The Project Gutenberg eBook of L'Endimione

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Title: L'Endimione

Author: Pietro Metastasio

Release date: March 1, 2004 [eBook #11685]
Most recently updated: December 26, 2020

Language: Italian

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK L'ENDIMIONE ***

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in cooperation with Progetto Manuzio, http://www.liberliber.it Project by Carlo Traverso, revision by Claudio Paganelli.

PIETRO METASTASIO

L'ENDIMIONE

INTERLOCUTORI

DIANA.
ENDIMIONE.

AMORE in abito di cacciatore, sotto nome d'Alceste.

NICE compagna di Diana.

[La scena si finge in Caria, nelle falde del monte Latmo]

PARTE PRIMA

[DIANA e NICE.]

DIA.
      Nice, Nice, che fai? Non odi come
      Garriscon tra le frondi
      De' floridi arboscelli
      I mattutini augelli,
      Che al rosseggiar del Gange
      Escono a consolar l'Alba che piange?
      E tu mentre fiammeggia
      Su l'Indico orizzonte
      Co' primi rai la rinascente aurora,
      Placida dormi, e non ti desti ancora,
      E poi dirai: son io
      Della casta Diana
      La fortunata Nice
      Compagna cacciatrice?
      Lascia, lascia le piume,
      Neghittosa che sei; sorgi e raguna
      Per la futura caccia
      Dai lor soggiorni fuori
      Silvia, Aglauro, Nerina, Irene e Clori.

NIC.
      Tu mi condanni a torto,
      Bella Dea delle selve. E quando mai
      O per scosceso monte,
      O per erta pendice
      A seguir l'orme tue fu lenta Nice?
      Fra quante a te compagne
      Gli strali e l'arco d'or trattaron mai,
      Seguace più fedel di me non hai.
      Ed or, perchè un momento
      Forse più dell'usato
      Al sonno m'abbandono,
      Neghittosa mi chiami, e pigra io sono?

DIA.
      Ah Nice, tu non sei
      Quale un tempo ti vidi. Or presso al fonte
      Ricomponi ed adorni
      Fuor del tuo stil con troppa cura il crine;
      Erri per le montagne
      Solitaria e divisa
      Dall'amate compagne;
      Più le fere non curi,
      Sempre pensi e sospiri, e porti impressi
      I nuovi affetti tuoi nel tuo sembiante:
      O Diana non sono, o Nice è amante.

NIC.
      Amante!

DIA.
             Il tuo rossore
      Più sincero del labbro accusa il core.

   Non ti celar con me;
     Un certo non so che
     Nel tuo rossor mi dice
     Che Nice arde d'amor.

   Sei rea, se amante sei;
     Ma nel celar lo strale
     Fai con delitto eguale
     Oltraggio al tuo candor.

NIC.
      Dunque fallace ancora
      Tu mi credi…

DIA.
                    Non più, taci, ch'ormai
      Per le lucide vie s'avanza in cielo
      L'alto Nume di Delo,
      E col calido raggio
      De' rugiadosi umori
      L'erbe rasciuga, e impoverisce i fiori.
      Vanne, e pronta al mio cenno
      Le compagne risveglia, i veltri aduna
      E teco pensa intanto
      Che Ninfa a me diletta
      Io non vo' che si dica
      D'Amor seguace e di Diana amica

NIC.
      Io taccio alla tua legge:
      Ma poi dall'opra mia
      Vedrai se amante o cacciatrice io sia.

   Benchè copra al sole il volto
     Basso umore in aria accolto,
     Men lucente il sol non è.

   Tale ancor ne' detti tuoi
     Mi condanni e rea mi vuoi;
     Ma non perde il suo candore
     Il mio core e la mia fè.

[DIANA ed AMORE.]

AMO.
      Bella Diva di Cinto,
      Non isdegnar che un pastorello umile
      Tuo compagno si faccia e tuo seguace.

DIA.
      Chi sei tu? Donde vieni? E qual desio
      A passeggiar ti tragge
      Queste felici piagge?

AMO.
      Alceste è il nome mio; di Cipro in seno
      Apersi i lumi ai primi rai del giorno,
      E fin da' mici natali
      Fur mio dolce pensier l'arco e gli strali.
      Ma perchè di sue prede
      Povero ho fatto il mio natìo paese,
      Desioso ne vengo a nuove imprese.

DIA.
      E tu fanciullo ancora
      Osi aggravare il mal sicuro fianco
      Di pesante faretra, e non t'arresta
      Delle fere omicide il dente e l'ira?

AMO.
      Benchè fanciullo sia,
      Questa tenera mano
      Un dardo ancor non ha scoccato in vano.
      Ben della mia possanza
      Darti sicuro pegno
      Coll'opre più, che col parlar, mi giova;
      Qual io mi sia, te n'avvedrai per prova.

DIA.
      Orgogliosetto Alceste,
      Quel tuo parlar vivace
      Troppo ardito mi sembra, e pur mi piace.
      Mio compagno t'accetto;
      Or tu l'armi prepara,
      Pronto mi siegui, e le mie leggi impara.

AMO.
      E quai son le tue leggi?

DIA.
      Chi nelle selve amico
      Volge a Diana il core,
      Siegua le fere, e non ricetti Amore.

AMO.
      E perchè tanto sdegno
      Contro un placido Nume,
      Per cui solo ha la terra ed han le sfere
      E vaghezza e piacere?

DIA.
      Se de' mortali in seno
      Ei versa il suo veleno,
      Fra' bellicosi sdegni
      Ardono le città, cadono i regni.

AMO.
      Anzi nel dolce foco
      Degli amorosi sdegni
      Propagan le città, crescono i regni.

DIA.
      Son compagni d'Amore
      Le guerre ed il furore.

AMO.
      E d'Amor son seguaci
      Le lusinghe e le paci.

DIA.
      Orsù, teco non voglio
      Consumar vaneggiando il tempo in vano,
      Se me seguir tu vuoi,
      Amante esser non puoi.

AMO.
      Perdonami, Diana;
      Tuo compagno esser bramo,
      Ma di doppio desio mi scaldo il core.
      Amante e cacciatore
      Vo' con egual piacere
      Ferir le Ninfe e seguitar le fere.

DIA.
      Temerario fanciullo,
      Parti dagli occhi miei;
      Perchè fanciullo sei,
      Alla debole età l'error perdono.
      Se tal non fossi, allora
      Più saggio apprenderesti
      A non tentar co' detti il mio rigore.

AMO.
      Dall'ira tua mi salverebbe Amore.

AMORE.
      Va pure; ovunque vai,
      Da me non fuggirai.
      No, non fia ver che sola
      Fra i Numi e fra i mortali
      Tu non senta i miei strali, e vada illesa
      Dalle soavi mie fiamme feconde,
      Da cui non son sicuri i sassi e l'onde.

   Quel ruscelletto
     Che l'onde chiare
     Or or col mare
     Confonderà,
     Nel mormorio
     Del foco mio
     Colle sue sponde
     Parlando va.

   Quell'augelletto
     Ch'arde d'amore,
     E serba al piede,
     Ma non al core
     La libertà,
     In sua favella
     Per la sua bella,
     Che ancor non riede,
     Piangendo sta.

[NICE ed ENDIMIONE.]

NIC.
      Care selve romite,
      Un tempo a me gradite,
      E del crudo idol mio meno inumane,
      Deh lasciate ch'io sfoghi
      Delle vostr'ombre almeno
      Col taciturno orrore,
      Se con altri non posso, il mio dolore.

END.
      Leggiadra Nice.

NIC.
                     (Ecco il crudel.) Che brami?

END.
      Dimmi: vedesti a sorte
      Fuggir per la foresta
      Da' mie' cani seguito
      Un cavriol ferito?

NIC.
      Il cavriol non vidi;
      Ma serbo un' altra preda
      Avvezza a tollerar le tue ferite,
      E forse ancor di quella,
      Che cerchi tu, più mansueta e bella.

END.
      Tu meco scherzi, o Nice.
      Se il cavriol vedesti,
      Me l'addita e mel rendi.

NIC.
                              Io già tel dissi
      Che veduto non l'ho.

END.
                          Fin dall'aurora
      Gli offesi con un dardo il destro lato;
      Indi dal colle al prato,
      Dal poggio al fonte e dalla selva al piano
      Ne cerco l'orme, e m'affatico in vano.

NIC.
      Se questa hai tu perduta,
      Non mancano altre fere alla foresta.
      Deh meco il passo arresta!
      Forse che a questa fonte
      La sete, il caso o la sua sorte il guida.
      Tu posa intanto il fianco
      Sul margine odoroso
      Di quel limpido rio,
      (Il vo' dir tuo malgrado ) idolo mio.

END.
      Nice, s'è ver che m'ami,
      Che la mia pace brami,
      Con quel parlar noioso
      Non turbarmi importuna il mio riposo.

NIC.
      Dunque tanto abborrisci,
      Crudel, gli affetti miei?

END.
      Se d'amor m'intendessi, io t'amerei.

NIC.
      Tu d'amor non t'intendi? E come, ingrato,
      Chiudi in que' rai lucenti
      Tanto ardor, tanto foco, e tu nol senti?

END.
      Indarno, o bella Nice,
      Ingrato tu mi chiami.
      Se amar non ti poss'io, da me che brami?

NIC.
      E pur sì vil non sono;
      Non han queste foreste
      Ninfa di me più fida, e forse ancora
      V'è chi amando si strugge al mio sembiante

END.
      Ma non per questo Endimione è amante.

   Dimmi che vaga sei,
     Dimmi che hai fido il core;
     Ma non parlar d'amore,
     Ch'io non t'ascolterò.

   Sol cacciator son io,
     Le fere attendo al varco;
     Fuorchè gli strali e l'arco,
     Altro piacer non ho.

NIC.
      Se provassi una volta
      Il piacer che ritrova
      Nell'esser riamato un core amante,
      Ti scorderesti allora
      Fra quei teneri sguardi
      E le selve e le fere e l'arco e i dardi.

END.
      Quando l'arco abbandoni,
      O non pensi alle fere un sol momento,
      D'amar sarò contento.

NIC.
      E frattanto degg'io
      Così morir penando?

END.
      No; vivi, o bella Ninfa;
      O se morir ti piace,
      Lascia ch'Endimion sen viva in pace.

NIC.
      Chi la tua pace offende?

END.
                              I detti tuoi.

NIC.
      Nè meno udir mi vuoi? T'intendo, ingrato.
      Forse il mirarmi ancora
      Ti sarà di tormento:
      Restati, e teco resti
      Quella pace, o crudel, che a me togliesti.

   Nell'amorosa face
     Del ciglio lusinghier
     Tu porti il Nume arcier,
     Ma non nel core.

   Allor che sul tuo volto
     Tutto il piacer volò,
     Nell'alma ti restò
     Tutto l'orrore.

[ENDIMIONE ed AMORE a parte]

END.
      Lode al Ciel, che partissi.
      Or posso a mio talento
      Nel molle erboso letto
      Dolce posar l'affaticato fianco.
      Oh come al sonno alletta
      Questa leggiadra auretta!
      Deh vieni, amico sonno,
      E dell'onda di Lete
      Spargendo il ciglio mio,
      Tutti immergi i miei sensi in dolce obblio.

[Dorme]

AMO.
      Di queste antiche piante
      Sotto l'opaco orrore
      Tu dormi, Endimion; ma veglia Amore.
      Or or vedrem per prova
      Se il tuo rigor ti giova.
      Ma da lungi rimiro
      La Dea del primo giro.
      Voglio di quell'alloro
      Fra le frondi occultarmi,
      E degli oltraggi loro
      Con leggiadra vendetta or vendicarmi.
      Alme che Amor, fuggite,
      Tutte ad Amor venite:
      Non più, com'ei solea,
      Asperse di veleno ha le saette,
      E Son soavi ancor le sue vendette.

   Quell'alma severa,
     Che amor non intende,
     Se pria non s'accende,
     Non speri goder.

   Per me son gradite
     Ancor le catene,
     E in mezzo alle pene
     Più bello è il piacer.

[DIANA, AMORE a parte, ed ENDIMIONE che dorme.]

DIA.
      Silvia, Elisa, Licori,
      Tutte da me vi siete
      Dileguate in un punto.
      Ma un cacciator vegg'io
      Che dorme sulla sponda
      Di quel placido rio.
      Farmi, se non m'inganno,
      Uno de' miei seguaci. Oh come immerso
      Nella profonda quiete
      Dolcemente respira!
      Quei flessuosi tralci
      Che gli fan con le foglie ombra alla fronte,
      Quel garruletto fonte
      Che basso mormorando
      Lusinga il sonno e gli lambisce il piede,
      Quell'aura lascivetta
      Che gli errori del crine agita e mesce,
      Quanta, oh quanta bellezza, oh Dio, gli accresce!
      Zeffiretti leggierj,
      Che intorno a lui volate,
      Per pietà, nol destate;
      Che nel mirarlo io sento
      Un piacer che diletta, ed è tormento.

END.
      Nice, lasciami in pace…Oh Ciel, che miro!
      Cinzia mia Dea, perdona
      L'involontario errore:
      Seguìa l'incauto labbro
      Del sonno ancor l'immagine fallace.
      (Quanto quel volto, oh Dio, quanto mi piace!)

DIA.
      Tu mi guardi e sospiri!

END.
      (Ahimè, che dirò mai!)
      Quel sospiro innocente
      Era figlio del sonno e non d'amore.

DIA.
      Tu, non richiesto ancora,
      D'un delitto ti scusi,
      Che ti rende più caro all'alma mia.
      Lascia, lascia il timore,
      E se amante tu sei, parla d'amore.

END.
   Non so dir se sono amante,
     Ma so ben che al tuo sembiante
     Tutto ardore pena il core,
     E gli è caro il suo penar.

   Sul tuo volto s'io ti miro,
     Fugge l'alma in un sospiro,
     E poi riede nel mio petto
     Per tornare a sospirar.

DIA.
      Non più, mio ben, son vinta.
      Quest'alma innamorata
      Di dolce stral piagata,
      Come a sua sfera intorno a te s'aggira,
      E Diana, cor mio, per te sospira.

END.
      Ma chi sa qual s'asconda
      Senso ne' detti tuoi?

DIA.
      Tu temi, Endimione?
      So che ancor ti spaventa
      Di Calisto la sorte,
      O d'Atteon la morte.
      Ma più quella non sono
      Sì rigida e severa.
      Non temere, idol mio,
      Te solo adoro, e la tua fè vogl'io.

END.
      Ah Cintia, io non ti credo;
      Perdona i miei timori,
      Scusa i sospetti miei;
      Se Diana non fossi, io t'amerei.

DIA.
      Crudel, così d'un Nume
      Tu schernisci gli affetti?
      Pria l'amor mi prometti,
      Poi mi nieghi l'amore?
      E il misero mio core
      Ritrova in un istante,
      Ma con incerta sorte,
      Nel tuo labbro incostante e vita e morte.
      O mi scaccia, o mi accogli;
      Nè cominciare, ingrato,
      Or che vedi quest'alma
      Entro la tua catena,
      A prenderti piacer della mia pena.

   Semplice fanciulletto,
     Se al tenero augelletto
     Rallenta il laccio un poco,
     Il fa volar per gioco,
     Ma non gli scioglie il piè.

          Quel fanciullin tu sei,
            Quell'augellin son io;
            Il laccio è l'amor mio
            Che mi congiunge a te.

[ENDIMIONE ed AMORE.]

AMO.
      Endimione, ascolta:
      Finisce tra le frondi
      Di quella siepe ombrosa
      Una damma ferita
      Ed il corso e la vita.
      Allo stral che la punge,
      Ella parmi tua preda.

END.
                           Amico Alceste,
      Prenditi pur la damma,
      Abbiti pur lo strale,
      Che di dardi e di fere a me non cale.

AMO.
      Ma tu quello non sei
      Che, non ha guari, avrebbe
      Per una preda e per un dardo solo
      Raggirato di Latmo ogni sentiero?

END.
      Altre prede, altri dardi ho nel pensiero.

AMO.
      Il so; d'amor sospiri,
      E Diana è il tuo foco.

END.
                            E donde il sai?

AMO.
      Da quel frondoso alloro,
      Che spande così folti i rami suoi,
      Vidi non osservato i furti tuoi.

END.
      È vero, ardo d'amore,
      E comincia il mio core
      Una pena a provar che pur gli è cara,
      E dolcemente a sospirare impara.

AMO.
      Godi il tuo lieto stato.
      Più di te fortunato
      Non han queste foreste;
      Ti basti avere, amando, amico Alceste.

END.
      Se colei che m'accende,
      Non delude fallace il pianto mio,
      Addio, fere, addio, strali e selve, addio.

   Se non m'inganna
     L'idolo mio,
     Più non desio;
     Più bel contento
     Bramar non so.

AMO.
   Già preda siete
     Del cieco Dio.
     Son lieto anch'io;
     Più bel contento
     Bramar non so.

END.
   Rendo alle selve
     Gli strali e l'arco,
     E più le belve
     Seguir non vo'.

AMO.
   Lascia ad Amore
     L'arco e gli strali,
     Ch'egli in quel core
     Per te pugnò.

[Fine della parte prima.]

PARTE SECONDA

[DIANA ed ENDIMIONE.]

DIA.
      Dove, dove ti sprona
      Il giovanil desio,
      Endimion, cor mio? Lascia la traccia
      Delle fugaci belve,
      E qui dove, cadendo
      Da quell'alto macigno,
      L'onda biancheggia, e poi divisa in mille
      Lucidissime stille
      Spruzza sul prato il cristallino umore,
      Meco t'assidi a ragionar d'amore.

END.
      Ovunque io mi rivolga,
      Cintia, bella mia Dea,
      Sempre di grave error quest'alma è rea.
      Se da te m'allontano,
      Se al tuo splender m'accendo,
      O la tua fiamma, o le tue leggi offendo.

DIA.
      Quai leggi, quale offesa?

END.
      Condannan le tue leggi
      Chi strugge il core all'amoroso foco.

DIA.
      Io dettai quelle leggi, io le rivoco.

END.
      Dunque senza timore
      I cari affetti tuoi goder mi lice?

DIA.
      Sol presso al tuo bel volto io son felice.

   Fra le stelle o fra le piante,
     Cacciatrice o Nume errante,
     Senza te non so goder.

   Nel tuo ciglio ho la mia sorte,
     Nel tuo crin le mie ritorte,
     Nel tuo labbro il mio piacer.

END.
      Oh quanta invidia avranno
      De' miei felici amori
      I compagni pastori!

DIA.
      Oh quanta meraviglia
      Da' nuovi affetti irridi
      Riceveran gli Dei!
      Ma di lor non mi cale.
      Riposi pur sicura
      Venere in grembo al suo leggiadro Adone;
      Dal gelato Titone
      Fugga l'aurora, e per le Greche arene
      Si stanchi appresso al cacciator d'Atene.
      Io le cure o i diletti
      Non turbo a questa, e non invidio a quella:
      Della lor la mia fiamma è assai più bella.

END.
      Mio Nume, anima mia,
      Poichè il tuo core in dono
      Con sì prodiga mano oggi mi dai,
      Non mi tradir, non mi lasciar giammai.

DIA.
      Io lasciarti? Io tradirti?
      Per te medesimo il giuro,
      O de' conforti miei dolce tormento,
      O de' tormenti miei dolce conforto.
      Sempre, qual più ti piace,
      A te sarò vicina,
      Cacciatrice mi brami, o peregrina.
      Ma vien la nostra pace
      A disturbar quell'importuno Alceste;
      Partiamo, Endimion.

END.
                         Vanne, mia Diva.
      Intanto io della caccia
      Co' miei fidi compagni,
      Che m'attendono al monte,
      Vado a disciorre il concertato impegno.

DIA.
      Dunque così da me lungi ten vai?

END.
      Parto da te per non partir più mai.

   Vado per un momento
     Lunge da le, mio ben;
     Ma l'alma nel mio sen
     Meco non viene.

   Di quelle luci belle
     Nel dolce balenar
     Rimane a vagheggiar
     Le sue catene.

[AMORE e DIANA.]

AMO.
      Ferma, Diana, ascolta.

DIA.
                            E ardisci ancora
      Chiamarmi a nome, e comparirmi innanzi?

AMO.
      Deh lascia, o bella Dea, lo sdegno e l'ira.
      Già dell'error pentito
      A te ne vengo ad implorar perdono.
      Più d'amor non ragiono,
      Anzi teco detesto
      Il suo stral, la sua face,
      Che giammai non s'apprende a cor gentile,
      Ma solo a pensier basso, ad alma vile.
      Non rispondi, o Diana?

DIA.
      O nemico o compagno,
      Egualmenle importuno ognor mi sei.
      Quell'ardito tuo labbro,
      Quel volto contumace
      Sempre punge e saetta, o parla o tace.

AMO.
      Potrebbe a questi detti arder di sdegno
      Ninfa d'amore insana;
      Ma la casta Diana
      Ha più sublime il core;
      Siegue le fere, e non ricetta Amore.

DIA.
      Troppo m'irriti, Alceste;
      E pure a tante offese
      Non oso vendicarmi;
      Tu m'accendi allo sdegno e mi disarmi.

AMO.
      Se il perdon mi concedi,
      Due rei ti scoprirò, che fanno oltraggio,
      Amando, alle tue leggi.

DIA.
      Chi mai l'ira non teme
      Della mia destra ultrice?

AMO.
      Emdimione e Nice.

DIA.
      Endimione! E come?

AMO.
      Or che da te si parte, egli sen corre,
      Dove Nice l'attende,
      Fra quegli ombrosi allori,
      A ragionar de' suoi furtivi amori.

DIA.
      Ah che pur troppo il dissi
      Che Nice ardea d'amore! Adesso intendo,
      Perchè da me l'ingrato
      Sollecito partì. Ma a Stige giuro,
      Nemmen l'istesso Amore
      Liberare il potrà dall'ira mia.

AMO.
      Se non fossi Diana,
      Direi che tanto sdegno è gelosia.

DIA.
      Insolente, importuno,
      Da che vidi in mal punto
      Quel tuo volto fallace,
      Non ha più l'alma mia riposo o pace.

AMORE.

      Cingetemi d'alloro; in quelle offese
      Io veggo i miei trionfi, il regno mio;
      E quei gelosi sdegni
      Son del mio foco e le scintille e i segni.

   Se s'accende in fiamme ardenti
     Selva annosa, esposta ai venti,
     Arde, stride, e fin le stelle
     Va col fumo ad oscurar.
   Tale ancor d'amore il foco
     Poco splende ed arde poco,
     Se non vien geloso sdegno
     Le faville a palesar.

[NICE ed AMORE.]

NIC.
      Odimi, Alceste.

AMO.
                      Ah Nice!
      Lascia ch'io vada.

NIC.
                        Dove?

AMO.
      Un indegno a ferir che mi rapisce
      La mia fiamma, il mio foco.

NIC.
      Come! Amante tu sei?

AMO.
      È sì grande l'ardore,
      Che non n'ha più di me l'istesso Amore.

NIC.
      Dimmi il rivale almeno.

AMO.
                             Endimione.

NIC.
      Endimione! Oh Dio!
      Fermati; Alceste, aspetta.

AMO.
      Faranno i dardi miei la mia vendetta.

NICE.

      Oh qual contrasto fanno
      Nell'agitato petto
      Amore, gelosia, rabbia e dispetto!
      Sì, sì, di quell'ingrato
      Io di mia man vo' lacerare il seno.
      Ah che parlo, infelice,
      Se a me, fuor ch'adorarlo, altro non lice.
      Amor, tiranno Amore,
      Tu mi nieghi quel core,
      E nemmen vuoi lasciarmi
      Il misero piacer di vendicarmi.

   O fa che m'ami
     L'idolo amato,
     O i miei legami
     Disciogli, Amor.

   Vano è l'affetto,
     Se quell'ingrato
     Solo ha diletto
     Del mio dolor.

[NICE ed ENDIMIONE.]

END.
      Mi addita, o bella Nice,
      Se pur t'è noto, ove n'andò Diana.

NIC.
      Tu di Diana in traccia?
      Oh come ben dividi
      Fra Diana ed Amore i tuoi pensieri!

END.
      Di qual amor favelli?
      Sai pur che son le fere
      Il mio sommo diletto.

NIC.
      Se volgi altrove il core,
      Lasci le fere, e vai seguendo Amore:
      Se porti a me le piante,
      Allor sei cacciator, ma non amante.

END.
      Se sai dunque ch'io peno in altro laccio,
      Perchè turbi con questa
      Inutile querela
      La tua pace e la mia? Siegui chi t'ama,
      Fuggi chi ti disprezza.
      Se pretendi ch'io t'ami
      Contro il voler del fato,
      Sarai sempre infelice, io sempre ingrato.

NIC.
      Ammollisci una volta
      Quel tuo core inumano.

END.
      Ti lagni a torto, e mi lusinghi in vano.

   Dall'alma mia costante
     Non aspettar mercè;
     Sento pietà per te,
     Ma non amore.

   M'accenderebbe il seno
     La vaga tua beltà,
     S'io fossi in libertà
     Di darti il core.

NIC.
      Siegui, barbaro, siegui
      Il tuo genio crudele;
      E giacchè col tuo volto
      M'hai la pace rapita,
      Toglimi di tua mano ancor la vita.

END.
      Oh Dio! senza speranza
      Tu mi tormenti, o Nice; ad altro nodo
      Pena quest'alma avvinta;
      Non posso amarti, e non ti voglio estinta.

NIC.
      Ascolta, ingrato, ascolta,
      Se può chieder di meno
      Un'amante infelice:
      Un tuo sguardo, un sospiro,
      Benchè fallace, io ti dimando in dono,
      Poi torna a disprezzarmi, e ti perdono.

END.
   Chiedi in vano amor da me.

NIC.
     Perchè mai, mio ben, perchè?

END.
     Son fedele, e l'idol mio
     Io non voglio abbandonar.

NIC.
     Sei crudele, e pure, oh Dio!
     Non ti posso abbandonar.
   Come almen pietà non senti

Del mio duol, de' pianti miei?

END.
     A penar sola non sei,
     Non sei sola a sospirar.

[NICE e DIANA.]

DIA.
      Nice, tu fuggì in vano,
      Già discoperta sei,
      Nè t'involi fuggendo a' sdegni miei.

NIC.
      Casta Dea delle selve,
      All'amoroso laccio
      Son presa, io tel confesso;
      Ma quest'alma infelice
      Nell'aspra sua catena
      Compagna al suo delitto ha la sua pena.

DIA.
      Forse il goder sicura
      D'Endimion gli affetti
      Pena ti sembra al tuo delitto eguale?

NIC.
      Ah no; Cinzia, t'inganni; ad altra face
      Si struggè Endimione;
      E al doloroso pianto
      Di queste luci meste
      Nemmen sente pietà.

DIA.
                         (Fallace Alceste!)
      Ma chi d'amor l'accende?

NIC.
                              Io so ch'egli ama;
      Ma non so dir qual sia
      L'avventurosa Ninfa
      Che può dell'idol mio
      Gli affetti meritar.

DIA.
                          (Quella son io.)

[AMORE, DIANA e NICE.]

AMO.
      Misero Endimione! Avranno ancora
      Pietà della tua sorte
      I tronchi e le foreste.

DIA.
      Cieli, che mai sarà?

NIC.
                          Che parli, Alceste?

AMO.
      Nice, Diana, oh Dio! Nè meno ho core
      D'articolar gli accenti.

DIA.
      Qualche infausta novella!

AMO.
      Giace vicino all'antro
      Dell'antico Silvano,
      Pallido e scolorito,
      Endimion ferito.

NIC.
      Ahimè!

DIA.
             Chi fu l'indegno?

AMO.
      Un ispido cinghiale
      Punto pria dal suo strale
      S'avventò pien di rabbia
      Nel molle fianco a insanguinar le labbia.
      Io vidi (oh quale orrore!)
      Sovra i funesti giri
      Delle candide zanne
      Il sangue rosseggiar tiepido ancora;
      Udii quell'infelice,
      Sparso d'immonda polve
      Le molli gote e le dorate chiome,
      Replicar moribondo il tuo bel nome.

DIA.
      Ahimè! qual freddo gelo
      M'agghiaccia il sangue e mi circonda il core!
      Pietà, spavento, amore
      Vengon col lor veleno
      Tutti in un punto a lacerarmi il seno.
      Crudo mostro inumano,
      Rendimi la mia vita.
      Giove, se giusto sei, lascia che possa,
      In queste infauste rive
      Anch'io morir, se il mio bel sol non vive.

NIC.
      Nice, tu sei di sasso
      Se il dolor non t'uccide.

DIA.
      Ha vinto Amore.

AMO.
                     (E ne trionfa e ride.)

DIA.
      Deh per pieiade, Alceste,
      Colà mi guida, ove il mio ben dimora.
      Forse ch'ei vive ancora, e pria che morte
      Di quel ciglio la luce in tutto scemi,
      Vo' raccor da' suoi labbri i spirti estremi.

NIC.
      Fermati, o Cinzia; Endimion s'appressa.

[DIANA, ENDIMIONE, AMORE e NICE.]

DIA.
      Amato Endimion, dolce mia cura,
      Tu vivi, ed io respiro. Oh quale affanno
      Ebbi nel tu periglio!
      Qui t'assidi, e m'addita
      Dov'è la tua ferita.

END.
      Qual ferita, mio Nume? Altra ferita
      In me scorger non puoi
      Di quella che mi vien da' sguardi tuoi.

DIA.
      Dunque Alceste mentì?

END.
                           Sì, mio tesoro,
      Le luci rasserena.

DIA.
      Io ti stringo, io ti mirò, e il credo appena.

   Chi provato ha la procella,
     Benchè fugga il vento infido,
     Teme ancora, e giunto al lido
     Gira i lumi e guarda il mar.

   Tal, se a te rivolgo il ciglio,
     Nel pensier del tuo periglio,
     Il mio core per timore
     Ricomincia a sospirar.

AMO.
      Cinzia, del tuo timor l'alma assicura.
      Quegl'incostanti affetti,
      Quei gelosi sospetti,
      E quanto di periglio a te dipinsi,
      Solo per trionfar composi e finsi.

DIA.
      E tanto ardisce Alceste?

AMO.
                              Io sono Amore.
      Riconosci in Alceste il tuo signore.

DIA.
      Amore! Adesso intendo
      I tuoi scherzi, i tuoi detti.
      Io son vinta, io son cieca: ognor ti vidi
      Al mio sguardo palese,
      Nè mai che fosti Amor l'alma comprese.

   Amor, che nasce
     Con la speranza,
     Dolce s'avanza;
     Nè se n'avvede
     L'amante cor.

   Poi pieno il trova
     D'affanni e pene;
     Ma non gli giova,
     Che intorno al piede
     Le sue catene
     Già strinse Amor.

      Se il tuo laccio è sì caro,
      Se così dolce frutto ha la tua pena,
      Io bacio volentier la mia catena.

AMO.
      E tu dolente e sola,
      Nice, che fai? Per così strani eventi
      Meraviglia non senti?.

NIC.
      Piango la mia sventura,
      Che la mercè del mio penar mi fura.

   Così talor rimira
     Fra le procelle e i lampi
     Nuotar su l'onda i campi
     L'afflitto agricoltor.

   Ne geme e si lamenta,
     E nel suo cor rammenta
     Quanto vi sparse in vano
     D'affanno e di sudor.

DIA.
      Riconsolati, o Nice,
      Il mio favor ti rendo;
      E purchè col mio bene
      Viver mi lasci in pace,
      Ti concedo d'amar chi più ti piace.
      E noi godiamo intanto,
      Amato Endimione,
      E costanti e felici
      Facciam, con meraviglia
      Di quanti il chiaro Dio circonda e vede,
      Dolce cambio fra noi d'amore e fede.

END.
      Sì, mia bella speranza;
      Pria la Parca crudele
      In su l'aurora i giorni miei recida,
      Ch'io da te m'allontani, o mi divida.

AMO.
      Godete, o lieti amanti.
      Ma tu sappi, o Diana,
      Che de' trionfi miei
      L'ornamento maggior forse non sei.
      Mi fan ricco i miei strali
      Di più superbe e generose spoglie.
      Io vinsi il cor guerriero
      Del giovanetto Ibero
      Che, del mio foco acceso,
      Dove il Vesevo ardente
      Al fiero Alcioneo preme la fronte,
      Due pupille serene
      In fin dall'Istro a vagheggiar ne viene.

DIA.
      Certo il german fia questi
      Della Donna sublime,
      Che del Danubio in riva
      Per beltà, per virtù chiara risplende,
      Forse non men che per valor degli avi.

AMO.
      Ben t'apponesti al vero;
      E l'illustre donzella,
      Che il fato a lui concede,
      Di saper, di bellezza a te non cede.

DIA.
      Da così bella coppia
      L'esser vinta mi piace;
      Anzi sembra più lieve
      A quest'acceso core
      Con sì chiari compagni il tuo rigore.
      In così lieto giorno
      Dal Ciel scenda Imeneo con doppia face;
      Ed il garzon feroce
      Lasci l'usbergo e l'asta, e il ciglio avvezzi
      A più placide guerre e più sicure.
      Cedan l'armi agli amori;
      E cangi in mirti i sanguinosi allori.
      E il fiero Marte intanto,
      Deposti i crudi sdegni e bellicosi,
      In grembo a Citerea cheto riposi.

CORO.

   Fuggan da noi gli affanni
     Di torbido pensier;
     Il riso ed il piacer
     Ci resti in seno.

   Nè venga a disturbar
     Chi bene amar desia
     La fredda gelosia
     Col suo veleno.

FINE.