The Project Gutenberg eBook of La separazione

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Title: La separazione

commedia in quattro atti

Author: Paolo Ferrari

Release date: December 17, 2025 [eBook #77492]

Language: Italian

Original publication: Milano: Treves, 1887

Credits: Barbara Magni (This file was produced from images made available by The Internet Archive)

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LA SEPARAZIONE ***

LA SEPARAZIONE


TEATRO ITALIANO CONTEMPORANEO


LA SEPARAZIONE

COMMEDIA IN QUATTRO ATTI

DI

PAOLO FERRARI

MILANO
FRATELLI TREVES, EDITORI
1887.


PROPRIETÀ LETTERARIA.

Riservati i diritti di traduzione.

È assolutamente proibito di rappresentare questa commedia senza il consenso per iscritto dell’autore. (Art. 12 del testo unico, 17 settembre 1882.)

Tip. Fratelli Treves.


[v]

CENNI STORICI.

Questa commedia come ebbe per concetto ispiratore, così ebbe in origine per titolo La separazione. Sui giornali e anche da me fu detto come e per quali considerazioni mutassi il detto titolo in quello di Salviamo le apparenze. Con questo titolo fu recitata in Milano al teatro dei Filodrammatici dalla compagnia di Adelaide Tessero nel passato novembre e ripetuta quattro volte.

La recita mi persuase che io doveva tornare al primo titolo; e così feci; e a Firenze, al teatro Niccolini, nel gennaio passato, fu recitata e ripetuta quattro sere dalla compagnia di Vittorio Pieri e Gustavo Salvini, col titolo di Separazione.

E così fosse stato anche a Milano! — E così avessi conservato, come era nella mia prima tela, nel personaggio di Ernesta un altro esempio di moglie separata. Con ciò avrei dato un [vi] maggiore sviluppo al mio tema — diciamo la parola! — alla mia tesi.

Prevalse in me il timore che il pubblico si infastidisse di vedere nel secondo atto oltre alla separata Eugenia anche la separata Ernesta; e mutai la favola per ciò che riguardava questa; e ne feci una vedova tratta alla colpa dal separato marito di Eugenia.

Ne seguì che il pubblico s’interessò alle dolorose vicende di Ernesta ma non vide qual fosse il nesso del di lei episodio colla favola principale e col mio argomento. Caddi in Scilla volendo evitare Cariddi!

A Firenze, restituito il primitivo titolo La separazione e fatte alcune modificazioni, benchè di poco momento, la commedia fu meglio compresa.

Qualche amico mi ha consigliato di rimettere il personaggio di Ernesta nella condizione di moglie separata, come l’avevo in principio pensata.

Qualche altro avrebbe voluto che io sopprimessi senz’altro quel personaggio.

Suggerimenti saggi tutt’e due: ma seguendo o l’uno o l’altro di tali suggerimenti, avrei dovuto sconvolgere tutto il lavoro, massime nei tre ultimi atti; e io pensai che ciò mi avrebbe portato quasi a fare il lavoro di nuovo; nel che avrei impiegato tanto tempo che a me parve si potesse meglio impiegare facendo un nuovo lavoro.

Ed è ciò che sto facendo: ma il nuovo lavoro [vii] non avrà certo per argomento nessuna Teresa o Donna Teresa, come ne è corsa voce sui giornali; voce che non so spiegarmi per quale equivoco sia corsa.

Frattanto io presento al lettore la commedia quale fu recitata a Firenze; se il lettore sarà un benevolo lettore, qualche buona intenzione saprà, spero, scorgere in questo mio lavoro.

Milano, 1.º giugno 1887.

Paolo Ferrari.

[1]

PERSONAGGI

La scena nel 1.º e 4.º atto è a Torino.
Nel 2.º e nel 3.º è ad Andorno.
Costumi del tempo presente.

[3]

ATTO PRIMO.

A Torino. Gabinetto del commendatore Carenzi, Presidente del Tribunale. A destra, una tavola grande con tappeto verde e sopravi l’occorrente per scrivere: carte, fascicoli, libri, il Codice Civile e quello di Procedura, ecc., dietro la tavola una poltrona. A sinistra, un sofà, altre poltrone, sedie, ecc. Nella parete di destra un ritratto del Re. Porta in fondo; uscio a sinistra.

NB. — Le parole destra e sinistra s’intendono riferite agli Attori.

SCENA PRIMA. Portiere del Tribunale.

Port. (Mettendo ordine ai fascicoli, ai libri, ecc.). Mettiamo in ordine questa roba, tanto che l’illustrissimo signor Presidente non abbia da brontolare. — Capisco che per essere un buon presidente di Tribunale e di un Tribunale importante, come questo di Torino, ci vuole un uomo serio, un uomo [4] severo. — Ma non è poi mica necessario che sia un seccatore sempre pronto a strapazzare un vecchio portiere come l’umile sottoscritto! — Mi rimprovera per la mia curiosità. Quale curiosità? Sì, di quando in quando entro qui, ma entro perchè è mio dovere o per un motivo o per un altro; se poi entrando colgo qualche frase da poter riferire agli interessati, che colpa ce n’ho io?

SCENA SECONDA. Detto Carenzi e Gambardi.

Caren. (Spingendo avanti per cortesia Gambardi: — da sinistra). Avanti, avanti. Avvocato, mio vecchio amico.

Gamb. Grazie.

Caren. Ecco qua il nostro bravo portiere! Scommetto che stava facendo uno dei suoi soliti brontolamenti! (Sorride bruscamente).

Port. È l’unica mia ricreazione.

Caren. Bene; andate a ricrearvi in anticamera.

Port. Sarà obbedito. (Esce dal fondo, poi torna).

Caren. (Facendo sedere Gambardi sul sofà e sedendo egli pure). Dunque tu sei l’avvocato dell’onorevole conte Portanzio?

Gamb. Non sono il suo solito avvocato: io sto a Milano; lui sta qui a Torino: ma trattandosi di questa separazione coniugale, mi ha pregato di venire ad assisterlo: come deputato egli vuole che la cosa [5] avvenga con tutto quel decoro che la sua posizione gl’impone.

Caren. E non ci sarà modo di accomodare la cosa, di riconciliare il conte e la contessa?

Gamb. Come si fa con quella benedetta signora? Una amabilissima dama, sai, la contessa Eugenia?... Ma un carattere! Oh che carattere! Una suscettibilità! Un’alterigia! — Sa di essere più ricca di suo marito e le pare di poter comandare a tutto il mondo! E se piglia fuoco, si salvi chi può! Risposte piene di veleno, di sarcasmo! Da far perdere le mani ai santi!

Caren. Capisco! Il conte non è un santo e forse qualche volta, con quel prudore, eh?...

Gamb. Oh! Ti pare!? Il conte ne è innamorato! E si capisce, perchè la contessa Eugenia è una donna!... Ah che donna!... Che maniere amabili!... Eppoi bella, giovine! Un incanto! Nelle società, nelle feste, ai teatri è un continuo assedio di corteggiatori!

Caren. E questo assedio non garba al conte?

Gamb. Sfido! Deputato come è, deve stare molto a Roma; quando viene a Torino, è pieno d’affari per le commissioni, per il suo Collegio...

Caren. Ho veduto nel ricorso dei coniugi per la separazione consensuale che essi sono d’accordo di mettere la figlia in un istituto di educazione...

Gamb. Un istituto di primo ordine!

Caren. La migliore educazione, specialmente per una fanciulla, dovrebbe essere quella data dalla madre.

Gamb. In tesi generale, siamo d’accordo. Ma....

Caren. La contessa Eugenia non è forse una madre tale....?

Gamb. Oh una egregia signora!

[6]

Caren. Ma come madre?...

Gamb. Sai? Carattere, temperamento!

Caren. La condotta di lei per altro....?

Gamb. Oh! La contessa è una donna che sa condursi!... Il mondo cerca, fruga, ma non trova niente.... tranne forse certi sospetti....

Caren. Sospetti.... con fondamento?

Gamb. Invero non lo credo — ma non lo so. — In ogni modo è appunto per questi sospetti che, nell’interesse del mio cliente, sono venuto a disturbarti.

Caren. Di’, di’ pure.

Gamb. Io credo che la separazione avverrà nei modi più corretti. — Ma se mai non si potesse evitare un processo, vorrei pregarti, quando la contessa, or ora, verrà da te, di farle capire che sarebbe bene, che pigliasse un altro avvocato.

Caren. Ma che cosa c’è contro l’avvocato Corvini?

Gamb. (Abbassando la voce e accostandosi a Carenzi). Capirai, amico mio! Il Corvini....

Port. (Entra solenne, serio, con una carta di visita in un cabarè).

Gamb. (Si ferma).

Caren. (Con impazienza). Che cosa c’è?

Port. (Presentando la carta). C’è questa carta.

Caren. (Guarda la carta). Avvocato Corvini!... Che abbia la bontà di aspettare un momento.

Port. Sarà ubbidito. (Esce, poi torna).

Caren. Dunque il Corvini? (Sommesso).

Gamb. Capirai! (Sommesso). In una causa di separazione può dare da discorrere il fatto che la moglie scelga per suo consigliere un avvocato giovine e per di più suo cugino!

[7]

Caren. (Con sorpresa e sempre a bassa voce). Oh! Diamine! — Corvini è cugino della contessa?!

Gamb. Sicuro! E la cosa dà ai nervi del conte!

Caren. Io non posso immischiarmene. Piuttosto ne dirò una parola a mio figlio, che è intimo amico del Corvini.

Gamb. A proposito, tuo figlio si è laureato!

Caren. L’anno scorso. — E tornando all’argomento quale è stato in sostanza il primo principio di queste ire coniugali?

Gamb. Una cosa da nulla. Ma sai bene “Poca favilla gran fiamma seconda!” Una mattina il conte Leonardo dice alla contessa: Domattina alle cinque debbo partire per Novara; per non disturbarti dormirò nel mio appartamento. — La contessa lo ringrazia del riguardo gentile. — Il conte aggiunge che andava a Novara per un affare assai buono e prega la contessa di fargli dare dal di lei notaro otto o dieci mila lire; egli non voleva vendere cartelle perchè erano in ribasso e il momento era cattivo. La contessa gli risponde che se il momento era cattivo per lui lo era anche per lei. Il conte resta un po’ disgustato di questa risposta così secca: ci fu un po’ di diverbio; e il conte si alzò, prese il cappello e fece un gesto vivace di persona molto contrariata. — In quella entra la figlia; la ragazzina, vedendo il gesto del padre, si mette a gridare: Oh Dio! il babbo vuol picchiare la mamma! Il conte si mette a ridere e dice alla ragazzina: Eh scioccherella! Cosa ti sogni? ed esce. La mattina di poi parte per Novara; sta assente quel giorno; il giorno dopo è di ritorno per la colazione. — A [8] tavola la contessa, manda via la figliuola e dice al conte: Ho pensato che, per essere più libero, d’or innanzi sarà meglio che dormiate sempre nel vostro appartamento. — Il conte scherzando dice alla moglie: Hai l’aria di propormi una separazione! — E perchè no? Risponde duramente la contessa. — E il conte: Sarebbe forse un consiglio di Corvini che ho incontrato poco fa mentre usciva di casa nostra? — La contessa si fa pallida, risponde con mal piglio; nuovo battibecco e.... a farla corta fu decisa la separazione — ben inteso, separazione consensuale, con tutte le cautele perchè le apparenze rimanessero salve.

Caren. E non ci sarà rimedio?

Gamb. Se non ci riesci tu, ne dubito.

Caren. Hai parlato all’avvocato Corvini?

Gamb. Sai, c’è un po’ di freddezza fra noi: egli è un avvocato giovine, pieno di alterigia: poi in questo affare mi è sembrata poco corretta la sua condotta.

Caren. Basta, vedrò. (Suona il campanello).

Port. (Entra).

Caren. Fate entrare il signor avvocato Corvini.

Port. Sarà ubbidito. (Esce, poi torna).

Caren. Sai, non voglio farlo aspettare.

Gamb. Troppo giusto! — Ma vedi di liberare la contessa da questo benedetto cugino.

Caren. Cercherò.

Port. (Introducendo Corvini). Il signor avvocato Corvini. (Esce).

(Entra Corvini).

Corv. Signor presidente!

Caren. Signor avvocato! (Si stringono la mano).

[9]

Gamb. Oh caro collega! (Gli stende la mano).

Corv. Egregio avvocato! (Gli stringe la mano).

Gamb. (A Carenzi). A rivederci, amico mio!

Caren. A rivederci. (Si stringono la mano).

Gamb. (Esce).

SCENA TERZA. Carenzi e Corvini.

Caren. (Fra sè). (Sentiamo adesso quest’altra campana!) S’accomodi, avvocato.

Corv. Grazie; ma io non voglio disturbarla che per pochi minuti.

Caren. Come vuole. Dunque lei è l’avvocato della signora contessa Portanzio?

Corv. Sissignore.

Caren. Ed è anche suo cugino?

Corv. Nossignore.

Caren. (Sorpreso). Come? Non è cugino della contessa Eugenia?

Corv. Sono cugino del conte Leonardo: cugino germano; siamo figli di fratelli.

Caren. Sia pure; ma però, scusi, cugino germano del marito e avvocato della moglie!

Corv. La cosa è stata combinata di comune accordo.

Caren. (Sorpreso). Di comune accordo? Anche di suo cugino?

[10]

Corv. Anzi fu mio cugino che ne fece la proposta.

Caren. (Più sorpreso ancora). Diamine! Non capisco.

Corv. Volendo salvare tutti i riguardi necessari ad evitare le sfavorevoli supposizioni, mio cugino e sua moglie combinarono la cosa: fecero venire da Milano l’avvocato Gambardi vecchio e intimo amico di casa e già tutore di mio cugino e lo pregarono di patrocinarlo e pregarono me di patrocinare la contessa; così il mondo vedrebbe che tutto si faceva all’amichevole e proprio in famiglia.

Caren. (Sempre sorpreso)... All’amichevole.... in famiglia! Va bene; ma dopo tutto due coniugi non si separano senza un serio motivo!

Corv. Le dirò: mio cugino, come deputato, deve stare molto tempo a Roma, dove ha preso un appartamento nel palazzo di mia sorella Ernesta — la vedova del marchese Rama. Egli si è fatto socio al Club della Caccia, fa vita coi signori dell’aristocrazia, giovani eleganti.... e ci sono state delle anime pietose che hanno scritto a sua moglie che mio cugino fa vita galante, che dissipa, che giuoca. Ciò dispiacque alla contessa; ma non volendo scene lasciò correre.

Caren. Non voleva scene; ma poi le fece vivacissime dopo la gita del conte a Novara! Lei sa della gita del conte a Novara?

Corv. (Sorridendo un poco). Perfettamente.

Caren. Sa dei denari chiesti dal conte?

Corv. Di questo non so.

Caren. Saprà però che al ritorno del conte la contessa provocò una scena?...

Corv. Questo lo so.

[11]

Caren. Ma che diamine era avvenuto in quelle 36 ore che suo cugino era stato a Novara?

Corv. (Sorridendo un poco e abbassando la voce). Era avvenuto che mio cugino non era stato a Novara!

Caren. (Sorpreso e a bassa voce). Diamine! E dove era stato?

Corv. Era rimasto a Torino in incognito!

Caren. E la contessa lo seppe?!

Corv. Peggio ancora! Lo vide!

Caren. E dove lo vide?

Corv. Su un balcone dell’Hotel d’Europa.

Caren. Solo?

Corv. In compagnia!

Caren. Diamine, diamine!

Corv. Fu la ragazzina, la figlia della contessa che lo scoperse!

Caren. Oh diamine!

Corv. Disgrazia volle che la contessa e la ragazzina, invece di passare sotto i portici, traversassero la piazza da via Po a via Roma; arrivando sotto il grande albergo d’Europa, la ragazzina a un tratto gridò: Mamma, guarda lassù il babbo con quella bella signora! Fumano tutti e due!

Caren. Oh i ragazzi! — E la contessa?

Corv. Dissimulò e disse alla figlia: Ma che! tu sbagli! Somiglia al babbo! Ma non è lui! Il babbo è a Novara!

Caren. E così?

Corv. La mattina dopo la contessa mi fa chiamare: mi confida la faccenda; io cerco di persuaderla di non fare scandali, pensi che ha una figliola! Faccia un sacrificio per lei, eccetera e me ne vado.

[12]

Caren. E suo cugino?

Corv. Entrò in casa, a colezione contò su tutte le brighe, le noie, gli affari che aveva avuto a Novara!

Caren. (Un po’ sorridendo). A proposito!

Corv. Fu allora che la contessa, frenandosi a stento, gli disse: Penso che d’or in poi potrete dormire sempre nel vostro appartamento!

Caren. Cospetto, cospetto! Per cui il tentativo di riconciliazione, che io sono obbligato per legge di fare...?

Corv. Lo temo infruttuoso. Un altro tentativo ella potrebbe fare e sono venuto per interessarla a questo.

Caren. Mi dica.

Corv. Veda di persuadere mio cugino a lasciare la figlia alla madre. La contessa l’adora e ne è adorata!

Caren. Farò prima l’uno, poi l’altro tentativo. (Suona).

Corv. E con ciò, signor Presidente.... (Congedandosi).

Caren. A rivederlo, caro avvocato!

Port. (Entra).

Caren. Chi c’è di là?

Port. C’è il signor conte Portanzio.

Caren. Fatelo entrare!

Port. Debbo avvertirla che è arrivata anche la signora contessa.

Caren. Il conte è arrivato prima; entri lui.

Port. (Va all’uscio). Onorevole signor conte Portanzio.

(Entrano Eugenia e Leonardo)

Port. Scusino. — Solamente il signor conte!

Leon. (Con certa alterigia). Non mi seccare.... Caro signor Presidente!

[13]

Eug. Signor Presidente!

Caren. Riverisco la signora contessa e il signor conte!

Leon. (A Corvini). Oh cugino amatissimo!

Corv. Buon giorno. (Scambia saluto con Eugenia).

Caren. (Con sorriso agro-dolce). Perdonino; ma non posso permettere questa doppia infrazione alla legge.

Leon. Doppia infrazione?!

Caren. (Sorridendo c. s.). Un legislatore, un deputato dovrebbe conoscere la legge! La legge vieta, in simili casi, la presenza dei procuratori e dei consulenti. — Quindi scusi l’avvocato Corvini, ma lo metto alla porta! (Con modo scherzoso).

Corv. Ed io ci vado subito. (Saluta ed esce).

Caren. Di più la legge m’impone di sentire separatamente l’uno e l’altro coniuge: separatamente! Quindi bisogna che preghi la signora Contessa, venuta dopo, di ritirarsi per pochi minuti — poi di tornare perchè io parli anche a lei — separatamente! — poi pregherò il signor Conte di tornare perchè, secondo la legge, debbo parlare a tutti e due.

Leon. (Sorridendo con certa superiorità). Non le paiono formalità inutili?

Caren. (Austero). Saranno formalità inutili, ma io debbo dire nel processo verbale di averle compiute! Posso ridurle ai minimi termini, ma bisogna che le compia. (Al Portiere). Accompagnate la signora Contessa. (Ad Eugenia con modi amabilissimi, dandole la mano e accompagnandola). Pochissimi minuti, sa! (Eugenia esce seguita dal Portiere).

Caren. (Fra sè). (Questo onorevole mi dà ai nervi!)

[14]

SCENA QUARTA. Carenzi e Leonardo.

Caren. (Tornando, siede nella sua poltrona alla tavola e invita Leonardo a sedersi davanti alla tavola stessa, poi gli dice con certa autorità). Si accomodi!

Leon. Grazie! (Siede).

Caren. Ella dice formalità inutili?! — Se sapesse quanti coniugi si presentano al magistrato fermi, risoluti, irremovibili, di separarsi! Entrano lugubri, accigliati, minacciosi!... Ma eccoli davanti a questa tavola! Odono dal vecchio magistrato parole paterne, consigli inspirati alla serena morale della legge; alla analisi disinteressata delle conseguenze a cui si espongono, loro e i loro figli — se ne hanno — le loro figlie, specialmente! — non hanno più intorno nè patrocinatori, nè parenti — persone bravissime certo, ma naturalmente prevenute a favore dei rispettivi patrocinati, e allora, a poco a poco, si fanno pensosi, si commuovono, si guardano, si riconciliano, e se ne vanno a braccetto a casa a sigillare la pace!

Leon. Ella ha ragione di alludere ai patrocinatori, ai parenti!

Caren. Ci sono delle eccezioni. — Il vecchio suo amico avvocato Gambardi, per esempio; e il di lei cugino Corvini....

Leon. (Vivamente interrompendolo). Mio cugino avrebbe [15] fatto assai bene a non immischiarsi di questa faccenda!

Caren. Scusi; fu lei che lo propose alla Contessa.

Leon. (Vivamente). Rettifico! — non fui io!

Caren. (Fregandosi la fronte, come chi non si raccapezza). Ma se suo cugino mi ha detto....

Leon. Non cerco che cosa le abbia detto mio cugino. — Il fatto è che chi lo propose fu il vecchio avvocato Gambardi — non io!

Caren. (C. s.)... Ma se Gambardi invece, poco fa, qui, con me, disapprovava quella scelta!

Leon. Povero Gambardi! Si lasciò persuadere da mia moglie a proporre il Corvini; poi capì il suo sbaglio.

Caren. (C. s.). Sia com’esser si voglia. — Ci fu una scena, un diverbio fra lei e la sua signora, è vero?

Leon. A proposito di che?

Caren. Non chiese ella alla sua signora otto o dieci mila lire?

Leon. Sì!

Caren. Che la sua signora le rifiutò?

Leon. Al contrario, me le diede!

Caren. Ma che cosa allora mi ha raccontato Gambardi?!

Leon. Gambardi si sarà espresso male. Mia moglie al primo momento temè di non potermi favorire; ma poi mi disse che sentissi dal suo notaro — il notaro mi combinò la cosa e mi diede la somma.

Caren. Eh! Tanto meglio. — Ora mi dica: È possibile una riconciliazione?

Leon. Per parte mia, chi sa? Forse! È mia moglie che non vuol saperne. Pretende che ci sieno dei [16] motivi gravissimi!... C’è stato qualcuno che le ha scaldata la testa!

Caren. Ora parlerò con la sua signora. Ma, in ogni caso, perchè non lascierebbe lei la figlia presso la madre?

Leon. Ah questo mai! Mia figlia presso sua madre vorrebbe dire colpevole il padre; presso il padre, colpevole la madre!

Caren. Quindi la figlia, in un educandato!

Leon. Ci sono delle convenienze scambievoli da rispettare.

Caren. Ella è irremovibile?

Leon. Irremovibile.

Caren. (Suona il campanello).

Port. (Entrando, con tuono annoiato). Comandi.

Caren. (Impazientito al Portiere). L’ho detto altre volte che non mi accomoda quel vostro tuono di persona annoiata!

Port. Io annoiato?! Se anzi mi diverto moltissimo.

Caren. .... Pregate la signora Contessa di favorire qui.

Port. (Va al fondo). Signora Contessa Portanzio. (Entra Eugenia, Portiere esce).

Caren. Avanti, signora Contessa. (A Leonardo). Ella ha la bontà di ritirarsi e di attendere di là pochi momenti.

Leon. Mi raccomando, pochi minuti; sa, noi deputati abbiamo tante brighe, tanti affari!

Caren. Non dubiti!

Leon. (s’inchina ed esce).

[17]

SCENA QUINTA. Carenzi e Eugenia.

Caren. (Spinge una poltrona più vistosa delle altre e l’offre cortesemente ad Eugenia). La prego, signora Contessa!

Eug. (Seria, freddissima). Grazie (siede).

Caren. (Sedendole vicino, con modi paterni, ma seri). Dunque, signora Contessa, si confidi con me! Sono proprio così gravi i motivi di questa separazione?

Eug. (Sempre sforzandosi di parere calma e indifferente). Non c’è nessun grave motivo.

Caren. (Fa un movimento leggermente nervoso).

Eug. Incompatibilità di carattere!

Caren. L’incompatibilità di carattere non è che una frase dell’uso. — L’art. 150 del Codice non pone altre cause di separazione che gli eccessi, le sevizie, le minaccie, le ingiurie gravi e.... l’adulterio! — scusi la parola!... — e il Codice aggiunge che l’adulterio del marito non guasta! — Noi non siamo in nessuno di questi casi?!

Eug. Tutt’altro.

Caren. Infatti il loro ricorso dichiara separazione volontaria, consensuale.... eh?

Eug. (Sempre calma, fredda e così in seguito sino ad altra indicazione). Appunto.

Caren. L’art. 811 del Codice di procedura m’impone [18] di richiamare i suoi più seri riflessi sulle conseguenze di una separazione.

Eug. (C. s.) Le conosco tutte.

Caren. E ci ha pensato su bene?

Eug. Sissignore!

Caren. Ha riflettuto che il mondo, in queste separazioni, non crede mai al mutuo consenso?

Eug. (Tace).

Caren. Il mondo invece cerca, fruga, vuole scuriosirsi sui misteri del dietro-scena.

Eug. (C. s.). Cerchi fin che vuole!

Caren. Capisco che loro hanno preso tutte le precauzioni per non dare appigli alle curiosità del mondo. — Ma il mondo si rassegnerà a questa delusione delle sue curiosità? Quello che egli non avrà trovato, lo inventerà! — E badi che il mondo corteggia volontieri una bella e gentile signora separata dal marito. — Oh ella avrà intorno un nuvolo di confortatori pieni di una compassione tenerissima — ma tutt’altro che platonica! — una moglie senza il marito è un’occasione mollo appetitosa! Ed ella dovrà o condannarsi a una solitudine monastica, o rassegnarsi alla maldicenza! Perchè il mondo corteggia, adula.... ma è sempre sfavorevolmente prevenuto contro una donna divisa dallo sposo! Egli, a buon conto, la chiama una mal maritata!

Eug. (Crolla il capo sospirando). Se non fosse che questo!

Caren. (Con interesse accostandosi). C’è di peggio, eh?

Eug. (Ripigliando la sua fredda calma). No, no, non c’è niente.

[19]

Caren. (C. s.). Qualche galanteria del Conte?

Eug. (C. s.). Nossignore.

Caren. Un po’ di dissipazione.

Eug. Nossignore.

Caren. .... Qualche di lui gelosia?

Eug. Sarebbe un’infamia!

Caren. (Fissandola).... Capisco! La figliuola, eh?

Eug. (Ha un improvviso impeto di commozione, ma è istantaneo e subito si padroneggia). Poverina!

Caren. Sarà messa in un educandato!

Eug. (Combattendo la sua emozione). Sissignore.

Caren. E la ragazzina ci andrà volentieri?

Eug. (C. s.). Ci andrà.

Caren. M’hanno detto che lei le vuole molto bene.

Eug. (C. s.). È un angelo!

Caren. E la ragazzina vorrà bene alla sua mamma.

Eug. (Combattendo con crescente sforzo la sua commozione e si vede che sta per prorompere). Poverina, tanto! Oh tanto, poverina!...

Caren. E le dispiacerà, è vero? di lasciare la sua mamma.

Eug. (C. s.). Sissignore.... le dispiace!...

Caren. Sarà un distacco doloroso!

Eug. (Prorompe in pianto, sforzandosi invano di contenersi.)

Caren. (Si alza per confortarla, ma è vinto anche lui dalla commozione; poi si ricompone, si calma, e coi suoi modi seri ma amorevoli, avvicinatosi, le dice:) Vediamo, vediamo, signora Contessa! Si ricomponga! Si metta quieta! — Voglio fare un tentativo.

Eug. Di riconciliazione, no!

[20]

Caren. Un altro.

Eug. Quale?

Caren. Voglio tentare di persuadere suo marito a lasciare a lei la figliuola.

Eug. Oh! magari!... Ma sarà un tentativo inutile.

Caren. (Suonando il campanello). Mi lasci provare.

Port. (Con intonazione di buon umore, ma senza buffoneria). Comandi.

Caren. Fate entrare il signor Conte.

Port. (Va all’uscio di fondo). Si accomodi l’onorevole Conte Portanzio.

(Leonardo entra, Portiere esce).

SCENA SESTA. Carenzi, Eugenia e Leonardo.

Caren. Si accomodi, onorevole.

Leon. Grazie.

Caren. (Siede sul suo seggiolone al tavolo — i due seggono avanti a lui — solenne e come ripetendo una frase d’uso). Signori, non ho bisogno di raccomandare loro in questo incontro.... (Intanto esamina e ordina delle carte, ma senza interrompersi).... in questo incontro tutta quella compostezza, temperanza e serietà di modi, frasi, parole e intonazioni di voce che si addicono a persone educate e gentili.

Leon. (Un po’ piccato). È una raccomandazione di cui, mi scusi, non sentivo proprio il bisogno.

[21]

Eug. (Leggermente sardonica, appoggiata indietro alla sua poltrona e tornando ai suoi modi di ostentata calma e freddezza, e così sempre sino a nuova indicazione). E neppur io, signor Presidente!

Caren. Meglio così! — Io sto per chiamare il Cancelliere e fargli stendere il processo verbale della loro ultima risoluzione; io mi lusingo ancora che questa loro risoluzione non sarà quella di separarsi, ma di riconciliarsi.

Leon. Da parte mia, l’ho detto or ora al signor Presidente, non desidererei di meglio.

Eug. (senza muoversi e colla maggiore calma e freddezza). Questa è un’ipocrisia!

Leon. (Cominciando a esacerbarsi). Eugenia! vi prego!

Caren. Signora Contessa!

Eug. (C. s.). Sì, un’ipocrisia! Perchè egli dice così unicamente perchè sa che non accetterei io!

Caren. E perchè non accetterebbe? — In sostanza tra loro non ci sono poi rancori implacabili, stizze invelenite! Qualche fatto di poco rilievo — in un momento di malumore, una parola vivace, acerba forse....

Leon. Non fui io che la dissi!

Eug. (C. s.). La dissi forse io?

Leon. (Un po’ vivamente). Voi, sì!

Eug. (C. s.). Sentirò volentieri che cosa vi dissi!

Leon, (ripete le parole ch’egli attribuisce ad Eugenia con l’intonazione sgarbata che essa, secondo lui, adoprò). Voi mi diceste: “D’ora in poi v’invito a dormire sempre nel vostro appartamento!”

Eug. (C. s. sempre senza muoversi). Non è mica vero sa, signor Presidente!

[22]

Leon. (Piccato). Come! non è vero?

Eug. (C. s.). Io vi dissi, così, sorridendo....

Leon. (Con fuoco). No, sorridendo!

Eug. (Sempre placida ma con maggiore insistenza). Sorridendo!

Leon. Sì, sorridendo con sorriso beffardo e provocante!

Eug. (C. s.). Ma sorridendo!... E vi dissi: Se i vostri affari....

Leon. (Vivamente). Voi diceste i vostri pretesi affari!

Eug. (C. s.). Buon Dio! Volete che pigliassi sul serio degli affari che vi obbligavano a partire per Novara alle 5, salvo a non partire e a restarvene a Torino?

Leon. Partii alle undici!

Eug. (Sempre pacifica). Non è vero!

Leon. (Piccato di questa mentita). Eugenia!

Caren. (Ad Eugenia). Signora Contessa, freni le sue mentite!

Eug. (Correggendosi, ma per canzonatura). Vi domando perdono.... ma non è vero!

Leon. (Sempre più scaldandosi). Partii alle undici! Ma il vostro.... patrocinatore! il caro cugino Corvini, avendomi incontrato alle dieci, corse subito a rivelarvi il gran segreto!

Eug. Vi torno a dimandare perdono, ma anche questo è falso! Fui io che vi vidi! e non alle undici! ma alle tre! — all’Europa! — mentre fumavate con quella signora! Vostro cugino è troppo gentiluomo per commettere certe indiscrezioni!

Leon. (Alzando le spalle). Gentiluomo!... Gentiluomo!...

Eug. Più gentiluomo di.... di qualche altro!

Leon. Dite addirittura di me!

[23]

Eug. (Sempre pacifica). E perchè no?

Caren. Signora Contessa!... La prego!...

Leon. (Irritatissimo). Viva Dio! Almeno per rispetto al magistrato che ci ascolta, abbiate la prudenza di non tradire i vostri entusiasmi per il vostro.... avvocato.

Eug. (C. s.). Volevate dire il mio amante?

Leon. E perchè no?

Caren. Signori, li invito.... Invito il signor Conte!...

Eug. (Animandosi e dirizzandosi un po’ sulla poltrona). Vostro cugino è almeno abbastanza gentiluomo per non alzare la mano sopra una donna!

Leon. (Stizzito al sommo). Eugenia!

Caren. Invito la signora Contessa....

Eug. (Senza interrompersi e crescendo e all’ultimo scoppiando)... È abbastanza gentiluomo per non farsi prestare una somma col pretesto di affari importanti, che si riducono o ai vostri debiti di giuoco.... o ai debiti di quella Signora che visitavate all’Europa.

Leon. (Fuori di sè). Voi dite cose così enormi.... (Si alza).

Caren. Ma, signori, insomma!...

Eug. Non lo negate, ve’! Delle vostre minacce, della vostra presenza all’Europa con quella Signora vi addurrò una testimonianza da farvi abbruciare la faccia per il rossore! — la testimonianza di vostra figlia! (Si alza battendo la mano sulla tavola).

Leon. Ah! viva il cielo!

Caren. (Perduta la pazienza, dà una scampanellata).

Port. (Entra).

Caren. (Subito con impeto). Il Cancelliere! Subito!

[24]

Port. Eccolo pronto!

Eug. (Si getta a sedere ansante di ira).

Leon. (Passeggia inferocito).

(Entra subito il Cancelliere).

Caren. Segga e scriva.

Cancell. (Siede e si accinge a scrivere).

Caren. Addì, eccetera — Comparsi davanti di me...

(Intanto cala la tela).


[25]

ATTO SECONDO.

Grande e ricca sala dello stabilimento balneario di Andorno, a piano terreno. In fondo gran terrazza a fiori, statue, ecc., con veduta di paesaggio montuoso. Usci laterali a destra e a sinistra. In fondo, pianoforte. Sofà, poltrone, sedie, variamente disposte. Tavole con sopra giornali, libri, ecc. Tavolini con l’occorrente per scrivere.

SCENA PRIMA.

Forestieri d’ambi i sessi formano vari gruppi. Altri sono seduti, altri in piedi; chi legge, chi fa allegra conversazione. Qualcuno potrebbe suonare il pianoforte. Il Corrispondente del Fanfulla sta ad un tavolino scrivendo, e non fa che scrivere durante il dialogo seguente, sino a nuova indicazione. — Dopo levato il sipario e un breve intervallo, entra il Dottore uscendo dal 1º uscio laterale di destra.

1.ª Sig. (Vedendo il dottore gli va incontro). Dottore, dottore....

Dott. Eccomi, principessa.

1.ª Sig. Ci dia notizie della marchesa Ernesta. (Altri signori e signore si avvicinano per udire le notizie).

[26]

Dott. C’è qualche miglioramento. Io ho grande fiducia nella cura idropatica del nostro stabilimento. Fra le stazioni balnearie questa nostra di Andorno è fra le più benefiche.

2.ª Sig. Continua ad avere quei suoi deliqui?

Dott. Oh rarissime volte; se non è colta da qualche improvvisa commozione, non ha più deliqui.

1.º Sig. Oh tanto meglio!

1.ª Sig. Ah sì! Perchè è affliggente vedere una signora bella, amabile, venire in società sostenuta dalla cameriera.

Corrisp. (S’è alzato ed è venuto a prender parte alla conversazione).

Dott. Cosa vogliono? Di regola i miei ammalati godono buona salute; e io ne ho piacere perchè quelli lì è più facile guarirli. — Ma di quando in quando capita anche un ammalato vero; e come si fa? Bisogna rassegnarsi.

Corrisp. Dottore, e la ragione della malattia della marchesa? Come corrispondente di un giornale indipendente debbo essere ben informato! Dunque?...

Dott. Isterismo, nervi.

Corrisp. (Scrivendo). Un amore infelice....

1.º Sig. Fece un così bel matrimonio!

2.º Sig. Per fare un bel matrimonio, non basta un marito ricco e nobile!

2.ª Sig. Ci vuole un marito giovine!

1.º Sig. Anzi, si parlava di una separazione!

Dott. (Sorridendo) Oh! Ci fu ben più che separazione!

Sig.i e Sig.e (Con curiosità). E che cosa ci fu? — Ci dica!...

Dott. (C. s.). Sciolto il matrimonio!

[27]

1.ª Sig. Eh! impossibile! La nostra legge non permette di divorziarsi!

Dott. Ma la nostra legge permette di morire!

Corrisp. (Scrivendo) ..... il dottore ha detto un motto arguto. Mi fa senso.

2.ª Sig. La marchesa Ernesta non è dunque una moglie separata!

1.ª Sig. Non ci mancherebbe altro! Basta bene che ne abbiamo una delle mogli separate!

Sig.i e Sig.e Chi? Chi è?...

Corrisp. (Viene avanti). Chi è? Come corrispondente debbo sapere....

1.ª Sig. La contessa Eugenia Portanzio.

Sig. e Sig. La contessa è qui? Da quando?

Dott. Da ieri.

1.º Sig. È malata anche lei?

Dott. No: è venuta a trovare la signora marchesa Ernesta — che è cugina del conte Leonardo — e grande, intima amica della contessa Eugenia.

1.ª Sig. Il conte Leonardo a Roma ha un appartamento nel palazzo della marchesa di lui cugina.

1.º Sig. Cioè, lo aveva, ma non lo ha più.

1.ª Sig. (Un po’ impazientita). Lo aveva, lo ha.... è poi tutt’uno.

Dott. E sta per arrivare qui anche la figlia della contessa Eugenia, la contessina Clelia.

1.ª Sig. (Sottolineando). Viene con la bella ed elegante sua istitutrice!

2.ª Sig. Ma la figlia della contessa Eugenia non era stata messa in educandato?

1.ª Sig. Ci fu messa al momento della separazione dei coniugi Portanzio; ma dopo due anni il conte [28] la prese con sè e le diede una istitutrice! — La contessa voleva invocare i patti della separazione, ma il medico del conte disse che la giovine soffriva in educandato — e la contessa si arrese; e allora il conte sentì il bisogno di una istitutrice, bella, giovine!...

Dott. Per gli studi della figlia, ben inteso!

1.ª Sig. Per gli studi della figlia; è ben quello che dico!... E per gli studi anche del padre!

Voci. Oh! Come!

1.ª Sig. Si vocifera che il misterioso corrispondente da Roma al giornale di Bismarck a Berlino sia lui! E siccome lui non sa il tedesco, si pretende che le corrispondenze gliele scriva la istitutrice!

1.º Sig. Oh! un deputato, corrispondente del giornale del Gran Cancelliere!

(Disapprovazione).

1.ª Sig. Ma!... dicono che è rovinato — e che s’ingegni con quelle corrispondenze a tentare dei giuochi di borsa!

(Altra disapprovazione).

Dott. (Per deviare le malignità). Sicuro! — La contessa ha telegrafato alla figlia, che era a Viareggio, di venire a passare qui qualche giorno con lei.

2.ª Sig. Per cui la figlia sta col padre, eh?

1.ª Sig. Ci sta già da due anni.

2.ª Sig. E non era meglio darla alla madre?

1.ª Sig. Brava! E l’istitutrice?

Corrisp. Lasciarla al padre!

(Si ride).

1.ª Sig. Il padre ha voluto la figlia per darle l’istitutrice. — Così la cosa è corretta e nessuno può [29] trovarci da malignare! (Sogghignando e guardando gli altri).

(Gli altri sogghignano).

Dott. (Sogghignando). Difatti nessuno ci trova da malignare.

(Il Corrisp. si volge ridendo a guardare il dottore).

Dott. (Osservandolo). Tranne forse questo capo ameno, del quale leggeremo presto la corrispondenza arguta nel suo giornale!

1.ª Sig. (Al Corrispondente). Oh! A proposito! Lei nell’ultima sua corrispondenza al Fanfulla ha descritta la mia toletta al ballo della settimana scorsa senza imbroccarne una! Ha sbagliato il colore, il taglio dell’abito, la pettinatura.... sino il colore delle scarpe!... Mi ha vestita proprio in un modo detestabile!

Corrisp. (Con scherzo garbato). Sono pronto a spogliarla!

1.ª Sig. (Seguendo lo scherzo con garbo). Ma per rivestirmi meglio, eh!

Corrisp. Sì, principessa! Subito dopo!

SCENA SECONDA. Detti, Corvini dal fondo, da viaggio, seguito da un Cameriere dello Stabilimento che resta in fondo.

Dott. (Incontrandolo). Oh signor avvocato! Bene arrivato!

Corv. Caro dottore!... Che camera mi assegna?

[30]

Dott. Il 20, accanto alla sua signora sorella la marchesa Ernesta.

Corv. E come va mia sorella? (Con premura).

Dott. Un po’ meglio.

Corv. I deliqui? La debolezza?

Dott. Meglio, meglio! Massime dopo l’arrivo della signora contessa Eugenia!

Corv. (Sorpreso). La contessa è qui?

Dott. Arrivò ieri. La di lei sorella le aveva scritto una lettera un po’ malinconica!...

Corv. Come a me!... Ma c’è qualcosa di serio?

Dott. No affatto. — Sua sorella esagera i suoi disturbi! È un temperamento così impressionabile!...

Corv. E dove è ora?

Dott. Ora sta facendo la cura. — La contessa Eugenia è con lei.

Corv. Allora io vado a fare un po’ di toletta. Addio, dottore. (S’avvia).

Dott. A rivederlo.

1.ª Sig. Ma, Corvini! È proprio vero che non mi riconosce più?

Corv. Oh, Principessa! Non la credevo qui ad Andorno.

1.ª Sig. Speriamo che lei ci porti una nuova mercanzia da immagazzinare.

Corv. Quale mercanzia?

1.ª Sig. (Ridendo). Mercanzia di conversazione!

Corrisp. Ossia di maldicenza!

Corv. La mercanzia vecchia è già smaltita?

Corrisp. Oh tutta, ce ne fosse! Fortuna che non c’è pericolo che i magazzini di una stazione balnearia restino mai vuoti di quella mercanzia lì. Ogni treno [31] che arriva ne porta dei vagoni pieni! e noi corrispondenti ce la riportiamo, e la mandiamo a Roma, a Milano, a Napoli, da per tutto! — E le chiamano stazioni balnearie! Io le chiamerei stazioni di smistamento!

Corv. Scommetto che lei manda al suo giornale questa prosa!

1.ª Sig. E i lettori la troveranno spiritosa?

Corrisp. Per cinque centesimi non possono poi avere troppe pretese.

(Suona una campana).

Dott. Signori, la colazione!

(Tutti lentamente si avviano).

Corrisp. (Scrivendo). “Sarà continuato.” (Via cogli altri).

Dott. (A Corvini che resta). E lei, avvocato?

Corv. Mia sorella fa colazione a tavola rotonda?

Dott. No: in camera sua con la contessa.

Corv. Allora, starò con mia sorella.

Dott. (Guardando verso destra). Oh guardi! Ecco la contessa!

(Eugenia entra da destra).

Corv. (Incontrandola con affettuosa premura). Oh Eugenia! Cara Eugenia!

Eug. (Con gioia spontanea). Voi, Rodolfo! Voi qui?!

(Si stringono affettuosamente le mani).

Dott. Signori, vado a colazione! (Esce dal fondo).

[32]

SCENA TERZA. Eugenia e Corvini.

Eug. Ma come mai siete qui?

Corv. Leggendo nella vostra lettera che voi venivate a Andorno da mia sorella — invece di andare a Viareggio da vostra figlia — mi sono un po’ allarmato sulla salute di Ernesta! Senza un grave motivo non avreste rinunziato a trovarvi colla vostra Clelia.

Eug. Oh! Non ci ho rinunziato! Le ho scritto di venire qui; arriverà oggi: tre mesi che non la vedo! Ne ho un gran bisogno, ve’, di vederla! E lei pure ha bisogno di vedermi, di stare un po’ con sua madre! — Si fa di tutto per alienarne l’animo! L’ultima volta che la vidi, mi fece male! Fredda, frivola!...

Corv. Ma quella istitutrice?

Eug. (Con impeto). Non parlatemi di quella donna! Parliamo di vostra sorella. — Sta terminando la sua cura e viene qui in sala.

Corv. Il dottore mi ha detto che va meglio; che i deliqui sono diradati; diminuite le debolezze!

Eug. Eh, se non ci fosse altro!

Corv. Ma che c’è?

Eug. Non è facile a spiegarsi! Io stessa, che sono la sua più intima amica....

Corv. Dite pure l’unica sua amica!

[33]

Eug. Ebbene io stessa non riesco a rendermi conto di ciò che passa dentro all’anima di quella creatura!

Corv. E sì che per altro con voi si confida!

Eug. Si confida, sì, ma non interamente! Mi parla d’inquietudini morali; nell’ultima sua lettera c’era una parola cancellata; cancellata con cura; ma io riescii a leggere rimorsi! V’immaginate voi di rimorsi in quella creatura lì?

Corv. Io credo che alle sue tristezze contribuisca molto l’isolamento in cui vive! In quella sua solitudine essa si fissa su certe preoccupazioni, se le esagera, se le inacerbisce!

Eug. C’è qualcosa infatti che essa mi cela. Dacchè son qui non fo che adoperare tutte le arti che l’affetto m’ispira per farla parlare, e non dispero; a forza di parole amorevoli, a forza d’insistenze, ho fiducia di riescire! Mi renderò magari noiosa!... ma la mia tenerezza la vincerà!

Corv. (Con espansione). Angelo! Angelo! Grazie! Grazie per mia sorella! (Le bacia la mano). E per me! (Vorrebbe ribaciarle la mano).

Eug. (La ritira). Per vostra sorella passi! Ma basta! Vi ho detto altre volte che non vi permetto questi entusiasmi troppo famigliari!

Corv. Non intendo di offendervi! Infine tra cugini....

Eug. Se non avessi sposato Leonardo, noi due non ci si conoscerebbe neppure!

Corv. Bell’affare fu quello di sposare Leonardo! (Con certo scoppio di stizza). Un imbecille....

Eug. (Per interromperlo). Rodolfo!

[34]

Corv. (Senza interrompersi). Che invece di apprezzare il tesoro che gli era toccato....

Eug. (C. s., con più forza). Rodolfo!

Corv. (C. s.) .... contro ogni suo merito, va invece a cercare....

Eug. (Con più forza ancora). Ma Rodolfo!

Corv. (Con viva impazienza si corregge). Ah, sentite, Eugenia! Quando quattro anni fa io dovetti occuparmi della vostra separazione e dovetti approfondire le brutte, le sconce mostruosità di quella separazione, e potei vedere, valutare la virtuosa abnegazione della vostra anima. (Con discorso disordinato per passione). Avevate veduta una mano villana levata su voi.... e avevate perdonato! — e avevate conceduto una nuova somma di denaro.... a dei bisogni di giuoco e di vizio! — Vi giuro che, allora, quello che provai per voi, fu un tale sentimento di ammirazione, di venerazione.... che a chiamarlo amore, parola d’onore, sarebbe profanarlo!

Eug. (Commossa, ma dominandosi, vincendosi). Basta, Rodolfo! Non voglio queste parole!... Non vi dico, rispettatemi! — Vi dico.... come vi dirò? Vi dico, abbiate pietà!... Guardate! Io ho della forza, del coraggio; ho una certa fibra resistente, elastica.... alle volte mi piego sotto il peso delle amarezze, delle difficoltà della mia esistenza: poi mi rialzo, trovo della calma, anche della serenità.... quasi del buon umore!... Ma non rendetemi più difficili da vincere le battaglie.... a cui è condannata la mia povera anima!... (Starebbe per soggiacere alla sua emozione, ma con uno sforzo si domina e ripiglia con una specie di serenità). Là, là!... Voi ed io siamo [35] qui per vostra sorella; non occupiamoci che di lei! (Guardando verso il fondo). Ah! eccola! (Le va incontro).

Corv. (Del pari).

SCENA QUARTA. Detti, Ernesta, la Cameriera, poi Clelia, Ester e il Dottore.

Eug. (Ad Ernesta). Guarda, Ernesta, che bella visita!

Ern. (Si appoggia al braccio della Cameriera, e coll’altra mano si regge ad un bastoncino elegante. — Non sia esagerato il di lei zoppicare). Oh! Rodolfo! Caro Rodolfo!

Corv. Sono io! (Abbraccia e bacia Ernesta).

Ern. Bravo Rodolfo! Sei venuto a trovarmi! (Aiutata dalla Cameriera siede a destra sopra una poltrona, avanti).

Dott. (Entrando con premura in atto di annunziare persone che arrivano). Signora contessa, le annunzio la sua figliuola!

(Entrano Clelia ed Ester dal fondo. — Abbigliamenti eleganti tutt’e due. Ester dev’essere giovine e avvenente molto).

Eug. (Correndo ad abbracciare Clelia con grande trasporto). Oh Clelia! Clelia mia! Ah che ti baci finalmente!

Clel. Sì, mamma, che ti baci anch’io, cara mammetta! [36] (Scherzosa). Ma ohi! dico! tu mi schiacci il mio cappello!

Eug. (Tra scherzosa e nervosa). Poco male, carina! Te ne ho portati due nuovi!

Clel. Ah! Che brava mammina! — Oh la cugina Ernesta! (Si scioglie da Eugenia e va da Ernesta). Cara cugina! Come stai! (Abbracci e baci).

Ern. Così.... non c’è male!

Clel. Cammini già da te? (Senz’aspettare risposta, vedendo Corvini). Oh caro cugino! Anche tu qui?

Corv. Sicuro!... Ma.... (A bassa voce). (.... stai colla mamma! È un secolo che non la vedi!)

Clel. (Sorridendo). (Oh un secolo! Sono appena due mesi!)

Corv. (Fa un movimento nervoso).

Ester. (Venuta avanti ad Eugenia). Ben trovata, signora Contessa! Come sta?

Eug. (Freddamente). Benissimo!

Ester. (Va ad Ernesta). E la signora marchesa, come sta?

Ern. (Secca). Bene!

Ester. (Con affettata gentilezza). Anch’io sto benissimo: le ringrazio tanto tutt’e due della loro premura. — Cara Clelia, ti aspetto in camera per la toletta. (Esce).

Eug. E il babbo?

Clel. È a Roma: ha molto da lavorare; ma scrive a madamigella quasi tutti i giorni.

Eug. (Carezzando Clelia). Va bene!... Ma vieni qua, che ti osservi! Ma sai che ti trovo sempre più bella?

Clel. (Piano ad Eugenia). (Ohi, mamma! Sono fidanzata!)

[37]

Eug. (Stupita con amarezza). (Fidanzata? Come fidanzata?!)

Clel. (Io non so se si dice così. — Ma c’è un giovine che mi ha fatta chiedere.)

Eug. (E chi è?)

Clel. (È il figlio di quel presidente del Tribunale che celebrò la tua separazione!)

Eug. (Con amaro sorriso). (Non si dice celebrò!)

Clel. (Come si dice?)

Eug. (Si dice....)

Clel. (Senza aspettare la risposta). (È un bel giovine, sai!)

Eug. (E ti vuol bene?)

Clel. (Naturale!)

Eug. (E tu lo ami?)

Clel. (Naturale! Sai, ha fatto una eredità di un milione! Non ti pare una bella fortuna?)

Eug. (È certo che....)

Clel. (Senza aspettare risposta). (Nota che adesso sono tutta in disordine per il viaggio! Mi vedrai quando avrò fatto toletta!)

Eug. Senti, cara, prega la tua madamigella Ester che ti abitui, quando hai fatto una dimanda, ad aspettare la risposta.

Clel. Voi altri ce l’avete con madamigella Ester! E invece essa mi vuol tanto bene, e vuol tanto bene anche a papà!

(Azione di Eugenia, Ernesta e Corvini).

Eug. (Frenandosi). Va bene! ma abituati....

Clel. Sì, mammetta cara!

Eug. Perchè, vedi....

Clel. Sì, mammina mia! E allora vado a farmi bella! [38] (Corre ad Ernesta). A rivederci fra poco, cugina! (A Corvini). A rivederci, cugino! — A rivederci, mamma!

Eug. Vengo con te, ad aiutarti!

Clel. Grazie, non incomodarti. — Madamigella Ester è tanto buona, tanto brava! Dunque vado! Che poi ho anche fame! — A rivederci tutti! (Ad Eugenia). Un altro bacio; e vengo poi a vedere i due cappellini! (Corre via dal fondo).

Corv. (Nervosissimo del contegno di Clelia).... Vado anch’io a farmi bello! (Prende a braccio il Dottore). Venga, dottore.... venga a prepararmi un calmante! (Esce col Dottore).

SCENA QUINTA. Ernesta e Eugenia.

Eug. (Amareggiata, irritata, passeggiando). Hai veduto, Ernesta mia? Hai sentita la mia signora figliuola? (Osserva Ernesta che sembra sofferente), Ernesta!... Ernesta!... Ti senti male?

Ern. (Ripigliandosi). No, cara! Una cosa da nulla! Mi passa!

Eug. Ma che cosa è stato?

Ern. Nulla, ti dico! — Un’impressione, una fantasticheria! — Non ci badare! — Nervi, dice il Dottore!

Eug. (Sedendole accanto). Insomma io voglio che tu mi apra tutto l’animo tuo! — Mi credi forse indegna [39] delle tue confidenze? Mi credi forse incapace di comprendere i misteri del cuore di una donna? — Ah Ernesta! Non ho che da guardare dentro al mio cuore per comprenderli!

Ern. (Con grande e penosa sorpresa). Tu?! Tu, Eugenia!?

Eug. Ah ah! Ti stupisci?! Vuoi che ti parli di me? Che ti sveli il mio animo, per incoraggiarti a svelarmi il tuo?

Ern. E che cosa puoi tu avere da svelarmi?!

Eug. Ma di’! Mi pigli forse per una qualche monachella impastata coll’acqua santa?

Ern. Ti credo onesta!

Eug. E lo sono!... Ma non per virtù, sai! Lo sono per orgoglio!

Ern. Ah Eugenia!... Sii e rimani sempre onesta!

Eug. Sì, sì! — Ma questo non vuol dire che io non abbia sentito dentro di me svanire, dileguarsi ad una ad una tutte le attrattive, tutte le gioie, tutte le speranze di cui una volta mi era tanto caro abbellire, idealizzare la virtù! La virtù, che trova la sua forza e il suo premio negli affetti puri e dolci di sposa, di madre, di famiglia; ah Dio! che paradiso! e come è facile allora e piacevole essere virtuosi!

Ern. (Con strano accento, guardando fissa in terra). Ah Eugenia! Come hai ragione!

Eug. Ma io!? (Con amaro sorriso). Mio marito!... Scrive quasi tutti i giorni alla sua.... istitutrice!! Mia figlia?... Hai veduto come quella donna le abbia soffocato ogni sentimento figliale! Clelia, che una volta aveva per me una vera adorazione, adesso [40] non sa mica più che cosa voglia dire avere una madre! Essa si crede quasi figlia di colei! E colei mi usurpa, mi ruba la tenerezza dovuta a me! Io sono ormai un’estranea per mia figlia! E dev’essere così! Diamine! Sì, io le ho portato due cappellini — essa mi ha dato due baci — il conto è saldato! — Ma non sono più io che l’aiuto a farsi bella! — È quell’altra! Non sono più io che divido con suo padre la cura del suo collocamento! È quell’altra! Tutto, sempre quell’altra!... Io? Io sono una separata! Che vuol dire una moglie senza marito, una madre senza la sua creatura; una donna giovine senza diritto alla sua gioventù! — Parlate di virtù a questa separata?! Quale virtù? Quella che le brave persone, le signore per bene sanno calpestare senza farsi scorgere e godendosela infinitamente? — No, no! Dio voglia che io conservi il mio orgoglio! Ecco la mia virtù! l’orgoglio di resistere da me, nell’abbandono, nel silenzio, nella solitudine di una casa vuota, al mio vertiginoso tumulto di ricordi, di sentimenti, di desideri, di privazioni, di disperazioni! — Perchè l’anima, cara mia, dicono che è pensiero, ma l’anima di una donna è amore! E quando non si può amare di amore legittimo, si ama.... di un altro amore! (Si alza vivamente).

Ern. (Affettuosamente spaventata). Ah mio Dio! Eugenia! Tu fai delle confessioni così arrischiate!....

Eug. (Ripigliandosi). Ti faccio queste confessioni per darti l’esempio della piena confidenza!

Ern. .... Ma ho io inteso bene?! Tu ami?!

Eug. Amo un uomo che non ha mai avuto da me [41] neppure una parola! un uomo, che forse mi ama, ma che è troppo onesto per non rispettarmi!

Ern. (Con profonda amarezza). Onesto! Onesto! Ma sei poi bene sicura che sia onesto?

Eug. Tuo fratello! (Con forza).

Ern. (Con gran sorpresa). Rodolfo?! Tu ami Rodolfo?!

Eug. Tu vedi che ti ho dato l’esempio della franchezza, della fiducia! — Voglio il ricambio! Su, considerami come una vera sorella! Confidenza per confidenza! Su, da brava!

Ern. (Dopo una breve esitazione).... Sia come vuoi! Cara Eugenia, se tu ami, io ho amato! Ho amato un uomo che avevo amato da giovinetta, prima che mi maritassero a quel vecchio!

Eug. E.... continuasti ad amarlo... anche dopo?!

Ern. Credevo d’averlo dimenticato, ma alcuni anni dopo lo rividi....

Eug. E l’ami ancora!?

Ern. Ah no! — L’odio, lo detesto in proporzione dei dolori, delle angoscie, dei rimorsi, — sì, Eugenia, — dei rimorsi che egli mi ha procurato!

Eug. (Come sbigottita). Rimorsi!?

Ern. Oh Eugenia! Quell’orgoglio che è la tua virtù per me fu perduto! Quella gioia immensa.... che io avevo sperata, aspettata ansiosamente dal nodo benedetto da Dio... per me non fu che il frutto della colpa!... fu la condanna alle ipocrisie impostemi dalla necessità di nascondere, a costo di queste mie sofferenze insanabili, la mia vergogna!... (Una pausa).

Eug. .... E.... adesso?...

Ern. (Sommessamente con dolore). Povero piccino.... È ammalato!

[42]

Eug. E dov’è?

Ern. È a due soli chilometri di qui; presso la nutrice a cui lo consegnai due anni fa!

Eug. Due anni fa? — Non andasti a passare l’estate in Germania?

Ern. Lo lasciai credere!

Eug. .... E adesso è ammalato?

Ern. (Con dolore). E io non mi posso muovere! E non posso averne notizie! — Scrissi a un vecchio cameriere di mio padre, l’unico confidente.... mi ha veduta nascere.... mi vuol bene come fossi sua figlia!... Sta a Biella.... Io gli scrissi che andasse a vedere.... che mi scrivesse.... e sono quattro giorni.... e non ho risposta!...

Eug. (Risoluta). Il luogo preciso?

Ern. Lo chiamano “la Cascina bianca”.

Eug. Ci vado io!

Ern. No, no! — Tu?! No, Eugenia!

Eug. Come no!? Due chilometri, son subito fatti. — Il nome della donna?

Ern. Ma, Eugenia!...

Eug. (Risoluta). Il nome, il nome!

Ern. Oh! mio Dio! La chiamano la bionda perchè è biondissima di capelli.

Eug. Benissimo! (S’avvia verso il fondo di fretta, poi torna e va all’uscio di destra). Ah! ti chiamo la cameriera. (Sull’uscio sempre in fretta). Angela! Qui, dalla Signora. (Uscendo sempre in fretta). Vado e torno! (Via dal fondo).

[43]

SCENA SESTA. Ernesta, subito Angela, Cameriere, poi Clelia.

Ern. (Guarda dietro ad Eugenia).

Ang. (Entrando). Mi comanda, signora?

Ern. Sì, dammi braccio; voglio entrare in camera.

Ang. Subito, signora (Si accosta ad Ernesta).

Camer. (Entra con una lettera). Questa lettera per la signora Marchesa! (Consegna ed esce).

Ern. (Ah fosse mai?!). (Guardando la soprascritta). (Sì, è da Biella!) (Apre con ansietà e legge convulsa — subito si turba, è come fulminata — non parla: rilegge la lettera: guarda fissa verso il cielo profondamente accuorata, ma non ha lagrime).

Ang. (Impensierita, premurosa). Signora! Buona signora!

Ern. (Dopo un momento, con uno sforzo febbrile; ostenta una calma che cela la terribile burrasca del suo animo). Dammi da scrivere (Ripone la lettera).

Ang. Non sarebbe meglio che si ritirasse?

Ern. (Seccamente). No!... Dammi da scrivere!

Ang. Può scrivere in camera!

Ern. (Con cupa impazienza). Non capisci che non mi posso muovere!

Ang. Scusi!... Eccole da scrivere! (Le dà l’occorrente).

Ern. (Si pone a scrivere; la sua mano trema; ma essa continua a reagire con penoso sforzo; i suoi [44] occhi sono sbarrati; l’interno dolore l’ha impietrita).

(Entra Clelia, gaia, correndo).

Clel. Mamma!... mamma!... (Verso Ernesta). Dov’è la mamma!

Ern. (Non può rispondere; fa un gesto).

Ang. E uscita di là, or ora....

Clel. (Guardando fuori). Eccola là! Dove diamine va per quel brutto sentiero?... Ah! meno male! Corvini la segue! (Torna).

Ern. (S’interrompe di scrivere).

Clel. (Osservando Ernesta). Ernesta!... Che cos’hai, Ernesta?...

Ern. (Smettendo di scrivere, con sforzo). Nulla!... Nulla!... Stavo scrivendo....

Clel. Ma no, tu hai male!... Che cos’hai? (Ad Angela). Che cos’ha?

Ang. Pare un po’ di deliquio.

Clel. Oh mio Dio! Corro a chiamare il dottore!

(Via dal fondo).

SCENA SETTIMA. Ernesta, Angela poi Eugenia.

Ang. Signora!... vuole un po’ del suo Elisire?

Ern. (ripigliandosi, tornando a sforzarsi). Sì fa presto!

Ang. Subito! (Esce da destra e subito torna).

[45]

Ern. (Si mette a scrivere).

Ang. (Torna con una boccettina). Ecco qui!

Ern. (Scrivendo). Aspetta! (Finisce di scrivere, piega la carta, prende una busta).

Eug. (Entra — essa è turbatissima; avvicinandosi ad Ernesta). Che cosa fai?...

Ern. Oh! Così presto tornata?... (Sempre con calma cupa).

Eug. (Piano ad Ernesta). (Ma.... ho incontrato a poca distanza.... quella donna....).

Ern. (Ad Angela). Non occorre altro. Vai pure.

Ang. (Esce da destra).

Ern. (C. s.). Hai incontrata la balia?

Eug. Essa voleva tentare di vederti.... senza comprometterti.

Ern. (Trae la lettera ricevuta e la dà ad Eugenia). So tutto! Leggi!

Eug. (Legge fra sè).

Ern. (Scoppia in pianto).

Eug. (Rende la lettera e cerca consolarla). Su, coraggio!... E vieni via di qua; vieni in camera tua.

Ern. Lasciami mettere questa lettera in una custodia.

Eug. Faccio io: qua la lettera. (La prende, la mette nella busta, la chiude). Ecco fatto. — Scrivi l’indirizzo. (Le dà la lettera).

Ern. (Si mette a scrivere).

Eug. (Chiama). Angela.

Ang. (Entra). Comandi.

Eug. Prendi questa lettera e gettala nella cassetta dello stabilimento.

Ang. Subito. (Prende la lettera, esce dal fondo e torna poi). (Entra Clelia dietro al Dottore e resta in fondo: Eugenia va a lei e le parla sommesso).

[46]

SCENA OTTAVA. Dette, Dottore, Clelia poi Leonardo.

Dott. (Venendo con premura ad Ernesta). Cosa c’è? Cosa abbiamo? La signorina Clelia m’ha detto di venire da lei....

Ern. (Sforzandosi). Oh!... un momento di debolezza.... di abbandono di forze.... Non è nulla.

Dott. Sentiamo un po’ questo polso. (Le prende il polso e intanto parla).

Clel. (Non sarà cosa grave?) (Ad Eugenia).

Eug. (No, no, torna di là!). (Esce con Clelia).

Dott. Sa? È arrivato il signor conte Leonardo suo cugino.

Ern. (Con soprassalto). Leonardo?!

Dott. (Sempre toccando il polso). Appunto! Anzi, guardi, eccolo qua! (Entra Leonardo e si avvicina).

Ern. (All’annunzio, alla vista di Leonardo cade in deliquio).

Leon. Ma che cosa avviene?

Dott. Uno dei soliti deliqui — non è nulla — vado a preparargli un calmante e torno subito. (Corre via dal fondo).

Leon. (Vedendosi solo con Ernesta le dice sommessamente e con calore). Ernesta!... Ernesta!... Sono io!... Sono Leonardo!... Ho ricevuto a Roma la tua lettera!... Sono corso.... Ernesta! Ernesta!

[47]

Ern. (Non si muove).

Leon. (L’osserva, poi come fra sè standole sopra). Ah!... Questa donna muore!

(Entra Corvini. Leonardo gli fa cenno di accorrere. Corvini corre presso Ernesta. Leonardo accenna che va pel Dottore ed esce dal fondo. Corvini si pone presso Ernesta).

SCENA NONA. Ernesta, Corvini, poi il Dottore, Angela, Eugenia, Ester, Clelia, Leonardo, poi i Forestieri d’ambo i sessi dal fondo.

Ern. (Ripigliandosi). No, Leonardo! io non muoio!... Invece leggete!... (Gli dà la lettera del vecchio servo). Oh Leonardo!

Corv. Ma no.... sono tuo fratello! (Intanto dà un’occhiata alla lettera e resta fulminato).

Ern. (Riavendosi del tutto). Ah mio Dio! Sei tu? Tu, Rodolfo?!...

Corv. (Sempre più disperato di ciò che ha letto). Sì!... Sono io!...

Ern. (Ah la mia lettera!)

Corv. (Cupo). (Zitta, vien gente!)

Dott. (Entra premuroso).

Ang. (Lo segue).

(Entrano dal fondo Eugenia; Leonardo da altra parte, Ester e Clelia).

(Intanto tutti hanno circondato Ernesta. Questa si ripiglia [48] un poco, è sorretta, è fatta alzare, è condotta nelle sue camere da Corvini, Eugenia e il Dottore).

Leon. (Passeggia turbatissimo).

Corv. (Rientrando da destra, cupo, agitato, si pianta in faccia a Leonardo).

Leon. (Con accento brusco). Che diamine vi salta?... Mi lusingo che non l’avrete con me perchè ho disturbato le vostre passeggiate misteriose su per i sentieri del monte!...

Corv. (Con amatissima e provocante ironia). Scegliete male il momento! Perchè sono io che avrei da dire a voi qualche cosa!

Leon. E che cosa avreste da dirmi?

Corv. Che siete uno spregevole malvagio! (Esce dal fondo).

Leon. (Colpito, fra sè). (Per Dio! ci riparleremo!) (Esce).

(Si vedono in fondo i forestieri passeggiare come persone che si sono levate da tavola, ridendo, fumando, ecc.)

Sign. Che buon deiunè!

Sign. Che vini squisiti!

Sign. Che sigari di contrabbando.

Corrisp. E che pettegolezzi di contrabbando da immagazzinare.

(Cala il sipario).


[49]

ATTO TERZO.

Salotto nell’appartamento di Eugenia ad Andorno — uscio in fondo — di qua e di là di questo, finestroni dai quali si vede il paesaggio — usci laterali — mobili signorili.

SCENA PRIMA. Leonardo è in scena. Entra da sinistra il Cameriere poi Clelia pure de sinistra.

Cam. (A Leonardo). La signora contessa viene fra poco, intanto ecco la signora contessina. (Esce dal fondo)

Clel. (Andando incontro a Leonardo). Oh papà! Già tornato?

Leon. Sono arrivato stamani alle 6.

Clel. Da Torino?

Leon. Da Torino!

Clel. E in questi quattro giorni soli hai combinato tutto?

Leon. Spero! vedremo! Dov’è mammà?

[50]

Clel. È in camera. Scrive a Genova alla cugina Ernesta.

Leon. E che notizie di lei?

Clel. Ieri l’altro Rodolfo scrisse a mammà che malgrado il viaggio stava passabilmente. Egli torna stamani; viene a prendere la roba che Ernesta, condotta via così improvvisamente da Rodolfo, non ebbe tempo di prendere con lei.

Leon. Va bene.

Clel. Mi ha scritto da Roma Ester. A proposito. Di’ un po’. Perchè la mandasti a Roma!?

Leon. La mandai a Roma per raccogliere delle carte, delle lettere.... e, specialmente, perchè tu ti occupassi un po’ più di tua madre. Il matrimonio che ti si offre sarebbe una grande fortuna per te e per me! Ma ci sono certe difficoltà! E tua madre può contribuire moltissimo a superarle! E quindi bisogna che tu faccia il possibile per guadagnarne l’animo: e non sarà cosa punto difficile perchè tua madre ti adora, e il suo carattere, in fondo, è tanto buono!

Clel. Io non ho mai capito perchè siete separati!

Leon. Ci sono delle cose che alla tua età non si possono capire.

Clel. Sarà così proprio. Perchè madamigella mi ha detto che ti separasti pel carattere aspro, irascibile della mamma; e tu adesso mi decanti il suo carattere tanto buono!! Tu mi dici che la mamma mi adora, e mi separasti da lei per mettermi in collegio, poi per affidarmi a una istitutrice!

Leon. Posso avere commesso uno sbaglio in un momento di malumore....

Clel. (Scherzando con garbo e sorridendo). Eh!... ma [51] papà!... Un momento di malumore che dura da quattro anni!

Leon. Insomma, adesso si tratta di renderti favorevole la mamma!

Clel. E che cosa dovrei fare?

Leon. (Con qualche vivacità). Occuparti di lei! Stare con lei! Farle compagnia! Invece non fai altro che leggere i tuoi libri tedeschi.

Clel. Imparo il tedesco!

Leon. E quando scrivi, ogni giorno, delle lettere di sei o otto pagine a madamigella, impari il tedesco?

Clel. Sicuro! Se scrivo in tedesco!

Leon. Ma tutti i giorni è troppo!

Clel. Le scrivi tutti i giorni anche tu?

Leon. (Impazientendosi). Io le scrivo per affari di casa, e non le scrivo in tedesco!

Clel. (Sorridendo). Perchè non lo sai!

Leon. (C. s.). Insomma, finiamola! E cerca di meritare l’affetto di tua madre! Perchè, ti farò una confidenza! A facilitare il tuo matrimonio, potrebbe giovare moltissimo che io mi riconciliassi, che tornassi a convivere con lei.

Clel. E madamigella?

Leon. Se sposi quel giovine, non avrai più bisogno di istitutrice.

Clel. Sicuro! È tanto istruito! penserà lui a completare la mia educazione.

Leon. Ecco, ci penserà lui!

Clel. (Guardando al fondo). Oh guarda, ecco Rodolfo.

[52]

SCENA SECONDA. Detti, Cameriere che introduce Corvini.

Cam. Il signor avvocato Corvini.

Corv. (Entra).

Clel. Ben tornato, Rodolfo!

Corv. Ben trovata, cara Clelia; fammi il favore di chiedere a mammà la chiave delle camere di mia sorella; vengo a raccogliere le sue valigie e portarle a Genova.

Clel. Come sta Ernesta?

Corv. Non c’è male!

Leon. (Seccamente). Voi ripartite subito?

Corv. Sì, ho molta fretta.

Leon. (A Clelia). Va a dire a mammà che Rodolfo è tornato.

Clel. Ma che diamine avete tutti e due?

Leon. Nulla, nulla! Va.

Clel. Dio! come siete misteriosi! (Esce da sinistra).

SCENA TERZA. Leonardo e Corvini.

Leon. (Sdegnato e sommesso). Stavo per venirvi a cercare a Genova. Bisogna pure che ci parliamo! Non vi immaginerete che la cosa possa finire così!

[53]

(Tutta questa scena deve farsi con dialogo concitato, ma sempre a bassa voce).

Corv. È inutile che parliamo! Non avete trovato padrini perchè nessuno vuole immischiarsi di uno scontro fra due cugini germani? E ciò che volete dirmi?

Leon. (Vivamente). Padrini se ne trovano sempre e io li ho trovati.

Corv. Ebbene, se voi li avete trovati, io non li ho neppure cercati! Uno scontro fra noi due è impossibile! Potete fare e dire quello che volete! Ma io non vi darò, ne accetterò nessuna soddisfazione!

Leon. Ma se la soddisfazione è impossibile, potrò almeno esigere una spiegazione!

Corv. Non vi darò nessuna spiegazione!

Leon. E perchè?

Corv. Perchè non posso — perchè mi ripugna!

Leon. (Con forza). Ma, viva Dio! Fra noi due c’è sicuramente un malinteso, un equivoco, qualche cosa che non riesco a spiegarmi! Se fossi stato io a provocare voi....

Corv. Avreste compromessa la riputazione di una donna onesta, della madre di vostra figlia, di vostra moglie!...

Leon. Ma insomma, si capirebbe il perchè!... Ma una provocazione da parte vostra?! Lì, così, senza una ragione, senza un pretesto immaginabile? Siamo in un luogo dove le persone non hanno di meglio che i pettegolezzi per passare il tempo. Il dottore mi ha detto or ora che da tre giorni non si parla d’altro che di noi due — e tutti cercano, spiano, almanaccano! Diamo almeno a questa gente una spiegazione [54] plausibile, che soddisfaccia le curiosità maligne da cui siamo circondati! Facciamo almeno in modo di restare esposti a queste curiosità noi due soli, noi che siamo uomini e possiamo disprezzare le maldicenze — e occorrendo, rintuzzarle, costringerle al silenzio!

Corv. Ebbene.... se volete diremo che io cedetti a un impeto di dispetto per la vostra condotta!

Leon. (Con forza). Per la mia condotta?!

Corv. (Con pari impeto). E vi pare forse che la vostra condotta sia quella che conviene a un uomo, come voi, marito — separato sia pure — ma marito! ma padre!

Leon. (Impazientito). Ah siete sublimi voi altri uomini di professione virtuosi! Così un marito, perchè separato, deve anche essere un anacoreta! E a che pro poi? Le macerazioni non bastarono a liberare un anacoreta famoso, vecchio e santo dalle tentazioni dell’eterno femminino! E allora! Marito, padre, fin che volete! Ma non ho che 42 anni e non voglio macerarmi e non aspiro ad essere santificato! Oh dunque? Che cosa farà un povero diavolo di marito separato? Sedurrà? S’incanaglierà? Voi, di professione virtuoso, quale di queste due soluzioni avreste preferita?

Corv. (Con forza). Non avrei preferito quella terza di una scurrile ipocrisia!

Leon. (Con fuoco). Vale a dire?

Corv. (Sdegnoso). Andiamo! L’istitutrice alla figlia!

Leon. (Scuote le spalle con disprezzo; e tra i denti). O pedanterie!

Corv. (Sdegnosissimo). Oh avete il cinismo di dire pedanterie? [55] Allora, poichè lo volete, vi dirò che non avrei preferito mai la soluzione del violare i vincoli dell’ospitalità e del sangue!

Leon. (È colpito).

Corv. (Crescendo d’impetuosità sdegnosa, continua) .... sino a compromettere la riputazione.... a distruggere la gioventù, la salute di una donna! sino a dover ringraziare la morte d’aver soppresso una tremenda testimonianza!

Leon. (Sbigottito, incerto) .... Che volete dire?

Corv. (Con solenne mestizia e terribile rimprovero) .... Il vostro bambino è morto!

Leon. Morto!?

Corv. E dopo ciò, chi volete che compromettiamo con un duello? Vostra moglie, o mia sorella?

SCENA QUARTA. Detti, Eugenia dal fondo.

Eug. (Entra, vede il contegno irritato dei due, si ferma).

Corv. (Continuando, a Leonardo rimasto colpito). Scegliete!... La scelta è degna di voi!

Eug. (Avanzandosi vivamente). Quale scelta?

Corv. (Cercando di dissimulare). Nulla.... nulla!

Eug. (A Leonardo con vivacità). Parlate voi!... Cosa c’è? Siete lì che sembrate interdetto, allibito!?

Leon. (Sforzandosi di ripigliarsi) .... Ma no, non sono nè interdetto, nè allibito!...

[56]

Eug. E non vedete che non trovate modo di rispondermi, nè l’uno nè l’altro?... Ma parlate, in nome di Dio! Io esigo di sapere la verità!

Corv. Ebbene, ecco.... fu a proposito.... — Voi troverete frivola la causa di quel mio momento di sdegno — fu una quistione.... giornalistica... È corsa sui giornali la voce che certe corrispondenze politiche da Roma a un giornale di Berlino, fossero di un deputato che ha credito, che ha seguito alla Camera italiana.... e ciò era censurato.... e da qualcuno s’insinuava che il deputato corrispondente fosse Leonardo.... Io gliene avevo fatta parola, esortandolo a smentire quella diceria. — Leonardo s’era rifiutato.... — Di qui quel mio momento di sdegno.

Eug. (Un po’ incredula, a Leonardo). È veramente così?

Leon. È così.

Eug. E.... non vi batterete?!

Leon. No!... Non ci batteremo!

Eug. (A Leonardo). Sul vostro onore?

Corv. (Subito). Sul mio onore!

Eug. Non so.... vi veggo così turbati!... tutti e due!

Corv. Sapete.... il pensiero di mia sorella!.... che è sua cugina!... (Fissando Leonardo con intenzione) E io ho fretta di rivederla!

Eug. (Fissandoli ancora — a Corvini). Eccovi la chiave!

Corv. Grazie. E a rivederci.... Verrò a salutarvi prima di partire. (Parte commosso).

[57]

SCENA QUINTA. Eugenia e Leonardo.

Eug. Vi prego, Leonardo! Ditemi che cosa c’è? Il contegno di Rodolfo.... il contegno vostro....

Leon. Rodolfo vi ha spiegate le sue inquietudini....

Eug. Ma voi? voi?

Leon. Ebbene, vi spiegherò le mie inquietudini!

Eug. Sentiamo — dite!

Leon. (Dopo breve pausa, come per raccogliere le idee). Cara Eugenia.... La mia posizione è molto, molto compromessa — politicamente — e.... economicamente!

Eug. (Fa un movimento di sorpresa e amarezza).

Leon. Risparmiatemi, vi prego, i vostri rimproveri! Conosco i miei torti verso di voi....

Eug. Non vi accuso che di un torto solo!

Leon. Quale?

Eug. Ve lo dirò poi! — Adesso continuate!

Leon. (Altra breve pausa, c. s.). Mi sono arrischialo in alcune speculazioni! — Ho avuto tutte le maledizioni contro di me!... E sono quasi alla vigilia di un disastro!... Se questo avvenisse, fra le altre umiliazioni, avrei quella di dovermi dimettere da deputato!

Eug. Mio Dio!

Leon. Voi potreste giovarmi!

[58]

Eug. Io!?

Leon. Mi si presenta l’occasione di uno splendido matrimonio per nostra figlia....

Eug. (Con amarezza). Finalmente me ne parlate! E io doveva sentirmene parlare da mia figlia prima di saperne nulla da voi!

Leon. Clelia avrà ricevuta qualche confidenza dalla istitutrice....

Eug. Benissimo! L’istitutrice era informata; la madre no!

Leon. Non ho voluto parlarvene prima, perchè la cosa incontrava delle difficoltà gravi — e che vi avrebbero amareggiata!

Eug. Quali difficoltà?

Leon. Principalissima, l’opposizione del padre. — Il giovine ha vent’otto anni ed è oramai padrone di sè; ma non avrebbe mai voluto accasarsi senza l’approvazione di suo padre.

Eug. Concepisco ottimo concetto di quel giovine.

Leon. È un giovine egregio, infatti. — È coltissimo, è già avvocato; ha fatto una pingue eredità....

Eug. Va bene; e il motivo dell’opposizione del padre?

Leon. Il padre è....

Eug. Lo so, è il commendatore Carenzi!

Leon. Sapete? È un uomo all’antica; con idee austere; fra le quali ha questa: Se una fanciulla — egli dice — deve diventar mia nuora voglio conoscere da che famiglia esce; voglio accertarmi che esca da una famiglia regolare....

Eug. (Con dolore). E fu lui che ci separò!

Leon. Questa circostanza non ci nuoce. Egli riconosce che fu una separazione consensuale, la quale non [59] alterò i nostri buoni rapporti.... — Ma non gli basta! — L’avvocato Gambardi, vecchio amico del Carenzi e mio, si è intromesso ed ha ottenuto una adesione dal Carenzi; ma condizionata.

Eug. E quale sarebbe la condizione?

Leon. Ecco quello che mi ha fatto esitare a parlarvi di questo matrimonio!

Eug. Credo di capire! Egli vuole la nostra riconciliazione!?

Leon. .... Voi ricusate?

Eug. (Dopo un momento, fra sè). (Riavrei mia figlia!)

Leon. Debbo aggiungere che il Carenzi chiede di avere un colloquio con noi due per chiarire bene e personalmente le nostre disposizioni, assicurarsi della sincerità dei nostri sentimenti per una riconciliazione seria, e stabile.

Eug. (Con amarezza). Un interrogatorio!... Come quando ci separò!

Leon. Vi ho detto le gravissime circostanze che mi hanno fatto passar sopra ad ogni considerazione, e mi hanno indotto a parlarvi. — E.... ancora una cosa. Pare che il Carenzi sia male prevenuto contro di me!... ma forse.... un po’ d’indulgenza da parte vostra.... Vi ho detto che non nego i miei torti...,

Eug. E io vi ho detto che per me avete avuto un torto solo!

Leon. Quale?

Eug. Chiamate Clelia! (Essa è agitata).

Leon. (Suona il campanello).

(Entra il cameriere).

Cam. Comandi.

Leon. Pregate mia figlia di venir qui da sua madre.

[60]

Cam. Bene. (Esce).

Leon. Qual è dunque il torto di cui mi fate maggior accusa?

Eug. È quello di non avere custodita, alimentata sempre la tenerezza di Clelia per me! Di avere permesso che il suo amore mi fosse usurpato da quella donna! — Oh! Dio, Dio! (Essa ha uno scoppio di ira e dolore). Quando io penso che quella donna può appoggiare le sue labbra di mantenuta — sì, di mantenuta! — sul volto della mia creatura, io mi domando, baciando mia figlia, dove deporrò i miei baci senza insudiciarmi!

Leon. Eugenia!...

Eug. (Continuando esasperata, poi commossa). E quando ricevo gli abbracci freddi, cerimoniosi di Clelia — e penso al tempo che l’avevo con me — penso alle sue carezze allora così tenere, così espansive, così ardenti! — Ogni momento mi saltava al collo, mi abbracciava stretta stretta, mi tempestava di baci!... E mi diceva mille nomi uno più dolce più soave dell’altro!... povera cara!... (Piange disperandosi).

(In questo entra Clelia).

Clel. Eccomi, mamma!

Eug. (Vinta dalla tenerezza materna, la piglia per le mani, l’attira a sè, l’abbraccia, la bacia e intanto parla così:) Ah! vieni, cara.... adorata creatura mia!... Perchè ti adoro sempre, sai!... Ah! abbracciami!... baciami, come facevi una volta! Ti ricordi? Quando mi stringevi fra le braccia.... a rischio di soffocarmi?...

Clel. (Commossa abbraccia e bacia Eugenia). Sì, mamma!... Sì, cara mamma!

[61]

Eug. (Al colmo della gioja). Oh grazie!... grazie!... (Carezzandola). E non dubitare, sai! — Il babbo mi ha detto tutto! e io farò tutto quello che il tuo babbo mi ha detto!... — Purchè tu sia felice!... E lo sarai, non è vero?

Clel. Oh tanto felice!... Era appunto quello che stavo scrivendo adesso a madamigella!

Eug. (Con un atto di nervosità).... Allora.... Vai.... vai a finire la tua lettera.

Clel. Mamma, sei in collera?

Eug. No, no: non sono in collera.

Leon. Così, cara Eugenia, siamo intesi. — E siccome mi preme di definire la cosa entro domattina, io torno subito a Biella per partire col primo treno per Torino.

Eug. Va bene.

Leon. E se poteste domani o dopo domani essere a Torino anche voi....

Eug. Vi sarò dopo domani al più tardi.

Clel. Papà, lasciami venir teco a Torino!

Leon. A che fare?

Clel. È tanto tempo che non vedo Torino!

Leon. Ci verrai dopo domani colla mamma.

Eug. No, no; contentala. — Tanto, qui, non potrei molto occuparmi di lei, con tutte le brighe dei bagagli, delle valigie....

Leon. Clelia potrà aiutarvi. (Fa cenno a Clelia).

Clel. (Veduto il cenno del padre). Sì, si, mamma!... Scusami, sono una sciocca alle volte! e me ne accorgo, sai! — Scusami! resto con te! resto con te!

Eug. Se ti fa piacere!...

Clel. Sì, tanto! E fa piacere anche al babbo — anche [62] or ora — mi raccomandava di.... (Si ferma a un gesto di Leonardo).

Eug. Grazie, carina. (Con mesto sorriso un po’ sardonico).

Clel. (Ad Eugenia). Allora io torno in camera; vado a finire la mia lettera per Ester — chè ho tante cose da dirle!... (correggendosi) — che non so neppure se gliele dirò.... ma in caso, poco male.... finirò la lettera a Torino.... o non la finirò!... che sarà poco male! — Dunque, buon viaggio, papà! A rivederci a Torino! — Un bacio, mamma! (Via).

Leon. Compatitela, è un po’ leggera.

Eug. La compatisco.

Leon. (Suona).

Cam. Comandi.

Leon. Vorrei una carrozza per Biella.

Cam. C’è l’omnibus già pronto: sta per partire.

Leon. Va bene; vengo subito.

Cam. (Esce).

Leon. (Ad Eugenia). A rivederci a Torino. E.... grazie. (Le stringe la mano).

Eug. A rivederci.

Leon. (Esce).

SCENA SESTA. Eugenia poi il Cameriere.

Eug. (Guardando mestamente verso il fondo). Quella figliuola! Non le importa niente neanche di Ester!... Ed è rimasta meco — ha sacrificata la sua frivola [63] curiosità di Torino, perchè suo padre le aveva raccomandato!...

Cam. (Con un plico e vari giornali spiegati). Per la signora Contessa.

Eug. (Prende il plico e accenna al Cameriere di mettere i giornali sul tavolo). Mettete là!

Cam. (Eseguisce ed esce).

Eug. (Guarda il plico distrattamente e lo getta sul tavolo). Ha avuto un minuto di espansione... un risveglio momentaneo della sua tenerezza per me.... ma è stato proprio un lampo! Cuore avvizzito!... Ambizione, egoismo, leggerezza!... educazione completa! (Ancora distrattamente guarda, poi apre il plico). Da Roma.... — Riavendola con me, chi sa? (Trae dal plico varie lettere di differenti formati e sigillate; e trova un foglietto di lettera senza busta; essa è sempre col pensiero ad altro)... Oh se fossi ancora in tempo a riscattare il suo cuore! (Guarda il foglietto e legge la firma). “Ester.” Ester che mi scrive?! (Legge e accompagna la lettura con sorrisi sardonici). “Gentilissima signora contessa. — Non sapendo dove il di lei signor marito si trovi, mando a lei le lettere che ho raccolte qui all’indirizzo di lui. — Ne troverà una che porta il nome col quale egli firma certe politiche corrispondenze da Roma a un giornale “di Berlino....” Ah! le corrispondenze biasimate da Corvini!... “Debbo però avvertirla che il fatto di queste corrispondenze è cosa molto delicata e che il signor Conte non ama che si conosca chi è il Giorgio Lakmann che scrive a Berlino.” Giorgio Lakmann! (Cerca e trova la lettera; l’osserva, la riconosce e [64] grida). Dio! Dio! ma questa è la lettera di Ernesta!... è la sua scrittura!... era per Leonardo!... Leonardo.... l’amante di Ernesta!... E il bambino!... il bambino morto!... Ah Dio! — reggetemi il cervello!... C’è da impazzire!... E io stupida!... stupida ingenua!... (Guarda la lettera sempre fuori di sè). Ah Dio! se l’aprissi!... No, no! — Basta la soprascritta!... È un bel documento!... (La pone in tasca).... un bel documento per giustificarmi d’essermi vendicata! E mi vendicherò! Ah Dio! Se mi vendicherò! (Entra nelle sue camere).

(Cala la tela.)


[65]

ATTO QUARTO, ed ultimo.

Ricco salotto in casa di Eugenia, a Torino. — Porta in fondo, usci laterali, sofà, poltrone, sedie, tavolini, consolles; il tutto ricchissimo ed elegante.

SCENA PRIMA. Giovanni servo della contessa Eugenia, poi Corvini.

Giov. (Mettendo in ordine il salotto, va parlando con malumore). Ah che miseria essere al servizio d’una signora separata dal marito! Ogni terzo giorno un nuovo fatto storico! Che cosa bolla in pentola adesso non lo so; ma è certo che un qualche pasticcio va cuocendo!

(Entra Corvini dal fondo introdotto da altro domestico che parte subito).

Giov. (Vedendolo). Oh signor avvocato!

Corv. La contessa?

Giov. È arrivata qui a Torino un’ora fa. Vado ad annunziarlo.

[66]

Corv. Sì, grazie!

Giov. (Esce da sinistra, poi torna).

Corv. Sono nella più grande impazienza di sapere che cosa c’è di nuovo!... Ah, eccola.

SCENA SECONDA. Corvini, Eugenia da sinistra.

(Giovanni la segue ed esce dal fondo).

Corv. (Stringendo la mano ad Eugenia). Cara Eugenia!

Eug. Caro Rodolfo! (Essa è agitatissima, benchè cerchi di serbarsi calma).

Corv. Toglietemi subito dalla penosa incertezza in cui mi avete messo col vostro telegramma!

Eug. Sedete! (Siede).

Corv. Ma che cosa c’è, che cosa avete? (Siede). Vostra figlia adesso è con voi....

Eug. Mia figlia?! Ma che?! — È stata qui or ora a pigliarla la cara Ester!

Corv. Ester?! Ma non partì da Andorno per Roma?

Eug. Certo! E da Roma mi scrisse cinque giorni fa mandandomi ad Andorno in un plico raccomandato le lettere trovate a Roma per Leonardo!

Corv. Essa non sapeva dove si trovava Leonardo?

Eug. (Sardonica). Lo sapeva tanto bene che, appena impostato il plico, partì per raggiungere il suo Leonardo qui a Torino!

Corv. Calmatevi, vi prego! Calmatevi! Ditemi piuttosto [67] che scopo supponete nella Ester mandandovi le lettere per Leonardo?

Eug. Uno scopo di malvagità raffinata! Mettere nelle mie mani una certa lettera con falso indirizzo, spiegandomi però che quel falso indirizzo era il pseudonimo di mio marito.

Corv. Per le sue corrispondenze con Berlino?

Eug. (Sempre sardonica). Il male è che quella lettera era stata impostata ad Andorno!

Corv. (Fra sè). (Ah mio Dio!) E voi avete aperta quella lettera?

Eug. È ciò che l’Ester calcolava che io avrei fatto! — Ma invece eccovi qua la lettera.... (La trae e la fa vedere a Corvini). Vedete, è intatta. (La ripone). Non avevo bisogno di commettere una indiscrezione! Conoscevo la lettera!

Corv. (Fra sè). (Mio Dio! Mio Dio!) Ma.... posso chiedervi?...

Eug. Nulla! — Non chiedete nulla! — Quello che posso dirvi è che quella Ester ha raggiunto uno scopo che oltrepassa le sue basse intenzioni.

Corv. E queste intenzioni?...

Eug. Sventare un certo progetto di riconciliazione!

Corv. Tra voi e Leonardo?

Eug. Capirete che Leonardo, nelle sue intimità con colei, non le avrà potuto dissimulare che a questa riconciliazione è condizionato il matrimonio di mia figlia! E alla Ester non accomoda questa riconciliazione! Che stupida! Come se una moglie spregiudicata come oramai sono io, ve lo giuro! — non sapesse riconciliarsi col marito, e conservare intiera la propria libertà, di sentimenti, di passioni!... [68] e senza fare scandali, senza autorizzare pettegolezzi, godersi la vita! Quante altre signore fanno così!

Corv. Eugenia!... È la prima volta, che vi sento esprimere pensieri così strani!... Voi, voi contentarvi di non autorizzare pettegolezzi?

Eug. E non è questa la grande, l’unica preoccupazione delle persone che si rispettano? — E che sono rispettate, onorate? — Guardate mio marito! Eccolo là, rispettato, onorato, onorevole perfino! — Voi stesso, io stessa, — se per l’addietro io avessi avuto le teorie immorali di cui adesso vi scandalizzate, noi due si sarebbero fatte le cose con prudenza, con precauzione — e saremmo rispettati e onorati — ma voi sareste il mio amante! (Si alza).

Corv. Eugenia!... (Sottolineando le parole e alzandosi). Non lo sono stato per merito della vostra virtù! — Non lo sarò mai quand’anche un delirio d’indignazione, una febbre di vendetta potessero per un momento pervertire la vostra nobile anima!... Vedete? Per noi uomini, l’onestà di una donna.... oh pur troppo! ci pare sempre qualcosa di meno della nostra passione.... qualche volta anche del nostro capriccio!... della nostra vanità! Non ci facciamo scrupolo d’insidiarla!... ci facciamo un vanto, una gloria di averne trionfato!... Ma capita il giorno che questa onestà, questa santa virtù femminea, ci si presenta sotto tutt’altro aspetto! — Non è più l’ostacolo frivolo e fastidioso dei nostri trasporti sensuali!... vediamo invece che è un tesoro prezioso da rispettare, da far rispettare dagli altri! Vediamo allora che l’onestà è la suprema gentilezza della donna; e i nostri impeti maschili ci appaiono villani [69] e ne sentiamo vergogna e ribrezzo! — Ponete un figlio di fronte a una accusa di colpa di sua madre!... ponete un fratello!... (Si commuove) un fratello, o Eugenia, di fronte alla scoperta della colpa di sua sorella!... che una sorella ci è cara e sacra come la madre! — E Ernesta mi fu raccomandata dalla madre nostra! E questa, morendo, mi disse, amala, come hai amato me! — E alla mia tenerezza di figlio fu uguale la mia tenerezza per Ernesta!... E la credevo virtuosa, pura come mia madre.... come voi!... E invece! Oh mio Dio!

(Una pausa.)

Eug. (Commossa). Povero Rodolfo! Voi sapete?

Corv. (Angosciato). Sì! — E come conosco adesso che celeste aureola è l’onestà alla fronte di una donna amata!

Eug. Questa aureola, ve le confesso, ho avuto la tentazione di strapparmela via con le mie mani!... Ma poi ho pensato alla mia figliuola; a cui debbo trasmetterla intatta! Quanta virtù insegna l’essere madre!

Corv. E che intendete di fare?

Eug. Rifiuterò di riconciliarmi, invece farò processo a Leonardo perchè il Tribunale lo dichiari indegno di tenere mia figlia e lo obblighi a darla a me.

Corv. (Impensierito). Pensateci bene! Sarà uno scandalo....

Eug. A carico mio, no! Sarà a carico di mio marito! Peggio per lui! Bene inteso che non vi ho chiamato perchè siate il mio patrocinatore contro vostro cugino. Ma voi potete suggerirmi persona competente, autorevole, raccomandarmi, appoggiarmi.

[70]

Corv. Eugenia, badate.... — E non è per voi che vi prego di pensarvi!... In un processo non si sa mai che cosa possa nascere!... Sarà chiamata la cara istitutrice!... Sappiamo noi che gravi rivelazioni possa fare colei? Quali altre persone possano da colei essere compromesse?

Eug. (Resta colpita, pensosa).... Vi capisco! — Ma è terribile la mia posizione!... perchè infine io voglio avere mia figlia! Non voglio, non posso lasciarla in quello sconcio ambiente! Spero di essere ancora in tempo a rifarne il cuore, il carattere, prima di avventurarla fra i pericoli che circondano una sposa giovinetta, inesperta!... E per ottenere ciò sono a questo bivio; o riconciliarmi con un uomo che mi è odioso oramai in un modo invincibile, o fare un processo che involgerebbe nel medesimo scandalo, col nome di una femmina spregevole, il nome....

Corv. (Cogli occhi a terra, dolorosamente). Il nome di mia sorella!...

Eug. (Impedendogli subito di finire). Il vostro nome, Rodolfo! sul quale cadrebbe un riverbero sinistro.... che voi non avete meritato voi!... (Pensa, poi si decide). Tenete; distruggerete voi questa lettera! (Gliela dà) o la restituirete.... a chi l’ha scritta! E io.... mi rassegnerò... mi riconcilierò! (Con penosa rassegnazione).

Corv. (Commosso). Grazie per me e per mia sorella!

Eug. (Subito). Per voi! Per voi solo!

[71]

SCENA TERZA. Detti, Clelia e Leonardo, poi Giovanni.

Clel. (Di dentro, poi fuori). Mamma!... Mamma!... (Entra correndo).

Eug. (Abbracciandola e baciandola). Sei già tornata?

Leon. Buon giorno, Eugenia! (Stendendo la mano per stringere quella di Eugenia).

Eug. (Occupata a togliere il cappellino a Clelia accarezzandola evita di stringere la mano a Leonardo). Vi saluto, Leonardo.

Leon. Oh! Rodolfo!?

Eug. L’ho pregato io di venire da me. Egli fu, con l’avvocato Gambardi, l’altro avvocato che ci assistette nella separazione; e ho desiderato che fosse qui anche per la riconciliazione.

Clel. (Ad Eug.). Oh, a proposito; guarda che il commendatore Carenzi sta per arrivare qui anche lui, — lo ha scritto or ora al babbo. — Noi non abbiamo fatto che accompagnare madamigella alla stazione, perchè essa era venuta a Torino per salutarci.... perchè va a Milano, anzi in Brianza.... per cui l’abbiamo imbarcata sul treno e siamo subito corsi da te.

Eug. E il signor Carenzi sta per venire?

Leon. Siccome mi aveva detto che era molto pressato dai suoi affari, gli ho scritto che se voleva favorire subito, subito si sarebbe parlato e combinato.

[72]

Clel. Dunque eh? Riconciliazione! Che piacere! Sarò la prima fra le mie amiche che si fa sposa!...

Eug. Ma, bambina mia, non c’è nulla ancora di stabilito.

Clel. Il papà mi ha detto che colla vostra riconciliazione, tutto è fatto!

Leon. Speriamo — ma ancora non è cosa sicura!

Giov. (Dal fondo annunciando). Il signor commendatore Carenzi.

Leon. (Andando ad incontrarlo). Avanti, avanti il nostro signor commendatore.

(Entra Carenzi — Giovanni si ritira).

SCENA QUARTA. Detti, Carenzi.

(Clelia si pone presso Eugenia con aria gentilmente modesta e fa insieme ad Eugenia la sua riverenza al Carenzi).

Caren. (Va dritto con gran compostezza ad Eugenia). Signora contessa, il mio rispetto!

Eug. Signor commendatore! (Gli stringe la mano).

Caren. (A Leonardo). Onorevole signor Conte. (Gli stringe la mano, poi a Corvini). Caro avvocato! (Stringe la mano anche a lui). Che notizie della signora marchesa sua sorella?

Corv. Discrete!... L’ho condotta a Genova.

Caren. Ah meglio così. L’aria di mare le farà bene. (Ad Eugenia). Questa è la sua signorina?

[73]

Eug. Sì, mia figlia.

Caren. Ebbi il piacere di vederla a un ballo del nostro prefetto. E quella sua signora istitutrice?

Clel. (Con aria modestissima). Papà l’ha lasciata andare in Brianza.

Caren. Ah! meglio così! Eccellente l’aria della Brianza. — E intanto lei resta qui, eh?

Clel. (C. s.) Sì signore. Resto a Torino con mammà.

Eug. (Carezzando Clelia). Meglio così!

Caren. (Con leggerissimo sorriso). Stavo per dirlo anch’io. È un mio intercalare!

Eug. (A Carenzi). Ma, la prego di accomodarsi.

Caren. Grazie. — Ma siccome non posso trattenermi che un momento solo....

Eug. (Sorpresa). Un momento solo?!

Caren. Ma, sì. Mi basta di dire una parola all’onorevole Leonardo.... eppoi bisogna che vada.... debbo partire....

Leon. (Sorpreso). Una parola a me?!

Caren. Non si tratta che di mostrarle certe carte.... Vogliamo passare nel suo studio?

Eug. (Garbatissima). Perdoni; per ora le abitazioni sono ancora separate! — Questa è la mia abitazione. (A Clelia). Vai di là, carina.

Corv. (A Clelia). Vengo con te, cuginetta.

Clel. (Va a Carenzi e fa una riverenza gentile e modesta, volendogli baciare la mano). Permetta.

Caren. (Con lieve sorriso e cortese). Ah no, non permetto! Non sono ancora.... monsignore!

Clel. (Ad Eugenia piano). (Mamma, mi raccomando!) (Piano a Corvini). (Andiamo qua nel gabinetto!)

Corv. (Saluta ed entra a destra con Clelia).

[74]

SCENA QUINTA. Eugenia, Carenzi, Leonardo.

Caren. (Ad Eugenia). Io parto per Ivrea. Se la signora Contessa ha comandi....

Eug. Scusi, ma io, se permette, intenderei di rimanere.

Leon. (Un po’ vivamente). Ma, cara Eugenia, se il signor Commendatore....

Eug. (Con garbata fermezza). Il signor Commendatore ha voluto favorirmi d’una sua visita, in casa mia, per uno scopo che non è un mistero per nessuno di noi tre.... Così almeno mi piace di credere! oppure m’inganno?

Caren. (Cortese sempre). No, signora Contessa, in massima, non s’inganna.

Eug. (Sempre garbata ma dignitosa). E allora?... Parliamo un po’ chiaro! Si tratta delle simpatie reciproche fra il di lei figlio e la figlia nostra! Il signor Commendatore ha posto per condizione al suo assenso la nostra riconciliazione; noi abbiamo accettato e il signor Commendatore mi favorisce d’una sua visita per udire confermare da mio marito e da me il nostro impegno di riconciliarci. Eccoci qui, Leonardo e io, pronti a confermare il nostro impegno; e io pregherò l’avvocato Corvini di formulare per iscritto, se occorre, la riconciliazione. Non capisco quindi quali cose il signor Commendatore abbia da dire a mio marito, senza di me.

[75]

Caren. Cara signora, che vuole?... Sopraggiungono alle volte dei fatti nuovi....

Leon. Dei fatti nuovi?...

Caren. (Continuando). Dei quali avrei preferito non parlare che al signor Conte solo.

Eug. Ma quali fatti nuovi?

Caren. (Pensa, poi si decide). La signora Contessa mi dispensa assolutamente dal riserbo che volevo impormi?

Eug. (Con fermezza). La dispenso. (Invitandolo a sedere). Si accomodi. (Siede).

Caren. Come comanda. (Siede).

Leon. (Siede preoccupato e curioso). (Che diamine sarà?)

Caren. Ecco, vede, signora Contessa; io confesso che il mio modo di pensare non è all’altezza dei tempi, e non me ne scuso, perchè non me ne pento, anzi me ne vanto. Io sono all’altezza dei tempi dei miei vecchi e non ho mai sentito il bisogno di scendere all’altezza dei tempi moderni. Per cui, come dissi all’onorevole Leonardo, per accettare una nuora esigo di conoscerne i genitori; perchè i genitori hanno sempre i figli che si sono meritati.

Eug. (Dopo un movimento di dolore). Continui.

Caren. Dunque, ecco qua. Il mio servitore, poco fa, portandomi il biglietto del signor Conte per questo abboccamento, m’ha portato anche altre carte, e tra queste un giornale di Roma, a cui non sono associato. L’ho aperto e vi ho trovato una colonna e mezza di corrispondenza, segnata in margine con lapis rosso! Ho letto. La corrispondenza era da Andorno.

[76]

Eug. e Leon. (Fanno un movimento di penosa curiosità).

Caren. La corrispondenza aveva in testa un sommario. E il sommario. (Trae un giornale e lo spiega) ecco.... dice così: (Legge) “Scandali aristocratici subito dissimulati. Una dama che si perde su per un monte. Commenti della conversazione uditi dal marito. Sue confidenze ad una signora: non può battersi perchè non si trovano padrini! Tutti si fanno un dovere di non sapere quello che sanno!”

Eug. (Sta fissando Leonardo con qualche orgasmo dissimulato).

Leon. (Scuote le spalle sprezzantemente).

Caren. Anch’io, qualche volta debbo rassegnarmi a questo dovere; mi rassegno a stringere la mano di un qualche gran banchiere un pochino ladro, a qualche gran dama passabilmente peccatrice!... Come si fa? Hanno sempre salvato le apparenze! Ma oggi si tratta di mio figlio, della compagna con cui continuerà il mio nome! il mio nome senza una macchia!

Leon. (C. s.). Mi scusi, ma in quella corrispondenza io proprio non ci vedo altro che uno dei soliti pettegolezzi maligni e sciocchi! sciocchi, specialmente! Capirà! Quel duello che non ha luogo perchè non si trovano padrini!

Caren. Non mi sarebbe sembrato serio, neppure se si fossero trovati! Dopo l’invenzione della sciabola con cui non si fa che tagliare una fetta d’avversario, eppoi stringergli la mano, il duello ha molto perduto della sua serietà tragica. Ciò che ha per me molta importanza è quello che si dice qui nella corrispondenza (spiega il giornale) nella quale si parla di un bambino d’ignota provenienza....

[77]

Eug. (Fissa con maggiore intensità Leonardo).

Leon. (Si frena a stento).

Caren. (Continuando dopo una rapida occhiata ai due). Il quale bambino si vocifera che fosse lo scopo della passeggiata misteriosa della signora....

Eug. (C. s.).

Leon. (Alzandosi vivamente). Basta così! Non posso permettere la continuazione di questo colloquio!

Caren. (Alzandosi, con gravità). Avevo chiesto di parlare a lei solo! E aggiungo che senza le preghiere ardenti, insistenti di mio figlio, avrei risparmiato a loro — e a me! il disgusto della mia visita.

Leon. Accetto questa spiegazione, e considero come non avvenuto il discorso fatto da lei adesso. (S’inchina con atto di congedo).

Caren. (Si inchina e fa un passo per uscire).

Eug. (Seduta c. s. con ostentata freddezza). C’è una difficoltà, Leonardo. — Non intendo io di considerarlo per non avvenuto! E v’invito a rilevarlo e a rispondere come v’impone la lealtà, come esige l’onore di vostra moglie!

Caren. (Presta viva attenzione).

Leon. (Sdegnoso). Dal momento che io accondiscendo a riconciliarmi con voi, mi pare che io dia una prova sufficiente...

Eug. (Sedata, interrompendo, a Carenzi). È una prova sufficiente?

Caren. ... Ma! Eh, eh...!

Eug. (A Leonardo). Lo vedete? — Ora io non permetterò che questo signore esca di casa mia senza avervi udito smentire formalmente le insinuazioni infami di quella corrispondenza!... della quale, badate, [78] saprei forse denunciarvi la scrittrice! La scrittrice, intendete?

Leon. (Sdegnoso, c. s.). Smentite voi tutto quello che volete! Io non voglio altre scene, altre pubblicità!

Eug. (Levandosi). Allora le voglio io! (A Carenzi). Senta, caro signore: Io mi rassegnai per non fare della mia casa un teatro di scene violente e sconce — con una sola spettatrice, mia figlia! mi rassegnai a tutti i dolori, a tutte le amarezze, a tutte le umiliazioni di una donna separata — d’una mal maritata, com’ella disse! Ma rassegnarmi a questo che mia figlia sia creduta figlia di una madre disonesta! Ah no! (A Leonardo). Voi non volete smentire? Vi potrei opprimere sotto prove e documenti schiaccianti!... Ma a questo signore sono sicura che basterà un’altra prova! Le perfidie di quel giornale invece di colpire me e Corvini, colpiscono.... Leonardo.... e una donna, che non nominerò mai! Questo lo giuro!... — Clelia! Clelia! (Entra Clelia seguita da Corvini. — Eugenia continua abbracciando Clelia). Quello che le ho detto lo giuro innanzi a Dio, baciando la fronte della mia creatura. (A Leonardo). Giurate voi, sul capo di vostra figlia, che non è vero!

Leon. (Colpito, esitante fa un movimento).

Corv. (Avanzandosi mostra una lettera a Leonardo). Non giurate, Leonardo!... Ho qui una lettera!...

Caren. (Commosso ad Eugenia). Non voglio lettere!... Non voglio altre prove! (A Clelia). Lei, signorina, baci la mano della sua mammà! (Clelia bacia la mano).

Eug. (Si lascia baciare la mano commossa).

[79]

Caren. (Ad Eugenia). E ora mi permetta che io faccia altrettanto! (Le bacia la mano). Una giovinetta che ha una tal madre non può che riuscire la gioja, l’orgoglio della casa ove entrerà; e se questa casa sarà la mia, ne sarò veramente felice! E non pongo che una condizione; la signorina rimanga sempre da oggi in poi con sua madre — sino al momento di venire con suo suocero.... che sarà fra un anno. Quanto alla riconciliazione, facciano loro.... non ci tengo più.... ci rinunzio.... che, forse.... sarà meglio così!...

Eug. Grazie!

Clel. Grazie! E adesso permette? (Fa per baciargli la mano).

Caren. Un momento!... Il signor Conte ha nulla in contrario?

Leon. Nulla!

Caren. (A Clelia sorridendole). Eh!... allora.... là.... via! (Le dà la mano che essa bacia).

Corv. (Si accosta a Leonardo e gli dice piano). A voi, distruggete. (Gli dà la lettera).

Leon. (Guarda le lettere rimontando la scena e mostrando di essere profondamente colpito. — Gruppo di Eugenia, Clelia, Carenzi, Corvini. In fondo Leonardo).

FINE.

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina creata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.