The Project Gutenberg eBook of Le seduzioni - Le vergini folli

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Title: Le seduzioni - Le vergini folli

Author: Amalia Guglielminetti

Release date: March 2, 2020 [eBook #61548]

Language: Italian

Credits: Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni and the Online
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*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LE SEDUZIONI - LE VERGINI FOLLI ***

LE SEDUZIONI
LE VERGINI FOLLI


AMALIA GUGLIELMINETTI

LE SEDUZIONI

LE VERGINI FOLLI

Con prefazione di G. A. BORGESE

18º MIGLIAIO

TORINO-GENOVA
S. LATTES & C., Editori


Proprietà letteraria

Torino — Tipografia Vincenzo Bona (13881).



INDICE


[v]

UNA POETESSA

Saffo dalle chiome di viola. Chi se l'immagina rediviva? I secoli l'hanno circonfusa in una nebbia leggendaria di ardente impurità. Immaginate dunque il suo spirito riemerso dall'onda Egea, trasmigrato verso un'ansimante metropoli moderna, vestito un'altra volta di membra giovanili e di panni che non ondeggiano intorno al libero corpo, come il peplo della fanciulla greca, ma lo stringono dentro una morbida guaina, come la moda di Parigi comanda. Non passeggia, circondata di alunne e coronata di fiori, sul margine delle rupi ascoltando il singulto del mare, ma solitaria e frettolosa, sepolta nell'ombra dell'immenso cappello piumato, sguscia nel trambusto crepuscolare della città rosseggiante sotto le lampade appena accese, prestando orecchio al confuso romorio delle cupidigie che si risvegliano nell'ombra. Brutta, come Giacomo Leopardi la pensò, ed amorosa della morte perchè respinta da un crudele Faone? No. Leopardi cercava ingenerosamente, per consolarsi, una compagna della sua miseria. Se gli occhi foschi [vi] e profondi di Saffo rediviva sogguardano dalle palpebre reclini, tutta la figura s'accende in un improvviso lampo di bellezza. Ma, se in fantasia l'accecate, se per un momento la considerate come una statua diserta dalla luce della sua passione e del suo dolore, ecco vi sorprende in quella femminilità non so che di troppo rude e mascolino ed aspro. Forse troppo larghe e potenti le mascelle, forse troppo secca e diritta la sagoma dall'occipite al tallone e troppo lunghe le dita ed un po' roca, come per un fremito perenne, la voce. Bella, ma di una bellezza aspra e funesta; immagine di nemica formidabile sebbene inerme, che soffre ella medesima della sua ostile solitudine, ma pur non sa piegarsi, e non vuole, ad amare come gli uomini vogliono essere amati. Abbandonandosi, minaccia; abbracciando, respinge. Ha un sorriso di felicità che sembra ghigno di scherno; se promette la fedeltà la sua promessa trema sulle labbra con la febbrile vibrazione della colpa. Non nasconde uno stiletto nella manica sinistra? E Faone non l'ama, quantunque ella lo cerchi con smisurato ardore. Ha paura. Non dello stiletto, ma dell'ardore con cui la donna l'ama. Preferisce le facili galanterie o i sonnolenti vincoli matrimoniali a questo vortice di fiamma, ove l'anima sua s'incenerirebbe. Passa oltre, desiderando e tremando. E passa oltre anche Saffo, non per osare il salto suicida dalla rupe di Leucade, ma per cantare, irridendo, un canto di selvaggia sfida e di crudele impudicizia.

[vii]

Io non so, nè credo che a questa immaginazione corrisponda la persona di Amalia Guglielminetti. Io parlo della sua poesia. In una incredibile concentrazione fantastica, questa fanciulla ha vissuto la vita della peggiore femmina moderna; amante, attrice, adultera, cortigiana. Essa ha letto, al chiarore perverso d'una lampada incerta, i grandi romanzi francesi.

Romanzi letti con anima piena

di febbre, a notte, mentre in ombre il lume

ripeteva negli angoli ogni scena.

L'amata emersa dalle trine a spume

e l'amante a' suoi piedi, ebbro di lei,

si sprigionavan molli dal volume.

Illanguidiva i suoi grand'occhi rei

smaniosa d'amar la Bovary,

o con la barba a punta e con i bei

denti rideva fatuo Bel-Ami.

Ed ecco la lettrice si trasfigura in protagonista. Che cos'è la donna vera e vivente? Una costola strappata dal fianco di Adamo. Essa è la materia plastica, nella quale la volontà mascolina si foggia la figura visibile del suo desiderio. Ester, Medea, Alceste, Lalage. Beatrice, Laura, Francesca. Ogni grande poeta ha fabbricato nella solitudine del suo sogno il simulacro dell'amore e della bellezza, perchè le donne viventi gli s'affollassero con ansia dintorno imitandone le fogge ed i modi. Sanguinaria e frodolenta affermatrice [viii] del sesso e della razza nei libri biblici, crudele dominatrice, “urna di tutti i mali„, nella primitiva immaginazione greca, sale o decade alla funzione di schiava domestica in Roma, che fila la lana incuriosa degli intellettuali splendori in cui folgoreggiano le venali nipoti di Aspasia. Le figure contraddittorie della superdonna, della sposa e della cortigiana s'incrociano ancora indecise nell'antica poesia, ma le letterature moderne si dividono nettamente il còmpito. Sorge in Italia la donna angelicata, la radiosa creatura di perfezione che “al ciel conduce„, e si chiama Beatrice, ma subito dopo s'umanizza alquanto in madonna Laura. Rimane ai tedeschi l'eredità di Giuditta, di Medea, perchè l'indomabile e perfida eroina rinasca nella Crimilde dei Nibelunghi e seicent'anni dopo generi un'intera prosapia di meravigliose criminali nell'opera di Hebbel è di Ibsen, cui non da lontano somiglia quella di Wagner. La pura e devota compagna dell'uomo soffre tessendo corone di disperata fedeltà nel dramma e nel romanzo inglese; mentre la letteratura francese, sviluppando l'esile germe che Catullo aveva deposto nelle sue tenere ed irose odicine a Lesbia civetta e bugiarda, dimentica le sottili smancerie di Gianfredo Rudel, seppellisce le taciturne e pazienti compagne dei paladini, ed elabora alla perfezione quella che per antonomasia si chiama la donna moderna: quella che Molière inventò in Climena per vendicarsi della moglie, quella che si chiama Jacqueline [ix] in De Musset e Michelle de Burne in Maupassant, che percorre col nefasto fruscìo delle sue sete la scena di mille drammi e di mille romanzi e strappa come gocce di sangue le rime al cuore di venti poeti lirici. Questa donna non ha ancora trent'anni, ma li ha quasi, è ricca ed ha un marito ricco, non è bella, ma splende di una grazia irregolare e capricciosa, non ama, ma si dà; non abbandona, ma tradisce. Non sposa e non cortigiana, non dominatrice nè schiava, ma semplicemente anarchica, essa è la donna libera nella famiglia costituita, la creazione più singolare della Francia, un incomparabile strumento di piacere, un inimitabile oggetto di lusso, un detestabile arnese di tortura. Bergeret l'ha chiamata “la parigina„. Essa è parigina di nascita ed è il segreto e palese tormento di tutte le provinciali, francesi od italiane che siano.

Quando le donne si riconobbero in madonna Laura, ne vennero fuori i sonetti di Vittoria Colonna e di Gaspara Stampa; quando si riconobbero nelle candide spose shakespeariane, germogliarono le rime di Elisabetta Barret-Browning. Ma nessuna ebbe il coraggio di proclamarsi l'eguale di Beatrice Portinari. Ci voleva troppo orgoglio. E nessuna fin'oggi aveva osato di foggiare la sua femminilità secondo il modello della Parigina di Becque. Era anche più arduo, perchè l'orgoglio non bastava senza un'inconcepibile dose di umiltà, essendo la donna francese una creatura dell'amore e del disprezzo degli uomini.

[x]

Ecco ora Amalia Guglielminetti. La protagonista di Notre Cœur, ma più sensuale ed ardente, è uscita dalle pagine del romanzo, è divenuta poetessa, si canta e si confessa da sè, quale Guy de Maupassant invano l'amò. Poetessa di qual valore? Evitatemi la pena di tentare una comparazione. Costei è un'artista di tale strepitosa forza che bisogna lasciarla sola.

Le Seduzioni sono il romanzo autobiografico di questo tipo ideale di donna moderna. Romanzo senza intreccio; tutto quanto di momenti psichici, fissati in una settantina di strofe, ciascheduna di tredici versi ordinati in terzine.

La protagonista vive nel suo sogno di folle giovinezza, solitaria e superba, senz'altra gioia fuor di quelle che ad ogni ora le finge la sua voluttuosa immaginazione. Non vale piangere, v'è la Giovinezza, sua unica amica che l'accompagna e la consola.

Tenti la lode e mormori: — Sei bella!

e scherzi: — Hai sui capelli una corona...

e m'accarezzi come una sorella

finch'io non ti sorrida: — E tu sei buona!

Altre volte ella ha cantato pene d'amore, nei Canti della Giovinezza, nelle Vergini Folli, che attraverso l'aspra fatica del sonetto, in cui l'alunna di Vittoria Alfieri tormentava la sua cocciuta libertà subalpina desiderosa di classici freni, trasparivano i primi segni della futura perfezione. Aveva cantato la sua pura passione.

[xi]

Io piangevo così note d'amore

come la cieca in sul quadrivio, volta

al sole, canta il suo buio dolore

e non s'avvede che nessun l'ascolta.

Ora non più; non più l'amore, ma l'indifferente ed ostile desiderio. La Primavera l'ha guarita:

Scossi da me l'antico e il nuovo danno

e balzai, folle di desii fugaci,

incontro al riso d'ogni bell'inganno:

gli risi coi notturni occhi: — Mi piaci!

Conosce ora il fascino degli occhi ignoti, che abbagliano con un vorace sguardo, conosce la gioia di mutare il vecchio laccio corroso con un nuovo laccio di fiori, e gli sguardi che son “come mani d'amanti, indugianti ignude entro un tesoro di feminee chiome„ e il silenzio adescante dei parchi solitarii e la tentazione delle gemme esposte nelle vetrine abbarbaglianti. Conosce la mano virile “lenta in ogni suo gesto, ma febbrile nella carezza quasi da far male„ e l'ebrietà dei profumi e la mollezza dei frutti rari e la frenesia del lusso e la soavità delle morbide stoffe iridate:

So l'ombra delle piume in cui la faccia

s'imbianca d'un languor di passione

in cui la bocca bella, benchè taccia,

parla parole di seduzione.

Sente il calore soffocato delle voci che chiamano dall'ombra, l'oscura nostalgia delle sere cittadine, il [xii] piacere di sferzare l'orgoglio dell'amante, l'impura gioia di concedersi per carità. Ecco, una donna incrocia col passo lento dei due amanti la sua rapidità leggera, e li saetta di sotto il ciglio basso. Egli segue con l'occhio e col desiderio la passante, ed esclama: Com'è bella! Essa lo lascia di scatto con un gran riso “d'ilare odio e di pietà beffarda„. Conversazioni astiose, congedi improvvisi, paci torbide, gelosie iraconde, menzogne voluttuose, capricci malvagi, avventure sans lendemain, ansie per la giovinezza che fugge, ricordi trepidi della purità conventuale, convegni notturni e letture proibite, desiderii dell'ignoto e languide convalescenze, segreti intimi e sogni inconfessabili: tutto il triste ed arido ed infecondo arrovellio d'una bella donna senza religione e senza cuore passa fissato in quadri di un'accecante intensità e d'una stupefacente bellezza d'arte:

Io non so chi tu sia: so che una sera

noi ci gettammo l'anima negli occhi

con l'impeto di chi brama e non spera.

La ripigliammo cauti, quasi tocchi

da un dubbio, e ancora la scagliammo a segno

come la freccia cui convien che scocchi.

Senza accostarci, senza altro disegno

che quello di guardarci ebbri d'amore,

ma disgiunti da un qualche aspro ritegno.

Così il male durò. Più tentatore

d'allora, a tratti, il tuo volto m'abbaglia.

Curiosità di te mi punge il cuore,

desiderio di te me lo attanaglia.

[xiii]

Mi dispiace il verso, retorico e convenzionale, che ho sottolineato; ma, nel rimanente, la passione convulsa è costretta dentro argini di tale granitica solidità, che i poeti, non le poetesse, son pregati d'imitare, se sanno. E così è tutto il resto; quando la protagonista legge l'ultima lettera d'amore:

Balenan lampi nelle ciglia chine

della lettrice, e quando un mal represso

desio irrompe in parole ebbre alla fine,

ella ne freme come d'un amplesso;

e quando nelle vie crepuscolari segue, quasi invidiando, la cortigiana imbellettata; e quando ripensa alle glorie ed agl'innumeri amori delle attrici, e quando, deridendo un corteggiatore troppo timido, riepiloga in quattro versi adamantini il suo glaciale disprezzo per se medesima e per il suo sesso:

Ciascuna donna è come una via nuova

che alcun percorra in notte senza luna:

molte sorprese il passegger vi trova;

ma le affronta affidato alla fortuna.

Pari e patta: anche una donna può considerare gli uomini come vili strumenti di piacere:

Poichè, se alcun le sue treccie ha disfatte

od impresse d'un morso la sua gola,

o lasciò le sue labbra più scarlatte,

ella è pur sempre quella che va sola.

[xiv]

Con questa feroce dichiarazione si conchiude il poema. Al quale seguono taluni sonetti, più duri, più faticosi, meno precisi, lampeggianti anch'essi di tali bellezze che basterebbero da soli a rivelare un artista di prim'ordine; ma che, pubblicati in coda al poema, impallidiscono. Viceversa, non vale la pena di accennare alle strofe deboli e sbagliate che s'incontrano qua e là come isole di pigrizia in questo lucido fiume di poesia. Trapiantate in un mediocre volume di versi, le cose brutte della Guglielminetti vi farebbero esclamare balzando dalla seggiola: c'è qualcuno qui dentro.

Annie Vivanti? Ma Annie Vivanti scherza col peccato, e si diverte un mondo a piroettare con biricchina indecenza per scandalizzare i seminaristi. Annie Vivanti è licenziosa; ma l'impudicizia della Guglielminetti è rigidamente vereconda. Perchè la corruzione fatta d'immaginazione più che di costume, e non di costume, è tragica, non è frivola. Annie Vivanti somiglia ad Olindo Guerrini; Amalia Guglielminetti somiglia alla cupa sensualità di d'Annunzio. Intendiamoci bene: somiglia a d'Annunzio per la materia. Ha letto l'Intermezzo, il Trionfo, la Laus Vitae (ricordate? “altre, pallide e lasse, — riarse d'amore sino — alle midolle — perdute il cocente — viso entro le chiome — con le nari come — inquiete alette, — con le labbra come — parole dette, — con le palpebre come — le violette„). Anch'ella adora le quattro divinità celebrate nella Laus: Volontà, [xv] Voluttà, Orgoglio, Istinto. E nessun'altra. Gli somiglia pure nella forma, perchè la Guglielminetti, italianissima e classicissima, così classica che pare impossibile in una donna tanta precisione d'immagine, di parola e perfin d'ortografia, si ricollega al più recente maestro. Ma gli somiglia, a mo' d'esempio, come d'Annunzio somiglia a Carducci: per parentela di discepolo a maestro, non per identità d'imitatore a modello. La sua vorticosa originalità ha inghiottite ed eliminate tutte le influenze. E ne è balzato alla luce un miracolo di poesia.

La forma del verso, del periodo, della terzina è, se volete, un po' troppo generica ed accademica; perfin troppo perfetta. Questa è la principale colpa della Guglielminetti. Ma l'anima che vi spira dentro è tutta sua e tutta nuova: l'amarezza del piacere, il fremito penoso del desiderio instancabile, la fosca penombra del sogno illecito non trovarono mai una espressione così austera nella sua impudicizia, così solenne nella sua futilità. Verranno i moralisti e le caste amiche a lamentarsi che tanto ingegno non sia messo al servizio del pudore e non produca libri da additarsi a modello di “composizione italiana„ negli educandati. La Guglielminetti non perderà il tempo a rispondere che la lascivia pornografica e ridanciana può essere indegna dell'arte, non la lascivia passionale, che, essendo dolorosa, esce purificata dalle sue stesse fiamme. Non ripeterà l'oziosa autodifesa di Marziale: lasciva nobis pagina... — i nostri scritti [xvi] sono impudichi, la nostra vita è pura — ; poichè l'opera d'arte dev'essere accettata o respinta com'opera d'arte, e non malignamente travisata in un documento autobiografico.

Essa è ben degna di riconoscere se medesima e di percorrere la sua via.

G. A. Borgese.

Da “La Vita e il Libro„. Editore Bocca. Torino.


[1]

LE SEDUZIONI
LE VERGINI FOLLI


[3]

Le Seduzioni

[5]

QUELLA CHE VA SOLA

[7]

le seduzioni

Colei che ha gli occhi aperti ad ogni luce

e comprende ogni grazia di parola

vive di tutto ciò che la seduce.

Io vado attenta, perchè vado sola,

e il mio sogno che sa goder di tutto,

se sono un poco triste mi consola.

In succo io ho spremuto ogni buon frutto,

ma non mi volli sazïare e ancora

nessun mio desiderio andò distrutto.

Perciò, pronta al fervor, l'anima adora

per la sua gioia, senza attender doni,

e, come un razzo in ciel notturno, ogni ora

mi sboccia un riso di seduzïoni.

[8]

dolcezze

Questo m'abbaglia un attimo e scompare,

disperso in lieve polverio di fuoco

che cade dietro i monti o dentro il mare.

Solo una meraviglia di bel gioco

e uno sprazzo di luce entro i miei occhi

ne resta, che si spegne a poco a poco.

Ma sembrami talora che mi tocchi

una mano leggiera e di dolcezza

viva l'anima chiusa mi trabocchi.

E se cerco chi mai quella carezza

tentò nell'ombra con la man furtiva,

sorprendo la mia folle giovinezza

che sorridendo, muta, mi seguiva.

[9]

la giovinezza

Giovinezza, a te sola io m'accompagno.

Tu sai tacere quando son serena,

sai parlare quand'io aspra mi lagno.

Sai ammonirmi con la voce piena

di blandizia: — Ma piangere che vale?

Meglio cantar con voce di sirena.

Mi baleni negli occhi un riso eguale

al tremore d'argento d'una stella,

meravigliando d'ogni mio gran male.

Tenti la lode e mormori: — Sei bella!

e scherzi: — Hai sui capelli una corona...

E m'accarezzi come una sorella

finch'io non ti sorrida: — E tu sei buona!

[11]

CIÒ CHE FU

[13]

l'antico pianto

Quindi prosegua per cammini ombrosi,

a fior di labbro modulando un canto

che per me l'altra notte mi composi.

Poichè talor non piango io il mio pianto,

lo canto, e qualche mia triste canzone

fu come il sangue del mio cuore infranto.

Tempo fu che le mie forze più buone

stremai in canti a' piedi d'un Signore

che m'arse di ben vana passïone.

Io piangevo così note d'amore,

come la cieca in sul quadrivio, volta

al sole, canta il suo buio dolore

e non s'avvede che nessun l'ascolta.

[14]

l'antico desiderio

Seduzïone più d'ogni altra forte,

prima d'ogni altra e più cruda fu quella

per cui l'invito io ti sorrisi, o Morte.

Per cui il desiderio che flagella

la prima volta, sgomentò di muto

stupor la mia verginità novella.

E mi conobbi mani di velluto

per le carezze lunghe, e per i nomi

cari una voce dolce di lïuto.

E sentii nella mia bocca gli aromi

d'un frutto al morso cupido maturo.

Ma l'acre impurità de' sensi indomi

mortificai con il mio orgoglio puro.

[15]

l'antico male

Mortificai la mia anima schiava,

ma sotto cruda sferza di sarcasmi

l'incatenata più s'umilïava,

più inseguiva per vane ombre fantasmi

dolci d'amore, come chi per sete

succosi frutti col desio si plasmi.

E fatta a me nemica, con inquete

pupille e voce roca e gesto asprigno

snudavo l'ansie e le viltà segrete.

Freddo disdegno chiuso in freddo ghigno

m'oppose: — Donde vieni? E chi sei tu?

Ed io invocai gemendo quel benigno

sonno per cui non v'ha risveglio più.

[16]

la guarigione

Ma alle porte del ciel spiò il domani

madonna Primavera, vïolette

sciolte recando nelle cave mani.

E colei che soffriva si godette

un poco di quel riso mattinale

che vestiva di fior tutte le vette.

E un'erba o un fiore buono pel suo male,

mossa a pietà, la bella maliarda

forse le insinuò sotto il guanciale.

Come un'inferma in cui vita riarda

a poco a poco, io errai quasi leggiera

per gli orti rosa, quasi già gagliarda

cantando: — Grazie, monna Primavera!

[17]

incertezze

Pure, ancora di qualche trafittura

tremavo, a guisa di convalescente

ch'ogni indizio del suo male impaura.

Non ben certa di me, trepidamente,

il mio silenzio intimo ascoltando,

mi premevo sul cuor le mani intente.

M'indagai, mi scrutai, mi dolsi, e quando

m'avvidi in qual tenacità d'affanno

esasperavo un dubitar sì blando,

scossi da me l'antico e il nuovo danno

e balzai, folle di desii fugaci,

incontro al riso d'ogni bell'inganno,

gli risi coi notturni occhi: — Mi piaci!

[19]

NUOVI INCANTI

[21]

l'ingannatore

Bevvi a piccoli sorsi la menzogna,

come un filtro che induce fantasie

fascinatoci al cuore di chi sogna.

In ogni cosa io scoprii malie

nuove. Talvolta perseguii la traccia

di un dolce incanto per malcerte vie.

Non riguardai l'ingannatore in faccia,

per non tremar di oscura diffidenza

nell'amoroso cerchio di sue braccia.

Quegli blandiva: — Niuna sapienza

che insegni vale un bel gioco che finga.

E mi versava in cuore una sua essenza

fatta d'ombra, d'amore e di lusinga.

[22]

occhi ignoti

M'inebbriai di sguardi fuggitivi,

rapidi come il balenio di fiamma

che guizza a notte per i cieli estivi.

Conobbi dentro ignoti occhi la gamma

torbida della muta cupidigia,

che ravvolge ne' suoi vortici il dramma.

V'opposi un mio disdegno d'alterigia,

godendo di passar fra la schermaglia

senza recarne su di me vestigia.

Ma pur conobbi l'attimo che abbaglia,

colsi a volo la lucida scintilla

che scatta in fondo a un ciglio, come scaglia

d'oro, e in un altro sguardo risfavilla.

[23]

le nuove attese

Attimi di bellezza, quando intera

l'anima sopra un volto s'appalesa,

siccome l'ostia dentro la raggera!

Tutta raccolta nell'incerta attesa

d'un qualche bene che sarà, che forse

non sarà mai, fra due dubbi sospesa,

già ignara d'ogni male che la morse,

per la nuova catena che la tenta

ella discioglie quella in cui s'attorse.

E mentre intorno a' suoi polsi s'allenta

il laccio che il suo pianto già corrose,

l'illusïone, dolce anche se menta,

glie n'offre un altro tenero di rose.

[25]

INCITAMENTI

[27]

mollezze

Alle catene molli offrir per poco

le mani, benchè sia leggiadro incanto,

è per il chiuso cuor ben nuovo gioco.

Ma lunga schiavitù già gli fu tanto

grave d'affanni, ch'esso cerca il riso

fugace, quel che non ritorna in pianto.

Cerca in amore un bel razzo improvviso,

un breve incontro di due eguali gesti,

di labbra mute nel languor del viso.

I desideri giova tener desti

fin che il buon tempo dell'amor seduce.

Prima ch'esso in un'ombra alta s'arresti

berrò la sua meravigliosa luce.

[28]

i doni

Assai doni di gioia e assai di grazia

sono offerti a chi vede ed a chi sente

col bel fervor di un'anima non sazia.

Nulla si nega a chi, senza nïente

chiedere, con il suo sogno conquista

tutto e v'imprime il suo suggello ardente.

Così, il ciel più divino il buono artista

dentro una tela piccola racchiude,

per goderne egli sol, puro egoista.

O ardor degli occhi che somiglia un rude

gesto di preda, o sguardi che son come

mani d'amante, indugïanti ignude

dentro un tesoro di feminee chiome!

[29]

avidità di vivere

Avidità di vivere, tu ieri

non vorace così mi strazïasti,

e avrai domani morsi anche più fieri.

I desideri tuoi, via via più vasti,

temon che a farli spiriti di gioia

giovinezza col suo fervor non basti.

Temono ch'essa troppo presto muoia,

e tagli loro i belli artigli e l'ali

il tempo con la sua fredda cesoia.

E m'incitano ardendo: — I beni e i mali

tentar bisogna. Vivere si deve.

Ama e combatti e odia e piangi e sali.

La vita è chiusa nel tuo pugno breve.

[31]

INDUGI

[33]

fascini

Colei che a un riso di seduzïoni

tutta sola sen va, volgesi e gode

or dei fascini belli ed or dei buoni.

Talora si sofferma e una sua lode

sorridendo susurra, ma sì piano,

che niuno fuor del suo silenzio l'ode.

Ascolta il mare urlar tragico un vano

suo amore, oppur gioisce in numerare

gl'intrichi delle vene in una mano.

Sosta in ansia d'attesa al limitare

d'un vecchio parco, oppur s'abbaglia al gioco

d'arcobaleno delle gemme rare

sotto rovesci calici di fuoco.

[34]

al mare

Al mare getta un dì sogni ed amori

come l'altra sua amante solitaria

gli getta fra due nubi fiori ed ori.

E ride con la sua anima varia,

mentre le spume in favolosi aprili

fioriscon gigli fatti d'acqua e d'aria.

Ella getta nel mar tutti i monili

dei quali, per piacere a sè, si para

la stoltezza dei cuori giovanili.

E ride ancora, ma con bocca amara.

Sul bene ch'ella non possiede più

sembran le spume i fiori d'una bara

e un poco di sè stessa è ormai laggiù.

[35]

una mano

Fu caro, un giorno, a quella che va sola

sentirsi preso da una mano il cuore

e averne un riso in bocca e un pianto in gola.

Era una mano ambigua, di pallore

femineo, di linea virile:

mano bella di dolce ingannatore.

Lenta in ogni suo gesto, ma febbrile

nella carezza, quasi da far male,

forte alla stretta da parere ostile.

Forse in sue vene un fluido mortale

fluiva ed ella con labbra voraci

lo suggeva, e un sapor torbido, eguale

a un acror di veleno era nei baci.

[36]

vecchio parco

Quasi in ansia d'attesa ora io m'attardo

presso il cancello d'un antico parco,

fra sbarra e sbarra acumino lo sguardo.

Certo, qualcuno apparirà nell'arco

verde-cupo che intrecciano le piante

laggiù, ove s'apre nell'azzurro un varco.

Una piccola dama in guardinfante

del minuetto striscerà l'inchino

ridendo a qualche incipriato amante?

Seduzïone muta d'un giardino

chiuso su l'ombra morta delle cose

pel cui ritorno non v'ha più cammino,

pel cui sogno non nascono più rose!

[37]

perplessità

Ieri io indugiai su quel punto che sta

fra la saggezza e la follia, sospesa

fra l'una e l'altra in gran perplessità.

Amor sollecitava, aspro d'attesa,

esauste tutte le sottili frodi,

le insidie che trascinano alla resa.

Ma, su l'incerto limite, i custodi

spiriti della giovinezza chiara

mi trattenevan con più onesti modi.

Curiosità mi rise avida: — Impara!

il Desiderio: — Tenta! — m'incitò.

E all'una e all'altro la superbia amara

di quella che va sola disse: — No.

[39]

TENTAZIONI

[41]

le gemme

Seduzïone aspra di gemme e d'ori

sotto accesi convolvoli rivolti

a versarvi o a riceverne i fulgori.

Dietro il cristallo han palpiti raccolti

i tesori e colei che vi si attarda

sopra v'allarga i suoi grand'occhi stolti.

I solitari di bell'acqua guarda,

com'Eva guardò gli occhi del serpente

raggianti la promessa maliarda.

Riflette sotto il battito frequente

de' cigli la freddezza imperiale

degli smeraldi e l'iride sfuggente

che balena nel cuore dell'opale.

[42]

la meraviglia

Incatenata dalla meraviglia,

s'indugia ancora e il sangue dei rubini,

forse, il pallor del volto le invermiglia.

O perle opache, o bei fiori marini

che le regine attorcono in collane

su le grazie de' nudi alabastrini.

Dolci turchesi ed ametiste strane

prescelte ai fasti della liturgia,

gemme per dita sacre e per sovrane.

Gioie di nozze e prezzo di follia

ch'offre amore a far sazia la sua sete.....

Taluno che la riguardante spìa

esce dall'ombra e tenta: — Che scegliete?

[43]

cose maliose

Male si tende il lucido tranello.

Io ammiro, e per il mio spirito assorto

più del possesso il desiderio è bello.

Tutto mi piace. Con il volto smorto

d'ebbrezza aspiro essenze in rare fiale,

m'attira un frutto pendulo in un orto.

Qualche voce nel cuore mi fa male

tanto m'è cara, e qualche rosso occaso

m'incanta con un suo drago che sale.

Carezzo di mia man l'anse d'un vaso

che con arte foggiò greca fucina,

increspo l'onde morbide d'un raso,

o gioco con le spume d'una trina.

[45]

ELEGANZE

[47]

le essenze

Ora io mi dico: — Per ciascuna goccia

d'essenza una fiorita di corolle

offre la sua bellezza appena sboccia.

Carne di fiori d'un pallor sì molle

da sembrar carne di delizia, nata

in tepori di serra o in cima a un colle,

uccisa a sommo della sua giornata

e con lungo martirio, perchè tutta

si doni, all'ombra e al sole macerata!

Freschezza che si spreme e che si butta

poi che stillò l'umor di cui viveva.

Pura bellezza vegetal distrutta

per far più impura la bellezza d'Eva!

[48]

i profumi

Nel solco di profumo che si scava

talor fra il vario ansare d'una via

quasi un languor voluttüoso grava.

Ma il desiderio torbido si svia

dietro l'ignoto passo che pel vano

suo ardore allunga l'olezzante scìa,

sfogliando un fiore, o sminuzzando un grano

d'ambra, o stillando issopo e benzoino,

già con altri confuso e già lontano.

Fruscìo di seta, o palpitar di lino,

o sviluppo di chiome, come odori,

fiato che, quasi a notte da un giardino,

da tutto un corpo tepido vapori!

[49]

un frutto

Ma il frutto che sul ramo si matura

per la sete del suo coltivatore

ha la bontà della bellezza pura.

Non è vaghezza sterile di fiore

nato al piacer dell'occhio e dell'olfatto,

ma polpa e succo buono e buon sapore!

Semplice è il frutto. Un riso di scarlatto

sembra avvampar su la sua guancia tonda,

per chi sa quale suo gioir, d'un tratto.

Si dona, benchè un poco esso nasconda

il rossor dell'offerta tra due foglie.

Ma tutto splende, nudità gioconda,

nella man che si tende e che lo coglie.

[50]

le sete

Io so la rigidezza delle sete

garrule al passo. O vesti d'ave, bene

riposte in grandi scatole segrete!

So delle trine la mollezza lene,

l'onda dei veli donde emerge il viso

come da spume volto di sirene.

So l'iride in mille iridi diviso

perchè ogni donna la sua veste faccia

del colore più adatto al suo sorriso.

So l'ombra delle piume in cui la faccia

s'imbianca d'un languor di passïone,

in cui la bocca bella, benchè taccia,

parla parole di seduzïone.

[51]

SENSAZIONI

[53]

una voce

Una voce nell'ombra ha qualche volta

la morbidezza calda d'una cosa

tangibile. Non s'ode, non s'ascolta,

ma sul cuor che l'accoglie quasi posa

le sue parole ad una ad una, come,

quando langue, le sue foglie una rosa.

Se invoca piano, in ansia, un caro nome

par che vi tremi il mal represso ardore

d'un bacio non osato fra le chiome.

E di soverchia intensità essa muore

soffocata ed il pianto che l'assale

sembra il principio dolce dell'amore,

ed è l'inizio acerbo del suo male.

[54]

la sera

E quella che va sola ama sostare

a vespro sotto cieli d'alabastro

chiari ancora d'un lume che traspare.

Guarda l'ombra affinar d'un vïolastro

pallore i monti, e attraversare il cielo

l'ultimo raggio come un lungo nastro.

Poi, tutto andar sommerso dietro un velo

su cui ansa, sgomenta d'esser sola,

la prima stella, come un cuore anelo.

Stella solinga, amara è la parola

di chi ti dice: — Io sono come te! —

di chi presso la notte si desola

tanto, e non osa dirtene il perchè.

[55]

la libertà

Dono di gelo, libertà, che vali?

Io vago, tratta da tue aeree dita,

per tante strade, e tosto oblio per quali.

Vado, e non so che strana ansia m'incita

di luogo in luogo, sì che giunta a pena

già mi sospinge a nuova dipartita.

Nuova lusinga all'anima balena,

l'attira con la sua dolce menzogna

ov'è d'oro o di ferro la catena.

Chi t'ha perduta, o libertà, ti agogna.

Chi ti possiede non t'apprezza più.

D'averti, alata scorta, si rampogna,

e t'adopra a cercar la schiavitù.

[56]

insegnamenti

Ma amore in schiavitù più non mi vuole.

Il despota gettò catena e sferza

e m'addottrina d'ilari parole.

— Quand'io v'incontro, — amabile egli scherza,

— la prima volta, molto vi torturo,

ma poco la seconda e men la terza.

L'antico male col recente io curo,

e il cuor v'agguerro sì che a poco a poco

possa affrontarmi, sempre più sicuro.

E poi ch'io osservo: — Assai perverso è il gioco, —

no, — ribatte — è saggezza salutare.

Quando il bimbo sentì l'ardor del fuoco,

molto di rado tornasi a bruciare.

[57]

OSTILITÀ

[59]

un rancore

Non so che sorda ostilità mi armasse

ieri contro di te. Forse un rancore

oscuro alla guerriglia acre mi trasse.

Pareva che un sottile aizzatore

incrudisse il mio riso ed il mio gesto,

accosciato nell'ombra del mio cuore.

Amore è il tuo avversario: non già questo

che a tratti or sì, or no, fra noi balena,

ma un altro, assai nel mio cuore più desto.

Quel che fu dono non offerto, pena

non detta, slancio trattenuto in me.

Il vampo di follia, la vita piena

in cui non mi travolse altri, nè te.

[60]

una carità

T'ostinasti a picchiare alle mie porte

con il tuo cuor nella tua mano a guisa

di pietra e a lungo mi chiamasti forte.

E m'ostentavi la tua faccia intrisa

di pianto, come un mendicante astuto,

per più carpir dalla pietà improvvisa.

Se a qualche carità, pregando aiuto,

tu mi forzasti, non imaginare

ch'io n'abbia al par di te molto goduto.

Labbra pietose si fan spesso amare,

più amare quando vinsero un ritegno

per addolcire il cuore di chi appare

dopo, ma tardi, d'ogni dono indegno.

[61]

OMBRE

[63]

doppio gioco

Mentre parliamo di comuni cose

leggere, tu via via a me t'accosti,

pieghi su me con ciglia curïose.

Quasi straniero ieri ancor mi fosti,

or ci avvicina fredda cortesia,

domani andremo per cammini opposti.

Tu t'inchini su me, come chi spia,

come chi è attratto a forza e intanto dici

cose vane con grazia e leggiadria.

Ma quando un gioco d'ombre tentatrici

scopri, io abbozzo un sogghigno involontario.

Tu indietreggi, e tra noi, fatti nemici,

ondeggia blando il conversar più vario.

[64]

gelosia

Non so dov'ella era nascosta: forse

in fondo all'ombra vacua degli specchi.

Non la vidi ma il suo riso mi morse.

Sottile mi vibrò dentro gli orecchi

con qualche nota di canzonatura,

parve squillar dietro gli arazzi vecchi.

Così sentii l'ignota creatura

di voluttà, la preda di lussuria,

colei che imprime la sua traccia impura

E di gelo restai sotto la furia

del desiderio, mi difesi fiera

contr'ella che rideva acre un'ingiuria,

e contro chi gemeva una preghiera.

[65]

un incontro

La donna che incrociò col nostro passo

lento la sua rapidità leggera,

ci saettò di sotto il ciglio basso.

Tu con l'occhio e il desìo la passeggera

seguisti. Ella sparendo ebbe nell'anca

una grazia perversa di pantera.

Subitamente io vacillai, sì stanca

che a te mi ressi. Mi pungeva il viso

quel sottil gelo che le labbra imbianca.

Ma già da nuova bramosìa conquiso,

tu comentavi ancor: — Che malïarda!

Di scatto io ti lasciai, con un gran riso

d'ilare odio e di pietà beffarda.

[66]

una prudenza

Tronchiamo l'ansia che incrudì già quasi

tra noi in febbre. Non ancor ci ha vinti

amore, ci irretì gioco di casi.

Non ancor per gli incauti labirinti

del male ci guidarono le crude

curiosità, ci attrassero gli istinti.

Ciascun di noi nel suo intimo chiude

buia tuttor quell'anima diversa

che solo scopre il desiderio rude.

Esso poteva smascherar perversa

o fiacca o vile questa sconosciuta.

Perciò quella che perdi, ancor sommersa

nell'ombra, per prudenza, ti saluta.

[67]

ONDEGGIAMENTI

[69]

la felicità

Ma quella che va sola ancora sa

tratto tratto pel suo vagabondare

trovar un'ombra di felicità.

Oh! ma un'ombra così lieve che pare

quella del pesco, quando primavera

gli fa una veste di rosette amare.

Certa non è se gioia era o non era,

e a sera lo domanda ella a sè stessa

sciogliendo adagio la sua chioma nera.

O voce che dicevi sì sommessa:

— Mi piaci! — o riso di perplessità,

o mano che non parla ma confessa,

eri o non eri la felicità?

[70]

incertezze

Forse non eri, perchè tanto triste

a notte, con il volto nel guanciale

io piansi molte lacrime non viste.

Non eri, perchè ancor di non so quale

spasimo, di non so che interïore

morso nel seno il cuore mi trasale.

Quasi per un gran male di languore

il sangue mi ristagna nelle vene,

come nei polsi inerti di chi muore.

Non eri. E chi su le mie ciglia piene

d'ombra, socchiuse sul pensiero vano,

chi senza passi e senza voce viene

così dolce a chinarsi e così piano?

[71]

qualche amarezza

Tu ieri con le tue pallide mani

per altre donne ancor sfogliavi rose,

per altre già ne sfoglierai domani.

Oggi la tua sottile arte compose

per me una lieve ghirlandetta molle

da scomporre con dita desïose.

Insieme noi sfacemmo le corolle

soavi per estrarne ogni dolcezza,

per gustarla con bocca un poco folle.

Pure, non so da chi, qualche amarezza

mi viene: forse dalla donna ignota

che sentirà domani la carezza

del tuo respiro sopra la sua gota.

[72]

la rivale

Ella m'è ignota, anche la sua effigie

m'è ignota, ma la imagino felina

nei gesti lenti e nelle iridi grigie.

Forse per via già mi passò vicina,

e in quel momento mi percorse diaccia

del brivido la scossa repentina.

Talor la vedo dietro la tua faccia,

la spìo ne' tuoi occhi e nel tuo riso,

sento la forma sua fra le tue braccia.

Allora su l'enigma del tuo viso

sfogo in carezze un'ira vïolenta,

fin che certa non sia d'avervi ucciso

quella parvenza sua che mi tormenta.

[73]

schermaglie

Sogghignare io potrei di te, dell'altra

donna lontana a cui forse ritorni,

toglierti a lei con sottigliezza scaltra.

Ma non voglio. Va pure. Verran giorni

soli a me sola e avran cappe di ghiaccio

e poi saranno di vïole adorni.

Ed io com'essi muterò. Ora faccio

ira a me stessa, perchè ho in gola un roco

lamento e solo per orgoglio taccio.

Un giorno anch'io saprò, ridendo un poco,

dire a colui che molto amore agogna:

— ti voglio bene! — dirglielo per gioco,

perchè gioisca della mia menzogna.

[74]

la menzogna

La menzogna è così cara talvolta:

sembra una donna di molt'arte esperta

che per bontà sa fingersi un po' stolta.

Le piace con la sua moneta incerta

che d'oro ha solo una sottil vernice

comprar le rose della gioia certa.

Se falsa è la moneta essa non dice.

Sembra d'oro e qualcuno illuderà

sol anche un'ora d'essere felice.

L'amor rifugge dalla verità,

rara parola ha col pensier concorde.

Man che carezza artiglio aspro si fa,

bocca che bacia spesso a sangue morde.

[75]

ORE FOLLI

[77]

il capriccio

E tu, Capriccio, genïetto rosa

che svolazzi con ali di farfalla

e un riso su la bocca desïosa,

talvolta io ti sentii su la mia spalla

lieve posare e un'avida parola

colsi, al riparo dell'aluccia gialla.

Fu qualche sera, quando d'una sola

fiamma bruciano i nostri occhi e le stelle,

e ci trema la voce, arida, in gola.

Qualche sera in cui sembran così belle

le labbra che si porgono e così

molle l'odor delle rose novelle,

ch'è duopo susurrare un dolce: — sì!

[78]

un cuore

Io intesi un cuore in fondo alla sua nicchia

a colpi sordi palpitare, in fretta.

Domandai: — È il mio cuore o il tuo che picchia?

Noi l'ascoltammo urtare nella stretta

sua cella, in ansia, come si dibatte

forzata in prigionìa la passeretta.

Ascoltammo con anime disfatte

dalla dolcezza i palpiti concordi

chiedendoci: — È il mio cuore o il tuo che batte?

Udimmo rallentare i colpi sordi

e tanto attenüarsi nel languore,

che sospirammo, come chi si scordi

di vivere: — È il mio cuore o il tuo che muore?

[79]

notte

Io vado nella notte alta al tuo fianco.

Non so da chi, non so da che atterrita,

spesso trasalgo e al tuo braccio m'abbranco.

Ascendiamo io non so quale salita

passo passo, e la notte è come un mare,

come un'onda nel mar la nostra vita.

Più non vedo il tuo sguardo tutelare

vigilarmi nell'ombra. Su qual traccia,

dove come perchè dobbiamo andare?

Verso qual meta? La paura diaccia

quasi nel seno il battito m'arresta...

Ma tu mi levi fra sicure braccia,

mi baci lento, mi susurri: — A questa.

[80]

chi ti vuole

Come non so, ma quando più son piene

di grazia le mie ore e il cuor d'oblio,

di volerti, non so come, m'avviene.

T'aspetto, a un tratto, ed il tuo passo spio

con tremor d'ansia e con fervor di fede,

con la nuca già offerta al tuo desìo,

al bacio che si sente e non si vede,

l'insidïoso, quello che propaga

dalla nuca il sottil brivido al piede.

E m'avviene di volgermi con vaga

meraviglia e di chiedermi: — Non c'è?

E poi, mentre la prima ombra dilaga,

premere a forza i miei singhiozzi in me.

[81]

oblio

Son qui raccolta in un oblio profondo

contro il tuo cuore. Credo che ancor siamo

nella vita, ma già fuori del mondo.

So che tu mi desideri e ch'io t'amo,

e tutto che oltre questo è gioia o pena

o bene o male noi dimentichiamo.

Ho il senso di volar su un'altalena

vertiginosa, come fanciulletta

balzavo nell'azzurrità serena.

Ne discendevo con la gola stretta

dal batticuore e con sperduti sguardi,

come or che tu m'avverti: — Il tempo ha fretta

di separarci, o amore. Andiamo, è tardi.

[83]

INQUIETUDINI

[85]

seguace

V'era qualcuno, un tempo, non veduto,

che ovunque mi seguiva, da vicino

senza stancarsi, con un passo muto.

La sera in qualche tacito cammino

parevami sentir sui miei capelli

rabbrividendo il suo profilo chino.

Forse eran molli ali di pipistrelli

che passavan su me con la prudenza

trepida di leggeri polpastrelli.

Io non sapevo, e m'affrettavo senza

paura, ma non più tanto leggera,

o volgevo con rapida movenza

gli occhi a scoprire dietro me chi v'era.

[86]

chi era

Lo seppi un giorno: or presso ed or lontano

me seguiva e la sua triste follia

l'uomo che amore flagellava invano.

Lo vidi ormare la mia stessa via,

sostare alle mie soste, con il volto

duro, e lo sguardo acuto di chi spia.

Egli andava col suo cuore sconvolto

pel desiderio fatto a sè tortura,

nulla godendo e disperando molto.

E non sapeva che la vana arsura

me pur struggeva, che un'angoscia eguale

fustigava la mia anima oscura,

ch'io pur morivo dello stesso male.

[87]

un grido

Fui per chiamarlo: — O mio fratello, vieni!

Non piangere per me quello ch'io piango

per altri. Lascia ch'io ti rassereni.

Ti tergerò le lacrime ed il fango

con mani indugïanti in puri gesti.

— Non t'amo, — ti dirò, ma: — ti compiango.

Lascia che dal tuo incubo ti desti,

per risvegliarmi io pure a poco a poco,

fin che in noi di dolore orma non resti.

Fui per dire: — Ed allor ci parrà un gioco

degno di riso questo mal vorace...

Ma in lui o in me non so che grido roco

negò: — Non voglio! Il mio soffrir mi piace!

[89]

DESIDERI

[91]

vortice

Noi ci fissammo, con un folgorio

d'occhi tenace. Io so che in quel momento

il cuore ti tremò del tremor mio.

Eravamo seduti con il mento

nella mano, in un'ombra di veranda,

in qual tempo, in qual giorno, io non rammento.

Rammento che giungeva a ondate, blanda,

una lontana musica e che spesso

ripeteva un motivo di domanda.

A un tratto ci trovammo così presso

da provarne vertigini, e smarriti

impallidimmo del pallore stesso

come su un buio vortice che inviti.

[92]

un addio

Folle è lasciarci, tutti accesi ancora

di desiderio, ancor pronti a godere

di tutto ciò che l'un dell'altro ignora.

La volontà che tiene prigioniere

le nostre giovinezze le flagella,

per farle in solitudine tacere.

Ma più le volge incitatrice a quella

gioia non mai gioita, che la morte

pur ci farebbe nel suo riso bella.

Più dolce sorte è la comune sorte:

darsi con umiltà l'un l'altro, ciechi.

Abbandonarsi al vortice più forte

e dirsi dopo un breve addio, senz'echi.

[93]

l'ignoto

Io non so chi tu sia. So che una sera

noi ci gettammo l'anima negli occhi,

con l'impeto di chi brama e non spera.

La ripigliammo cauti, quasi tocchi

da un dubbio, e ancor la scagliammo a segno,

come la freccia che dall'arco scocchi.

Senza accostarci, senza altro disegno

che quello di guardarci ebbri d'amore,

ma disgiunti da un qualche aspro ritegno.

Così il male durò. Più tentatore

d'allora, a tratti, il tuo volto m'abbaglia.

Curiosità di te mi punge il cuore,

desiderio di te me lo attanaglia.

[95]

INFERMITÀ

[97]

la crisi

Il morbo s'iniziò fra due sorrisi,

in un languore, s'incrudì in un male

vïolento, toccò l'estrema crisi.

Parossismo d'amor cieco che assale

la pazïente e la travolge, quasi

ad uno stato di demenza eguale.

Dal cuor sconvolto irruppero le frasi

inconsulte ed il pianto acre. Il dolore

contorse i polsi dalla febbre invasi.

Da queste crisi stritolato il cuore

esce, come da macina esce il grano.

Fatto diverso, muto di stupore,

s'ascolta, balza, si ritrova sano.

[98]

la convalescenza

Sano, ma ancora un poco stanco, ancora

debole di quel grande struggimento

ch'ogni vigor di buon sangue divora.

Convalescenza, invermigliarsi lento

delle labbra già tinte di vïola,

ribalenar dello sguardo già spento!

La risanata, sola con sè sola,

resta, si guarda intorno: — Fui malata? —

dice, e ascolta suonar la sua parola.

Dice: — Ricordo! — e i grandi occhi dilata.

— Ieri un nemico m'ha contorto ed arso

le carni e il cuore. Assai m'ha strazïata!

Ma il mio male guarì. Egli è scomparso.

[99]

pallore

Oggi mi trovi pallida, ma sai

che un poco sempre io son pallida. È strano

come il mio volto non s'accenda mai.

Solo la bocca un fior di melagrano

sboccia sotto il tuo bacio, e il cuore pulsa,

— oh così forte! — sotto la tua mano.

Ma goda o soffra l'anima convulsa,

il marmo della fronte non confessa

gioia di amore o strazio di ripulsa.

Quando più sfatta io piego su me stessa,

più s'impietra la maschera del volto.

Ma allorchè cedo, dall'angoscia oppressa,

piango non vista il mio pianto raccolto.

[101]

VORAGINI

[103]

l'etèra

Io t'ho seguita, sotto i primi lumi

rossastri d'una sera cittadina,

pallida etèra grave di profumi.

E parvi la falena che s'ostina

intorno ad una lampada notturna,

sempre più attratta e sempre più vicina.

Curiosità di male, taciturna,

mi trascinò nell'orbita di quella

ch'era del male più goduto l'urna.

Colei che attira asseta arde e flagella,

l'ombre accendeva di sua rossa chioma,

e molle andando, alla falena snella

vampava della sua carne l'aroma.

[104]

multiforme

Tu hai mill'anime in una, o multiforme.

Innumeri tumultuano i cuori

dentro il tuo cuore piccolo ed enorme.

Ognuno sa com'odi e come adori,

avventuriera arguta della scena,

ognun sa come vivi e come muori.

O bramata dagli uomini, una vena

fragile del tuo polso assai più forte

li allaccia della più salda catena.

E quando ti atterrò sfatta la morte

dinanzi a folle cupide di te,

la voluttà su le tue labbra smorte

bevono nelle alcove d'oro i re.

[105]

l'abisso

Dissero: In questo punto ella gettossi

nel vuoto; agonizzò pochi minuti

laggiù, ove i sassi appaiono ancor smossi.

China, io sentii tutti gl'inviti muti,

gli assorbenti richiami degli abissi,

il vortice che afferra gli sperduti.

La vertigine tragica con fissi

occhi d'acqua verdognola ipnotizza

sotto capelli d'alighe prolissi.

L'oblio, dal fondo, svolgesi e si rizza

con le sue braccia d'ombra arcate a culla,

e con la bocca di vampiro vizza

sugge il male a chi piomba ebbro nel nulla.

[107]

PROFILI

[109]

un discreto

Troppo discreto. Amore non s'afferra

con timidezza trepida di gesti

ma con sagace strategia di guerra.

Quando ore ed ore mediti pretesti

a sfiorar con la tua mano la mia,

una pietà pensosa in me tu desti.

Più che languire di malinconia

o disperare di sconforto giova

spronar d'orgoglio l'anima restìa.

Ciascuna donna è come una via nuova

che alcun percorra in notte senza luna.

Molte sorprese il passegger vi trova,

ma le affronta affidato alla fortuna.

[110]

un pauroso

Mi temi: tale è la ragione oscura

per cui mi sfuggi armato di corrucci

mascherando di sdegno la paura.

Nè io posso, a evitar che tu ti crucci,

celar lo sguardo mio che ti fastidia

e t'inquieta in ombre di cappucci.

Io non tramo alla tua pace perfidia

di tranelli. Guerrier di buona scuola

sa che a fuggiasco non si tende insidia.

Pur: — fuggiasco — non è giusta parola.

Più somigli a un bizzarro palafreno

che spesso adombra e in pazza corsa vola,

ma ben s'ammansa con scudiscio e freno.

[111]

L'INVITO

[113]

l'attesa

T'aspetto qui. La casa è ancora quella

della mia infanzia, quella che mi vide

occhi innocenti sotto bionde anella.

La casa sa che tu verrai. Non ride

non palpita e non trema essa. Mi pare

di sentirtela ostile, aspra di sfide.

Non te che corri con le labbra amare

di sete a ricercar le mie, furtivo

ladro d'amore, ella sperò ospitare.

Troppo ella ha atteso, ritta sul suo clivo,

il dolce sposo che, per chiara via

giungendo, le annunciasse alto il suo arrivo

e sul suo cuore mi portasse via.

[114]

l'accoglienza

T'odia per questa la mia casa antica.

Da te delusa sotto il vecchio tetto

t'accoglierà con fronte di nemica.

Dirà: — Sviasti dal cammin più retto

colei ch'io prediligo e mal risponde

l'anima ingrata al mio vigile affetto!

Ridimi, o amor, le tue risa gioconde

perch'io non oda il lagno dell'offesa

garrir fra uno svettare ampio di fronde.

Vieni! Quel suo rimproverar mi pesa.

Forse ormai vivo del mio stesso errore.

Pure, io sento con lei che questa attesa

tradisce un suo e un mio gentile amore.

[115]

il saluto

Tu verrai una notte alta, di luna,

e prima di varcar le mute soglie

bacerai le mie dita ad una ad una.

Ti celerà la gran pianta che accoglie

l'ombra sopra la porta e la rabesca

con profili di rami erti e di foglie.

Nell'aria ondeggerà l'essenza fresca

de' fieni e odoreranno le mie chiome

di quell'acre profumo che t'adesca.

Tu giungerai a notte fatta, come

un predatore bene esperto, ed io

gemendo su la tua spalla il tuo nome

ti dirò forse: — Ed or ritorna. Addio!

[117]

BELLE ISTORIE

[119]

i romanzi

Pur t'insinui fra pagine di libri

candide e nere, o riso di sirena

subdolo, e come sottilmente vibri!

Romanzi letti con anima piena

di febbre, a notte, mentre in ombre il lume

ripeteva negli angoli ogni scena!

L'amata emersa dalle trine a spume

e l'amante a' suoi piedi, ebbro di lei,

si sprigionavan molli dal volume.

Illanguidiva i suoi grand'occhi rei

smanïosa d'amar la Bovary,

o con la barba a punta e con i bei

denti rideva fatuo Bel-Ami.

[120]

le favole

Ma non han sempre fascino perverso

le belle istorie. Quante care favole

ci empiron di prodigi l'universo!

Bimbi, ricordo, in giro a tonde tavole,

sotto velate lampade e velate

voci di dolci narratrici avole.

E la notte chinavansi le fate

sul letto dei fratelli, e bei guerrieri

baciavan le sorelle addormentate.

Poi, nella torre alta dei Desideri,

come la moglie pia di Barba-blù,

una fu chiusa, ed io l'udii pur ieri

gridare: — Anima mia, che vedi tu?

[121]

il poema

Più malïardo splende il bel poema

dove lo squillo vario della rima

come un riso febeo palpita e trema.

Ogni verso è uno stel che reca in cima

la sua corolla, e a tre a tre le intesse,

sì che l'un fiore l'altro non comprima.

Vi ride amor le sue vane promesse,

o vi lamenta la mentita fede,

o vi miete una sua sanguigna messe.

E un gel mi guizza dalla nuca al piede

pur mentre il tuo torbido amor m'adesca,

s'io leggo qual pagasti aspra mercede

pei baci del tuo Paolo, o Francesca.

[123]

VIBRAZIONI

[125]

un dubbio

Son io giovane ancora, anima mia?

I miei capelli ancor mi son mantiglia

densa le notti di malinconia?

Talor per questa strana meraviglia,

notizia di me stessa a me domando

con un solco di dubbio fra le ciglia.

O giovinezza, io ho già scordato quando

venisti a maturare in frutto molle

in fior d'infanzia dal profumo blando.

Tutta nuova da sue bianche corolle

l'adolescente emerse allor, stupita.

Or, con un riso leggermente folle,

riconta che anno fu, su le sue dita.

[126]

mattini

Pensa: — Fu l'anno in cui lasciai le monache

del mio convento? O l'anno avanti, o appresso?

Tu, april, vestivi le tue rosee tonache.

Insieme ci destammo in uno stesso

mattino, tu con l'anima leggera,

io col piccolo cuore così oppresso!

Tu inverno, io bimba ci cullò la sera.

Io aprii le ciglia fatta giovinetta,

tu apristi i cieli, fatto primavera.

Forse il succo di qualche vïoletta

bistrò de' miei assorti occhi l'incavo...

Ormai ero colei che sa ed aspetta

e a qualche avido sguardo sussultavo.

[127]

asprezze

Aspra son io come quel vento vivo

di marzo, il quale par crudo di geli

ma discioglie la neve su pel clivo.

Vento di marzo che agita gli steli

pigri, scopre vïole in mezzo all'erba,

scompiglia erranti nuvole pei cieli.

Asprigna io sono e rido un poco acerba.

Mordere più che accarezzar mi piace

ed apparir più che non sia superba.

Come il vento di marzo io non dò pace.

Godo sferzare ogni anima sopita,

e trarne l'ire a un impeto vivace

per sentirla vibrar fra le mie dita.

[129]

LE LETTERE

[131]

il giardino segreto

Carezze consumate nel pensiero,

parole dette senza voce viva,

intimità ravvolte di mistero!

Lettere, orto occulto che coltiva

per sè ogni donna: frutti per la sete,

fiori per la narice sensitiva.

E steli ch'ella sa intrecciare a rete

ed erbe amare come le cicute

ed ortiche che pungono segrete.

Per l'amore che in sè portano mute,

per i sogni ch'è dolce in lor trasmettere,

per le menzogne di cui son tessute,

un sottil sortilegio arma le lettere.

[132]

lettere intime

Giungono con un volto tormentato

dalla fatica rude del vïaggio

con segni, impronte, tracce in ogni lato.

Ma dalla busta immune esce il messaggio

e colei che lo attende a sorso a sorso

lo gusta, come un dolce beveraggio.

Qualche parola, a un tratto, il cuor le ha morso.

— Ah! scherzi. — Fra le righe un riso fine

guizza, quasi fra pause d'un discorso.

Balenan lampi nelle ciglia chine

della lettrice, e quando un mal represso

desìo irrompe in parole ebbre alla fine,

ella ne freme come d'un amplesso.

[133]

lettere rese

Anche talor si rendono i carteggi

a chi li scrisse. Partono coperti

di baci e tornan crudi di motteggi.

Sembran figliuoli prodighi, inesperti,

che rifanno il cammin già un dì percorso

ricchi d'oro e di gloria, oggi deserti.

Tornano a chi da sè li svelse. E a sorso

a sorso, ancor l'amaro beveraggio

s'assapora, con brividi pel dorso.

Si stupisce: — Ma è mio questo linguaggio?

Non più nostre, non più, sembran le frasi

di follia. Ora il cuor s'è fatto saggio,

forse, e l'amore è già lontano, quasi.

[135]

LA VITA

[137]

dimenticare

Dimenticare! Balsamo d'oblìo

che reca il tempo nell'incavo vecchio

della sua palma con un riso pio.

Il tempo è ammonitore. Anche un suo specchio

porge a ogni donna e mormora un consiglio,

mentr'ella vi si mira, entro il suo orecchio.

Questa si sbianca in viso come un giglio,

quella sorride d'arido disdegno,

un'altra china il suo volto vermiglio.

Dentro lo specchio io ho scoperto un segno

piccolo, un solo, il primo, un'ombra ancora.

Ma mi avvertiva il re del vecchio regno:

— La vita vuole il suo tributo. È l'ora.

[138]

il tributo

Vecchio, lo so. Ma è grave quel tributo.

Son lievi i sogni e sono dolci i giochi

d'amore, anche per chi spesso ha perduto.

La vita è grigia, e si consuma in pochi

momenti attedïati dai doveri,

fra i — no — imperïosi ed i — sì — fiochi.

Ma i sogni, i miei amici lusinghieri,

la sillaba che nega aspra non sanno.

— Sì — mi diran domani, come ieri.

E se talor mi traggono in inganno,

l'un mi delude e l'altro mi consola,

così che assai fraternamente fanno

breve la via a quella che va sola.

[139]

i sogni

Dicono presso ad ogni fiamma fatua:

— Che fuoco buono pe' tuoi freddi piedi!

e: — Che cuor pel tuo cuore! — ad ogni statua.

Cullano le mie noie: — O cari tedi —

cantilenano in coro, — o rari mali

per cui nessuno troverà rimedi!

M'agitano sul capo un frullo d'ali

e stupiscono: — Intendi? Chi è passato?

Sarà morte con falce o amor con strali?

Ma la voce sul mio sonno agitato

attenuano, bisbigliano un saluto,

zittiscono, e ciascun mi posa a lato

e dorme fra le mie chiome sperduto.

[140]

il domani

Allora io sento l'ombra del domani

ferma, in attesa, a canto al mio guanciale,

col bene e il male chiusi entro le mani.

Terrà nascosto la sinistra il male?

E la destra terrà nascosto il bene?

Quale a me vorrà mai porgere, quale?

Ma per incerte strade il sonno viene

a sussurrarmi: — Dormi, non pensare! —

e a porre il dito sui miei occhi, lene.

Dormi. Il domani ha forse l'ore amare

strette nel pugno. Non pensare, è meglio.

Scorda l'ombra che è là muta a spiare

per balzar su te, pronta, al tuo risveglio.

[141]

il desiderio

Pur taciturno è il desiderio. Saggio

sembra, ma in fondo alle pupille cova

la vïolenza del suo cuor selvaggio.

L'amore è sorda lotta, è dura prova

per chi assai l'ama, e a molti impeti sciocchi

avventa chi ben cerca e male trova.

Questo imparò colei che smarrì gli occhi

dietro i suoi sogni e ride ora, ma batte

le ciglia perchè il pianto non trabocchi.

Poichè, se alcun le sue treccie ha disfatte,

od impresse d'un morso la sua gola,

o lasciò le sue labbra più scarlatte,

ella è pur sempre quella che va sola.

[143]

Sonetti

[145]

ROSSO E NERO

[147]

NO

Sillaba sola che vibrando scocchi

come freccia dall'arco dell'orgoglio,

teso a colpir colui che impone: — Voglio!

se il desiderio in ira gli trabocchi.

Sfida ed arma sì accesa dentro gli occhi

di lampi di rivolta e di cordoglio,

da ricondur, di tracotanza spoglio,

l'uomo a implorare, curvo in sui ginocchi.

Superbia pura della carne impura,

potenza della debolezza, grido

ch'è di vittoria e sembra di paura!

Grido che il cuor segreto in sè smentì,

timido lamentando: — O amore infido,

era più dolce sospirarti: — Sì.

[148]

SE VOI MORISTE

Se voi moriste, io non verrei con mani

colme di freschi fiori a dirvi addio,

chè, per voi vivo, nel giardino mio

troppi già io ne colsi e troppo vani.

Io guardinga verrei, forse, il domani,

con dentro gli occhi un cupo folgorio,

a indagar come quel sonno d'oblio

il vostro altero volto trasumani.

M'indugerei, assorta in atto, china

sopra il corpo raccolto nel sudario,

sul pallor della faccia resupina.

E m'attrarrebbe ancor, quanto la magica

luce de' vostri sguardi d'avversario,

quella inconscia di sè maschera tragica.

[149]

CRUDELTÀ

Tutte le donne che attrarrà la fresca

tua bocca, come un saporoso frutto,

lamenteranno il lor bene distrutto

dalla dolcezza folle che le adesca.

Tu sai foggiar del tuo bel riso un'esca

abile a trascinar fra inganno e lutto

qualche cuor che arderà, brucerà tutto

prima che il tuo a intepidir rïesca.

Maestro in crudeltà, fanciullo bello,

sei pure, così dolce nella sfida,

così fiero di colpi nel duello.

Lusinghevole in trar fra le tue spire

quella che voglia piangere ma rida,

per trastullarti con il suo soffrire.

[150]

LA PAROLA

Tu m'osservi: — È sì dolce quando tace

la tua bocca, se ride così arguta.

Ma perchè quando parla si trasmuta

ed è più amara quanto più loquace?

Sol fatta di silenzio è la mia pace,

vigila il cuore se la bocca è muta.

Se parla, in suono, in voce, va sperduta

quell'intima armonia che in me ti piace.

La parola è un potere vïolento

che mi strappa una parte di me stessa

e la disperde, come piuma al vento.

Io vorrei, pur con bocca taciturna,

veder l'anima mia in te riflessa,

sentirmi chiusa in te come in un'urna.

[151]

IL DESTINO

La donna, con il volto fra le mani,

nell'ombra di sua gran chioma raccolto,

pensa: — Avrò ancora il mio nome e il mio volto

fra un anno, oppur fra dieci anni, o domani?

Darò la carne quasi fatta a brani

a un figlio ancor nel suo mister sepolto,

o isterilita, l'offrirò allo stolto

desìo, all'arsura de' piaceri insani?

Fragile donna, ella non sa, non vuole,

non dispera: l'ignoto è un grande peso

sul suo piccolo cuor che non si duole.

È il suo destino orribilmente bello,

sempre a un filo esilissimo sospeso:

a un filo tenue come un suo capello.

[153]

UN RITORNO

[155]

I.

Simili a sonaglietti aspri, dal vento

scossi, o da mani assai lievi di gnomi,

trillano i grilli, immersi negli aromi

del prato, il loro ridere d'argento.

A me che torno, trangugiando un lento

veleno: amaro di disdegni indomi,

dicon saluti e mi rivolgon nomi

teneri, con il lor piccolo accento.

— Folle sorella, ben ritorni a noi,

ma quello che cercasti fra la gente,

per terra e per mare, lo trovasti poi?

Io non posso rispondere, o non so;

mi butterei fra i timi acri e le mente

per soffocarvi un disperato: — No!

[156]

II.

Rispondere non so, tanto son stanca,

ma vorrei dire: — Andar, restar, che vale?

Seco ha ognuno il suo bene ed il suo male,

lo scorta il bene e il male gli si abbranca.

Meglio forse sostar, chè più s'affranca

dal duol chi sogna in una pace eguale,

di chi poc'ombra con molt'armi assale

e più la insegue quanto più gli manca.

Ma ai notturni cantori poco assai

giovano insegnamenti di parole,

già qualcuno stupì: — Che pensi mai?

Taccio e m'appar fra l'ombra alta lassù

la buona casa, che con me si duole:

— Da tanto aspetto. Non tornavi più!

[157]

III.

Da tanto aspetto! E dimmi ora: — Dov'eri?

In abbandono la tua vecchia casa

contava i giorni, da gran buio invasa,

e sempre l'oggi somigliava all'ieri.

V'eran nei nidi rondinotti neri,

e già volaron via per la cimasa,

la messe ne' tuoi campi già fu rasa

e il lor frutto già dettero i poderi.

Solo la vigna ancor non si spogliò,

molti grappoli dolci essa matura

per la sete che ancora ti restò.

E anch'io rimango, fra i tuoi pini, qui,

a consolar la tua anima oscura

per la gioia che ancora ti sfuggì.

[158]

IV.

Ed io mi seggo sopra i suoi gradini,

come raccolta presso i piè di un'ava.

Narro sommessa: — Ieri io trascinava

il mio mal per insoliti cammini,

a piedi nudi, sotto i più turchini

cieli, su sabbia calda come lava,

rendendo quasi l'anima mia cava

per accogliervi i suoni più divini.

Cantava il mar con lunghe voci a me

su l'onda rotta in pallide corone

che va e che viene e non si sa il perchè.

Più spesso m'esortava aspro: — A che mai

tu scruti la mia immane passïone

e quella breve del tuo cuor non sai?

[159]

V.

E all'orizzonte s'indugiavan vele

quasi sospese fra due cieli chiari,

quasi sommerse fra due calmi mari,

tese, come all'amore anime anele.

Le feriva un ardor quasi crudele

di sole basso, un saettar di rari

dardi diritti d'un fulgor di fari

spruzzava d'oro le lor bianche tele.

Poi le colmava l'ombra di non so

che molli fiori, e mentre una spariva,

scorgevasi ancor l'altra or sì, or no.

Pareva ognuna un'anima che va,

dopo un amor che la rïarse viva,

a smarrirsi in sua fredda libertà.

[161]

ABBANDONI

[163]

UN INGANNO

Poi ch'io concessi un'ora alle tue braccia

l'illusïone di serrarmi intera,

non gioirne. Dell'ora menzognera

il molle riso dal ricordo scaccia.

Io non vidi il pallor della tua faccia.

Un altro volto dentro gli occhi m'era,

diceva un'altra voce la preghiera

lunga in cui par che l'anima si sfaccia.

Non eri tu, ma un altro era. Il lontano.

Io sentii nella tua bocca i suoi baci,

le sue carezze sotto la tua mano.

E soffersi fremendo un muto affanno,

ma tu, fiso nei miei occhi mendaci,

gioisti senza sospettar l'inganno.

[164]

UNA DEDIZIONE

Cómpiasi dunque ciò ch'è ne' tuoi voti.

Io cedo, m'abbandono, m'annïento:

tu, come impetüosa ala di vento,

m'investi, mi travolgi, mi riscuoti.

Voglio che la vertigine mi ruoti

a torno a torno con fulgor di cento

faci e la voluttà folle un momento

m'arda, mi strugga sui suoi roghi ignoti.

Più non m'apparterrò. Sarò la cosa

chiusa nel pugno del dominatore,

pel bene ch'egli spera e il mal ch'egli osa.

Ma, calmata l'angoscia dei desii

torbidi, tu, se non vuoi farmi orrore,

fuggi, e il tuo volto ed il tuo nome io oblii.

[165]

È TARDI

È tardi ormai. In troppo lunga attesa

mi sono esausta. Imagini mendaci

a forza e in solitudine m'han presa,

hanno imposto al mio cuore avido: — Taci!

S'avvinghiarono a me quando protesa

chiedevo amor con muti occhi voraci,

sognando di morir senza difesa

sotto furie implacabili di baci.

È tardi. Torna vana ogni follìa

per chi tutte le finse, a farsi lievi

i giorni della sua malinconia.

T'accendesti di larve. Or più non ardi,

Desiderio. Al buon fonte più non bevi.

Ti sazïasti di menzogne. È tardi.

[167]

SOLILOQUÎ

[169]

VAGABONDAGGI

Vagar pel mondo, sole, ove ci spinga

il capriccio del giorno o del momento,

talor cagiona qualche smarrimento

ma l'inquieta fantasìa lusinga,

benchè curiosità spii la raminga

e la tedi con suo sciocco comento,

benchè, se un volto osservi ella fra cento,

tosto una brama questo esprima o finga.

Donna che un po' di gioia si procaccia

peregrinando sola, per la gente

da bene corre di venture a caccia.

Qualche stolto che preda si presume

viene a tiro. Ma passa ella e non sente,

non vede. Guarda d'una stella il lume.

[170]

L'ALTRO VOLTO

Oltre lo schermo d'una lastra tersa

m'interroga, mi scruta l'altro volto,

e muta io indago lo stupor raccolto

ch'esso dagli occhi troppo grandi versa.

Da tempo, sempre egual, sempre diversa,

o taciturna, io ti conosco, io ascolto

il tuo pensiero vigile, da molto

tempo il mio sguardo con il tuo conversa.

Tu, chiusa nello specchio, mi somigli,

sei forse un'altra me, ma sempre come

una straniera, tu mi meravigli.

Nuova mi resti e spesso tu, con tale

pallor mi fissi in densa ombra di chiome,

ch'io ti chiedo: — Chi sei? Qual'è il tuo male?

[171]

LA CURIOSITÀ

S'ama talor per folle passïone,

più spesso per curiosità d'amore,

per guardar da vicino il tentatore

riso sottil della seduzïone.

Il desiderio instabile ora impone

impeto cieco, or languido torpore.

Ma la curiosità viva è migliore

incitatrice: essa ha più certo sprone.

Punge, e colei che a qualche amore stolto

di sè darebbe, per prudenza, un poco,

curiosità sospinge a ceder molto.

Cede vigile prima e cauta dona

la curïosa, e poi ch'è nuovo il gioco

e dolce l'imparar, vi s'abbandona.

[173]

COMMIATO

[175]

LA MIA VOCE

La mia voce non ha rombo di mare

o d'echi alti tra fughe di colonne:

ma il susurro che par fruscìo di gonne

con cui si narran feminili gare.

Io non volli cantar, volli parlare,

e dir cose di me, di tante donne

cui molti desideri urgon l'insonne

cuore e lascian con labbra un poco amare.

E amara è pur la mia voce talvolta,

quasi vi tremi un riso d'ironia,

più pungente a chi parla che a chi ascolta.

Come quando a un'amica si confida

qualche segreto di malinconia

e si ha paura ch'ella ne sorrida.

[177]

Le Vergini Folli

[179]

ANIME

[181]

sorelle...

Sorelle, io errava taciti sentieri,

scuri or nell'ombra ed or chiari nel sole,

quando fanciulle in bianche lunghe stole

m'accostaron coi lor passi leggieri.

Chi avea negli occhi trepidi pensieri,

chi labbra vaghe di leggiadre fole.

A me ciascuna bisbigliò parole

caute, svelando tenui misteri.

Pareva ognuna un fiore di giunchiglia,

uno stel di ligustro o di giaggiolo,

e s'atteggiaron tutte a meraviglia

poi ch'io: — Non so se buon destin vi manda —

risposi. — A ognuna il suo segreto involo:

ch'io ven sappia foggiar degna ghirlanda.

[182]

le più lodate

E le esaltai: — Lodate voi, Sorelle,

dal puro giglio fra le pure mani,

simili a incerti albori antelucani

nell'ondeggiar delle figure snelle.

Lodate voi, dagli occhi di gazzelle

dolci, che un raggio abbaglierà domani,

attonite a un fiorir di cuori umani

come di rose in primavere belle.

Ma più lodate voi, cui brilla al ciglio

tremor di pianto, e voi che del più amaro

sangue del cuor battezzerete il giglio.

Più lodata colei che avrà premuto

nell'anima il singulto e il sogno caro

sola, nell'ombra del suo duolo muto.

[183]

colei che tace

Allora io vidi alcuna alzare il dito

al labbro ed implorar con occhi mesti.

Onde: — Sorella, — io l'ammonii, — con questi

miei detti io forse un duolo oscuro irrito.

Ma non ti turbi s'anche paia ardito

il mio parlar. Ben più te ne dorresti

s'io mascherassi sotto gaie vesti

l'aspro mal ch'ogni gioia ci ha rapito.

La voce mia la persuase a un riso

lievissimo d'assenso. La sua diaccia

mano mi porse reclinando il viso.

— Sorella, — disse, — d'uopo è pur celarla

questa ferita. È ben che occulta io giaccia:

ma tu, per quel ch'io tacqui e piansi, parla.

[184]

colei che dispera

E parve un'altra uscir da un suo stupore

di febbre, per pregar con voce spenta:

— Anche per me tu parla. Ch'io risenta

arder la voluttà del mio dolore,

ch'io ascolti, pel tuo labbro evocatore,

tremar questo desìo che mi tormenta,

pianger la passione che sgomenta

mi trasse a invidiar chi amando muore.

— O disperata, a te sia pace. Oblia! —

Io le invocai pietosamente. Ed ella:

— Oblio cercando incontrerò Follia.

Io baciai le sue mani e la figura

esile sparve, come fra le anella

di un gorgo nero, in sua capigliatura.

[185]

il sereno canto

Ma bionde treccie fulsero nel sole

in serpentini avvolgimenti d'oro.

Tinnule voci squillarono in coro:

— Qui regna giovinezza e chi si duole?

Sembravano fiorir da intatte aiuole

queste, recando un candido tesoro

nel cavo delle palme. I polsi loro

venavan quasi tenere viole.

Fecer corona di lor rosee braccia

e cantarono insieme: — Amare, amare!

Parean volar del sogno in su la traccia.

Quand'una m'accennò ridendo: — Vieni!

io negai, fisa al suo sguardo di mare.

Non eran gli occhi miei tanto sereni.

[186]

ignare

Io mi ritrassi all'ombra d'un abete

e al tronco scabro m'appoggiai, rivolta

ad osservar quella leggiadra accolta

aprir del cuor le dolci ali segrete.

Avean movenze sì agili e discrete

ch'ogni grazia pareva in lor raccolta.

E poi che venner gaie alla mia volta,

le interrogai: — Perchè d'amar chiedete?

Sorriser tutte come a un sol richiamo,

ed una disse: — Lieta cosa è amare,

e se una gioia è amor, noi l'invochiamo.

Io insinuai: — Amore mente, affanna...

Sciamaron via e risero le Ignare

gridando: — Ah taci! È bello anche se inganna!

[187]

la rinunzia

Ma quelle che già dissero pensose

alla Rinunzia: — Avvolgimi in tuo velo, —

fiorian dall'ombre, come l'asfodelo

dai laghi immoti che le sponde han rôse.

Fu forse il sogno a inanellarle spose?

O l'errore, o il timore, o uno sfacelo

d'illusioni, o un bacio aspro di gelo

al — no — perenne il labbro lor compose?

Videro il mio pensier su la mia fronte

esse, e mi cinser con un mormorare

lene d'acqua che sgorghi dalla fonte.

— A che dischiudi suggellate porte?

Ci è sì dolce in quest'ombra dileguare...

Non è più vita e non è ancora morte.

[188]

la fedeltà

— La nostra è morte in vita, — allor sommesso

gemette un lagno d'accorata voce.

Con le mani sul sen foggiate a croce

veniano altre, e con sì stanco incesso!

Venian quelle cui fu tutto promesso,

cui tutto in fior mietè la falce atroce,

bianche tra i veli, sotto il lor precoce

lutto, spiando l'ombra d'un cipresso.

E le vergini vedove, le spose

senza nozze, le sacre a una memoria

d'amore, le fedeli dolorose

sfilarono, funerea teoria,

in attitudin di pietà scultoria,

goccia a goccia gustando l'agonia.

[189]

per amore

Tanto più gaudiose innanzi agli occhi,

tristi tuttor, m'apparvero le Amate,

in tal figura d'anime beate

ch'io me n'estasiai, muta, a ginocchi.

— Questo fervor ch'è in noi sembra trabocchi,

ne accenda, quasi lucciole d'estate.

Più non risplendon torcie in sacre arcate

che i nostri cuori da tal fiamma tocchi.

Ed erano i lor detti luminosi,

e i sorrisi e le fronti e gli occhi loro

sì, ch'io parlando il volto mi nascosi.

— Cantate tutti i canti verginali —

dissi. — Già scende Amor con ali d'oro

a celebrar con voi i suoi sponsali.

[190]

disdegno

Allor s'udì concorde tintinnare

d'un lungo riso l'eco del vicino

bosco. Ciascuna un gelo repentino

lungo le vene si sentì guizzare.

Parea vibrante d'ironie amare,

freddo di sdegni il riso cristallino.

Ripigliaron le Amate il lor cammino,

ma un dubbio errava su le fronti chiare.

L'ombra io esplorai. Sorpresi le ridenti

disdegnose riunite a' piè d'un faggio,

intente ad intrecciar fiori e comenti.

Le udii: — Di un'aspra schiavitù si vanta

quel folle stuolo. Il nostro cuor più saggio,

ebro di libertà, ilare canta.

[191]

mistiche

Simili a gru, migranti ad oriente,

trasvolavan le Mistiche, in sì mite,

in sì celestial sogno rapite,

ch'ogni atto lor ne sorridea eloquente.

Del passato obliose, del presente

inconscie, già viventi delle vite

serafiche, già assunte alle infinite

promesse, il cui promettitor non mente.

Già le fronti raggianti, quasi incluse

nell'aureola. Già le lunghe ciglia,

quasi abbagliate dal fulgor, socchiuse.

Già presso al limitar della vallea

sacra, ove il re in clamide vermiglia

dirà a ciascuna: — Veni Sponsa mea.

[192]

pellegrine

Come romei rivolti a' luoghi santi,

sopraggiungean nuove pellegrine,

ma simili a Valchirie ed a regine

nel fiero ardor de' bei volti sognanti.

Fissavan gli occhi e i desideri avanti

lungo un raggio ascendente senza fine.

Corone su le fronti alabastrine

parean portar, corazze sotto i manti.

Quella io accostai che meno assorta andava,

e una stella additò essa al mio sguardo,

incastonata nella volta cava.

— Alta è la mèta e il dubbio ci sconforta, —

sorrise. — Ma il voler sprona gagliardo.

Lungo è il cammin, ma vigile la scorta.

[193]

l'invocazione

— O bianche pellegrine, m'accogliete

nel vostro stuol. Se un male o una follìa

dal mio cammino arido mi svia,

voi saggie guide a stolto cuor sarete.

Alacri ha il sogno l'ali. Irrequiete

ma ben fiacche il voler. La lunga via

deserta io temo. Anela ad ogni ombria

mi fa sostare insaziata sete.

Indugiarono a udir la mia preghiera

le pellegrine, e con un parco gesto

mi ammiser nella loro esigua schiera.

Ond'io seguii le mie suore novelle,

cercando in cielo con fervor ridesto

il mio fior d'oro tra un fiorir di stelle.

[195]

SPIRAGLI

[197]

il convento

Accoccolato a' piè della collina

s'assopiva sereno il buon convento:

noi no, chè dentro il suo cuor sonnolento

eravam come rondini a mattina.

Susurri e cinguettii l'ombra azzurrina

degli alti muri confidava al vento

quando, raccolto fra le palme il mento,

obliavam la paziente trina.

E chi aguzzava sguardi e fantasia

a spiar se giungesse il cavaliere

rapitore per qualche incerta via.

Foggiava ognuna a sè la finzione

più bella, e tutte con dita leggiere,

tesseansi ori o fiori di corone.

[198]

il risveglio

Gli occhi tu apristi in una buia sera

afferrata da un torbido sgomento,

mentre il viale di tigli del convento

piegava urlando sotto la bufera.

Quasi un'anima nuova, prigioniera

in te, gemeva un fievole lamento,

si lagnava d'un male ignoto e lento,

e un gran pianto piangea la notte nera.

Su le bianche dormenti la fiammella

vegliava, come un occhio appassionato

sotto una fronte virilmente bella.

L'adolescente in quel fulgor s'affise

marmorea, ostil. Poi, l'angelo svegliato

raccolse l'ali e al sogno umano rise.

[199]

il mistero

Al suo convento la novella sposa

tornata un'ora, fra le giovinette

compagne d'ieri, garrula sedette,

franca nel gesto e nel narrar scherzosa.

Ella pareva la corolla ch'osa

sbocciar precoce e sola fra le vette

dell'albero e turbar le timidette

sorelle, chiuse in lor grazia ritrosa.

Sì che ognuna nel suo intimo cuore

tremava, riguardandola, d'un senso

vago di meraviglia e di timore.

E poi ch'ella partì, nel monastero

s'effuse, tra l'usato aulir d'incenso,

lo stupore confuso d'un mistero.

[200]

notturno

Ma tu non odi un timido picchiare,

un ticchetto tenue a' tuoi vetri?

Ascolta un poco: alcuno par che impetri,

e fuori è buio, e le stelle son rare.

Tutte han varcato le rondini il mare,

chè temon dell'inverno i giorni tetri.

Questa, innanzi che il gel tutta l'impietri,

cerca rifugio: essa non può emigrare.

Essa è ferita, e il sangue si raggruma

goccia a goccia sul suo piccolo cuore,

e il sangue è rosso fra la bruna piuma.

Socchiudi: fuori infuria la bufera,

ma presso a te che morbido tepore...

Ah! tu non apri, e la notte è sì nera...

[201]

il pianto

Il pianto è la benefica rugiada

che nell'ombra ogni nuova anima irrora.

Gioia amara di quella che s'accora

viatrice solinga in buia strada.

Quando sul suo cammin non mai dirada

la notte nè il timor, s'attarda un'ora

la pellegrina e geme, e geme ancora

fin che la sua più ardente stilla cada.

Raccoglie allor le sue forze smarrite

e prosegue. Dal ciel pendono mute

le stelle, come lacrime impietrite.

Sola prosegue, col suo cuore solo.

Nè sa se le sue lacrime sperdute

daranno un fior d'amore o un fior di duolo.

[202]

l'ombra

L'ombra furtiva, quasi in sè rattratta,

che sta in agguato su la nostra porta,

è pronta a ingigantir se resa accorta

che il terror de' suoi biechi occhi ci abbatta.

Cupida allora dal suo covo scatta,

assale, incalza, è pungolo ed è scorta,

fin che in ignoti bui l'anima porta

per fosche vie immemore, disfatta.

Paura del futuro, ombra che assalta

colei ch'è sola, se acuì la vista

per fissare una stella in ciel tropp'alta.

Ombra che il voi d'ogni baldanza arresta,

l'ignorar chi sarà e pur se esista

il fido cuor su cui poggiar la testa.

[203]

vigilia

Grava su te, o insonne cuore, l'arco

pensoso di tua bianca ultima notte:

corta vigilia che il mistero inghiotte

giungendo, ora per ora, a estremo varco.

Tace ogni sogno e ascolta oppresso, carco

d'un confuso timor, le ininterrotte

voci dell'ombra, le parole rotte

forse da un dubbio, l'ammonire parco.

Nessuna ti racqueta o t'assicura,

anima sbigottita, cuore pieno

d'ansia, che aspetti ad una soglia oscura.

Nessuna sa. Tu sola saprai tutto:

se nèttare, se cenere, o veleno

t'offra la vita in suo supremo frutto.

[204]

il silenzio

Ogni pensosa vergine si cinge

del suo silenzio, come d'un velario,

e d'ombre un ondeggiar tenue e vario

con fantasia sottile vi dipinge.

O vi s'impietra, irrigidita sfinge

in muto enigma. O al suo cuor solitario

ne tesse inviolabile sudario,

fra aròmati d'oblio ve lo costringe.

Grave è il sudario del silenzio, e il cuore

che vi si avvolge desiosamente

più non si desta da quel suo sopore.

Pur, se a scoprirlo, con ben caute dita,

ella s'attenti, ancor vede il dormente

gemere sangue dalla sua ferita.

[205]

sera di vento

Dolce salire nella chiara sera,

sola col vento che m'abbraccia, folle

più d'ogni amor, la strada erta del colle

fra un presagio lontan di primavera.

Dolce, s'io pur di un'ironia leggiera

mi punga, come chi desto da un molle

sogno, se quasi già doler si volle,

ride di sua stoltezza passeggiera.

O breve inganno, io ben di te mi spoglio.

Fatta serena, del destino il gioco

senza umiltà io seguo e senza orgoglio.

Ma mi figuro d'avanzar guardinga

e curiosa, per gioir fra poco

d'altra menzogna bella di lusinga.

[206]

un'amarezza

Quell'amarezza fu senza parola:

ma l'assenzio ed il fiele ed il veleno,

tutto ciò ch'è più amaro, dal mio seno

saliva gorgogliando alla mia gola.

L'angoscia che nessun bene consola

più non mi urgeva. Sol d'amaro pieno

era il mio sangue, nè veniva meno

in me quell'onda lenta eguale sola.

M'ammorbava il palato il suo sapore,

n'esalava il disgusto la mia voce,

come l'acredin d'un malvagio fiore.

Pure, un mio riso ritrovai ancora:

quel riso d'un amaro tanto atroce

che stride in bocca e l'anima divora.

[207]

la malinconia

Dentro le vene la malinconia

s'insinua, ed è un morbo sonnolento

cui giova non trovar medicamento,

uno stupor di morbida follìa.

Il desiderio più tenace svia,

smemora del più intenso sentimento,

quasi vapori un greve incantamento

d'oppio, in cui goda più chi più s'oblia.

Essa è come un giaciglio, ove un'inerte

stanchezza ci abbandoni svigorite,

con le treccie disciolte e a braccia aperte.

Ed ha il torpor d'alcune notti estive,

in cui ci s'addormenta indolenzite

dallo spasimo oscuro d'esser vive.

[208]

al sonno

Sonno soave, il tuo suggello nero

sopra l'aride palpebre m'imprimi.

Sosta a lungo su me, tu che sopprimi

tedio di vita e male di pensiero.

Fasciami di torpor, se il tuo mistero

non ha asprezza d'aneliti che limi,

se i più dolenti s'inabissan primi

nel nulla d'un morire passeggiero.

Non darmi sogni; lasciami in letargo

giacer, con le tue dita sui miei cigli,

sotto il tepor del tuo mantello largo.

Se puoi, le dita sui miei occhi tieni

fin che il Signore mio giunga e bisbigli

al mio orecchio: — È l'aurora. Alzati e vieni!

[209]

creta indocile

Mi foggiò la natura in una creta

indocile, e la vita non mi vide

materia inerte fra sue mani infide,

del suo pollice al solco mansueta.

Perchè la vita sembra un fine esteta

cui una strana fantasia sorride:

ora l'opera plasma, liscia, incide;

contr'essa or s'accanisce, ed or s'acqueta.

Buona sorte ha per sè chi, ammasso informe,

a' suoi bizzarri spiriti s'adatta,

sopporta oppresso ed obliato dorme.

Folle chi i nervi a più sentire affina,

vigila, freme, ad ogni colpo scatta

ed inerme a difendersi s'ostina.

[211]

IL SIGNORE

[213]

catene

Signore, tu venisti con catene

pesanti, come un despota. Sapevi

ch'io invocavo per me quelle sì grevi

che lunga impronta il polso ne mantiene.

— Signore, — io allor ti dissi, — un qualche bene

per questa dura servitù mi devi.

E un riso schernitore tu ridevi,

come chi vuol negar, ma si trattiene.

Già m'avvinceva e mi turbava l'ombra

dinanzi a cui la fuga è salutare,

tanto di dubbi e di viltà c'ingombra.

Ma io le spalle per fuggir non volsi,

il despota affrontai, vidi cerchiare

di sue catene i miei febbrili polsi.

[214]

il male

S'appiatta, a guisa d'aspide che dorme,

dentro il più tortuoso penetrale

del cuore, questo immedicabil male,

lo soffoca talor, incubo enorme.

V'imprime gravi e oscure le sue orme,

sigle roventi del dolor vitale,

che il calmo orgoglio del voler non vale

a cancellar con le sue fredde norme.

Se lo lambisce con insidiosa

lingua, v'incita l'anelare muto

che invan dissimulato arde e non posa.

Ma, se lo morde, il cuor ch'è solo grida

ad invocar perdutamente aiuto,

perchè il mal violento non lo uccida.

[215]

spirito ostile

Io vi parlai con l'orgogliosa asprezza

che quasi svela una nemica fiera.

Pur s'appagava un desiderio, ed era

pur quello un lungo sogno di dolcezza.

L'ora più grave certo non s'apprezza;

non s'annunzia quest'ora, passeggiera

del bene, oppur del male messaggera;

sorprende l'urto che non s'ode e spezza.

Nè mentiva il mio accento di disdegno.

Spirito ostile, cruda ragione

io in voi conobbi a qualche occulto segno.

L'anima si slanciò con ali pronte

sospinta da sua mala illusione:

ma urtò nel marmo d'una chiusa fronte.

[216]

ebrezza

Tenace cuor, le tue forze non dome,

nè fatte già da assiduo impero ignave,

in te risorgono, ribellate schiave,

che alla tempesta scuotono le chiome.

Torbido mal t'opprime e t'arde, come

suggel di passione troppo grave;

ma l'ami; esso è quasi l'aspra chiave

d'una tua ebrezza, cui non so dar nome:

Soffrir con gioia. Respirar la vita

in sussulti d'angoscia. Lacerare

senza pietà la propria ferita.

E più goder di questo estremo affanno:

che le tue grida tanto ardenti e amare

a chi ti strazia mai non giungeranno.

[217]

in cammino

Io seguo il mio cammin, cieca, a tentone,

e so che molte e incerte son le mète.

Nè, restio, la man voi mi porgete

che mi guidi a trovar salvazione.

E m'è d'uopo, con vana finzione,

ancor dissimular l'ansie segrete

del mio fatale andare, e l'acre sete

che la fredda ragion vostra m'impone.

Nè io men dolgo. Spirito diverso

da quel che vi consiglia io non vi voglio:

mi ammalia ciò ch'è in voi saggio e perverso.

Mi piace avervi a mio avversario forte,

e per voi che sferzate aspro il mio orgoglio

di passione impallidire a morte.

[218]

rammarico

Il rammarico oscuro che m'accascia,

io lo ritorco contro me in pungenti

sarcasmi, e sferzo di ragionamenti

ironici la mia arida ambascia.

Ma un solco vivo ciascun scherno lascia

dove i suoi colpi insiston violenti.

Sen duol con malinconici lamenti

quei che il duro voler urta e non sfascia.

Tristemente si duole: — A che sogghigni?

Più tu ti senti miserabil cosa,

più t'affanni a ostentar sdegni maligni.

Ecco: ora piangi, sfatta d'umiltà,

or s'avvilisce l'anima orgogliosa

ch'altro destar non seppe che pietà.

[219]

gioco di sguardi

Gioco di sguardi è cosa tanto vaga

e al vostro vano ardir piacevol cosa.

Ma questa inferma anima, se l'osa,

vi si strugge in contesa e non s'appaga.

Simile io sono a chi cela una piaga

ma l'accusa con fronte dolorosa,

e trattiene coi denti senza posa

il tremor che in sue vene si propaga.

Voi sembrate colui che si compiace

spiando in volto ad un febbricitante

i segni d'un sottil morbo vorace.

E gode a udir su quelle labbra amare,

arse dallo stupore delirante,

un solo nome, il suo nome tornare.

[220]

l'imagine

Come perisce preziosa istoria

se fiamma assai sue miniate pagine,

così s'offusca, spar la vostra imagine

rôsa dal muto ardor della memoria.

D'altri ricordi la già vecchia scoria

vi dirama un'inutile propagine,

pure è impotente la più assorta indagine

a trovarvi una vostra ombra illusoria.

Io v'ho smarrito per fervor soverchio

di ritenervi. Il cuor vi sa; v'oblia

la mente, chiusa in troppo breve cerchio.

Ond'io vi cerco e non vi vedo. Ascolto

parlar di voi, di voi l'anima mia

e più non trovo il dileguato volto.

[221]

anima errante

Se il mio signore segue la sua via

con cuore assorto o con sereno volto,

sol con sè solo crede andar, raccolto

nel suo pensier, senz'altra compagnia.

Ed ei non vede alcuno che lo spia,

passo passo, alla sua mèta rivolto,

alcun che sta del suo cuore in ascolto

e gli parla con tenera follia.

Ecco: al suo piede un'ombra or lunga or breve

accanto o dietro o innanzi a lui cammina,

nè mai la stanca quel suo andar sì lieve.

Essa è colei che troppo sola muore,

è la notturna anima pellegrina

che persegue il suo sogno ed il suo amore.

[222]

lamento vano

Piccolo cuore folle, a che ti lagni?

Tu che sfidavi a prova la tortura

più cruda, or soffri di poc'ansia oscura,

lasci che vano affanno ti guadagni.

Il male che ti tien sotto grifagni

artigli, come sua preda sicura,

t'avvilisce così che la paura

e il dubbio ormai ti son soli compagni.

Ora tu sai che non disseta il duolo,

sai che a quetare il tuo lagno furtivo

ti basterebbe un piccol bene, un solo.

E piangi, curvo su la tua ferita,

e invano tenti saziar nel vivo

suo sangue la tua sete aspra di vita.

[223]

un desiderio

Piangere piano piano, con la faccia

contro la vostra spalla io vorrei bene,

come una bimba che più non sostiene

il segreto che l'arde e che l'agghiaccia,

ma restare così finch'io mi taccia

nella vaga atonìa d'un sonno lene,

finchè il maligno incanto che mi tiene

si smaghi e in me non ne rimanga traccia.

Il cuore io sentirei farmisi immoto,

vanire leggermente entro il mio seno

e lasciar dove pesa un nero vuoto.

Dolce allor mi sarebbe d'improvviso

ritrovar il mio spirito sereno,

rialzarmi e fuggir, squillando un riso.

[224]

una preghiera

La pietà del silenzio io solo imploro,

freddo spirto, da voi, cui fu gradita

vista l'aprirsi della mia ferita,

cui piacque un dolorar senza ristoro.

Certo il riso sottil, ch'io non ignoro,

a un prudente tacer me pure incita;

ma è l'aspra gioia di mia chiusa vita

spargerne al vento l'unico tesoro.

Morbosa voluttà in cui s'umilia

ogni baldanza, in cui oggi più duole

la pena già sopita alla vigilia.

Ben io vorrei, ma il desiderio è folle,

esacerbar di mie vane parole

tanto come chi amò, chi amar non volle.

[225]

la mèta fallace

Chiusa è la casa dov'io giungo alfine,

spossata dall'asprezza ardua dell'erta.

Ai cardini s'abbrancano le spine,

la casa è chiusa e la soglia è deserta.

Par ch'essa punga d'un suo muto e fine

sdegno chi sta fra timida ed incerta,

col petto ansante e con le ciglia chine,

e che del folle suo inganno l'avverta.

Che val sostare? Anima mia, che vale

piangere con la bocca sul gradino

dove si posa il piede di chi sale?

Che val chiamar chi è sordo o non ascolta?

A ritroso facciam ora il cammino...

Non tremare così, anima stolta.

[227]

PROFILI

[229]

le oscure

Negli angoli discreti degli altari

scorron corone fra le dita snelle

figure curve come vecchierelle,

cui lumeggian di scorcio i lampadari.

Tutte han gli stessi movimenti rari,

gli stessi volti scarni di zitelle.

Si salutan con occhi di sorelle,

cercando un riso in fondo ai cuori amari.

Sembran celare con gelosa cura

il male di sentire a ogni ora farsi

più vuoti i polsi e l'anima più oscura.

E ciascuna furtiva si dilegua,

senza rumore, quasi per sottrarsi

a un dileggio sottil che la persegua.

[230]

mater inviolata

Come avvisaron suora Benedetta

che la sua dolce alunna era partita,

senza un addio a chi nella sfiorita

ombra, materno cuor, l'ebbe diletta,

ella restò a fissar la finestretta

graticolata e a torcer fra le dita

il suo rosario, un poco impallidita,

quasi in un cerchio di stupor costretta.

L'oratorio era vuoto. Fuori un volo

di rondini saliva ed ella rise

un riso bianco come il suo soggolo.

— La mia bambina volò via stamani,

sapete? — rise fievole, e s'assise:

— Ora l'aspetto, tornerà domani.

[231]

l'amico

Per noi l'amico sconosciuto vive

una sua vita tenue e profonda,

quando un bianco stupore ancor ci inonda

ma già al volo addestrammo ali furtive.

A noi con le sue risa suggestive,

lo trasse il sogno quasi a fior di un'onda,

come il cigno traeva ad Elsa bionda

Lohengrin lungo le fiorite rive.

Cavalier di leggenda, o eroe antico,

mistico sposo, ignoto fidanzato,

l'ombra di un'ombra è solo il dolce amico.

Ma è tal che sdegna un meno puro altare,

tal che la carne già desta al peccato

vede, effimero amore, dileguare.

[232]

Suora Rosaria

Suora Rosaria, bionda in velo nero,

mai sazî sguardi rivolgeva al monte

de' Capuccini e la sua liscia fronte

s'adombrava di un trepido pensiero.

Le palpebre chiudeva, in atto austero,

quasi ardesse al suo pallido orizzonte

un sogno troppo dolce, e troppo pronte

pupille ne accogliessero il mistero.

E ancora sollevando al chiostro pio

in vetta al monte le sue ciglia chiare,

ella chiedeva la sua pace a Dio.

Ma udiva dello stesso suo dolore

pianger, là in alto, a' piedi d'un altare,

chiuso nel saio, il suo perduto amore.

[233]

la sfinge

Il pensier più sagace invano indaga

la purezza di tua fronte scultoria,

turbato dalla bocca derisoria,

dagli occhi bui di maliarda maga.

Pur, questa tua seduzione vaga

di bell'enigma che ti rechi a gloria,

copre sol una oscurità illusoria

d'anima ambigua ch'ombra fredda allaga.

L'intima vanità mente a te stessa:

tu presumi l'assenza del pensiero

profondità di un'anima complessa.

E mentre un occhio osservator ti scruta

tu, certa di celar qualche mistero,

t'atteggi a sfinge impenetrata e muta.

[234]

virgo fragilis

Un languor di stanchezza io riconosco

nel volger delle tue pupille schive.

Fragil tu sei com'edera di bosco

che solo a un tronco avviticchiata vive.

Come l'acqua tu sei, che in ogni chiosco

verde si lagna e geme in fratte e in rive,

finchè tremando, giù pel greto fosco,

sposi al fiume le sue acque giulive.

Si porgono le tue docili mani,

sè stesse offrendo a una catena grave

con fervor d'umiltà nei gesti piani.

L'anima tua in fondo a' tuoi sfuggenti

occhi, saprà sorridere soave

sol quando per amare s'annienti.

[235]

tediata

Tu t'abbandoni, o pallida indolente,

nella ricca mollezza de' cuscini,

e in sonnolenta voluttà reclini

le ciglia gravi tediosamente,

quasi un'ebrezza tenue la tua mente

oziosa per strane ombre trascini,

o velino i tuoi verdi occhi felini

soporiferi aromi d'oriente.

O sei come una bella agile tigre,

che s'allunghi a giacer sotto una palma,

con sue movenze regalmente pigre.

Ma non t'insidia il serpe tentatore,

e tu per scuoter la tua uggiosa calma

ti lasceresti pur suggere il cuore.

[236]

frutti maturi

Venne al frutteto l'anima superba

cui non pur anche amore avea sorriso:

l'ombre assorte tacean, le fronde, l'erba

quasi in un orto muto dell'Eliso.

Come colei che un suo mistero serba

ella era grave. E col suo sguardo fiso,

fosco d'un velo di tristezza acerba

contrastava il languor molle del viso.

Poi ch'estate era al sommo, tra le foglie

porgea ogni frutto la sua gota rosa

alla man che carezza e che raccoglie.

Ma il più perfetto, a un tenue tremore

del ramo, cadde a' piè della Pensosa:

ella sentì cadere anche il suo cuore.

[237]

sposa bianca

Nessuno mai passò ne' tuoi capelli

fluenti la carezza di sue dita,

nè reclinò la tua faccia smarrita

a chiuder con le labbra gli occhi belli.

Ma invano amor t'ordì vaghi tranelli;

la virtù del godere ha in te esaurita

mestizia assidua. Brama non t'irrita

di spezzarne gl'immobili suggelli.

Desiderio di gioia non t'assale.

Tu custodisci un'unica dolcezza

sì intensa, che a pensarla ti fa male.

È la tua fedeltà silenziosa

rampogna a chi t'offese. A te è l'ebrezza,

la gioia nuziale, o bianca Sposa!

[238]

vendicatrice

Tu che inasprisci di superbi scherni

e strazî di freddezze noncuranti

l'uomo già altero, che t'umilia avanti

il duol dei giorni alle sue ansie eterni,

tu che il suo lungo desiderio alterni

fra viltà disperate e stolti pianti,

non sai che lacci hai con un gesto infranti,

qual vendetta tu compia non discerni.

Costui che fra le tue sottili dita

fatte artigli tu stringi, e soffre, e duolsi,

schiavo d'amor che il tuo negar più incita,

ingiustamente espìa, con una pena

cruda, il gioir di chi fragili polsi,

per suo trastullo perfido, incatena.

[239]

le deluse

Io vidi queste tendere le braccia

in vana attesa d'anime deluse,

con ciglia di febbrili ombre soffuse,

con labbra accese nell'esangue faccia.

Con quelle labbra su cui par si taccia

il gemito scorato delle accuse,

ma tremi la dolcezza che le schiuse,

quasi fiori che nuovo alito allaccia.

Le vidi premer sopra il cuor conserte

le dita e susurrargli: — O folle, taci! —

con la voce che han l'anime deserte.

E reclinare la turbata fronte,

come assetati ch'odono loquaci

rider l'acque e non trovano la fonte.

[240]

la respinta

In te fu sospettata la nemica

subdola, quella ch'arti e audacie aduna

a irretir l'ingannevole fortuna

d'amore, e nelle sue reti s'intrica.

Fosti respinta. Come una mendica

che insista nel suo chiedere, importuna,

fosti respinta. E tu ben taci: niuna

parola esiste che il tuo male dica.

Non ti fu vista la tua morte in viso.

Si rinchiuse il tuo cuor pieno di strida.

Su se stesso piegò, come un ucciso.

Pur, s'addolcì benigna la ripulsa.

Di pietà si velò la voce infida...

Come ride la tua bocca convulsa!

[241]

serena

Male s'umiliò la tua serena

fronte, o Sorella, perchè a te compose

gaia fortuna i suoi serti di rose

e ti protesse contro ogni aspra pena.

Meglio inseguir per una strada amena

le libellule a volo, flessuose,

che ricercar per ombre insidiose

il fior che dolce odora e che avvelena.

Non ti stupir se con la voce amara,

il mio folle disdegno non ripeta,

beffardo il riso di tua bocca ignara.

Più dona gioia il pueril tuo giuoco

che desiderio d'anima inquieta

morsa e bruciata dal suo stesso fuoco.

[243]

VERITÀ

[245]

peregrinando...

Peregrinando pe' sentieri umani,

tra i rivi, chiare verità raccolsi,

quando in quell'acqua io amai temprare i polsi,

sorseggiarla nel cavo delle mani.

Talora ne gustai ben acri e strani

sapori. Pure non me ne distolsi.

Dissi: — Oggi è amara, — e un poco me ne dolsi.

Poi risi: — Dolce mi parrà domani.

Buona lusinga è cara a giovinezza,

ma, per il gioco della vita forse,

l'amaro soverchiava la dolcezza.

Se una vena sottil d'acque migliori

sgorghi in cammini che il mio piè non corse,

ch'io la trovi e con gioia l'assapori.

[246]

il miraggio

Sorelle, presto dileguò il miraggio

che c'illudeva nelle notti inquete

di nostra chiusa adolescenza, a maggio,

quando l'anima ardea d'ignota sete,

e la vita annunziavasi un viaggio

meraviglioso di venture liete

e dolci e folli... Con pensier più saggio

ora guardiamo a nostre oscure mète?

Ah no! L'illusione in noi non posa,

come il rosaio, fin che primavera

dura, non cessa di fiorir la rosa.

Supremo è il bene che non giunge mai.

L'illusione incuora: — Attendi e spera.

Ma non dàn frutto steli di rosai.

[247]

gli inganni

D'inganni ha sete la natura nostra

s'anche un suo amaro diffidar la invade.

Innamorata del suo error, se cade

si solleva. S'abbatte, non si prostra.

Una lusinga sempre ancor dimostra

che un bene attende in non lontane strade,

e non addita le taglienti spade

che cozzeranno in qualche incerta giostra.

Misero, o forte, del suo dubbio stesso

il cuor che spento già si crede, aspetta,

pur dal coperchio di sua bara oppresso.

Meglio il dolor fra le sue crude spire

lo soffocasse in una sola stretta,

che agonizzare, e non saper morire.

[248]

virtù incauta

Noi ci affidiamo incautamente, forse,

alla vita sì corta e sì meschina.

Ogni bene il suo mal seco trascina

e taluna di ciò già ben s'accorse.

Contr'essa già la vita cieca torse

punte acute di scherni, e la confina

dove un gelo solingo di rovina

già la costringe in sue tenaci morse.

Solo nocque a costei l'esser migliore

di molte, e attender dal destino infido

un dono pieno ed unico d'amore.

Troppo ingenua virtù di salde tempre

ripetere a un Atteso a un Solo il grido:

— Tutto o nulla per te. Giammai o sempre.

[249]

l'ora sospesa

Questa, o Sorelle, è della nostra vita

l'ora più ricca e più vibrante. È l'ora

sospesa, in cui chi tutto brama e ignora,

su tutto il folle desiderio incita.

V'è nell'ombra un'altr'ombra che c'invita

con un sorriso sì dolce che accora.

L'anima attende in sua chiusa dimora

una promessa ancor non profferita.

Tutte le nostre facoltà son come

ali, anelanti un volo periglioso,

allo slancio già pronte e ancora indome.

L'anima nostra è un ciel raccolto in sè

che, di sue stelle al tremor radioso,

aspetta il sole, il donatore, il re.

[250]

esaltazione

Un'ora di rivolta mi flagella,

nè mai io seppi un'ora come questa,

nè mai con sensi ed anima in tempesta

mi sentii tanto forte e tanto bella.

Il marchio del mio duol si dissuggella

perch'io goda la mia più dolce festa:

mi par d'alzarmi sopra una funesta

ombra e brillar come una chiara stella.

O Vita, il piè m'è lieve e il cuor m'è forte

per salire la tua scala vermiglia

e per varcar le tue incantate porte.

Aprimi, io vengo... Ah no! Qualcun mi fissa

dalle tue soglie, ostil, con fredde ciglia

e nel mio lungo strazio m'inabissa.

[251]

l'enigma

Enigma oscuro della vita questo:

che lo straniero, ancor lunge all'aurora,

a sera, nel tremor muto di un'ora,

l'imper più dolce imponga e più funesto.

Così il fanciullo, con un piccol gesto

imprigiona la lucciola che indora

l'ombra di maggio, ed egli stesso ignora

s'ei le dirà: — Mi piaci — o: — Ti calpesto.

Enigma oscuro, che uno sol fra cento

tragga da un chiuso cuor virtù d'amore

tal, da farlo di sè quasi sgomento.

E l'indoma s'ammansi, e la superba

si faccia schiava d'un crudel signore,

nuocendo a sè, come nemica acerba.

[252]

ironia

Quando amor vuole imporre aspra catena

si compiace affinar sua tirannia

e su le ignare vittime balena

un sottile sogghigno d'ironia.

Ei fa del saggio un misero che pena

e arranca ed ansa per un'ardua via,

sopra l'orme di chi, con pari lena,

dietro altri passi, indocile, s'avvia.

— Ama chi t'ama è fatto antico — insegna

messer Francesco. Per destin talvolta

sprezziam chi ci ama e amiam chi ci disdegna.

Questi a noi porge supplicanti braccia.

Noi un altro invochiam che non ci ascolta.

E l'ironia ci ride allegra in faccia.

[253]

contrasto intimo

Dove un dolente amore si nasconde

un odio sordo quivi pur s'annida;

l'uno inasprisce di sue acerbe strida

l'altro smarrito fra mal note sponde.

L'odio superbo spesso si confonde

all'amor che s'umilia e che diffida,

poi che un'eguale passione guida

entrambi, ciechi, per sue vie profonde,

V'è in noi, forse, una martire che gode

del suo martirio, ed una prigioniera

che si rivolta e le sue corde rode.

L'una vorrebbe baciar quella mano

che contr'essa si fa sempre più fiera.

L'altra avventarle un morso disumano.

[254]

l'arte

Più che tremor di pianti trattenuti,

più che improvviso impallidir, che sguardi

gravi d'angoscia, che sorrisi tardi,

dalla pietà del proprio mal spremuti,

giovan gl'inganni blandamente astuti

di sapienza, che avvicenda ai dardi

i balsami negli occhi maliardi

e veste i lacci d'ori e di velluti.

Sincerità non val, sol arte giova.

Destreggiarsi e regnar saprà l'esperta

quando vinta cadrà l'anima nova.

L'arte non è sottil; diletta forse.

Disperde i sogni e tien gli spirti all'erta.

Facile è l'arte, dove amor non morse.

[255]

bellezza della vita

Bellezza della vita, io non ti trovo.

Pure ti cerco in me, pure ti spio

su fronti di sorelle. Ombre d'oblio

or tento ed or gelosi veli io smuovo.

Il primo balenar d'un riso nuovo

scruto, m'insinuo in qualche spirto pio,

indago ogni speranza, ogni desio,

ma a scoprirti con vana ansia mi provo.

Tu esisti forse in spiriti virili

esperti in trar da ciascun fiore ebrezza,

o in chiara gioia d'anime infantili.

Non nel nostro anelar d'anime inermi:

inquete fiamme, chiuse da saggezza

d'antiche norme fra leggiadri schermi.

[256]

l'attesa

Di questa lunga attesa che vi snerva

non vi dolete, o anime fraterne.

Dolce è ondeggiar fra le lusinghe alterne

d'un sogno che nessun vincolo asserva.

La vita, non ancor fatta proterva,

ci vezzeggia con sue grazie materne.

E un'alba fausta, forse, in sè discerne

quella che intatto un bene suo conserva.

Costei ha ancora all'arco suo la freccia

della fortuna e quella dell'amore:

cerca il suo segno e a sè corone intreccia.

Si faccian sterpi i fiori del giardino,

tragga l'arco ad un segno ingannatore.

Noi non mancammo, a noi mancò il Destino

[257]

commiato

Del suo primo esitar non va disciolta

pur sul tacersi la tentata lode,

chè, Sorelle, con duolo intimo l'ode

colei che si godea d'ombra raccolta.

Per senno scarso e per malizia molta

chi poco intende, assai sogghigna e gode.

Vigilava uno spirito custode

muto, il mister di vostra bianca accolta.

Pur, d'ogni velo fatta impaziente,

anime acerbe, macerate, rôse,

io vi snudai con mani violente.

Perdono io trovi. E se la mia parola

ghirlanda temeraria vi compose,

possa il suo ardire umiliar me sola.

[259]

INDICE

PREFAZIONE di G. A. Borgese Pag. v
 
LE SEDUZIONI 3
 
QUELLA CHE VA SOLA 5
Le seduzioni 7
Dolcezze 8
La giovinezza 9
 
CIÒ CHE FU 11
L'antico pianto 13
L'antico desiderio 14
L'antico male 15
La guarigione 16
Incertezze 17
 
NUOVI INCANTI 19
L'ingannatore 21
Occhi ignoti 22
Le nuove attese 23
 
INCITAMENTI 25
Mollezze 27
I doni 28
Avidità di vivere 29
 
INDUGI 31
Fascini 33
Al mare 34
Una mano 35
Vecchio parco 36
Perplessità 37
 
TENTAZIONI 39
Le gemme 41
La meraviglia 42
Cose maliose 43
 
ELEGANZE 45
Le essenze 47
I profumi 48
Un frutto 49
Le sete 50
 
SENSAZIONI 51
Una voce 53
La sera 54
La libertà 55
Insegnamenti 56
 
OSTILITÀ 57
Un rancore 59
Una carità 60
 
OMBRE 61
Doppio gioco 63
Gelosia 64
Un incontro 65
Una prudenza 66
 
ONDEGGIAMENTI 67
La felicità 69
Incertezze 70
Qualche amarezza 71
La rivale 72
Schermaglie 73
La menzogna 74
 
ORE FOLLI 75
Il capriccio 77
Un cuore 78
Notte 79
Chi ti vuole 80
Oblio 81
 
INQUIETUDINI 83
Seguace 85
Chi era 86
Un grido 87
 
DESIDERI 89
Vortice 91
Un addio 92
L'ignoto 93
 
INFERMITÀ 95
La crisi 97
La convalescenza 98
Pallore 99
 
VORAGINI 101
L'etèra 103
Multiforme 104
L'abisso 105
 
PROFILI 107
Un discreto 109
Un pauroso 110
 
L'INVITO 111
L'attesa 113
L'accoglienza 114
Il saluto 115
 
BELLE ISTORIE 117
I romanzi 119
Le favole 120
Il poema 121
 
VIBRAZIONI 123
Un dubbio 125
Mattini 126
Asprezze 127
 
LE LETTERE 129
Il giardino segreto 131
Lettere intime 132
Lettere rese 133
 
LA VITA 135
Dimenticare 137
Il tributo 138
I sogni 139
Il domani 140
Il desiderio 141
 
SONETTI 143
 
ROSSO E NERO 145
No 147
Se voi moriste 148
Crudeltà 149
La parola 150
Il destino 151
 
UN RITORNO 153
I 155
II 156
III 157
IV 158
V 159
 
ABBANDONI 161
Un inganno 163
Una dedizione 164
È tardi 165
 
SOLILOQUI 167
Vagabondaggi 169
L'altro volto 170
La curiosità 171
 
COMMIATO 173
La mia voce 175
 
LE VERGINI FOLLI 177
 
ANIME 179
Sorelle 181
Le più lodate 182
Colei che tace 183
Colei che dispera 184
Il sereno canto 185
Ignare 186
La rinunzia 187
La fedeltà 188
Per amore 189
Disdegno 190
Mistiche 191
Pellegrine 192
L'invocazione 193
 
SPIRAGLI 195
Il convento 197
Il risveglio 198
Il mistero 199
Notturno 200
Il pianto 201
L'ombra 202
Vigilia 203
Il silenzio 204
Sera di vento 205
Un'amarezza 206
La malinconia 207
Al sonno 208
Creta indocile 209
 
IL SIGNORE 211
Catene 213
Il male 214
Spirito ostile 215
Ebrezza 216
In cammino 217
Rammarico 218
Gioco di sguardi 219
L'imagine 220
Anima errante 221
Lamento vano 222
Un desiderio 223
Una preghiera 224
La mèta fallace 225
 
PROFILI 227
Le oscure 229
Mater inviolata 230
L'amico 231
Suor Rosaria 232
La sfinge 233
Virgo fragilis 234
Tediata 235
Frutti maturi 236
Sposa bianca 237
Vendicatrice 238
Le deluse 239
La respinta 240
Serena 241
 
VERITÀ 243
Peregrinando 245
Il miraggio 246
Gli inganni 247
Virtù incauta 248
L'ora sospesa 249
Esaltazione 250
L'enigma 251
Ironia 252
Contrasto intimo 253
L'arte 254
Bellezza della vita 255
L'attesa 256
Commiato 257

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

Copertina elaborata dal trascrittore e posta nel pubblico dominio.