The Project Gutenberg eBook of Distruzione: Poema Futurista

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Title: Distruzione: Poema Futurista

Author: F. T. Marinetti

Translator: Decio Cinti

Release date: April 28, 2008 [eBook #25210]
Most recently updated: January 3, 2021

Language: Italian

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK DISTRUZIONE: POEMA FUTURISTA ***

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DISTRUZIONE

Opere di F. T. MARINETTI

La Conquête des Etoiles, poème épique. (3.me édition). Editions de la «Plume». Paris……………………. Frs. 3.50

Destruction, poèmes Léon Vanier, éditeur. Paris…. » 3.50

    La Momie Sanglante, poème dramatique Editions du «Verde
    e Azzurro
». Milan………………………………. » 2.—

    D'Annunzio intime, (4.me édition). Editions du «Verde e
    Azzurro
». Milan………………………………….. » 2.—

    Le Roi Bombance, tragédie satirique. (3me édition). Editions
    du «Mercure de France
. Paris………………………. » 3.50

    La Ville charnelle, (4.me édition). E. Sansot et C.ie éditeurs.
    Paris…………………………………………….. » 3.50

    Les Dieux s'en vont, D'Annunzio reste, (11.me édition).
    E. Sansot et C.ie, éditeurs. Paris………………… » 3.50

    La Conquête des Etoiles, (4.me édition suivie des jugements
    de la Presse internationale). E. Sansot et C.ie éditeurs.
    Paris
…………………………………………… » 3.50

    Poupées électriques, drame en trois actes en prose, avec
    une préface sur le Futurisme. (4.me édition). E. Sansot
    et C.ie, éditeurs
. Paris………………………….. » 3.50

    Enquête Internationale sur le vers libre, précedée du premier
    Manifeste du Futurisme. (8.me mille). Editions Futuristes
    de «Poesia»
. Milan……………………………….. » 3.50

    Mafarka le Futuriste, roman africain. (21.me mille). E. Sansot
    et C.ie, éditeurs
. Paris………………………….. » 3.50

    Re Baldoria, traduzione della tragedia satirica «Le Roi Bombance».
    Fratelli Treves, editori
. Milano…………………… » 4.—

    Mafarka il Futurista, romanzo, tradotto da Decio Cinti
    (12º migliaio). Edizioni Futuriste di «Poesia». Milano » 3.50

F. T. MARINETTI

DISTRUZIONE
POEMA FUTURISTA

Traduzione dal francese in versi liberi

EDIZIONI FUTURISTE

DI "POESIA"
MILANO—VIA SENATO, 2

1911

PROPRIETÀ LETTERARIA

POLIGRAFIA ITALIANA (Società Anonima)—MILANO—Via Stella, 9

DEDICA

1.

INVOCAZIONE AL MARE ONNIPOTENTE PERCHÈ MI LIBERI DALL'IDEALE.

Mare, divino Mare, io non credo, non voglio credere che la terra sia rotonda! Miopia dei nostri sensi! Sillogismi nati morti! Logiche defunte!… O Mare, io non credo che tu malinconicamente t'avvoltoli sul dorso della Terra come una vipera sul dorso d'un ciottolo!… L'han dimostrato i Sapienti, che tutto seppero misurarti, e che tutte scandagliarono le tue onde… E che importa?… Nessun sapiente mai saprà comprendere il verbo tuo di delirio!… Sei infinito e divino!… Me lo giurasti, o Mare, col grave giuramento delle tue labbra schiumanti che va da spiaggia a spiaggia, ripercosso dagli Echi attenti e protesi come vedette in agguato. Me lo giurasti, o Mare, coll'irosa tua voce, che i tuoni furiosamente scandono!

Infinito e divino, tu viaggi, o Mare, come un fiume felice della sua vasta pienezza… Oh! chi potrà degnamente cantare l'epitalamio dell'anima mia che nuota nel tuo grembo immenso?… E le nubi abbagliate ti fanno cenni d'invito allorchè senza sforzo ti slanci nella profondità imperscrutabile degli orizzonti!…

  Come un fiume dall'acque lustreggianti
  e venate di fiamme,
  tu ti slanci, o Mare,
  dirittamante là, negli orizzonti!…
  Hanno torto i sapienti che lo negano,
  poichè spesso ti vidi, in meriggi d'apoteosi,
  folgoreggiar lontano come una spada d'argento
  puntata contro l'esasperante perfidia
  dell'Azzurro implacabile!…
  Rosseggiante e crudele io ti vidi,
  implacabilmente brandito
  contro il fianco carnale
  d'una sera d'aprile agonizzante
  fra le capigliature demoniache della Notte!…
  O Mare!
  O formidabile spada atta a fendere gli astri!
  O formidabile spada
  sfuggita dalle mani infrante d'un Dio moribondo!…

Ed i Tramonti, i sempre diversi Tramonti, sono le sanguinanti ferite che tu apri, o Mare, attraverso il tempo, per vendicarti! per vendicarti!… Che ne dicono i Sapienti? E voi che ne dite, vecchi magici libri, lambicchi eterni, argentee bilance, telescopi obliqui?…. D'altronde, checchè dicano, hanno torto, i Sapienti, se negano la tua essenza divina, poichè solo il Sogno esiste e la Scienza non è se non il triste deliquïo d'un Sogno!

Come un fiume sterminato nell'infinito ti sprofondi, e le flessuose Stelle di zaffiro, in metalliche vesti che palpitano e accendonsi alle pieghe, indolenti si sdraiano sulle tue rive! Intanto gli Astri imperiosi dagli elmi aguzzi di fuoco, agili in lor guaìne di smeraldo, s'ergon sulle tue spiagge, stendendo sui flutti le loro braccia di luce, per benedirti, o Mare che t'avventuri via per le azzurre praterie del cielo, ove spargi il tuo desiderio eterno e la tua folle voluttà!… Radiose vene dello Spazio! Sangue puro dell'Infinito!

Vennero a sgambettare sui tuoi promontorî i Sapienti, marionette ridicole sospese agl'intricati fili delle piogge d'autunno, per esplorarti, o Mare!… Tu non sei, per costoro, se non un misero schiavo senza posa atterrato, senza posa flagellato sulla sabbia dai Venti, carnefici tuoi!…

Non si curano, i Sapienti, de' tuoi singhiozzi, nè della tristezza sommergente degli occhi tuoi… Hanno detto che sei l'idropisia d'un mondo decrepito e che nelle curve della terra t'insinui come gli umori malsani per entro i meandri del corpo umano… Altri ti videro inverdire di fiele, di sanie, di bava, e farti rosso ai crepuscoli…. Dissero che tu, Mare, senza tregua indietreggi lontano dalle spiagge, e vai morendo miseramente disseccato!… Per essi, non sei che una serpe di cesellato oro giallo, che torcesi a guisa di borchia sul messale aggrinzato della terra… Ma che importa?… I martelli e i trivelli della tua voce, sapranno frantumar facilmente le effimere parole!…

Io che t'amo e t'assomiglio… io che credo alla tua divina potenza, canterò la tua marcia trionfale nello spazio che da parte a parte attraversi spiegando scintillanti acque solenni pettinate dai turbini in seno all'Infinito!… Gonfia tu l'anima mia, o Mare, come una gran vela d'oro!… Batti e sommergi, o Mare, coi tuoi flussi e riflussi di porpora e di raggi la desolata spiaggia del mio cuore!…

Innumeri stelle nostalgiche sono discese nella tua maestosa corrente di fiume, e van frugando a nuoto l'ampio orizzonte, e spiano attente il lontano chiaro estuario dalle eterne frescure, per placare il lor cuore dai rigidi nodi di fiamma, per calmare l'ardore delle loro braccia di luce!…

Affrettati, o Mare!… Tori giganti di vapore, dalle groppe monumentali, scendon—li vedi?—indolenti verso le tue rive, trainando gli enormi carriaggi delle Costellazioni!… Vengono a dissetarsi alle tue lucide acque, e dondolan le teste informi sotto le divergenti corna di fumo, e grondano dalle froge innumerevoli mondi che brillano.

Un prodigio? Un prodigio?… Echi sonori, ripercuotete il grido dello stupore e della gioia!… Il gran miracolo, o Mare, s'è dunque avverato? Sì! Sì! Finalmente nelle mie vene ti sento, o turbolento Mare, o Mare avventuroso!… Eccoti in me, come io ti desidero!… Galoppa or dunque, sotto il tuo gran pennacchio romantico di scarmigliate nuvole… inebbriato galoppa nel mio cuor che s'allarga!… Aizza, aizza l'accanita muta delle tue tempeste abbaianti, e coi tuoi lampi le sferza, perchè feroci s'avventino contro le Stelle nemiche!…

2.

LA MIA ANIMA È PUERILE.

O Mare, la mia anima è puerile e strilla e si dibatte per avere un giocattolo!… Dàlle tu le tue barche pesanti e panciute, che vanno in processione simili a preti in gran pompa, alto portando l'albero come l'asta di un palpitante stendardo quadrato gonfio d'oro solare… per divertirla, o Mare, per divertire l'anima mia!

Già mille volte, con tutta la fame del mio sogno gagliardo vi assaporai, lente vele ammainate a metà, vele color di concio, di ruggine e d'ocra, vele più succulente che grappoli favolosi, pendenti dall'alberatura come dalla vigna scintillante di una Terra Promessa!…

A me gli àcini vostri, violacei e trasparenti! V'invoco per le labbra insaziate e per gli occhi voraci della mia anima!

Che festa, o Mare, che festa radiosa l'averti tutto in me, liscio, le sere d'estate, con la tua pelle di serpe squamata di crisolito e col tuo ventre roseo, niellato, di lucertola!… Gioia della mia carne! Abbeverarmi io voglio, con delizia, alla freschezza, o Mare, dei tuoi spruzzi volanti e dei granelli di ghiaccio che mi metti alle ciglia… Orgia trionfale dei miei sensi! Afferro la criniera sferzante delle tue onde per cavalcare nuda la loro groppa veemente, fiutando a polmoni aperti un acido e melato odor di velli fermentanti di bionde putredini al sole!…

Mi tuffo a mani giunte, e affondo, agitando le braccia, nella mollezza diafana del tuo seno che ondeggia, per cercare il tuo sangue più fresco nelle verdi tue viscere profonde…

Ah! Ecco, risorgo! Risorgo scrollandomi con agili scatti di reni, fuor della schiuma che ribolle! Olà! Non so che farne, o marinai, dei vostri ramponi, e le vostre boe affonderebbero tutte sotto il peso del mio corpo!… Nel sontuoso orizzonte occidentale meravigliosamente pavesato, senza sforzo m'innalzo—puntando le braccia, che scivolano e s'irrigidiscono— su, da una pietra all'altra, da una sporgenza all'altra, ed a scatti mi rizzo, nudo e tutto grondante, su la cresta del molo!…

  Balzo tre volte, e già eccomi in piedi
  sul mucchio enorme di coke,
  che la magia della Sera diamanta
  miracolosamente!…
  Ritto, inalbero come in un delirio
  la mia figura aïtante d'eroe
  fra i grandi velieri che beccheggiano
  alla risacca,
  e fra le lor vele a brandelli
  sanguinolenti di porpora,
  che le gru dal fantastico lungo collo metallico
  laceran d'un gran colpo giravoltante di becco…

  Così, così, nudo e tutto grondante,
  con la pienezza risonante dei miei polmoni di bronzo,
  così io canto, o Mare, la sublime allegrezza
  delle tue mostruose spanciate di fiamme e di stelle!…

  Empimi il petto, o Mare, del frastuon de' tuoi porti
  sonanti come incudini infernali
  sotto pesanti martelli in tumulto
  che a volta a volta fingono la folgore e il tuono!…

  Con alte grida io t'invito, o Mar tentacolare,
  o Mar maledetto, a schiacciare
  sul tuo seno il mio corpo, teso come un grand'arco
  fatto per scoccar l'odio su bersagli invisibili.
  Ecco, o Mare, i baci neri d'un condannato a morte,
  ecco gli avidi baci di un'amante in agonia,
  ecco le mani adunche di un affamato ebbro d'odio!…
  Ecco: io afferro il mio cuore a piene mani
  così da spremerlo,
  per saziar la tua fame e per estinguere
  la tua gran sete, o Mare,
  abbeverandoti di me!..

  Ed ora fra le tue onde versicolori io vedo,
  in un gioco abbagliante di fuochi e di specchi,
  tutto il passato mio che lentamente affonda!…
  Il mio vasto cuore affamato
  che un tempo abbaiava alla luna
  come un cane, vomitando macigni di voce arrogante
  nelle tenebre fonde… il mio vasto cuore affamato
  di polpe siderali,
  galleggia in balìa dell'onda
  come una gonfia carogna, a zampe all'aria,
  scortata da sciami rombanti
  di grosse mosche verdi…
  Io vedo intanto,
  nella tua elastica trasparenza,
  farsi pallide e rosee, delicatissimamente,
  guance molli d'amore di lontane amanti obliate.
  Le tue piccole onde sorridono
  trotterellando sulla ghiaia…
  Così, così a timidi passi io seguivo
  il bel sogno fiorito di due verginali pupille
  e il riposo del cielo fra labbra innamorate!…
  Così io camminavo a passi timidi
  nel serico fruscìo delle vesti muliebri,
  andando verso l'ardente penombra persuasiva…

  Orrore! Imbottita è la spiaggia
  di fetide alghe, e vi giacciono
  le scorie delle navi, i rottami,
  le putrescenti schegge dei grandi naufragi!

  O mio Sogno, o mio Sogno tutto in lagrime,
  li odi, i vapori che van trascinando
  muggiti simili a grandi gesti spossati,
  lontano lontano,
  verso il vasto al di là degli orizzonti?…
  E non vuoi tu seguirli, o mio Sogno
  mortalmente ubbriaco d'Infinito?
  Più in alto! ancora più in alto! Odi tu
  le lamentose chiamate della Notte in delirio,
  e il gocciar delle sue lente lagrime argentee
  che nelle campane tintinnano?…
  Non vuoi tu obbedire alla Notte?

O Mare, vasto sepolcro abbagliante, verso di te io tendo le mie braccia, tôrte dal desiderio… O Mare che ti trasformi sotto i miei occhi in un tino gigantesco ove fermenta e ribolle una enorme vendemmia di vecchi mosti sfrenati, io, vacillante e briaco, un'altra volta mi rizzo, nudo e tutto grondante, su la cresta del molo, tra i tuoi fumi ossessionanti d'orgoglio e di Nulla!… Io m'adergo, esaltato, nello sbandieramento regale di questa Sera divina che solenne accompagna il mio funerale!…

Oh! l'ebbrezza angosciosa di gettarmi, o Mare, nel tuo seno, giunte le mani come per pregare! M'immergerò cento volte nella freschezza lucida de' tuoi gorghi carnali, mollemente legati da chiome femminili!

  Vedo venirmi incontro
  una turba di piccole onde vezzose
  dalle braccia fiorite, dai grandi occhi pazzi,
  che mi sorridono e folleggiano tendendomi le guance!…
  Vedo correre a me
  una turba di piccole onde vezzose
  che scoppian dalle risa colle lagrime agli occhi
  sotto il tuo bacio, allegro Sole,
  sotto il tuo bacio d'oro che ratto svanisce…
  ed ecco piangono
  celando gli occhi fra le braccia ignude,
  quando tu destramente fra le nubi t'ascondi!
  Io balzerò da un'onda all'altra, fuggendo
  lontano dai tronconi delle gomene infrante,
  lontano dallo sguardo allucinante dei fari,
  scivolando fra le lor braccia grondanti di luce
  che senza fine si prolungano,
  o Mare, a notte alta,
  sulla tua folle ebbrezza di scolaro in baldoria.

  Olà! Sei tu ancora, vecchio Sol seminudo,
  che passi in un intreccio di lampi
  sull'orizzonte?
  Ti sei dunque camuffato da Re barbaro?…
  Non vedo infatti la tua faccia d'incendio
  volgersi in lontananza
  sotto una tiara colossale di ebano?
  Non vedo infatti oscillare
  la tua gran barba dai cespugli di rame?
  . . . . . . . . . . . . . . . .
  Eccoti, o vecchio Sole, superbamente piantato
  su un onagro turchino,
  mentre sparisci là giù all'orizzonte,
  a gran carriera, inzaccherando
  di fuoco e d'ombra l'azzurro.
  . . . . . . . . . . . . . . . .
  Oh! saprò ben raggiungerti
  nuotando con furore di ondata in ondata,
  e duemila bracciate mi basteranno certo per afferrarti
  vecchio Sol disilluso che fuggi l'orribile Terra!…

  Ecco: di qua, di là, dovunque lungo le spiagge,
  i preparativi di partenza delle luci febbrili,
  che salperanno fra poco verso l'infinito…
  Come pirati inseguiti par che s'affrettino
  ad ammucchiar su un veliero spettrale,
  laggiù alla punta estrema di un promontorio,
  grandi, preziose balle di nuvole scarlatte!…
  Sono i tesori, sono i gonfaloni disusati
  dell'Anima mia!… Dove mai li portate?
  Il Mare ha già assorbito
  il sangue vermiglio della Sera,
  tutto luccicante di pagliuzze d'argento,
  ed ora lentamente il grigio cielo incurva
  le sue vôlte di cripta funeraria,
  ove letargiche Stelle, sospese ancora per un artiglio,
  sembrano strani pipistrelli dalle palmate ali d'oro!…
  Sinistramente allineate su le banchine cupe, tutte avvolte
  in folte brume d'incubo,
  le Gru colossali si trasformano
  in kanguri fantastici di bronzo, giranti su sè stessi.
  I marsupii capaci delle lor pance son pieni
  di minuscole ombre,
  gesticolanti confusamente, al crepuscolo,
  nel fumo degli aliti loro!…

Il Mare, in lontananza, sontuosamente arricchito di tutte le luci cadute dal cielo, va delicatamente mutandosi in un magico deserto dall'auree sabbie ondeggianti che all'infinito si stendono. Ombre violette le increspano, e un vento ingegnoso le squama e le niella con carezzevoli soffi, con lente puerili moine.

Le Gru colossali, kanguri di bronzo allineati sulle banchine, col collo teso sinistramente spiano prede sul mare!… Ed ecco avanzarsi un piroscafo che volge diritta la prua verso di me. io lo vedo ingrossarsi, come una enorme palla, sotto i suoi grandi alberi branditi come lance!… A lunghi passi pesanti s'approssima sotto l'acque movendo le sue zampe immense, simile ad un fantastico dromedario che attraversi, con l'acqua a mezzo il corpo, il roseo guado placido di un Nilo paradisiaco in molli curve irrigante un'ampia prateria del cielo…

Altro non è che un miraggio di questo mutevole mare, dalle chimeriche sabbie d'oro!…

Or nella dubbia luce del crepuscolo, lo strano dromedario s'immensifica, intenebrando la banchina con l'ombra sua che s'allarga… Ai lati della gobba formidabile oscillan lentamente le smisurate saccocce d'una bisaccia nera, ov'io scorgo orecchie colore di rame, alla rinfusa, aguzzate dall'attesa, ritte verso l'orizzonte occidentale… lunghi, fioriti dorsi d'impossibili pecore, fra caftani nerastri… e cataste di gabbie… e fucili lunghissimi, damaschinati, da beduini, alti com'alberi di nave, nella bruma della sera.

  Ad un tratto la luna, bianca e succosa di luce,
  spaccandosi in mezzo al cielo come una favolosa noce di cocco,
  dondola e rotola giù
  sul mobile dorso del dromedario.

  Urrà! Urrà!… È quello, è quello il frutto
  che può saziarmi, il frutto che da sempre
  la mia anima invoca
  per la sua sete bruciante di viaggiator del deserto!…

Solo io sono, ritto. nudo e tutto grondante su un alto ammasso di coke, e accanto a me, fra dense nebbie d'incubo, le Gru van raschiando lentamente col loro collo di bronzo fatidico le profondità, paurose dell'orizzonte. Il loro gozzo, pieno di tintinnanti catene disfrena a tratti lo spavento bianco de' suoi muggiti lunghi e gutturali di vapore. Allora, allora, come una molla, scatta il mio cuore, in alto…

Tutti i miei nervi acuìti s'esaltano agli effluvi eccitanti del catrame, e a quando a quando s'afflosciano nella fragranza mista—miele dorato e nera liquirizia— dei frutti rancidi o fradici!… Poi, l'odore selvaggio e crepitante del sandalo rilancia verso l'odio e la demenza il mio cuore, ebbro così da morire, che subito balza nel ballo tondo, come un negro piumato che pianga in una rossa ubbriachezza forata da bianche risate…

Più alto, ancor più alto che non le azzurre lagrime e i singhiozzi di cui le campane in lutto vanno impregnando la durezza del paesaggio… più alto, ancor più alto che non le grida strazianti dei piroscafi vôlti alle spiagge lontane… più alto, ancor più alto che non la tosse monotona e i singulti esasperati del vapore… con tutta la risonante pienezza de' miei polmoni di bronzo, la tua potenza immensa, o Mare ingordo, io canto!…

Poichè ormai l'infinito t'appartiene tutto, o Mare pirata, come una preda di guerra, a me vieni dunque, e a saziare la mia fame di polpe siderali su la còncava spiaggia del mio cuore tu versa la porpora trionfale dei tramonti, le costellazioni ambiziose che le loro gemme sparpagliano in stelle filanti di cui s'adorna come di fulgidi nastri lo zenit, e le nubi dai pigri strascichi d'oro, e la nostalgia inconsolata degl'astri pellegrini, e il loro sangue che splende sui calvarî del cielo, e i loro pianti divini, e i loro rosarî di tinnuli raggi!… Tu versa alfine, o Mare saccheggiatore, tutta la grande disperazione del mio bellissimo Cielo dannato, naufragato per sempre nelle fonde tue acque! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ah! Ah! troppo, troppo ho cantato! Or sono affranto! Ho sete… Da bere! Da bere!… Avvicinatevi dunque, bettole galleggianti dalle piccole tende color di vinaccia! Avvicinatevi dunque, canotti panciuti, che andate qua e là offrendo da bere e da mangiare ai marinai, da bordo a bordo, fra il cozzare dei remi e delle voci, nel fragore dei flutti, nell'ombra enorme dei velieri che dolcemente fanno oscillare su di voi l'immenso cielo tutto a chiodi d'oro.

Vuotare voglio i vostri boccali d'argilla, le vostre pinte che hanno forma d'oca e i vostri barilotti rossicci… Da bere! Ancora da bere! Versate!… mentre mangio su questo piatto a colori le vostre buone pietanze con l'uova verdi e rosse di Pasqua salate dagli spruzzi dell'alto mare. Una… due… tre sorsate di vin denso!… Ch'io beva, ch'io beva ancora, prima di riprendere il vasto fiato del mio canto!…

3.

LE BABELI DEL SOGNO.

I bei Tramonti dagli artigli d'oro e dalle criniere di fiamma, i Tramonti accosciati sulla soglia degli orizzonti come leoni dalle fulve zampe distese, lungamente straziarono la mia carne adolescente.

Tu, Mar crepuscolare mi dèsti l'acre nausea di vivere e l'infinita tristezza, e per averti troppo contemplato nella mia giovinezza, ora nel tuo vasto alito vacillo, ebbro di disperazione!

Certe sere, laggiù nell'Africa strega, ci conducevan sulle tue spiagge cupe e deserte, triste gregge di collegiali che docile e lento si trascinava, vigilato da preti neri e severi… Eravam piccole macchie d'inchiostro sulle immateriali sete di un divin cielo orïentale

E tu indolentemente venivi verso di noi, o Mare sensuale, fresco, verde, coperto di schiuma, simile a donna seminuda fra bianchi merletti che ad asciugarsi venisse i nivei piedi sulla sabbia fine. Trepidando di collera facevi il broncio al Tramonto, pigro amante che s'indugia a carezzarti e che t'imbelletta le guance! Intanto in alto, su, fino allo zenit, coi giuochi agili e varii delle tue onde lanciavi le nostre stelle e i nostri sogni, a vicenda, vetruzzi multicolori che vengon dall'Oriente!

S'inebriò il mio cuore allo scrosciar delle perle che la tua mano stanca sgrana nel cavo delle rocce… Singhiozzò il mio cuore fra le tue dita brucianti, come una lira satanica dalle corde tese, spossate da troppe carezze che ad un tratto prorompano in risate strazianti. Il mio cuore?… lo avvolsi nelle tue trecce notturne di donna lasciva; Il mio cuore?… lo trascinai tutto a brandelli, su le tue onde schiumose, dentate come crudeli seghe d'argento!…

Che tu sia maledetto, che tu sia mille volte maledetto, o Mare, secondo le leggi astrali, per aver popolata la mia giovinezza pensosa di bocche levantine aperte a spasmodici canti e di onde sessuate dagli osceni contorcimenti!… o Mare, ballerina orïentale che rosse hai le poppe del sangue di tutti i naufragi!…

  Camminavamo trascinandoci,
  sanguinanti l'orecchie, come cani feriti a morte
  che si dissetassero a pozzanghere putride,
  fiorite già di stelle illusorie…
  Fantasticavamo, prostrati
  come mendicanti,
  sotto il portico abbagliante della venerabile notte,
  ove le tue frenetiche dita di flusso e riflusso
  notarono le cronache distratte di tutti i disastri.
  Ed io avevo in cuore il fastoso miraggio
  d'un palazzo nero dalle cento torricciuole d'avorio
  brandite contro l'azzurro, per tenervi chiusa e intangibile
  la Sposa delle Spose, conquistata
  al prezzo di tutto il mio cielo stellato di sogni!
  Intanto i miei occhi esploravano,
  in fondo al crepuscolo astioso,
  tra le forche verdastre delle nuvole,
  l'azzurrina profondità
  delle grotte favolose…

Più tardi, al mio ritorno nella casa paterna, cominciava una dolce serata famigliare, sotto la lampada ch'erge il suo collo di fiamma arrotondando ali di luce sul desco, per covare i miei desideri tra lo scrollìo dei suoi raggi pennuti, simile ad una gallina dall'uova magiche, d'oro. Dall'ombra d'un angolo, allora, la mia rugosa nutrice sudanese cantarellava tristemente, con la sua voce gracile e nera, battendo in cadenza le mani più dure che nacchere. Nella soffocazione della sera traboccante di fuoco, la voce della vecchia istoriava il silenzio di leggende crespe come teste di negri, fendute da bianche risate e coronate di piume scarlatte.

Io m'affacciavo alla finestra, a quando a quando, per sentirti, o Mare, mormorare inviti a indefiniti passanti, come donna in un trivio…

Mare! Cortigiana sublime! Chi dunque nella tua burrascosa alcova ospiterai questa notte? Chi verrà a carezzare le minacciose spire del tuo corpo di serpente? Chi verrà a morsicar fino al sangue, in un rantolo di morte, le tue mammelle dalle punte di fuoco che scattan contro Dio, nelle tempeste?

Ad un tratto, sorgendo d'un balzo fra le rocce, o Mare, schiumante e selvaggio come un pazzo adirato, in sussulti di rabbia agitavi le tue braccia d'avorio, ticchettanti d'amuleti, e digrignavi i denti, ghiaia rimossa dall'onda… . . . mentre la Notte, piovra colossale dalle ventose d'oro, conquistava lenta la spiaggia.

4.

LE FUMATE DELL'ANIMA.

M'avvolse la Notte nella sua ombra, come nelle pieghe di un ampio mantello, prendendomi le mani fra le sue molli dita di pasta. A passi lenti io seguivo la Notte, vecchia mezzana, verso i sinistri bassifondi dell'anima mia, via pei vicoli postribolari delle mie vene, in fondo alla mia carne, città millenaria…

—No! No! Non voglio entrare nel vostro inferno!… Lasciatemi! Lasciatemi!… Mi fermo!…—

Ritti ad un tratto, agl'angoli neri delle viuzze, i miei Peccati favoriti ghignarono, barcollando come briachi… Scoppiavano dal ridere, i miei vecchi e luridi Peccati dalla magra faccia giallastra, a losanga, e dai lunghi occhi di liquirizia, dimenando la loro contorta figura di fumo… Scoppiavano dal ridere, or spalancando le bocche come forni ed or strizzandole in forma d'ombelichi!… Ero, me ne ricordo, al quadrivio della mia defunta volontà.

  Dietro i rossi vetri, voci rauche gridavano:
  —Midolla e sangue per lunghe sorsate d'oblio!
  Il prezzo è questo dei sogni più belli!—
  Entrai allora coi miei Peccati nella bettola
  della mia carne!…

  Bettola araba? taverna indiana?… Chi sa?
  Certo è che la foia affocava quell'antro
  e il rimorso ne scrollava le mura!…

V'erano molte donne, più nude e più oscene pel rossor liquefatto dei loro capelli e pel viscido socchiudersi delle palpebre… Avevano mammelle dure, violente e balzanti!… Illusione!… Non avevano corpo di donna, non avevano corpo… Di qua, di là, nella nebbia rossigna, vivevano e s'agitavano mani calde, vischiose… e certe bocche… e certe bocche… che strisciavano verso la mia! Io mi sdraiai su divani scarlatti, simili a giganti sbalzati da cavalli giganteschi, e giacenti sventrati, vermigli di sangue, in un fiammeggiante meriggio di furibonda battaglia!…

Mi stesi su quei divani, aggrappandomi, contratte le dita come artigli, e frugai nelle viscere loro, cercandovi un'anima selvaggia e dolorante!… E aspettavo lo spasimo dei moribondi divani, bocca su bocca, per bere con ebbrezza il rosso, allucinante grido del velluto insanguinato!… Insanguinato?… Del mio sangue forse! il mio sangue… la mia carne e la sua nera tristezza!… Ed ero solo… solo, a consumare il mio corpo, a divorarmi l'anima, ansando sulle poppe irritate della Morte! Solo, per sempre solo, colle mie labbra solitarie!.

Più tardi, mi ritrovai pauroso e tremante davanti all'idolo dal corpo d'ebano e dagli occhi d'agata che il mio futuro impersona!… Un idolo affumicato da lampade rossastre che han valve più sottili di piccole bocche infantili… lampade or vive or morte, in rapida vicenda!….

  Oh! lugubre, lugubre coito
  di un desiderio sovrumano,
  in preda al tenebroso delirio delle mie mani,
  davanti all'idolo che si sgretola,
  affumicato!…
  Lenti vagabondaggi delle mie mani affascinate,
  striscianti verso la Pipa che assopisce …
  O dispensatrice dell'estasi prodiga d'oblio!

Lente fumate… La pipa, fra le mie dita, somigliava ad uno strano minuscolo membro virile ossificato!… Ad un tratto mi parve che la mia mano incauta diventasse più grande, diventasse profonda, lungi da me, sotto di me, come un'immensa cripta del color delle viscere!

E, lontanissimo, in fondo, sotto la vôlta sanguinante, una porta scoppiò, vomitando nel mio sogno turbe di mendicanti affannate, con un pesante fracasso di grucce trascinate… Ma non era che il rumore del cozzare delle lor gambe metalliche, rigidi compassi sotto fradici stracci….

«Logiche»… lo sapete?… Si chiamano Logiche, codeste pezzenti che, senza riposo, che senza riprender mai fiato, si misero tosto a parlarmi d'affari, con viperine lingue velocissime, discutendo lunghi contratti di gioia!… Guizzavano le loro lingue, nelle bocche sdentate, guizzavano come serpi!… Oh! il mortale terrore di sentirmele come trivelli nella mia tromba d'Eustachio!

Gesticolando seminude nei luridi cenci le Logiche m'offrivan grandi stocks di felicità disusata e dei barili pieni di piaceri stantii, tali da rallegrare appena uno straccione, e in cambio mi chiedevano somme di rimorsi!…

  —Perchè il rimorso, vedi?,
  è l'esca delle gioie più profonde…
  Con tanto di lussuria e tanto d'alcool,
  tu avrai… Che cosa?… facciam l'addizione…—

  Ma io, d'un balzo, ne afferrai una per la gola,
  gridandole con angoscia sul muso:
  —Che cosa mi darete?… dite… dite, perdio!…
  Senza mercanteggiare!… Denaro contante!… Su! Presto!—

  Tacquero impensierite le Logiche…
  Poi una con voce sorda mi disse:
  —Fuma! Fuma la pipa estenuante del tuo sogno!—
  un'altra:—Bevi, bevi quanto più puoi,
  fino alla nausea, fino al disgusto!…—
  Ed altre borbottarono:—Tu dovrai trascinare,
  sempre, il tuo corpo snodato e pesante come catena
  attaccata alla palla vuota del tuo cranio!
  —Le tue vene dovranno puzzare come fogne;
  il tuo cuore dovrà scampanare
  come campana a stormo, e tintinnare
  come un mazzo di chiavi fra le mani
  d'un carceriere in un fosco mattino
  di esecuzione capitale,
  affilato da un tepido sole primaverile…—
  . . . . . . . . . . . . . . . . . .
  —Allora, solo allora, cantarono le Logiche
  sottovoce, tutte insieme, alzando al cielo le braccia,
  allora, solo allora, ti entrerà nel cuore
  la felicità!…
  Una Felicità rosea, flessuosa e leggiera,
  che sfiora la Terra col suo passo,
  scivolando via sulla brezza…
  Una bambina dagli occhi puri come pervinche umide…
  Le sue labbra insanguinate da gioie soprannaturali,
  inebbriano perdutamente gli Angeli,
  come le frutta che pendono dai frutteti di Dio!
  La felicità bambina ti entrerà nel cuore
  senza ragione, naturalmente,
  perchè è tanto buia la casa del tuo cuore!…

«Cantando e sgambettando, ti farà sorridere, ridere a crepapelle, e riderà sgangheratamente essa pure con tutti i trentadue lontani Soli che le fanno da denti, e con mille moine rime obbligate intrecciando e smorfie puerili!…

«Or dunque fuma nella tua pipa, fuma fino ad averne la nausea, perchè il canto della sirena ed il grido esasperato del tuo desiderio si disperdano alfine nella nebbia del Sogno!…—

Allora la rabbia mi scosse dai talloni ai capelli, e balzando, alti i pugni, sulle Logiche fredde, gridai: —Ditemi, ditemi dunque il Perchè di questi loschi commerci!…— Categoricamente, le Logiche, con gesti brevi e netti, senza esitare, si segaron la gola per tutto argomento!…

Un'ora dopo mi svegliai, senza sapere dove mi fossi… Bettola araba? taverna indiana? Chi sa? La foia affocava quell'antro e il rimorso ne scrollava le mura… Era una taverna indiana, dal soffitto bassissimo, fatto a spegnitoio, che d'ora in ora calava, schiacciando le lampade fumose dell'Anima mia!…

Con la speranza di trovare ancora la Notte, mia vecchia ruffiana, la Notte cieca e sorda, dalle dita mollicce di lievito infernale, infransi i vetri delle finestre…

  La Notte se l'era svignata, scavalcando l'orizzonte,
  ed io sentii, compresi, che Stelle e Stelle piovevano,
  interminabilmente,
  nei pozzi senza fondo delle mie ossa!…

  —Midolla e sangue per lunghe sorsate d'oblio!…
  È questo il prezzo dei bei sogni… È questo!…—

5.

NOTTURNO.

(a tre voci).

Per noi, per noi soltanto, nella spossatezza di quella soave notte carnale, il Vento, stanco d'eterni viaggi e deluso della sua rapidità di fantasma, con mani illanguidite andava spiegazzando nelle profondità dello spazio i sontuosi velluti d'un gran guanciale d'ombra, indiamantato di lagrime siderali!

Per noi, per noi, il Vento sveniva di dolcezza su le mammelle calde e ansanti delle onde primaverili, come un amante dal corpo spalmato d'aromi, coronata la fronte di papaveri, nella spossatezza vasta di quella notte carnale!… A fianco a fianco andavamo, cadenzando il pulsare dei nostri cuori sui singhiozzi e i sospiri dell'onde desiose… Ella aveva la grazia fragile e pieghevole dei fiori nel suo incedere ondeggiante, leggiero e persuasivo, fra veli azzurri che le davano l'ali. E lo spavento mi premeva la gola quando il mio braccio cingeva la sua snella ed aerea figura che ad ogni passo sembrava volesse involarsi con un agile e languido volo di tortorella, verso le nubi dalle spiagge d'oro!….

Ella aveva negli occhi il silenzio umido e attento delle rade violette e solitarie che i velieri feriti, cacciati dalla tempesta, scoprono per miracolo, le sere di bonaccia, dietro qualche promontorio, lungo coste maledette!….

Mi ricordo del pallore del suo viso ansimante sotto il peso d'una chioma gloriosa dallo chignon d'oro massiccio che cadeva all'indietro come una corona regale disprezzata!… Mi ricordo de' suoi baci impregnati, d'ideale che lentamente scorrevano alle sue labbra socchiuse, e della sua voce che aveva il lungo serico frusciare delle rose calpestate….

La voce della donna.

Amante mio, vedi laggiù le snelle stelle d'oro che vanno d'un passo lieve sulla spiaggia, agili, a due a due, in luminoso abbraccio? Son seminude, e a quando a quando il loro corpo di perla s'affusola e la loro carne rosea, sbocciando fuor dalle morbide madreperle gronda di rubini sanguinolenti!…

La mia voce.

Trema il mio cuore al vederle sì dolci e sì fragili, al vedere i lor teneri volti chiarificati dall'estasi e perduti nei vortici delle loro folte chiome di turchese… Trema il mio cuore al vederle nuotare alla ventura con la tranquilla indifferenza delle lor braccia di raggi… Non sai, amor mio, ch'io saprei discendere negl'incommensurabili abissi dei mari, o nei labirinti della morte, sol per baciare le povere labbra peste di una Stella annegata?

O moribonde Stelle delle mie notti di bimbo ancora singhiozzo al sentirvi agonizzare, come pallide naufraghe, nell'acque scellerate del mio cuore!… Oh! non potrò soccorrerle mai, poichè tutte le mie Stelle son lontane, assai lontane dalle nostre labbra umane!…

La voce della donna.

Non pianger più, amante mio, chè il cuore mi si strazia! Disimparò la tua bocca l'ebrietà del mio bacio… Perchè vuoi tu consumare così il tuo desiderio su le pupille chimeriche delle Stelle?… Chiudi gli occhi perchè io baci le tue palpebre!… Chiudi gli occhi perchè io possa abbeverarli della mia tepida saliva, deliziosamente!…

La mia voce.

Ahimè, mio amore! Tu per me sei più triste e più lontana, quando ti ho fra le braccia, che un'intangibile stella naufragata!…

La voce della donna.

Non parlare così… Io non saprei comprenderti… Sono tutta inondata d'amore, tutta piena di te!… Guarda, cattivo! La tua tenera bocca m'incatena tutta… Lascia ch'io sciolga il mio velo e meglio potrai carezzare, come tu voglia, la mia carne che è tua!… Nulla aspetto da Dio, nè dalle Stelle, poichè tu m'ami!… Ti sento… ti bacio, e le mie labbra s'addormono sognando fra le tue labbra, e mi restano per sempre nelle vene i tuoi baci…

La mia voce.

Oh! come la tua bocca è ancora lontana da me!… La vedo un poco aprirsi come una nuvola ardente sulla sorridente madreperla della luna, e tu mi sembri chinata languidamente su la poppa che fugge d'una galera chimerica… Ahimè! tu altro non fai che sfogliare i tuoi baci con la punta delle dita e di lontano, con un pallido gesto che come lampo svanisce!…

La voce del Mare.

Le vostre carezze brucianti, le vostre sapienti carezze son come un tragico annaspare di ciechi remeggianti pei corridoi di un labirinto…. I vostri baci hanno sempre l'accanimento instancabile di una disputa rabbiosa fra due sordi chiusi in fondo a una nera prigione… Con tutto il vostro acutissimo amore e con tutte le vostre carezze voi per sempre sarete perduti, sepolti nelle Tebaidi infocate della vostra carne!… Tu che t'ostini a baci insoddisfatti sul corpo della donna che rantola fra le tue braccia, perchè contempli con tanta mestizia la bocca irraggiungibile delle Stelle lontane?

La mia voce.

O Mare, Mare sornione, che vai, vagabondo, lontano fra i tuoi stracci di bruma, maledetto stregone… conosci tu la gioia di strappar lentamente uno straziante spasimo a questa carne morente e d'ammucchiare, a forza di carezze e di baci tumultuosi, i mieli brucianti della lussuria nelle sue vene aperte?… Aspetto il supremo sussulto di questo corpo snodato che si dissolve in delizia, e voglio la comunione suprema delle nostre agonie, perchè il suo corpo alfine mi ringrazi, ebbro di gioia, della crudele lentezza dei miei pugnali… perchè alfine le labbra innumerevoli di tutte le sue ferite bàcino fervidamente le lame che le fan piangere e morire, felici e trafitte…

Se da Lei m'allontano, subito le sue mammelle m'affàscinan lo sguardo, come le rive di vaporosa madreperla, nobilitate dall'aurora, che tante volte io vidi sull'arco dell'orizzonte, davanti alla prua della nave… Oh! rive fascinatrici, fiammanti d'Ideale, calmi origlieri di sabbia che i miei grandi sogni migratori sorpassarono a rapido volo!… E questa fronte pura splende talvolta nell'ombra come i vetri illuminati di una villa che tutta madida ne sembra d'una dorata felicità… Oh! la dolcezza di vivere nell'intimo calore della sua anima, sotto una fronte così trasparente!…

La voce del Mare.

Per quanto tu viaggi, lanciato verso l'ignoto a galoppo, non potrai mai rivedere i chiari vetri illuminati, la sera, di calma felicità!… Com'è lontana dalla tua anima questa bella fronte ideale che le tue labbra sfiorano teneramente!… I vostri baci saranno sempre, sempre illusorî, poichè tutto un cielo infinito vi separa!…

La mia voce.

Sì! Lo sento, lo sento… Abissi profondi s'immensificano fra i nostri cuori insaziati!… E ben so, immenso Mare, che i tuoi flutti turchini dalle braccia tese, stillanti di pietre preziose, sorridono lungi da me, all'altro polo, con occhi pieni di gioie ben più allucinanti!… So che tu scorri con più dolce abbandono e più profumi sparsi, sgranando le tue perle rosee, su spiagge liete che una gran Sera divina tutte bagna di felicità e di azzurro immutabile! Anche so che altri amanti vi si stendon su le sabbie, come noi, angosciati fra l'ardente sbocciare degli astri, e perdutamente inconsolabili di sentir le loro bocche sì lontane pur mentre si fondono in frenetici baci!… E sento che le nostre carezze, le nostre sapienti carezze, son simili a un tragico annaspare di ciechi remeggianti nei corridoi d'un labirinto!… Sento che i nostri baci hanno la foga pazza d'un dialogo rabbioso fra due sordi chiusi in fondo a una nera prigione!… Sento che noi saremo sempre, sempre sepolti nelle Tebaidi infocate della nostra carne… soli in mezzo al monotono vocìo di taverna che sale dalle profondità della lussuria… soli sotto il Destino e i suoi grandi macigni di Dolore, sospesi sopra le nostre teste… soli, sotto il Destino, che scroscia sinistramente come una chiusa colossale!…

La voce del Mare.

Parti dunque, figlio mio, parti dunque sbarrando gli occhi del tuo delirio! Dà la scalata alle nere montagne della notte, visita le Stelle, ad una ad una… le Stelle, città d'oro maledette, dai merli di diamante, che incontrerai, qua e là, sull'immensa Via Lattea!… Te ne andrai pei sentieri del cielo da un firmamento all'altro, seguendo di lontano la luminosa scìa d'una cometa, ansando di passione per Colei che tu porti incatenata nel tuo cuore, ma intangibile, aderente alle tue labbra, ma per sempre lontana… verso colei che non può esser tua, ad onta dello spasimo orribile che vi strazia!… Andrai, andrai fino ai confini del cielo, e sempre, sempre sarai lontano da Lei, come quando la stringi fremente fra le braccia!

6.

LA CANZONE DEL MENDICANTE D'AMORE.

Ti avevo vista una sera, tempo fa, non so dove, e da allora ansioso aspettavo… La Notte, gonfia di stelle e di profumi azzurrini, su di me illanguidiva la sua nudità abbagliante e convulsa d'amore!… Perdutamente, la Notte apriva le sue costellazioni come vene palpitanti di porpora e d'oro, e tutta la illuminante voluttà del suo sangue colava pel vasto cielo…. Io stavo, ebbro, in attesa, sotto le tue finestre accese, che fiammeggiavano, sole, nello spazio… Immobile, aspettavo il prodigio supremo del tuo amore e l'ineffabile elemosina del tuo sguardo!… …. Poichè sono il mendicante affamato d'Ideale che va lungo le spiagge implorando baci e amore, per nutrirne il suo sogno! Con cupidigia astiosa bramavo i gioielli del cielo per abbellirne la tua nudità di regina… e verso di te protendevo i miei sguardi folli, insanguinati nell'ombra come braccia scarnite di moribondo!… Tutto parvemi ingigantito dall'ampiezza del sogno! Campane rantolavano nel cielo come bocche mostruose: le bocche, forse, del Destino!… Campane invisibili e selvagge sembravano aprirsi su me, nel silenzio, come abissi capovolti!…

Un gran muro s'ergea davanti a me, implacabile e altero come la disperazione! Aspettavo solo, e migliaia di stelle, di stelle pazze sembravano sprizzare dalle tue finestre, come un vol di faville da una fornace d'oro!… L'ombra tua dolce apparve nel cavo dei vetri, simile a un'anima terrorizzata che s'agiti entro pupille agonizzanti, e tu per me divenisti una preda delirante lassù, su la cima estrema delle torri fastose del mio Sogno!… L'Amore mio—denti lucenti e occhi adunchi—brandì con un gran gesto le sue rosse spade e barbaramente salì verso il tuo tragico splendore.

Poichè sono il mendicante insaziato che cammina verso il tepore dei seni, verso il languor delle labbra, l'implacabil mendicante che va lungo le spiagge, rubando amore e baci per nutrirne il suo Sogno!…

S'aprì la notte cupa appiè del muro, e tu apparisti, soavemente sbocciata vicino a me, bianca e pura in mezzo alle tenebre, vacillando quasi ai consigli della brezza notturna!… E tutto fu abolito intorno a me, e il mio sogno infranse il mondo con un sol colpo d'ala!

Certo—pensai—nei favolosi giardini ove s'esilia l'anima mia chimerici peschi foggiarono la tua carne flessuosa, con la neve odorante dei loro fiori che le sonore dita del vento plasmavano!… Io venni a te, tremante e religioso, come in un tempio… avanzandomi incerto come in un'umida grotta!… A te venni, inciampando a ogni mio timido passo, trattenendo il respiro per non destare il Dolor nel passare!… Si schiuse il tuo sorriso nella serena acqua del tuo viso, come al cadere placido d'un fiore… S'aprì a ventaglio il tuo sorriso fluttuando nel cielo, e fece impallidire il viso impetuoso degli Astri, nel silenzio!… Io ti parlavo volubilmente di strane cose, bagnata l'anima di una sgorgante angoscia, e mi pareva di sentirmi avvolto dalla corrente d'un fiume voluttuoso. Avidamente, spiavi tu sul mio labbro l'Anima mia, come un miele dorato!…

Sentii che il volto mi s'infocava come un castello incendiato, che il nemico saccheggia. Ti parlavo, e i miei pensieri stravolti si riflettevan lontani e vaporosi nella tranquilla acqua del tuo viso!…

  Tu volesti rispondermi, ma non sapesti che dire.
  Mi domandasti le mie angoscie, i miei timori,
  poichè mi vedevi tremar sulla soglia
  come trema un colpevole…
  Ed io simile ero ai vagabondi feriti
  che vanno rantolando
  di porta in porta, in cerca di rifugio,
  tra i pugni alzati delle folle implacabili!…
  Mi parlasti di cose indifferenti!… Domandasti
  della mia vita passata, della mia patria lontana…
  Volesti sapere il mio nome
  e tutto ciò che si suol domandare
  ai viaggiatori stanchi, beventi alle fontane,
  la sera,
  quando tutto si fa nero…

Poichè sono il mendicante affamato d'Ideale che vien non si sa d'onde, e va lungo le spiagge… implorando amore e baci, per nutrirne il suo Sogno!…

Ti seguii fino in fondo alla tua casa; fummo soli, lontani dalle folle umane, sulla soglia dell'Infinito, e sentii la soavità dei crepuscoli sul mare, quando si ripara in un golfo violetto umido di silenzio!… Fummo soli, e il mio Sogno al tuo Sogno cantò:

—Oh! abbassa languidamente le palpebre sull'errante follia del tuo sguardo. Abbassa le tue palpebre mistiche e lente come ali d'angelo che si chiudano… Abbassa le tue palpebre rosee, perchè l'agile fiamma dei tuoi occhi vi scivoli come sospiro di luna tra persiane socchiuse. Abbassa le tue palpebre e poi alzale ancora, e potrò smarrirmi alfine nei tuoi occhi, nei tuoi occhi, per sempre, come su laghi assopiti, la sera, tra fogliami placidi e neri!

«Sii dolce, poichè il mio cuore trema fra le tue dita… Sii dolce!… L'Ombra è attenta a spiare le nostre ebbrezze, e il Silenzio si china e ci accarezza come una madre intenerita… Sii dolce!… Per la prima volta adoro l'anima mia perdutamente e l'ammiro perchè t'ama così, come una povera pazza!… Adoro le mie labbra, poichè le mie labbra ti desiderano… La mia anima è tua, la mia anima è sì lontana ed azzurra da sembrarmi straniera! Davanti a te si umilia, la mia anima, qual pecora morente, e s'addormenta, abbrividendo sotto i tuoi fragili piedi come un prato che tutto s'inargenta sotto i passi furtivi della luna…

«Vieni!… le mie labbra folli attireranno il tuo volto pensoso e i tuoi grandi occhi dolenti verso le spiagge abbagliate del Sogno… verso divini arcipelaghi di nuvole!… Le mie labbra saranno instancabili come i bardotti che lentamente traggono, nella rosea frescura dei mattini, le grandi barche dalle vele solenni verso lo scintillìo perlato del mar lontano… Ed io non sarò più che il tuo soffio… E il mio sangue travolgerà nel suo corso il profumo delle tue labbra, come un fiume a primavera, inebbriato di fiori!…—

Allora la tua bocca rosea s'aprì, fragile conchiglia rombante, per mormorare sinuosamente il delirio dello spazio e il canto febbrile dei mari! Al ritmo della tua voce, il mio cuore si preparò lentamente a salpare verso porti esaltati di sole e verso sfolgoranti isole d'oro… Tu mi dicevi ingenuamente che mai nessuno avea così cantato alle porte del tuo cuore… che mai nessuno aveva pianto il suo sogno e il suo dolore profumandoti il seno di lagrime!…

Poichè sono il mendicante che piange e si lamenta, il mendicante affamato d'Ideale che vien non si sa d'onde, e va lungo le spiagge implorando amore e baci per nutrirne il suo Sogno!…

I tuoi gesti assopenti e vellutati ebbero il carezzevole languore che hanno i remi sopra l'acque brune, a sera… L'ora liquida e gemebonda s'increspò abbrividendo. Le nostre voci caddero… Ma la Lussuria, ahimè, ci spiava frugando insidiosa nell'ombra… la Lussuria ansimante lungo i muri strisciava!…

Dalla finestra aperta, a quando a quando il vento della notte si rovesciava su di noi, avvolgendo la sua groppa oscena nella porpora delle tende… Noi vedemmo la lampada d'oro svenire come una bimba malata tra vaporosi lini, e dolcemente morire!… Vedemmo i casti bagliori della lampada inginocchiarsi, venendo meno, lungo i muri, come angeli preganti… e i nostri sogni s'inchinarono, malinconici e rassegnati, nel silenzio… Allora il mio folle desiderio t'apparve sguainato come una spada, e, brancolando sul tuo corpo puro, con un gesto selvaggio violentemente cercai il tepore assorbente della tua bocca. Fuori di noi, in una nera ebrietà, sinistramente ci prendemmo le labbra, come se commettessimo un delitto! Le labbra mie s'accanirono sulle tue, pesantemente, e le nostre bocche ne furono insanguinate come due lance!

Con un gesto sublime, tu m'offristi, in delirio, la tua nudità soave come una fiasca di pellegrino, ed io abbeverai la mia sete immensa sul tuo corpo ignudo, fino al delirio, cercandovi l'immenso Oblìo… Tremante e come pazza di vertigine si chinò la mia Anima sulla tua bellezza radiosa, perdutamente, come sopra un abisso vertiginoso di profumi e di calde luci!… I tuoi occhi s'illanguidirono dolcissimamente sotto le rosee palpebre —lampade velate di vaporosa seta— e, chinato fra i tuoi svolazzanti capelli, io presi alfine la tua Anima, tutta la tua Anima, religiosamente, protese le labbra, come si prende l'ostia consacrata.

Quando ripresi il cammino verso la profondità delle livide notti il cuore mio, fattosi nero, ebbe sete, e avidamente io bevvi la nera acqua delle fontane… …. Indi fuggii, precipitando i miei passi, verso l'Ignoto… Poichè sono il mendicante che va lungo le spiagge implorando amore e baci, per nutrirne il suo Sogno, con in cuore il terrore di affondare per sempre i suoi piedi sanguinanti nella freschezza carnale delle sabbie, in riva ai mari, in una qualche Sera di stanchezza mortale e di Vuoto infinito!…

7.

IL DEMONE DELLA VELOCITÀ.

1.

Le Terrazze dell'amore.

L'anima mia insaziata s'abbeverò di gioia nella frescura vermiglia e succulenta delle verzure, là in alto sull'aerea terrazza che domina la città crepitante di luce e traboccante d'ombra ed il gran porto dall'alberature aggrovigliate fingenti una fumosa battaglia di scheletri!…

La terrazza divenne per noi un serbatoio d'azzurro, immateriale bacino ove l'acqua vergine della sera s'accoglieva pensosa, in tondo, misteriosamente… L'anima mia insaziata s'abbeverò di gioia a quelle balaustrate, là in alto, tra l'involarsi dei nostri baci e la fumosa fantasticheria de' tuoi grandi occhi azzurri, a lungo prigionieri nelle fornaci del Giorno… de' tuoi grandi occhi azzurri che si liberano nello spazio, quando la notte cala!…

Oh! come incatenare i nostri cuori già ebbri di seguire la dolce carovana delle nomadi stelle, e il loro trotto sfavillante, su, su, per le chine del cielo, e i loro agili raggi che vibrano e tintinnano, al crepuscolo, come sonagli d'oro sul deserto dei mari?…

Oh! come incatenare i nostri cuori già ebbri di vivere in pace tra i fuochi sparsi delle stelle accampate come un'orda barbarica sulle cime lontane?…

Io mi ricordo di te, chiaro volto inargentato dal vaporar delle lagrime, bel giglio sbocciato nelle profondità orribili della mia tristezza… bel volto che l'alito azzurro dell'infinito a quando a quando agitava sullo stelo del tuo corpo ideale!…

Ahimè! fra altre braccia, su altri seni inesplorati, il mio cuore pesante ancora s'abbandona, inebbriato, alla possente altalena dell'amore su cui un giorno ondeggiarono l'anime nostre con languore e violenza a volta a volta…

Malgrado la monotona identità delle spiagge costeggiate dalla noia di un eterno viaggio… malgrado l'indentità delle labbra in amore, ora su altri seni inesplorati il mio nero cuore affonda e riaffonda!… Così un tempo, amor mio, nella tua carne stanca, cercai oblio nelle vulcaniche profondità della lussuria, spezzando l'orgoglio del pensiero in mille bieche manie, e curvando la schiena, come uno schiavo, sotto il flagello della Morte!…

Oh! sempre identico flusso e riflusso d'una marea sollevante nell'estasi i nostri cuori perdutamente fusi, che con delizia immergevansi, per risorgere poi fuor dalla schiuma amara, siccome un nuotatore fra gli scatti dell'onde che si cullano al ritmo cadenzato d'una tribù di stelle migrante in silenzio via per le vaste sere d'estate!…

Nelle vaste sere d'estate, esasperate di lampi muti e d'amari profumi, ecco balzare ancora focosamente il mio cuore, come una volta, di tra le tue braccia, oltre gli aerei balconi naviganti pel cielo!…

Balza il mio cuore, snudati gli artigli, come un cane abbaiando la sua rabbia di mordere, lontano, la polpa delle nuvole!…

—Ripòsati! Ripòsati!… Solo dormire è dolce!…—

Oh via!… No! No! Bisogna bruciare la vita come un fascio di paglia… Bisogna inghiottirla in un'ardita boccata come quei giocolieri di fiera che mangiano il fuoco facendosi sparire la morte nello stomaco!…

O pastori sommersi nella bruma del vespro!… Flauti piangenti, flauti lamentosi, e languide canzoni dalle cadenze lascive che tristi vezzeggiate questo paesaggio rude tutto febbrile di stelle, cullandolo come un bambino nelle fasce sospese e trasparenti delle vostre arie nostalgiche frangiate d'azzurro! O pastori sommersi nella bruma del vespro!…

Ah! Ah! li spezzerò, i vostri flauti persuasivi… Ed i loro tronconi?… A voi, a voi… per nutrirne la rosea fiammata del mio calmo bivacco!… Oh! non ridete! Altro non è che un fuoco di sterpi per allontanare le fiere e arrostir carni prima di ripartire!…

Sotto la pergola azzurra ove le stelle felici vengono ad assopirsi, al crepuscolo, a due a due, in luminoso abbraccio… i nostri baci furono fitti… sì fitti e sì tenebrosi, che tutte le mie sere future ne furono oscurate!… Avidamente io bevevo la tua carne ferita e ferocemente ammucchiavo, a forza di carezze, gioia rossa come un alcool ed oblio nelle tue vene profonde: —Prendi! Prendi la mia voluttà!… Prendi il mio sangue! Prendi la vita mia!—Con morsi lenti, ferocemente ammassavo dolore cocente, e notte, e vuoto, in fondo in fondo ai tuoi nervi, in fondo alle tue ossa, come in fondo ad oscurissimi pozzi!…

Staccando alfin la mia bocca dalla tua bocca satolla, vedo—oh terrore!—la Notte vorace salire verso le nostre labbra… la Notte, divoratrice eterna di speranze e d'oro solare!… Un giorno!… Ecco ancora tutto un gran giorno annientato!… Salvami, bel Destino!… mio Destino che amo!…

2.

Il Torrente millenario.

La grande Notte insidiosa, inarcandosi alle ringhiere, s'arrampica senza rumore su, su, da un piano all'altro, agilmente, e s'aggrappa alle nubi sontuose di turchese!… Le sue ali membranose anneriscon le forme e l'ondeggiante indolenza delle verzure, metallizzate con la durezza lucida dell'acciaio e la pesantezza del piombo diffuso nell'atmosfera…

Oh! calma, Anima mia, la tua febbre sovrumana, poichè ci è dato di assaporare un'ora squisita, in libertà, a piacer nostro, riposando i nostri desiderî inoperosi al ritmo dei ventagli pacificanti del silenzio!… . . . . . . . . . . . . . . . . . . Partiremo a notte alta… La sera è prodiga insieme di chimeriche rose e di labbra illusorie profumanti i balconi!… T'affretta intanto, Anima mia, a gettare un lungo sguardo sulla vermiglia terrazza dell'Amore, poichè già lentamente si va coprendo di veli, e poichè incerte pàtine d'ombra e di vecchiezza sordamente divorano i fiammeggianti ori dei vetri che dànno sul mare! Piangeva forse la mia donna? Non so… E la sua voce?… E i suoi singhiozzi?… Dimenticati! M'afferra la vertigine subitamente alle viscere ed io mi slancio, e lascio a malincuore il gran porto assopito, per attraversare la città dal cuore di fuoco, gonfio d'angoscia, ed il suo soffocato rombar di caldaia!…

A un tratto la strada fangosa s'esalta sotto i miei passi, violacea nel fulgor sussultante delle luci…. la strada azzurreggiante s'eleva gonfiandosi in tutta la sua veemenza instancabile verso lo spegnitoio immenso del livido cielo che va schiacciando tutti i miei desideri or fiammeggianti diritti, ora striscianti a terra…

Guardatevi dalle promesse ingannatrici delle belle sere, e dalle loro sparse speranze di liberazione e di gioia inaudita, fra la triste fuliggine che sale al basso soffitto del cielo col suo lezzo melato di nera prigione!…

Io la sento fuggir furibonda sotto i miei passi, la grande strada azzurreggiante e violacea, lustrata dagli amari riflessi che la straziano coi loro innumerevoli stridi lunari!… E la sento balzare contro di me, lungi da me, verso la libertà che l'attira, verso la spaventevole caverna del livido cielo che dall'alto la spia, del vasto cielo liberatore e tiranno!

Ecco: i binarî lucenti indolentemente si torcono, e frenetici sembrano nella pigra mollezza delle loro torsioni… I binarî lucenti, pur rimanendo immobili e silenti si slanciano, accaniti a raggiungere in cielo le fulgide costellazioni che viaggiano!… I binarî lucenti sembran tremare di gioia, allacciando con grazia sul basso orizzonte i moribondi fuochi della sera, densi come un belletto roseo… Son cento? Mille? Diecimila?… Assai più!… Innumerevoli sono i grandi occhi violetti, verdi e rossi dei fantastici tram i grandi occhi che scivolano, che affondano in folla, cozzando fra loro ed incrociando le loro ciglia di fuoco… Pazzia!… Pazzia! Lontano, lontano sulla strada, ecco scoppiano gli occhi rabidamente, e si mordon l'un l'altro, simili a bocche d'orco che azzannino corpi infantili… Pazzia! Pazzia! I grandi occhi si tuffano, svaniscono, s'involano, lottando di velocità, in un lontano andirivieni d'ombre e d'oro!…

Rièccoli!… Rièccoli! S'accelera per prodigio la loro andatura aggressiva, di sussulto in sussulto, di continuo salendo a scosse dorate, orribilmente, contro i miei occhi, contro la mia fronte, senza posa, senza posa, quali teste di comete infocate!…

Angoscia crudele!… E che ha mai, questo cuore? Perchè sì irrequieto mi balza nel petto, in gola, tra i denti?… Allucinanti tramvai tutti grondanti di fuoco, passate dunque, passate con le vostre ruote possenti sopra il mio cuore, e schiacciatelo come una sorca, su le rotaie!…

Sotto il gran cielo d'estate infeltrato di caldo, che va sbadigliando rapidi lampi coll'istantaneo fuoco de' suoi denti e il suo possente alito che spandesi bianco, la strada tristemente sguaìna i suoi riflessi!

Un fracasso di ponte levatoio tuona e risuona sulle rotaie… Son martelli che battono? son tamburi metallici?… incudini sonore?… Frenetici tramvai, che trepidate in una ebbrezza multicolore… ingombranti mucchi di viventi pietre preziose… rotolanti massi di gemme, lanciati come proiettili… lungi da me, su di me, volete dunque balzare?

Come? perchè v'ingrossate subitamente, a migliaia, pupille iniettate di sangue, di odio e di ombra, pupille stravolte, da ogni parte rivolte, proiettate fuor dallo scafo d'un vascello infernale, siccome troniere minacciose e rossigne ai fuochi riverberati d'un arsenale di demoni?…

A un tratto voi correte, sciolte gemme grevi di lagrime dolorose… Per prodigio i vostri sguardi forsennati ruzzolanti nella notte han mutata la strada in un gran letto vertiginoso di torrente dai vortici bizzari di rubini e di fiamme! Certo il cielo si fuse miracolosamente per gonfiar quel torrente che senza fine travolge le nuvole intrise di porpora e le costellazioni, dai tetti neri colando giù insieme con le rotaie che brillano in folli giuochi di serpenti diabolici!… Tutto il cielo avvilito, malato, dolorante, briaco del suo odio… tutto il cielo spaventoso spaventato dalla tristezza, si sfascia al pesante, esasperante frastuon dei binarî!…

O torrente millenario enormemente gonfio di gemme e di tenebre, che scorri senza fine sotto il grottesco galoppo e il traballar dei fantastici tram, simili a enormi ricci sfavillanti… verso qual mèta vuoi dunque travolgere il mio desiderio?

Verso quella stazione che fiammeggia, lontano, mostruoso topazio dalle faccette di fuoco? Non è la gabbia ardente d'un faro enorme a cui guida la treccia sfolgorante delle rotaie, scie fosfòree di un'elica?

Chimerici tramvai occhiuti d'occhi rossastri, quando, quando saprà un ferreo braccio incatenare alla riva e domare i vostri galoppi terribili, i vostri pazzi beccheggi di torpediniere fantasmi, mentre voi navigate sul lontano pendìo della strada azzurrognola verso l'alto mare dell'ombra? La strada sembra incavarsi trasparente, infinita, sotto i miei lunghi passi, cupa di fango laggiù, e qua e là sprofondata incalcolabilmente come un abisso!…

3.

La Sera indiana.

Oh! certo le case invecchiarono di centomila anni, dopo il chiaro meriggio che con serici raggi carezzò loro le guance! Le case invecchiaron da un'ora, ed eccole curve sotto un fardello di tenebre. Han facce dure, mummificate! Le rughe vi si moltiplican ratte, e le vuote pupille s'oscurano a contemplare, avide, intente, l'esasperato slancio della strada che follemente sospinge l'eterna disperazione di quello strano, immobile torrente.

O decrepite case dalle facce arcigne, perchè aggrottate così le vostre ciglia granitiche?… Io non ascolterò i sinistri rimproveri che i vostri cupi androni van borbottando la sera! Ah! per forza dovrete consentir ch'io sia pazzo, e lentamente, lugubremente morrete, per non aver voluto gettar via la vostra cocolla di tenebre e seguirmi all'inferno nell'assurda avventura del mio sogno suicida!…

Io?… Non altro desidero che di balzare nel baratro delle notti!

Non sapete voi dunque ch'è piacere supremo schiacciare d'un colpo contro una muraglia nera, in un esplodente spasimo, un gran cuor mostruoso dal teuf-teuf infernale e i giganteschi pneumatici dell'Orgoglio, gonfi di odio e d'amaro ideale?

Su, su, dove il cielo è più alto, s'esagera un monte pallido e ardente di nubi gessose, velate di malefizî, che regge sulla sua cima un'architettura pesante di mostri dagli artigli d'oro! È una gran Sera indiana di pietra dura lucente ed azzurra e dall'orlo verdigno, sotto il dominio fatale del Drago che, fuoco alitando e calor bianco, punge di terrore le nostre miserabili vite ammucchiate ed il nostro scompiglio di formicaio calpestato!

Oh! venerabil penombra di questa notte calante! Estasi insaziata dei raggi e delle gemme! Tenebre attente! Immobili frenesie! È un'ombrìa gigantesca di favolose foreste dai grevi fogliami di bronzo e di porfido che s'eternizza sopra la fuggente demenza d'un torrente! Nero torrente inanellato di lampi e d'ombra, che scorre nelle profondità immutate dell'India fra lo strisciar dei serpenti affamati sui greti, e i loro baci che sibilano sul gorgogliar gazoso delle sorgenti. Ed io affretto il mio passo nel velenoso abbraccio dei rettili e degli alberi, palpando l'aria vellutata di larve, e annaspando nei folti impregnati di rosei veleni che lentamente gocciano.

Sta accoccolato lassù, in alto, in alto sul monte di nuvole bianchicce, il centenario Drago tutto a gobbe d'acciaio e di fosforo. Svolge la sua coda ondeggiante che digrada nel cielo in sfavillanti anelli di smeraldo.

Mio bel Destino, salvami dall'alito orribile di torpori omicidi, che a boccate biancastre spande il Drago domando fra i suoi artigli d'oro l'incendiato topazio della stazione dai mille fuochi di faro allucinante!… Urrà! Partiamo, Anima mia! Fuggiamo oltre la molla dei muscoli che scatta, oltre i confini dello spazio e del tempo, fuor dal possibile nero, in pieno azzurro assurdo, per seguir la romantica avventura degli Astri!

4.

Il «Simoun».

Rauchi fischi, date dunque il buttasella! L'arcuata tettoia della stazione spalàncasi verso il pallido e tenero ciel della sera, come la informe gola delle grotte favolose frequentate dai Draghi enormi e dal terrore della loro nera respirazione… La colossale e fumosa tettoia caccia lontano, a boccate, il suo biancastro alito globulato di tenebre in cui grevi e possenti farfalle elettriche vanno agitando ali di neve abbagliante.

Or io mi sento tutto rugoso, annerito di vecchiaia, e ansimante a bocca aperta verso l'azzurro ventoso come all'uscir da una fetida stiva, come all'uscir dalle viscere della terra!…

Rauchi fischi, date dunque il buttasella della mia tragica partenza!… Il mio treno si muove nel turbine d'un gran simoun fantastico e notturno, in cui subitamente: neri cammellieri giganti, dromedarî fantastici dalla schiena merlata, con ferree zampe dal lungo pelo bituminoso, onagri dagli occhi rotondi che lagriman bragia, braccia involate nello spavento verso il cielo implacabile… tutto, tutto si slancia a galoppo, con grevi passi di piombo!…

Carovane infernali dai pesanti cammelli di bronzo! Ciuffi di capelli ritti e per l'orrore giranti in balìa d'un rosso vento feroce!… Cammelli lanciati a corsa, che tuffansi nella marea del fuoco, radendo le mobili sabbie schiacciando la loro fuga in passi immensi come sotto soffitti incendiati! Colli tesi dal terrore, striati di fiamme, contorti dallo strazio di lunghi gridi bianchi… Mascelle di cammelli, deliranti mascelle di vecchie centenarie che vadan ruminando fuoco e strider di carrucole!…

Si slancia il treno e si tuffa, ebbro, la testa innanzi, nella Sera liberatrice e dispotica.

O mio Destino! laggiù, verso qual trono superbo dal baldacchino a grandi pieghe d'azzurro, salgono mai quei bellissimi cirri di giada che nello spazio ampiamente digradano?

Dimmi piuttosto se all'orizzonte io non veda una gran belva accosciata, dal gigantesco grugno, che fa schioccar tratto tratto e sfolgorare in tondo, immensamente, come un lampo la coda, per scacciar dal suo dorso le stelle che lo mordono, e sferzare il calore vibrante del pallido cielo?…

Segue il mio treno pazzo le coste sinuose che strapiomban sulle rade di freschissimo azzurro. Oh! artificiale splendore, lungamente voluto, meditativo e meditato di questo mare rinchiuso che ozioso sonnecchia in quell'ombroso golfo, che mi consigli tu? Lo so: tu mi consigli la sosta di riposo e di plenaria dolcezza sul morbido origliere delle sabbie!

Piccole onde di stagno squaman la curva delle spiagge, come nelle stampe primitive, e un veliero di porpora e d'ocra ardente si dondola pazientemente, beccheggiando ancorato, con ombre nere di marinai sulla prua. che appaiono subitamente, coniate sul bruciante color delle vele con la durezza precisa che hanno gli eserghi delle monete cartaginesi!

E il sol metallizzato simula un medaglione… S'immobilizzano il cielo ed il mare… Le onde insensibilmente si cullano in un benessere languido o mollemente si pavoneggiano in mezzo alle rocce.

Via! Presto! Scavalchiamo e superiamo codesto promontorio di sventura!

Ecco alfin l'alto mare selvaggio dagli onesti consigli! Il mar colpito da un improvviso pànico qui lotta e fugge… Ma verso qual mèta? Barche io vedo che spiegan le vele ad abbracciar le stelle e si lusingan di vincere i flutti del mare che lotta invano e senza mèta fugge! Dov'è andata l'Aurora?… E il suo alito di gelsomino?… Svanirono nell'umida calura e nella penembra che invecchia!…

L'Aurora!… Tanto speravo vederla sorgere in un prodigio di sete inebbrianti sotto un ciel rinnovato!… Ma la notte ruina ed il Sol s'allontana, retrocedendo verso l'opposto polo lentissimamente! Splendore ossessionante di una Sera immobile, sul mare!… O Sera di rimorsi e d'impossibile, o Sera di dolori irreparabili, miserevole specchio che avvizzisce la mia tristezza… Su!… Presto!… ch'io sfondi alfine il tuo pallore pietoso, amaro, gravido di rimproveri!

Eh! sì! Ben potevo cantare a becco aperto accanto al mio bicchierino colmo di miglio e bere, e bagnarmi la sera nell'acqua stagnante d'una tazzina, al pari d'un canarino!… Che dici?… Le donne? E che mai importava ch'io mi curassi del loro fermento carnale e dei loro seni spalmati di droghe, poichè l'anima mia gode sì poco, oh! niente, quasi, tra le loro braccia?…

Nulla agguaglia il delirio di balzare nel buio! Urrà! cantiamo!… Il mio treno folle s'è liberato dal peso schiacciante del Sole! Urrà! Non lo vedete discendere agilmente verso il cuor della terra, come un enorme trivello, raschiando in giro le pareti dell'inferno?…

5.

Le Foreste vendicative

Perchè, mio folle cuore, ti lanci così, perdutamente, nella foltezza delle foreste? Non senti contorcersi irosi, a te intorno i vendicativi fogliami che il Sole feroce martirizzò tutto il giorno coi suoi pugnali di fuoco? Come te le foreste, esasperate d'ira malvagia, si vanno accanendo in sussulti terribili, per graffiar, mentre passano, le nubi grevi e panciute, di porpora.

Ma passano le nubi noncuranti su la tua follia di gran fiume polare che infrange i suoi ghiacci, e sui gesti forsennati delle foreste vendicative. S'allontanan noncuranti le nuvole grevi come vecchi guardiani disillusi nel cortile di un manicomio! Sii dunque pazzo, focoso treno dell'Anima mia! Sii dunque pazzo a piacer tuo!… Tanto meglio! Ed a tutti rispondi, scoppiando in bianche risate di vapore, con lucidi fischi impennacchiati d'orrore!

O povera Saggezza!… Oh! l'immensa gioia di sentirsi assurdo!…

Ora il Sole al tramonto ti segue da presso nel tuo veloce andare, accelerando il suo palpito sanguinolento lungo l'orizzonte… Si slancia con grandi balzi, laggiù, laggiù… Guarda! Hop! Hop! Hop! Galoppa egli pure… La sua rossa, informe bocca di orco, la vedi?… Divora senza posa la carne delle nubi, insieme masticando e inghiottendo i fogliami tenebrosi e poi rivomitandoli in fondo ai boschi!…

Oh! che il diavolo porti tutti i Soli satolli, e le nubi panciute, e le foreste arcigne!…

Alfine, alfine il mio cuore si bagna —ed è gioia suprema!— nella notte mendace e divina, piena di filtri amorosi come una coppa fatidica dall'orlo fiorito di stelle che tocca lo zenit!… Alfine, alfine il mio treno si tuffa—ed è l'estasi!— in questa notte plenaria, sotto l'intenerimento delle stelle inebbriate che s'assopiscon tenendo fra le dita morbidi fiori di turchese!…

Alfine, alfine balza il mio treno—ed è incanto!— nella mollezza diffusa di questi pesanti ventagli odorosi di rugiada e di brezze lascive, che la notte trascina, senza fine, lontano, sui balsamici fieni!…

Ahimè! Presto svanì quella gioia squisita!…

I Cieli sono assordati dal rumor dei miei passi di gigante… e acciecati benchè vi scorrano azzurri fiumi di stelle!… Ed io mi sento vinto dalla cupa oppressione degli Elementi dominatori!… Qual mai piacere è il vostro, onnipotenti forze che mi rompete la schiena? Io sento gli stridori che dànno le vostre enormi tenaglie strangolatrici nel richiudersi sopra il mio cuor vagabondo!… Ma non importa, o folle treno! Io sono in tua balìa!… Prendimi! Prendimi! Sotto il cielo assordato, benchè tutto vibri d'echi loquaci; sotto il cielo acciecato benchè folto di stelle, io vado esasperando la mia febbre ed il mio desiderio, scudisciandoli a gran colpi di spada, e deliziato mi piego, a destra, a manca, per sentirmi sul collo la carezza delle braccia del Vento, vellutate e freschissime!

  Son le tue braccia ammaliatrici e lontane
  che m'attirano, e il vento è il tuo fiato vorace,
  o Infinito terribile che con gioia m'assorbi!
  A me la tua bocca di dèmone saziata di lampi!
  Eccoti un bacio pesante, in cui l'anima mia
  tutta si vuota, o Infinito monotono dagli sguardi piovorni,
  ondeggiante lontano fra umidi suoni
  di campane funeree!
  O monotono Infinito dalle aride labbra
  come un porto insabbiato, abbandonato dal mare!…
  O monotono Infinito che sul viso mi soffi
  il tuo alito orribile d'ignoto
  e di mistero impenetrabile!

Il mio treno ubbriaco di lampi verdi e di vento fugge incessantemente, e rotola il suo galoppo di tuono con balzi e sussulti, con mezzi giri elegantissimi sulla curva dei binarî che brillano, tuffandosi nel buio con un pericoloso piegar spagnolesco dell'ànche, a picco su abissi senza fondo!…

E i miei ferrei cavalli trascinan sugli echi lo scalpitìo fragoroso dei loro zoccoli risonanti come campane, e la Notte li eccita con una irrefrenabile follia!

Colonne di fumo, braccia immense di negri inanellate di scintille e di sanguinanti rubini, spazzate, raschiate le fuligginose profondità del crepuscolo! Spirali d'oro e di cenere infocata, simili a spoglie d'un rutilante serpente, il mio cuor v'abbandona e vi semina attraverso lo spazio! Oh! godi, godi, Anima mia sfrenata! Se vuoi intenerirti, puoi seguir collo sguardo quei bianchi sentieri di sogno, su pei fianchi d'un colle, bagnati d'una serica luce nostalgica…. quei greggi di pecore, piccoli e pure immensi, che dilagano all'infinito, a destra e a sinistra per monti e per valli!… Oh! le pecore immote dai velli celesti e le lor fragili teste di polvere d'argento e i loro musi d'azzurro madreperlaceo, tesi verso la scapigliata corsa trionfale del mio treno!

Oh! per un solo momento divertiamoci dunque anima mia, a gustare quei bianchi greggi immoti, piccoli ed infiniti, che sembrano trottare e stan fermi, serpeggiando sbandati per sentieri di sogno…

Oh! per un solo momento divertiamoci dunque a singhiozzar sulla voce illusoria d'una zampogna lontana che mi piange in fondo alla memoria melodie appassite e tremanti sulle ciglia come lagrime di morte!… Così potrò sentire la tiepida angoscia di veder rifiorire per prodigio nei pianti della zampogna il mio lontano passato, tutti i miei soli defunti che di nuovo s'indorano nel mio cuore, e l'antico villaggio subitamente rinnovato, smagliante nel din-don soleggiato delle campane!… Solo un momento ti concedo, o mio cuore!… Più non s'indugi!… Allentate i freni! Non potete? Schiantateli!… Che il polso delle macchine centuplichi i suoi slanci! Ecco: rimbalza il mio treno in un alone di fiamma e d'oro sanguinolento!… Oh! nere braccia di fantasmi, fate, fate girar senza fine le sue ruote dentate di fuoco, in una velocità esasperata, precipitevolmente, perchè io possa saziarmi di tenebre e di vento!

6.

La Tregenda.

Bene! Bene! o mio treno!… Hai ragione di disprezzare così la corpulenza oscura delle montagne rigide di silenzio, che d'ora in ora ingigantiscono sotto la loro cappa di nuvole. Via! Via! Corri veloce, diritto alla mèta, perchè io possa lodare il tuo coraggio!… Son vane le vostre minacce, vecchi Titani invisibili, che levate le braccia a tutti gli angoli dell'orizzonte brandendo in giro cime nere, sospese sopra il mio capo!… Io mi burlo di te, Scorpione colossale accosciato su l'altipiano supremo… tu che agiti in cielo le immense tue antenne armate di stelle sanguigne come di massacranti mazze dorate!…

Subitamente ànsima il mio treno, spossato e strisciante, snodando a fior di terra il suo ventre tenebroso, flessuoso come un gatto gigantesco. Soffia lontano il mio treno lo sgomento biancastro dell'alito suo, che si mesce alle scintille vomitate dalla valle…

Di qua, di là, appiattate nelle vaste pieghe del suolo, come in fondo a caverne ove brulichi una tregenda, officine dai cent'occhi di luce, rantolan senza fine, con le rosse bocche stupite dei loro grandi forni… Sembran malefiche gatte, che rizzano verso il ciel lunghe code di fumo globuloso…

E il mio treno dal corpo disossato con destrezza s'insinua sotto le rosee carezze dei loro grandi sbadigli di fuoco…

Ed ecco che una bava rossiccia di lava cola fuor dalle porte, mascelle scoppiate… Vi si rizzano scheletri di vecchie mendicanti dal passo spezzato, che vanno trascinando sulla loro schiena ogivale un gran fascio di fiamme!…

O mio cuor migratore, vuoi tu dunque esplorare la profondità dei loro occhi violacei?

Quella danza instancabile di sguardi infernali, quel ribollire di grosse lagrime specchianti dietro grandi vetrate, evocavano mostri intenti a fondere raggi massicci pel Giorno futuro… Simili essi ad orefici dalle dita sottili, manipolavano azzurri riflessi e cesellavan fuochi graziosi, con febbrili martelli fabbricando la grande aureola solare.

Frattanto un torpore malarico invischia l'acque stagnanti. I licheni sui greti son bruciacchiati dai passi infocati dei demonî che strisciano verso i rifugi delle streghe…

Maledetto scannatoio, lugubremente infestato dall'eterno gracchiare dei rospi inspirati!… Satura di fuliggine e striata di fosforo, l'aria s'infeltra tutta di vampiri dai grandi occhi di donna levantina…

Il mio treno veemente si scaglia nella rasa pianura, ove di tratto in tratto le tragiche officine si moltiplicano, lontano, nel buio, furtivamente come lucciole… Mi avvicino, e subito i fumaiuoli sembrano lunghe narici che febbrilmente mandino, a scatti brevi, nervosi, viventi fumi meticolosi!…

O follia, mia follia, giocoliera eterna! Al fumo tu dài l'apparenza d'un grande chimerico verme che rinnovi e senza posa rigonfi i suoi anelli, d'un chimerico verme dalla testa puntuta che sembra mordere il tetto inverosimile d'un'officina che pure esiste in fondo all'incubo!

Fiera, sinistra, inebbriata di solitudine, esasperata dalla minaccia degli abissi, un'officina dal gran dorso merlato grondante di spavento azzurrognolo, sorge d'improvviso, a una curva dei binarî, scoppiando in molteplici risate d'oro!…

Ridiamo, ridiamo, o mio cuore!… Non vedi? La fonderia ferve tutta d'un caldo sghignazzare nei suoi enormi forni che fiammeggiano! Orrore! Sussulta, la fonderia, come un cane infernale tutto intriso di bragia, e mi vomita in viso la sua fosforea rabbia e i suoi ferrei polmoni che crollano interminabilmente!

Cuore! Mio cuore!… Come avrei preveduto un sì orribil custode a quegli assurdi muri barcollanti lontano?… Come un ladro mi accolgono… Eppure sì poco bramavo io di vedere quella città che dorme fra le bende del Silenzio, come una mummia, sotto il giogo opprimente delle Stelle!

Si corra via presto!… Più lungi! Più lungi!… Ed io fuggo, mollati i freni, contemplando il sonno immemorabile della città suppliziata sulle grandi braccia in croce di quattro immense strade bianche!…

O Titani di granito, le cui braccia alzate brandiscono montagne sopra il mio capo, schiacciatemi sotto i vostri massi sospesi!… Già lo spavento agghiaccia le mie reni di bronzo con l'alito esasperante della Morte!… Delle pupille, dovunque, di porpora e d'ocra, mi stanno immote dinanzi, sbarrandomi la via…

Una fucina massiccia dagli sguardi diabolici, dalle guance imbellettate di sangue nerastro emerge lontano, come un volto d'Erinni, sotto innumeri serpi di fumi aderti e tôrti!…

Vuole atterrirmi forse? La compiango!… È sì pura delizia traveder, più lontano, sul tetto d'una officina, raggi infiniti che in angolo luminoso s'allargano, simili alle corna di luce che si vedono sulla fronte a Mosè, nei quadri sacri!…

Di sobbalzo in sobbalzo, con strappi crudeli e lunghe scivolate, il mio treno fa finta di schiacciar degli scheletri, e, a tratti, di saltellare su pance flaccide di cadaveri!…

All'intermittente chiaro di luna che pullula e piove dalle nuvole vedo sotto di me, nella campagna immensa, una città addormentata accanto a un fiume che maestosamente s'aggira, tirannico e bonario come un vecchio guardiano… Al chiaro di luna intermittente, i flutti non fingono forse una lucente armatura?

Ecco il fiume! Ecco il fiume!… Già siamo sopra il suo dorso! Danziamo sul ponte, sul grande ponte di ferro, tettoia dell'Inferno!… Danziamo nella gabbia del ponte, fra indiavolate sbarre intrecciate che fuggono come legioni di scheletri sbandati correnti in senso inverso alla corsa del treno!

Come potrà non inciampare il mio treno nell'orrido intrico dei binarî scintillanti? Attenti! Attenti!… Sono grovigli di serpi, sfolgoranti e dorati che combatton nell'ombra!… Son centomila, sono milioni di serpi che sotto il mio focoso galoppo s'ingolfano nell'ampia tettoia nerastra di una profonda stazione!… La corsa è finita!… S'arresta il mio treno, sbuffante, ansimante come una belva inseguita nella fonda sua tana!…

7.

Il Fiume tirannico

O perchè non volesti riposarti, mio povero cuore torturato dall'angoscia e dall'amarezza, mio povero cuore sballottato dal beccheggio del desiderio?…

In questa vecchia città insonnolita presso il suo fiume millenario, coricato come davanti a una porta un guerriero dormente dall'armatura che luccica al ritmo del respiro, in questa città vive la tua Josie adorata!… Dorme Josie, a quest'ora, nella sua piccola casa in fondo a una viuzza pia e raccolta che beata assapora la sabbia del silenzio, colante nella placida clessidra del suo verde giardino!…

È qui, Josie, e languidamente beve, con un dolce alitare, i filtri soavi del sonno sotto la tirannia crudele di un'implacabile stella fissa…. Te ne ricordi, o mio cuore?… Appena te ne ricordi!…

Eppure, Ella mi amava con tutto il calore vibrante del suo corpo, con tutta l'anima sua che in fiamme azzurre moriva nei suoi occhi purissimi!… Mi amava ella con tutto il miele della sua saliva felice, quando le mie braccia si sforzavano di amalgamare le nostre carni ed i nostri poveri cuori errabondi!… Era soave, Josie, e certo non avrebbe pesato molto il portarla fra le braccia per tutta la vita, verso il gran nulla della vecchiaia… Eppure!…

Ricordo la terrazza ove scorrevano le nostre belle sere, sotto l'azzurro, entro l'azzurro odoroso delle glicine, tra il gonfiarsi e lo sbattere dei panni multicolori distesi sulle corde e che sembravano vivere a un tratto la vita ardente e gioiosa delle vele sul mare!… Gonfi di vento, i panni multicolori volevano forse rapire a volo la terrazza e invitarmi a fuggire vagando via pel rosato cielo della sera!

In un impeto pazzo talvolta afferravo le sue piccole poppe gonfie di desiderio, come si afferra ad un tratto una vela vibrante a un brusco salto del vento, per raddoppiare il suo slancio verso l'abbraccio impossibile d'un lontanissimo cielo.

Quando le mani mie trepide slacciando e lacerando ogni gentile ostacolo strigliavano il languore estenuato e la purezza del suo corpo, a saziarne in ogni punto l'angoscia lasciva, la voce sua si rompeva ad un tratto in disperate grida: —Io sento, caro, io sento che tu non mi ami!— Dimentica, o mio cuore, quelle grida desolanti e sogna ancora, piuttosto, le delicate stelle che certe notti venivano a carezzarci le labbra! Stelle addomesticate dal calore dei baci!…

  Sulla soglia, Josie, a notte alta,
  verso di me chinandosi, tese le braccia,
  m'offriva le labbra e versavami in cuore
  il suo languido addio e le lagrime
  della sua carne!
  Le sue labbra? Gli azzurri suoi occhi intrisi d'oblio?
  … E non seppi goderne!… Ero cieco, mio Dio!…

Nei tepidi meriggi, a primavera, sulla soglia, Josie mi porgeva le labbra attente e gli occhi suoi, prigionieri adorati del mio sogno. —Sei tu, amor mio?… Brutte cose ho sognato!… … Ho sognato che i ladri mi rapivano la tua bocca per sempre!… T'aspettavo, arsa la carne nella tunica ardente di un desiderio terribile, ed ero sì ebbra della mia attesa sfrenata, da volerne morire! I miei baci errabondi creavan senza posa il tuo corpo nell'aria della notte!… Ma tu, ma tu che hai, amor mio?… Il cuore ti scoppia… tremi tutto… oh! perchè, dimmi perchè ti vedo ansimare così!…—

—Saliti ho i gradini a passi giganti, come si sale con la spada in pugno la scala d'una torre, per piantarvi una bandiera di vittoria! Josie, Josie mia, mentre salivo a te, simile ero allo spasimo accelerato della lussuria che nella tua carne so spingere a forza di carezze!… Simile ero allo spasimo che ti morde le viscere, e a poco a poco bruciandoti il dorso, annegandoti gli occhi, soffocandoti il petto d'angoscia e di piacere, fa scoppiar la tua bocca in un altissimo grido, e lancia alfine la tua anima in fiamme nell'Infinito!…

«Tutte le mète io voglio raggiungere, voglio balzare su tutte le cime, insanguinandomi l'unghie ai più inaccessibili greppi! Ho paura che il Tempo nero dai passi veloci a precedermi giunga sui supremi altipiani d'un Ideale assurdo! Odo il tempo pesante dall'ossa di bronzo cozzanti già risuonare sui miei sentieri, panoplia sconquassata dal vento dell'inverno! Voglio che quella rozza morente, dalle budella profonde come sepolcri, domandi grazia ai miei garretti instancabili! Oh! come colmar la mia sete di spazio e d'impossibile e la mia angoscia nostalgica sulla sua bocca conquisa? Giammai, giammai Josie le tue braccia soavi potranno incatenare questo cuore bramoso di confondere la sua follia con la follia sfolgorante degli Astri!…

«Oh! che faremo noi due, reclusi nel nostro amore, sotto il serico lacerarsi delle brezze primaverili, quando la Sera, crepitante d'un desiderio sfrenato, verrà senza pudore davanti a noi a spogliarsi, offrendoci le sue mammelle ignude? Un simbolo è dunque, là giù, in lontananza, quel gran fiume d'argento, che sordamente vuol strozzare con una larga carezza la Città ebbra e sì vecchia, e sì rugosa, e sì fragile, già presa nei nodi gordiani della vasta corrente squamata di lune molli?

«O perfida Fortuna dal chiaro volto soleggiato, Fortuna che trascini il tuo gran corpo idropico squassato da un'eterna risacca sotto cenci d'azzurro mirabolanti, ben saprò vincerti, e fermarti contro un rudere polveroso, e forzarti, fra i lampi dei miei coltelli alzati, a concedermi alfine lo scintillìo magico e l'illusoria melodia che fanno le tue stelle monetate tintinnando sul terso metallo dei mari! Con ondate d'amore, con l'aerea freschezza di mille azzurre campane, che inaffian di felicità la nostalgia senza fondo degli spazi voglio che tu m'inebbrî sollevandomi l'anima fino alla vasta scalca d'un castello fantastico. Voglio che vi si spieghi, a saziare la mia rossa fame, lo splendore fumante d'un impossibil banchetto sotto i raggi intrecciati delle gemme e delle pupille lussuriose, e tra le fiamme lanciate a rimbalzello sull'acqua serena degli specchi!—

—Per sorbire, tu dici, dei vini colore di sogno?— —No! No! Per ingollare avidamente della gioia succulenta, poichè sempre, malgrado i bei demoni che sprizzano ignudi e grondanti di chiaro di luna, dalle bevande inebbrianti… sempre, malgrado tutti gli artigli e le chele roventi che le droghe m'affondan nella gola, con crudeltà di granchi mostruosi, io voglio lasciare la tavola sputando in viso ai commensali muti ed andarmene altrove, col sapiente occulto rodimento del rimorso e con gli ondeggiamenti d'una nausea amara che dovrò vomitare nella laguna della Morte!—

—È qui, è qui, la tua Josie!—Che m'importa? Tu lasciala dormire, mio cuore!… Ho bevuto lunghe sorsate d'orgoglio, vuotando a garganella l'anima mia inebbriante… Pietà! Già son ebbro e barcollo corro qua e là inseguendo il mio corpo e ad ogni passo incespico, sulla riva di questo fiume sinistro!… Laggiù… i neri campanili della città rugosa remeggian nel cielo inarcandosi l'uno sull'altro per cercar d'infilzare a casaccio le Stelle come monelli armati di forche a rubar degli aranci!…

Orrore! Orrore! Il terribile fiume ora strangola la città dove dorme la donna che adori!… Il fiume febbrilmente allaccia nelle sue spire d'acciaio la città dai lunghi campanili puntuti, che cadono nel buio, ciascuno con la sua stella tutelare, infilzata come un fulgido arancio già marcio ma ben guadagnato!—

8.

La posta del giuoco sublime.

Un'altra volta, un'altra volta ancora i venti selvaggi dàn fiato alle trombe per invitarmi a raddoppiare lo slancio del mio galoppo e le mie scivolate diaboliche sui binari animati che fuggono, e le mie ruzzolate coi piedi innanzi entro ferrei stivali verso il fumoso nulla dei prati in pendio.

Lo so: io devo raggiungere in un angolo dello spazio le vostre corse disinvolte, o Stelle, e sorpassarvi, poichè lasciaste le strade di luce che vi son consuete, e correte lontano agitando le braccia in segno di sfida! Io vedo il grande vortice e la corrente che sospinge le vostre coorti di fuoco… I vostri gesti azzurri a un tratto si moltiplicano fra la cupa architettura delle nubi rugose, simulando grevi tetti e porticati profondi! È ben questo un complotto di guerrieri in maglie d'oro a un romoreggiante quadrivio di città medioevale, con flussi e riflussi di lotte a corpo a corpo, e corazze fracassate, e rossi colpi di spada che trinciano l'angoscia nera del silenzio infinito!…

Avanti! Avanti! Al disopra della ribellione che si propaga a poco a poco negli eserciti vostri sfavillanti, udite, Stelle d'oro, l'alto grido: «Avanti! Avanti!» che vi rimette in sella sopra il dorso illusorio e fra la danzante criniera delle vostre nuvole?… Udite il grido che ancora m'incalza?… Olà!… Urlatemi dunque qual'è l'aurea posta di giuoco che promessa vi fu laggiù in fondo al cielo?… È dunque assai bella, la mèta lontana a cui correte?…

La pianura s'è mutata in un oceano vasto di bruma vellutata e intirizzita di mistero, eppure il mio treno vi si tuffa con mollezza irresistibile… stupito di fracassare ad ogni istante il colossale tamburo di un invisibile ponte levatoio… Sono allora singhiozzi di bronzo e rimbalzi d'artiglierie gettate giù dai bastioni, in un fossato… Troppo tardi!… Vedete, il mio treno è impazzito!… Calmate, se potete, l'atroce frenesia, i battiti del suo gran cuore arroventato e i rantoli bollenti della sua caldaia, e il suo soffio possente che guaisce e si lagna bagnando gli echi delicatamente d'un miagolìo nostalgico di zufolo!…

Stelle! o mie Stelle!… Fissata, è l'ora delle vostre sconfitte! Stelle stravaganti, esultate per l'ultima volta! Inebbriatevi al tintinnare dei vostri carriaggi adamantini! Lanciate a corsa i vostri cocchî di gemme, sotto lo scampanellare delle fulgide redini di perle!

V'ammirano i Saggi, vi credono tutelari; ma invece io darei mille vite per mordervi e per mangiarvi il cuore bevendovi il sangue!

Accetto la sfida!… Più presto!… Più presto ancora! Senza posa nè riposo!… Mollate i freni!… Non potete?… Schiantateli!… A destra, a sinistra io vedo neri mulini dinoccolati, che sembrano correre, a un tratto, sulle loro palmate ali di tela come su gambe smisurate… La luna versa a ondate i suoi chiari beveraggi di delirio e d'amor sovrumano, il suo veemente desiderio di correre con la spada in pugno sopra infocate mura, verso il bacio morente delle bocche immortali… La luna inaffia e abbrucia col suo liquido argento vivo le curve solenni d'un paesaggio illimitato, ungendo di forza e di coraggio i muscoli induriti delle colline striscianti… I torrenti non sono più che lucidi intrecci di spade!…

La luna empie lo spazio d'una immortalità sublime, ove subitamente le montagne lontane, accentuando l'audacia della loro postura insolente levan alte nel cielo radiose facce superbe!… L'orizzonte merlato di rocce titaniche con gioia si ritempra in un'acqua d'eroismo e le cime bagnate di atmosfere divine aspettan con angoscia i passi rudi d'un nuovo Dio!

  Il mio treno scrollandosi qual folleggiante monello
  getta alfine il suo lungo cappello puntuto di fumo,
  per meglio tuffarsi
  nell'oceano indiasprato del chiaro di luna….
  Ora la vasta pianura ha vaporose pigrizie
  fingendo d'inclinarsi come una morbida spiaggia…
  O sfolgoranti sciami di viventi scintille,
  danzanti mosche d'oro dall'elitre di zolfo,
  io vi son grato perchè tanto punzecchiate
  le affrante groppe dei miei vagoni arrembati,
  esasperando il loro spavento
  e il desiderio instancabile che li anima!…

Sull'immensa pianura tenebrosa e schiacciata che stride qua e là di grida bianche sotto gli aguzzi raggi delle stelle, elevan le montagne la loro sprezzante alterigia tenendo alzata colle loro braccia nodose l'ombra fresca delle valli, come un gran manto di velluto nero.

Ed ora le montagne già stanno per gettare sulla mia fuga tabarri di sonnolenta frescura… là, là… guardate, a quello svolto sinistro… Presto! Ancora più presto!… lo devo fuggire, fuggire… nuotando estasiato sul fiume inebbriante degli Astri che si gonfia in piena nel gran letto celeste!…

O morte pianure, estenuate sotto i vivi pugnali della luce, pianure d'ombra bituminosa, crivellate di raggi, senza fine, ben potete soffiarmi in viso l'alito purulento del Rimorso!…

Molli pianure del passato, intrise di pianto, visitate dai curvi fantasmi del ricordo, io vi scavalco sul mio treno impennecchiato d'orgoglio e mi dondolo in cielo, vogando in accordo col ritmo impetuoso e la cadenza meravigliosa di questo fiume stellare! Che importa se il mio cuore si lamenta, spossato, traboccante d'amarezza, stanco d'ebbrezza titillante, gonfio di gioia grossolana, e pur tanto leggiero, sottile, come impalpabile, per aver troppo bevuto alla diaccia lusinga della velocità verso la notte vorace dell'Infinito?… Ah! che il mio petto scoppi al pulsar del mio cuore!… S'allarghi, s'allarghi il mio cuore, inghiottente e rosso come il bacio voluttuoso con cui il sole disseterà l'agonia della terra!…

  A piacer tuo, mio cuore disilluso!…
  Nulla deve arrestarti, malgrado l'immensa stanchezza
  e l'immensa disperazione!
  Nessun'oasi più, sulla terra, per la tua sete, o cuore!

Senza terrore contempla la curva Notte, ammantata nelle sue tenebre a lunghe pieghe, che verso lo Zenit trascina la Via Lattea come una enorme rete d'oro, piegando sotto la follia ed i fulgidi guizzi delle stelle squamate come anguille!… Oh! mangiane, se vuoi, per saziar la tua fame!…

Lo sai, che queste stelle, grappoli succulenti di luminose uve gonfie di rosso sugo, uve che maturarono al basso del ceppo inzaccherate dei vapori cocenti che all'orizzonte stagnano… lo sai, mio cuore, che questi grappoli siderali sono assai più saporosi d'ogni altro grappolo d'astri? Ecco di che placare l'immemorabil tua sete!…

Città rugose dai ponti neri le cui tremule dita affondano nella giovinezza chiassosa dei torrenti… Città inchiodate dalla paralisi, che contro le nubi in urti sonori spaccate la fronte vibrante dei vostri campanili cascanti dal sonno… non vi stancate invano a trascinar lontano dietro al mio correr veloce le vostre mura crollanti! Piuttosto riposatevi, e rimanete così, tutte adunche d'invidia e di rancore focosamente immote, ebbre d'odio, perduti gli occhi a contemplare gli uccelli migratori che fanno soste brevi sui vostri lunghi campanili, per schizzar fimo e rivolarsene via con la stanca indolenza disdegnosa delle loro ali librate!… Urrà! Urrà!… Cantate! Ballate, miei cari desiderî suicidi! Suvvia, fieri demoni che pedalate furiosi cavalcando senza sella le ruote giganti del mio folle treno!… Addosso! Addosso ai monti!… Dobbiam superarli, poichè domani il Rimorso forse potrebbe schernirci ed avrebbe ragione!… poichè la Morte—pensate!— potrebbe domani afferrarmi alla cintola ed obbligarmi a lasciare le staffe!…

Monti! Mammùt in mostruosa mandra che pesanti trottate, inarcando le vostre immense groppe, eccovi superati, eccovi avvolti dalla grigia matassa delle nebbie! E odo il vago echeggiante rumore che sulle strade stampano i favolosi stivali da sette leghe dei vostri piedi colossali!…

Lampi! o bei lampi, io disdegno i vostri colpi d'ascia violetti, vibrati in pieno sul mio nero cuore! Lampi! o bei lampi, io disdegno i vostri scatti sonori!… Urrà! Urrà! Venti che volete uncinarmi coi vostri lunghi raffi allo svoltar delle valli, io vi ho sorpassati, frantumati, vinti!… Urrà! Urrà!… Son sorpassate o vinte le cupe Città suppliziate sulle grandi braccia in croce delle candide strade Vi ho sorpassate, foreste gesticolanti!… Ed ecco già sull'arco lontano dell'orizzonte il Mare dalla lucente armatura lunare!… Oh! Ebbrezza di tuffarmi nell'onde, fra l'alito effuso del largo, saturo d'al di là!… Ed ora, a noi due, bel Destino!… Giochiamo alfine la nostra partita sublime!… Folle partita che intavolare dovremo sull'immenso tappeto del firmamento, in fretta, in fretta, assai prima che l'Aurora dalle mani scarlatte venga con un gesto furtivo di baro a rubarci, l'una dopo l'altra, le stelle bipartite di nero e d'azzurro che sono i nostri dadi fortunosi!

9.

Il Demonio lusingatore

O laceranti fischi, bei lampi a zig-zag!…

Sono fosforee forbici di streghe, che tagliano il velluto e l'orpello delle nuvole, con ebbrezza squarciando i palpitanti panneggiamenti delle tenebre seriche per farne il mio sudario?

Ben vedo sulle cime lontane fili d'oro ondeggianti che mostruosi gomitoli sdipanano a casaccio, mentre il Vento dal lungo pelame di gatto d'Angora si trastulla con essi, agitandoli con la sua morbida zampa…

I fischi funerei del vento squartano senza fine con l'accese unghie loro il cuor sanguinolento della macchina!…

Che il mio treno voglia forse disossarsi per mordersi meglio con avidi aguzzi denti, inondando gli echi del suo dolore irreparabile e gonfiando d'amarezza la notte ebbra delle lagrime contenute delle Stelle?…

Ah! no!… Non più singhiozzi!… Mi spezzi la schiena! Vuoi tu dunque, o mio cuore, commuovere fino alle lagrime gli echi femminei che un tempo conobbi sulla mia strada e che ancora m'attendono, in ginocchio, preganti come domestiche curve intorno a un'agonia… alla mia agonia danzante e frenetica?…

Il mio cuore trabocca, gronda il mio cuore d'un orgoglio fantastico e temerario impennacchiato di rumorosa ebbrezza e agghiacciato di freddo terrore come una coppa di champagne avvelenato!

La morte? M'annunciate la mia morte?… Lo so: laggiù, in quella città stretta dall'odio sotto il suo campanile alzato come un pugno nero…. lo so: nell'intestino fumoso di una viuzza, dietro la porta chiusa d'una bettola, la Morte m'aspetta… (È là ch'ella vive!) Essa, pezzente scarnita sotto i suoi stracci di nebbia, è là da sempre, seduta a una tavola, e tende al visitatore predestinato la sua faccia d'incandescente cenere, in cui sfavillano occhi di stagnante putredine!…

Orrore!… Mi sento sulle guance e nell'ossa il tenebroso brivido di un abbraccio mortale!

Serrate i freni!… Son rotti?… Che fare? Bisogna dunque che io abbandoni la pazza frenesia del mio treno alle ostili sdrucciolate del binario! Vedete? Come potrei rallentare il mio slancio ed il ritmo possente del mio cuore nero?

  Esploro lontano, e vedo tettoie formidabili
  dagli occhi di porpora, arrotondati dall'attesa,
  che s'accosciano intorno alla fumida bocca
  della stazione,
  sulle matasse e le trecce dei luccicanti binarî…
  Le sinistre tettoie a quando a quando oscillano,
  come nordici pescatori dal gabbano incatramato
  che agli scogli s'aggrappan, nello sforzo
  di trarre a riva grandi reti ricolme di pesca…

Lo so: voi mi aspettate sotto i vostri sonori cappelli di latta dalla falda piatta, aperte le braccia per regger nasse immense, in cui presto (voi lo sperate, lo so!) il mio folle treno balzerà assurdo e guizzante come un pesce preso. Sono un pesce, lo ammetto!… Ma ribelle, ma invitto!…

Che! Nulla vi spaventa?… Eppur le mie rosse branchie soffian lontano un alito di fucina, e le raffiche sferzanti, che torcono i vostri cappelli di latta vibrante, sapranno atterrarvi!… Ebbene? che dite? Questo vento pesante non potrà soffocare il vostro violento ansimare?

Oh! davvero vi ammiro, o sacripanti irrigiditi nello sforzo d'inchiodare le vostre fatidiche nasse agli scogli della riva! Ma non importa: io sono indomabile e posso flettermi come un'anguilla, cacciandomi attraverso le strette maglie, e mi diverto oltremodo ad ascoltare i vostri gridi gutturali di vapor crepitante!…

Sento incessantemente le mani impazienti d'un Dèmone carezzevole, furtivo, onnipresente, che senza sforzo mi strappa con le unghie dorate un occhio:… gli occhi… le ciglia!… Oh! qual delirio! Quale orrore squisito! Le sue unghie s'accaniscono a lisciarmi la carne del volto, e la sua bocca vorace passa e mi mangia le labbra!… Il mio volto è spianato, levigato come i Cristi scolpiti sui vecchi reliquiarî, divorati dai baci d'innumeri pellegrini… Grazie, grazie, Demonio di Frenesia e d'Impossibile, poichè certo sei tu che sazî la tua fame sulla mia faccia!… Sei tu che rivesti il mio corpo d'invisibili labbra e di elettriche nari!… Per te, tutto il mio corpo beve, mangia e fiuta il soffio glacial della Morte!…

Un urto brusco!… un grande scrollìo di cerniere!… Ah! maledetto guscio di tartaruga! Il mio treno è incatenato! Io ne fuggo fuori rompendo i vetri, come un lupo che scappi abbandonando la coda superflua, (non è forse un oggetto di lusso?) alle mascelle d'una trappola!… Ed entro finalmente nella città!…

10

Il Veliero condannato.

Già il cielo nero si gonfia del singhiozzo straziante che il mio cuor condannato sta per lanciare allo Zenit… Alba sinistra e macerata d'angoscia!… Alba contratta! Il vento, agonizzando a un quadrivio, aguzza un suo rantolo estenuato… O vento crocifisso dai chiodi delle Stelle!… Riboccano le vie d'un bitume di folla tutto fumante di tenebre, che scuotere sembra penosamente la corpulenza delle facciate. E dovunque il soffio selvaggio del mare s'ingolfa con fracasso, sbatacchiando le sue mille teste dai capelli ritti, le sue mille braccia, le sue mille voci a trivello… E il Terrore dovunque m'insegue da presso pungendomi le reni con la spada!… Pennacchi crollanti di fumo greve e grasso invischiano orribilmente il tumultuar della folla, che svolge intorno a me i suoi tentacoli di piovra colossale dalle ventose fetenti… Maschi e femmine… tutti mi somigliano! Sei sempre tu, Demonio delle Frenesie, che divorasti loro la faccia… Oh! eterna lebbra!… … Come a me?… Come a me!

Nessuno sentiva l'angoscia e il crudele rimorso d'aver perduto così i proprî lineamenti, la propria maschera, il proprio viso fra le unghie d'un ignoto, per amor dell'Inferno o del Cielo? No: per amor delle Nuvole! Ecco: una donna!… Le mie dita t'hanno riconosciuta!… Per le poppe t'afferro… Gridami dunque, gridami se senti l'orror della mia faccia corrosa! E non hai tu la brama angosciosa di sapere il delitto, la follia, la disperazione nascosta dietro la mia fronte d'avorio? Poichè son io, il colpevole, il condannato a morte che trascinate senza saperlo verso il nulla delle vostre vendette!… Forse lo ignori?… Silenzio… Sanno farsi capire le mie dita, affondando nella tua carne?… Hai tu compreso?… Ahimè! Io non sento che un pesante scalpiccìo molle di piedi nudi sulla strada fangosa, che sembra fermentar d'odio sotto i miei passi…

A destra ed a sinistra, le mura delle case furtivamente fuggono fra l'ondeggiare dei fumi e delle fiamme… e la folla si spande, sinistro ventaglio di palpitante velluto, nell'ombra spaziosa dei moli e delle banchine… delle banchine immense di questo porto fatidico!…

Ecco! Uno dopo l'altro gli schiaffi colossali di un'ondata che s'erge, impennacchiata di luna verde, imprimono alla folla sussulti e risacche violente in cui rapido piroetta il mio corpo.

Orrore! che mai vedo, in lontananza, in cerchio intorno a me?

Non tremare, o mio cuore!… Digradanti sui declivî dei monti lontani vedo le case nere che scendono, sbarrando i loro vetri rossi, col dolce sghignazzare e col sorriso truce dei loro vecchi balconi sdentati…

A me intorno la folla automatica e bituminosa si mesce e si confonde coll'agitazione del mare. Ma da ogni parte fiammeggian pupille, pupille vive di case precipitanti il loro galoppo fantastico, di gradino in gradino, dall'alto al basso di questo gran circo di monti, per vedermi e seguirmi con un lungo sguardo inesplicabile.

Le finestre battono le palpebre, rapide, poichè la bufera raddoppia.

Il porto cupo altro non è che un vasto scricchiolamento d'alberature infrante sotto lo sforzo delle vele dal ventre squarciato, saccheggiato da artigli feroci!… Aiuto! Aiuto! Il vecchio porto contorce la sua immensa carcassa schiacciata di capanna masticata dal fulmine… Aiuto!… La tempesta?… Ah! no!… Questo è un assalto di onde dai denti di lupo!… Sembrano lupi furibondi per fame, che s'avventino sulla porta d'una casa, e in torrenti accaniti penètrino dalle finestre!

Un gran veliero leva alto il suo scheletro davanti a me, sul molo. Le sue ossa piegan sotto cordami simili a budella.

Accorrete dunque in folla, o case scellerate dalle facce forate di pupille febbrili!… Inarcate le vostre braccia e i vostri tetti coperti di tegole… Issatevi le une sull'altre, per assaporare il sublime spettacolo della mia morte!

Uragano! Uragano dalla bocca tôrta come le vaste brecce che il fulmine di Dio scava nella fronte dei templi sacrileghi, scatena, scatena dunque la muta delle tue onde dai denti di lupo!… Urrà! vedo la lucente madreperla delle lor zanne, che si arrota, intaccando il molo irremovibile, qui sulla soglia di questo gran porto, le cui alberature oscillanti sussultano crollando giù come travi carbonizzate!…

  Urrà! Urrà!… Mentre dunque l'Angoscia
  delle Angoscie mi serra feroce la gola,
  io mi rizzo
  sull'altissimo cassero di questo veliero spettrale.
  Alfine, o mio cuore, prepàrati
  a goder della festa gloriosa che la Morte,
  tua patrona, t'appresta nei Regni del Nulla!…
  Fa presto i tuoi voti, o mio cuore,
  i tuoi ultimi voti assurdi!…
  Sul mio capo, le vele si gonfian mostruose,
  e cozzan le loro mammelle e le lor pance di streghe,
  Il molo è superato!… Uragano, mi strozzi!
  O Luna verde, mistico ragno
  che con laboriose zampe intrecci i miei cordami,
  lascia dunque ch'io vomiti l'anima mia frenetica
  sulla tua bocca triangolare!… Bevi
  sulla mia fronte l'ebbrezza e la demenza
  del mio sogno!… Il sogno
  è un tormento dalle delizie divine,
  ma pur sempre un tormento!…
  Tu mi schiacci, Uragano!…
  Terrore!… Ecco le onde dai denti di lupo!…
  Io vedo i vostri occhi di porpora acuta!…
  Io sento i vostri artigli… Li sento!… I vostri denti
  mi màstican le guance!… Oh! il dolore
  di morire addentato da voi!…
  Ahi! Ahi! Sto per morire! Il mio petto
  è infranto!… La mia carena scricchiola e si lamenta.
  Vele impregnate d'azzurro liberatore!
  Vele arricchite dei fiori dell'orizzonte!…
  Stridente alberatura, tu sfondi il mio corpo!…
  Ahi! Ahi! Più forte!… Ancora! Ancora! Ancora!
  Tu godi, t'inebbri, a schiacciarmi così?…
  Anch'io ne godo!… Anch'io m'inebbrio!…
  Baci dei venti!… Assolventi carezze dell'Infinito!
  Io v'assaporo con tutte le labbra
  di tutte le mie ferite!…

Oh! Spazio!… Spazio!… Il mio Desiderio, folle nuotatore uso ai tuffi più audaci, con furore t'abbraccia nella schiuma volante e nel vento rapace!… A me il Sogno sommergente e l'estasi ondeggiante delle foreste sottomarine! A me il verginale sbocciar delle perle!… Alito assopente, trascinami per le immense pianure di corallo, sommerse!

Aroma dei mari notturni già spalmati d'aurore profumanti!… Malinconia delle piovre che snodano il loro sonno contemplando dal profondo dell'abisso, attraverso l'elastico cristallo delle acque, il greve sole levante galleggiar molle e vermiglio sul mare come una favolosa ninfea d'oro!…

Aroma evocatore di paradisi perduti, tutto il mio corpo a brandelli beve il tuo vigore divinizzante e muor di te senza fine!… Ahi! Ahi!… Mi sento morire!… Morire!…

8.

I CAFFÈ NOTTURNI.

(Canto che finisce in prosa volgare).

Quand'ero adolescente, io venivo ogni sera a mendicare oblìo sotto bassi soffitti, saturi di luce, seguìto da allegri compagni, l'uno a braccetto dell'altro, e coi Fumi, miei vecchi amici fedeli, agili e beffardi giocolieri d'azzurro vestiti e di grigio-perla, abilissimi nell'arte di far scomparire le apparenze con una piroetta, e d'imbrogliare i fili delle nostre memorie.

Tutte le sere, le Luci in tumulto si radunavano là, spesso ferite a morte e sanguinanti ancora dopo una rissa a corpo a corpo con l'Ombra implacabile… ma sempre ugualmente pronte a scoppiar dal ridere e a lanciar fino al cielo le loro bianche grida di martiri inutili! Io pagavo loro da bere, volentieri, del Nulla a tutti e del Fuoco in bottiglia, perchè già sono buoni diavolacci, nottambuli impenitenti che s'affollano al crepuscolo, in quell'antro, per soffocare in sinistro complotto il gran Sogno maledetto, il gran Sogno ossessionante e puro delle notti divine…

Bisogna pure, infatti, strangolare il nostro Sogno, in qualche posto, allo svolto d'una viuzza infame, o in un postribolo, o, meglio ancora, in un caffè-concerto, tra i vasti specchi mendaci che sanno scusare i nostri delitti e le nostre tristezze, moltiplicandoli!…

Specchi sôrti ad un tratto, come miraggi di trasparente frescura, nel deserto soffocante e nostalgico dei caffè notturni!… … In voi più che altrove si può uccidere il Sogno, per poi, più tardi, nell'ore gialle dell'alba, portarne via il cadavere a lenti passi, e gettarlo in un nero canale, semplicemente, come si vomita il mal di mare dal parapetto di bordo!…

Quando non lo si uccide, bisogna metterlo in fuga, con gran fracasso, picchiando su la latta rovente del suo cranio, come fanno gli Orientali, quando sbattono l'una contro l'altra casse di petrolio, per sciogliere l'amoroso abbraccio del Sole e della Luna in eclisse…

Subitamente gli Alcool, ritti intorno a noi, gesticolan dimenando la pancia e le tonde facce apoplettiche simili a culi di vecchie scimmie, e parlan tutti insieme per aver tutti ragione. Quand'ecco cento odori vischiosi e granulosi vi palpano dolcemente le nari o bruscamente vi tiran pel naso…. e si vaga, non si sa dove, fra l'urtarsi dei Sosia, che fanno smorfie e lazzi nei mirifici corridoi degli specchi profondi… Allora, orchestre pesanti si scagliano su la calca, come orde di negri, con urli selvaggi e saliva schizzante tra i denti, con precipitosi tam-tam e con penne variopinte piantate ritte nei capelli crespi…

E nella folta notte dei loro volti, a quando a quando, al ritmo della danza, brilla il gran lampo sbrandellato del loro sorriso di neve scintillante!… Ma già i salti pazzeschi delle orchestre s'incrociano e s'imbrogliano ne' miei nervi, e si urtano tumultuosi, e dànno impossibili tuffi, piegati in due, dall'alto di neri vascelli…

Oh! i caffè-concerti della mia giovinezza, dove trascinavo la mia Anima barcollante, come si trascina, appeso al braccio, dopo un'orgia un amico briaco fradicio, per coricarlo su un qualche divano!…

Ci sedevamo a un tavolino, io e la mia Anima, a notte inoltrata, per aspettar la Gioia, e sentivamo piegarcisi le ginocchia, oppressi dal peso di un'infinita tristezza, forse millenaria! Avevamo al collo grevi stole di noia, e curvi stavamo come vecchi preti, stanchi, assai stanchi di far sacrifici al nostro idolo antico!… Oh! i brividi delle nostre braccia che sollevavano, fra dita malferme, verso il soffitto coppe funeree: assenzio o rhum! E brillavano, fantasmagoriche, le bevande, sgranando l'ombra loro e il loro fosforo prima d'assolvere i nostri rimorsi!…

Poi, ad un tratto, al disopra dei nostri pallori le lampade elettriche brandivano i loro cuori bianchi, tenendoli stretti fra dita di ferro, così da farli gridare, spumanti di latte azzurro… Oh! poveri cuori feriti delle lampade elettriche… Oh! cuori di fuoco, contusi, spasimanti per mille dolori, sotto mille pugnali indifferenti e placidi, pugnali arroventati!…

E quei pugnali di luce si volgevano contro di noi, inchiodando le nostre volontà ipnotizzate sui divani profondi, dalla carne scarlatta grondante di lave, sui divani profondi come un tramonto doloroso d'autunno, affranto da voluttà cocenti e nostalgiche.

Talvolta le lampade elettriche ci versavan nel cuore chiari di luna acciecanti, acidi e corrosivi, nei quali i nostri profili, le nostre lussurie e i nostri desideri metallizzati apparivano ad un tratto cesellati nella madreperla e nell'acciaio scintillante…

Una sera, me ne ricordo, dei vecchi Soli disperati rotolarono, con gran fracasso, sotto il soffocante soffitto, tra le macerie delle nostre tristezze, come in fondo a cave di tufo abbandonate che ardessero fra turbini di polvere…

Allora la mia Anima, a me accanto seduta, comprimendosi il petto con le mani e agitando il capo stanco, si mise a piangere, vinta, compassionevolmente, come un cane lapidato!

Ed io le dissi:—Anima mia! Povera Anima mia! che vuoi? Qual nuova pena inconsolabile ti tormenta? Lentamente la mia Anima sospirò allora il suo lamento: —Tu conosci la Donna in fiore dalle labbra di profumo, conosci la Donna dagli occhi d'azzurro attiranti che amo ed aspetto dal giorno che seppi la speranza di vivere, la fame d'amare e godere… l'amante che le Stelle mi promisero, nel passato, sui bei laghi della mia giovinezza piena di cielo!… Oh! io vorrei questa sera inginocchiarmi davanti a lei, e spiare il suo sorriso come spiavamo, io e lei, dall'alto d'una scogliera lo sbocciare felice degli astri sul mare!… Ma Ella non verrà, la Donna in fiore dalle labbra di profumo!… Uno stregone, forse, la fece prigioniera mentre passava per qualche sentiero notturno!—

Ancora! Ancora! Moltiplicate i vostri zig-zag, instancabili archi dei violini! Archi febbrili che una strana pazzia incatena agl'istrumenti, segate, segate furiosamente il cuore dei violini, e demolitemi l'anima, archi vibranti e slogati che sussultate, più rossi di martiri scorticati vivi, inchiodati in croce!… Oh! Indugiatevi dunque, perdute le mani, a strizzare senza fine le stanche mammelle, le mammelle esauste delle bestie agonizzanti, per trarne, per trarne senza fine del dolore!…

In un terribile incubo, a un tratto, l'orchestra si gonfiò come dorso di balena, fra uno scorrere diffuso di amare nostalgie… Allora, gigantesche brenne presero a inerpicarsi per la china d'un calvario esecrabile, intimo calvario che s'erge nella mia carne!… Scalpitavano nel mio sangue, le fantastiche rozze, arrampicandosi per la salita del mio passato… Le loro groppe montuose, scheletriche, crocchiavano come colossali panoplie. Enormi, le loro ossa, che quasi spuntavano nude, reggevano l'ampia pelle, come un mantello teso e sollevato su punte di lance!…

Le cavalle mostruose dell'orchestra mi scalpitavan fra i nervi, come fra i grevi cordami di una nave squassata dalla burrasca, e il mio terrore cresceva quando le cavalle balzavano, fingendo ad ogni istante di saltare dal ponte giù nell'immenso naufragio!…

Io tremavo, al sentire mani unghiate di ghiaccio pettinarmi a piccoli strappi i capelli, che mi stavano ritti sulla testa! La mia Anima accanto a me, sommersi gli occhi nel sogno, borbottò, come una mendicante allucinata: —Vedi? Questa bevanda ha la soavità inebbriata d'un crepuscolo ardente in cui lentamente inverdisca e si copra d'ombra un bel volto agonizzante… Appunto in un crepuscolo così dolce, io sogno di vederla apparire e venirmi incontro a braccia aperte!—

Allora sui nostri pallori cadaverici, sulla mia Anima e su di me, i violini immensificati, inarcando la groppa del loro suono, soffiarono come gatti l'odio acido e giallo della loro gola bavosa! E la mia Anima esaltata gridò con voce sorda: —Amico! Amico!… Guarda! Non vedi tu un'isola rossa, ardente, insanguinata sbocciare per miracolo, simile a una ferita, sul mare d'ametista?… Un'isola presa fra le maglie d'oro di una purissima sera in deliquio sull'acque?… Non vedi tu un'isola in fiamme che dondola come una vasta rosa vellutata?…

Le sue rive son petali colorati di carminio che sembran vivere e palpitare sotto la languida carezza dei flutti… Guarda! Quelle rive s'accendono, man mano che la nave s'approssima… L'isola è tutta imbottita di folte verdure; l'isola gronda di gomme e di lacche rosee, che tingono i nostri cordami… Non senti? L'aria crepita e brucia come un incenso. Vapori dorati di miele avvolgono gli alberi lungo la riva! (—Sacramento!… Chi è quell'animale, quel porco che ha urtato il mio tavolino?…) Amico, guarda! Il Sole scarlatto agonizza sotto un soffitto di nuvole… Il Sole è schiacciato, a mezzo il corpo, sull'orizzonte, e pare una bettola infame, dalle rosse tendine accese!… Il Tramonto non è più che una lurida osteria, per metà sepolta sotto il pavimento montante del mare che oscilla!… (Oh! Dio!… Cresce il rullìo, e già ruzzolo nella nausea impura d'un assenzio infernale!… Certo, s'impastarono ossa di vecchi demonî, per distillare questo elisir d'oblìo!)—

Con un lungo urlo di rabbia, il Sole ha rantolato sotto il tetto pesante delle nubi, laggiù…. Nuvole di sugna, dagli orli aranciati che lentamente assopiscono l'isola felice!… Ah! mi ricordo, mi ricordo, d'aver vissuto, un tempo, in qualche vita lontana, sulle vermiglie sabbie di quell'isola che chiude ad una ad una le palpebre brune delle sue calde verzure!… E mi ricordo d'una sera, come questa inconsolabile e pura!… Ma è troppo tardi, ormai!… La mia amante dalle labbra di profumo non verrà più, poichè è l'ora che i serpenti s'intrecciano in molli tappeti sui sentieri fioriti dell'Isola felice!…

Una certa sera d'autunno, dolorante e come stretto da un'angoscia amara avevo condotta la mia Anima, come al solito, in un caffè notturno… La mia Anima? Non aveva bevuto nulla… Eppure, barcollava come un ubbriaco! Basta sì poco, per ubbriacarla!… Poche ore di solitudine, e già eccola brilla!… Entrammo… Appesa al mio braccio, floscia e slogata come un fantoccio, la mia Anima si piegava a destra ed a sinistra, battendo l'aria con le braccia ed urtando le tavole e i passanti!…

UN SIGNORE (urtato, alzando il bastone)—Ohè!… siete ciechi!

LA MIA ANIMA (canticchiando)—Tra la la!… Tra la la!…

IO.—Scusate, signore … Il mio amico è un po' brillo….

IL SIGNORE (furibondo)—Andate al diavolo!… Portatelo altrove, il vostro ubbriaco!…

IO (alla mia Anima)—Andiamo! Basta! Non far più sciocchezze! Sta ritto, e taci! Mi procuri delle seccature!… Zitto, se non vuoi che ti pianti qui, in mezzo al caffè!

LA MIA ANIMA.—Sì! Sì! hai ragione… Ma non è lecito avere una faccia come quella!…

(Lulù, una bellissima ragazza, ci chiama con un gesto alla sua tavola… È l'amante della mia Anima. Sembra molto ammodo, è vestita di nero, ha la bocca in forma di cuore, occhi sensuali. Fa smorfie, con grazia, sotto i pesanti capelli neri che ombreggiano delicatamente il pallore del suo volto.)

LULÙ.—Amici miei, sedetevi, vi prego… (Alla mia Anima) Come va, caro?… A proposito: ho letto la tua ultima poesia…

LA MIA ANIMA (di cattivo umore)—Mi dispiace, cara… Naturalmente, non ne avrai capito nulla! Sei troppo stupida…

IO.—Suvvia! Non essere villano!… Tu non dovevi darle da leggere i tuoi versi… E poi, non mi seccate più con la vostra letteratura!… Stiamo allegri, e facciamo del baccano!… Conosci Rosina, la divette?… È deliziosa… Quando canta, rapisce.

LA MIA ANIMA.—Tanto meglio!… Viva Rosina!… Viva Rosina!… Ohe! Balliamo!… Viva l'allegria, e al diavolo la letteratura!… Olà! Olà!… Voglio del baccano! Facciamo del baccano!… (La mia Anima ansima, con gli occhi stravolti, annebbiati di sangue sotto le palpebre frementi). Ribalterò la tavola su codesti imbecilli… Vedrai!… Sarà bellissimo!… Patatrac!… Ecco fatto!… Anche tu, anche tu, devi far del chiasso!… Ah! ecco Rosina! Silenzio!…

(La mia Anima, puntati i gomiti sulla tavola, guarda fissamente la scena; ma, presa a poco a poco dal sonno, piega il capo, in abbandono, sulle braccia incrociate. Subito, l'orchestra ci si scaglia addosso, picchiando sulla calca grandi colpi d'archi, coll'indignazione ridicola di un Gesù nell'atto di flagellare i mercanti nel tempio.)

IO (alla mia Anima)—Dormi?… Su! Svegliati! Come ti pare, Rosina? (Al cameriere) Tre absinthes!

LULÙ (rivolta a me, strizzando l'occhio).—Dite su… È un gran pezzo che non vi si vede!… Non ci sente (Indicandomi col dito la mia Anima addormentata) Perchè non venite a trovarmi? Lui (indicando la mia Anima) non c'è mai. Se sapeste com'è noioso!… Verrete, non è vero?… Quando?… Mi direte cose molte allegre, e ci divertiremo moltissimo! Ve lo prometto!… Ma… zitti!

IO.—Siamo intesi, Lulù!…

(E rispondo alla sua occhiata con uno sguardo languidissimo, pur pensando che è schifoso tradire così, senza piacere, il mio migliore amico, la mia Anima, con una ragazza che egli ha il torto di adorare!… Basta!…)

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

(Entrano nel caffè dei nostri amici. Uno di essi batte sulla spalla della mia Anima, che si desta di soprassalto).

L'AMICO (alla mia Anima)—Sai? Lulù mi ha dato da leggere il tuo poema … Mi ha detto che è una cosa senza senso!

  LA MIA ANIMA.—Lulù è una sciocca! D'altronde, non
  val la pena che tu lo legga!… Non ne capirai un'acca!

  GLI AMICI (in coro)—La! La! La! Lulù ha ragione…
  Siamo del suo parere!… Il tuo poema non è interessante!…
  Hai fatto di meglio!…

LA MIA ANIMA.—Cretini!

GLI AMICI (in coro)—Che arie!… Sei molto villano, questa sera, caro amico!

LA MIA ANIMA. (Lo tengo fermo, per le spalle contro la tavola. Pure, col volto congestionato e con gli occhi fuor dall'orbita, egli urla:)—Sì! Sì!… Siete tutti cretini! Tutti imbecilli!… L'Arte… la Poesia… Voi non capirete mai nulla di queste cose!… D'altronde, io sono un grande Artista… ho del genio… vi disprezzo tutti!… E me ne infischio, dei vostri giudizî!…

IO (alla mia Anima)—Suvvia!… sta zitto! Sei pazzo!… Vuoi tacere?… È stupido, quello che vai dicendo!… Dopo tutto, costoro hanno soltanto espressa un'opinione… Non ti hanno già insultato, che io sappia!… Pensano che tu sprechi il tuo talento a cercare delle cose senza importanza… Ognuno ha le proprie idee… Tu te ne infischi… e buona notte!…

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

«In fondo, Anima mia, tu sai benissimo che non basta aver dell'ingegno, del genio, anche, di fronte al nostro Ideale comune: la Felicità assoluta, la Gioia pacificatrice… Tutto è collegato, nella vita… I geni e gl'imbecilli si danno la mano, per ballare in tondo, nelle Tenebre, sotto l'Infinito muto e beffardo!… La bellezza dell'Arte e la stupida Realtà sono ugualmente colpite dall'impotenza e dall'imbecillità, davanti all'ineluttabile miseria dei nostri destini e all'irrealizzabile assoluto!… Non v'è nulla di più ingenuo che il voler raggiungere e fissare l'Assoluto, tanto nell'amore che nella letteratura, per mezzo della lussuria, del verbo, o del silenzio!… Mi ascolti?… Ebbene: ragioniamo un poco!… Vuoi che la tua arte sia apprezzata, o vuoi che sia disprezzata?… Alludo alla folla, alla maggioranza, ai cretini!… Vuoi forse essere compreso?… Prevedo la tua risposta: «L'Arte basta! Basta l'ebbrezza di creare della Bellezza!…» Allora, Anima mia, bisogna sputare insolentemente sulla vita, sulla gloria, sulle donne, sull'amore, e rimaner solo!… Solo? No, non assolutamente!… Bisognerebbe conciliar le cose… Infatti… infatti… Capisco perfettamente. L'Arte è inafferrabile e lontana come una Stella…. ed è triste, molto triste, adorare una Stella!… Inoltre, bisogna soddisfare il proprio orgoglio con un po' di dominazione…. Dunque, ti occorre della gloria immediata… ti occorrono delle donne che vengano a offrirti le loro labbra.

«Tu pensi, come penso io, che il creare stanca, come pure il comprendere tutto e sempre?… Si resta invariabilmente a mezza strada, non è vero?… quando si sale il calvario dell'impossibile perfezione artistica!… E poi, pensa… Noi dovremo morire, nonostante il nostro genio… E saremo dimenticati prestissimo!… I capolavori sbiadiscono, dopo qualche secolo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

«Quanto alla felicità, essa appartiene ai mediocri e agl'imbecilli… La vita di costoro scorre con la pienezza felice e satolla dei grandi fiumi che affondano pigramente nell'orizzonte. La loro corrente calma e trasparente, non ha colore nè luce singolare, e trascina incoscientemente, verso l'ignoto della morte, innumerevoli paesaggi capovolti e divenuti assurdi…

«Tutta la felicità sta in questo, e non bisogna disprezzarla… Nulla è più triste che il disprezzare ogni cosa, prima di averne goduto, poichè è senza dubbio un'inferiorità l'essere insoddisfatto, foss'anche d'Ideale!…

«Tu sei ridicolo, vedi?, come un gran re decaduto, che vada portando in giro le sue torce fiammeggianti, le sue porpore sontuose e le sue squillanti fanfare… in un paese di sordi e di ciechi! . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

«E la povera Lulù?… Hai torto d'insultarla, perchè ti ha detto una sciocchezza!… Che pazzia, l'esigere sempre, e da tutti, dell'intelligenza!… La sua stupidaggine è in perfetta armonia col gioco dell'universo! Sei tu, Anima mia, che urti e sconvolgi l'ordine!… Il tuo genio è assolutamente sconveniente!

«Inoltre, Lulù è graziosa e ti vuol molto bene… E tu sai di non poter fare a meno di lei!… Ricordati, Anima mia, che in certe notti di novembre, in una di quelle notti, lugubri e tutte intirizzite di stelle freddolose, in cui l'orgoglio del Genio crolla ad un tratto nel nulla… in una di quelle notti astiose, piene di rancore, in cui il coraggio e la forza si sgretolano come per incanto… ricordati, Anima mia, che ella seppe pacificare il tuo povero cuore con una sola carezza… anzi, con un solo sorriso!…

«Tu sai, anche, che è dolce avere nella propria camera tiepida e chiusa, la donna soave dalle labbra primaverili, che lentamente si slaccia e si sveste per te, soltanto per te, accanto ad un gran letto protettore e che assolve da ogni rimorso!…

«Calmati, dunque!… Hai commesso, or ora, delle pazzie imperdonabili… Ebbene: adesso bisogna che tu faccia le tue scuse agli amici e domandi perdono a Lulù…»

La mia Anima mi guardò avidamente, con occhi feroci, e sentii che un torbido e rosso desiderio lo trafiggeva: il desiderio d'uccidermi, per liberarsi dei miei sermoni! Infatti bisogna essere legati ad una profonda amicizia, per odiarsi, talvolta, con tutte le proprie forze, e per voler mangiarsi il cuore reciprocamente, con delizia…

  Poi, ad un tratto, la mia Anima si mise a piangere
  dirottamente…

  IO.—Suvvia! Non piangere! Non pensarci più… Domanda
  scusa ai tuoi amici, e tutto sarà finito.

LA MIA ANIMA.—Miei cari amici… perdonatemi le mie villanie e le mie offese!… Sono ammalato, questa sera… Sono nervosissimo!… Sento un dolore, qui, vicino al cuore, profondissimamente… Forse, sono spacciato!…

  IO.—Su, amici!… Fate la pace, e tutto sia dimenticato!…
  (Alla mia Anima) Vieni qui… Non piangere più…
  stringetevi la mano… Così! Benissimo!…

  LULÙ.—Caro! Caro! (accarezzando la mia Anima)
  Baciami sulla bocca… Così!… Tremi, povero amore mio?…
  Hai la febbre?… Stasera verrai da me… Ti curerò!…

  Allora, la mia Anima, ubbriaca fradicia d'angoscia e
  di tenerezza, pianse ancora dirottamente, come un vitello,
  fra le braccia di Lulù…

Quella notte, dunque, la mia Anima l'avrebbe passata con la sua amante… Li accompagnai a casa di Lulù. Sulla soglia, la mia Anima, che barcollava, mi salutò con un lieve sorriso di trionfo… poichè, vedete, in fondo, è troppo, troppo stupida, la mia Anima!…

9.

IL CANTO DELLA GELOSIA.

1.

Sulla spiaggia.

O Giulia mia, non abbandonare così le tue palpebre e tutta la tua carne bramosa che adoro ai baci voraci del Sonno!…

Vedo le tue ànche grondare di un profumato sudore inebbriante, simili ai tondeggianti fianchi d'un vaso che trabocchi di miele o d'un prezioso unguento, ed ho, sinistro, il terrore di vederti addormentata!… Scuoti, piuttosto, la tua indolente capigliatura, perchè s'apra intorno a noi come una rete d'oro per prendere il Sole… E stendi le braccia!… Sembran più molli che petali di magnolia, agonizzanti….

Allontana a uno a uno i sonnolenti papaveri che invischian la tua nudità sulla spiaggia… Non dormire, o mia Giulia… Un dio verrebbe a possederti nel sonno, un dio dall'elmo di fuoco e dal torso fiorito d'amorose pupille!… Io graffio l'aria che ti circonda, perchè vedo ansare il tuo corpo bianco che affonda nelle sabbie fresche e lisce dell'oblio!… Vedo la carne tua, tutta aperta e abbandonata… la tua carne pregante che implora baci!… e lo sento: il tuo corpo è scavato da una carraia profonda che accoglierà le ruote dentate di uno spasimo possente!…

Ah! chi potrà liberarmi dal dubbio?… Ah! il mistero terribile del tuo sonno!… È il meriggio, lo so… È questo il più chiaro e trasparente meriggio della terra!… Eppure, la Notte greve, la Notte vellutata di piume striscia sull'anima mia senza rumore!… Ah! Sempre, labbra tenebrose bevono i nostri baci, nei nostri più scintillanti meriggi!…

Tu dolcemente abbandoni il molle tuo dorso fra le mie braccia; Il tuo busto delicato s'illanguidisce fra le mie dita, che si trastullano inconscie con le tue piccole costole… Tu hai tremanti implorazioni nelle pupille piene di azzurri silenzî… Ahimè! si capisce: vuoi soltanto dormire e andartene alla deriva, lontano da me, sulla grande cantilena dei mari, verso i tuoi sonni lontani!…

Marinai! Pescatori! Abitatori delle rive! I miei denti battono dal terrore… Soccorretemi!… Mani di ghiaccio mi frugano senza posa nel cranio, su questa spiaggia maledetta, soffocata dalla fiamma eterna e dall'attesa! Le sabbie intorno a me si gonfiano come un immenso petto, villoso di scintille… Guardate, guardate laggiù, nell'ampio grembo dei golfi! Il vento solleva e travolge grani di sabbia mostruosi, che sembran spicchi di stelle!… Furono dunque infranti degli astri incandescenti per innalzare una scogliera insuperabile d'oro davanti alla nave del Dio?…

Giulia! Fiore carnale! Non dormir, Giulia mia! Non senti che io ne muoio?… Simile io sono alle cagne raucamente ululanti che si stringono intorno i loro piccoli, in fondo ai crepuscoli invernali, davanti al mare, ai suoi clamori ed alle sue sataniche devastazioni!… Oh! gli artigli delle mie dita!… Poichè t'amo, infatti, come una cagna ama i suoi piccoli!… Sì!… Io, ti partorii!… Io, senza posa ti partorisco ne' miei baci felini!… Ti trassi dalle mie viscere, ed ho per te il delirio terribile d'una madre, cui si lacerano i fianchi quando tu trasalisci graziosa e turbolenta nel mio abbraccio!… Oh Giulia mia!… Tu che passi nelle mie vene boccheggianti, come un tizzone che faccia ustioni di miele!…

Lo so, che tu aspetti il dio osceno, e ti vedo tremare d'un brivido ignoto a mè stesso! Oh! questi spasimi dolci sulle tue labbra semiaperte non sono più miei!… E la saliva di voluttà, a chi, a chi la dài tu, in questo istante?… Certo l'azzurra ombra che ti si accumula ora sotto le ciglia, è l'ombra medesima del tuo Dio! Oh! carne della mia carne, mille volte dannata!… No! egli non ti avrà, poichè io veglio sulla spiaggia, e nessuno, nessuno potrà rapirti!… I miei denti ed i miei artigli adunchi brillano al sole… Soltanto i miei denti vivono ancora sotto le mie labbra morte!… Svègliati! Svègliati! Non voglio che ti addormenti, poichè mi appartieni, dal giorno che fra le mie braccia mi concedesti l'umida confessione del tuo piacere!…

2.

Il risveglio di Giulia.

Ebbrezza e gioia profonda!… La mia bionda amante s'è destata, seminuda, nella sua verde veste di bagnante che le inguaìna il corpo fino ai rosei polpacci… Ella striscia lentamente sulle ginocchia, verso la freschezza dell'onda, inarcando il dorso, come una gatta. Poi, respingendo la terra con le piccole mani, rizza il busto orgoglioso che tutto vibra nel sole, e il suo chignon vermiglio fiammeggia come una corona barbara d'oro!

Ecco: la mia bionda amante mollemente discende sulla spiaggia, a passi ritmici, nella schiuma dell'onde che le inanellan di perle preziose le dita de' suoi piedini freddolosi… Io la seguo. Con un agile gesto ella s'infila nel galleggiante cerchio di salvataggio, poi vi dispone pigramente i fianchi come nel cavo di una candida cesta…

Allora, inebbriato dal colpo d'ala imperioso de' suoi grandi capelli d'oro che si scatenan come un incendio sui flutti, io nuoto sul fianco a veementi bracciate, e, lacerando col capo in avanti la schiuma che fruscia nel flic-flac delle onde impennacchiato, traggo verso l'ignoto la barca illusoria, teso il braccio, come una gomena, all'indietro.

Oh! nulla uguaglia allora la dolcezza nostalgica del suo volto ardente e pallido, nulla uguaglia l'ideale balbettìo delle sue palpebre preganti!…

  …. Poichè tu sai, amor mio, il delirio fantastico,
  l'onnipotente soffio che m'afferra alle viscere
  nel soleggiato riscintillare dei mari!…
  …. Poichè conosci lo spasimo crescente e cadenzato
  che m'insegue da un'onda melodiosa all'altra
  nella gran sinfonia sommergente dell'acque,
  @192
  verso il divino abisso di un impossibile accordo
  con voi, Soli allucinanti…
  con voi, Mari men vasti dell'anima mia!…

O Sole! Sole accanito come un tafano mostruoso nella criniera fiammeggiante del mare!… O Mare, Mare di lava dai forsennati ribollimenti! …. e il tuo corpo, o mia Giulia che portiamo con noi!…

Sole dal ventre abbagliante, simile a un idolo indiano! Mare dai flutti prostrati, che strisciano, sgomenti, all'infinito, immensa strada selciata di schiavi! …. e il tuo corpo adorato che portiamo con noi!…

Oh! nulla arresterà la mia corsa verso la Morte!… Soli divoratori, soffocateci fra le vostre braccia incandescenti!

Con tutto lo slancio degl'innumerevoli vostri incensieri d'oro, sollevatemi, o Mari! Scagliate la mia anima consunta, verso lo Zenit, come vapore d'incenso!…

O Sole! portatore di fiaccole incendiarie che appicchi il fuoco alle cime dei monti, mura merlate della terra! O Mare dalle mille braccia d'avorio gesticolanti …. e il tuo corpo adorato che portiamo con noi!…

Raggiungeremo così i confini del Mare… E alfine chinandoci a picco sull'infinito, in mezzo al notturno franare delle costellazioni sublimi, che crollano giù in vaporose valanghe, noi vedremo nell'abisso senza fondo dei flutti la faccia lunare della Morte…

Ma tu tremi, Giulia! E le tue mani tese implorano clemenza dal Mare e dall'Ignoto!…

La voce di Giulia.

Amante mio, dove vuoi trascinarmi così? Fermati! Siamo lontani assai dalla riva, perduti sul Mare infocato… Dammi, dammi le tue rosee labbra da baciare voluttuosamente, perchè il mio cuor sonnolento vi riposi!

3.

In alto mare.

Io ti posseggo alfine, viva, mia e risvegliata!… Eccoti fra le mie braccia, sospesa come nel cavo d'un cestello cullantesi in silenzio sul mare… Non tremare: sono l'onde del mio cuore che ti fanno oscillare…

Con un braccio ti reggo sotto le morbide cosce… (lo senti, Giulia mia?) mentre coll'altro ti cingo l'agile dorso, dove s'arrotonda. Sei felice, mio amore?…

La voce di Giulia.

Oh! tutto ciò che mi viene da te sempre mi dà piacere, sempre!…

La mia voce.

Tu la faccia protendi per giungere alle mie labbra, e con le braccia il collo m'imprigioni… ed io ti sfioro la bocca con le dita!… Sei felice?… Dimmi!… Godi?…

Pian piano mi mordi e mi succhi le dita in languido abbandono… La tua lingua secca ed aspra di gatta le lecca, dardeggiando frequente. Ecco: innocentemente i tuoi occhi si chiudono, e sotto le palpebre si riposano come sotto foglie molli di rugiada! Non forse ti senti fondere le midolla, o mia Giulia? Oh! dammi, dammi l'anima tua, nel concedermi la gioia umida e calda della tua carne!… . . . . . . . . . . . . . . . . . . L'anima tua?… L'anima tua?… Che ne hai fatto?… . . . . . . . . . . . . . . . . . . Oh! certamente la tua profonda carne ora è piena d'ombra fresca ed azzurra, come un sentiero di bosco in estate!… Ma il tuo corpo ringrazia le mie dita solamente, e le mie dita son tanto lontane, tanto lontane dalla mia anima!… Mi par che secoli interi non mi basterebbero per raggiungere la mia mano e le mie dita infide!… Io non le sento più, le mie dita… Sono straniere per me… E tu hai tutto dimenticato: i miei occhi, le mie labbra, la mia anima, e a tutto preferisci le mie dita, perchè ti fan morire, crudelmente morire, con sinistra lentezza!… Versan nelle tue vene deliziosi filtri, gonfiano d'un latte d'oro le tue mammelle, e tu—dimmelo!—senti caldi e umidi fiori sbocciarti fra le cosce! Oh! dimmelo, Giulia!… Perchè non vuoi dirmelo?…

No! No!… Non voglio più che ti posseggano, Giulia, i miei occhi, le mie labbra, le mie dita… No! No!… Tu devi appartenere soltanto alla mia Anima!… E più non avrai da me l'esecrabil carezza, poichè muoio di gelosia per tutti gli amanti che nel tuo letto condussi dandoti il mio corpo!…

4.

Gli amanti di Giulia.

Ahimè! febbrili vapori striscian sui fanghi brucianti del mare!… Io sento dissolversi tutto il corpo mio putrefatto!… La vista mi s'imbroglia, e mi sanguinan gli occhi sotto i chiodi del sole!… Ma no… Balza, rimbalza il mio corpo, dinoccolato, come uno scheletro che a pezzi si sparpagli, mentre balla una giga sfrenata intorno a te!… Intorno a te, mille putride ossa, dalle ventose fetenti!… . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sono gli sparsi pezzi del mio corpo, coperti di vermi neri, pesanti, villosi, e salgono all'assalto della tua bellezza superba!… Accaniti, battagliano essi per la conquista della tua nudità, e abbeverarsi vogliono del tuo amore!… Ecco le mie dita!… Eccole! (Non tremare, poichè calmo rimango ad osservarle, lontane, come si osserva una lunga teoria di formiche!…) Ecco le mie dita!… Da sole son penetrate fra le tue cosce!… Oh! già tu fremi di voluttà profonde, e il tuo rotondo ventre si riga di sudore, e sussulta!… e sussulta!… Vedo già sul tuo volto le ombre verdigne che macchiano i cadaveri… È dunque tanto dolce, lo spasimo che le mie dita ti danno, lontano da me?!…

L'Odio, lo spaventevole Odio e la Discordia si scatenano nel mio corpo!… Le mie membra si mordono fra loro mentre tu ti abbandoni alle mie dita scellerate!… E son queste, che vincono… più forti delle mie labbra, e più forti della mia anima… queste dita, queste mie dita che adori!… Anch'io—che vuoi?—Anch'io mi sento vile davanti a loro, nè saprei arrestarle… Le guardo, mentre violente e disperate s'accaniscono a spossarti, a esaurirti dal piacere, rapide, sempre più rapide, prima che gli altri arrivino!…

S'affrettano come ladri… Sono grotteschi intrusi… sono stranieri per me! Sono le dita d'un altro… le dita d'un morto!… Non siamo forse già morti e putrefatti noi pure, noi tutti?… La divisione in me regna, come fra i vermi d'un carnaio!…

Vedi, mio amore? Le labbra mie, le mie orecchie ed i miei occhi, sentono, guardano e sorveglian le dita, ruggendo!… Profondi abissi separano le nostre membra, e giammai, checchè facciamo, potremo esser soli!

È tardi! Troppo tardi!… Mai più potrò raggiungere io le mie dita lontane che vittoriosamente ti accarezzano! Oh! come ansimi dal piacere!… Non fosti mai—confessalo!— non fosti mai più terribilmente felice!…

5.

Stesi sulla sabbia.

Che hai, amante mio?

La mia voce.

  No!… La carezza delle mie dita,
  non l'avrai più!… Le mie dita
  non le avrai più… perchè muoio
  di gelosia!…
  Sono dieci, son mille, gli amanti che ti cercano
  E tu dimmi, tu gridami sulla bocca
  qual'è il preferito!… Lo voglio!…

La voce di Giulia.

Oh! mi piace, mi piace agonizzare così, sotto le tue dita sottili, che sono piccoli, deliziosi pugnali nell'amorosa ferita della mia carne!… Ma più ancora mi piace addormentarmi senza fine, fra le tue braccia, poichè il Sole mi morse le palpebre!…

La mia voce.

Su!… Su!… Che tu sorga io voglio nell'aria libera e pura che ti circonda!… Gli Dei del meriggio s'aggirano per le lucenti boscaglie del cielo! Ti cingeranno il corpo con le lor braccia possenti come colonne tôrte bizantine, con le lor braccia che scivolan calde, più forti che serpenti boa! Poi stenderanno a terra la tua nudità per violarla nei sepolcri d'oro massiccio del tuo sonno… e t'apriranno le cosce coi loro ginocchi di bronzo! Oh! dimmi… dimmi, Giulia, l'affascinante splendore del tuo Dio, del Dio che tu attendi su questa spiaggia!… Dimmelo, perchè io ne muoia!…

6.

Il Sonno ha sepolcri d'oro massiccio.

Fra poco il Sole tramonterà, e la verde acqua della sera ti colerà sulle spalle!… Tu sarai liberata dai loro desiderî, finalmente… Ti stenderai pigramente sotto le ciglia azzurre delle nubi, e il tramonto disporrà come origlieri sotto il tuo volto le sue piume, intrise di freschezza e d'oblio!… . . . . . . . . . . . . . . . . . . Finalmente ti posseggo!… La mia Anima è finalmente vittoriosa!… . . . . . . . . . . . . . . . . . . Poc'anzi—vedi?—mi pareva d'essere affacciato al balconcino d'un gran faro, a picco sull'onde nere, mentre esploravo il tuo sonno, impenetrabile come l'oceano taciturno nelle notti senza stelle. —È questo il rumore che sale, (gridai), di un orrendo naufragio?… Mille disastri su rocce invisibili! …. E che frastuono, nel tuo cuor senza fondo!…—

La voce di Giulia.

Chiude il sonno le sue ali di velluto sulla mia anima, e sento azzurra ombra sui laghi delle mie vene.

La mia voce.

Guàrdati dai vampiri, che infeltrano d'ali i sepolcri del sonno!… Tutta languida ti vedo, tutta greve di linfe e d'oblio, simile a quelle navi, cui le vele cascan dal sonno nella luce… simile a quelle navi che troppo hanno piena la stiva! Tu vorresti deporre sulla riva il tuo carico d'amore, per salpare, spiegate tutte le vele al vento, attraverso la fresca ombra, nell'aria agile e lieve… verso i regni trasparenti del tuo divino sogno… . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ma io ti dirò crudeltà sanguinose, come chi, per star desto, si morde le dita, quando si veglia un morto!… Ahimè, tu sei già stesa, mio amore, nel sepolcro tutto d'oro del tuo sonno.,. Dimmi: che cosa farò?… Non dormire! Eccoti le mie dita, le mie labbra, tutte, tutte le membra del mio corpo!,.. Son questi i tuoi amanti? Prendili tutti insieme, prendili ad uno ad uno… Sàziati d'amore brutale, come le femmine che si vendono ai soldati, purchè il Dio infame non t'abbia, non t'abbia mai!…

7.

Il Dio dei Meriggi.

Viene, viene correndo lungo le spiagge! Viene sul vento di porpora e d'oro! Viene, il vermiglio Iddio, solcando le sabbie!… Lo sento!… Le mie orecchie risuonano e ronzano, scoppiano, le mie orecchie, al tonante fracasso che da una roccia all'altra rimbalza e varca i promontorî!

Le rocce sono colpite da uno stupore solare…

Cielo! Cielo!… la spiaggia tutta riluce d'ebano e di fuliggine azzurra… Io lo sento venire, a galoppo, instancabile, il Dio dall'elmo di fuoco! Ed il fracasso de' suoi grandi passi pesanti si ripercuote sull'incudine incollerita dei mari!… Fumiga il mare come un'incudine irta di faville… E sembra che il Dio s'avanzi da tutte le parti, da ogni punto dell'orizzonte… e il rimbombare dei suoi grandi passi pesanti ammucchia suoni su suoni, di spiaggia in spiaggia!

Echi ribelli, calati dalle montagne lontane e vinti dalla stanchezza, elastici Echi in agguato, puntate l'orecchie, grandi Echi di bronzo, inarcano il loro dorso di vecchi gatti metallici dal ventre vuoto che fa le fusa!…

È troppo tardi! Il Dio sta per raggiungerci! I suoi garretti tesi, serrati entro maglie di barbaro oro, vibrano e risplendono… I suoi grevi passi risuonano sulla riva d'argento, e il suo torso colossale, muscoloso di raggi, ingombra il profondo azzurro fino allo Zenit!… È troppo tardi!… Tutto è perduto! Il Dio ci raggiunge… Per noi, non altro scampo che il mar che ci guarda, pupilla immensa, tutta cigliata di fiamme! Egli viene, ebbro di corsa, agile e nudo, tese le braccia, a te, per abbracciarti! Già la tua carne ha fremuto di gioia, avviluppata dal suo rosso alitare, che tutto sràdica, forsennato come una valanga o come la lava di un vulcano!… Dèstati, Giulia!…

Ahimè! s'è addormentata, la mia amante, indifferente e lontana, e pur vicina a me… Ma ella non sa d'esser crudele: ha sonno, semplicemente, vuol soltanto dormire, distesa sulla sabbia, senza sentire il mio contatto!

No! No! Capisco… Il nostro amore è finito… Giulia mia mi respinge, mi rifiuta le labbra, per offrirle al suo Dio!… . . . . . . . . . . . . . . . . . . Dov'è? Non vedo. La spiaggia s'intenebra entro le mie pupille… Eccolo! Eccolo!… Il Dio si china; il suo dorso s'infiora di labbra scarlatte… il suo dorso ignudo è corazzato di ardenti smeraldi e di pupille verdi, liquefatte da un sole di disperazione!…

Laggiù, bianche muraglie acciecate dalla luce, muraglie imbottite di fiamma e tutte avvolte nelle rigide pieghe d'una calce viva, s'avanzano verso il mare inciampando ad ogni passo, annaspando come mendìche dagli occhi bendati di candide tele.

Come cieche galoppano in fila, le muraglie dagli occhi bendati di candide tele e di calce viva… giù, giù, verso il mare, sotto l'esplosione fatale dei meriggi!…

E il mare infocato non è più che la polvere di brace e d'oro, che i passi pesanti del Dio sollevarono…

Ah! egli si china, si stende sul tuo corpo, t'abbraccia, e le sue bronzee ginocchia scavan la sabbia per insinuarsi fra le tue cosce!…

È coricata, a me in braccio, rivolta al cielo la faccia… Maledizione! Sono diventato il letto vivente e disperato dei loro amori! Il mio petto singhiozza sotto il feroce allacciamento dei corpi loro in una intensa luce… Eppure, una strana notte profonda con mille e mille ventose assorbe l'Anima mia ed il suo Sonno, e l'eterno silenzio della spiaggia soleggiata, nel pieno Meriggio!…

10.

I LAGHI D'ORO.

Stanco io sono di schiudere la mia tomba a spallate, per vedere, fra le ghignanti mascelle delle pietre il bell'Aprile panciuto, orgoglioso della sua giacca nuova domenicale, color lattuga e tutta oliata di luce!

Come un beone, sotto i pergolati dell'osterie campestri, l'Aprile in baldoria si sganascia in un ridere grasso così che il Sole gli saltella sul ventre, gran ciondolaccio d'oro.

Stanco io sono d'inarcare il mio corpo sotto il peso della morte!…

Su me ricada il coperchio della mia tomba, e mi fracassi il cranio, dove ardono e si consumano d'amore le Notti d'estate, crepitanti di Stelle… le belle Notti, spossate da onanismi implacabili, in cui le Stelle s'affaccian nostalgiche agli orli delle nubi… le lente Notti divorate dall'insonnia delle Stelle… le Notti impazienti, corrose da oscuri rimorsi, le Notti in cui palpitano le costellazioni, veementi e calde sulle nostre guance come arterie che pulsino frequenti… tutte, tutte le Notti velenose che uccisero i poeti!…

Su me ricada il coperchio della mia tomba, e mi fracassi il cranio, ove ristagnano i bei laghi fosfòrei delle mie lussurie ideali… i laghi d'oro, villosi e infeltrati di vampiri che la dissoluzione soffiano e il Nulla!

O bei laghi dalle rive che s'arrotondano come cosce, e ove affondano i passi, perdutamente, con delizia, nella sabbia che schiude le labbra per berli!

Su me ricada il coperchio della mia tomba, e mi fracassi il cranio, in cui vaporano i laghi delle lussurie mie!… O laghi d'oro affranti di languore e di frescura lunare, verso di voi, verso di voi, instancabile io striscio!.. Quando potrò riposar finalmente la mia torrida fronte su l'origliere assopente delle vostre gelide sabbie?…

Oh! mai!… mai toccherò le vostre sponde, laghi tanto vicini e pur tanto lontani! laghi a cui non s'approda! laghi abbaglianti nella calura del mio desiderio! laghi subitamente forcuti di ali membranose!… Mille vampiri che intrecciano l'ali spalancate hanno ostruite, imbottite le vostre rive morbide d'oro, che bruciano nell'intenebrarsi dei crepuscoli! A colpi di stelle brandite, a colpi di stelle affilate, sorgendo di sopra i monti, dovrai trafigger gli osceni vampiri della mia carne, o Notte complice! o Notte liberatrice!

Un giorno, io vidi sulle vostre rive, bei Laghi d'oro, sbocciare la pallida e flessuosa amante che attendo, la donna subitamente fiorita e subitamente morta! Vidi la sua nudità saporosa dileguare per sempre sulle vostre rive, dolcissimamente in una vasta sera d'estate, come uno sguardo svanisce sotto palpebre d'ombra!

Si frantumi il mio cranio con la sua fioritura d'insaziabili brame, coi suoi orizzonti cangianti da cui le foreste ventilate mi chiamano con tutti i loro fogliami non men persuasivi che gesti di donne stanche e desideranti!…

Si frantumi il mio cranio, con tutti i pennacchi delle sue lontane foreste, che sotto la luna han luccicori vanenti, e gorghi violetti, e sparse volute d'incenso, e fruscii più soavi del fruscio inebbriante di una gonna adorata che la mia mano tremando alzi come in sogno per la prima volta!…

11.

IL CAVALIERE NERO.

Dio d'odio e di follia, dammi la forza d'arrampicarmi fino alla cima! Ecco: l'Alba imbianca le dirupate groppe dell'immensa scogliera… Coraggio, buon Walnur, mio fedele corsiero!… presto saremo giunti all'albergo di Satana! Berrai alle fonti di fuoco, ti ciberai dei biondi fieni dell'Aurora e di fasci di raggi fiammeggianti!

. . . . . . . . . . . . . . . . . . In alto assai, sulla costa granitica, a cento cubiti a picco sul mare, un Cavaliere nero, grande, piantato ritto nelle staffe, tendeva le braccia verso l'abisso delle Notti… Ischeletrito dalla fatica e dalla fame, il suo cavallo aveva piegati i garretti posando il collo su la gelida roccia. Un'alba grigia e senza speranza, curva sotto le nuvole scarmigliate, trascinava sull'arco dell'orizzonte mammelle esauste, rugose… L'Alba avea tutto esaurito il latte divino della sua luce senza nutrire il Giorno neonato, che agonizzava trascolorando nella sua culla… E l'Alba come una mendicante singhiozzava battendo i denti, freddolosamente, nella ghiaia sonora della spiaggia…

Allora il Cavaliere, ritto, tendendo le braccia all'invisibile mare, con rauca voce gridò:

—Ho attraversata la terra, correndo alle calcagna della Felicità! Ho conquistato città, devastati reami, e ho ritagliato il mio desiderio, con grandi fendenti di spada nella pancia romoreggiante delle folle. Poi, ho spiato il mistero entro i lambicchi!…

La sua nera armatura era tutta fracassata… I suoi begli occhi, attizzati da un'estasi frenetica piangevan tratto tratto su la sua guancia cava una goccia di lava, ed il suo volto incandescente ansimava.

—Ho posseduto—gridò ancora— donne e donne, agitate da un'atavica foia, insaziate d'ebbrezza e di piacere… E a lunghi sorsi bevvi le loro inebbrianti nudità, liquefatte da un torrido amore.

«Ohè! Ohè!… Quali voci, quali martelli e quali campane van demolendo lo spazio a me intorno? È forse questa un'eco della mia voce rauca ripercossa dagli echi lenti e sonnolenti delle rocce?… . . . . . . . . . . . . . . . . . . Ah! ah! son tutte le campane a stormo del Rimorso, ammutinate e lanciate a galoppo sulle mie tracce! Tutte le campane a stormo delle città che risuscitai, dando loro un cuor di fuoco e di follia!

«Ah! ah! mi ricordo che in un meriggio d'estate subitamente entrai nel silenzio d'un chiostro azzurro, tutto oliato d'ombra e di vecchio oro solare… Vi entrai regalmente, sul mio cavallo monumentale, come una Tentazione superba di Gloria e di Lussuria, altissima brandendo, la torcia del delirio!…

«Son esse, che corrono! Odo il loro rumore di vivente ferraglia arrugginita… Son esse: le Campane a stormo del Rimorso, povere martiri squartate, che rimasero lungamente inchiodate sulle croci dei campanili, e che una sera dall'alto ruzzolarono giù, coi cauti parafulmini e le piagnucolose banderuole dei tetti. Ah! Ah! sul mio passaggio, udii appena il frastuono delle campane, risonanti di spavento, lanciate a volo come casseruole d'oro dalle finestre d'una cucina imperiale incendiata!… Le ràbide Campane del rimorso subitamente balzarono in sella, e accanite m'inseguono, poichè tracciai strade vive di dolore, e gonfiai di singhiozzi il placido seno delle antiche città che respirano in pace sotto le stelle!… Ho addobbate di sontuosi incendii le loro mura, per passare, impassibile cavaliere di bronzo, sul mio cavallo monumentale, con all'elmo un pennacchio globuloso di tenebre che mèscesi alle scintille del fuoco notturno!

«Forsennate Campane del Rimorso! Campane a stormo del Passato, che volete da me?… Perchè accanirvi dietro alla mia corsa veloce?… Non avete sorriso, voi, d'una gioia infernale, non avete gioito, grondando di una rossa ebbrezza nelle profonde rughe delle vostre mura millenarie, al contemplare il mio bel volto di luce, mentre rizzandomi sulle staffe brandivo fino allo zenit la sfolgorante mia spada di arcangelo satanico… la mia bella spada, più agile d'un raggio di luna?

«Ahimè! la mia vecchia spada che un tempo levai tra le tresche fiamme dell'Aurora, la mia buona spada è smussata!… Galoppai per trent'anni, e il mio cavallo ormai è arrembato, e sputa i polmoni!…

«Che importan le Campane? Non potrò mai toccarti, o mia Stella ideale, o mio unico Sogno, Sete della mia Sete eterna, o sorridente Stella che fuggi di cima in cima!.,. Mai non potrò fermarti nel cavo delle montagne sublimi, nè avvincerti, per inchiodarti alla vetta d'un promontorio, o affascinante Stella dalle labbra diaboliche!…

«In una grande sera apocalittica incoronata d'una vasta aureola, io scorsi la tua morbida, azzurra nudità, e da allora mi ostino a inseguirti con un galoppo di ciclone devastatore!

«Ecco: ho raggiunto già i confini della terra, e tu fuggi per sempre, e tu fuggi, inesorabile Stella!… Il mio grande corsiero, rotte le reni, crolla e domanda la morte! Io sono vinto, agonizzo, e più nulla dal cielo nè dall'inferno m'aspetto!… . . . . . . . . . . . . . . . . . Perdonami d'aver lungamente, immensamente amate le tue Labbra ideali, o mio Sogno supremo, o Stella delle Stelle!…

12.

INNO ALLA MORTE.

Acide grida m'han trivellata l'anima da parte a parte… Dove, dove udii già questo strido verdastro? . . . . . . . . . . . . . . . . . Or mi ricordo… È il terribile strido dei naufraghi sublimi, ebbri mortalmente d'ideale, che bevono alla tristezza augusta delle Stelle!…

Un giorno, in un gran porto, sauro, bituminoso, pieno d'alberi di navi in grovigli di malefiche croci, e tutto palpitante di vele, come di ali d'enormi vampiri, io mi trovai—per qual caso?— sotto le basse travi d'una bettola da marinai, alla punta d'una gettata, su palafitte malferme. La sera colava il suo olio, dai bronzei riflessi di cangianti putredini, e le onde n'eran tutte impeciate… —Burrasca! burrasca!—mugghiavano i marinai. Vidi, attraverso i vetri, carene d'ebano angolose, fumanti come incudini, e, nella bruma, giganti fuligginosi che martellavano spade arrossate a un ardentissimo fuoco!

Il cielo color di sabbia e d'ocra s'indurì, più insuperabile che le mura d'un chiostro…

—Inchiodate gli ormeggi!—ululavano i marinai, con le mani a portavoce;—serrate tutte le corde al bompresso! Soffia il libeccio!…—

L'onde pesantemente sembravano travolgere mille naufragi frantumati, in alto mare… Fuori dalle tenaglie dei moli, oltre le mandre delle nubi dai velli motosi che la bufera assale con pungoli feroci, ecco gli ultimi gesti spaventati della luce!

Poichè un sublime annegato (incandescente sole o moribondo pianeta) affondava all'orizzonte, dopo aver lungamente battuta l'aria con le sue grandi braccia di fuoco, nell'amarezza atroce di quella sera maledetta… Soffiò subitamente la tempesta nelle sue trombe sonore; scoppiarono gli echi dovunque spaccati da note di piombo, ed i vetri giallastri si striarono, s'empirono d'un tintinnìo di acidi lampi!

Son vani i vostri colpi di maglio formidabili, neri giganti intraveduti fra la bruma, neri demoni che spezzate, infaticabili, coltellacci di ferro ed antiche alabarde, in alto mare, sui dorsi fuggenti d'illusorie balene dal pelame di fosforo!…

Sotto i nostri piedi, in ogni senso, la baracca ballò la sua giga sfrenata sulle nere palafitte, come su trampoli…

O instancabile mare, che vai gonfiando e rigonfiando il tuo ventre azzurro, di sabbie nutrito e di rocce frantumate… tu che arroti i capezzoli irritati delle tue poppe esauste di sirena, qui sotto il malfermo impiantito, urla, urla dunque il tuo enigma!… Dimmi qual'è la tortura e qual sarà il frutto del tuo funebre parto?…

E rantolò l'impiantito, movendosi tastoni, di qua, di là verso un appoggio, come un ubbriaco ferito a morte… Penosamente l'impiantito gonfiò il suo petto in singhiozzi, come scosso dagli urti d'una tosse di gigante!… John e Fritz, marinai dai gabbani di cuoio eran con me seduti a una tavola, legati i polsi e i piedi, intorno a una gialla lanterna e udivo la lor voce densa gorgogliare preghiere, come un'acqua nera…

Tu ti placavi a quando a quando, gran Mare insidioso, e nelle pause del silenzio sovrano noi guardavamo, pietrificati, la stella gialla della lanterna, che con alta e monotona voce parlava, allungando verso di noi la sua lingua fumosa di fetido olio friggente. E ci guardava intanto, la lanterna, come un gufo, strizzando il suo occhio di tenebroso augurio…

Fritz borbottò:—Sant'Anna! pregate, pregate per noi!… Chi potrebbe salvarci da questo vento satanico?… Guardate! gridò; non vedete passare là nel nero la scopa delle streghe, dalla saggina di fosforo?—

Allora l'impiantito, sotto i nostri piedi si torse sfuggendo. La bettola parve crollare nelle attiranti ventose dell'abisso, e la porta scoppiò, fracassati i battenti!…

Disse John:—È il libeccio che màstica duro!…— Fritz gridò:—Fermi tutti! son essi che ritornano!…— La porta spalancata miagolava come la bocca affamata d'un gattaccio infernale dalle vaste pupille fosforee, soffiando il rauco suo odio e la sua bava fischiante, tutti a nudo gli artigli, aguzzati sulla madreperla delle lune abolite!…

—Issa-ooh! Issa-ooh!…—Aggrappandosi, con un febbrile ansare, alle corde, tre marinai entrarono!… Strisciavano sul pavimento, piatti, grondanti d'acqua come pesci… —Issa-oooh! Issa-oooh!…—Trascinavano grevi tronconi d'albero e lembi di vele ritorti come serpenti!… Con voce rauca gridarono:—Le barche sono infrante!… Siam soli!… Tutti gli altri son morti!…—

Allora un acuto clamore dominò sul terribile frastuono delle acque… Un ciclone avea dunque lanciato, dall'alto d'un promontorio, fra le mascelle scellerate del mare, immense mandre di iene che s'azzannavano rabbiosamente a vicenda?… . . . . . . . . . . . . . . . . . Era invece—oh! terrore!— il grido d'acciaio verdastro, che lanciano al cielo i naufraghi sublimi caduti giù dalla prua di diamante delle galere ideali!… Era la vostra voce esasperata d'amore, o naufraghi sublimi che navigaste un giorno sugli abbaglianti gorghi delle Vie lattee, da un firmamento all'altro, verso lo Zenit!…

E la porta scoppiata, vociferante e rossa fumava come la bocca d'un Drago!… Ad un tratto sussulta l'impiantito!… Un sobbalzo e noi strisciamo, tastoni, verso il mare! I nostri corpi?… convulsi dall'orrore e reclini sull'abisso, tutti grondanti di lave turchine e violette!… I nostri volti?… illuminati dai lampi, che alacremente trinciavano l'infinito con le lor lame verdastre!… I nostri occhi?… Come schizzati fuori dall'orbite!…

Il mare, il ribollente mare fingeva il tumulto finale d'un banchetto di giganti, con un cozzar di fragorosi metalli fra immense tovaglie arrossate di sangue, di vini scarlatti, e issate, da enormi guerrieri, su punte di lance in un delirio d'ebbrezza e di canti!

—Urrà! Urrà!… cantavano in cadenza i guerrieri… Gloria alla Morte che mai non trapassa, dolce amante dal corpo d'anguilla sotto una faccia incandescente d'acciaio!… Gloria ai suoi occhi abbaglianti di ghiacciaio al sole!… Gloria ai suoi denti d'ebano!… Gloria ai suoi diti di ghiaccio, che addormentan con una carezza i nostri vecchi desideri cocenti!… Urrà! Urrà!… la Morte è una gioconda amante!…—

Ecco: subitamente, i più forti han forate le sontuose tovaglie della burrasca, con la punta accesa dei loro elmi possenti… Ballano essi al fragore dell'armature fracassate, fra il tintinnare assordante delle stoviglie impure. Ballano quei guerrieri dal volto imbrattato, con una mano alto levando la lancia e coll'altra una coppa d'oro massiccio, che il Fulmine riempie di stelle e di fosforee pallottole, furtivo coppiere dai gesti rapidi e variegati come lucertole!… Urrà! Urrà! la Morte è una gioconda amante!

Bellissimi guerrieri seminudi col torso abbrustolito dal lingueggiar delle fiamme scavalcavano i tripodi e veloci correvano da una tavola all'altra, dappertutto attizzando la crepitante fiammata di gioia!… Frattanto Re di colossale statura barcollavano, immersi fino ai fianchi nell'immane frastuono, e cadevano vinti dal peso oscillante delle loro corone, tra il mareggiare dei purpurei manti!… Alfine, alfine, nell'andirivieni brumoso dei convitati in baldoria, io ravvisai sotto il loro diadema dei potenti, degli amici, dei fratelli, cercatori d'Impossibile, affamati d'Ideale, degli Eroi, dei Poeti!…

Ritti, levando altissime le loro coppe incrostate di stelle, cantarono, questi Dei, come gonghi colpiti forte dal tuono:

—Urrà! Urrà! Tutto vincemmo noi, tutto gustammo, tutto distruggemmo, e or beviamo a lunghi sorsi la bevanda della Morte, la chiara bevanda siderale che all'infinito lustreggia…

«Ecco la porpora, le corone e le donne che conquistammo!… Son nostre, le città orïentali dai minareti ritti in sentinella su mille porte d'oro dai battenti di bronzo che, girando sui cardini, cantano come lire! Eccoci finalmente padroni del nostro gran sogno ideale!…

«Urrà! Urrà! Gloria alla Morte che mai non trapassa, dolce amante dal corpo d'anguilla sotto una faccia incandescente d'acciaio! Gloria ai suoi occhi abbaglianti di ghiacciaio al sole!… Gloria ai suoi denti d'ebano! Gloria ai suoi diti di ghiaccio che addormentan con una carezza i nostri vecchi desideri cocenti!… Urrà! Urrà! la Morte è una gioconda amante!…—

Allora, sotto il nero soffitto della bettola, i marinai coperti di catrame, a me accanto proni, aggrappati alle tavole, protesero verso l'abisso le loro facce pietrificate, le loro facce turchine come la fiamma dell'alcool, lugubremente cantando in cadenza: —Urrà! Urrà! la Morte è una gioconda amante!

13.

INVOCAZIONE AL MARE VENDICATORE PERCHÈ MI LIBERI DALL'INFAME REALTÀ.

1.

Contro la Terra.

La Terra, le sue simmetrie, le sue curve geometriche e la sua pigra andatura d'asino che, bendati gli occhi, fa girare la fulgida ruota solare, attingendo da sempre nelle profondità dello spazio una luce avvelenata… La Terra!… La Terra?… Oh! la nausea di vivere sulle sue spalle, simili noi alle scimmie fronzolute che si vedono alle fiere!…

Io t'amo, o Mare liberatore, d'un grande amore insaziato… t'amo, solo sentiero che mi conduca all'infinito! Han tali balzi le tue onde verso le nubi viaggianti, ed una linea sì tenue divide dall'Azzurro il tuo azzurro, che è una delizia infinita partire fra le tue braccia senza pilota, senza vela e senz'alberi, sia pure a nuoto… sia!… purchè si parta verso l'arco profondo e affascinante dell'orizzonte che sussulta lontano!…

È tanto facile andare verso l'Al di là, per le tue vie di morbida seta ove s'affonda!…

Ecco già tutte le scintillanti navi del Sogno allineate al largo!… Ecco gli alberi loro, branditi come le lance di un accampamento barbarico! Ecco le loro vele imbrattate di sangue e di vini scarlatti come le tovaglie di un'orgia!…

  Urrà! balliamo, o mio cuore,
  sulla cadenza del rullio! Balliamo!
  Son molti i viaggi che al mio cuore s'impongono…
  Tutti i naufragi inghiottenti mi attirano!…
  A me, a me la Rosa spampanata dei Venti!…

Le vele sopra il mare, le nuvole al tramonto gonfiano già le loro rosse guance d'arcangeli, soffiando fanfare di guerra che bersagliano gli echi e li crivellano, perchè alfine io veleggi incontro all'Impossibile negli abbaglianti vortici delle loro bufere!

Che vedo mai, lontano, fra quel cozzare confuso di grandi massi di fosforo, e fra quei tintinni di lampi affilati? Una gran roccia nerastra e angolosa erge la sua figura di scheletro elegante… La sua cima è d'avorio, rotonda, simile a un cranio enorme, e la luna d'acciaio tagliente scintilla ai suoi piedi neri quale una falciuola insanguinata!

È la Morte dalla falce leggendaria! È la Morte che assiste al tenebroso bacio che io depongo, o Mare, sul tuo unico dente frantumatore di rocce!… Distruggiamo! distruggiamo! distruggiamo!… Poichè non v'è splendore che in questo verbo selvaggio, tagliente come lama di ghigliottina, distruggiamo! distruggiamo! distruggiamo!…

O Mare gonfio d'odio e di rancori eterni, le mie vene assorbirono la tua liquida follia, e cento volte ti torsero nei loro innumerevoli intrecci, precipitando il tuo folle galoppo sulla china esasperata del mio furore, per gole strangolatrici, attraverso le arterie, verso il mio cuore, verso il mio cuore che tutto intero ti bevve!

Il mio cuor t'ha bevuto, e perciò io ti sento salire e ribollire nelle mie viscere in flussi e riflussi di collera, mentre ritto sulla punta di un promontorio la tua furia sfido, ritemprandomi le guancie al tuo schiaffo dentato di schiuma e di frantumi di roccia!

O Mare, io sento la tua voce che urla nella mia gola profonda i comandi rabbiosi dei piloti, imbavagliati dalla pioggia, fasciati di bruma, al timone, fra grida annegate dal vento e dalla disperazione, nella tempesta!…

O Mare, io sento la tua voce che urla nella mia gola profonda, le bestemmie dei piloti rovesciati ad un tratto, quando la prua si solleva in pieno sogno e s'impenna sognando d'arrampicarsi a grandi scatti di schiena su per la serpeggiante salita di un lampo!

Mi sento qui, nel petto, lo sbatter delle vele che tu gonfi, ho nell'ossa le alberature scricchiolanti dei velieri moribondi che rantolano, come un organo gigantesco, sotto le tue dita feroci,.. e dalla mia bocca vapora la nebbia salata del tuo alito! Oh! balza, balza alfine fuor dal mio corpo, di spiaggia in spiaggia!… Son io che ti scateno, o Mare, verso un'atroce carneficina, verso la Distruzione impossibile!…

Scoccata è l'ora del naufragio della Terra! I grandi fari si rizzano, per offrire un tesoro d'effimera luce!… Frugarono i fari nei profondi, e ora traggon dall'acque alghe e coralli splendenti! Sono le luminose viscere della terra, che ci porgono essi, a mani piene, di sopra alle nuvole!…

Dicon che tu divori a poco a poco la Terra! Letizia e gioia profonda!… Oh! chi potrà negare che già tu abbia inghiottito prima del nostro più mondi, per saziare il tuo odio?… Io lo giuro per la tua fame eterna e per la mia! Credo ne' tuoi silenzi massicci di vecchio colosso ubbriaco, crollato giù dagli altipiani, sotto le scimitarre snudate dei Soli meridiani!… Che aspetti, o Mare?… Affrèttati! Affrèttati a divorare la Terra!

Distruggiamo! distruggiamo! distruggiamo! Poichè non v'è splendore che in questo verbo terribile e fracassante come un martello ciclopico, distruggiamo, distruggiamo! distruggiamo!

2.

Contro le Città.

Olà! venite a me, vecchi mendichi affranti, e furfanti e banditi, scacciati come cani rognosi fuor delle chiese del mondo dall'ira dei sagrestani! Eterni vagabondi dai piedi sanguinanti, vecchi cenci feroci, limati dalle lame dei venti, venite a me che vi chiamo, ritto in cima alla punta estrema di un promontorio con le mani a portavoce sulla bocca… Venite!

Ohè! m'udite?… Ed io vi vedo uscire a passi lenti dai vostri informi tugurî, che giacciono schiacciati sulle rocce. come colossali escrementi di pachidermi aboliti! Verso quali patiboli trascinate voi dunque i vostri passi sì stanchi?…

  Raddrizzatevi! Su!…. Alzate al cielo la faccia!
  Accorrete! Accorrete ad ammirare
  il Mare liberatore!
  il Mare, dall'unghie d'acciaio che ora si sdraia
  nella tana, là giù, di quel suo nero golfo…
  il Mare, dagli sbadigli di lampi multicolori
  che col suo soffio sparpaglia vele e nuvole d'oro…
  il Mare, con la sua muscolatura
  possente e vibrante di tigre in amore…
  il Mare, dal pelame picchiettato di stelle…
  il Mare vendicatore che ci libererà!

Venite a me, sfidando la marea e le sue onde lanciate come lacci rapaci sui pescatori che spiano pazienti, armati di lenza, il pesciolino di una benefica legge! Il Mar s'impenna?… Avanti! Nessun timore v'arresti! Son gli scherzi consueti d'una tigre che vuol divertire i suoi piccoli prima che mettan gli artigli!… D'altronde, poichè qualche mano dovrà insanguinarvi la faccia, Vagabondi e Banditi, vi convien preferire agli schiaffi metodici dei Re lo schiaffo rovesciante del Mare! Meglio assai che gli sputi dei potenti un pesante sputacchio di schiuma marina che abbia l'odore, o Pezzenti, degli scogli dentati e della libertà! Ma affrettatevi, dunque!… Furon bruciati i troni! Non vi son più gradini!… Irrigidite le vostre grevi ginocchia spossate!

  Bei cani ammaestrati, vecchi servi…
  fate, suvvia, un inchino
  davanti ai vostri padroni per l'ultima volta!
  Piegate la schiena… Più giù! Più giù ancora,
  per evitare il randello!
  Ma non dimenticate, o Pezzenti, d'incidere
  sulle lor pance illustri il vostro oscuro nome
  con un pugnale fino,
  come fanno i turisti sui monumenti!…
  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
  Non siete armati?… E i coltelli… e i lampioni
  a che cosa vi servono? E i miei saggi consigli,
  ve li scordaste, o Pezzenti?…
  @250
  Ah! troppo lungamente ansimaste, rabbiosi,
  chiedendo l'elemosina con monotona voce,
  e dondolandovi impazientemente
  sulle vostre grucce polverose,
  che pur risonavano come pesanti calci di fucile
  sulle soglie dei castelli!…

Mendicanti sornioni e falsi storpi, disimpacciate le vostre gambe dalle bende menzognere!… Con le fasce, con le filacce delle vostre piaghe, voi potrete legare, imbavagliare i padroni che odiate!… Le vostre grucce?… Branditele come flagelli! E picchiate, e picchiate sui musi sgretolati, sulle barbe fluviali e i rigidi capelli dei grandi Re auriferi del Mondo!…

E battete, e battete allegramente, sull'Aia grandiosa dell'Odio, codesta canape scellerata, mietuta nella storia e fioccante come una neve sulle vostre teste! I suoi semi, spremuti, vi daranno l'ebbrezza! Così, l'ardente sogno di un haschich ideale paveserà divinamente i vostri cervelli amplificati di una vermiglia aurora dagli splendori orientali e d'un sole pomposo, tutto grondante di gioia sui vostri cuori scatenati e sull'agonia delle leggi!…

O conigli impagliati! O vil razza di cani! Che mai aspettate?… Volete dunque cuocere senza fine e ricuocere il vostro miserabile cuoio di belve perseguitate e i vostri grugni classificati e simmetrici nelle casone annerite delle città, come pani da soldati nei forni delle caserme? . . . . . . . . . . . . . . . . . Oppure volete per sempre annientare il vostro grande ideale di libertà e la vostra insaziata sete di giustizia?…

Forse dunque è una vita piacevole, la vostra, o mendicanti confitti come cariatidi fra le rughe dei muri, in fondo alle vie che le industrie frodolente ricoprono di notte, di fuliggine e di noia mortale?… Del Cielo?… Ne volete, sorci presuntuosi? Il cielo non è più, per voi, che uno spiraglio sbarrato di fili telefonici!…

E vi divertono forse le loro lampade, che sussultan, la sera, sui loro pranzi avari dal condimento di odio?… Son lampade innocenti, che bagnano di luce facce usuraie, rotonde come marenghi, tutte segnate d'un conio invariabile da un coronato Imbecille!… O lampade innocenti sulle mense dei ricchi, poveri raggi rapiti agl'inutili Prometei!… incatenate stelle, piangenti alle finestre!…

Ben potevate, strisciando sotto le tavole dei generali briachi e gonfi di lussuria aureolati d'alcool, nella calda luce dei candelabri… ben potevate fingendo di raccattare briciole spregevoli, rubare in fondo alle tasche le chiavi delle polveriere sotterranee!…

E poi?… E poi colare come olio di ricino salutifero, giù, nel puzzolente intestino degli antichi palazzi, e gettarvi l'aurea miccia terribile, la miccia crepitante che vi libererà!…

…. Che vi libererà dalle sinistre pattuglie scandenti caute il silenzio con passi di bronzo con tintinni di sciabole, con stridor di manette che vi mordono i polsi, mentre sognate, stesi nell'erba dei bastioni, fra l'ampia nostalgia d'un gran chiaro di luna immensificato dai vostri desiderî di libertà!…

La terribile miccia che vi libererà dalle sinistre pattuglie che con ilari baionette vi spazzano senza pietà fuor dalle mura, fuori dalla soglia delle città, come se foste immondizie!…

Immondizie?… Sia pure! Ammucchiatevi! Ammucchiatevi dunque, o viventi Immondizie!… In voi potremo nascondere la dinamite impaziente! È un'allegra maniera di fecondare la terra!… Poichè la Terra, credetemi, sarà gravida presto… (sì gravida da scoppiarne!) di una Stella sublime dalle esplosioni di luce!…

3.

Contro la speranza di ricostruire

O gran Mare ribelle e veemente! Gran Mare vendicatore! Mare di caucciù nerastro!… Su! Balza! Balza, in un elastico slancio, di sopra alle nuvole, fino allo Zenit!… …. E poi piomba e ripiomba, instancabile, come una palla di gomma, enorme, pesante! Sfonda le rive, i porti e i docks accovacciati siccome bufali, sotto le loro contorte corna di fumo!

Schiaccia, o Mar, le città dagli androni di catacomba, e schiaccia, senza posa, il popolo vile dei gozzuti e degli astemî… e falcia, e falcia, d'un solo colpo, mèssi rattrappite di pieghevoli schiene!… Sfonda le pance miliardarie, come tamburi, sonandovi la carica.. e lancia, e lancia, o Mare vendicatore i nostri cranî esplosivi nelle gambe dei Re!… Oh! non è questo… dite, Vagabondi e Banditi, il vostro giuoco di bocce?… Urrà! Urrà! Urrà!…

O Mare! ti libera dalla palpitazione immonda delle vele membranose che s'intrecciano come ali di vampiri, e che covano sui ponti delle navi le balle scintillanti simili a enormi uova d'oro!…

Col tuo flusso e riflusso, sforza e devasta, o Mare, i grandi porti d'ebano strangolati dagli scogli e soffianti dalle lor bocche anguste un alito rosso, sotto Fumi giganti e diritti, coronati di stelle, che superbamente li calpestano con passi di fantasmi!… Sforza e devasta le rade africane che tre cannoni inchiodati in batteria sulla punta d'un molo vorrebbero ancora difendere, accosciati in agguato come i cani fulminati d'una capanna maledetta! Sforza e devasta le insenature solitarie che le vaganti piroghe ammantate di bruma visitano furtive, con fiamme sospette striscianti sull'acque d'acciaio!…

Ed i tuoi porti arcigni com'antri di stregoni, dormenti sotto l'occhio verdastro e tondo d'un faro che veglia, a notte alta, come un gatto a tregenda… e golfi, e rade, e porti dai voraci cantieri, dai moli tesi come lunghe braccia di ladri che brandiscan tenaglie contro la fragilità tremolante dell'isole lontane… assalta, o Mare, al crepuscolo!… Assaltali, facendo impennar le tue ondate… ed allacciali coi tentacoli formidabili de' tuoi flutti di elastico smeraldo!…

  Dà fiato alle trombe delle tue raffiche!
  Getta il terrore nel cuore delle città tenebrose,
  e col rovescio schiumante delle tue onde schiaffeggia
  il grosso grugno rugoso delle oscure fortezze
  occhiute di lanterne che sanguinano
  nell'acqua nera!
  Schiaffeggia le fortezze,
  e torci le lor baionette, capelli ritti
  che brillano al chiaro di luna!…
  Scardina e sradica alacre le ferree muraglie
  fasciate dalle tue trecce giganti
  in triplici nodi gordiani
  cui mordono gemme radiose!…
  Sconvolgi i promontorî, spezzando con un gesto
  le torri sovrane dei fari,
  e pesta, e sminuzza con gioia
  sotto i tuoi instancabili piloni,
  le corazzate che scintillano,
  fiammanti al sole come divise militari!…
  Addenta, o Mare, e mastica, e rimastica
  il loro guscio di colossali aragoste,
  e gli speroni e gli alberi, e le miopi troniere
  e le antenne forcute, pavesate di rosso,
  simile a chele a cui pènzoli un lembo di carne!

Indi rapido ammassa e mille volte arròtola brandelli di vele, frammenti di navi, carcasse di velieri, in pallottole mostruose!… Fa che risalgano a galla dal fondo dei tuoi abissi e poi, facendo scattar come molle i tuoi muscoli onnipotenti, scaglia al cielo quelle masse incandescenti come bolidi, nei vortici delle forze siderali!…

—E quando alfine sarà distrutta ogni cosa?—

—Allora… oh! allora perchè fare ancora la fatica di rifare le favolose armature d'un gran mondo ideale, sulle ruine dell'antico? Qualunque sia il nostro sogno, non partoriamo che Odio! Nulla sa costruire la mano dell'uomo se non prigioni, e nulla sa fucinare se non pesanti catene!…

Seduti sulla punta dei promontorî superstiti che lentamente franano, noi, Mar vendicatore, attenderemo la Morte!… L'attenderemo, sinistri e placati, incollate le labbra sulla tua formidabile bocca frantumatrice di rocce… e a questo funebre bacio presiederà la Morte!…

Oh! guardate, guardate, Pezzenti e Banditi, eterni vagabondi dai piedi sanguinanti, fratelli miei, ultimi a sopravvivere! La Morte affonda già l'unghia sua d'oro nell'arco del lontano orizzonte nerastro, e sembra quell'artiglio la falce di luna delle bonacce d'estate!… Guardate! Udite, Vagabondi e Banditi! Le vele sopra il mare… le nuvole al tramonto… gonfiano già le loro rosse guance d'arcangeli soffiando fanfare di guerra!…

Voci lontane del mare:

—Olà-eh! Olà-ooh! Distruggiam! Distruggiamo!

CON QUESTO GRIDO HA PRINCIPIO IL POEMA EPICO «LA CONQUISTA DELLE STELLE»

SCHELETRO DEL POEMA.

pag.

DEDICA 7

1.—=Invocazione al Mare onnipotente perchè mi liberi dall'Ideale= 15

2.—LA MIA ANIMA È PUERILE 25
3.—LE BABELI DEL SOGNO 43
4.—LE FUMATE DELL'ANIMA 51

5.—NOTTURNO (a tre voci) 63

6.—LA CANZONE DEL MENDICANTE D'AMORE 77
7.—IL DÈMONE DELLA VELOCITÀ 91

1.—Le Terrazze dell'Amore 91

2.—Il Torrente millenario 97

3.—La Sera indiana 104

4.—Il "Simoun" 107

5.—Le Foreste vendicative 113

6.—La Tregenda 120

7.—Il Fiume tirannico 128

8.—La posta del giuoco sublime 137

9.—Il Demonio lusingatore 147

10.—Il Veliero condannato 153

8.—I CAFFÈ NOTTURNI (Canto che finisce in prosa volgare) 163

9.—IL CANTO DELLA GELOSIA 185
10.—I LAGHI D'ORO 211
11.—IL CAVALIERE NERO 217
12.—INNO ALLA MORTE 227

13.—=Invocazione al Mare vendicatore perchè mi liberi dall'Infame Realtà= 241

1.—Contro la Terra 241

2.—Contro le Città 247

3.—Contro la speranza di ricostruire 254

End of Project Gutenberg's Distruzione, by Filippo Tommaso Marinetti