per falsità alcuna, nè per tochar danari; ma poi che lo mio capetanio vuol che io muora, voglio obedir, et mi ricomando a Dio et a la Vergine Maria. Et poi tirò la sua bareta tanto in zoso, che si coverse i ochi; poi corse per mezo di le lanze in modo non restò niuna che non fosse fichata in la sua persona. Have più di 200 lanze, et cussì morite da li suoi proprii compagni e parenti; sì che, judicio omnium, fo usato gran crudeltà. Et il capetanio fece per mantenir la sua fede di non esser traditori, e mostrò haver grande ubedientia da li soi, che in fina lo morto lo obedite. Et questo, per esser cossa notoria, ho voluto qui scriver.

[597]

Novitade acadute in Perosa.

In questo mezo a Perosa li Odi, foraussiti di Perosa, havendo intelligentia in la terra, a dì 3 Settembrio introno dentro Perosa; però che lo principalle cittadino che se ritrovava in la terra, in ditta mattina a l'alba andò a la porta di San Zuanne, et fece aprir la porta per forza a li custodi. Et aparse quatro squadre de cavalli de ditti fora ussiti, bene in hordine, et 2500 fanti; et preseno la terra fino al Monte, avanti che la parte contraria de Baioni, che in quella regnavano, sapesseno alcuna cossa. Ma, inteso questo, tutta la terra fo in remor; et pigliato le arme, fonno a le mane, taliter che fonno morti di quelli fora ussiti a presso 150, et do di li primi. Alexandro Savello perse el cavalo et scampò. Et fo presi di questi, erano con li Odi, zercha 400, e di quei di la terra non ne fo morti se non 6, però che fino le donne li aiutaveno combattendo. Et a ciò el tutto se veda et intenda, quivi sarà notado una lettera che scrisseno li do arbitri di la città di Perosa al suo secretario, era a Roma, di quello successe la prima battaglia. La qual è questa.

Exemplum litterarum Perusiensium.

Domine Petre Paule. Da poi la lettera nostra de la felice vittoria contra li inimici, tuttavia le cosse nostre sono prosperade per la gratia di Dio; imperochè havemo trovato 272 cavalli guadagnati et 80 para di barde, et havemo pregione el sig. Troylo Sabello, capo de li nimici, qualli tenimo honoratamente et con comodità in palazo de li signori Priori, ma con bone guardie. Havemo recuperato Geliano et siamo in praticha de recever la Frata, quale in breve intenderete, piacendo a Dio, esser tornata a la obedientia nostra. Sì che state de bono animo, et comunicate con li amizi, aziò partecipano de ditta felicità. Bene valeat.

Perusiae, 7 Settembrio 1495.

Federico et Bontempo de li Bontempi et Bernardino Cavacepi sono stà impichati... Lodovico de li Ermani, quale aprì la porta di Santo Andrea a li nimici, è morto da certe ferite che ricevete in lo conflitto. Li filioli de Leonello de li Odi, che sono tre, se conservano vivi in loco securo.

Post scriptas. Ne è refferido, alguni fanti, qualli hanno recuperado [598] la pieve de mons. rev.mo el Vescovo nostro, occupata prima da li fora ussiti, havere fatto zerte disonestà..., quale non havemo inteso particularmente, per esser tanto occupato el magistrato nostro, quanto fusse mai più. Excusate la cossa che è fatta penitus contra nostra voluntà, imo con grandissima nostra desplacentia, et provederemo a la restitutione.

Subscriptio:

Domini arbitri civitatis Perusiae.

A tergo: Praestanti viro, domino Petro Paulo Venacio, secretario nostro dilectissimo, Romae.

Successo di Pisani con Fiorentini.

Domente queste cosse intervengono, Fiorentini, disposti di haver al tutto Pisa, vi mandò el suo esercito gubernato dal Duca di Urbin, atorno. Et in questi zorni acadete che, havendo Pisani a loro soldo Paulo Vitelli, el qual li rebelono et si acordò con fiorentini, et vene nel borgo di San Marco in compagnia de molti fiorentini, vestiti a la franzese tutti, con la insegna dil Re di Franza et de' Pisani, cridando: Franza! Franza! Et Pisani, credendo venisseno in loro ajuto, per esser esso Paulo in acordo col Re de Franza, ussiteno per venirli contra a farli festa a questo soccorso. Ma Lucio Malvezo, capetanio de' Pisani, vedendo andar fuora Pisani, li disseno non dovesseno andar, et che prima vedesseno che zente fosseno. Ma loro, di tanta alegreza li fusse mandato per il Re soccorso, ussiteno pur, et malle li colse, però che fonno messi in mezo da ditto Paulo Vitelli, et fo morti assa' Pisani; et si non era el capetanio dil Re de Franza, che ussite di cittadella per aiutarli, erano compidamente tutti morti o pigliati, et quel zorno fiorentini haveano la terra; ma Franzesi combatteno gagliardamente, et fo morti assa' zente di ambedoe parte, ma pur Pisani ebbeno la pegiore. Et poi separato la pugna. El qual capetanio franzese messe molti Pisani a guarda dil centro dil muro di la cittadella nuova, et fiorentini prese il borgo di San Marco, et quello tene; ma quelli di la cittadella li salutavano dì et notte con artilarie, et trevano bombarde a le caxe per ruinarle; et a la fine lassò ditto borgo. Questa battaglia fo fatto el dì di Santa Croxe, a dì 14 Settembrio, a hore 24 che li nimici veneno a quell'hora per non esser cognosciutti. El zorno da poi, fo a dì 15 ditto, arivò in Pisa el sig. Frachasso di San Severino con... cavalli, el qual fo mandato [599] per il Duca de Milan, per nome de la Signoria de Venetia et d'altri confederati, et venne per mar. Et è da saper, che la liga terminono de aiutarli et mantenerli in libertà. Et el sig. Frachasso, zonto, li mandò uno suo trombetta in campo de' fiorentini, a notificharli da parte di la liga che i se levasseno de l'impresa infra 4 zorni, et, non facendo, se intendesse esser rotto guerra di la liga contro di loro. Et li commessarii de' fiorentini risposeno, che loro non rompeano liga alcuna, ma che vollevano la terra loro, et che el Re de Franza ge l'havea reduta, et però la volleano.

Questo fo divulgato si fusse; onde tal parole io non l'acerto, tamen la ragion persuade che le debbi esser state etc.; sì che, a questo modo, Paulo Vitelli rebelò li Pisani, et etiam sempre havia dato danno al paese. Et come vidi una lettera di uno Jacomo da Luca, scritta a dì 17 Settembrio in Lucha a uno Gerardo Arrigi, habitava in Roma, che etiam esso Paulo havia fatto da prima tuor li grani, et mandato in campo de' fiorentini, et cussì vendemar e toglier bestiami; sì che dove Pisani credevano esser aiutati, erano dannizati. Et in questa baruffa ditto Paulo Vitelli fo ferito a morte, et il fratello fo morto. Et è da saper, che fiorentini haveano, ut dicitur, fatto una stratagema et assa' degna astuzia; et feceno far do sachi di grossoni, di quelli valeano soldi 7 l'uno si bateno a Fiorenza; et quelli feceno dorar, adeo parevano fiorini d'oro; et questi mostrono a certi franzesi che steva col capetanio francese ne la cittadella di Pisa, dicendo vollevano darli al suo capetanio, si desse la forteza a loro, perchè cussì era la voluntà di la Majestà dil Re de Franza. Et quasi erano concordate le cosse; ma in questa baruffa fo preso uno fiorentino, el qual volendo esso capetanio franzese amazar, disse: Non mi amazate, che vi dirò cossa che vi piacerà assai haverla saputa. Et manifestò questo de li grossoni dorati, et etiam haveano fiorentini fatto far do some de capestri per impicharli tutti, et Franzesi et Pisani, et maxime esso capetanio, habuto che havesse li ditti danari. Unde fo molto a charo al ditto de intender questo; et deinde fo mortal nimico de' Fiorentini, et tenne sempre da' Pisani.

In questo mezo, Piero de Medici a Roma feva fanti, et, acordato con el sig. Virginio Orssini, volleva venir versso Fiorenza et ritornar nel stato, dischaziando la parte contraria. Et questo se intese a Venetia, a dì 19 Settembrio, per lettere di l'orator nostro a Roma. Dove poi, partito ditto Piero et venuto a Siena, in Fiorenza acadete che uno, chiamato il Serpe, portò alcune lettere di esso Piero ad Averardo de Medici, suo parente, homo veterano et animoso, pregando [600] dovesse immediate vestir in forma di ragazo madona Alphonsina di casa Orssina sua moglie, la qual era in uno monasterio et stavasi, et che dovesse menargela. Unde, ditto Averardo vestite la ditta donna a modo ditto di sopra, facendo vista di andar a una sua possession con alcuni soi, et havendo questa donna, vestida da ragazo, una bolzeta a l'arzon e al brazzo alcuni lazzi con cavi[144] et uno capello con una capa di scherlato atorno, a cavalo, et cussì ussite ditto Averardo di Fiorenza, che niun de costei se n'avide, et andò a una sua possession, et zonse a horre do di notte. Poi, a hore tre tolse la volta de Siena, et presentò la moglie a Piero, non senza tenere lacrime di esser stato tanto a vederse. Et poi esso Averardo ritornò in Fiorenza. Et la Signoria già havea saputo questo; unde li 8 de la balia mandò per ditto Averardo, dimandandoli la cagione perchè havia fatto questo. Rispose, che per niuna età si dinegava, etiam a' rebegli, la mogliere; et quando uno non tratava cosse di stado, che non meritava reprensione, et che havia acompagnato la moglie al suo parente, et che si non l'havesse fatto, lo farebbe di novo. Et ditti signori, vedendo era ragion, non li feceno altro.

Come fu amazato domino Jacomo da Savona a Forlì.

In questo mexe di Settembrio, essendo andata la madona de Forlì, fo moglie dil conte Hieronimo, una matina con domino Jacomo Feo di Savona, so favorito, a la chaza con cavalli zercha 60, et quel zorno stando in piacer, per uno da Forlì, era scolaro, et uno da Imola, homo d'arme, el qual da ditto domino Jacomo era stà tenuto tre anni in carzere, con altri cinque, ferono una congiura dentro di una chiesia, di voler devorar ditto domino Jacomo, ritornando da la cazza. Et si messeno a la porta de Schiaonia sotto uno portico questi 7, armati con spada et roncha, et a hore una di notte veteno venir alcuni dopieri impiati, zoè madona in chareta ritornava in la terra, et ditto domino Jacomo a presso, confabulando con lei venia. Uno de li 7 conjurati se li fè incontra, et disse: Ill.mo Signor, io ho lettere dil rev.mo Cardinal di S. Zorzi. Et ditto domino Jacomo, tochandoli la mano, disse: Dove è le lettere? Et lui rispose: Signor, ve le darò adesso. E cavò una spada, tenendo domino Jacomo per un brazo, li dete una botta nel petto, et passolo da un canto a l'altro, dicendo: Queste son le lettere. Et il remor essendo grande, cridavano [601] li altri de la congiura: Non si mova niuno, che madona et el signor si fa far questo; tamen non era la verità. Unde niuno per questo si mosse. Et madona si butò di chareta, intendendo queste parole; e andoe per grandissimo dolor in angossa. Molti soi favoriti et servitori la prese, et messela a cavallo, et corsero a la rocha, stimando la terra fesse qualche novità o tradimento. Et a hore 4 ditta madona si armò de tutte arme, e vene dove era stà morto domino Jacomo, et vetelo morto, tagliato in 100 pezzi. Et dimandato dove era le case di questi proditori, vi andò con zente d'arme et fanti, et fece prender le loro donne, et fele taiar a pezi; tra le qual ne era molte gravide; etiam li figlioli di 3 anni feze amazar, cossa crudelissima, et contra quel ditto di Christo, che: Filius non portabit iniquitatem patris, neque pater iniquitatem filii; et poi fece bruxar le caxe: et tutta la terra era in gran terror. Et a hore cinque fece adunar el populo in arme in piaza a lumi di dopieri; feze metter 5000 ducati ne le man di 4 cittadini, et publichar la taia contra li coniurati, o vivi o morti chi li presentasseno, havesse quelli danari, etiam provisione in vita, et di herede in herede. Et non passò do hore, che 4 di loro fonno presi et strascinati la notte a coda di cavallo, di la porta va a Cesena fino a quella di Schiavonia; et dove fu seguito el delicto fecili tajar una man per uno, poi li fece squartar et metter li pezzi a le porte di la terra; et la matina fo preso uno prete, et uno altro pur de ditti, li qual fonno tanaiati, dapoi che fo trascinati et morite; sì che feze crudelissima vendetta, la qual smorzò il dolor dil suo domino Jacomo. Et è da saper, che il cardinal San Zorzi, fo fradello dil conte Hieronimo, in quelli zorni persuadeva ditto domino Jacomo volesse partirssi di Forlì, et li daria ducati 20 milia, et uno castel chiamato San Marco, facendolo far condutier di la Chiexia; et lui non volsse acceptar questo partito, per non partirssi de Forlì.

Finit liber quartus.

[603]

Magnifico et sapientissimo Marco Sanuto Bergomi praetori justissimo, Marinus Sanutus Leonardi filius patricius venetus salutem.

Si l'amore et la benivolentia, oltra l'affinità, Pretore integerrimo, mi astringe de intitolarti alcuno de questi libri di la gallicha ystoria, non mancho mi exorta ogni tua conditione; perchè, volendo considerare fra me più fiate, a chi dovesse questo libro quinto dedicare, niuno a Toa Magnificentia trovai dover esser antiposto, sì per esser primario di la caxa nostra Sanuta, quam per la sapientia et, ut ita dicam, summe dote de' cieli, che in te sono. Aduncha, posto da canto ogni altro patricio che in questa guerra si habbia exercitato, ho voluto, et merito, dedicarti parte dell'opra grande et faticosa, per mi con ogni verità descritta, et in quella de Toa Magnificentia non mi dimenticare, perchè niuna cossa debbe esser più extimata, quanto honorar il sangue et prole sua. Et quanto me ne glorii dil tuo dignissimo portamento in questa pretura bergomense, credo non sia celato a Toa Magnificentia; et però non son stato immemore delle fatiche, sine farti participe. La qual opera, benchè vulgare sia, et non da le orecchie tue, immitatore di ogni philosophicha et astrologicha disciplina, pur, per la verità della materia et amore dil compositore, son certo ti piacerà talhora leggerla, quando harai otio, licet di raro in questa pretura hai, per le frequente audientie et expeditione che fai cotidianamente; tamen, captato tempore, leggendo, prometto a Toa Magnificentia, non di ornato parlare, non di vocabuli exquisiti, non di nuove imaginatione, ma ben de verità et cosse ordinate a suo loco, vederai questa piena, et con summa diligentia descritta. Et niuna cossa tanto mi ho inzegnato di scrivere, quanto come sono vere passate le cose di questo Re di Franza, et seguite in Italia et in varie parte dil mondo; opra, si non al presente, apud posteros, da esser laudata grandemente. Perchè, magnifico Marco affine mio, io volendo veder tutte ystorie a principio mundi usque in hodiernum diem, trovo questa venuta di [604] Carlo re non esser mancho da farne memoria d'ogni altra seguita, si per la pocha... et grande animo, la fortuna prospera et poi contraria, la division de Italia, Veneti tacere et poi moversi a la liberatione di quella, già quasi in potere gallico venuta, mediante la qual Italia è liberata. Ergo grande ubligatione tutti Italiani debbeno haver a questa Republicha, come leggendo si vederà il tutto giorno per giorno. Et etiam Toa Magnificentia zercha questo ha habuto qualche faticha in questa pretura, col magnifico collega tuo, in mandare saepius provisionati, et tanti, in campo, adlozar zente d'arme, et altre provisione libentissime mandate ad effetto per quella fidelissima comunità; le qual tutte.... qui scripte. Et sono certo non potrai star de laudar l'afine tuo di la faticha grandissima, che è stata talle, che talhor vorebbe mai haver principiato scriver alcuna cossa; ma poi che havia fatto assae, volsse con ogni inzegno venir al desiato fine, et cussì scritto ho fino dil primo di Gennaro; et più presto ho voluto dar materia a molti che mi apontano, che star taciturno, cossa che a Toa Magnificentia molto dispiace; et saepius questa mi ha ditto: l'autorità digna di philosopho dover esser limitata, che frustra est illa potentia, quae numquam reducitur ad actum; et per questo ho voluto tenir ascoso questa opera, come di qualche altra ho fatto, che Toa Magnificentia ne sa qual cossa. La qual reverisco et honoro come padre, possa che la fortuna mi privò dil carissimo genitore a la legatione romana, et dil patruo, padre tuo, et da me non manco extimato, in la castrense legatione de Ferrara. Unde, rimasto Toa Magnificentia, merito ti dobiamo l'amore paterno portare. Conosci adoncha quanto Marino è volonteroso di metter in eternità le cosse de la Republica et patria nostra; vedendo questa inculta opera, chiaro el conoscerai. El qual a Toa Magnificentia si ricomanda, quae diu felix valeat. Vale et me ama, tibique persuade a me plurimum amari.

Venetiis.

[605]

Marini Sanuti Leonardi filii Patricii Veneti de successu Caroli regis Francorum in Italia post cladem acceptam Liber quintus feliciter incipit[145].

Exemplum brevis sanctissimi D. Nostri ad Januenses.

Alexander Papa sextus.

Dilecti filii salutem et apostolicam benedictionem.

Cum ex ipsa rerum magistra experientia clare cognoverimus tui gubernatoris et istius genuensis reipublicae optimam dispositionem, et mentem ac effectus voluntati correspondentes, pro salute et conservatione italicae tranquillitatis, adversus Regis Gallorum conatus, vos plurimum in Domino commendamus, et pro pastorali, quod nobis incumbit, officio ad gregis dominici custodiam, enixe hortamur velitis eosdem vos in futurum praebere qui hactenus fuistis. Nam quoad promissionem vobis ab agentibus sanctissimae confoederationis nostrae factam, circa loca vestra Petraesanctae, Sarzanae et Sarzanellae vobis restituenda, certissimi esse potestis, nos et confoederatos nostros unite pro virili parte non esse defuturos; quin imo ad quaecumque expedient prompto animo elaborabimus, ut voti compotes evadatis.

Datum Romae, apud Sanctum Petrum, sub annulo piscatoris, secundo Kalendas Septembris, M CCCC LXXXXV, Pontificatus nostri Anno IV.

A tergo: Dilectis filiis nobilibus viris Augustino Adurno, gubernatori, et consilio antianorum civitatis Genuae.

[606]

Zente franzese lassate a la custodia dil Reame di Napoli quando se partì el re de Franza.

Mons. de Mompensier, vicerè, con lanze Num. 100
Mons. de Obegnì, gran contestabele, con lanze » 100
Mons. de Beucario, gran camerario, con lanze » 100
Mons. de Perssì, gran sinischalcho, con lanze » 50
Mons. de Campo rosso, con lanze » 100
Gratiano de Guerra, con lanze » 50
Gabriel de Monfalcona, con lanze » 50
Mons. de la Martia, con lanze » 25
Domino Julliano, li ballestrieri, et lanze » 25
Altre lanze date a diversi franzesi, zercha » 100
 
  Summa 700

Zente Italiane.

El Prencipe de Salerno, domino Antonello di S. Severino, lanze Num. 100
El Prencipe de Bisignano, lanze » 50
El Ducha de Melffi, lanze » 50
El Marchexe de Martina, lanze » 50
Missier Trojano Papacoda, lanze » 25
Altre lanze spezade, fin al numero de » 400
 
    675
 
  Summa 1375

Le qual lanze de italiani, li conduttieri de epse le pagino in su li salli e fochi di le terre per questo anno, zoè l'instante, si po far stima de potersine haver. Et queste zente ho voluto qui poner, per la caxon che scriverò.

A dì 14 ditto, el Duca de Millano, et Luca Pixani e Marchiò Trivixan, provedadori nostri, con altri signori et conduttieri, da poi disnar chavalchoe a sopraveder Chamarian. Et, chavalchando, disse: Ad ogni modo voglio far palese. Questo ambassador di Spagna vorria impazarsi, et mai el suo re ha roto. Et voltato versso li Provedadori, disse: Sarò sempre obsequentissimo fiul di la Signoria, et lasserò a' mei figlioli fazino el simile, perchè questi do stati stando insieme, non è da dubitar d'alcuno. Et diligentemente explorato, tornoe al logiamento. Et poi esso Duca in questa matina è da saper [607] chavalchoe per veder li suoi fanti alemani; poi, tornato in camera da li Provedadori nostri con li oratori era con lui, et disse haver lettere da la Majestà dil Re de' Romani, di la morte di la marchesana de Monferà, e del governo di quel stado esser dato al sig. Constantin Arniti; el fiul saria in età legitima; di la qual cossa Soa Majestà scriveva esser contentissimo. Et cussì mandoe un, con ditte lettere, al ditto sig. Constantin, offerendoli le forze sue per conservation di quel stado, persuadendolo a moversse de li servigii gallici, e unirse con esso Duca; et mandoe domino Jacomo Soardo, homo dil marchese di Mantoa, che alias vi fu.

Nel nostro campo se divulgava esser fatta la pace dil Duca de Milano preditto con el Re de Franza, et che andava dissimulando fino havesse ordine... El capetanio nostro, el conte Zuan Francesco, et domino Marco da Martinengo erano di questa oppinione; tamen la verità non si sapeva. Et la sera avanti vene un franzoso per metter ordine di aboccarse oratori dil Re col Duca.

El Re era a Verzei, et il fiume di Sesia, per le aque et pioze eran state, era cresciuto; il ponte passava a Verzei si ruppe, unde el Re rimase di là da l'aqua con parte di le sue zente, et il resto de l'exercito di qua; adeo si non era questo levar de le offese, Franzesi pativano gran danno, perchè el Re non li poteva soccorrere..., licet a l'ultima paga se ritrovasse fanti num. 7860 in tutto. Li provisionati al presente eran nel numero, fanti da guazo 2000, provisionati 1000, senza quelli erano in Alexandria di..... e Tortona, che erano più di 700, pagati per la Signoria, e guardava le terre dil Duca de Milano; elemani erano 350. Et in questa sera zonse li 400 elemani fatti per Vincenzo Valier, venuti per la fin di Trento, et etiam ozi ditti elemani ne zonse a presso 1000. Ancora li provisionati del capetanio nostro eran, ma nel campo tudesco li mancava più de la mità per esser fuziti. El Duca in questi zorni mandoe 300 fanti, et etiam fuziti assai elemani, come diceva domino Zorzi di Pietraplana, eran circa 4000 e non più. Si Brexa e Bergamo..... si faceva li provisionati.

Zonse in campo ducati 5000 mandati da Venecia, et già ne havean mandato de gli altri; et questo per aproximarse le page, le quale si faceva a dì.... del mexe. Et Orsato Moresini, pagador, in questo zorno andoe a Milan in careta per mutar aere et curarsi de la egritudine; pur stava meglio. Et el conte de Petigliano era a Milan, et li medici dicevano bisognava curar una tumefaction, unde mastro Ambroxio andoe a Milano per darli bon zorno.

[608]

Quattro stratioti se partì di campo con licentia de' Provedadori per venir a la Signoria per nome de li altri, et dimandar, oltra le page, li fusseno pagati li cavalli amazatili in campo.

In questa sera zonse dal Duca un secretario del signor de Piombino, e portò lettere de la comunità de Siena. Quello volesse non se intese.

È da saper, che domino Francesco Bernardin Visconte e Hieronimo Stanga, andati eri al Re, non poteno andar a Verzei, per esser rotto el ponte, et esser cresciuto assai l'aque che li... nemici si adaquoe, et fonno guasti vestimenti et arme. Hor questa matina questi andono, et a hore 4 di notte si tornono in campo dal Duca, et referite che quando confutoe esso Francesco Bernardin li capituli dati per Franzesi, cioè quelli deputati..., et cussì de le proposition diceano al Duca dimandava cosse grandi. Item, come haveano terminato, el maraschalcho de Giaè, mons. de Pienes et mons. de Arzenton de venir diman qui nel nostro campo a parlar col Duca de Milan, et se restringeriano su do cosse: la prima, su lo armar a Zenoa; la seconda, dil reame de Napoli niun se ne impazasse, ma lassar far a la fortuna; et pur che Zuan Jacomo di Traulzi mandava a dir a' nostri Provedadori che se mandasse una volta il... in Franza, et che tutti haveano voluntà de ritornar a caxa, maxime quelli signori baroni; e poi saria quel Dio voia. Item, che el balì dil Degiun dovea menar assai sguizari, et lo aspettavano de zorno in zorno... Notifichoe ancora, che se più durava le pioze, era forza Franzesi si levasseno, che si tragettava el fiume con barche, et tutto adaquato quel paexe.

A dì 20 da matina in camera del Duca con li ambassadori et Provedadori, ditto domino Francesco Bernardin referì come havean fatto trieva fino venere proximo, sarà a dì.... ditto, et che li tre oratori regii sariano questa matina lì. Et immediate fo publicata la trieva, et fonno fatte tre copie, una mandata a la Signoria nostra, una al Re de Franza, l'altra al Duca di Orliens in Novara. Comenza cussì:

El se fa bando e noticia come, essendo fatta trieva tra el christianissimo Re de Franza con l'exercito suo et con l'exercito nostro etc., et non fo nominà el Duca de Milan, nè el capetanio nostro, niuno; et questo fo fatto per buon rispetto, non senza savio consulto. Et el Duca iterum con l'ambassador de Spagna se apizono de parole, perchè esso ambassador non vollea fusse fatto pace senza saputa del so Re; et el Duca pur diceva, se l'avesse rotto guerra etc., [609] et che per li capitoli potea farla, però che el capitolo parlava a questo modo: si forte occurreret, quod Deus avertat, quod ad bellum deveniretur, non possit quovis modo fieri pax nisi scientia sociorum, et cum reservatione et sine praejudicio praesentis confoederationis et ligae. Et mostrato ditto capitolo el Duca a l'ambassador, disse: el dice saputa, non dice consultatione; lo ho za scritto a la Majestà dil Re vostro; ergo etc.

Vincenzo Valier, nominato de sopra, ritrovandossi in campo, et non vi essendo il pagador, parse a li Provedadori de dar al ditto questa altra faticha di esser pagador, a ciò li danari fusseno ben dispensati. Et fu contento di accettar tal provintia, per servir la Republica, et restoe pagador fino el campo se disciolse. Et Urssato Morexini si ritrovava a Biagrassa, volendo andar a Milan.

A dì 20, a hore 21, el Duca de Milan con l'ambassador de Spagna, li Provedadori et ambassador nestro, et Bernardo Contarini, provedador di stratioti, andò circa un mio avanti in campagna aspettar; et a hore 23 zonseno li tre oratori franzesi[146] nominati di sopra, de compagnia col Marchese di Mantoa, nostro capetanio, li era andato più avanti contra; et el Duca andò solum circa do miglia. Et smontati nel pavion dil capetanio, dove feceno colation, poi veneno nel castello dal Duca. In quella sera medema el Duca mandoe per li Provedadori, che si trovasseno ad udir le imbasate loro. Era la duchessa soa consorte, el capetanio nostro, l'ambassador de Spagna, el nostro orator, el Duca et ditti Provedadori, posti a sentar a la fila, i oratori sentono su tre cariege per mezo. El primo el marascalco de Giaè; el secondo, che dovea esser mons. di Pienes, lui volsse fusse mons. di Arzenton, perchè esso dovea far le parole. El qual Arzenton disse: La Majestà dil Re nostro ha voluto mandar nui tre a la Excellentia Vostra, a ciò possiamo presentialmente dir a quella quanto è la mente de Soa Majestà, la qual è desiderosa venir a la pace. E questo è stato meglio che dir per intermedie persone, come hieri fo ditto. El Duca rispose: Hessendo quello son con la Majestà dil Re di Spagna, et fiul de la Illustrissima Signoria di Venetia, a la qual son sempre ubligatissimo, torò questo assumpto in risponder in nome de tutti, et ringratiar la Majestà dil Re che ne ha mandato tal huomini, qual sono le signorie vostre. Ringratiamo etiam quelle de la faticha le hanno tolto per venir qui. Per quanto [610] aspetta al desiderio ha la Majestà dil Re al vegnir a la pace, io ve dico che in tutte cosse honeste non me trovarete manco pronto di quello è Soa Majestà; però dicete quanto vi par. Et mons. di Arzenton disse: Illustrissimo signor, la Majestà dil mio Re non vuol far apontamento alcuno de Novara, se prima el non parla col Duca de Orliens suo fradello; però rechiedemo un salvo conduto per lui. Et el Duca rispose: Magnifici ambassadori, io non ho da far de niente con el Duca de Orliens, perchè lui non ha tolto la mia terra de Novara, ma la Majestà dil Re me l'ha tolta con le soe zente et con li soi danari; e so ben che 'l Duca de Orliens non havea posanza di tormela, per lui. Acordamose pure con la Majestà dil Re; et se 'l Duca d'Orliens vorà poi cossa alcuna da me, la rechieda, perchè io li risponderò. Dil salvo conduto da esser fatto, io sarò insieme con questi magnifici signori, et vi responderemo. Et el Duca con li altri andò in un'altra camera, dove fo disputà et concluso farli el salvo conduto de andar a parlar al Re; e, non seguendo la pace, possi ritornar in Novara con quelle zente vi sarà. Et cussì fo risposto a ditti ambassadori, et diliberato per segurtà dil ditto Duca d'Orliens, de mandar la matina seguente uno de quei signori, con uno ambassador franzese, a Novara, per trazer fuora el ditto e condurlo do o ver tre miglia. Et questo volse esser el nostro capetanio marchexe de Mantoa, che vi andasse. Et li oratori, tornati a lo alozamento per esser tardi, spazoe uno trombeta con lettere al Re.

A dì 21, per esser l'aque grandissime, adeo non se poteva guazar, non fo trato el Duca d'Orliens di Novara, come era l'ordine dato, ma fo trato come dirò di sotto. In questa matina, el Duca con li oratori, Provedadori et signori nominati di sopra, fonno insieme con li ambassadori franzesi, et mons. di Arzenton pur parlò. Disse che Zenoa, la qual era data in feudo al Duca, era conveniente el Re potesse disponer de quella, per recuperar el suo regno de Napoli. El Duca rispose, era vero dil feudo dato a' suoi antecessori, et li pareva stranio el Re volesse tor la cossa che una volta haveva donata, nullo demerito praecedente. Et poi Arzenton dimandoe almanco fede, di poter armar a Zenoa. Rispose el Duca: La fede mia è bastante. Disse Arzenton: El Re vuol el casteletto de Zenoa per segurtà, per haver speso assai in aquistar el Reame de Napoli; e saria vergogna lassar l'impresa. Rispose el Duca: Lui non era stà causa el spendesse, et se lo havia perso, Soa Majestà era stato cagione; et non voleno darli el casteletto. Et mostrò el privilegio antiquo dil feudo. Poi disse: Si ve metterè a l'honesto, mi metterò; si [611] vorè la pace, la vorò; si vorè la bataia, etiam la vorò e quanti è in questo campo la volemo; et son partito di Milano per venir a far bataia. Et li ambassadori disse, che non volevano ofender el Re de Romani, perchè Novara era de l'imperio. Et el Duca rispose: Non son io soto l'imperio? Et mi ofendè. Poi la Signoria mi pol comandar, de la qual son fiul, e sempre ubligatissimo; vojo che in ogni tempo la me comandi, per haverme conservato mi et el mio stado; et dil mio stado voglio la disponi quanto dil suo proprio. Et cussì andò tutti a disnar. È da saper, li Provedadori udiva, ma non parlavano; et dil tutto advisavano statim la Signoria; e a Venexia si faceva gran consultatione. Etiam l'ambassador di Napoli, era col Duca in campo, non intrava in queste cosse.

Dapoi disnar, li ambassadori ditti veneno a la camera dil Duca, dove si reduseno Provedadori e li altri; mancava l'orator di Spagna, el qual venne dapoi. Et mons. de Arzenton parlò, et disse haver visto el privilegio dil feudo di Zenoa, nel qual si contien di esser buon vassallo dil Re, amico de li amici etc. El Ducha rispose: Son contento; a li soi nimici li farò brutta ciera; non che spenda dil mio. Parlono poi dil casteletto, et el Ducha disse: Non penssè. Arzenton disse: Trovemo qualche via el Re sia securo. Et volendo consultar el Ducha con li Provedadori nostri, quelli risposeno, sua signoria era sapientissima, et non li bisognava consulto. Etiam l'orator yspano non volsse dir alchuna cossa. Poi li ambassadori franzesi dimandò Monopoli, per venetiani preso. Rispose el Ducha: Magnifici provedadori, rispondete. Lhoro risposeno, non sapevano nulla. Poi dimandò le galee dil Re, prese a Zenoa. Rispose el Ducha: Le galee prese in guerra non voglio restituir, ma ben quelle sono state retenute a Zenoa son contento restituirle. Poi disseno, el Re vollea esser satisfatto di le spese di ritorno, dal dì partì di Pisa sino al presente. Rispose el Ducha: Anchora io ho speso; remetiamo questo in judexi, et quello sarà sententiato, quello paghi. Havete altro da dir? Et ditti oratori pensono un poco; poi disseno, zoè mons. de Arzenton: E la restitution di lochi etc. de missier Zuan Jacomo Traulzi e qualche un altro. Rispose el Ducha: Son contento; dite chi son i altri. E loro risposeno: Missier Francesco Secho. Et in questo el Ducha rispose non ha da far nulla di lui. El sig. marchexe di Mantoa è qui, che è patron di questo. Et ditto Marchexe disse: Missier Francesco mi ha voluto tor la vita. Poi dimandò mons. de Miolans et il Bastardo di Borbon sieno deliberati, i qualli erano presoni. Rispose el Ducha: Anchora che mons. de Miolans sia mio gran nemico, son contento, [612] et li ho fatto bona compagnia; et del Bastardo di Borbon, era preson a Mantoa, el capetanio nostro, marchexe preditto, disse: Che mi refarà de li miei huomeni, son stà morti nel fatto d'arme a Fornovo. Demum essi dimandoe la taglia data a li presoni suoi, fusse pagata ma non duplichata. Rispose el Ducha: Era cossa honesta. Et, ultimo, dimandò che alcuni zentilhomeni amalati in Novara, franzesi, fossero licentiati andar... Rispose el Ducha, dovesseno dar in nota quei erano, poi se deliberaria. Et altro non fo ditto. El Duca volsse lezer le sue petition, et fè ogni instantia fosse restituito a' zenoesi Serzana, Serzanello et Pietra Santa. Non fo concluso. Poi dimandò li 80 milia ducati havia prestati al Re, et li ducati 17 milia li prestoe il rev.mo cardinal Ascanio, vice cancellier, suo fratello. Risposeno li ambassadori, quando el Re se aboccarà con Vostra Excellentia, tra voi vi acordarete di questo. Et fo messo tutto in scriptura, et una copia statim mandata a la Signoria. Et avanti a hore 21 se disciolseno di queste consultatione, et li ambassadori tornono al loro alzamento.

A dì 22 ditto, de matina a bon'hora, el Ducha de Milan preditto partì di castello, et andò al suo pavion, dove era li oratori franzesi, et steteno soli più di un'hora in colloquio; poi mandò per li Provedadori et Hieronimo Lion, cavalier, ambassador nostro, et zonti ivi trovono esso Ducha solo con el capetanio nostro e quelli signori ducheschi; unde dette molto a suspettar a' venetiani questa falsa materia come l'inteseno. Disse el Ducha: Li ambassadori mi ha ditto, el Re non mi vuol restituir li miei danari, ma vol di altri per la spexa; li ho ditto si mettiamo in zudexi. In questo zorno zonse lettere di la Signoria col Senato consulto, in campo, a li Provedadori et ambassador nostro, come, poi tramavano pase, quella fusse conclusa con honor et gloria de tutti do i stadi, zoè nostro et di Milan; et che tra li altri capituli sia messo questo, che il Regno di Napoli sia messo in compromesso nel Papa, imperador et re di Spagna. Et conferito questa voluntà dil Senato veneto con el Ducha, disse: Sono contenti la liga....; li ho parlato di dar in feudo a re Ferando el regno de Napoli; rispondeno li ambassadori non haver di questo commission; et ho scrito mi tre lettere a la Majestà dil Re; credo el farà questa pace. Et Marchiò, provedador, disse: Saria buon veder le lettere. Tamen el Duca non le mostroe.

Fo posto ordine col capetanio zeneral nostro e mons. de Pienes, ambassador franzese, andasseno fino al campo regio, et questo per segurtà dil Ducha d'Orliens, a trazerlo de Novara. Vi andasse el Mareschalcho [613] di Giaè et el conte de Chaiazo; poi el ditto Mareschalcho tornasse qui in campo, zonto fusse a Camariano; et el conte de Caiazo con 200 cavalli andasse dove era el capetanio nostro a..., poi ritornasse in campo col capetanio et mons. de Arzenton restava in campo. Et cussì, a dì ditto, a hore una di notte, el Ducha d'Orliens fo trato de Novara con zercha 250 cavalli, a presso li repari andò con la scorta nostra verso Verzei. Et ozi era ussito di Novara da cavali 100 malandati et amalati; et come li Provedadori scrisseno a la Signoria, che dal dì fo levato le offese fino questo zorno, eran ussiti di Novara de le persone 1000. Et cussì el Ducha d'Orliens andò a trovar el Re, et el capetanio nostro tornò in campo a hore 3. El Ducha mandò in questo mezo domino Francesco Bernardin Visconte per mons. de Arzenton, era restato solo in campo ambassador. Et qui Marchiò Trivixan, provedador, haver in conclusion lettere da la Signoria, come nel memorial haveano visto uno capitulo che dicea, el Re non volea altro che quello era di raxon in Italia et che li parteniva di giustitia; et però pareva a la Signoria el regno de Napoli se metesse in compromesso. Et mons. de Arzenton rispose, che quel capitolo lui lo havia messo, et che 'l Re non sapeva nulla. Parlò poi col Ducha e madona soli. Et la Signoria scriveva tuttavia, facendo la pace, voleano tre cosse: che la liga rimagnesse ferma; dil Regno di Napoli, sia messo in compromesso; et non volendo far questo, nostri attendesseno a ingrossar l'exercito et star preparati. Et feceno a Venexia molte provisione di far zente et altro. Et li Provedadori rispondeva, che el Ducha de Millan al tutto volleva far la pace per non star in pericolo; che la liga nostra sia ferma non bisognava parlar, perchè erano contenti; et che di metter el Regno de Napoli in compromesso, niente era stato parlato finhora; et ingrosar l'exercito el fezeno et el faranno continuamente; et che mons. di Arzenton era caldo a la paxe, ma mons. de Pienes un poco duretto.

Il Re in questa sera mandoe a dir a li soi ambassadori ritornasseno diman da lui. Et però, a hore zercha 6 di notte, volseno audientia dal Ducha; e, reduti tutti, excepto l'orator yspano che era a dormir, mons. di Arzenton parlò: che dil castello el Re non el volleva tegnir se non tre mexi da poi reaquistato el Regno de Napoli. Et el Ducha rispose: Si el Re vol far bona pace, die vardar tre cosse: la fede, l'utile et l'honor. Son contento darvi uno ostaso per un tempo. Item, la Majestà dil Re voglia dar in feudo a Ferando el Reame senza spender. Risposeno li oratori: De questo non potemo [614] parlar, ma di l'ostaso parleremo col Re. Et el Mareschalcho di Giaè disse al Duca: Son certo la Excellentia Vostra aiuterà el Re aquistar el Regno. Rispose el Duca: De aiutar nulla habiamo parlato. Et cussì, andati a dormir, la matina ritornono a Verzei.

A dì 23 ditto, da matina, li Provedadori e li altri fonno insieme; dove era etiam l'orator di Napoli, raxonando de metter in compromesso etc. L'orator di Napoli disse, mettendo in compromesso, ritorneriano in pristinum; ergo etc.

Vene un ambassador de la duchessa de Savoia, in campo, a li Provedadori nostri, et disse prima: S'eli havevan receuto Franzesi ne li suoi paesi, avanti la i ricevesse volse el parer dil Ducha de Milan, el qual fo contento, et par per publico istrumento; poi che, intendendo si era su pratiche di pace, havia grande contento, per desiderar la pace et tranquillità de Italia, per esser ancor lei italiana; et se offeriva, se fusse differentia in qualche capitulo, de pratichar con qualcuno di principal signori a presso el Re, e far forsi si adaterà. Et li Provedadori risposeno dolcemente, ringratiando etc., et dimandono con chi la poteva. Rispose lui: Con mons. de Lignì, che dormiva col Roy; et questo medemo riferite a Hieronimo Lion, cavalier, ambassador nostro.

Ancora tornò domino Jacomo Soardo, era stado a Casal dal sig. Costantin Arniti, come ho ditto di sopra, mandato per il Duca. Referite quel signor era bon servitor dil Re di Romani, et volleva esser obediente et neutral in questa impresa; et sempre l'animo suo era stato di ben operar verso la Santa Liga. Quanto al revocar le zente havia col Re, che nol potea far con suo honor, per haver hauto soldo per homeni d'arme 100 per mexi cinque, finiva questo Zenaro; ben era vero havia solum 50 homeni d'arme col Re, et era ubligato tener 100, el qual resto era a presso di lui. È da saper, che con li ambassadori franzesi andoe el conte Albertin Boscheto, nominato di sopra; et la trieva finiva domatina.

In campo questi zorni pioveva assai; le aque de li torrenti crescevano, et mal li cavalari potevano passar; pur ogni zorno almeno una lettera, e tal do e tre, li Provedadori scriveva a Venetia.

A dì 24 ditto, a hore 17, zonse li tre oratori franzesi et do altri de più, zoè mons. el vescovo de Roan et uno Presidente de Parisi; et venuti in campo, andati a disnar a lo lozamento, da poi hebbeno audientia dal Ducha. Et mons. di Arzenton parlò, come el Re havia mandà tutti cinque per pratichar la pace, excusandosi che essi non veneno per el tempo pluvioso. Poi parlò el Presidente de [615] Paris, e propose le petition dil Re in scriptis, le qual qui sotto sarà scripte, con la risposta dil Ducha. Poi volseno ditti oratori parlar al Ducha solo; et licentiò li Provedadori, et oratori Spagna et nostro. Stettero soli in colloquio do hore, et, come disse el Ducha, fonno su la diferentia di danari prestati al Re... El Ducha poi se portò da ditti oratori: Magnifici Provedadori, scrivè a Venetia, se la Signoria vol intrar in la pace subito, ne rescriva; io la vojo, perchè il Re di Romani et il Re de Spagna me la fano; anche li capituli de la liga non mi astrenze non la fazi; et confortatela la fazi, da parte mia, perchè el tempo conseia molte cosse. Et cussì li Provedadori spazoe a quel'hora, era una di notte, lettere a la Signoria; et la trieva fo perlongata per tutto Domenega proxima, zoè fino a ditto dì. Et è da saper, che, fatto la trieva, molti cavalli e fanti se partì di campo; assa' ne moriva, dico de li nostri, per esser alozato el campo in loco basso, et per le pioze stavano quasi sotto aqua, sì che li homeni et cavalli se perdeva. Fo mandato per la Signoria in campo ducati vintunmilia a li Provedadori. Et poi partiti, li oratori si ritornono dal Ducha, dicendo vollevano zerchar l'opinione de Provedadori di la Signoria zercha sta paxe. Et el Ducha rispose: Voi havete guerra con mi et non con la Signoria. E li oratori disse: Adoncha quello si fa con vui non si fa con Venetiani; et rimaseno molto sopra de si, però che il Re stimava molto di haver buona paxe con la Signoria nostra.

In questo mezo zonse Jacomo di Tarsia, contestabele, con alcuni provisionati, in campo; et per lettere di Enea Griscello, ambassador dil Ducha a quelle comunità di sguizari, scritte al Ducha, s'intese come el bailo dil Degiun con elemani numero 900 et cavalli 50 esser passato de lì, el qual andava dal suo Re de Franza.

Di 24 Settembre.

Peticione fece li sigg. ambassadori franzesi in nome dil christianissimo Re de Franza, videlicet mons. de Roan, mons. el mareschalcho de Giaè, mons. de Pienes, mons. di Arzenton et mons. lo Presidente de Paris in campo sotto Novara.

Primo, che 'l casteletto de Zenoa sia posto in mano di un terzo, lo qual desiderano che sia lo ill.mo sig. Ducha de Ferrara. Item, che esso Ducha, el governator de Zenoa, con missier Zuanne suo fratello, missier Joane Alovisio dil Fiesco et li Antiani in nome de la [616] città, jurano che lo ill.mo sig. Ducha de Milan observarà l'obligo dil feudo di Zenoa versso lo christianissimo Re, cossì ne lo armar e disarmar, come ne le altre cosse... Et casu quo advenisse a morte lo sig. Ducha de Ferrara, quod Deus avertat, quelli che remaranno, d'acordo lo christianissimo Re et lo sig. Ducha de Milan, debba haver lo ditto deposito o juramento; medemamente se intenda che chi sarà posto per lo sig. Ducha de Ferrara in casteletto, et cussì li soldati saranno posti per soa Excellentia, faccino lo medemo juramento che farà lo sig. Ducha, cussì acadendo dil Governador. Quello sarà Governador, habbia lo medemo juramento et obligo. Et questo intende habia a durar per anni due tantum, quanto al casteletto; et quanto al juramento del Governador et città, se intende per anni X, et passati li dui anni, lo prefato sig. Ducha de Milan, et passati li X anni, la città sia libera dil juramento et obligo preditto, restando però poi el feudo di Zenoa in robore suo. Promettendo li preditti signori ambassadori franzesi, in nome dil christianissimo Re, che la Soa Majestà curarà, che, cum armata che fatia a Zenoa, non farà contra lo prefato sig. Ducha de Milan, nè contra lo presente governo de Zenoa, per recto o per inderecto; et che ne lo armar torà de li navilii de li amici de li Governadori dil stado presente, et non d'altri; intendendo che essi amici ancora siano tenuti de dar li navilii, che li saranno rechiesti.

Item, domanda li prefati signori ambassadori, che la Signoria illustrissima de Venetia, et lo sig. Ducha de Milan non prestano ajuto ni favor alcuno al re Alfonso, ni al re Ferando et successori, ni alchun altro che pretendesse haver ragion in ditto Reame per recto o per inderecto; et se al presente se trovasseno haver zente o armata in lor favor, debiano removarle; et cussì, havendo la prefata illustrissima Signoria terra o loco in man sua de quel dil reame, li debba relaxar. Item, che la preditta illustrissima Signoria de Venetia et sig. Ducha de Milan debbano far far cride, che li suoi soldati (non) vadano contra al christianissimo Re, ni a la impresa dil Reame de Napoli; et andando, siano puniti.

Item, che alcuni homeni particulari siano restituiti; quali sono anotati qui di sotto, con le risposte dil Ducha, ut infra.

Responsione dil Ducha de Milan.

Quanto a missier Jean Jacomo di Traulzi, el sig. Ducha è contento restituirli el suo, et possa andar et venir, et haverlo in gratis come da prima.

[617]

Quanto a missier Francesco Secho, risponde che conforterà el Marchese de Mantoa a volerli compiacer; et havendo Soa Excellentia alcuna cossa dil suo, sarà contento de restituirli.

Quanto a missier Joanne Rosso et fiolli, è contento restituirli quello haveano quando andorno a la Majestà dil Re.

Al Cardinal di Zenoa e missier Obieto, risponde esser fuora, per esser stati a li servigii de la Majestà dil re Ferando et inimici dil christianissimo Re; et per questo non li pare de farne altra mentione, ma è contento di lassarli.

Ad Alexandro e Michiel...., che l'è contento perdonarli a quello, quanto aspetta a la Excellentia soa.

A tutti quelli fuora di Zenoa e dil zenoese, qualli sono intrati in la guerra presente, per haver tenuto con la Majestà dil Re, risponde Soa Excellentia esser contenta; et cussì tutti quelli de Novara et novarese; et im spetie ad Opizino Caccia con li soi, et conte Manfredo Torniello et fratelli, risponde che è contento perdonarli et restituirli quello godevano al tempo che deteno Novara al Ducha d'Orliens, nè mai darli molestia alcuna per ditta cagione.

Seguita le altre persone.

Item, che siano liberati li presoni, excepto quelli che hanno fatto taglia; la qualle sia accettata come la è stata fatta da li presoni, et non possano esser astretti a far maggior taglia. Li altri che non hanno fatto taglia siano liberati, salvo lo Bastardo de Borbon, quelle se rimette a lo illustrissimo sig. Marchexe de Mantoa.

Quanto a li colligati et adherenti, se accepta li nominati in nome dil christianissimo Re, che sono li seguenti, videlicet:

Altre responsione dil Ducha preditto.

Quanto al Prefecto, lo sig. Ducha risponde, quanto per sè è contento de non darli impazo, nè al stado nè per altro.

Quanto al Cardinal S. Piero in Vincula, havendo benefitio in lo stado suo, el prefatto sig. Ducha è contento di lassarli goder.

Quanto a li colligati, se rimette al capitulo et petitione sue.

Quanto a li adherenti de la ill.ma Signoria et de lo ill.mo signor Ducha de Milan, se piglia tempo de nominarli fra un mexe; dimandano li signori ambassadori che la Santità de Nostro Signor vogli revocar ogni excomunication qual havesse fatta contra la Majestà dil Re suo et qualunque andasse in favor suo per lo conquisto de lo Reame de Napoli. El sig. Duca risponde, è contento che, quanto spetta a Soa Excellentia, de farne opera con Soa Beatitudine.

Quanto a perdonar a tutti quelli c'hanno dato aiuto al sig. Ducha d'Orliens, risponde che, essendo, sarà contento di perdonar a tutti, et chi vorà star ne lo stado gli potrà star, et quelli non li voranno star, sarà contento di lassarli goder el suo.

Et a dì ditto, 26, essendo de nuovo ritornati dui ambassadori, et richiesto di nuovo di la Signoria et sig. Ducha de Milan, voglia restituirli le galie et artilarie che furono prese a Rapallo, rispose la Excellentia dil Duca, dicendo che, per gratifichar et far piacer a lo christianissimo Re, sarà contento restituirli tutto quello sarà in man sua.

Item, dimandono li prefati oratori, che sia relassato mons. de Miolans. Et el Ducha rispose esser contento. Et cussì... di navi, hessendo in mane di alcuno de Soa Excellentia.

Et a dì 26 ditto, da matina, el Ducha de Milan montoe a cavallo et andoe verso Novara. Et avanti havea mandato el capetanio nostro et el suo capetanio, sig. Galeazo, per assicurar quelli ussivano, [619] però che havia posto ordine con li ambassadori franzesi de mandar fuora quelli cavalli et fanti; ergo la pace se poteva dir conclusa. Sì che ussiteno cavalli, computà li cariazi, più de 2500, et fanti più de 3000. Et ussite el marchexe Ludovico de Salutia, fece reverentia al Ducha, et venne insieme in campo e disnò col capetanio al pavion. Da poi disnar andoe a tuor licentia dal Ducha, per andar a Verzei. Fo tratte de Novara le artilarie, et la terra restoe nuda de franzesi et elemani; tamen ne la rocha eran 300 fanti franzesi dil Maraschalcho di Giaè; tamen non erano conclusi li capituli, unde nostri si dubitava di segreta intelligentia. Et el Presidente di Paris, con li tre altri oratori dil Re, ancora erano nel campo. Ma el vescovo de Roan partì questa matina, et tornò dal Re. Et da poi manzar, el Ducha con li Provedadori et reliquis nominati di sopra, fonno insieme con ditti oratori, i qualli si dollevano di non haver risposta da Venexia da la Signoria nostra, dicendo con la nostra armata a Napoli se li haveano fatto gran danno al Re. Li fo risposo si aspettava risposta, et non poteva star che non zonzesse; et come sapeva mons. di Arzenton, el governo de Venexia, bisognava consultar nel conseio de Pregadi; et che di l'armata niente sapevano, ma che il Re era stà causa a Fornovo a procurar l'exercito di la Signoria. Et cussì steteno alquanto su queste parole, Marchiò Trivixan rispondendo. Et poi slongono la trieva, et per tutto questo mexe de Septembrio, per aspettar risposta da Venetia. Demum dicti oratori azonseno certi capituli, zoè volevano el pasazo per terra. Et parlono poi soli con el Duca più de una hora; et, montati a cavallo, lo acompagnono uno mio. Et cussì ditti 4 oratori ritornoe dal Re, et el Duca terminoe de mandar la matina sequente 4 soi oratori al Re, per far la petition soe, zoè domino Francesco Bernardin Visconte et tre altri.

È da saper che 'l Ducha, in queste pratiche, contentò di donar al Re li ducati 80 milia li havea prestati, et che 'l potesse passar per terra per il suo stado, sì che quasi, et publice, si poteva tenir la paxe fatta. Et ozi, domino Antonio Maria Palavicino, fo capetanio di esso Re de Franza, parlò a Zuan Jacomo de Traulci, et dimostrava haver piacer la Signoria venisse a la paxe. Et intesa questa nuova a Venetia, et come si poteva tenir conclusa la paxe dil Ducha de Milan con il Re, la qual nova zonse a Venetia a dì 29 ditto, el zorno de San Hieronimo, e tutti erano in angustie e fastidio, vedendo quello seguiva etc., et si dubitava molto di l'exercito, per esser ivi in terre aliene, et non poter partirssi, nè passar le fiumare senza licentia de esso Ducha, adeo in questa terra tutti steno in gran pavento, e li Padri [620] consultaveno non senza gran dolor, che esso Ducha havesse facto tal paxe, e nui che tanta spesa e periculo havian portato, fusse a questo modo tratati; et si l'exercito fusse stato di qua sul nostro, niuna cossa si harebbe temuto. Tamen seguite poi che l'exercito senza alcun danno venne di qua sul nostro, come dirò di sotto al loco suo.

A dì 27 da matina, li 4 ambassadori dil Ducha de Milan partino dil campo per andar a Verzei a trovar el Re; et da poi disnar ritornò in campo mons. di Arzenton, et a caso el Ducha li andò contra, perchè era a cavallo, et ditto Arzenton si dolse di tre cosse. La prima, che era stato tolto per nostri 4 passavolanti trati di Novara; item che alcuni franzesi erano stà spogliati; l'ultima, che alcune zente, ussivano di Novara, erano stà morte. A la prima el Ducha rispose, li passavolanti erano salvi, li daria, et messe ordene de dargeli e mandarli ozi fino a Verzei; secondo, a quelli erano stà spogliati, el capetanio havia donato ducati 80 a quelli, aziò si remendasseno el danno; a la terza, non era il vero fusse stà amazato niuno. Et stato alquanto insieme con el Ducha e Madona, ditto Arzenton ritornò al Re. Nè mai smontono da cavallo, ma a cavallo parlono insieme. È da saper che 'l Duca nunquam volse parlar a li oratori, quello voglia la Signoria, zoè di metter el Reame de Napoli in compromesso, o ver farli feudo; et el capetanio mandoe via gran parte de cavalli lezieri et sue robe: era signal di la conclusion di la pace.

A dì 28, domino Francesco Bernardin Visconte, con li altri oratori dil Ducha andati dal Re, mandoe certi capituli... el Re volleva. El Ducha subito rispose a quelli, et rimandoe indriedo.

In questa sera, a hore due di notte, li elemani ducheschi si levò a remor con li italiani; unde tutto el campo si messe in arme, et maxime el nostro. Fo per un'hora gran tumulto, morti de tutte do parte, zoè dil campo duchescho alquanti, e molto più di elemani; et per mezzo de quelli Signori fo cessato, et non senza gran faticha, per esser todeschi huomeni terribili et pericolosi. Et come se intese, si se cridava Italia! Italia! cussì come cridorno: Maria! Maria!, perchè la custion fo principiata fra todeschi, erano morti, che ne fo amazati pur 60. Et el Marchexe de Mantoa, nostro capetanio, volendo reparar a questi se amazavano, disse al Ducha: Signor, venite a remediar. Il Ducha rispose: Ma, mia moier. Et il Marchexe rispose: Mettetila ne li forzieri etc. Et dicitur fo tanti morti in questa baruffa, che fo cargi 7 carri de corpi, et mandati a sepelir.

.... ritornò; et si have tre stratioti erano fuziti in Novara; et li [621] Provedadori li volseno far impichar, et el capetanio zeneral non volsse, dicendo li havia promesso de non farli morir.

Et a hore una di notte ritornoe in campo Francesco Bernardin Visconte con mons. di Arzenton, havia lettere di la conclusion di la paxe, e di tutto erano d'acordo, excepto di uno capitulo, zoè de li ducati 50 millia da esser dati al Ducha d'Orliens, el qual lui li voleva de contanti.... Et el Re è contento si paghi in mesi 18, et che el Re desiderava presto el concluder di la pace, per esserli venuti 24 mille elemani, a ciò non facessino qualche novità. El Ducha de Millan volleva pagar tal danari in anni 3; ma a la fin contentò come volsse el Re. Et volea diman haver Novara e la rocha, avanti facesse levar l'exercito suo et nostro; unde mons. di Arzenton molto aliegro, in quella notte medema spazò uno trombetta al Re, et etiam Francesco Bernardin preditto fo mandato iterum dal Re per ambassador di esso Ducha. Et vedendo questo li Provedadori, havendo cussì in commission da la Signoria, dimandoe licentia al Ducha, e modo de levar l'exercito. Et el Ducha fo contento; unde subito li Provedadori, a hore 6 de notte, spazoe lettere di questo a la Signoria nostra.

A dì 30 Settembre, da matina, zonse in campo nostro provisionati 200 di bergamasca, di la Valle Seriana di sopra, ben in hordene, pronti a ogni cossa, et pagati dal comun di dette valle. Et el zorno avanti, a dì 29, zonse 800 provisionati dil capetanio zeneral nostro, etiam ben in hordene, et provisionati di brexana. È da saper, che a li altri provisionati 500 di brexana, la Signoria comandò soprastesseno quei di Axola 200, Pedemonte 200, Franza curta 100, Valtrompia e Val de Sabio 200; et nel conseio a Brexa preseno tutti d'acordo de far ditti provisionati; et haveano ducati 2000 in deposito per questo rispetto. Etiam, a dì 27 ditto, zonse in campo Todaro Paleologo con stratioti ben in hordene, era stato in Tortona; et el Ducha de Milan mandoe li suoi elemani ad alozar a uno castello chiamato Granosa, mia 3 lontan dil campo, et le sue zente si ritiroe versso Vespola, et li fanti andava via; unde esso Ducha dimostrò dolerse, dicendo: Non è conclusa la paxe, et li fanti vanno via; e mandoe a li porti a revocharli, che dovesseno ritornar in campo. Venne lettere di Vormes, de 14 de l'instante, scrive a la Majestà dil Re di Romani, haveva in Italia elemani 4000 et 1500 cavalli, et che Soa Majestà volleva venir con altri 4000 elemani.

A dì ultimo Septembrio, ritornò el conte Albertin Boschetto con el canzelier de Francesco Bernardin Visconte in campo, e riportò [622] al Ducha alcune difficultà di capituli; et el Ducha subito rispose.

A dì primo Octubrio, el Duca de Milan sotto scrisse altri capituli, scritti in franzese, et hora par fusseno azonti tre o quattro; et l'andata dil Visconte a Verzei fo per longar la trieva otto zorni, et formar in bona forma li capituli. Perchè è da saper, che a dì ultimo Septembrio, ditto Francesco Bernardin Visconte ritornoe la sera in campo con li oratori regii, et a hore 3 di notte fonno a parlamento col Ducha e li Provedadori; et habuto la voluntà dil Senato, per una lettera scritta a dì XXVIII ditto, unde Marchiò Trivixan, provedador, parloe a ditti oratori, dicendo che la Signoria havea buona lianza con el Re, et cussì li scriveva voler esser et haver, et che siamo stati provocati e lacessiti a quello seguite a Fornovo, et le lexeno la lettera ducal. Li oratori dimandono la copia, la qual... li fusse data praecise come la fo letta, di man de Lorenzo de Mozanega. Et quella lui l'autenticò, senza tamen saputa de ditti Provedadori et orator nostro. Et, hauta la copia, ditti oratori steno più di una hora soli a consulere; poi chiamò el Ducha, e stè più di altra hora insieme. La conclusion de ditta lettera era, che la Signoria scriveva a li Provedadori et orator suo, come eran contenti de restar in la fede et amicitia era prima con la Majestà dil Re, avanti che fusse fatta la liga. Et el Ducha disse a li ambassadori: Se la Signoria non vuol far pace, la Majestà dil Re non vuol farla con mi. Loro risposeno: Non sapemo questo. Et però fo scritto al Re; et etiam andoe esso Francesco Bernardin Visconte, sì come ho scritto di sopra.

Li fanti dil nostro campo cominciava a partirsse; etiam parte di todeschi de Cozanderle, i quali volsseno doi fiorini per uno, et fu forza a li Provedadori de darli.

A dì primo ditto, la sera, ritornò ditto Francesco Bernardin con li oratori regii, et tra li altri mons. di Pienes; et disse a li Provedadori, che il Re non se contentava di la lettera di la Signoria nostra, ma volleva difinitiva dechiaratione de li tre capitoli mandatili a dimandar a la Signoria, zoè levar via l'armada di Reame, e non porzer favor a re Ferando directe, vel indirecte etc. Secondo, che restituiscano le terre haveano in la Puia. Tertio, che la Signoria fusse amica de li amici dil Re et nimica de li nimici; et a questo si risolvano, et sol questo harebbono voluto. Et a dì ditto, da matina, ditti oratori ritornò dal Re; et sono contenti perlongar la trieva do zorni.

La Signoria mandò in campo ducati X milia et gropi 4 de fiorini di Rens, ducati 1000 l'uno, a ciò li desse una paga nel levar [623] de l'exercito. Et Vincenzo Valier esercitava l'officio di pagador, e da tutti in campo era ben voluto; et etiam Hieronimo di Monte, vice collateral zeneral; unde da li Provedadori, come era la verità, fo laudato de integrità et fede, facendo l'officio suo con sincerità et realtà.

Venne nove in campo da Roma, per lettere dil vice canzelier, come Piero di Medici era con homeni d'arme 550 et fanti 3000, con el sig. Ursin, et per andar di brieve versso Fiorenza.

Li ambasadori dil Ducha, era dal Re, scrisse come Franzesi parlava de maridar un fiul de Soa Excellentia in la fia di mons. de Bres, zoè Filippo mons. di Savoia. Et el Ducha rispose esser contento de darla al secondo so fiol.

In questa sera, a hore 1 di notte, ritornò in campo mons. di Arzenton et el Presidente de Paris, et do altri maestri di caxa dil Re, et a hore 3 haveno udienza dal Ducha con li Provedadori et reliquis vi intraveniva sempre. Et Arzenton disse, el Re non volleva più el casteletto di Zenoa.... ne le mane, ma ben volleva una chiareza di la Signoria nostra, di la fede li prometteva. El Ducha rispose in favor di la Signoria, et che bastava quella lettera; et quello prometeva una volta, la Signoria era sempre assueta de observar.

A dì 3 ditto, el Duca dubitando, ut dicitur, non venisse a prender Camarian, volse far la mostra di fanti e provisionati era nel nostro campo; et cussì fu fatta.

Da poi disnar zonse in campo el Duca de Brusvichi con cavalli 400 in zercha, benissimo in hordene et ben armadi, mandato per el Re di Romani, et el Ducha volsse andar in campagna a vederli, et fece bellissima mostra.

El conte de Petigliano a Milan steva pur meglio; la ballotta era redatta do deda a presso la piaga.

In questa sera li Provedadori fo a parlamento col Ducha, et mons. di Arzenton era rimasto, et el Presidente de Paris, con li do altri, era partiti quella matina e andati dal Re. Arzenton aspettava el Mareschalcho de Giaè et Francesco Bernardin Visconte, et disse el Re volleva aspettar lettere da Venetia, perchè al tutto volleva Soa Majestà più chiareza.

A dì 4 ditto, passando mezo zorno, zonse ditto Mareschalcho de Giaè con el Visconte preditto, et dimandoe el Bastardo de Borbon in cambio de Fregosin de Campo Fregoso, fiul dil cardinal di Zenoa, preso per Franzesi, et havia taia ducati 8000, et li capituli di la paxe [624] col Ducha de Milan erano conzi, et che 'l Re desiderava el Marchexe nostro capetanio si abocasse con lui.

Fo divulgato, el sig. Antonio Maria de San Severino era conzo con el Re; havia per la sua persona ducati 10 milia l'anno, uno stado in Franza con intrada de ducati 5000, homeni d'arme 100 di condotta, et balestrieri a cavallo 100; et deva a li homeni d'arme scudi ij per paga a ziaschaduno, et li ballestrieri scudi 5.

Ancora, dicitur che il Re al Traulzi li dava in Franza stado per 60 milia franchi de intrata, et in Reame el ducato de Venoxa, con 6 milia a l'anno de provision per la sua persona, soldo per 100 homeni d'arme et per cento ballestrieri a cavallo e fanti 3000; ditto Zan Jacomo de Traulzi dia andar col Re in Franza.

A dì 5 ditto, a hore 17, zonse in campo el Ducha Hercules de Ferrara, suoxero dil Ducha de Milan. Il Ducha li andò contra con la duchessa, l'ambassador de Spagna, Luca Pisani et Marchiò Trivisan, provedadori, e Hieronimo Lion, cavalier, et altri signori, uno mio; alozò in castello; era con molti cavalli e tutta la sua corte. Et el capetanio nostro Marchexe de Mantoa, etiam zenero di ditto Ducha de Ferrara, soprazonse, dicendo voler andar a Verzei da la Majestà dil Re. Et Lucha Pixani, prima ditto Marchese dicesse dove volesse andar, disse: Signor, dove volete andar? Rispose el capetanio: A Verzei. El Re ha mandato per mi, volete che io vadi? Et ditto Provedador rispose: Mi par di no, habiando il governo di tutto questo campo. El capetanio disse: Ho licentia da' Venetiani. Et poi partito, di nuovo ritornò da li Provedadori a dimandar licentia. Et a la fin andò in questo zorno, per dir al Re, quello prometteva la Signoria era certo.

Da poi disnar el Ducha de Ferrara se partì dil campo, e andò a Verzei a trovar el Re. El Ducha et Provedadori lo acompagnò uno mio. In questo zorno, mons. di Vadoma, zerman cusin dil Re, fo fiul di la sorella de suo padre, venuto novamente de Franza, di età di anni 28, morite; et il Re have grandissimo dolor. Fece far l'esequie ne la chiesa principal di Verzei; et poi el Re fece metter el so corpo in una cassa de piombo, et lo mandoe in Franza; conclusive have gran maninconia. In ditto zorno, in campo nostro zonse provisionati di Brexana e Bergamasca numero 1200, zoè 600 per uno et a dì 4 zonse li 200 provisionati di Asola, a loro spexe fatti, come ho scritto di sopra. Etiam zonse hozi Hanibal da Dozea con le so zente; et cussì come el nostro campo se augumentava, cussì quel dil Ducha de Milan le sue zente si partiva, et non erano pagate; et [625] etiam zonse in campo nostro maistro Nicolò di Olanda, bombardier, stava a Vicenza. Coioneschi cazò Albertin Lasefer, franzoso, era so conseier, et tolseno Jacomo Basilisco per conseier. Fo mandato al governador, conte de Petigliano, di campo, per spender in curarse de la egritudine, ducati 500.

In questa matina, el Ducha de Milan fece do cai di stratioti, cavalieri, per soi boni portamenti; zoè Repossi Busichio et Mexa Busichio, et li vestite di do caxache di panno d'oro.

A hore 3 di notte ritornò in campo el Marchexe de Mantoa, capetanio nostro, era stato dal Re; et refferì esser stà accettato dal Re molto honorifice, et che, menato in camera da Soa Majestà, per spacio di do hore stette insieme soli, parlando de diverse cosse, dil fatto d'arme seguito, et di la paxe; et che 'l Re disse, volleva esser amico di la Signoria, et non volleva altro che 'l so Regno de Napoli, et si meravigliava la Signoria non volesse paxe. Et el capetanio rispose, per lettere di essa Signoria Soa Majestà poteva comprender la bona intention soa. Poi che 'l Re li dimandò che l'andasse aquistar Napoli, et li daria lanze 500 et 4000 pedoni. Et lui rispose, era capetanio di la ill.ma Signoria di Venetia, et non poteva prometter. Et disse el Re: Fatto la paxe, voglio... uno ambassador a Venetia a dimandar questo. Poi volsse facesse colatione, et che in hoc interim, el Re andò a cavallo fora di Verzei, et aspectò lì dicto capetanio nostro; et fece venir cavalli belli, et il Re li fece uno presente di quelli, et lui ne aceptò do soli corssieri: uno baio scuro, grande, castigliano; l'altro era zervato, costò scudi 500. Demum che zonse el Ducha de Ferrara, et tolse licentia esso capetanio dal Re, et ritornò in campo, et con lui menò altri condutieri.

Item, referite era con el Re tre capitanei italiani, Zuan Jacomo di Traulzi, Troian Papacoda et Camillo Vitello; et che era tre cardinali, San Piero in Vincula, el cardinal de Zenoa et el cardinal Samallo. Et qui el ditto Marchexe fece uno presente al Re dil Bastardo di Borbon, era suo presone, senza pagar taia alcuna; etiam Freghosin Fregoso fo deliberato.

A dì 6 ditto, el Ducha de Milan se dovea abocar con la Majestà dil Re, ma la cossa andò a la longa, adeo non se abocono. Et a Milan se ritrovava esser uno secretario dil Re di Romani venuto, chiamato Herasmo Brascha, tamen era milanese.

In questo zorno, a hore 19, zonse in campo nostro el fiul di Zuan Jacomo di Traulzi con 30 cavalli, et parloe col Ducha.

A dì 7 ditto, da matina, Francesco Bernardin Visconte andoe [626] a Verzei dal Re, per veder se Soa Majestà doman si vollea abocar, justa l'hordine, con el Ducha de Milan suo.

Venne in campo nostro ducati 15 milia, mandati per la via de Crema, et a solicitar el pretor vi mandasse, vi andoe Sonzin Benzon.

A dì 8 ditto, a hore zercha 22, venne in campo Francesco Bernardin Visconte con el Mareschalcho de Giaè con molti cavalli. Et el preditto mareschalcho disse, el Re havea spettà risposta da Venexia, et desiderava saper la intention de la Signoria. Et li Provedadori risposeno, come l'opinion di la Signoria era quella lettera, la copia havia habuto la Majestà dil Re. Et lui disse, volleva pur la restitution de Monopoli. Et poi disse a li Provedadori, volea zurar de mantegnir quello era in la lettera nostra; et che volendo el Re el Regno de Napoli, non faza contra la liga. Risposeno de no, salvo quello li ordenava la Signoria volevano far. Fo prolongata la trieva, et ditto Mareschalcho la sera se partì, et mons. di Arzenton restò in campo. Et el Ducha de Milan, essendo a cavallo, disse a li Provedadori: A Venexia vien ditto io son un traditor; voglio venir a Venexia per ringratiar quella Ill.ma Signoria dil benefitio ho ricevuto. Et li Provedadori risposeno, Soa Excellentia non dovesse a vardar le parole del vulgo, ma a quello che la Signoria havia per lui sempre fatto. A dì 9 ditto, a hore 18, zonse in campo una lettera de Francesco Bernardin Visconte, era dal Re, di la conclusion di la pace, la qual sarà qui posta.

Copia de una lettera de domino Francesco Bernardin Visconte al Ducha de Milan, di la conclusion di la paxe.

Ill.mo et Excell.mo Signor mio.

In questa hora è ussito di conseglio la Majestà dil Re, dove è stato per spatio di do hore con questi signori conseieri, et hanno stabilito et confirmato la paxe con la Excellentia Vostra, per modo che più non ci resta disputatione. El Mareschalcho de Giaè con el qual di presente veniva da Vostra Excellentia, me ha ditto che 'l ge par de levar via l'exercito suo, che, come siano lì et li habiamo parlato, non habia se non a farli levar, perchè anche la Majestà dil Re farà el simele. Et ho voluto subito dar aviso dil tutto a la Excellentia Vostra, a la qual me ricomando, et laudato sia l'omnipotente Iddio.

Vercellis, 9 Octubris 1495.

[627]

Et zonta ditta lettera in campo, el Ducha dimostroe grande alegreza, et disse a li Provedadori, che l'exercito nostro si levasse, perchè cussì voleva far lui dil suo; et di questo li Provedadori fonno molto contenti, et spazoe un corier a la Signoria subito, notifichando questo, et come in quella sera non potevano levarsse, per esser li sacomani fuora. Ma la matina, Sabado, a dì 10, col nome de Christo se leveriano per venir versso Brexana con ogni presteza, sì come la Signoria scrisse per lettere di 5, 6, 7 dil mexe a ditti Provedadori, che dovesseno levarssi ad ogni modo, fatta la paxe.

A hore 21 zonse in campo el Mareschalcho de Giaè con Francesco Bernardin Visconte et altri franzesi, et, andati dal Ducha, steteno fino a hore 23 insieme, et el Ducha poi mandò per li Provedadori, i quali zonti, trovono che i scrivevano i capitoli, et a hore 24 el Ducha zuroe de observarli sopra el crocefixo dil messal, presente l'ambassador de Spagna, li Provedadori et orator nostro. Et poi el Ducha disse come havia fatto bona deliberation a far la paxe; et che l'havia habuto lettere dal suo ambassador di Venexia, come qui si diceva mal de lui, et che 'l volleva vegnir im persona a Venexia a purgasse, et che volleva mandar un suo con li capitoli di la paxe fatta col Re, come mandoe; li qual capitoli saranno qui, a la fine de le cosse seguite in campo, posti.

El Ducha de Ferrara era pur col Re de Franza a Verzei, et dovea andar a Zenoa ad haver el casteletto, justa la forma de' capitoli; et è da creder ivi col Re tramasse qualche cossa.

Adoncha, a dì ditto, 9, fo publichato in campo dil castel di Caxuol la paxe preditta, fatta et conclusa tra el Christianissimo Re de Franza et el Ducha Lodovico Maria Sforza, anglo, duca de Milan; a la qual publication non si volse trovar li nostri Provedadori; et fo divulgato che le zente de la Signoria una voce cridava: Viva! Viva San Marco, che mantien la fede!

A dì 10 ditto, da matina, el campo nostro se levò, et veneno alozar a Gravalona, ch'è una valle lontana, dove era alozato ditto campo, mia 12; et el Ducha con la Duchessa, li ambassadori de Franza, de Spagna et de Napoli, et el Veneto acompagnono el capetanio zeneral nostro, marchexe de Mantoa, Luca Pixani et Marchiò Trivixan, provedadori zenerali, et Bernardo Contarini, provedador di stratioti, et Vicenzo Valier, pagador, con li altri signori et nostri conduttieri; et cussì cavalcono insieme più di uno mio. Et el Ducha disse a li Provedadori, volleva ad ogni modo venissino el zorno sequente da lui a Vegevene; et che, partito el campo, doveva andar [628] el sig. Galeazo, suo capetanio, con el Mareschalcho di Giaè a Novara, a tor la consignation di la terra, et che l'exercito franzese se dovea levar ozi, e andar a la volta di monti. E tolto combiato, el Ducha andò con li oratori, et il nostro etiam, a Vegevene; et el campo di longo a Gravalona, mia tre lontan di Vegevene, a la volta di andar a Pavia, et lì alozono.

A dì 11 ditto, summo mane, ditto campo si levò da Gravalona, et andoe dittongo a passar Texin et Ada a Lodi, per vegnir in Cremascho; et li Provedadori andoe a Vegevene. El Ducha li venne contra, et andati in castello, disse: Havemo fatto la paxe per conservation dil stado nostro; et, in particulari, sono molto ubligato a questo magnifico capetanio, perchè ivi era il Marchexe di Mantoa suo cugnato, et a la Signoria buon fiul ubediente, e per la experientia si vedrà. Item, che 'l Re volleva parlar con lui, et poi andar a Turin; et qui a Vegevene fece un bel pasto a ditti nostri Provedadori. Et da poi disnar, montorono a cavallo per andar a Milan; et el Ducha li acompagnoe fuora di Vegevene. Et li Provedadori veneno di longo a Milan. Et el campo in questo mezo andava passando Tesin; et fo fatto un ponte per el Ducha, a ciò passasse l'exercito. Et venuti li Provedadori a Milan, visitoe el governador nostro, conte di Petigliano, el qual steva meglio; et a dì 14 dovea partirssi de lì per venirsene a Venetia. Orssato Morexini, era pagador, etiam se ritrovava a Milan, agravado de gravissima egritudine, adeo, come per lettere de Provedadori di 12 ditto se intese, di lui non vi era speranza, et più cognoscieva nissuno, et poi a dì 12 ditto morite lì a Milan, et el suo corpo portato per Po in questa terra, a dì ditto 20, ne la chiesa di Santi Apostoli, li fo fatto bellissime exequie. Et el Prencipe nostro, per esser stà costui marito di la figliola di una sua figliola, hebbe grandissimo dolor, stette do zorni andar in collegio et pregadi; poi vestito di scarlatto, da corotto, ussite per alcuni zorni etc.

A dì 14 ditto, el campo nostro era za zonto in Cremascha; et li Provedadori zonseno questa matina, et qui alozono le zente d'arme, in quelli confini tra 'l Cremascho, Bergamascho et Brexana; non però volseno disolvere ni separar l'exercito, fino nostri non inteseno il certo di l'andata dil Re de là da monti. Et li Provedadori, partiti di Crema, a dì 15 ditto veneno a i Orzi Novi, et lì alozono, et el capetanio rimase a Crema, e tutta via la zente cavalchava. Et a dì 14 ditto hebeno una mala zornata per le pioze, et el ponte non era compito di far su Oio, et ditte zente have la sua paga. Poi a dì 16, [629] dopo manzar, ditti Provedadori zonseno a Brexa; et da Hieronimo Donado, dotor, podestà, Unfrè Zustignan, capetanio de Brexa fidelissimo, fonno honorifice ricevuti, dove steteno alcuni zorni, come dirò di sotto. Qui partino a le zente d'arme le soe stantie. Et a dì 17, el capetanio zeneral, rimasto a Crema, volendo venir a Brexa, non potè passar la Mella per el tempo pluvioso, che tanto quel fiume era cressciuto, che non se poteva guazar, unde tornò a Chiari alozar, et poi a dì ditto venne a Brexa da li Provedadori.

In questi zorni, a dì 13 Octubrio, a Pavia morite el conte Carlo de Pian de Melletto, veterano condutier di la Signoria nostra, et molto experto nel mestier di le arme. Li manchava uno ochio, era di età di zercha anni 50. Questo, amalato in campo, fo portato a Pavia, et qui expiroe; sì che in questa impresa morite tre capi principali, do in battaglia et uno di sua morte, el governador a Milan amalato et il conte Bernardin in questa terra. Et la Signoria non volse tornasse in campo. Et ditto conte Carlo havia cavalli 400 con la Signoria nostra. In questo mezo, el Ducha de Milan dovea abocarse con el Re de Franza a uno castello di esso Ducha, chiamato Palestro; et il Re era pur a Verzei, et andò a Turin; et il Marchexe de Ferrara andoe a Zenoa, a tor el dominio dil castello, sì come dirò di sotto, ponendovi a custodia el conte Girardo Rangon.

Et a dì 17 ditto, el Marchexe di Mantoa, nostro capetanio zeneral, partì di Brexa e andò a Mantoa, sotto causa che soa sorella, moglie di mons. di Monpensier, franzese, steva mal, per ritornar poi, bisognando. Et la Signoria scrisse a li Provedadori a Brexa che, per non esser andati franzesi di là ancora da' monti, dovesse far star 1500 cavalli sul Cremascho, 2000 sul Bergamascho, et il resto in Brexana su le rive di Oio; a le qual zente... paga fo data in campo; et cussì steno zorni zercha 15. Et poi, intendendo la Signoria el Re andava in Franza, ordinò ditte zente fusse mandate a le stantie, et li Provedadori dovesseno ritornar a caxa; la qual diliberation fo facta in conseio de Pregadi, a dì doi Novembrio, come etiam dirò più avanti. Et è da saper, che da Crema se partì el signor de Rimano et el fradello dil sig. de Pexaro, et le zente dil Ducha de Gandia et di Hanibal Bentivoj, et fonno mandate in Romagna, a li lozamenti, et li signori andono a le sue terre. Et li Provedadori volendo vegnir a Venetia, el Marchexe, capetanio nostro, scrisse et li pregoe se volesseno transferirse fino a Mantoa, perchè poi insieme vegneriano a Venexia. Et cussì, di voluntà dil senato, andono. Ma prima Bernardo Contarini, provedador di stratioti, havendo mandato [630] di la Signoria di cernir 800 stratioti, qual a lui pareva, et il resto licentiarli; era lozato tra Lonà, Peschiera et ivi vicino; et cussì attese a far la mostra, et poi vene a Venetia, come dirò di sotto. Ma li Provedadori, con Vicenzo Valier, pagador, venuti a Verona, veneno con zercha 100 cavalli versso Mantoa, et zonti a Marmirolo, mia 5 lontan di Mantoa, ivi desinato, li vene contra el Marchexe, con suo fratello prothonotario, et l'altro signor zeneral di Gonzaga, et a dì... Novembrio introno con gran honor in Mantoa, alozono in castello. Se ritrovava esser lì un ambassador dil Re di Napoli, et sua sorella dil Marchexe, moglie dil Ducha di Urbino; et demum veneno insieme col capetanio a Venexia.

Apunctamento, concordia, unione et amicitia facta et conclusa et acordata a dì X octubrio 1495, fra el christianissimo Re de Franza, de Sicilia et de Hierusalem, da una parte, et Ludovico Maria Sforza, Ducha de Milan, da l'altra parte, con li capituli che seguiranno[147].

Seguito a Napoli et in Reame dil mese dì Octubrio fino a la fine di Novembrio.

In questo tempo che 'l Ducha de Milan atendeva a far la paxe con el Re de Franza, a Napoli re Ferando attendeva a recuperar el Regno et haver li castelli tenuti da' Franzesi. Se ritrovava mons. di Obegnì, vicerè di la Calavria, con lo exercito franzese; et quelli el seguitavano era 1200 sguizari, el resto franzesi e calavresi, al numero di 8 milia persone. Et partiti di la Calavria per vegnir in soccorsso di castelli di Napoli, che continue Ferando faceva bombardar, et vegnendo per la via, tolseno la terra di Salerno et alchune altre terre, che se haveano date, et ritornate sotto el re Ferando, et ditto exercito franzese messe a sacho, facendo gran danno. Et venuto tal nuova a Napoli, subito el Re terminò di mandarli zente a l'incontro; et mandò prima, fra homeni d'arme et pedoni, numero 4 milia, con ordene che dovesseno taiar certi ponti di alchune fiumane, a ciò Franzesi non havessino con che passar; et cussì fecino; ma rimase più a basso un ponte con pocha vardia de' nostri, unde Franzesi, zonti, per quello passoe, et taglioe a pezzi la vardia; poi fonno a le [631] man con li nostri, zoè con quelli dil re Ferando, et de ditti, 7 squadre voltoe, e andono con Franzesi, et detteno dietro a le altre zente dil Re preditto, in modo che fonno rotte, et tajati a pezzi zercha 800, altri fuzite, et altri fonno spogliati. Fo preso in questa baruffa un fiul dil sig. da Camarin, et alcuni altri fatti presoni. Et volendo Franzesi con questa victoria venir di longo a dar soccorso a li castelli de Napoli, devano intender a li villani che, subito zonti a la terra, volevano sachizarla; et per questo molti villani venivano con lhoro, et cussì se ingrossava di zente. Et con loro menavano assa' animalli grossi, bovi et muli per chariazi, con farine et altre vittuarie per metter ne li castelli sopra ditti.

Inteso questa nova el re Ferando, et come molti napolitani zentilhomeni, anzuini, li erano contra, dubitando di pezo, havendo parlamento con mons. di Mompensier, vicerè, era in Castello Nuovo, unde fece trieva con ditto Castello, con lo castel Pizafalcon, et con la torre de San Vicenzo, et con l'armada franzese era ivi, et con lo monasterio di Santa †. Ma quelli dil Castello di l'Uovo non volse intrar in la ditta trieva; la qual trieva fo fatta a questo modo et con queste condition, de non bombardar ni far alchuna movesta, niuna de le parte, in termene de zorni 50; et si in ditto tempo li ditti castelli non havesseno soccorso dal lor Re de Franza, debino, passato el termene, lassar li castelli, et tor le sue robe et andar con Dio. Item, che se intendi debbino tor quello era suo, et non quello haveano tolto e sachizato da' merchadanti de le doane, el qual debiano lasarlo o pagarlo. Et per segurtà de ditta trieva, detteno in man dil Re 9 franzesi con tre famegli, cioè di li primi baroni erano in castello, driedo dil vicerè, mons. di Mompensier, et dil Beuchaiari, tra i altri mons. de Alegra et el capetanio di l'armada. Et menati davanti el Re, el zorno drio Soa Majestà mandono ditti ostagi a Yschia, per più segurtà. Et è da saper, che 'l re se obligò de dar vittuarie a ditti castelli, zoè con li suoi danari, vin, pan, carne et altro, al zorno, che fusse bastante al numero; et fo deputato la quantità havea ad esser data. Item, che 'l Re dovesse dar el modo de poter mandar el vicerè uno de li suoi dal suo Re de Franza, a notificharli questo acordo. Et questo acordo seguite a dì 4 Octubrio. Tamen li Franzesi, dati li ostazi, lo rupeno, et comenzò bombardar.

A dì 5 ditto, che fo el zorno sequente da poi l'acordo, vene nove in Napoli, come Franzesi col campo erano arivati mia 8 vicino a la terra; et el re Ferando, molto spaventato, licet l'acordo fusse sequito, mandò per il populo che venisse da lui in Castel Capuano, [632] et disse: Cittadini miei, vuj me havete chiamato che venghi qui; per vostra cagione ho receputo questa terra di Napoli; et se voi seti contenti che sia vostro Re, avisatemi, et se volete esser miei fedeli, per che in vuj mi fido; altramente volendo, advisateme, che me ne vadi con Dio. Et tutti quei cittadini, una voce: Sig. Re, tutto el popul delibera mantegnir la Majestà Vostra, se ben dovesseno morir loro, le moier et fioli; ma volemo che la Majestà Vostra ne daga licentia a nui, perchè molti de' nostri zentilhomeni sono anzuini, che li amazemo, altramente sempre haveremo garbugli. Et el Re li contentò con le bone; poi mandò a pigliar zercha 300 zentilhomeni de' principalli et li mandò nel castello a Yschia; poi fece una crida, che tutti li zentilhomeni dovesseno partir di la terra per tutto quel zorno, et andar habitar fuora di Napoli. Et el populo volleva sachizar tutti li anzuini; et el Re, per non metter la terra a rumor, non lassò far; et preso alcuni anzuini, tormentati confessono assa' cosse. Et in lo monastier di Santa Maria di Oriente erano muneghe, zentildonne napolitane, parenti di anzuini; el qual monastier è situato in canto di la terra, et le mure de Napoli se include in ditto monastier verso el Castel de Capua. Et qui dentro alcuni anzuini havea fatto far una fossa, che respondeva de fuora, dove volevano far intrar dentro Franzesi, et haveano 300 curaze et 300 ballestre con veretoni. Et una di dette muneghe scrisse una lettera, e la mandò al re Ferando, et li avisoe di questo tradimento. Et subito fo retenuto uno prete, el qual confessoe quelli erano nel trattato, et fonno presi, nè se intese quello facesse di lhoro il Re, o l'impicasseno secretamente, o vero li mandasseno im preson a Yschia, zoè a l'isola a l'incontro de Napoli. Et questo faceva, perchè non seguisse rumor ni novità in la terra.

Et poi, adunato zente, ussite di la terra col sig. di Camarin et el sig. Prospero et Fabricio Colonna et altri condutieri et signori, et si redusse nel campo di Santa Madalena, poco lontan di Napoli, et ivi se pose. Ma Franzesi, che erano lontano otto mia di Napoli, sentito come el Re havia discoverto li tradimenti di anzuini, et quello di le muneghe sopraditte, tolseno l'altra volta da la banda di Santa Maria de Pe' de Grotta, per passar et andar in Castello di l'Uovo, che non volse intrar in la triegua. Et cussì, a dì 10 Octubrio, arrivò nel monastier de Santa Maria de Pe' de Grotta, et a le 4 ore di zorno haveano pigliato el zardin de la Raina, et lì si feceno forte. Et el re Ferando era con zercha 21 millia persone poco lontan di nimici, adeo che con freze qualche volta si azonzevano li ditti campi, [633] et nostri con le artilarie faceva gran danno a' Franzesi, amazavano huomini et cavalli. Et el Re dubitava de tradimento, però non volleva se investisse, li beschaini et li sguizari a piedi solamente scaramuzava. Fo feriti et morti di Aragonesi zercha 4 millia, de Franzosi assa' in ditto zorno di X Octubrio, per modo che a le 24 ore scomenzò Franzesi a tirarsi indrieto; et a meza notte bischaini et sguizari dil Re saltono il campo franzese preditto, et quello messe in fuga, et lassono molti cariazi et gran quantità de muli, che nostri tolseno, et aseni et ronzini carichi di farine più de 300, carri più de 40, boi più de 200, bombarde pizole 16, et molte altre cosse. Et cussì, rotto et fuzito il campo nimicho, mons. de Obegnì, con el resto li restoe, deliberò de andar a la volta de Gaeta; ma nostri fonno provisti, et haveano ruinato un ponte di una fiumera, adeo che non poteno passar; unde si messeno a tornar per quella via dove veneno, per ritornar a la volta de Salerno, et zercha 2000 de quelli dil re Ferando li seguitono. Et Franzesi, per impazo de' nostri, rimaseno la Domenega, fo a dì 11 ditto, la sera, nel Castel Marano, lontan di la terra mia 5; et al Luni da mezo zorno, la Majestà dil Re cavalchoe con zercha 12 milia persone versso el ditto campo nemicho, et subito Franzosi se messeno a fuzir, et andono in uno monte a presso a.... Et el Re se messe poi andar con l'exercito a Sarno, mia 20 da Napoli, et qui stete. Ancora è da saper, che fo nunciato al Re come venia zerte velle dil Re de Franza, veniva di Provenza, per socorrer li castelli; et ditto re Ferando li mandoe contra 20 barze di Spagna et altre galee, per andar contra zercando la ditta armada veniva. Et la Raina, fo moglie dil re Ferando vechio, era in Sicilia, per la qual fo mandato Villa Marin con tre galie, a dì 12 Octubrio, a hore 22, zonse a Napoli; et per non si trovar il Re in la terra, la Raina non volsse dismontar in terra, et se partì con le galie, et andò a lo porto di Baja. Et li Franzesi, non ostante la trieva, trazeva artilarie in la terra tutta la notte; et cussì era rotto l'acordo; tamen el Re havia li ostaggi, expectando il termene de li do mexi.

A dì 12 ditto, a mezza notte, zonse uno bregantin a Napoli, et notifichoe come l'armata di la Signoria nostra era zonta in lo porto de Baja; per la qual cossa la terra che stava in gran paura subito have conforto. Et el zorno sequente, a le 20 hore, venne l'armata ditta, di galie 20, provedador Hieronimo Contarini, et la Majestà di la Raina tunc volse dismontar a la Madalena, et venne in la terra, sì come tutto più diffusamente sarà scritto. Smontò la Raina, la nostra [634] armata si levoe, et tornò iterum nel porto di Baja; et questo perchè feva vento de sirocho, che non poteva star in la spiaggia di la Madalena.

L'armata franzese, per lettere de Roma, se intese esser passata da Hostia, zoè otto velle grosse, tra nave et barze; la qual armata, a dì 19 Octubrio, per lettere pur di Hieronimo Zorzi, cavalier, ambassador nostro in corte, se scontrò sopra l'isola de Procida con l'armada aragonexe, de velle 27, fra le qual, una zenoese, chiamata Negrona, di 4 milla botte, et la Camilla di botte 3000; et che essendo apizate le ditte armate, soprazonse valido vento de syrocho che le separono; et quello seguite, ad plenum non se intese. È da saper che con el re Ferando, in campo, se trovava esser tra preti e frati più de milla, andati voluntarie a combatter per el suo Re; et questa è cossa notanda. Item, tutte le terre circumstante a Napoli, per liberarse da insulti franzesi, porzevano aiuto de danari a esso Re; et in questi zorni catò ducati 22 millia.

L'armata de la Signoria nostra veramente, levata di Corfù per andar versso Napoli in aiuto dil re Ferando contra Franzesi, et zonta a Taranto, qui essendo Antonio Grimani, procurator, capetanio zeneral, con Hieronimo Contarini, provedador di l'armada, in tutto galie numero...., convenne alchuni zorni a riquisition dil sig. prencipe don Federico di Altemura, el qual ivi se ritrovava, venuto per recuperar Taranto. Et acadete certe scaramuze, et prender di un locho; tamen non poteno rehaver la terra, come per una lettera di esso capetanio qui posta, et scritta a l'orator nostro a Roma, si vede. Et accadete che, per egritudine sopravenne al ditto nostro magnifico capetanio, li fo necessario, contra sua voia, restar di andar a l'imprexa de Napoli, et ritornar con la sua galia et un'altra dalmatina; sopra la qual, mancando el soracomito, che, come ho scritto, a Monopoli fo amazato, vi messe uno patricio, Alvise Grimani, el qual di Roma, che prima era col fiol reverendissimo Cardinal, ivi venne, et posto al governo di ditta galia fino venisse el soracomito, fiol dil defunto. Ergo con do galie el ditto capetanio venne a Corfù, dove si curoe la egritudine sua; ma Hieronimo Contarini, provedador, habuto mandato da esso capetanio de seguitar sempre l'impresa, andoe di longo versso Napoli; et, zonto, scrisse una lettera a la Signoria nostra, la qual per esser copiosa et molto a proposito, a intelligenza di suo viazo, et come le cosse de Napoli passava, et dil compagnar fece la Majestà di la Raina, in Napoli dismontata per terra, con li soracomiti, et il tutto, lezendo le lettere sequente si vedrà.

[635]

Exemplum litterarum Antonii Grimani, procuratoris, generalis capitanei, ad oratorem nostrum venetum in Curia romana.

Magnifice ac clarissime eques.

Da li 14 dil presente se trovamo qui a l'isola de Taranto in XXVij galie, cussì richiesto cum grandissima instantia da lo ill.mo don Federico; et, a dir la verità, sempre son stati tempi contrarii, che non era possibele poterse levar per Napoli. Interim, ad richiesta de soa Signoria li havemo dato circa 400 homeni de questa armata, cum el qual, insieme con alchune zente sue, e stà recuperata la terra et castello de Groptaglie, loco molto apto a strenzer Taranto, perchè per quella via se fornivano de vitualie et altre comodità. Et ogni zorno si dette la battaglia a quel loco, azò li franzesi sono in Taranto, che par siano da 300 cavalli, non andasseno a darli socorsso. Nui etiam mettessemo de questi huomeni di l'armada in terra, et scaramuzando furno morti alchuni franzesi, e de li nostri zercha 25, perchè li pedoni con le zente da cavallo hanno grande disvantazo. Questo facessimo per tenir quelli di la terra che non patisseno. Aspettamo si conzi el tempo, et subito partiremo nel nome de Dio, per esser a Napoli, come è hordene di la nostra ill.ma Signoria, a la qual la Vostra Magnificentia con le prime manderà aligate nostre. Il magnifico missier Bartholamio, fratello di Vostra Magnificentia, se trova a Corfu con 6 galie per fornirsse de pan, et sta benissimo; et questi zorni passati a... prese due fuste de turchi corsari, compagni de Camallì, et speremo ogni zorno in Dio udir di sua Magnificentia cosse degne et honorevele. Sono sempre a li piaceri de Vostra Magnificentia.

Ex triremi, ad insulas Taranti, 27 Septembris 1495.

Antonius Grimani
procurator, capitaneus generalis maris.

A tergo: Magnifico et clarissimo equiti, domino Hieronimo Georgio, oratori veneto ad Summum Pontificem.

[636]

Copia di la lettera di Hieronimo Contarini, provedador di l'armata a la Signoria, dil zonzer a Napoli con l'armata[148].

Adoncha, sì come ho scritto di sopra, el re Ferando a dì 12 Octubrio se levò da la Maddalena con 500 homeni d'arme, altri cavalli lizieri et ballestrieri a cavallo, et 2000 fanti et altre zente paexane, con X bocche d'artilarie avanti; et andò a la volta de Fraola, dove attendeva li nimici erano arivati. Li ponti, passi, erano tutti rotti, a ciò non potesseno passar li fiumi; li nimici erano in fuga, et se reduxeno im parte, a dì 14 ditto, che per la strettura di passi non poteano ussir con li cavalli; loro instessi se rupero, et lassando li cavalli et ogni cossa a piedi, se ne fuzivano, imboscandossi come meglio poteano. La qual nuova fo molto grata al re Ferando, et reputava la impresa finita: tamen non restava di seguitarli, zerchando completamente disfarli. Et zonta a Napoli questa nuova, a dì 15 ditto, el legato dil pontifice, Borges, con l'ambassador yspano, cavalchoe a torno la terra, et el Principe de Squillazi, figliuol dil Pontifice, zenero dil re Alfonso; et se divulgava Nocera et San Severino doveano alzar le bandiere de Aragona, et el campo nostro andar a Nocera. I nimici in questa fuga usoe gran crudeltà per li castelli dove passavano, e fra li altri Pomognano (?) dove tagliono a pezzi ogniuno. Et el Principe de Altemura, don Federico, se ritrovava in questo tempo a Taranto, et vedendo non poter rehaver la terra, se messe in camino con zente per vegnir versso Napoli; ma quei dil Castel Novo de Napoli, in questo mezo, a dì 11 Octubrio, di notte, fece gran luminarie; et la matina, a dì 12, ne l'aparir del zorno, la loro arma' de' Franzesi era lì tirò assa' colpi de bombarda et artilarie, et questo perchè dicevano haver per un bragantin nuova, come el soccorsso lhoro era vicino, e a le mane con l'armada di re Ferando; tamen tutto era argumento e fintione.

A dì 16 ditto, zoè Octubrio, la Majestà dil re Ferando venne di campo et intrò in Napoli la sera, per visitar la Majestà de la Raina et l'infante et ambassador de Spagna, la qual, cussì come ho scritto, era intrata in Napoli, et alozata nel Castel de Capua. Et li nimici erano in fuga tra Montorio et San Severino; le zente regie fece prede assa' de le cosse loro. El Re fece portar bombarde in campo per expugnar alcuni lochi si teniva anchora per il Re de Franza; et [637] el zorno sequente ritornò in campo, et scrisse esso Re a Antonio de Zenari, dotor, et Zuambattista Spinelli, dotor et cavalier, suoi oratori in questa terra, la qual per esser a proposito, è qui sotto scritta.

Exemplum litterarum regis Ferdinandi ad suos Oratores Venetias existentes.

Rex Siciliae.

Ambasciatori, molte volte sperando nui che questa Ill.ma Signoria, per sua infinita virtù et singular sapientia, dovesse pigliar lo patrocinio non solamente de le cosse nostre ma de la salute et libertà de Italia, prendevamo tal consolatione de qual se vol adversitate passamo, con bono et fortissimo animo. Al presente, vedando chiaramente che, per gratia del nostro Signor Dio, la speranza nostra non solamente non ce ha ingannati, ma ancora lo effecto et optima operatione hanno superata la expectatione nostra, sentimo nel core leticia tanto maiore de la prima, quanto è la diferentia che è tra la speranza et la consecutione del fine del desiderio. È arivata la fidelissima armata de questa Ill.ma Signoria in Napoli, al tempo che più ne era necessaria; che essendo stati nuj necessitati de ussir a l'incontro de questa zente, che erano venute da Calabria per soccorrere el Castello Nuovo ... in mezo de questa turbulentia è aparsa la preditta felicissima armada, con quel fulgore che sole aparer el zorno a li naviganti da poi la tenebrosa notte, quando el mar se mostra turbato, ha confirmato li animi gagliardi, ha excitati li languenti, ha data general leticia a l'universo populo; del che noi rimaremo non meno pensosi che contenti, però che non è menor lo pensier del desiderio de satisfar tanta obligation, che l'alegreza de conseguir tal beneficio, perchè l'animo nostro sta tanto inclinato a la satisfation de tanti paterni beneficii de questa Ill.ma Signoria versso noi, che con dulcissima speranza desideramo che 'l nostro Signor Dio ce dia el modo de poter dar qualche principio a la nostra gratitudine, che non saremo contenti tanto del proprio riposo, quanto de farli cognoscere che eternalmente ne recorderemo del suo memorabil beneficio, et resteremo non poco satisfacti che la gratitudine nostra s'habbia dimostrar versso chi tanto la merita, che da noi è tanto venerata et honorata in perpetuo tenor de diuturna benivolentia.

Per amor nostro vogliate esser al cospetto de questo ill.mo Prencipe, et dichiarir a sua ill.ma Signoria la contenteza de l'animo nostro, [638] insieme con l'obligatione li havemo, et quanta conoscenza tenemo de la soa paterna carità versso lo stato nostro et la nostra propria vita, talchè, se ben possidessimo major regno de questo, anzi si ponessimo la persona in pericolo ogni giorno per conservation et augumento de l'honor et dignità sua, non poriamo satisfar a la più picola parte del suo merito. Pur ne basterà assai, che soa Signoria ill.ma conosca in noi amor perfetissimo et animo volonteroso de far quanto possibel ne sarà, perchè se mostra la memoria de tanti beneficii esser in noi inextenguibile, rendendoli gratie infinite ne pare che saria diminuir de la demostratione de lo amore che tenemo ne l'animo. Meglio è tacer, e rimetterne a la experientia che sarà de la nostra voluntà argumento chiarissimo. Nè volemo anche exortar Soa Signoria Ill.ma a la perseverantia, però che havemo ne la sua fede et virtù tal confidenza, che cussì come è stata principio et mezo de nostra prosperità, cussì nostro Signor Dio ne farà gratia che sarà fine di tutti li nostri travagli; et a quella sola sarà decreto triumpho de la victoria nostra. Non volemo pretermetter de dir in quanto amore e cortesia si è dimostrato lo magnifico Provedador versso la Majestà de la signora Regina nostra madre, et in tutte le cose nostre; talchè ben monstra con sua gravità, cortesia et prudentissimi modi, esser mandato da questa Ill.ma Signoria, piena di sapienza et sanctissimi consigli. De tutto darete notitia a questo invictissimo Principe et al suo ill.mo Senato, non cessando raccomandarli la vita, lo regno et tutte le cose nostre, le qual ponno extimar proprie, non meno che nui medesimi le extimamo.

Data in nostris fidelibus castris, ad Sarnum, XVIII Octubris.

Rex Ferdinandus.

Chariteus.

A tergo: Magnificis nostris oratoribus, Venetiis.


A dì 23 octubrio zonse don Federico, prencipe de Altemura, a Napoli, non havendo potuto haver Taranto. Et a dì 25 ditto fece far la mostra de le zente di Napoli, et fu bel veder; et trovono persone X milia et octocento, le qual al bisogno se potevano armati mandarli in campo, non però erano tutti da fatti. Et la Majestà dil Re in questi zorni venne a Napoli, per esser insieme con ditto don Federigo, et poi, a dì ditto, ritornoe in campo. Et li nimici havendo finto di volersi levar da Nocera, perchè vollevano condur certe victuarie, le zente regie li forno sopra, et preseno 20 huomeni d'arme [639] et trenta cavalli lizieri, et assa' some con vittuarie, chiamate salme in lingua napolitana, et preso un fiul dil conte di Montorio; et tamen li nimici non si mosseno per questo dove erano. In questi zorni in Puia, per lettere dil consolo nostro, a dì 20 ditto, se intese esser stato preso per anzuini passionati, el sig. Bernabò de la Marra, suo fiul, et suo fratello Joan Paolo de la Marra, Francesco de Angelis da Trani, et Bernardino Spina; li qualli tutti fonno mandati presoni a Brandizo. Et da ditti el re Ferando potrà trazer da 30 milla ducati, che li saranno a conzo in proposito di questo tempo.

L'armata nostra, era lontana alquanto di Napoli, a dì 26 ditto ritornoe ivi vicina, zoè galie numero 18, et do erano andate versso le nave che cum biscotti a Messina se intendea erano zonte; le qual venivano a l'armata con biscotti, di li qual la ditta armata ne havea gran bisogno.

A dì 27 ditto, mons. di Mompensier, mons. di Belcher, el Prencipe de Salerno et altri signori franzesi et baroni di Reame, erano in Castelnuovo a Napoli con le artilarie et molte robbe, cargate la notte su la sua armata era lì vicina, lì al castello, se messeno in galia, con vele numero XI se partino da Napoli, et andoe a dismontar a Salerno, como dirò di sotto, habandonando loro i castelli; tamen lassoe ditto mons. di Mompensier, vice re, presidio in ditto castello di zercha 400 franzesi. Questo feceno per doi rispetti: primo, perchè pativano di vittuarie, et vedevano non poter tenersi, et havian dato li ostaggi in le mane al re Ferando; etiam per scapolar l'armata, robe et artilarie, et conzonzersi con mons de Obegnì in campo. Et questo piaque molto al Re, sperando di breve haver li castelli.

Exemplum litterarum regis Ferdinandi ad suos oratores in Romana Curia.

Rex Siciliae.

Ambassadori, acciò intendiate le cosse di qua in quali termini si trovano, vi avisamo come l'armata franzese, ussita dil Castello Nuovo, havendo tirata la via di Salerno, et arrivata là, è dismontati tutti quelli bertoni, italiani et franzesi; et questi altri inimici, quali erano qui a Nocera, se levorno et sono andati a Salerno per unirsi con lhoro et ingrossarsi, et tuttavia attendono a racoglier li altri franzesi che sono sparsi nel Regno, et simel quelli che si ritrovano in Ariano; et cum le zente et cum li danari che li hanno portato dal castello, [640] con li quali faranno più zente, se ingrosseranno in tal maniera, che ne reduranno in dificultà grandissima, dove già in tutto se vediamo posti et redutti. I populi dubij et male intencionati, da questo haverano causa et ardir de scoprirse, maxime essendo tutto lo Reame contaminato. Lo lassamo judichar a voi, che sapete che zente e che modo havemo, che non n'è altro se non quello che aspettiamo in soccorsso; e de praesenti non è più tempo de mantenirsse la Santità de Nostro Signore e signori colegati in parole, ma se li ne volleno nel regno, senza altro consulto, in loco de rasonamenti, ne siano di presidio in executione, volendo, perchè se no in mazor dificultà.... che bisogna de praesenti esser forti in campagna. E però vi diciamo che, de continenti, siate al conspecto de la Santità di Nostro Signore, dove sia lo rev.mo ill.mo Vice Cancellier, nostro zio e padre, et li magnifici ambassadori de la sanctissima et serenissima lega, e li narate la confusion e dificultà nostra, imo la nostra mala contenteza de non poter corresponder a li animi cum le forze spontane; e supplicate Sua Santità a volerme far gratia de mandarme subito lo recapito de 1000 fanti, e mandar a le altre zente dessignate, e procurar con li potentati di la sanctissima lega a provedermi de li presidij raxonati. Et se 'l nostro Signore ne potesse ajutar de altre zente da cavallo et a piedi, per esser cussì vicino, saria de gran momento, non meno de zente che de favor, perchè non è più tempo de parole, et bisogna lo procurar sia unito con lo exequir si voleno... nel regno. Et perchè dil regno Soa Santità prima haverà disponer et poi tutta la liga, a lor arbitrio, e nuj non haveremo ad exequir se non tanto quanto ne sarà comandato, e per honor de Dio voliamo esser messi et non volemo redurse al termine extremo da non potersene più valer, noi non pregamo altro el nostro Signor Dio, se non che siamo messi e non siamo lassati perir per non esser exauditi a li nostri bisogni; che, per Dio! non sapiamo più come exprimer queste nostre dificultà, imo periculi e ruine, quando subito et non a tempo siamo aiutati. Et quando li nostri rispetti non bastano a solicitar li presidii, lo interesse comune de li signori colligati et de tutta Italia doveriano esserne.... State avanti li ochi de la Santità di Nostro Signore e di Signori colligati continuamente.... che reaquistano uno reame ad uno loro fiolo; non sapemo più che dir; la ruina nostra sapemo non esser gloria ni beneficio a nessuno, salvo a dicto... Ormai intendete tutto. Per l'amor ne portate, voliate imprimare queste cose efficacemente, e seria lo bisogno nostro de manera, che aspettamo più presto efecti cha risposta [641] de questa lettera, perchè di qua dipende la defensione, vita et victoria nostra, et se confidemo ne la vostra discretione, tanto che suplirete quello che più dir non potemo a questo nostro urgentissimo bisogno.

Data in nostris felicibus castris ad Sarnum, die XXViiij Octubris 1495.

Rex Ferdinandus.

Cariteus.

A tergo: Magnificis viris Hieronimo Sperandeo, Aloisio Ripol, oratoribus nostris in curia Romana J. U. doctoribus.


Et zonta ditta lettera al summo Pontifice, el qual era molto caldo in aiutar ditto re Ferando, licet questa pace fatta (tra) el Ducha de Milan et el Re de Franza lo feva star alquanto sospeso, benchè continuamente el rev.mo cardinal Ascanio, vize canzelier, fradello dil prefato Ducha li fusse a presso, et habitava im palazo. È da saper che, in questo tempo, cinque cardinali, do ex instituto antiquo, per li lor officii tengono, che bisognava esser lì im palazo, zoè el cardinal Alexandrin et Sancta Anastasia, etiam vi abitava ditto cardinal Ascanio, Monreal, nepote dil Pontifice, et Valenza, fiol dil Pontifice. Ma vedendo el Pontifice Venetiani erano constanti, et non haveano voluto far pace con el Re de Franza, imo pronti ad ajutar re Ferando, etiam Soa Santità omnibus modis volse aiutarlo. Et a dì 30 Octubrio, come per lettere del mio carissimo Francesco Zorzi, fiol di l'ambassador nostro, el qual a Roma etiam se ritrovava, et dal qual, essendo accaduta la egritudine mia di febre quartana, nel qual tempo scrissi et compilai questa gallicha ystoria, havi molti advisi di cosse succedeva, degne di memoria, perchè, alio modo, non poria haver compita la verità di questa opera, perchè non potendo inquerir le nove, quelle non poteva scriver; ergo, cum aiuto de molti necessario mi fu, da primo Septembrio fino a la fin de questo, intender et inquerir quello seguiva; et sopra tutto la verità. Hor, nel zorno sopraditto, se partì di Roma... Alfonso spagnolo, parente dil Pontifice, con cavalli 100, et andoe versso Napoli in aiuto di re Ferando preditto; et ancora lo episcopo de Concordia, in questo zorno partì di Roma per andar legato al Re de' Romani, zunse a Venezia, come dirò di sotto. El sig. di Pexaro con la moglie, fia dil Pontifice, in questo tempo se ritrovava a Roma. Et bellissimo fo a veder, la vizilia de Ogni Santi, el Pontifice aparato in capella, et servito dal [642] rev.mo cardinal Ascanio et San Zorzi, juxta il solito, tunc più veterani diaconi, e l'uno tirarli la mitria, l'altro la beretta; et el cardinal S. Chimente al servir del teribolo; lo episcopo Antivarense tene el libro sopra la testa, quando el Pontifice disse l'oratione; et l'arziepiscopo de Nicosia, patricio nostro de casa Priola et molto mio amicissimo, tenne la candela. Et cussì disseno vespero con XX cardinali, oratori dil Re di Romani, Spagna, Veneto e Milan, etiam do dil Re di Hongaria, auditori de Rota, cubicularij, arziepiscopi et episcopi assai. Et poi el Pontifice dette la beneditione, et fo portado da 6... sopra una carega a torno la chiesia; et, come mi fo referito, bellissima cossa a veder. Et poi, el zorno de Ogni Santi, cantò la messa el cardinal Chartagenia; et el zorno de' Morti el cardinal S. Dionise, franzese. Et benchè questo non sia a proposito, pur ho volato qui scriver. Et in questo mezo, el capetanio de Hostia, monsignor..... di Guerra stava malissimo et in ponto di morte, tamen poi varite. In quella terra si tenia per il Re de Franza, et era molto contraria a vegnir vittuarie a Roma, licet non desse fastidio.

Ritorniamo a le cosse de Napoli. Partita l'armata franzese de Napoli, la nostra la seguitava; et non potendo far nulla, se retirono a Castello a mar, perchè la franzese era intrata in Salerno. El Castel Nuovo a Napoli tirava continuamente a la terra con ruina et danno assai. Et el re Ferando con el campo a dì 4 (andò a) Nocera, et non volendosi arender, li deteno la battaglia, et prese ditta terra, et poi il castello, et la messeno a sacho tutta, et li huomeni fonno dati presoni a le zente d'arme. Nel castello era la dona dil conte Montorio, la nuora, el primo et secondo genito; item la moglie et figli de Salvador Zurlo, et altre donne con molte loro cosse. Et a Napoli la torre de Santo Vincenzo è bombardata continuamente da le artilarie dil Re, et feva gran danno. Et a dì 12 Novembrio, per lettere di Napoli, se intese el prencipe don Federigo attendeva a tirar a la cittadella con la bombarda pontificia, et cascò el castello con morte de homeni X de Ragonesi. Et el Re, considerando el suo prosperar et haver aiuto consisteva tutto in haver la Signoria de Venetia propicia, et havendo oltra li oratori mandati alchuni secretarii, i qual saranno nominati di sotto, scrivendo le cosse di Venetia, unde terminò mandar el conte domino Hieronimo de Totavilla, fo fiol dil cardinal Roan, et con Soa Majestà in benivolentia, nomine suo, a dicta Signoria; et a dì X partì di Roma, andoe prima a Milan, demum a Venexia, come el tutto sarà scritto di sotto. Etiam Alvise Ripol, secretario dil Re, partì di Roma et venne a Venexia dove [643] stette tre zorni. In questo tempo el sig. Prospero Colonna, essendo con zente per ditto Re in Apruzo, dette rotta a Carlo de Sanguine. Et li soldati franzesi, a dì X Novembrio, erano parte a Ivolo et parte a Salerno, e 'l campo dil Re a Sarno. Vene l'armada franzese nel colfo de Salerno, et la veneta a Castelamar, et la regia a l'incontro di l'altra franzese. Et è da saper che a hora le cosse dil re Ferando comenzoe a prender assa' buon fin; tamen mancava li danari, et vollevano comenzar adoperar li arzenti ecclesiastici, a far moneda di manco precio et valuta, con far valer il terzo più; tamen non fece, licet fusse grandissimo bisogno.

A dì 17 Novembrio, per lettere havi da Roma dal mio carissimo Francesco Zorzi, di l'orator fiul, come havea da Napoli che il Re, habuto Montorio, à preso el Duca de Lege, che già sotto fede fuzite.

A dì 13 Novembrio fo dato la battaglia a la cittadella de Napoli, non ordinatamente ma per experimentar le forze de' nimici, et veder che zente erano. Et fo arbitrato esservi zercha 400. La qual battaglia fo data animosa et gagliardamente, et fo scalata et montato sopra lo primo reparo, drieto al qual i era altri repari fatti per li nimici, li qualli erano da lor guardati e defensi con pietre et pignatte de foco, calzina et olio, et cum ballestre, schiopetti et lanze. Et per convenir scender, per montar poi a l'altro riparo, forno li nostri, zoè Aragonesi, constretti a cessar la battaia. In la qual morì tre nostri et alcuni feriti; ma de li nimici, da le artilarie regie molto più ne fonno morti et feriti. A dì 14 la Majestà dil Re essendo stato 4 zorni a Napoli, se ne tornò in campo a Sarno. Et in questa matina la nostra armada se redusse a Mergolino, et tre galie a le Madalene andoe per condur zente a le nave zenoese, et preparavasi etiam certe barche, erano a Castelamar, per esser tutte di compagnia adosso l'armata inimica. La qual, a dì 13 ditto, a hore 18, si levoe da Salerno, et a li 14 fo vista fra Capri et Yschia, et tenne la volta di Gaieta, ma per li venti che era..., che si non bonazava non si potevano levar, steteno tanto a farse bon tempo, che ditta armata nimica zonse a Gaeta. Et a Salerno, a dì 14 ditto, zonse don Juliano, che era al monte, con zercha cavalli 200, et si trovò sotto Ariano con Carlo de Sanguine e Paolo Orssini.

È da saper che, havendo diliberato la Signoria nostra, a dì 5 ditto, de dar aiuto a re Ferando, come dirò di sotto, de mandarli 1000 cavalli et 1000 stratioti et 1000 fanti, come scriverò di sotto al loco suo, questa tal nova andò prestissima a Napoli, et zonse a dì 12 ditto: unde tutta la terra, maxime quelli ch'amava casa da [644] Ragona,... consol nostro per intender la verità et tenor di le lettere, havia aviso di questo. Et subito mandoe a notifichar questo a la majestà dil re Ferando in campo. Tamen ditto pressidio non andoe, per le cosse seguite, come intenderete. Et cussì esso Re, come have a piacer di questo, cussì mons. di Arzenton, ambassador dil Re de Franza, che tunc se ritrovava a Venezia, have altrettanto dolor, vedendo la Signoria disposta in aiutar Ferando.

A dì 16 ditto l'armata nostra si ritrovava tra Pizo e Baia, et in questo zorno don Federico, prencipe de Altemura, partì di Napoli, et venne lì a conferir con Hieronimo Contarini, provedador di l'armada, et poi ritornò a Napoli. L'armada nemica era zonta a Gaeta, et li nimici col campo a Salerno atendevano a farsi forti. Et in Apruzo el marchese di Martina si scoprite nimico dil re Ferando, et a Napoli fo retenuto el suo canzelier. Et bombardavano la cittadella, facendo el Prencipe far certe cave subteranee; et vedendo il Re che 'l soccorsso, dovea mandar la Signoria a lui, era za in camino, era stà suspeso, mandoe uno suo secretario, chiamato Zambattista Charaffa, et zonse in questa terra a dì 22 ditto; tamen nulla fece.

A dì 27 ditto, re Ferando essendo venuto di campo a Napoli, in questo zorno feze dar la battaglia a la cittadella; la qual, posto fuoco a li portelli per le cave, incontinente ruinò quasi tutta, et in poco spacio vigorosamente fo presa, et non solum la cittadella, ma etiam il paradixo et case matte fece far re Alphonso, con tutto zò che è intorno, per modo che restò el castello smembrato in tutto. Alchuni de li nimici fonno morti, ma la più parte si salvorno nel ditto Castelnuovo. Et intrati aragonesi dentro, trovono assa' roba et artilarie; et il pane manzavano franzesi, tristissimo, poco e mal conditionato. Et quelli di la terra feceno gran dimostration di alegreza per questa felize zornata, et per importantia di la cossa, perchè solum il castello rimase, et senza modo di haver sufragio, et se intendeva con poche vituarie.

In Puia in questi zorni zercha 1000 persone se adonoe a uno, fra Andre et Barletta e quelle terre convicine, per andar a la expugnation di Quarate, che ne li dì precedenti levò le bandiere de Franza. Et questo a Napoli se intese per lettere di 21 da Trane.

A dì 29 ditto, da sera, s'have la torre di San Vincenzo, et continue si messeno nostri a bombardar el castello, el qual non feva difesa, nè apareva persona, et non potea haver aiuto ni soccorsso.

In questo mezo li nimici a Salerno attese a far zente; poi veneno a San Severin, per haver quel castello; dove era 100 fanti dil [645] re Ferando a custodia, et li nimici erano più di le zente regie, et haveano molte artilarie, et mostravano vegnir a trovar el Re. Et vedendo el Re che in questo consisteva tutto, mandò a Napoli a dimandar 500 fanti, et cussì fonno mandati. Et el Re volsse mandar 200 fanti in aiuto dil castello di San Severin, et il castellan non li volsse, dicendo era bastante, con li fanti havia, di resister a' Franzesi. El sig. Fabritio Colonna con le sue zente venne per augumentar l'exercito regio, zoè zercha 250 homeni d'arme. Et zonto a dì primo Novembrio a Nola, andoe poi in campo dil Re; etiam alcuni stratioti eran in Puia. Et ancora in questi zorni zonse le zente dil conte de Matalone, sì che Ferando si andava ingrossando, et molto desiderava lo aiuto di la Signoria nostra, tamen però non volleva far cauto essa Signoria, la qual spendeva et havia speso. Et zercha questa materia più avanti sarà scritto. Et questo basti quanto a la descritione di le cosse di Reame; pur non restarò de scriver come in questi zorni el duca di Melffi, el qual l'era aragonese et con re Ferdinando, in Napoli, da quei dil Castelnuovo con artellarie fo morto.

Cosse seguite a Venetia et in altri lochi de Italia dil mese de Octubrio et Novembrio.

Benchè di sopra habi assa' scritto di le cosse di campo, ne le qual molte deliberation dil Senato è incluse, et però non mi estenderò in scriverle; ma solum che nel principio de Octubrio, quando el duca de Milan era su le pratiche, et havea concluso la paxe con el Re de Franza, et el nostro exercito, che lo havea aiutato fino a hora, eran ne le sue mane, dubitando nostri di quello haveria possuto intervenire, feceno molte consultatione, adeo che in X giorni fo pregadi 8 fiate, scrisseno lettere a li rectori di la terra dovesseno star provisti, et, a bisogno, cavalchar, si alcuna cossa li fusse comandata. Ma, venuto di qua de Tesin et Oio l'exercito, nostri hebbeno grandissimo contento et piacer; et el Duca de Milan scrisse a la Signoria, che, non ostante questa paxe, volleva esser ne la liga et in miglior amicitia che mai con la Signoria nostra, a la qual era ubligato dum spiritus regeret artus. Et ancora el Duca de Ferrara, ritrovandossi al Re de Franza, scrisse a la Signoria come sperava far cossa saria grata a quella, con honor e reputation, per modo che ogni uno conoscerà lui esser fiul di la ill.ma Signoria, al despetto do quelli mormoravano de lui.

Venne a Venetia in questi zorni uno orator dil subassì di la [646] Valona, vestito a la stratiota, et menoe tre belli cavalli con sella, archo, tabarho e carcaxo, et una balla de tapedi; le qual cosse donò a la Signoria per uomo dil Signor Turcho, offerendo a soe spexe X in XV milla cavalli de' Turchi, a ogni bisogno, contra el Re de Franza. Et el Prencipe rengratiò el signor de tal offerta. Et ditti cavalli, de ducati 100 il pezo, donoe uno al conte Bernardin, era qui a Venetia, et li altri do mandoe al conte de Petigliano, era a Bergamo, venuto da Milan, tamen non varito ancora, et dovea vegnir a Venetia, et pocho da poi vi venne.

A dì 12 Octubrio, nel Conseio di Pregadi preseno di desarmar la barza, capetanio Thomà Duodo, et 4 galie de Candia mal conditionate. Et Bortolamio Zorzi, provedador di l'armata veneta a Corfù, come è scritto di sopra, al qual governo di l'Arzipielago et custodia al mar dal capetanio era dato, a ciò corssari non vi stesse et danizasse nostri; el qual..., come a dì otto Settembrio, come havia trovato in quelli zorni do fuste andava in canal di Negroponte a tor archi et altre cosse per Camallì corssaro, era in Barbaria con cinque altre fuste, et quelle prese insieme con una galia de Candia, soracomito Marco Grioni, et l'altre erano rimaste in l'Arzipielago. Fo examinato quelli di le fuste, inteso come ditto Camallì era per vegnir, zoè a dì tanti di Ottobre, a la Fangagnana et poi a Cavo Bon, andrà poi a Malta. Unde, fatto impichar ditti turchi, scrisse questo al capetanio zeneral, che dovesse andar, parendoli, o mandar galie per scontrar ditto Camallì. Et lui mandoe tre galie a quella volta, desideroso de trovarlo.

In questi zorni, el Ducha de Milan havendo fatta la paxe con el Re de Franza, senza far altra consultation con li colligati di la liga, dubitando el Re et Raina de Spagna non havesse a mal, maxime havendo usato il suo orator quelle parolle ho scritto, mandoe in Spagna uno orator, chiamato domino Joanne de Gallarà, con li capitoli di la pace.

A dì 14 Octubrio a Fiorenza morite mons. di...., era lì per nome dil Re de Franza; et questo per egritudine presa sotto Pisa. Et a dì 15 ditto, lì in Fiorenza fo sepulto con grandissimo honor.

El campo de' Fiorentini in questi zorni, governato per il Ducha de Urbin, si levoe de l'impresa di Pisa, e andoe a Pogibonsi. Questo, perchè Piero di Medici, come ho scritto di sopra, a Roma havendo asoldato assa' fanti, insieme con el sig. Virginio Urssini, nominato di sopra, et con assa' zente d'arme vollea venir e intrar in Fiorenza et ritornar nel stado; di la qual cossa Fiorentini molto dubitava, et [647] però fece levar il loro campo di Pisa per andar contra Piero, quam per esser l'impresa di Pisa molto difficile, et indurati erano Pisani a (non) volerssi render. Hor ditto Piero prese alchuni muli di Fiorentini, andavano con robe a Roma, fo divulgato numero 30, et con aiuto de' Senesi, volendo etiam aiuto di Perosa, unde necessario li era di aiutar Baioni contra li Odi foraussiti. Et però, con 3000 fanti et 600 huomeni d'arme, ditto sig. Verginio et Piero di Medici al principio de Octubrio veneno versso Terni contra ditti Odi, per venir in aiuto de' Pisani, poi contra Fiorenza, havendo molti che lo seguitavano in ditta città, licet quelli governavano el stado li fusse nimicissimi et di contraria parte. Et andati a campo a Gualdo, per lettere de 5 Novembrio da Roma se intese hebbeno ditto castello, salvo l'haver et le persone, zoè capitolono di rendersi a Baioni, tamen l'inganono, et tolse soccorsso da li Odi et da Foligno, et non attese a la promessa, per modo che questo campo di nuovo convenne piantar le bombarde et bombardar ditto castello; et tandem a dì 19 Novembrio hebbeno ditto castello per forza, et quello fo messo a sacho. Et Piero de' Medici fo a Siena, et have promission de haver soccorsso, et poi tornò in campo. Et el Pontifice tenia da lui, et scrisse al magnifico Zuam di Bentivoj volesse vegnir in soccorsso di ditto Piero; et el cardinal de' Medici, suo fratello, andoe a la fin de Novembrio a Milan, a pregar el Ducha volesse tenir suo fratello. Et in Fiorenza erane pur qualche rumor, et li favoriti de Piero si reducevano insieme, et se udia qualche voce che diceva: se non si cala el pan, chiameremo Piero et Julian. Et etiam una notte fo chiamato per molti: Bale! Bale! Et per la Signoria non fo fatto provisione nè inquisitione, chi fusseno. Et Fiorentini mandono tre oratori a Milan; et, come per lettere di 23 ditto da Roma, intesi che uno franzese, chiamato Lanzainpugno, et era a Fiorenza per nome dil Re, et andò a Pisa per far quella consignar a' Fiorentini, et Pisani retenne el ditto. Et el castellan franzese, chiamato mons. d'Antreges, el qual era sopra et al governo non solum de Pisa ma de Serzana, Serzanello et Pietra Sancta, terminò di voler abitar et morir a Pisa; et questo per dubito che, ritornando in Franza, el Roy li haveria fatto oltrazo, unde se maridò in Pisa, et ivi restoe. El qual, per esser molto amico di mons. di Lignì, zerman dil Re de Franza, nominato di sopra, al Re comenzò a non esserli più in gratia questo suo cusino, imo privò di la soa corte, che prima sempre steva con lui; et andoe, come disperato, im Picardia.

[648]

Copia de una lettera de Piero di Medici a don Antonio Spanochij, orator di Siena, a Monte Pulzano.

Magnifico missier Antonio, patron mio.

Perchè siamo questa matina stati con el sig. Verginio, el qual se trova qui a le Tavernelle con tutto el campo, vi spacio la presente, a ciò che sia Vostra Magnificentia informata de tutto, et che el sig. Verginio con tutto el campo nostro se ne vene da matina sopra a la.... a mia 3, et l'altro sopra di Castiglion del lago, dove intenderà Vostra Magnificentia quello che se deliberarà, zoè de passar di costì o di tener qualche cosa di qua da le Chiane. In questo mezo Vostra Magnificentia stia ad hordine di le victuarie et artilarie et altre cose, a ciò che quello li fusse adimandato, sia subito expedito; che, come vede Vostra Magnificentia, questo è termene brevissimo. Me ricomando a quella.

Ex Castro Plebis, die 17 Novembris 1495.

Petrus Medices.


In questo mezo, Pisani mandò a Venetia uno suo cittadino, chiamato Zuan de Lanti, per ambassador de quella comunità a la Signoria, a la qual se volevano dar et levar San Marco, et che la Signoria li mandasse uno Provedador et volesse adaiutarli, che non venisseno sotto Fiorentini. Et benchè ancora Franzesi havessino el dominio di la cittadella, tamen Pisani con lor conseio governavano le cosse; et Frachasso se trovava lì, mandato, come ho scritto di sopra, con 400 cavalli; ma al presente le soe zente eran licentiate, et lui rimase lì quasi come cittadin a goder certi soi beni. Et zercha questa cossa di Pisa fo fatto molti consegli, disputatione quid fiendum. La qual terra è camera de l'imperio, et molto lontana sì da mar come da terra da darli soccorsso, et non senza gran spesa si harebbe mantenuta unde, pro nunc, fo terminato non torla, per dimostrar a tutti, Venetiani non esser cupidi di stado, ma volonterosi dil ben et pace de Italia. Et poi ancora ne venne un altro loro orator, chiamato Silvestro del Tignoso; et altri ambassadori pixani, se ritrovavano a Roma, solicitava di questo Hieronimo Zorzi, cavalier, orator nostro; tamen nostri non volsse.

A dì 17 Octubrio fo fatto una cria su la piaza de San Marco et in Rialto, che conzosiachè li savii deputadi sopra la sanitade havia inteso a Siena, Fiorenza, esservi la peste, a ciò non imbratasseno questa città, niun di ditte terre vi potesse, pro nunc, qui venire.

[649]

In questo mezo, el Re de Franza era pur anchora a Verzei, con el Ducha de Ferrara, et stava in consultatione; et fo divulgato el Ducha d'Orliens doveva andar versso Zenoa, poi a l'impresa di Napoli con mons. di Lignì, et el sig. Antonio Maria de San Severino; et lì a Zenoa el Re volleva far armar alcune nave, come più avanti scriverò. Et poi ditto Ducha de Ferrara andoe a Zenoa a tor el dominio dil Casteletto, et quello haver; et vi messe dentro a custodia un conte Girardo Rangon da Modena. Et el Re licentioe li sguizari et altri pedoni, et cussì bona parte di le sue zente ritornava in Franza, et questo per non aspettar le neve a passar li monti. Et la Majestà sua, a dì 23 ditto, per lettere di Hieronimo Lion, cavalier, orator nostro a Milano, se intese partito da Turin, andò a Susa, demum a Garnopoli, dove, per lettere da Lion fo divulgato, qui si amaloe da ponta. Et, varito, andoe di longo a Lion, dove venne la moglie et el Ducha de Borbon, suo cugnato, et ricevenno Soa Majestà molto volentieri, et qui restoe, ordinando un parlamento. Et el cardinal S. Piero in Vincula, in molta gratia et benivolentia col Re, imo sdegnato partì, et andò in Avignona al suo episcopato. El cardinal di Zenoa, avanti andasse el Re de là da' monti, venne a Mantoa, et ivi è et stassi. Et Zuan Jacomo di Traulzi rimase con zente in Aste. Et fo divulgato el Ducha de Orliens dette Aste con tutte le jurisdition al Re, et contracambiò per un altro stado in Franza.

A dì 22 Octubrio, havendo inteso la Signoria che 'l conte Nicola Ursino di Petigliano, governator di le zente nostre, venne per Po in questa terra, fo preso nel Conseio de Pregadi de darli el bucintoro per honorarlo, et far cinque paraschelmi, juxta el consueto; et fo preparato in la caxa dil Ducha di Ferrara, vicina a la mia. Et zonto a Chioza, da Stefano Contarini, podestà, fo honorifice ricevuto, et mandatoli contra alchuni patricii fino a Chioza per honorarlo; et per sier Nicolò Michiel, dotor, più zovene, li fo fatta una oration latina. El qual dicendo non intendea latino, la fece di nuovo vulgare, et sempre sapientissima. Et in questo zorno, venuto di longo, el Principe con la Signoria, oratori et il Senato li andoe contra fino a Santo Antonio, et quello benigne ricevete. Et era vestito di bianco tutto a la longa, con do berette in testa, una di le qual nunquam si cavava per esser toso, et questo habito havia per el vodo fatto; tamen non era ancora varito di la piaga et ballotta have. Con lui vene uno fiul di età circa anni 20, et do medici che 'l Ducha de Milan mandoe con lui per medicarlo continue. Et smontato a ditta caxa, la Domenega poi, fo a dì 25 ditto, andò a la audientia da la Signoria, [650] acompagnato da molti cavalieri et patricii nostri. Et ditto conte, volendo la Signoria far il tutto per cavarli quella ballotta, mandoe do soi medici phisici excellentissimi, lezeano a Padoa, zoè maistro Zuanne da l'Aquila et maistro Hieronimo di Verona; i qualli fonno a la sua cura, tamen non poteano trovar la ditta ballotta; era etiam ciroyci, ut supra dixi. Et per la Signoria fo provisto di darli ducati 25 al zorno, per farsi le spexe. Era con zercha 60 persone, et ditto conte stava in casa, hora in letto, hora im piedi; et è huomo di grandissima auctorità et governo, di anni zercha 52, et molto va seguendo hore astrologiche; unde, havendo nostri diliberato di darli el baston et stendardo di governador, lui volsse li fusse dato uno zorno era...., fo 19 Novembrio, come dirò di sotto.

A dì 26 ditto, nel Conseio di Pregadi, havendo richiesto per sue lettere licentia di partir, Antonio Grimani, procurator, nostro capetanio zeneral da mar, era a Corfù, non molto sano per la egritudine hauta, dicendo in ogni tempo poi era preparato a servir la Republica, per la qual havia et era disposto di poner la vita; unde fo preso che ditto capetanio venisse in questa terra a disarmar lui solo, et tamen a niun di le altre galie fo concesso questo.

In questi zorni venne nuove, come Jacomo Capello, capetanio di le galie di Barbaria a Tunis, essendo con l'altra galia a la vela, prese una barza biscaina, di botte 400, andava in corsso con homeni 60 suso, et uno altro navilio picolo. Li homeni fece apichar, et la barza abrusar. El qual corssaro, nome havea Nicolò Bonfio, byscain. Et fece brusar tutto, fuora l'artilarie et corriedi. Et ditto capetanio corsaro fuzite con una barzetta picola, et le galie li dava lo incalzo. Et questo intravenne a dì... dil mexe di Avosto passato.

Venne uno secretario di re Ferando, chiamato Vicentio de Laudato, di Gaeta, con molte zoie in questa terra, per haver danari sopra. Li qual, parte have da uno Joam Beltrame, chatelano, che za stava a Napoli, ducati 6000 im prestedo, et 2 millia dovea haver da esso Re; sì che venne a esser creditor di 8000 ducati. Et pur trovato altri danari, ritornoe a Napoli dal Re, che molto li bisognava danari, per pagar le zente teniva in campo, et in Napoli, et altrove.

A dì 31 ditto, nel Conseio di Pregadi fo preso di far uno provedador a Monopoli, loco aquistato in Puia, con ducati 500 l'anno, netti; stagi doi anni; meni con si uno Vincenzo, doctor, uno canzelier, al qual se provederia di salario per la Signoria, per esser quella terra stà fatta exente per X anni per el capetanio zeneral nostro, [651] et tegni 4 cavalli et 4 famegli. Item, habbi in ditta terra do contestabeli, con fanti 100 l'uno. Eravi tunc provedador Nicolò Corner, era soracomito, messo per el zeneral. Et cussì, a dì 3 Novembrio, nel ditto conseio per scurtinio fo electo Alvise Loredan, era a le Cazude, nominato di sopra; et acceptoe; tamen non se partì fino a dì 22 Zener, come dirò di sotto.

A dì 3 Novembrio, per lettere di Modon se intese, Camallì turcho, corsaro, era zonto con tre fuste a Negroponte, et do caravelle; havea fatto presente a quel subassì, suo amicissimo, de molti schiavi et robbe; et quel Camallì era stato fin hora in Barbaria.

A dì 4 ditto, zonse in questa terra mons. di Arzenton, ambassador dil Re de Franza, stato in questa terra; et vene per Po da Milan. Et fo ordinà da la Signoria mandarli alchuni patricii contra tamen pochi vi andoe. Alozò a San Moisè, in casa di Mattio Baroni, sopra Canal grando; et li fo fatte le spexe per la Signoria, al contrario di quello feva el Re, et cussì ogni altro re a li nostri oratori, che non li fanno le spese et, mirum! tutti oratori de Re etc. Et venne con zercha X persone. Et a dì 5 fo a la Signoria, a la qual fo acompagnato da alcuni patricii. Et zonto a l'audientia, el Principe, juxta el solito, venuto contra a la fin dil mastabè, li disse: Monsignor, sete venuto magro, et, in veritate, era la verità. Unde lui rispose: Serenissimo Principe, li fastidii di la guerra fa cussì; et etiam le bone spese mi faceva far la Vostra Signoria, quando era qui, mi faceva far bona ciera. Et poi expose, da parte dil suo Re, come amava questa Signoria, et volleva haver bona paxe, et versavice, exortava li fusse servato la lianza promessa, et che quella non se impazasse in ajutar Ferandino, perchè d'ogni modo l'hera deliberato esso Re di repeter, et iterum ritornar in Italia, et aquistar ditto suo Regno. Et la Signoria volse observarli tre capitoli li era stà mandà, do di campo. Or fo tolto rispetto di farli la risposta. Et chiamato el Conseio di Pregadi, consultato quello si havesse a risponderli, et tamen terminò di farli questa risposta, la qual in scriptis sarà qui posta, a ciò si veda tutto ordinatamente. Et la copia di la ditta responsione fo mandata a li colligati, a ciò vedesseno con quanta sincerità si procedeva.

A dì 5 ditto zonse in questa terra Bernardo Contarini, nominato di sopra, che era stato provedador sora i stratioti, et valentissime si havia exercitado, come più volte di lui ho scritto; tamen pocho stette, che fo mandato al governo de stratioti, per mandarlo in Reame; tamen restoe a Ravena; et stratioti venuti in questa terra, [652] zoè quelli fonno licentiati, et volendo ritornar nel ditto loro paese, quivi spese assa' danari in panni, lavor di seda, taze d'arzento et altre cosse. Et questo è signal che di prede et botini haveano ben guadagnato. Et in segno de bon servir, poi, a dì ditto, venuti alchuni capi a la presentia dil Principe nostro, i qualli fonno carezati, et per suo bon servir di Piero Busichio, da Napoli di Romania, monoculo, ditto Principe nostro in colegio lo fece cavalier di San Marco; et fo vestito con una casacha di panno d'intorno d'oro, et rimase di qua; et con la sua compagnia di cavalli 200 andoe etiam a Ravena.

In questo zorno, a dì 5 Novembrio, da poi disnar, da poi la matina dato audientia, a ciò el conoscesse che la Signoria nostra era disposta ad aiutar Italia, et maxime ritornar don Ferando in pacifico stato dil Reame, chiamato el Conseio di Pregadi, preseno di mandar a Napoli Bernardo Contarini, era quel zorno venuto con 1000 stratioti, cerniti de tutto el numero. Item, 1000 cavalli lizieri, zoè el sig. de Rimano con la sua conduta, et el sig. de Pexaro. Item, 1000 provisionati; et mandar ducati X milia a esso Re, a ciò se aiutasse in questo bisogno. Et subito, la sera driedo fo facto queste provisione, ditto Bernardo Contarini, licet assai si havea affaticato, pur per servir la Republica, etiam havea ducati 100 al mexe, se partì, et andato a Padoa, cavalchoe versso Ravena per andar in Reame. Et a dì X ditto, passò per Ferrara 400 stratioti ben in ordene, gridando: Marco! Marco! Ferraresi cridavan: Franza! Franza! Et un puto che gridò: Marco! per Ferraresi fo batuto assai; et si pol dir: Mala mens, malus animus fecit hoc. Et tre hore da poi passò ditto Provedador con altri stratioti. Smontato, andò a visitar Zuan Francesco Pasqualigo, doctor et cavalier, vice domino, et demum a Ravenna andoe ad aspetar mandato ducal. Et cussì dietro andò Piero Busichio con altri 250. In tutto, a Ravena s'adunoe stratioti 300. Et ancora fo scritto a Napoli, li mandavano questo soccorsso, al Pontifice, el qual hebbe grandissimo piacer; et etiam scrisse a Milan, pregando el Ducha volesse far questo medemo. Et fo fato capetanio de fanti Francesco Grasso, capetanio di la cittadella de Verona, per collegio, et 5 contestabeli con 150 fanti ognuno, et al Grasso 250. I quali fonno questi deputati: Marco da Rimano, Antonio di Fabri da Ravenna, Francesco da Maran..., Zuan Dedo da Feltre et Zuan de Feltre, fo fiul de Zuan Gotardo, doctor; tamen non andono. Et è da saper, come se divulgava che, dovendo la Signoria nostra torse la guerra con el Re de Franza, aiutar Ferando et spendar li suoi danari, metando decime per tegnir, come [653] fevano, XX galie a Napoli, mandar 1000 cavalli lizieri, zoè stratioti, 1000 cavalli di zente d'arme, et 1000 fanti, necessario era esser cauti da la spexa; et se diceva per questa terra, che nostri havea concluso cum li ambassadori dil re Ferando era qui, che la Signoria havesse alchune terre in la Puia; tamen, poi acadete che 'l Re se mutò de opinion, et non volse far nulla, ma slongava el concluder. Et vedendo questo, Venitiani mandoe a suspender l'andata de stratioti, et li fanti et cavalli; et li stratioti con Bernardo Contarini restono a Ravena, et sono ancora fino al presente. Et pur l'armata volseno poi che ora restasse a Napoli.

A dì 6 ditto, zonse in questa terra uno ambassador dil Ducha de Milan, chiamato Lorenzo de Orfeo de Mozanega, era sopra tutte le zente d'arme duchesche in campo; et venne per Po. Et la matina, andato di sopra Tadio de Vicomerchà, cavalier, era ambassador etiam di esso Ducha, qui in collegio a la audientia, et exposto quello volleva, presentoe li capitoli di la paxe havia fatto con el Re de Franza el suo signor. Et disse come per questa paxe, el loro Signor non era partito di la liga, imo vollea esser più amico et ubligato che mai a questa Signoria. Et poi, a dì ditto, partì et ritornoe a Milano.

In questo zorno, a dì 6, el conte di Petigliano fo a veder l'arsenal, poi le zoie, marzaria, far veri et altre bellissime cosse si mostra a' forestieri quando veneno in questa terra; tamen lassoe di veder la più bella, che fo il nostro Gran Conseio; et dimandò si elexeno li offitii et rezimenti ogni festa; et etiam non era varito, et si medicinava tuttavia.

A li 8 ditto, essendo zonti Luca Pixani et Marchiò Trivixan provedadori zenerali dil campo a Mantoa, sì come ho scritto, et il zorno drio, insieme col Marchexe, capetanio zeneral nostro, andati fuora di la terra contra li stendardi che fonno portati in Mantoa con gran triumpho, zoè il stendardo de S. Marco, portato da domino Alexandro di Gonzaga, et el baston arzenteo portato da domino Phebus di Gonzaga, et cussì con gran festa menati et conduti in la terra. Et el zorno drio, visto combatter uno lion con uno toro, ch'è bellissimo veder, lì a Mantoa. Poi, montati insieme col Marchexe in ganzara, veneno per Po versso questa terra, et zonti al Lago scuro, il sig. Sigismondo da la ca' di Este, fratello dil Ducha, et don Sigismondo fiol dil Ducha con molti cavalli venne a recever ditto capetanio et Provedadori. Et el Ducha era a Zenoa. Hor zonti a Chioza, et honorifice da Stefano Contarini podestà ricevuti, alozono questa [654] notte im palazo, dove fo mandato molti patricii contra ditto capetanio, fino lì a Chioza; et poi doctori et altri a Malamocho; et preso nel Conseio de Pregadi, licet un'altra volta havesse habuto tal pompa, di andarli contra la Signoria con el bucintoro, et far bellissimi paraschelmi. Et fo preparato la soa caxa, zoè quella fo donata al sig. Ruberto di San Severino, et in questa Domenega fo desmesso Conseio, et tutta la terra era in festa. Et a ciò venisse per tutto il Canal grando, fo ordinato smontasse esso capetanio con li provedadori al Corpus Domini, et con li piati fo menato demum el Prencipe nostro sublime con la Signoria et Senatori, et il Conte di Petigliano, pur vestito di bianco, oratori dil Re di Romani, dil Re de Franza, mons. di Arzenton, dil Re de Spagna, do dil Re de Napoli, do de Milan et uno de Ferrara, D. Tuciano, baron de Ungheria, el conte Bernardin Brazo et altri conduttieri nostri, erano venuti a inchinarse a la Signoria. Et acettato ditto capetanio dal Prencipe nostro con grande dimostratione, et vene per Canal fino a la sopraditta caxa, dove dismontoe. Havia con lui un fiul, fo di suo barba sig. Redolffo, de età di anni.., et vestito di negro. Et a questo Marchexe, licet non volsse accettar le spexe, li fo dato ducati 40 al zorno per cere et confetione. Et Marchiò Trivixan, provedador, el zorno drio referite in collegio la soa legatione, et introe consier, come era stà disignato. Et da poi disnar in Pregadi referite Luca Pixani. Et poi, a dì 9 ditto, el Marchexe de Mantoa, capetanio nostro, andoe a l'audientia a la Signoria, publice, et demum, a dì 11, iterum ritornoe. Et poi, a dì 13, da poi disnar, partì de qui; et fatto la via per Padoa, andò a Mantoa. Venne con zercha 300 persone. Ancora vene Hanibal Bentivoj, fiul dil magnifico Joanne, bolognese, con zercha 100 persone; et li fo provisto di caxa, zoè quella di Hieronimo Donado, doctor, et fradelli, in la contra' de' Servi; et che, poi se inchinoe a la Signoria, a dì 13 ditto da matina partite, et ritornò a Bologna a li lozamenti, seguendo la condutta con la Signoria nostra.

A dì 8 ditto, ritornò et zonse in questa terra con un gripo Alvixe Sagundino, fo secretario nostro al sig. Turcho, et a dì X referite nel Conseio de Pregadi molte cosse di quel Signor et di Constantinopoli. Tra le qual, come el turcho Baiazeto ha de intrata ducati do milioni et 20 milia, li qualli tutti li spende in sei fiuli et 7 zeneri, che a ciaschaduno tien corte separata; era homo quieto, ma stimolato da uno suo bassà da guerizar, et se estimava fazi armata questo anno; et che saputo a Costantinopoli dil conflitto col Re de Franza, un bassà li disse: Bon secretario, la tua Signoria de' haver [655] vodato tutti i sachoni de danari in questa expeditione. Et lui subito rispose: El ne sono de altri sachoni pieni, che non sono toccadi; et, se hanno svodà i sachoni, hanno impito li canoni. Et che quando el Re de Franza era in Italia, Turchi haveano gran paura, et el signor fece fortifichar Constantinopoli et Pera, et per le mure messe le bombarde, et cussì altri luoghi in marina, maxime li castelli di Galipoli; et che ha fatto galie zercha 200, tra nuove et vecchie, nove otto palandarie et fuste assai; et, volendo, haveria grandissimo exercito; et che de li fioli dil Signor, che sono 7, et chi dice 6, el primogenito attendeva a piaceri, el secondo a cumular thesoro, et el terzo attende a le arme et è ben voluto da tutti li populi; et se judichava questo terzo, occorrendo la morte dil padre, sarebbe Signor lui; et che de' Venetiani ivi si feva grande reputation, più che di stado de Italia. Tamen, che per niun modo el Signor volleva bailo più nostro vi vadi là a Constantinopoli, et esser però bon amicho.

A dì 10 ditto, venne nove per lettere de la Londra, come a dì 5 Octubrio Piero Bragadin, patron di quella galia di Fiandra che scapoloe la fortuna, et le altre do si sumersse et rupe, come scrissi di sopra, volendo ritornar in questa terra insieme con le nave, che, essendo in Antona montato in barcha per andar a galia, con Baseio Griti, consul nostro, et do altri patricii, uno Donado et l'altro Capello, fonno presi tutti, avanti zonsesseno a galia, da una caravella de Franzesi o vero de Bretoni, et si judichava fusseno menati a Onflor, loco dil Re de Franza; tamen non sapevano quello di loro fusse. Et poi, al primo di Dezembrio venne lettere, come erano vivi a Onflor; a li qual era stà dato taglia: al Bragadin et Griti ducati ottocento per uno; a li altri do patricii, erano nobili di la galia, scudi 70 per uno; et altri galioti et famegli, scudi 14 l'uno. Et cussì passono ste cosse.

A dì 13 ditto, zonse in questa terra lo episcopo de Concordia, vicentino di casa Chieregata, legato dil Pontifice, andava al Re di Romani. Et li fo preparato a San Griguol, et andato a l'audientia da la Signoria; demum de lì a zorni 6 partite, et a l'altra legatione in Elemagna si transferite.

In questo mezo, a Zenoa se faceva novi preparamenti di armar 6 nave per el Re de Franza, et mandarle versso Napoli; et a questo el Ducha de Milan consentiva. Et ivi se ritrovava do, per nome di ditto Re, zoè mons. Peron de Basser et un altro; et el Ducha de Ferrara havia hauto el Castelletto de Zenoa, come ho scritto. Et per questa cossa de armar molto si dolse nostri, et etiam el Pontifice; [656] el qual poi scrisse uno breve a' zenoesi, admonitorio, non dovesse dar aiuto al Re de Franza contra el Re di Napoli, altramente li haria per scomunicati. El qual breve sarà scritto di sotto. Et fo divolgato ditte nave se armava, do terzi a spese dil Re de Franza, et uno dil Ducha de Milan. Et zenoesi dimandoe li fusse dato securtà, in caso che ditte soe nave grosse fusseno brusate dai nemici, che montavano più de ducati 50 milia; et cussì non havendo, quelli per el Re se ritrovava, de dargela, stevano senza armar. Et quello seguirà qui a Zenoa, in altro libro fortasse sarà descripto, ma fin qui satis est.

A dì 13 ditto, nel Conseio de Pregadi, vedendo esser necessario haver capetanio zeneral maritimo, havendo dato licentia de repatriar a Antonio Grimani, procurator, et per queste nave si armavano; unde, preseno di far al primo Gran Conseio capetanio zeneral da mar, homo maritimo et praticho; et venne per 4 man di election et per scurtinio..., et a Gran Conseio el Trivisan per suoi meriti rimase, et el zorno driedo acceptoe, dicendo esser pronto di servir la Republica. Ancora fo preso de far riconzar le nave di Comun, era a Chioza; et fu astretto le quattro ultime decime, a pagar per tutto el mese, a ciò danari fussino recuperati al bisogno.

A dì 18 ditto, havendo da Milan mons. Arzenton, ambassador dil Re de Franza, hauto risposta da la Signoria di la soa richiesta, perchè di lui volleva li tre capitoli scritti nel successo dil campo, et la Signoria volleva al tutto liberar l'Italia et aiutar Ferando, ergo non fonno d'acordo; et però ditto sig. di Arzenton deliberò partirsse, e andar dal Re suo per terra, et dimandoe li fusse dato li cavalli. Unde fu decreto darli do cavalli de terra in terra fino a Milan; et scritto a li oratori nostri lo dovesse honorar, et farli le spexe; et li fo dà braza 24 de veludo cremexin, in segno era accepto a questa terra. Et cussì se partì, dolendossi non haver potuto otenir quello che si credia, et tolse licentia da la Signoria, dicendo era tutto nostro.

El Conte de Petigliano, sì come ho scritto, a dì 19 Novembrio, per esser bon zorno, seguendo le dispositione di cieli, seguendo le opinione astrologiche, volsse li fusse consignato lo stendardo et baston di governador di le zente nostre. Et cussì fo ordinato de far, et mandato molti cavallieri, dotori et altri patricii a levarlo di casa con li piati ducal et assa' trombe. Andoe vestito con una veste bianca brocata di soprarizo d'oro, cossa bellissima a veder, longa fino in terra, la qual si havia fatto infra questi zorni. Et menato in [657] chiesia di San Marco, dove vi fo el Prencipe con tutti li oratori, et cantata una solenne messa, ut mos est, per el Patriarca nostro, dil Spirito Santo, da poi, davanti l'altar grando, per el Prencipe, con molte ornate parole, li fo consignato el vexillo, ancora non compido, et il scetro argenteo. El qual esso conte di Petigliano in sustantia rispose, che tanto più fedelmente serà ubligado de operarse nel governo di la militia veneta, quanto che lui conosceva che la Illustrissima Signoria, di presone che lui era dil Re de Franza, l'havea facto libero, et de morto per la ferita, l'havea facto vivo et risanato etc.; promettendo fedeltà. Et andoe per la chiesia de S. Marco, a presso el Prencipe, con el stendardo avanti, et el baston portato da lui in man; demum ne li piati ritornoe a caxa con assaissime trombe, le trombe et pifari dil Prencipe nostro, acompagnato da alchuni patricii; tra li altri vi vidi Thomà Zen, cavalier, Marco Dandolo, doctor et cavalier, Jacomo Contarini, Antonio Pizamano et Zuam Badoer, tutti doctori, et altri patricii, et el conte Alvixe Avogaro, et el conte Bernardin, che dovea dir prima, et altri assa' condutieri, et molti soldati erano tunc in questa terra. Et tutto quel zorno fo facto ivi gran feste de soni et cridar de putti: Marco! Marco! etc. Et sempre fu fino caxa, esso Governador tenia el baston in man. Et poi, habuto danari, a dì 24 ditto, da matina, se partì di questa terra, et andoe versso Padoa, dove fo assa' onorato; demum a Gedi in Brexana, dove fo diputato l'alozasse, per esser loco comodo a tal cosse. Et ivi andato, comenzoe a far la soa conduta.

A dì 19, per lettere di ambassadori nostri al Re de Romani, s'intese el certo de la lianza, sì come ho scripto de sopra, et parentado facto dil dito Re con el Re de Spagna, zoè el Prencipe, fio dil Re de Spagna, primogenito, in la fia di esso Re de Romani, sorella di l'archiducha de Borgogna, che era prima dedicata al Re de Franza; et esso archiducha de Bergogna in la infante donna Joanna, seconda fia dil Re de Spagna; et che, a Vormes, con li ambassadori de Spagna fo facta la solemnità et cerimonie. Et ita certum est; ma di Spagna non si havia niuna nuova, da le lettere di do Avosto in qua, che tutti se meravejavano, tamen vi fusse li corieri lì, et che niuno fusse ritornato. Pur se divulgava, el Re havia voluto... in Franza, et cussì el suo ambassador era qui tenia certo; tamen la verità non se intendea. Et fo decreto nel Consejo de Pregadi, che uno ambassador di quelli erano al Re di Romani, et uno in Spagna, ritornasseno in questa terra, restando l'altro ivi, o per tessera o per acordo. Et fo subito expedito le lettere in Spagna, in Elemagna. Et di quella [658] andoe in Elemagna, essendo li oratori andati seguendo el Re, et, partiti di Vormes, in una terra chiamata Norlinga, feceno dir una messa dil Spirito Santo, et butoe le tessere a chi tocar dovesse di lhoro oratori repatriar; et tocoe a Zacaria Contarini, cavalier, restar, et Benedetto Trivixan, cavalier, ritornar. E quello statim, tolto licentia da la Cesarea Majestà, a dì 6 dil presente mexe, partì e zonse in questa terra a dì 26 Decembre.

A dì 24 ditto, nel conseio de Pregadi, in locho di Hieronimo Lion, cavalier, ambassador a Milan, fo electo Nicolò Michiel, dotor etc., era stà capetanio a Brexa; et per esser dil conseio di X se excusò; unde, el zorno driedo, fo creato Marco Dandolo, dotor et cavalier, che alias era stà orator in Hongaria, et acceptoe. Ancora Hieronimo Zorzi, cavalier, orator nostro a Roma, essendo stato assai a la soa legatione, et con grandissima faticha di andar quotidie dal Pontifice, expedir ogni 3 zorni lettere a la Signoria, come facea, esser vigilante et inquerir et advisar le cosse, adeo che prendeva molta faticha, più che l'età vi potesse portar, però che havia anni 64; et havendosi assa' exercitato in questi zorni, scrisse exortando la Signoria nostra fusse facto in suo loco, et dato in questi carghi ad altri patritii, perchè quasi lui già non potea portar la faticha, più che mai si affaticava. Unde li padri di Collegio, a dì 11 Dezembrio, nel conseio di Pregadi messeno parte di far orator a Roma in loco suo, et li Senatori, considerando el buon portamento facea, et a li fastidii di la Republica esser necessario haver tal sapientissimo homo e pratico in corte, e maxime essendo in gratia dil Pontifice, come era, et altri reverendissimi cardinali, et, conclusive, benissimo si portava; unde, pro nunc, non li volseno dar licentia, ma etiam che fusse creato in locho suo...

Fo decreto, a dì... Novembrio, nel ditto conseio, che niun cavalier di zente d'arme vi fusse, di altre terre che di quelle subdite a la Signoria nostra; et questo per buon rispetto.

A dì 23 ditto, zonse in questa terra uno secretario dil re Ferando da Napoli, licet vi fusse do ambassadori, chiamato....; et, fo divulgato, cum amplo mandato dil Re. Poi, a dì 16 Dezembrio, venne uno ambassador di esso Re, nominato domino Hieronimo de Totavilla, et alozoe a San Polo, et venne incognito et non con alchuna pompa. El qual, prima venisse qui, fo a Milan; se judica a pregar el Ducha non fusse contrario. Poi venne in questa terra per acordar che la Signoria volesse mandar el soccorso al suo Re, senza il qual non potria mantegnirsse nel Regno. Quello seguirà forse, lector, [659] scies. Et in questo medemo zorno, a dì 16 Dezembrio, se partì... a Napoli, Antonio di Zenari. Etiam venne Alvise Ripol, era a Roma, stè tre zorni, poi se partì. In questi zorni tornò le galie di viazi, primo Baruto, poi trafego et Alexandria, cariche di mercadantie et senza danno.

Domente queste cosse a Venexia si fanno, non voglio restar scriver quello acadete in Fiorenza, che, volendo pur al tutto ritornar nel stato Piero de Medici, el qual con zente era a li confini; el qual, sì come ho scritto nel primo libro, questa caxa di Medici per la venuta de Carlo Re de Franza.... e non per errori che lui, Piero, havesse comesso contra el stato, unde Fiorentini deliberorno, da poi la privation sua, in questi zorni, che l'anno sequente, eodem die che fu scazato, si congregorno tutti i mercenarii, el popul in piaza et li... di Fiorenza in su la renga. Et uno de dicti signori declamoe Piero di Medici per usurpator et per tiranno, commemorando come quel zorno proprio fu scazato quello, mediante el qual con soi antecessori el proprio dil comune era andato zerca anni 60 in oblivione, dicendo che la plebe dovesse exclamar al cielo tre volte, ringratiando il motor dil cielo che quel zorno compiva l'anno, zoè a dì 6 Novembrio, la liberation di la libertà de la Republica, et perhò haveano decreto dover quel zorno celebrar in tal memoria. El qual per non haver facta niuna... nominata, lo dovesseno chiamar la festa de San Caza Pietro, et che tutti dovesseno far festa, facendo molti convivij et grande jucundità. Alcuni altri de li seguazi, non dil populo ma più presto de la casa de' Medici, vedendo el mondo non esser stabile, se la ridevano di tal cossa, andorono in alchuni colloquij tra lhoro, dicendo questi pronosticavano la festa di Pietro deve ritornare nel stato. Et vedendo Fiorentini poi che Pietro procedeva, e veniva con zente contra, feceno di lo stado di dieci di la guerra, primo Filipo Pandolfini et Paulo Antonio Soderini, i qualli erano di seguazi di esso Pietro. Et questo feceno non sine causa; o vero perchè questi si contentasse di esser dil stado, e più non favorizasse Pietro; o vero che non vi havesendo questi huomeni primarii, aproximandosi Pietro a la terra, non si sublevasse el populo, et non intravenisse qualche novità; ergo etc.

In questo mezo, Guido Guerra da Bagno, assa' nominato di sopra, et cupido di nove mutatione in Romagna, non li bastando di quello havea fatto sæpius in Cesena, che etiam contra l'arzivescovo nostro di Ravenna volsse mostrar il poter suo, benchè male li advenisse. Et un zorno dimandoe alchune zente al sig. Pandolfo di Rimano, [660] nostro soldato, non dicendo quello voleva far; et venne a un loco di la jurisditione di ditto arzivescovo, nel territorio de Ravena, chiamato Castel Nuovo, et quello prese et aquistoe, perchè era senza custodia. Et inteso ditto arcivescovo, che tunc se ritrovava ai soi castelli, questo, scrisse ad Andrea Zancani, podestà et capetanio de Ravenna, dolendossi non tanto de Guido Guerra, che lo cognosceva suo nimico, ma di la zente dil signor di Rimano; et etiam si dolse a la Signoria nostra, la qual hebbe molto a mal che, con le zente nostro medeme, fosse seguito tal inconvenienti. Et scrisse al signor de Rimano che si dolevano molto di questo, et facesse provisione fosse reso ditto castello, et dimostrar a Guido Guerra havia facto assa' dispiacer a la Signoria a far questo. Et zonte ditte lettere a Rimano, el signor deliberoe monstrar la fideltà havia, et mandò a chiamar ditto Guido Guerra venisse a parlar. Et zonto ivi in castello, li fo ditto come era presone de la Signoria. Et esso Guido disse: Non so haver facto cossa alcuna contra di Soa Serenità, et al manco habbi questa gratia che li parli. Ma, indubitante Senatu, senza dir altro, a dì 13 Novembrio fo strangolato, et cussì finite la sua vita dolorosamente, et messe fine a tanti mali, quanti havia commesso. Era tamen valentissimo homo et di gran cuor, et favorizava le cosse franzese; unde, questa morte non solum a la Signoria nostra, ma etiam al summo Pontifice..., per le molestie deva a Ravena, terra di la Chiesia, come di questo di sopra ho assa' scritto. Et morto che 'l fu, madona di Forlì, fo moglie dil conte Hieronimo, femina quasi virago, crudelissima et di gran animo, mandoe alcuni fanti a questo Castel Nuovo, et vi mandoe Achiles, capetanio di le soe zente ivi, et tolse ditto castello. Et benchè la Signoria scrivesse fusse renduto, per esser cossa del territorio di Ravena, et lei diceva esser di Forlì; unde fo necessario scriver al signor di Rimano vi mandasse alchune zente, et a Bernardo Contarini, provedador de Stratioti, era con 850 stratioti a Ravena, che statim andar dovesse a recuperar ditto castello, et far sì ch'el si havesse; et scritto a Andrea Zancani, podestà de Ravena, facesse ogni provisione. Et statim questo receuto, Bernardo Contarini, licet non fusse ancora ben risanato dil mal acutissimo havia habudo, pur disposto di metter la vita per questa Republica, a dì 28 Novembrio partì con stratioti et fanterie di Ravena, et con lui vi era Jacomo da Veniexia, Jacomo da Tarsia et Antonio di Fabri, capi di fantarie. Et la sera, a hore 24, arivono a Mendula, loco dil signor di Rimano, ordinato per lozamento lhoro. [661] Et non havendo quelli facto alchuna preparation per espugnar Castello Nuovo, tutta quella notte nostri steteno in exercitio, in far far scale et far preparar 4 spingardele; et fo facto 30 scale. Et a dì 25 a l'alba, montoe ditto provedador a cavallo con li stratioti, et aviate le fanterie avanti, a hore 17 si presentò atorno ditto Castello Nuovo, et dismontoe a piedi, e con tutti li stratioti, per esser mal loco su quel monte a cavallo; et mandò el suo trombeta con Jacomazo, capetanio di le fantarie preditto, el qual fusse a parlamento con el castellano, e notificharli era venuto ivi per haver ditto castello o per amor o per forza; prometandoli che, si aspettasseno la bataia, tutti sariano tagliati a pezi, et le sue robbe messe a saco. Li quali risposeno, volentier parleriano col suo Provedador. El qual, visto esser richiesto, andoe e si presentoe a l'incontro di la porta. Et el castellan disse, come ditto castello era tolto e tenuto per la Chiesia, et che facesseno venir el governador di Cesena, che li comandasse che desse el castello, che lo daria volentieri. Et per el Provedador li fo risposto, che tal parole non era a proposito; et che se intendeva bene, Achiles capetanio di le zente de madona de Forlì havea preso ditto castello, et quello si teniva ad instantia de madona; et che li deva termine do hore li dovesse consignar le chiave, altramente lo daria a sacomano. Et li dimandò el castellano li desse termene tutto doman, per poter mandar a Cesena, et per intender el parer dil governador. Et visto el Provedador le artilarie non esser zonte, ita che li huomeni non potevano dar la bataia, fo contento darli tutto ozi termine. Si tolse una chiesia a presso le mure, et lì fece alozar el capetanio et tutta la fantaria, et lì volleva metter le artilarie. Et esso Provedador scrisse a la Signoria, come la mattina li volleva dar la bataia, non si rendendo. Et cussì Stratioti alozoe a uno loco se chiama el Monte dil Vescovo, circondato da molte neve. Et a dì 28 Novembrio, in lo borgo di Mendula, le nostre fantarie fonno a le man tra loro; et fo amazato uno de' provisionati de Antonio di Fabri; et questo per cridar: Favri! Favri! e Tarsia! Tarsia! El Provedador, adunata la matina la fantaria, fece far una crida, pena de la forcha, che niuno chiamasse altro che: Marco! Et poi a dì 30 ditto, da matina, a hore 13 de notte, fo compito de far uno poco de riparo, dove erano alozati a l'incontro di la porta dil castello. Et a questa hora andò el Provedador, con tutti li capi de Stratioti, a piedi, un poco di arzer a canto le mure dil castello, et stavano coperti da bombarde. Et la caxon andoe avanti zorno, fo perchè le bombarde et archibusi bateva tutta la strada dove nostri [662] haveano ad andar. Et messo le poste, el Provedador con li stratioti et Antonio di Fabri da una banda, et il resto da l'altra, et havendo promesso aspetar fino la matina, et come fo levato el sol, mandoe ditto Provedador missier Zorzi Paleologo et Nicolò da Nona, capi de Stratioti, con Antonio di Fabri, contestabelle, a notifichar che li daria la battaia, sì come li haveva promesso. Et questi apresentadi fonno salutati di molti sassi, et, nel levar dil sol, fo deserato una bombarda e le spingarde tutte a le difese. Mettendosi in hordene nostri per darli la bataia, li contadini, che erano dentro, fece segnal soprastesse, dicendo volleva dar la terra, la qual era per loro guardata, con condition fusseno salvi l'haver et le persone, et che daria ogni aiuto per haver etiam la rocha et la torre. El Provedador mandoe ditto Zorzi et Nicolò da Nona et Antonio Fabri con 50 fanti dentro la terra, i qualli gridò: Marco! Marco! Quelli di la rocha et di la torre comenzono a trar a li ditti di fora et di dentro; et Bernardo provedador, considerato el poco numero di zente vi era dentro, in tutto numero 25, et per nome di la Madona de Forlì, et 50 contadini, volse intrar im persona in la terra con stratioti e fanti numero 100, con la bandiera de San Marco protetor nostro; et quella fece metter sopra la torre con molte alegrezze. Et quelli contadini subito si poseno a li piedi, dicendo volevano morir per San Marco. Poi el Provedador fece adunar gran numero di fassine, et tutti con li... andono versso ditta rocha, mostrando voler brusarla. Et quelli di la terra li salutono con sassi. Et stando in questa scaramuza, quelli di la rocha dimandoe pacti di darsi, salvo l'haver et le persone. Et el Provedador fo contento. Et aperta la porta di la rocha, introno nostri dentro, et fo a parlamento con quei di la torre, la qual era inexpugnabelle, havendo vittuarie: et li persuase volesse render, altramente li daria la bataia, et li faria segar vivi. Et steno per un quarto d'ora a risponder. Et poi uno si fece a una fenestra grande, li saria vergogna renderse; et che, per suo honor, a ciò Madona non li facesse apichar, dovesseno nostri trar tutte le artilarie. Cussì fo trato do colpi de bombarda, et a la terza l'andò in pezzi. Et cussì, dimandato si rendesseno, fonno contenti, et veneno tutti zoso, excepto do, li quali pregò di gratia el Provedador li desse quelle spingarde de Madona. Et cussì le donò, et andono via. Et el Provedador messe do caporali con 25 compagni de Antonio di Fabri, et ne la rocha et torre lassoe ditto capetanio con fanti 100, al qual consignoe le chiave, et comandò le dovesse custodir a instantia di la Signoria nostra, per far quello comanderà. Et adunato contadini, raccomandoe [663] a ditto contestabile, et feze far una cria, a son de tromba, che sotto pena di la forca niuno, provisionato o fante, posto in ditta custodia, non ardisca torre alchuna cossa, riservato pane et vino per suo viver; et se a li contadini niuno li fazesse oltrazo, se venghi a doler a Ravena, li sarà fatto rason. Et a hore 15 se partì ditto Provedador con li stratioti, et venne ad alozar quella sera a Mendula, et scrisse a la Signoria quello havia fatto, et el sito dil Castello Nuovo, el qual è posto sopra un monte distante da Cesena mia 8, et di la terra Romea mia 3, dall'altro canto, versso Forlì, mia 6, et al passo de Fiorenza mia 3, et è la chiave de tutti i castelli fo de Guido Guerra, et tutti li altri castelli, che è circonstanti, sì come de la Chiesia, come di l'arzivescovo di Ravena, che sono sotto a questi monti. Conclusive, è sito molto excellente, e degno, e si tenia con pochissima spesa. Et poi el zorno sequente, lo primo Dezembrio, esso Bernardo Contarini con questa vittoria ritornoe in Ravena, con li stratioti et fanterie.

Dil romper guerra el Re et Raina de Spagna col Re de Franza juxta li capituli di la liga.

Domente queste cosse in Italia intravengono, la Majestà dil Re et Raina di Spagna, essendo sollicitati da Francesco Capello, cavalier, et Marin Zorzi, dotor, oratori di la Signoria nostra, etiam da li do oratori dil duca de Milan, che dovesse romper guerra in Franza, a ciò per questo el Re lassasse l'impresa de Italia, et convegnisse ritornar in Franza a difender el suo regno, el qual pur da' monti in qua se ritrovava, sì come ho scritto di sopra; unde el Re et Raina di Spagna, ordinato grande exercito per tutti i suoi regni, mandoe assa' zente a la volta de Perpignan, capetanio zeneral uno castigliano, chiamaro Enriques de Gusman. Et etiam el Re ditto se partì di Burgos, come più avanti difusamente sarà scritto. Et più volte a Venetia fo divulgato, che 'l Re de Spagna havia rotto; tamen la verità non se intendeva, perchè non vegniva lettere da li oratori de Spagna, ni, da 4... in qua, di lhoro se havia inteso alchuna cossa. Et a dì 4 di Dezembrio, per lettere di Roma di... Zorzi, cavalier, orator nostro, date a dì 30 Novembre, s'intese come don Gracilasso de la Vega, orator yspano a Roma, havia notifichato a la Santità di Nostro Signor, Alexandro Sexto Pontifice, che havia habudo lettere dil Re suo, per la via de Sicilia, et capitate a Napoli, come era rotto su quel de Franza, et fatto per Spagnoli gran danni vicino a Perpignan; [664] et cussì etiam certificoe ditto orator nostro. El qual expedite subito lettere a la Signoria de questo, et quasi certificoe esser la verità, licet prima avanti più volte fusse stà divulgato questo romper, et niuna fermeza poi si havea. Et ancora domino Lorenzo Soares de Figarola, horator yspano a la Signoria nostra, andoe in questa matina in colegio, notifichando che 'l suo Re et Raina dil certo havia rotto in la Franza, et che lui di questo havia lettere. El qual romper fo principiato a dì XV Octubrio, sì come per una lettera data a esso ambassador di Spagna, la qual sarà qui sotto scritta, chiaro il tutto si vede. Tamen, da' nostri oratori in Spagna non era lettere, che molto ognuno se meravigliava; et questo perchè la Signoria havia expedito diese corrieri, et niuno era ritornato. Tamen, et per lettere da Roma, et per parole de questo orator, nostri crete dil romper, et con desiderio aspettavano lettere de li oratori nostri.

Così finisce nel nostro manoscritto la cronaca. Seguono alcune pagine, le quali evidentemente appartengono al primo libro, raccontando gli avvenimenti degli ultimi mesi del 1494.

A dì 29 (Ottobre 1494) el campo aragonese essendo a Castrocaro, et le fantarie si partiva per zornata, et per li tempi cattivi erano morti et morivano assa' cavalli, et stevano mal de vittuarie, quelli de Castrocaro non li volse lassar intrar in la terra, ma ben li dava di fuora le vituarie.

In Cesena li citadini erano in diverse openione, ........., per dubito di campi; vedeva prosperar el Re di Franza, stevano con guardie, provedevano de marteletti et ripari, mandava fuora di la città le persone inutile.

Et uno Marti, el campo ditto aragonese se levò da Castrocaro et vene a Bertonoro, territorio de Cesena, mia 5 distante di Cesena, et el Duca de Calavria ordinò fusse vendute le sue biave si ritrovava in Cesena, et il consejo di Cesena per questo terminò non darli vittuarie.

El campo franzese in questo zorno, parte di lhoro, zoè Italiani et Franzesi, se partino da Mordano et andono a Codigniola, Lugo et Bagnacavallo et Traversara, per restaurarse lhoro et li cavalli; un'altra parte andò verso Faenza; et molti ammalati se partiva de campo, altri per non haver danari. Homeni d'arme italiani et franzesi se portava mal, volendo esser superiori.

[665]

A dì 30, el sig. de Faenza si offerse, per non haver danno, de darli vituarie, et passò per tre zorni; morivano assa' cavalli etiam de questo campo per li desasij portati; et se partì de campo alcuni cavalli lizieri di la guardia dil sig. Lodovico, et andò a trovar esso signor fatto Ducha de Milan.

In questo zorno, venne uno trombeta de Franzesi a Ravena al Podestà, con lettere de mons. de Obegnì suo capetanio, per le qual dimandava, essendo el suo Re in amicitia con la Signoria, li volesse mandar vituarie nel suo campo. A la qual lettera Andrea da Leze, podestà, li rescrisse, excusandosse etc., et che se quelli di Ravena volevano portar vituarie, era contentissimo. Et subito mandò ditta lettera a la Signoria, a ciò comandasse quello li piaceva facesseno ditti cittadini di Ravena.

El campo franzese, benchè havesse quella offerta dal sig. de Faenza, non li bastono; ma andò a Granarolo, luntan de Faenza mia 5, li messe atorno molte artilarie, et la notte li tolse l'aqua di le fosse; quelli dentro si rese, volevano andar a Solarolo. Quello seguirà sarà scritto.

El campo aragonese venuto sotto Cesena, quelli di la terra non li lassono intrar niuno dentro; et, a dì 29 Ottubrio, el Duca de Calavria con il conte de Petigliano volseno intrar. Quelli cittadini non li volseno lassar intrar, nè li volevano dar vittuarie; pur in quella sera et ozi li deteno un poco di pan, et si partì di questo campo. El fio dil magnifico Joanne Bentivoj passò per Ravena, et ritornò a Bologna; et cussì per zornata molti altri condutieri, capi di squadra et homeni d'arme se partivano, e in bona parte comenzava questo campo a disciolversi. Et è da saper che, benchè questa levata di sotto Faenza di sora descrissi, pur voglio notar quanti infortunij venne a questo misero campo a uno tempo. El qual, essendo sotto Faenza, non potendo più haver vittuarie da' Faventini, si levò di notte con pioza et scurità, et passò el fiume dil Roncho a guazo per andar a Castrocaro; et in nel passar, ditto fiume se ingrossò per le pioze, nel qual se anegò assa' persone, et maxime ragazzi con li cavali, et perseno assa' cariazi, et, per li tempi cativissimi, cavali apena vuodi poteva caminar. Et poi per li villani di la Val di Lamon, havendo notitia di questo, detono in le coaze, et ricolse assa' eariazi et cavali, sì che hebeno gran danno.

A dì 1 Novembrio, havendo habuto Franzesi Granarolo, loco di Faenza, messe in la terra in guardia Jacomo Albanese, contestabele, et nella rocca intrò mons. Juliano, franzese, et volevano andar a [666] Solarolo et Russi, ma li antiani de Faenza veneno in campo per adatar le cosse; ma Franzesi volevano la rocca di Faenza in sua potestà, et Faventini non volevano; et cossì steteno in queste pratiche.

El campo Aragonese totaliter se disciolse, et in questo zorno el Duca de Calavria se partì et andò verso Santo Arcanzolo, loco di la Chiesia, et quelli di la terra non lo volseno accettar ne la terra, ma li promesse di darli vittuarie stagando di fuora. Et cussì el povero Duca convenne far. El Duca d'Urbin etiam andò a caxa sua a Ugubio; el signor de Pexaro ritornò a Pexaro; Zuam Jacomo de Traulzi et el conte de Petigliano seguiteno el Duca de Calavria; et rimase solum X squadre dil Papa con Alvise Becheto in Cesena, et in quella sera intrò in la terra con volontà di cittadini, alozono sotto li portici. Ma poi, a dì 2 da matina, el populo se messono in arme, et con rumor li cazono fuora; le qual squadre partite, se aviono verso Roma.

A dì 2, la Domenega de notte, el Governador de Cesena, per nome dil Papa, tolse dentro di la muraja el conte de Petigliano et el Marchese de Peschara con 700 fanti: et l'altra notte seguente, che fo a dì 3, ditti soldati veneno fuora de ditta muraja, andono per la terra, et amazò alcuni, facendo danno assà'.

Ma, il zorno seguente, li cittadini chiamono Guido Guerra dentro, el qual è uno valentissimo partesano, el qual alcuni castelli ivi vicino domina, chiamati Giazolo etc. Or, intrato in la terra questo Guido Guerra, perchè li cittadini tenivano le chiave di le porte, fo a le man con el conte di Petigliano, et si portò molto strenuamente, et di sua mano ne amazò alcuni, et fo morti zerca 40 di quelli dil conte, et Guido Guerra prese ditto conte, et tennelo per ore cinque prexon nel palazo de li Signori, aspettando soccorso de Franzesi, el qual non venne sì presto; ma soprazonse soccorso al ditto Conte, per modo che li fo forzo a Guido Guerra ussir con li soi di la terra, el qual era intrato con zerca 50 cavali lizieri et alcuni fanti. Questo era acordato col Re de Franza, havia 40 homeni d'arme, 50 cavali lizieri et 200 fanti; et se li cittadini lo havesseno seguitato, come era l'ordine, sine dubio saria seguito gran scandalo; ma niun de li cittadini si mosseno, per non descompiacer al Pontifice. Et continuamente el governador metteva zente in la terra da driedo per la porta dil castello; le qual zente era mandate per el Duca de Calavria, era a Santo Arcanzolo. Ma, ussito, Guido Guerra andò verso il campo franzese, et trovò mia 3 lontan di [667] Cesena, a..... loco di Bertenoro, el sig. Fracasso di San Severino, che con 500 cavalli lizieri et alcuni fanti veniva in suo ajuto; et visto esser venuto tardi, ambi ritornorono indriedo. Ma partito Guido Guerra de Cesena, el Conte de Petigliano tolse le chiave di la terra da man de li cittadini, et quella custodiva, et za era intrato squadre X et 1000 fanti. Et è da saper che 4 caxe di quelli cittadini fonno messe a sacco, et ne restò molti feriti in la baruffa soprascritta.

A dì 3. El campo franzese in questa mattina si levò per andar a Villafranca, passò vicino a li confini di Ravena, et havendo noticia i nemici haver condutto bestiame su quel di Ravena la sera, a dì 4, da matina, corseno in la villa de.... et altre ville, hanno tolto bestiame et fatto qualche danno. Et subito, inteso questo, el pretor de Ravena, era pur Andrea di Leze soprannominato, el qual dil tutto el seguito di questi campi teniva benissimo advisato la Signoria, et benissimo si portò, mandò tre di quelli cittadini nel ditto campo; i qualli fonno Zuan Filippo, collateral, Piero Grasso, cavalier, et Stefano Dolzigno, con lettere directive al conte di Cajazo et mons. di Obegnì, dolendosi di tal movesta. Et zonti, referita la loro commissione, quelli dimostrò haver molto molesto, excusandosi non esser di mente soa, ma che l'aveano fatto forsi per disaio de viver, promettendo restituir. Et poi disseno, essendo cosse da viver era da soportar. Et pur mons. di Obegnì preditto, montato a cavalo, fè provisione; ricuperando quello poteno, che non era consumato, et restituite. Et, a dì 6, poi relaxò li vilani che haveano prexoni; pur volevano vittuarie da Ravena; et el podestà comandò a tutti dovesseno redur el suo dentro la terra, a ciò fusseno più securi.

Intesa la nuova de Cesena, parte de ditto exercito se levò et passò il ponte dil Ronco per andar alozar a Folimpuovolo et Bertonoro, per esser vicini a Cesena.

A dì 4. In questo zorno el sig. di Faenza rimase d'acordo con Franzesi et Milan, che Granarolo romagnisse in le man de Franzesi, el resto al Signor. El qual ha ducati X milia a l'anno, è ubligato tenir 80 homeni d'arme, et 20 balestrieri, si obbliga dar alozamenti al campo ogni volta li farà bisogno, et li dè per caution et ostaso 4 cittadini di Faenza, de li primi de la Valle di Lamon.

A dì 6 li capi franzesi feceno consiglio nel loro campo, el Duca di Calavria essendo in Cesena. El conte de Petigliano, partito di Santo Arcanzolo, in questo zorno entrò in Cesena con squadre X, et poi ne venne di le altre, ita che era con squadre 30; et el Duca de [668] Urbin e Signor di Pesaro rimaseno a Santo Arcanzolo, et poi andono a loro stantie per aproximarse l'inverno. Et esso Duca, con li soi cavalieri, alozò in le caxe di cittadini, et mandò fuora di la terra molte zente inutele, le qual se reduseno su quel de Cervia; et fece fortificar la terra et condur gran quantità di formento. Ne la qual citade el so exercito fo alquanto restaurato, havendo patiti tanti incomodi, et questa terra era molto grassa, abondante de ogni cossa; ma poco vi stete, che convenne andar verso Roma, come dirò più avanti. Et è da saper, licet non habi scritto, che Fiorentini revocò le so zente, le qual tornono a Pisa et Fiorenza.

In questo zorno zonse a Ravenna Jaba, locotenente dil Marchexe di Salucie, con uno mastro Francesco, phisico, con cavali 50, come orator de mons. de Obegnì, con lettere di credenza. Diceva haver provisto a la restitution dil danno fatto su quel territorio, et che dovendo dimorar de lì, tanto havesse risposta dal Re, che come amici li volesseno farli parte de vittuarie, secondo la possibilità dil paese, de strami et biave da cavali sopra tutto, per li soi danari; et che, non dagando, saria difficil cossa, essendo cussì vicini, tenir Franzesi non facesse qualche danno. Unde el podestà de Ravena li honorò assai, et feceli uno conveniente presente per carezarli, et rispose saria con li cittadini et li risponderia, et che de feni et biave ne faria parte, per la bona amicitia dil Re con la ill.ma Signoria soa. Et poi, per voler far el pretio, ditti oratori disseno che fusse mandati do di Ravena con loro dal suo Signor; et cussì, a dì 7 da matina, ritornono in campo. Et zonti, mons. di Obegnì disse non bisognava più, perchè si voleano levar, et che manderia do de li soi a ringratiar a Ravena. Et in ditto zorno ditto capetanio et Fracasso fè impicar do Italiani et do Franzesi, per el desordene fece su el territorio de Ravena; tamen è da creder fusse per altro.

A dì 8 el podestà de Ravena mandò do cittadini in campo, a star a le spalle de quelli Signori, a ciò non facesseno danno su ditto Ravenese: et questo fo molto a proposito.

A dì 9 el campo franzese si levò, et andò ad alozar a San Martin, mia do lontan da Forlì, 4 da Bertonoro et 9 da Cesena. Et li Italiani alozò verso el confin de Ravena, come promesse de far mons. de Obegnì; et la note avanti el Duca de Calavria fece brusar tutti li strami se ritrovavano sotto Bertonoro; et etiam el grano, era in magazen al porto Cesenatico di esso Duca, fece condur a Rimano et lì discargar in uno navilio.

A dì X Novembrio da mattina, Franzesi andono in campo a [669] Bertonoro, terra di la Chiesia, et quello comenzò a bombardar. La terra, per esser situada in montagna, se difese virilmente; et mandono a dir che mai si pensasse che per volontà si rendesseno, ma che andasse col campo a Cesena, et ex nunc erano contenti et promettevano de far quello faranno Cesena, ch'era mia 5 distante. Ma prima tolseno termene 3 zorni; et vedendo Franzesi non poter haverla, ne volseno andar a Cesena; ma, habuto precepto regio, si andono Franzesi a conzonzer col campo dil Re, che si apropinquava a Fiorenza. Et, sopravenendo l'inverno, Italiani andono a le stantie in Milanese, et el conte de Cajazo tornò a Milan. Et questo non voglio restar de scriver, che questo anno fo lo inverno bonissimo, non piogie, venti, nè fredi secondo il consueto, adeo tutti se meravigliava, et dicevano era volontà di Dio el prosperar de questo Re, et che li cieli lo volevano adjutar, et che le prophetie venivano vere. Ma ad altro seguitamo el scriver.

Quello seguite a Roma.

Colonnesi essendo potenti su le arme, in questo mezo dannizava molto Roma; erano a Frascato con squadre 35 et fanti 4000; eravi ancora el cardinal Ascanio, vice-cancellier, el cardinal Savello et el cardinal Colonna. Unde el Pontifice, havendo molto a mal che questi dannizasse et facesse tal danni, non potendo resister con forze, a dì 7 Ottubrio fece far uno proclama che, termene sie zorni, tutti dovesse venir a Roma a soa obedientia, sì seculari come ecclesiastici che ivi dintorno se ritrovava, sotto pena di rebellion et privation di le facoltà loro, officij et beneficij di la Chiesia Romana; et, venendo, li fusse perdonato; aliter excomunicati fusse etiam etc. Era con questi, ditti di sopra, Hieronimo de Totavilla, che fo figlio dil cardinal Roan, che fu ricchissimo cardinal, et morite del 1483. Or per questo tal proclama niun si mosse, imo feceno più danno a Roma che prima.

Et a dì 15 el Pontifice in Roma fè ruinar 4 palazzi bellissimi do dil Sig. Prospero et Fabricio Colonna, uno vicino di uno Colonnese, et uno altro di Hieronimo di Totavilla; et molto si dubitava, vedendo el Re de Franza che veniva di longo, et etiam che la fortuna era contraria a re Alphonso, et che Fiorentini volea voltar.

[670]

Ussita ultima di l'armata dil Re di Franza di Zenoa et dove andò.

L'armada dil Re di Franza, che era a Zenoa, essendo instruttissima sì de zente quam de artelarie, et molti Franzesi vi era; sollicitandola dovesse ussir el cardinal San Piero in Vincula, per andar verso Pisa, a ciò Fiorentini voltasse, come feceno; et a dì 16 Octubrio partì de Zenoa una nave, chiamata Salvaza, de botte 3000, et do barze, per andar a le Specie, ch'è verso Pisa, terra grossa et una cittadella molto forte; su le qual nave era fanti 2000, artelarie et farine assa'. Et poi, in quel zorno medemo, ussite l'armada granda, zoè nave grosse 3, galie 27, galeaze 1, galioni 6 et barze 5: in tutto vele 42, con fanti et provisionati zerca 4000, et cavali 700. Et San Piero in Vincula restò a Zenoa. Capetanio mons. di Mompensier, che za avanti el Re era venuto di qua da' monti. Et ditta armada zonse in Porto Venere de' Zenoesi, ch'è castello forte, con la terra a presso la marina, dove è bonissimo porto; et poi andò verso Roma, et intrò parte nel Tevere, et messe zente in Hostia, non ostante l'armada aragonese, era ancora potente sul mar. Poi ditta armada ritornò a Zenoa a disarmar, et poco fu operato.

Quello seguite al Re di Franza da Casal fino a l'intrar in Fiorenza.

Di sopra scrissi come el Re andò a Casal, a visitation di la marchesana di Monferà, che fo a dì 7 Ottubrio, se partì di Aste. Hor, zonto a Casal, honorifice fo ricevuto. Stato alquanto in piacer et consolation, a dì 10 se partì, et venne a disnar a Chozo; fece poi la via per boschi, et venne cazando fino a Mortara, ch'è dil Duca de Milan, mia 7 luntan da Vegevane, dove dormite quella note; dove volse fusse serato le porte dil castello la note per sua securtà, che prima non si serava ni de dì ni de notte. La soa guardia steva armada, come ho scritto de sopra. Za el sig. Ludovico con soa moglie era venuto a Vegevane, a far preparar per la venuta dil Re, et cussì l'ambassador venetiano venne a...., poi a Vegevane.

In questo mezzo el sig. Ludovico fè far uno ponte su Po, per mezo Piasenza, per passar Franzesi et cavalcar in Parmesana; el qual non fo adoperato.

A dì 2 Ottubrio el Re intrò in Vegevane, li andò contra el sig. Ludovico con li ambassadori, et fo molto honorato. Vegevane ha uno palazzo bellissimo dil sig. Ludovico, zoè dil Duca de Milan, mia 20 da Milan, et per esso sig. Ludovico adornato, per esser in sito [671] bellissimo et ameno, comodo a ogni piacer et cazasone, dove è fatto una forteza; et, el più dil tempo, ditto sig. Ludovico sta in questo loco, el qual è il forzo fabricato di novo. Or, zonto il Re, li volse le chiave di le porte, le qual li fo apresentade; et visto una porta serata, volse etiam di quella le chiave; la qual porta non si adoperava. Et la notte mandò a torno, dapoi fatto serar il castello, a veder si le porte erano serate. Vedendo la Signoria che le cosse andava da vero, in questi zorni scrisse a Zorzi Pisani, ambassador, dovesse dir al sig. Ludovico facesse tornar el Re indriedo, a ciò non seguisse danno et ruina in Italia. Et cussì ditto ambassador expose al sig. Ludovico. El qual rispose: Non posso; vedete che vuol fino le chiave di le forteze. Et esso Re partite a dì ditto da Vegevane, et non vuolse andar a Milan per non perder tempo, ma a dretura con le sue zente, in compagnia dil sig. Ludovico, se ne venne a Pavia, terra de Milan, et intrò a dì 14. Tutte le strade di la città erano coperte di panni; li chierici et cittadini li venne contra, et con grandissima pompa li fu preparato per la Soa Majestà in castello, dove vi si ritrovava amalato el duca Zuan Galiazo de Milan. Et avanti el Re intrasse in castello, dimandò le chiave de quello, le qual ge fu date. Et intrato, messe custodia de li soi a le porte, et in una parte alozò lui, in l'altra era il Duca amalato, come ho ditto. Et la notte medema andò a visitar madona Bona, era lì in castello, madre dil Duca de Savoja, chiamato Ludovico secondo, che fo fiolo di Amedeo et padre di Amedeo 3.º, el qual del 1462 a Lion morite, havendo regnato anni 31. Questo ebbe 3 figliole: una fo maridata a Ludovico re de Franza, di la qual è nassuto questo Carlo re; l'altra fo questa madona Bona, nel duca Galeazo de Milan, padre de questo Duca; et la terza in Guielmo marchexe de Monferà, di la qual non vi naque niuno. Et have uno figlio, come ho ditto, chiamato Amedeo, el qual have per moglie la sorella dil prefato Re de Franza, et have do figlioli: Philiberto et Carlo, et regnò 13 anni. Et Philiberto, da poi la morte dil padre, dominò, et, morto giovineto, successe Carlo suo fratello, che adhuc domina. Adoncha questa madona Bona è sorella di la madre dil Re, et per conseguente el Duca de Milan vien ad esser suo zerman cosino, et sono di una etade; et poi ditta madona Bona partì di Pavia et andò a Milan.

A dì 15 el Re andò a visitar el Duca, el qual era in letto amalato; et andato dentro el Re, li usò parole acomodate. Et lui rispose: Christianissimo Re, molto mi doglio di esser in termene de non haver potuto venir a honorar la Majestà Vostra, come era el mio [672] debito et voler, et merito di la Celsitudine Vostra, et presentarvi el mio stato. Et non havendo da darvi se non città, le qual tutte era de Soa Majestà, et za per avanti offerte, per il sangue et benivolentia era tra loro; ma che solum li restava a far uno presente di la più cara cossa che havea, che era il so fiul primo genito. Et cussì quello presentò in dono a Soa Majestà, et ge lo dette in brazo; el qual era de anni cinque. Et el Re lo tolse et abrazò et basò, recevendolo per fiul, rengratiando el Duca de tal offerta. Et tolto combiato, se partì et andò a la sua stantia. Quivi col Duca era madona Isabella, moglie di esso Duca et fia dil re Alphonso. Questa, considerando che questo Re andava a la destrution de suo padre, mai si volse venir a tocarli le man nè venirli davanti. Imo, exhortata dal sig. Ludovico et sig. Galeazo di San Severino, che dovesse venir a tocar la man al Re, rispose mai vi vegniria. Et tolse uno cortello in man, et disse: Prima mi amazerò mi medesima, che mai vadi a la sua presentia de chi va a la ruina dil Re mio padre. Era qui in Pavia Lorenzo Spinelli, che feva le facende a Lion di Lorenzo de Medici, et praticava acordo col Re et Fiorentini.

A dì 16 el Re andò a disnar a la Zertosa di Pavia, ch'è uno monasterio de Zertosini de li belli che sia in Italia.

A dì 17 si partì con lo suo exercito et el sig. Ludovico, che lo seguitava per honorarlo fino fuora el territorio de Milan, et venne a Castel San Zuane, mia 12 lontan da Pavia.

A dì 18, a hore 22, el Re intrò in Piasenza, terra grossa pur dil Duca de Milan, et intrò con pioza. Li fo fatto grande honor da' Piasentini; alozò in palazo, et la matina volse andar aldir messa a San Sisto, dove è una capella regia, dove ha dil corpo de Santa Barbara, che fo di nacione franzese, et è monaci di l'ordine di la Congregatione de Santa Justina. Questo Re havia con la sua persona prima lanze 600, che son cavali 3600, balestrieri 200, arzieri 400 et 200 zentilhomeni in guardia soa; in tutto 7800 cavali: le qual zente el forzo se aviò a la volta de Parmesana. Seguiva el campo molte donne meretrice franzesi; et oltra di questo assa' persone inutile. Havea carete de artilarie n.º 40, menate con sè de Franza, et passavolanti che butavano balote di ferro di....... l'una, fabri, marangoni, maestri di bombarde, inzegneri et altre arte assa'; Sguizari, gran numero: conclusive, tutto era preparato a dover haver vittoria. Era ivi di molte generatione, come ho ditto di sopra. Et el Re cavalcava con gran pompa, et a le volte si faceva menar a una careta, tirata da corsieri bellissimi et di gran precio; et è torniato [673] de molti, ch'è la sua guardia. Non cavalcava la domenega, per devotione. Veste di negro; et quelli di la sua corte porta uno signal a questo modo: zoè C A, che vuol dir Carlo re et Anna rezina sua moglie. Li suoi stendardi erano tre zii (gigli) in campo azuro, con la corona granda di sopra; et, ut plurimum, di zendà bianco. Fo ditto alcuni erano con lettere: Voluntas Dei; et altri: Missus a Deo. Havia molti chariazi per le arme, et mons. di Samallo et mons. di Beucher erano li principali a presso la soa persona, ut conseieri a questa impresa; etiam Filippo mons. di Savoja. Et havia uno so cuxin, chiamato mons. de Lignì, el qual dormiva con lui. Franzesi sono zente molto superba, fortissimi et gaiardi; nel combatter non perdona la vita, ma trano a la gorza (gorge, gola); portano gran pantoffe in piedi et molto, in questo tempo, large; et le sue stafe di le selle de li cavali sono longissime; portano li stivali di sopra le schiniere, et cappelli grandi in testa; habiti curti con manege large; sono condoti a luxuria, et manzano et bevono voluntiera: conclusive, sono zente assa' disordinata. Seguite fino qui a Pavia l'ambassador dil Re de Spagna, nominato di sopra; et el Re li dete licentia, et si partì, et tornò a Zenoa, demum in Spagna, dolendose molto di questo Re.

Venne uno ambassador di la Raina di Napoli, che fo moglie di Re Ferdinando, sorella dil Re di Spagna, in Piasenza dal Re preditto, insieme con uno fra Zuane de Monlion, di l'ordine di San Francesco di l'Observantia, di natione franzese, el qual fo causa et mediator de pacificar le cosse con questo Re et il Re de Spagna, quando li rese el conta' di Rossiglione. Questi, a dì primo Octubrio partino di Roma, et a dì 17 zonse a Piasenza, et fonno a parlamento con el Re, per voler conzar le cosse con Re Alphonxo; ma non poteno.

El Pontefice, vedendo el Re seguitava di venir di longo, deliberò de interponerse, per veder si poteva conzar le cosse, et che 'l non venisse più avanti; et volse mandar legato el cardinal Monreal, suo nepote. Ma el Re non volse parlarli, per causa lui fo quello incoronò el re Alphonso, come è scritto de sopra.

A dì 19 Octubrio l'ambassador di la Signoria andò a parlar al Re; era il sig. Lodovico. Expose et lexe la lettera dil conte Bernardin de Frangipani et dil retor de Raspurch, zerca a le cosse di Turchi. Et el Re ringratiò la Signoria, et disse: Provederemo ben tutto.

In questo mezo che 'l Re dimorava a Piasenza, dove vi stete zorni 6, et aspettava do ambassadori lucchesi, et è da saper che [674] za era venuto da Soa Majestà Lorenzin de Medici, el qual era confinato mia 3 da Fiorenza, et appropinquandose el Re in Italia ruppe li confini, et andò dal Re dicendo: Sacra Majestà, io, per honorar li toi ambassadori et alozarli in caxa, son stà da' Fiorentini mandato in exilio; unde al presente son venuto a inchinarmi a Toa Christianissima Majestà, facendoli bon animo la vengi; et si da' Fiorentini non haverà quella il passo, li offerisco di sopra, per la via di mio cugnado, sig. di Piombino, el qual è dedito a Toa Majestà. Et il Re lo vete volentiera, et molto lo carezò, et tenelo a presso de sè molto stimato.

Ma el Duca de Milan, da poi partito el Re, comenzò a pezorar di la egritudine havea, et, di hora in hora, di questo el sig. Lodovico era advisato. Hor, come piaque a Dio, esso Duca a dì 21 Octubrio, de Marti, a hore 8 di notte, in castello morite: la qual morte soto sora a tutti fo gran meraviglia, et si judicò fusse stà tossicato. Lassò el fiul Francesco, primogenito, di anni 5 et unico; et do figliole, una di anni 3, l'altra de mexi 9 in X; et la moglie graveda: la qual poi parturite una figlia.

Questo Duca era de età de anni 27; però che, amazato el padre da Andrea de Lampugnano, milanese, el zorno de San Stefano, in chiesia de San Stefano a Milan, del 1476, essendo di anni 9, comenzò a dominar sotto il governo di la madre, et di uno Cecho di Calavria, primo del Consejo secreto dil padre; el qual, ne l'anno 1479, chiamò al governo di quel Stado el Sig. Ludovico, barba paterno, et fradello dil duca Galeazo morto. El qual da esso Cecho prima fo mandato in exilio, ma ritornato a Milan Ludovico, et preso el governo di quel Stado di man di madona Bona, madre di esso Duca, fino questo zorno sempre ha governato, reto et ministrato; et fece taiar la testa a ditto Cecho nel 1480, 19 Ottubrio, ne la piaza de Milan, oponendoli havea fatto contra el Stado.

Adoncha, questo Duca regnò al modo ditto di sopra, sotto questo governo, anni 17; era Duca, tamen Ludovico disponeva. Ma inteso el sig. Ludovico, era col Re a Piasenza, in quel zorno medemo, in hore pochissime, tal nuova, senza andar altrove, chavalcò di longo a Milan, ch'era mia 40 de lì lontano; et lì a Milan era madona Bona, quando suo fiul morì. Et zonto che 'l fu, che fo molto veloce, in questa sera medema de dì 21 Octubrio, fece dar danari a tutti li soi provisionati, et deliberò di farsi lui Duca; et cussì si fece, come dirò.

A dì 22, la matina, za era divulgato per tutto Milan la morte [675] dil Duca, et venuta dil sig. Ludovico in castello; et tra loro molto mormoravano quello havesse a seguir, o se 'l faria lui sig. Ludovico, o pur volesse levar el putino, fio dil Duca, a cui de jure aspettava el Ducato. Hor ditto sig. Ludovico a bona hora mandò per tutti li zentilhomeni primarii di la terra, li qual venisseno in rocca a parlarli; et cussì veneno zerca 200. I qualli venuti, li usò queste parole: Citadini miei, havendo piaciuto a l'eterno Iddio de privarne di la Excelentia dil Duca nostro et mio nepote, essendo io stato sempre quello che ho governato questo Stado, difeso da molti, et augumentado ne l'esser che vedete, che tutto el mondo lo aprecia, et, chi non l'havesse custodito, saria sta dilaniato, come fo al tempo dil duca Philippo Maria Anglo, mio avo materno, che, morto che 'l fu, parte dil suo Stado da soi vicini fo dilaniato e tolto; et a hora, benchè vi sia rimasto uno fiul dil Duca, che a pena è fuora di fasse, parmi per il meglio, con el nome de Christo et voler vostro, prender questo dominio et governo per ben vostro; et che voleva correr et cavalcar la terra. Unde quelli citadini, essendo dove erano, non potendo far nè dir altro, risposeno esser contentissimi, et desideravano che Soa Excelentia havesse tal dominio, perchè si potea dir, da poi la morte dil duca Galeazo non haveano habuto altro Duca che lui. Et queste parole et molte altre risposeno Galeazo Visconte, ch'è di le prime case de Milan; però che in Milan sono do caxade principale: Visconti, el qual cognome hanno li Duchi di Milan, et Traulzi, che sono gelfi. Et cussì a hore 17, la qual hora esso sig. Ludovico volse elezer et cernir per optima dal suo maistro Ambrosio Astrologo, et fo di Mercore, 22 Octubrio, montò a cavallo, vestito d'oro, con la spada portata davanti per Galeazo Visconte, vestito etiam de pano d'oro, cridando: Duca! Duca! Moro! Moro! Andò prima a Santo Ambrosio, protetor de Milan, dove giace el suo corpo; poi cavalcò per la terra. El populo era admirato; niun non dimostrava letitia, se non li soi di la corte; et, ritornato in castelo, fo trato colpi di bombarde, sonate le campane, et fece serar le botege di la città.

L'ambassador di la Signoria...... da Piasenza etiam lui ritornò a Milan, ma non potè venir sì presto; et a Marignan, mia 10 lontan di Milan, intese el correr di la terra havia fatto el Duca; et subito spazò a la Signoria, la qual nova venne prestissima. Et la sera medema che si fece Duca, zonto l'ambassador a Milan, ditto signor, al presente Duca, venne in persona da l'ambassador, con el qual conferite insieme; dicendo era certissimo, la Signoria haveria [676] grandissimo piacer di tal sua creatione, offerendose etc. Et poi, el zorno driedo, mandò el conte Zuan Boromeo et Piero di Galera, sei consejeri, per ditto ambassador, et lo menò in rocca dal Duca, el qual era stato a Santa Maria di le Gratie, vestito con uno mantello da coroto, longo insino a terra; et qui l'ambassador si dolse di la morte dil Duca.

A dì 22 ditto, la notte fo conduto in Milan el corpo dil Duca, et portato al Domo con 300 torze, con tutti preti et frati de Milan, fo posto in mezo a presso l'altar grando sopra uno soler, vestito damaschin bianco fodrà de varo, con un zupon d'oro, con la bareta ducal di panno d'oro, con uno revoltin de varo; in la man destra uno baston inarzentado, in la sinistra una spada, et li speroni roversi in piedi. Et poi che fo tenuto tre zorni sopra la terra, fo lì in domo sepulto, a presso li soi progenitori Duchi, i quali sono tutti in casse coverte d'oro lì a l'altar grando; et sopra di la cassa del deposito fo trovato tal epigramma.

Epigramma sepulchro Ducis Mediolani affixum:

Dux pater ense perit, rapuit me dira veneni

Sorbitio, qua dux tertius arte cadit.

Debuerat natus Ligurum succedere sceptro;

Comprimat exardens hoc Jovis ira nefas.

Aliud in eodem sepulchro:

Dux Ligurum pater, hic ferro, natusque veneno:

Morsque reum sequitur primum, mox fata secundum.

Et el Duca mandò 4 consejeri per la duchessa et fiul, erano a Pavia, et condurli a Milan; li quali fonno el conte Zuan Rusca, Gaspar Visconte, Branda da Castiglion et Battista Sfondrà. Et a dì 25 ditto zonse a Milan, et fo messa ditta duchessa ad habitar in la rocca, in una stanza contigua a quella di madona Bona, et lì stetene con gran coroto; et da quelli vi andono, era gran oscurità a veder.

A dì 23, col Duca preditto, l'ambassador de Ferrara et quello do Bologna, et Antonio Maria di San Severino, el qual lo fece a la guarda di la soa persona, con 60 balestrieri armati a cavallo, et le menò con lui quando tornò dal Re; et la matina seguente ditto Duca venne a visitar a caxa l'ambassador di la Signoria. Et con Soa Excellentia ditto ambassador, nomine Dominij, se allegrò sumamente; [677] et el Duca scrisse a la Signoria dil successo et creation sua, sottoscrivendo: Ludovicus Maria Sforcia Vicecomes Dux etc.; et confermò l'ambassador era a Venetia, stato za anni 4, chiamato Thadio de Vicomercà, el qual al tempo di la liga, fatta con il Pontifice et Duca de Milan,...... fo dal Prencipe fatto cavalier et vestito d'oro, donatoli le insegne de San Marco nel petto. Et è da saper che ditto ambassador dil Duca, or andato in Collegio vestito con panni lugubri, presentò le ditte lettere, et offerse el Duca suo a questa Signoria.

Ancora esso sig. Duca, sì al re de Franza, quam a Roma al Pontifice, et ad altri potentati de Italia mandò a notificar la soa creatione; et in questo zorno expedite uno suo secretario, chiamato Maffio de Pirogno, con cavalli 12, al serenissimo Maximiliano re di Romani electo imperador, el qual era in Fiandra. Et è da saper che ditto Re di Romani ha per moglie madona Bianca, sorella che fo del Duca de Milan nuovamente defunto, et nezza di esso signor Ludovico, al presente Duca. La qual con grandissima pompa de Milan, in questo anno, fu mandata a marito, et datoli dote di ducati 300 millia; et zonta a Yspruch da Sigismondo d'Austria, olim Archiduca, el qual poco avanti, per esser in decrepita età dette el Stato suo et renonciò al prefato Maximilian suo nepote et figlio de l'Imperator suo fratello, et si tolse una vita quieta, et ha provisione. Questo ha una bellissima moglie et giovane, figlia di uno di Duchi de Saxonia, la qual con gran jubilo ricevette questa, che doveva esser imperatrice. Et pur alquanto quivi dimorò, perchè molti di Baroni di Elemagna non volevano esso Massimiliano per niun mondo sposasse tal donna, dicendo non era conveniente uno Imperator tolesse la fia di uno Duca suo subdito, però che Milan è Camera de Imperio. Queste noze adoncha fo concluse, subito morto el padre Federigo terzo Imperator, el qual del 1493, a dì 19 Avosto, expirò. Unde et tamdem ditto Maximilian vuolse torla per moglie; et cussì ivi venuto, in questo medemo anno 1494, di quaresima, habuto licentia dal Pontifice di consumar in quel tempo el matrimonio, ch'è zorni che la Chiesia non vuol che si sposi alcuna donna, pur in una città chiamata Ala, mia 5 di là de Ispruch, sposò questa madona Bianca; et volendo ritornar in Fiandra, lei volse sempre seguitarlo, et cussì va seguitando, et è carissima moglie.

[679]

INDICE

Avvertimento pag. 3
Dedica di tutta l'opera al doge Agostino Barbarigo 15
 
Libro I. Principi di Carlo VIII. Apparecchi della spedizione 19
Morte di Ferdinando re di Napoli. Incoronazione di Alfonso II 34
Alessandro VI 41
Exemplum Brevis Apostolici 45
Copia di una lettera scritta per il Gran Turco a papa Alexandro VI 46
Carlo VIII a Lione 47
Questo è il numero di l'armada di re Alphonso 51
Maneggi dei principi italiani 52
Venezia 60
Zente mandate sul Polesene, a Ravenna e a Cervia 61
Politica di Alessandro VI 63
El successo di l'armada dil re Alphonso 65
Seguito di l'armada di Zenoa 66
Successo di cose seguide in Romagna per li do campi erano dil mexe di Avosto 1494 ivi
Partita dil Re di Franza da Lion per fino a Susa di qua da monti 70
Successo di cose seguite in li campi di Romagna dil mese di Settembrio 1494 71
Seguito di l'armada aragonese a Rapallo 83
El viazo dil Re di Franza da Susa fino in Aste, et quello fece in Aste 85
Quello fece re Alphonso in Reame 91
Successo di quello seguiteno li campi in Romagna di Ottubrio et Novembrio 1494 92
Segue lo stesso argomento 664
Cose di Roma 669
Carlo VIII a Casale, a Vigevano ed a Pavia 671
Carlo VIII e Gian Galeazzo ivi
Carlo VIII a Piacenza. Morte di Gian Galeazzo. Gli sottentra Lodovico il Moro 672
Epigramma sepulchro Ducis Mediolani affixum 676
Aliud in eodem sepulchro ivi
Questo è uno editto fatto a Milano adi 28 Ottubrio 1494 per el Duca nuovo 98
Carlo VIII a Pontremoli 100
[680]
Comitiva che si trova a Pontremolo con la Maestà del Cristianissimo Re di Franza, videlicet sua corte per servicio et custodia de sua regal corona 102
Queste sono zente d'arme deputate per mandar su l'armada di Zenoa con Monsig. Duca di Orliens dil mexe di Avosto ivi
Cavalli de Franzesi passati per lo Novarese guidati dal conte Borella 103
Questi altri è passati per lo Alexandrino guidati da Scaramuzza Visconte ivi
Questi sono li nomi de molti capitanij et Gran Maestri venuti col Re in Italia, i quali tutti è stà nominati per lettere in diversi tempi ivi
Carlo VIII e Piero de' Medici 107
Carlo VIII in Lucca 109
Carlo VIII in Pisa 111
Quello seguite a Roma in questo mezzo 115
Partenza dell'armata francese da Genova 670
Come l'armada dil Re di Franza andò nel Tevere a Hostia et ritornò a disarmar 116
Cose seguite a Milano da poi la tornata dil Duca dil mexe di Novembrio 1494 ivi
Epistola Caroli Barbavarae Mediolanensis ad Bernardinum Figinum Veneciis commorantem 117
Quello faceva re Alphonso in questo tempo 120
A Venetia quello seguite 121
 
Dedica del secondo libro ad Antonio Grimani 129
Libro II. Firenze 131
Questo è il modo de l'intrar dil Re di Franza in Fiorenza a dì 17 Novembrio 133
Protesta Regis Franciae ad Alexandrum pontificem etc. ivi
Quello seguite in Fiorenza mentre el Re vi stette et in Toscana 138
Successo a Fiorenza da poi la partita dil Re 142
XX accoppiatori creati per un anno ivi
X Conservatori di la libertà 143
8 di guardia di balia ivi
Intrata dil Re di Franza in Siena adi do Dezembrio 1494 144
De l'intrata dil Re di Franza in Viterbo et successo fin l'intrar in Roma 147
A Roma quello fece Alexandro pontifice in questo tempo 118
Exemplum brevis SS. Domini nostri ad Ill. et Exc. D. Ducem Mediolani 150
Responsum ducis Mediolani Pontifici maximo 151
Partita dil Re di Franza da Viterbo et quello seguite fino a l'intrar in Roma 153
Seguito et rumore accaduto in Fiorenza et di loro governo 157
Cose accadute in Venetia in questo tempo et dil Gran Turco 158
Come el Pontifice mandò el duca de Calavria fuor di Roma, et quello fece 160
Intrata dil Re di Franza in Roma adi 31 Dezembrio 1494 et quello fece in Roma 163
[681]
Cardinali romani, anno 1494 168
Provvisione fatte per re Alphonso nel reame in questo tempo 172
Dil re Maximiliano alcuna cosa notanda, et di la sua Dieta 175
Electores Imperii 177
A Venetia quello si faceva et anche a Milano 178
Come el Pontifice si accordò con el Re de Franza 183
Come re Alphonso renonciò la corona a so fiol don Ferando et si partì di Napoli; et quello ivi seguite 192
Di la partita dil Re di Franza, et come prosperò in Reame 195
Cose seguite in diverse parte de Italia in questo tempo 198
Successo dil Re di Franza fino a l'intrar in Napoli 204
Di l'aquisto di San Zermano per Franzesi 215
Di la venuta di quattro ambassadori dil Re di Romani a Venetia 217
Copia di una lettera scritta al signor Soldam per el rezimento de Nycosia 223
Dil felice prosperar dil Re di Franza in Reame et fuga di Ferandino 225
De l'intrata dil Re di Franza in Napoli, che fo a dì 22 Fevrer 1494 230
Quello seguite in Napoli da poi l'intrata dil Re di Franza 241
Cose seguite in Venetia et in diverse parte in questo tempo mezo 250
Come el Re de Franza habuto Castelnovo comenzò a bombardar Castel dil Uovo et quello fece a Napoli 258
Cose seguite a Venetia et a Milano et Fiorenza fino al concluder de la liga et in questo mexe de Marzo 1495 268
Quello seguite a Roma in questo tempo 277
Exemplum brevis Sanctissimi Domini nostri ad Illustr. Principem et Senatum Venetum 280
Responsio Venetorum 281
Conclusione di la liga fatta a Venetia, et el modo che la fu conclusa 283
Provisione fatte a Venetia et cosse seguide in varii luogi fin al publicar di la liga 288
 
Dedica del libro III a Gerolamo Zorzi 297
Libro III. Solenne processione per la publicazione della lega 299
Questa è la publicatione di la liga 305
Quello acadete a Venetia, Roma, Napoli, Milan et altre parte dil mexe (di Aprile) 1495 307
Segue lo stesso argomento (Maggio 1495) 318
Ordine et cerimonie usate a Milano in la investitura dil Duca a dì 26 Mazo 1495 353
Come el Re de Franza se partì di Napoli 356
Come el Pontifice se partì di Roma per la venuta dil Re de Franza et andò a Orvieto 356
Quello seguite a Venetia in questo tempo 358
Intrata dil Re di Franza in Roma, de ritorno, et quello fece, et come poi si partì 364
Avvenimenti del Giugno 1495 365
Partita dil Pontifice et Cardinali da Orvieto et come andò a Perosa 367
Quello successe in diversi luogi 369
Carlo VIII in Viterbo 380
[682]
Come el Duca de Orliens tolse Novara al Duca de Milan 382
Relazione di Sebastiano Badoer, stato ambasciatore a Milano 385
Qui saranno notati li Franzesi di conditione che restono in Reame 391
Come el Re de Franza de ritorno intrò in Siena 392
Consigli di mons. d'Argenton a Carlo VIII 395
Relatione de Piero Bembo soracomito al Capetanio zeneral de quello fece in Cicilia 416
Come el Re de Franza partito di Siena andò a Pisa et Lucca, et quello fece 421
Carlo VIII a Pietrasanta e a Sarzana 437
Avvenimenti del Luglio 1495 439
Ordene di l'exercito di la Illustrissima Signoria et colonnelli partiti a dì primo Luio 447
Qui comenzano baruffe seguite in campo con Franzesi venivano zoso di monti 449
Exemplum literarum d. Coradoli Stangae prothonotarii ad Illustrissimum Dominum ducem Mediolani 457
Questi sono li primi eletti di la Signoria di Fiorenza per novo modo 463
Copia de una lettera (di Bernardo Contarini, 5 Luglio 1495) 466
Digresso di l'auctore, come stava Italia in questo tempo et li potentati 469
 
Dedica del libro IV a Melchiorre Trevisan 471
Libro IV. La battaglia di Fornovo 473
Exemplum literarum Ducis Mediolani 484
Come el Re de Franza col so exercito se partì con gran fuga di le giare dil Taro 486
Dil ritorno di re Ferando di Aragona in Napoli, et fu accettato di cittadini 501
Exemplum litterarum Rev. D. Vice cancellarij S. R. E. Cardinalis Ascanii ad Illustrissimum Dominum Ducem Mediolani 502
Exemplum litterarum D. Jacobi de Capua ad Ill. et Rev. Dominum Vicecancellarium 503
Novità di Cesena 504
Seguito dil Re de Franza 506
Cosse seguite nel campo di Novara 508
Summario de Franzesi presi da Stratioti nel campo di Novara in questi tempi 510
Come l'exercito di la Signoria andò poi a campo a Novara in aiuto dil Duca de Milan 511
Questo è l'ordene per lo levarsi da Vespola e andar a conjungersi con l'altro campo verso Novara, fato a dì 18 Luio 1495 515
Ordine de le factione hanno a fare partitamente li marascalchi dil campo 516
Exemplum cuiusdam literae Alexandri Benedicti veronensis, physici, in castris ivi
Lista de le terre rendute a la Majestà dil re don Ferando di Aragona, da poi esser intrato in Napoli 519
[683]
Remuneratione fatte a molti benemeriti di la Signoria per le operationi fatte al Taro 524
Seguito ne li campi di Novara fino a dì primo Avosto 1495 528
Quello seguite a Napoli et in Reame fin a dì primo Avosto 530
Exemplum literarum Ferdinandi regis 531
Exemplum literarum Regis praedicti 533
Copia di una lettera scripta a mons. di Mompensier per el cardinal S. Dyonise, di la rota 534
Copia de un'altra lettera de uno franzese, che nara al suo modo la rotta 535
Modo et hordine di le investiture date a Vormes per il Re di Romani 538
Novitade di Cesena 540
Epigramma de anchoneta ac reliquiis acceptis a Gallis 544
Cosse seguite in campo di Novara, dil mexe di Avosto, succincte descritte 547
Basilio dalla Scuola abbandona i francesi e si unisce ai veneziani 557
Zente da cavallo et a piedi si ritrovava in Verzei 558
Successo seguito a Napoli et in Reame in questo mexe di Avosto 1495 572
Exemplum litterarum regis Ferdinandi, Regis Siciliae ivi
Questa è una lettera del sig. Fabricio Collona, di quello era successo 574
A Roma cosse seguite 578
Copia di una lettera dil Re de Franza al Pontifice 579
Copia di una lettera dil Re di Franza a Monaldo di Guerra suo capetanio in Hostia 582
Exemplum brevis Sanctissimi Domini nostri ad Florentinos 584
Exemplum litterarum Regis Ferdinandi ad Florentinos 587
Exemplum litterarum regis Ferdinandi ad summum Pontificem 588
Seguito di cosse de Napoli et Reame, dil mese di Settembrio 1495 591
Novitade acadute in Perosa 597
Exemplum litterarum Perusiensium ivi
Successo di Pisani con Fiorentini 598
Come fu amazato domino Jacomo da Savona a Forlì 600
 
Dedica del libro V a Marco Sanuto 603
Libro V. Exemplum brevis sanctissimi D. Nostri ad Januenses 605
Zente franzese lassate a la custodia dil Reame di Napoli quando se partì el re de Franza 606
Zente Italiane ivi
Maneggi nella seconda metà di Settembre ivi
Peticione fece li sigg. ambassadori franzesi in nome dil christianissimo Re de Franza.... in campo sotto Novara 615
Responsione dil Ducha de Milan 616
Altre responsione dil Ducha preditto 618
Seguitano i maneggi negli ultimi di Settembre e primi d'Ottobre 619
Copia de una lettera de domino Francesco Bernardin Visconte al Ducha de Milan, di la conclusion di la paxe 626
Conclusa la pace tra Francia e Milano, Venezia ritira le sue truppe 627
Seguito a Napoli et in Reame dil mese di Octubrio fino a la fine di Novembrio 630
[684]
Exemplum litterarum Antonii Grimani... ad oratorem nostrum venetum in Curia romana 635
Exemplum litterarum regis Ferdinandi ad suos oratores Venetiis existentes 637
Exemplum litterarum regis Ferdinandi ad suos oratores in Romana Curia 639
Cosse seguite a Venetia et in altri lochi de Italia dil mese de Octubrio et Novembrio 645
Copia de una lettera de Piero di Medici a don Antonio Spanochij, orator di Siena, a Monte Pulzano 648
Dil romper guerra el Re et Raina de Spagna col Re de Franza justa li capituli di la liga 663

Fine.

NOTE:

1.  Della letter. venez., ediz. 1854, pag. 180.

2.  Bibl. Marciana, ital., cl. VII, cod. 130, mss.

3.  Hist. de la Rep. de Venise, Paris, 1819, Didot, VI, pag. 398 e seg.

4.  Hist. de Charles VIII, deux. édit., I, 239, not. 3.

5.  Arch. storico per le prov. napoletane, Ann. II, fasc. I, p. 13.

6.  Della lett. venez., pag. 17, 151.

7.  Nelle note all'Eloquenza del Fontanini, II, 229.

8.  St. della lett. ital. (ediz. di Napoli, 1781), IX, 225, 318.

9.  De antiquitate urbis Patavii, pag. 258.

10.  Degli scrittori padovani, alla voce.

11.  È naturale lo studio con cui tenta di dissimulare il suo plagio, senza riuscirvi sempre. Descrive il Sanuto le ceremonie con cui fu consegnato il bastone e lo stendardo di Capitano generale al marchese di Mantova, e dice che fu cantata una messa «con cantadori, trombe et pifari venuti da qui» (pag. 552); e il Guazzo dice «con molti et buoni cantatori, e suono di piffari e trombe venuti da Venetia» (c. 201 t.º). Poco dopo il Sanuto ricorda il «protetor nostro San Marcho» (pag. 553); e il Guazzo sostituisce il «protettore loro San Marco» (c. 202). Similmente, il Guazzo, scrivendo dopo l'evento, soppresse (c. 5 t.º) la frase che aveva letto in Sanuto relativamente a Carlo VIII: «benchè non fusse creto (creduto) volesse venir» (pag. 32). Ma qualche volta, non intendendo il suo testo, lo storpiò in modo che si tradì. Dice di fatti che a dì 4 Marzo 1495 vennero a Venezia due ambasciatori del Moro, e che furono condotti «con gli patti alla casa del duca di Ferrara» (c. 108 t.º), dove alloggiarono. Ma il Sanuto avea detto «con li piati» (pag. 252), cioè con quelle barche molto capaci e bene adorne che si usavano in simili circostanze. Ad ogni modo, il plagio del Guazzo non mi fu sempre del tutto inutile. Egli aveva sotto gli occhi un testo migliore di quello di cui ho dovuto servirmi, e ho potuto così in più d'un luogo ristaurare la lezione o supplire le sue mancanze. Vedi, per es., a pag. 393.

12.  Lo dice egli stesso (pag. 218, 221) nella Cronachetta, che pubblicai nel 1880 (Venezia, Visentini), per le nozze Papadopoli-Hellenbach.

13.  XXII, pag. 401 e segg.

14.  Contiene i dogadi di Pietro Mocenigo, Andrea Vendramino, Giovanni Mocenigo, Marco Barbarigo e i primi anni di Agostino Barbarigo. Nell'edizione muratoriana la storia di questi dogi non occupa che una cinquantina di colonne (1201-1252); nel mss. originale un grosso volume di quasi 800 pagine. Ho dato un saggio dell'importanza di questo mss., pubblicando Il Dogado di Pietro Mocenigo (per le nozze Acquaviva d'Aragona-Mocenigo, Venezia, 1882, Visentini), in modo che appaia il vantaggio del mss. inedito sulla edizione del Muratori.

15.  Brown, Ragguagli, III, 79.

16.  Ibid., III, 102.

17.  Leggesi anche negli Annali del Malipiero, Archivio stor. ital., VII, p. I, pag. 399 e segg.

18.  Si legge distesamente in Dumont, Corps... diplomatique, t. III, p. II, p. 531 e segg.

19.  Queste circostanze non erano sfuggite al Sanuto. Egli nota, per esempio, (pag. 627) l'assenza dei Provveditori veneziani, e le acclamazioni della folla che «una voce gridava: Viva! Viva San Marco che mantien la fede!»

20.  Anche omise i prudenti consigli, che poi il sig. d'Argenton diede al Re, a cui «non parse de far questo, et intravene la rota et vergogna soa al Taro». Sanudo, La Spediz., pag. 395. In generale è notevole, che tutte le particolarità (e non sono poche) poco onorevoli ai Francesi, sono tutte omesse dal Guazzo. Vedi, p. e., a pag. 210, 241, 267, 291, 309, 344, 393, 479, 488 ecc. ecc.

21.  Mons. d'Argenton aveva in fatti il suo alloggio nell'isola di S Giorgio Maggiore (pag. 88-89).

22.  È curiosa una conversazione che il veneto secretario d'ambasciata ebbe a Costantinopoli con alcuni pascià. Aveva egli annunziato al sultano la lega conclusa ai danni di Carlo VIII, e «quattro bassà de' primi», a' quali la lega «pareva molto di novo, gli dissero: Come va queste cosse? El signor Ludovico ha fatto venir el re de Franza in Italia, et a hora ha fatto liga? La Signoria, si la voleva, nel principio poteva ostar a la venuta, et l'ha lassato venir et prosperar; et a hora è stata causa di sta (questa) liga. El Papa prima era in amicitia con el Re de Napoli, poi dette el passo al Re de Franza; et pur è dentro (nella lega). El Re de Spagna li ha promesso fede et bona paxe, et have do contadi; et pur è contra esso Re de Franza. Et l'Imperator era pur so amigo etc. A le qual parole saviamente ditto secretario rispose, dicendo havevano fatto questa liga per conservatione di Stadi loro, et senza nuocer a niuno. Ma loro concludeva, le cosse de Italia hora era piova, hora era sol etc.» (pag. 374). Come si vede, c'era più buon senso a Costantinopoli che in Italia.

23.  La guerra dei pirati, I, 201.

24.  «A hore una di notte venne uno vexentin, bandito di Vicenza, chiamato Basilio de la Scuola, el qual era stato in campo dil Re, et ozi, partito di Verzel mostrando andar a Turin, venne da' nostri et referì....» ecc. ecc. (pag. 557).

25.  Di fatti nel tomo primo dei Diarii, il Sanuto aggiunge che Basilio fu bandito per omicidio (col. 704). Negli archivi di Vicenza non si è finora scoperto il processo che precedette questa condanna. Vedi, per altro, come si comportasse lo Scola rispetto a Carlo VIII, negli Errori vecchi e documenti nuovi, che ho pubblicati nel 1882 (p. 135 e segg.). Anche questa notizia si deve aggiungere alla biografia di Basilio.

26.  Gli artisti ed artefici che lavorarono in Castel nuovo a tempo di Alfonso I e Ferrante I d'Aragona. Napoli, 1876, p. 10 e seg.

27.  «Do galeaze venute con vittuarie da Marseia».

28.  Anche il Guazzo, a dire il vero, ricorda «le porte enee di Castelnovo di Napoli» (c. 192), tra il bottino che si raccolse a Rapallo. Ma la notizia era campata in aria, perchè, copiando in questo luogo il Sanuto, non si ricordava di avere omesso il cenno sulla rapina ideata di quelle porte.

29.  Il Guazzo, che fu soldato, non avrebbe dovuto sopprimere su questa battaglia tante importanti particolarità, che il Sanuto ci conservò. Vedi, per esempio, la premura di conservare le artiglierie da campo (pag. 488, 490 ecc.), che i Francesi ebbero più care delle cose del re (pag. 482, 491 ecc.) cadute in mano al nemico. Ma il Guazzo, che vedeva crescersi sotto mano il volume, non pensava che a sopprimere senza discernimento alcuno tutte le particolarità che rendono così istruttivo e così pittoresco il racconto sanutiano.

30.  Marin Sanuto morì nel 1536. Dieci anni dopo, quando il Guazzo era sul punto di pubblicare il suo plagio, domandò al Senato un privilegio di stampa per «l'historie de l'anno 1493 fino al presente», storie che diceva di avere «fedelmente scritte... con lunghe sue fatiche et vigilie» (Senato, Terra, filza num. 3, 28 Agosto 1546). Non sospettandosi il plagio, gli fu conceduto il privilegio per dieci anni, e le Historie di Carlo VIII, scritte con quelle fatiche et vigilie che conosciamo, videro la luce nel 1547 con privilegio.

31.  Non ci parve che valesse il prezzo dell'opera l'affaticarci a ristaurare questo passo, che nel nostro scorrettissimo testo dice così: «Perchè in questo tempo non solamente vi si combatteva in questo di uno stato uno animo una republicha, ma, ut ita dicam, ecc.».

32.  Le inesattezze dei numeri possono facilmente essere attribuite al copista: non ci permettiamo peraltro di mutar nulla. Del resto è noto che Luigi XI mori a Plessis du Parc, a dì 30 Agosto 1483; e che Carlo VIII, nato nel castello d'Amboise a dì 30 Giugno 1470, fu consacrato nella cattedrale di Rheims il 30 Maggio 1484. Entrò solennemente a Parigi il 5 di Luglio.

33.  Margherita andò in Francia dopo il trattato di Arras, 23 Decembre 1482, e ne uscì dopo il trattato di Senlis, 23 Maggio 1493.

34.  Carlo VIII non entrò in Rennes che dopo i simulati accordi del 15 Novembre 1491.

35.  L'Evesque de Lombez, abbé de Saint Denys e l'abbé de Saint Anthoine de Viennois sono fra i commissarî incaricati da Carlo VIII, a dì 16 Settembre 1491, di stringere nuovi accordi con Innocenzo VIII sugli argomenti di cui parlano le relative istruzioni in Godefroy, Hist. de Charles VIII, 1684, pag. 617 e segg. In queste istruzioni non si tratta peraltro delle dispense. Intorno alle quali dice lo stesso autore (pag. 621): «il fallut plusieurs dispenses, et principalement pour la resolution des mariages dans lesquels les parties se trouuoient engagées respectiuement, car le Roy estoit marié avec Marguerite d'Austriche et la Duchesse avec Maximilian Roy des Romains: cependant le pretexte du bien public et de la paix seruit à faciliter toutes choses». Le dispense accordate da Innocenzo VIII (15 Decembre 1491) e gli atti (13 Novembre e 21 Decembre 1492) relativi alla clausola che dicta Illustrissima d. Anna... rapta non fuerit, si leggono in Dumont, Corps Diplomatique, t. III, p. II, p. 274 e segg.

36.  Veramente furono celebrate nel castello di Langeais.

37.  L'ambasciata occorse nel 1492. Ne fu publicata la Relazione da Alberi, ser. I, vol. IV.

38.  Per la somma precisa, v. Dumont, l. c., pag. 296.

39.  Boabdil. Ma la nostra copia legge Meles (Melec?) Bleusem; e abbiam creduto meglio sopprimere questa storpiatura. Al copista si deve attribuire anche l'errore del numero successivo, giacchè dalla battaglia di Xeres de la Frontera alla conquista di Granata corse un secolo più di quel che è detto nel testo.

40.  Il trattato fu sottoscritto in Barcellona a dì 19 Gennaio.

41.  L'autore scriveva dunque queste pagine tra il 25 Gennaio 1494 e il 21 Gennaio 1495, che tanto appunto durò il regno di Alfonso II.

42.  Romanin, St. docum., IV, 424.

43.  L'Aretino (Rer. Italic., XIX, 921 e segg.) parla di Innocenzo VII succeduto a Bonifacio IX.

44.  Cioè successore di Innocenzo VII.

45.  In questo periodo è confuso Gregorio XII con Alessandro V e Giovanni XXIII. Cf. Muratori, Annali, ad ann. 1409, 1411.

46.  Ladislao morì il 6 Agosto 1414.

47.  Giovanna morì il 2 Febbraio 1435; ma, secondo il costume veneziano, il nostro cronista poteva assegnare alla morte della regina il 1434. Riguardo alle circostanze che, secondo il cronista, precedettero e seguirono questa morte, la confusione è manifesta.

48.  Così lo chiama anche il Sanudo più sotto, aggiungendo che questo secondo fratello di Alfonso era gran maestro dell'ordine di S. Giacomo. Abbiamo quindi corretto questo luogo ove, con manifesto errore del copista, si davano per fratelli ad Alfonso Giovanni re di Navarra et il re di Spagna.

49.  Anche qui la cronologia è difettosa. Giovanna II morì il 2 Febbraio 1435, la battaglia di Ponza tra l'Assereto ed Alfonso accadde al 5 d'Agosto, l'insurrezione di Genova a dì 27 Decembre dello stesso anno.

50.  «Il quale (Giovanni) non si fermò in Lombardia, ma ne venne a Firenze dove onoratissimamente fu ricevuto». Macchiavelli, Storie, Lib. VI, che così emenda il racconto del Sanudo.

51.  Alfonso morì il 27 Giugno 1458.

52.  Non di Lusitania, come dice erroneamente il nostro testo.

53.  Veramente fu sua sorella anche Eleonora, che nel 1428 andò sposa ad Eduardo, infante di Portogallo.

54.  Maria, che nel 1420 sposò Giovanni II re di Castiglia, e figlio di Enrico III. Ora Alfonso V (figlio di Ferdinando il Giusto re d'Aragona secondogenito di Giovanni I re di Castiglia) nel 1415 sposò Maria sua cugina, figlia di Enrico III re di Castiglia. Ecco il doppio motivo per cui l'Autore chiama Giovanni II re di Castiglia parente consanguineo di Alfonso V.

55.  I documenti che espongono questi fatti con precisione, vedi in Lunig, Codex Italiae diplomat., II, 1257 et segg.

56.  Apparteneva a questa ambasceria anche Girolamo Tuttavilla.

57.  Vedi Baschet, La Diplomatie Venitienne, pag 302, 303.

58.  Gentile Becchi.

59.  Giovanni Villiers, abate di San Dionisio di Parigi, e sin dal 1473 vescovo di Lombez, da Alessandro VI (21 Agosto 1493) creato Cardinale prete del titolo di S. Sabina.

60.  More veneto.

61.  Alessandro Caraffa.

62.  Nato a dì 27 Luglio 1469, Ferdinando non aveva ancora venticinque anni compiuti.

63.  Ferdinando nel 1446 sposò Isabella figlia di Tristano di Clermont e della contessa di Copertino.

64.  Cardinale diacono del titolo di S. Adriano (1477) e Arcivescovo di Taranto (1478), m. a Roma 1485. Cf. Notar Giacomo, Cronica di Napoli, p. 96, 140, 143, e Burchardi Diarium (edit. Gennarelli), pag. 72 nota.

65.  Morto a venticinque anni, il 26 Ottobre 1486.

66.  Eleonora morì l'11 Ottobre 1493.

67.  Morto Mattia Corvino, Beatrice sposò il successore Ladislao. Si sa peraltro qual conto facesse costui della moglie, che pure gli aveva agevolata la via del trono. E forse anche per questo l'Autore la dice vedova.

68.  Cioè di Ferdinando il Cattolico.

69.  Un figlio Carlo morì fanciullo. L'ynfante qui ricordata è Giovanna, che poi sposò il nipote proprio, re Ferdinando II.

70.  «Madamma Cianzia de Aragonia figliola naturale dello illustrissimo Signore Duca de Calabria et de madamma Trusia... Gazulla,» doveva sposare Onorato Gaetani ma sposò invece Goffredo Borgia. Notar Giacomo, p. 163, 178, 180, 182. Cf. Trinchera, Cod. Arag., II, 199.

71.  Giovanni Borgia, eletto da Sisto IV arcivescovo di Monreale in Sicilia, creato da Alessandro VI, a dì 31 Agosto 1492, Cardinale prete del titolo di S. Susanna.

72.  Questo ambasciatore era in Napoli, il giorno dell'incoronazione di Alfonso (Burchardi Diarium, pag. 312). Il Summonte dice che ambasciatore Spagnuolo in Napoli era a questo tempo il Vescovo di Tarragona (Dell'Historia ecc., ed. Bulifon, t. III, p. 483), cioè Don Gonzalo Fernandes de Heredia, già governatore di Roma (Burchardi Diar., p. 250), e del quale vedi il Villanueva, Viage literario a las Iglesias de Espana, XVIII, 42, XX, 20. Ma dice il Summonte che l'ambasciatore spagnuolo assistette personalmente alla ceremonia, il Burcardo invece asserisce che non vi fu presente, per questione di etichetta. L'Arcivescovo di Tarragona e il governatore di Catalogna sarebbero dunque due persone diverse?

73.  Più di duecentomila dice il Summonte, ibid., 482. Ottomila il Diarium Burchardi (pag. 307), con cui si dovrebbe paragonare, in tutte le sue circostanze, questo racconto.

74.  «Il Re cantò l'evangelio... con un tanto eccellente modo, che parve fusse stato gran tempo prete et a quell'officio usato». Summonte, ibid., p. 488.

75.  Ippolita Sforza, moglie di Alfonso, era morta fin dal 19 Agosto 1488. La regina di cui in questo luogo si parla è dunque Giovanna di Aragona, vedova di re Ferdinando. Chi ne fosse peraltro il nipote, ricordato qui dall'Autore, non saprei dire con sicurezza. Sospetterei che fosse «Don Henricus de Aragonia frater consobrinus reginae Neapolitanae et nepos regis Hispaniarum» (Burchardi Diarium, pag. 290), il quale cavalcava appunto a sinistra di don Goffredo nell'entrata solenne del cardinale di Monreale, ed assistette all'incoronazione di Alfonso, ove doveva tenere e tenne di fatti il pomo durante la ceremonia (ibid., pag. 284, 311).

76.  Di questo fratello naturale di Alfonso II vedi i Ricordi di Filippo di Vigneulles, nell'Arch. Stor. Ital., Serie I, App. IX, 232, e Burchardi Diarium, pag. 145, 290.

77.  «Nihil mihi in hoc convivio singulari singulariter placuit, praeter credentiam, quae pulcherrimis et magnis vasis aureis et argenteis ornata erat; existimavi ea quae ibi exposita erant ad circiter ducatus XL m.». Burchardi Diarium, pag. 316.

78.  È la sesta fra le orazioni di M. A. Sabellico, Operum, ediz. 1560, vol. IV, col. 497.

79.  Pietro de Aranda, della cui dignità e delle cui vicende vedi il Diario di Burcardo in Eccardi, Corpus historicum Medii Ævi, vol. II, col. 2095, 2097, 2112.

80.  «Postquam..... ad divini numinis timorem excitaris» legge correttamente il Dumont, Corps dipl., t. III. p. II, pag. 316.

81.  Supplisci col Dumont: «Rex Alphonsus avus ejus, deinde Ferdinandus pater, cui successit rex, qui per praedecessores ecc.». Loc. cit.

82.  Gli errori dell'amanuense o del traduttore corregge questa lezione: «Exponendo vires et conatus nostros in resistentia facienda, ne dictus Rex Franciae aliqua victoria contra nos potiatur, et contra fratrem Suae Majestatis». Dumont, l. c.

83.  «Quod velit facere omnem resistentiam et se defendere contra ipsum, et deviare ne frater suus capiatur ex manibus nostris, quos exhortetur et stringat, quod pro quanto cari pendant amicitiam suam, debeant esse adjumento et defensioni nostrae et regis Alphonsi terra marique, et quod omnes amicos nostros et primum regem habebit pro bonis amicis suis, et nostros inimicos pro inimicis». Dumont, l. c.

84.  «Fiolo de 4 Sultani de Latheath cainf», leggeva la nostra copia, che abbiamo emendata col Dumont, ibid., pag. 317.

85.  «Quod si vita careret» legge il Dumont, ibid.

86.  «Antequam sit nobis dictum corpus datum, et per vestros meis consignatum». Dumont, ibid., pag. 318.

87.  Alonso de Sylva, intorno a cui vedi Prescott, Storia di Ferd. e d'Isab., traduz. ital., Firenze, 1847, vol. II, p. 316.

88.  De Bidant, o De Bidaut, è detto anche in Godefroy, Histoire, pag. 194. Ma è noto che l'ambasciata spedita nella primavera del 1494 da Carlo VIII in Italia, era composta: I. dell'Aubigny; II. del vescovo di s. Malo, Guglielmo Briçonnet; III. di Giovanni Matharon, presidente di Provenza; IV. di Perron de Basche.

89.  Specie di nave. Arbatoze le chiama Notar Giacomo, Cronica, descrivendo l'armata del re Alfonso, pag. 183. E. B. Senarega, De rebus genuensibus, in Rer. Italic. Script., vol. XXIV, col. 539: «Tertium genus navium, quod Arbatociam appellabat, quod ad majores bombardas emittendas aptius erat».

90.  Pietro d'Urfè.

91.  Queste galere per forza, sarebbero le barche forzae di cui parla il Malipiero (p. 321) negli Annali?

92.  Fra la galea di Giammaria Pignatello e la fusta di Giampaolo da Capri si legge nella nostra copia: «Galie 7 armate et armate in Puglia e Terra d'Otranto». Probabilmente qui l'A. traeva la somma delle galee (27) precedenti, indicando in quali province fossero armate. Il che si conferma dall'indicazione che segue a questo elenco, ove le galere si contano a ventisette e non più.

93.  Queste altre barze non compariscono nella somma di cinquantuna vela, che segue immediatamente.

94.  Nel grande Archivio di Napoli manca il carteggio diplomatico di Alfonso II, probabilmente dato alle fiamme nella popolare insurrezione del 1647. Dal primo repertorio dei Quinternioni di Calabria citra ed ultra risulta che per diploma di Ferdinando (27 Aprile 1463) Francesco Siscar ebbe la terra di Ajello, tolta per ribellione a Sansonetto Sersale di Sorrento. Della famiglia Siscara, venuta in Napoli con Alfonso I di Aragona, e di Paolo (che probabilmente è il nostro ambasciatore) il quale ereditò alla morte del padre (1480) il Contado di Ajello, vedi i Discorsi delle famiglie nobili del regno di Napoli del sig. Carlo de Lellis, Napoli, 1654, pag. 286. Tutte queste notizie debbo alla erudizione e cortesia del comm. Francesco Trinchera, benemerito direttore del grande Archivio di Napoli.

95.  Giorgio Costa, portoghese, arciv. di Lisbona, fatto cardinale da Sisto IV.

96.  Raffaello Riario, savonese, creato cardinale da Sisto IV.

97.  Cesare Borgia che, dal 1493 al 1498, fu cardinale diac. di s. Maria Nuova, ed ebbe titolo di arcivescovo di Valenza.

98.  Ascanio, figlio di Francesco Sforza duca di Milano, fatto card. da Sisto IV.

99.  Peraltro «Baudricourt retourna en Bourgogne, dont il était gouverneur» dice Cherrier, I, 430.

100.  A Berna dice il nostro manoscritto, che non sappiamo come spiegare.

101.  Federigo, figlio di Roberto Sanseverino, da Innocenzo VIII fatto cardinale diacono del titolo di s. Teodoro nel 1489, ma non publicato. «Il cardinale Ascanio Maria Sforza però, bramando vivamente di creare un pontefice a suo talento, operò sì co' cardinali, che il Sanseverino fu riconosciuto dal sacro Collegio per vero e legittimo cardinale, e con questo carattere potè trovarsi presente al conclave di Alessandro VI ecc.». Cardella, Memorie storiche de' Cardinali, II, 243.

102.  Bernardino Lonati da Pavia, ad istanza di Ascanio Sforza, creato cardinale diacono del titolo di s. Ciriaco, il 21 Agosto 1493.

103.  Non dovrebbe leggersi ravennate?

104.  Non dice così il Guicciardini, I, III.

105.  Crediamo inutile riprodurre i ventisette capitoli riassunti dal Cronista, che furono publicati testualmente da Gino Capponi nell'Archivio Storico Italiano, t. I, pag. 362-375.

106.  È la conosciuta orazione, che non riproduciamo, e che leggesi tra le opere di Marsilio Ficino (Basileae, 1576, I, 960, 961).

107.  È quel medesimo documento che leggesi in Malipiero, Annali (Archivio Storico Italiano, t. VII, pag. 325-327), e che quindi ci asteniamo dal riprodurre.

108.  Qualche leggerissima inesattezza sfuggita in questo elenco può facilmente correggersi coll'aiuto della nota opera del Cardella.

109.  È l'epigramma publicato dal De Cherrier, Histoire de Charles VIII, II, 80

110.  L'equivoco del cronista è evidente.

111.  Non riproduciamo questa lettera di convocazione data da Anversa il giorno 24 Novembre (VIII Kal. Decembris, vor S. Katherinentag) 1494, giacchè fu publicata al suo posto nei Reichstagsacten. Cf. J. J. Mülleri, Reichstags-Theatrum Maximiliani I. p. I, pag. 199 e seg. Ienae, 1718.

112.  Giovanni, morto nel 1504.

113.  Non riproduciamo neppure questi capitoli, che sono una letterale traduzione di quelli che si leggono in Molini, Documenti di Storia Italiana, I, 22 e segg.

114.  Isabella (figlia di Ferdinando il Cattolico e di Isabella di Castiglia) n. 1 Ottobre 1470, sposò a dì 22 Novembre 1490 l'erede presuntivo del trono di Portogallo, Alonso, che morì pochi mesi dopo. Nel 1497 sposò Emanuele re di Portogallo, e morì l'anno appresso (23 Agosto).

115.  Lorenzo Suarez.

116.  Ippolita, che morì giovinetta.

117.  Simone Unferdorben, fanciullo di poco più che due anni, ucciso dagli ebrei in Trento il 23 Marzo 1475 secondo gli Annali del principato ecclesiastico di Trento.... reintegrati e annotati da Tomaso Gar, Trento, pag. 352-358.

118.  Intorno a questo prelato vedi Prescott, ibid., p. II, cap. V.

119.  Perkin Warbee, noto impostore, di cui v. Hume, cap. XXV, XXVI.

120.  «Et l'havere di pretio della Reina» legge il Guazzo.

121.  «Labarde» legge il Guazzo.

122.  La nostra copia è così scorretta, che disperiamo di restaurare il testo genuino. L'eruditissimo B. Capusso ci avverte peraltro che il secretario vecchio, di cui qui si parla, è Antonello Petrucci, «che si sa aver avuto il suo palagio nella piazza di S. Domenico».

123.  Altro luogo inesplicabile della nostra copia.

124.  La nostra scorrettissima copia leggeva: Ovo nicro novo ecc., e non sapevamo come correggere il passo. Speravamo di trovare questa iscrizione o in qualche antica Guida di Napoli, o in altra opera storica. Ma riuscite indarno le nostre ricerche, ci siamo rivolti all'eruditissimo ed illustre sig. Bartolommeo Capasso, che gentilmente ci rispose: «Sui due versi del Castel dell'Ovo debbo dirle che essi non sono riportati, nè sono in qualunque maniera indicati in alcuno dei nostri patrii scrittori, sì editi che inediti. E siccome le descrizioni che abbiamo di Napoli, alquanto particolareggiate, non sono più antiche del secolo XVI, così bisogna supporre che fin da quel tempo non esistessero più. Verisimilmente dovettero sparire nell'assedio posto al castello dal Gran Capitano, nel quale Pietro Navarro, come credesi, fece le prime pruove delle sue mine, e con esse abbattè l'arco che dalla strada di S. Lucia immetteva al ponte del Castello, ove quei versi dovevano leggersi. In ogni modo, mancandoci il confronto di altri esemplari, non si può rettificarne gli errori con la lezione migliore. Ho cercato quindi di divinare il senso dell'epigrafe colla storia del castello, ed ecco dopo molto meditarvi su la mia congettura sul proposito.

«Nella Cronaca di Partenope, volgarmente attribuita ad un Giovanni Villani napoletano (l'edizione più facile a trovarsi è quella del 1680 di Napoli, nella Raccolta di vari libri ecc.), tra le altre opere di magia che si dicono fatte da Virgilio a beneficio dei Napoletani, trovasi la consecrazione di un ovo, che il poeta avrebbe chiuso in una caraffa di vetro, e depositato in un luogo secreto e ben custodito del Castello marino o del SS. Salvatore a mare, perchè ne fosse, per dir così, il Palladio, e ne dipendessero i fati da quello. Nella stessa Cronaca (cap. 46 del lib. III) si narra che al tempo della regina Giovanna I, quando Ambrogio Visconti, figliuolo naturale del duca di Milano, fuggì dal detto castello, ove era prigione, ruppe la caraffa, e tutti li edifici antichi del castello se diruparo. Allora la regina lo fece di nuovo riedificare, et perchè non avesse perduto lo nome del detto castello, fece includere lo ovo in uno vassello di vetro, più bello, et più sottile et megliore.

Ora, posto ciò, io leggo i due versi: Ovo nicro novo non sic turbor ovo dorica castra cluens tutor temerare timeto, così: Ovum (in) vitro novo, sottintendendo clauditur o altro simile; il vitro benissimo poteva scambiarsi in nicro; non sic (ego, parla il castello) turbor (ab) ovo. Dorica castra cluens tutor (assicuro, difendo); temerare timeto. Il dorica castra allude evidentemente all'origine greca della città».

Siano grazie all'eminente erudito che volle aiutarci colle sue dotte induzioni. La sua assicurazione, che l'epigramma sopra detto non è ricordato da alcuno scrittore napoletano edito e inedito, è una prova evidente della diligenza con la quale il nostro Sanudo raccoglieva le memorie non solamente di Venezia ma di tutta l'Italia. Alla cronaca del Sanudo, dice di fatti lo stesso illustre sig. Capasso, debbo «la cognizione di parecchi particolari intorno alla città di Napoli specialmente, che sono taciuti dai nostri cronisti, ed ignorati dai patrii scrittori».

125.  «A sì che tal Signoria di Venetia sapere non puotevano come quelli oratori voleano far lega», così il Guazzo.

126.  «Nascondeano i prelati di Roma nei monasteri le loro cose, andando il re di Franza a Roma di qualche novità dubitando». Guazzo.

127.  Leggesi stampata in seguito al discorso di Leonello Chieregato, che troveremo ricordato qui appresso.

128.  Leggesi in un libretto del tempo, del quale ho veduto due esemplari nella Biblioteca Marciana, ma senza alcuna nota tipografica. Trattandosi di un discorso che andò già per le stampe, credo inutile riprodurlo.

129.  «Per i capitoli haveano con il Re di Franza», aggiunge il Guazzo c. 138.

130.  Questo elenco (molto più particolareggiato di quello che leggesi in Malipiero, Annali Veneti, I, 339 e segg) fu trascritto letteralmente e publicato dal Guazzo, Historie.. ove se contengono la venuta et partita di Carlo Ottavo (Ven., 1547), e 151 t.º e segg.

131.  Anche questo elenco fu publicato tale e quale dal Guazzo, ibid., c. 155 e seg.

132.  «Et essere in inimicicia con Genoesi, et volendo tornare in Franza gli fea di bisogno tenere la volta di Pontremolo, et ritornare per la via ov'era venuto» dice il Guazzo (c. 158), che aveva sott'occhio un esemplare di questa cronaca più corretto del nostro.

133.  Anche questo elenco si legge in Guazzo, ibid., c. 163.

134.  È trascritto nel Guazzo, col titolo: Armata de i s. Venetiani nel mare, c. 165 t.º, e seg.

135.  Questo breve elenco si legge in Guazzo, c. 171 e 171 t.º.

136.  Questo pure leggesi in Guazzo, c. 171 tº.

137.  Leggesi nel Guazzo, a c. 175 t.º e seg.

138.  Questa lista fu publicata dal Guazzo, a c. 181 t.º.

139.  È l'orazione che leggesi in Malipiero, Annali nell'Arch. Stor. Ital. t. VII. p. 1, pag. 393.

140.  Leggasi anche in Malipiero, Annali, nell'Archivio Storico Italiano, tomo VII, parte I, pag. 383 e seguenti.

141.  Leggesi in Guazzo, Historie, c. 205 t.º.

142.  Leggesi in Malipiero Annali, nell'Arch. Stor. ital., t.º VII, parte I, pag. 391, e segg.

143.  «Un galeone di Franza si fu al fondo cacciato», dice il Guazzo, Historie, c. 208 t.º

144.  «Lasci da can». Guazzo, Historie, c. 211 t.º.

145.  La prima pagina è in bianco.

146.  «Il signor Maniscalco di Giaè, monsignor di Pienes et monsignore Argenton». (Guazzo Historie, c. 220 t.º 221), già nominati a pag. 608.

147.  È il trattato che leggesi distesamente in Dumont, Corps... diplomatique, tom. III, p. II, pag. 531 e segg.

148.  Leggesi in Malipiero, Annali, nell'Arch. Stor. Ital., t. VII, p. I, p. 399 e segg.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.