The Project Gutenberg eBook of Della architettura gotica

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Title: Della architettura gotica

Author: Carlo Troya

Release date: October 28, 2019 [eBook #60588]

Language: Italian

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DELLA
ARCHITETTURA GOTICA


DELLA
ARCHITETTURA GOTICA

DISCORSO

di

CARLO TROYA


Estratto dal Giornale il Giambattista Vico.


NAPOLI
STABILIMENTO TIPOGRAFICO DEL CAV. GAETANO NOBILE
1857


[3]

DELLA ARCHITETTURA GOTICA

Io prendo a ridurre in un corpo solo ed a compendiare le cose, che ho sparsamente scritte sull'Architettura Gotica, secondo le varie occorrenze ora della mia Storia d'Italia ed ora del mio Codice Diplomatico Longobardo. Fondamento primiero d'un tale studio è il fatto da me posto in chiarezza, che i Goti altri non furono se non i discendenti de' Geti di Tracia, ricordati da Erodoto, ed indi tragittatisi di là dal Danubio nell'Europa Orientale, ove più tardi ebbero il nome anche di Daci. Ma nel presente lavoro non posso ritessere i racconti dell'infinite loro trasmigrazioni, durante il corso di nove secoli dall'età d'Erodoto, fino a quella in cui vennero in Italia gli Ostrogoti di Teodorico degli Amali, ed i Visigoti si condussero nelle Gallie Meridionali ed in Ispagna col Re loro Ataulfo. Dovrò dunque starmi contento ad alcuni fatti principalissimi, lasciando la cura di rammentare gli altri alla Tavola Cronologica, da me pubblicata fin dal 1842. Quivi s'additano e chiamansi ad esame l'autorità ed i Documenti delle mie narrazioni, onde poi diedi un Prospetto ne' Fasti Getici o Gotici.

I Documenti, accennati nell'anzidetta Tavola Cronologica, piacquero al celebratissimo Giacobbe Grimm, che tutti li riferì, e non ne omise alcuno, in un Discorso intorno a' Geti, da lui letto nel 5 marzo 1846 all'Accademia di Berlino[1]. Altro egli non v'aggiunse di nuovo fino al sesto secolo prima di Gesù Cristo, se non una citazione d'Anastasio Sinaita intorno a' Daci o Dani. Ben l'animo dovè godermi nello scorgere, che un uomo sì dotto calcasse le stesse vie, che io aveva tenute, per dimostrare l'identità de' Geti o Goti e de' Daci: ma non potei consentire alla sua opinione, che tutti costoro avessero formato un solo popolo co' Germani di Tacito, e però co' Longobardi guidati dal Re Alboino in Italia e coi Franchi tramutatisi nelle Gallie. Io non nego, che Geti o Goti e Germani vennero in principio dall'Asia, donde si partirono tutte le genti; ma già io aveva negato[2], ed or torno a negare, che i Germanii riposti da Erodoto fra' popoli agricoltori dell'antica Persia nelle [4] regioni più felici del nostro globo fossero stati, per la nuda somiglianza del nome, i progenitori de' Germani di Tacito, cotanto schivi, e per lunghi secoli, dell'agncollura ferma e stanziale. Nè credo, che quegli agresti abitatori de' rozzi e vili tugurj descritti da Tacito avessero conservato alcuna memoria dell'Architettura Orientale, allorchè di mano in mano s'andarono allargando nell'inospite selve interposte fra il Reno, il Danubio ed il Baltico. Sia stata qualunque l'età, in cui da una regione qualunque dell'Asia giunsero in questi altre volte sì paurosi spazj d'Europa gli antenati de' Germani di Tacito, egli è certo che v'inselvatichirono, e vi perdettero la rimembranza d ogni precedente lor civiltà, se pur l'ebbero: egli è certo, che tali senza niuna di queste rimembranze durarono per molti secoli, nè prima dell'ottavo penetrovvi l'aura Cristiana, per la quale, alla voce di San Bonifazio, cominciarono ad edificarsi le prime Città e ad erigersi le prime Cattedrali.

I.

Non così avvenne a' Geti o Goti, che si fermarono in Tracia e ristettero presso alle bocche del Danubio, in luoghi men lontani dall'Egitto e dall'Asia Minore. Verso l'anno 640 innanzi Gesù Cristo signoreggiò sovr'essi Zamolxi (Erodoto lo credeva più antico); erudito nell'arti d'Egitto e d'Oriente. Zamolxi, fece costruire un cenacolo, dove solea congregare gli Ottimati del popolo e tra lieti desinari predicar la Religione, che parve percorrere al Cristianesimo e che più onorò la dignità dell'uomo, sì come Religione fondata sul dogma dell'immortalità dell'anima. I Geti o Goti allora concepirono un gran dispregio della vita per la speranza d'andare a ricongiungersi con Zamolxi, accettato da essi per Dio. Morivano allegri fra' crudeli tormenti dell'esser lanciati nell'alto e fatti cadere sopra una selva di dardi ritti ad ucciderli. Chiamaronsi da indi in qua gl'Immortali: e si divisero in varie Caste. Prima tra queste fu la Sacerdotale de' Tarabosti o de' Zorabos Tereos, donde uscivano i sommi Sacerdoti ed i Re. Un altr'ordine Sacerdotale appellossi de' Pii, che con l'armonie delle Cetre concludeva i pubblici accordi e ponea fine alle guerre, vestito di candide vesti.

Coloro, i quali fondano la Storia primitiva de' popoli su' facili ed anche sugl'ingegnosi diletti dell'etimologie d'alcune pochissime voci di sempre incerto e mutabile significato, veggano se v'ha nulla di simile nella sostanza viva de' fatti Getici, e de' Germanici: e se nel settimo secolo avanti l'Era di Gesù Cristo i Germani di Tacito potessero vantarsi d'avere l'Architettura, buona o cattiva, d'un cenacolo, che fu la culla d'una Religione illustre, sebbene spietata e brutta por le sue molte superstizioni ed incantagioni; d'una Religione, ch'ebbe la sua Gerarchia ed i suoi Pontefici e le sue [5] Liturgie particolari e le sue Cetre, operatrici di grandi effetti politici. Nel 640 innanzi Gesù Cristo, niun sospetto della futura loro grandezza davano i Romani, e della gloria con cui avrebbe Traiano dopo nove altri secoli vinta una parte, una parte sola del popolo di Zamolxi.

II.

Filippo di Macedonia, padre d'Alessando, guerreggiò contro i Geti o Goti e si rivolse repentinamente contro la loro città d'Udisitana in Tracia. Ogni speranza di salute s'era perduta dagli assediati, quando si videro prorompere alla volta del Macedone i Pii, ravvolti nelle bianche vesti, e spalancar le Porte con le lor Cetre in mano, sì come narra lo Storico Dione Crisostomo[3]. A' loro concenti non aspettati s'arrestarono stupefatti gli assalitori, e non solamente Filippo concedè a' Geti la pace, ma tolse in moglie Medopa, nata dal Re loro Gotila[4]. In quell'età, già le Colonie dei Geti di Tracia erano passate ad abitare di là dal Danubio, ed aveano già costruita la città d'Elis, ove Alessandro, figliuolo di Filippo, gli assalì con breve insulto, prima di partirsi alla volta dell'Indie. Vi giunse non osservato, menando i suoi Macedoni per traverso alle biade cresciute nelle Getiche pianure: guastò e distrusse la città, ma i Geti ne fecero a capo di qualche anno una fiera vendetta, uccidendo il suo Luogotenente Zopirione, che guidava trenta mila Macedoni contro essi. Più fiera, perchè più nobile, riuscì quella che presero di Lisimaco, successor d'Alessandro nel Regno di Tracia, quando il Re de' Geti Dromiehete lo fe' prigioniero in battaglia, e, secondo il costume Zamolxiano, apprestogli splendide cene, dopo le quali e' diè al vinto Lisimaco una sua figliuola in nuora.

Tanta possanza nell'armi e modi sì squisiti di vivere, durante la pace, rivelano la Storia occulta delle conquiste de' Geti o Goti e del loro innoltrarsi gradatamente nelle vaste contrade, che s'aprono tra 'l Danubio ed il Baltico. Ignota fu alla più parte de' Greci la Storia de' progressi, che il popolo degl'Immortali di Zamolxi fece nell'Oriente d'Europa: ignota, o dissimulata da' loro Scrittori Ecateo d'Abdera, Eforo, Senofonte di Lampsaco e Filemone, per quanto può raccogliersi da' loro brevi e scarni frammenti. Ellenico di Lesbo, Platone, Timeo e Diodoro Siculi con altri non tacquero de' Geti e delle loro incantagioni: ma Teopompo li confuse con altre genti e narrò incredibili cose, quantunque avesse detto il vero, lodando le Cetre de' Pii[5]. Nel secondo secolo innanzi [6] l'Era Volgare, Posidonio rammentò l'usanze de' Getici Ctisti o Capnobati da' quali s'ebbe in onore il celibato, e si pose in opera una particolar sorta di suffumigj e di sacrificj[6]. Queste memorie di Posidonio ci furono trasmesse da Strabone, che più e meglio di qualunque altro avrebbe con la sua perspicua brevità potuto delinearci le Storie antiche de' Goti: ma da ciò per l'appunto, e con nostro grave danno, e' disse volersi rimanere[7]. Niun popolo intanto fra quelli, a' quali davasi da' Greci l'appellazione di Barbari, avea Storie più antiche e più certe di quelle de' Geti o Goti.

Alle discipline cotanto vetuste sì dell'Architettura e sì della Musica presso gl'Immortali recò grandi mutazioni Deceneo, che Strabone distingue col titolo di prestigiatore, per additare le maravigliose riforme da lui fatte appo i Geti o Goti d'oltre il Danubio, ed i suoi stabilimenti sul Sacro Monte detto de' Cogeoni. Venne dall'Egitto e dall'Oriente sì fatto prestigiatore: introdusse il culto dei Minori Dei dopo Zamolxi e degli Eroi; fabbricò in onor loro piccoli Tempj, che attestano sempre viva e fiorente la successione delle Architettoniche arti, onde a' Geti o Goti di Tracia il cenacolo di Zamolxi avea dato i lineamenti, Orientali forse, non Egizj, e che fu la sede primiera delle sue incantagioni.

Le riforme di Deceneo avvennero al tempo di Lucio Silla, quando Berebisto regnava su' Geti, allargando fuor d'ogni credere i limiti e la possanza del loro imperio. Conquistò gran parte dell'Orientale Germania; e fu egli che ricevè l'ospite Deceneo, e gli fe' onori e lo volle a parte del Regno, godendo, che quello straniero spargesse nuovi studj e l'amor delle scienze della natura fra gl'Immortali. Deceneo diè il nome di Pilofori o di Pileati agli antichi Zorabos Tereos, e divise in due i Geti o Goti; nell'ordine, cioè, di sì fatti Pilofori, donde i Re uscivano, e nell'altro de' Capelluti o Criniti, ovvero de' guerrieri, che durò lungamente in Italia sotto gli Ostrogoti. Deceneo scrisse pe' Geti o Goti le Leggi, dette Bellagini[8], le quali, attesta Giornande, si serbavano tuttora scritte al suo tempo in Italia dagli Ostrogoti, verso la metà del sesto secolo di nostra salute.

In quale Alfabeto furono esse dettate? Nol so, ed ignoro se i Geti si servissero per la loro lingua dell'Alfabeto de' Greci, o di qualche altro ignoto a noi dell'Asia Minore fino all'anno 360 dell'Era Volgare in circa, quando Ulfila ridusse il Getico Alfabeto alla forma, che oggi questo conserva, e che da lui prese il nome di Ulfilano. Allo stesso modo gli Armeni, per dinotare i lor concetti [7] nella patria e primitiva lor lingua, usarono per lunga stagione l'Alfabeto Siriaco: poi venne Mesrob a' tempi stessi d'Ulfila, e si fece autor di quello, che fiorì e fiorisce in Armenia.

Poichè le Bellagini vidersi ridotte in iscritto da Deceneo, sebbene senza un Alfabeto Getico, l'idioma degl'Immortali era già dunque costruito e già soggetto a' freni della Gramatica, quando nei giorni d'Augusto e di Tiberio sopraggiunse Ovidio in Tomi, di quà dal Danubio. Ben questi cerca dipingere e non tralascia d'esagerare i costumi barbarici de' Geti, che circondavano Tomi di quà e di là dal gran fiume: pur tuttavolta, chi l'avrebbe creduto? all'esule s'apprese la fiamma di scrivere un libriccino in lingua Getica, od almeno di fingere d'averlo scritto; e sebbene un Romano ed un odiator sì fiero di quel popolo dicesse, che di ciò vergognavasi[9], egli nondimeno affermò d'averlo dettato quel suo libriccino o poemetto. Fu in lode di Augusto, ed ordinato ad ottener la grazia del ritorno in Roma; pieno perciò di teneri affetti e di delicate adulazioni.

III.

Augusto lasciò stare i disegni concepiti da Giulio Cesare d'assoggettare i Geti o Goti di Berebisto, ed assegnò il Danubio per limite all'Imperio Romano. Ma i lamenti d'Ovidio sulle continue correrie de' Geti Oltredanubiani contro Tomi dimostrano, che questo limite non era punto rispettato dagl'Immortali. La fama di costoro mosse Giuseppe Ebreo, che scrivea sotto i figliuoli di Vespasiano Imperatore, a studiare i Getici costumi, ed e' notò particolarmente quelli degli Ctisti celibi di Posidonio, abitatori del Ponto Eussino, facendone il paragone co' costumi degli Esseni di Giudea: tanto l'origini ed alcuni usi Orientali de' Geti o Goti colpivano l'animo di ciascuno. A questi Giuseppe diè nelle sue Storie il nome di Daci Plisti o Polisti[10]. Poco appresso Dione Crisostomo, uomo tenuto in gran pregio da Traiano, dettò in Greco le Storie Getiche, oggi perdute; dal quale Scrittore udimmo testè lodati gli affetti ed i canti de' Pii d'Udisitana e di Filippo. Qual perdita non fu quella de' Commentarj, che lo stesso Traiano scrisse intorno alle sue guerre Daciche? Non certo per lo stile, ma per le qualità degli eventi e per la difficoltà dell'imprese doveano appena cedere il luogo a' Commentarj della Guerra Gallica.

Ecco in tutto il corso de' tempi, da que' del cenacolo di Zamolxi fino agli altri dell'assedio d'Udisitana, fiorire presso i Geti o Goti sull'una e sull'altra riva del Danubio l'arti della Musica e soprattutto [8] dell'Architettura, della quale io debbo spezialmente ragionare. Ma tutte le discipline della civiltà de' popoli non possono discompagnarsi affatto, e l'una il più delle volte spiega e dichiara quali siano le condizioni d'un'altra. Donde si vede, che i Geti o Goti abitarono in città murate, come Udisitana ed Elis; ch'ebbero in ciascuna il Collegio Sacerdotale degli armonici Pii; che per comandamento di Deceneo edificarono piccioli Tempj e Cappelle in onor degli Eroi, e de' lor Minori Dei. Nella Lituania e nella Samogizia, conquistate poscia da Ermanarico il Grande, progenitore di Teodorico, Re d'Italia, rimasero fino al quattordicesimo secolo, le reliquie del culto d'una turba d'infiniti piccoli Numi, alla maniera Decenaica, e le ricordanze del Getico Pontificato[11]. Il Dio della Terra s'appellava tuttora Zamelusk o Ziameluski nella Lituania[12]: e fra gli Estonj, soggiogati sul Baltico da' Geti o Goti dopo la morte d'Ermanarico il Grande, il suono dell'arpa d'un Prete Cristiano bastò a salvare un Castello, minacciato da essi[13]: ciò che ci rammenta gli antichi portenti delle Cetre Getiche.

IV.

Ma si ritorni all'età de' figliuoli di Vespasiano e di Giuseppe Ebreo, allorchè Domiziano pervenne all'Imperio e volle domare i Geti d'oltre il Danubio ed impadronirsi del lor Sacro Monte. Invano Stazio, adulando, cantò, che costui lo aveva per sua clemenza restituito a' Daci[14]: ben seppero il contrario i Capitani di Roma, che valicarono il Danubio, troppo fortunati se poterono ripassarlo e ritornare in Tracia; ma Cornelio Fosco vi perdè la vita e le sue legioni furono disfatte, sì che l'Imperio si vide condotto a dover pagare annui tributi a' Geti o Daci, su' quali ora signoreggiava Decebalo. Si sospinse questo Re in Tracia e ne fe' tale governo che Tacito pochi anni dopo scrisse[15]: »Tot exercitus in Moesia Daciaque.... amissi; tot militares viri cum tot cohortibus expugnati aut capti; noc jam de limite Imperii et ripâ, sed de hybernis legionum et possessione dubitatum......... Cum damna damnis continuarentur, atque omnis annus funeribus ac cladibus insigniretur......».

Immensa copia di Romani cadde prigioniera nelle mani del Re Decebalo, che muniva le sue Getiche città della Dacia, e che certamente servissi delle loro braccia ed anche del loro intelletto per render più valide le fortezze del suo Regno. Ma non per questo il [9] Getico popolo apprese da que' prigionieri l'arti dell'Architettura; e la Gotica faccia dell'antiche città d'Elis e d'Udisitana ricomparve più maestosa in Sarmizagetusa nella regione, che oggi da noi si dice Transilvania; là dove Decebalo fece di questa Sarmizagetusa la sede principale del Regno. L'immagini della sua Reggia, e delle sue rocche, dopo aver fatto disviare il fiume Sargezia per nascondervi i Getici tesori, si veggono tuttora scolpite nella Colonna Traiana; il più nobile Monumento rizzato da' Romani per celebrar la gloria del vincitore de' Daco-Geti. Traiano si mosse finalmente a vendicar l'onte dell'Imperio, e ad abolire il tributo; ciò ch'egli ottenne mercè due guerre solenni, le più difficili e paurose, onde siasi conservata la memoria negli Annali de' Romani. E qual gloria non fu per quell'Imperatore l'aver distrutto Decebalo, e conquistata una terza parte del vasto Regno di lui? Qual gloria maggiore, dicea Giuliano Apostata nella sua Satira contro i Dodici Cesari, dell'aver potuto superare le genti, che tanto dispregiavano la vita, e che portavano il nome d'Immortali. Ma larga materia di riso apprestarono a Giuliano l'incantagioni Zamolxiane de' Geti.

Questa splendida lode s'ascolta in onor di Traiano Imperatore nella bocca del derisore de' primi suoi predecessori. Nondimeno la Colonna Traiana, che sussiste tuttodì, è il testimonio più certo dell'eccellenza, in cui era venuta l'Architettura presso i Goti di Decebalo. Prima delle due guerre Daciche, Tacito scriveva il suo libro della Germania, verso l'anno 98 di Gesù Cristo. Non parlo di ciò che ivi si dice del guidrigildo, ignoto a' Geti o Goti, essendo stato questo il perpetuo argomento de' miei studj sul Codice Diplomatico Longobardo. Ma ciascuno può leggere in Tacito, quanto per tutti gli altri rispetti fossero i suoi Germani diversi dai Geti o Goti, ossia da' Daci, per la Teocrazia, per la potestà de' Re, per gli ordini Sacerdotali ed Aristocratici; pe' sagrificj e gli auspicj; per le discipline letterarie introdotte da Deceneo; per le condizioni mobili dell'agricoltura e del continuo mutamento delle terre, alle quali non chiedevasi altro che il grano in Germania (sola seges imperatur): soprattutto per le qualità dell'Architettura, là dove non si conosceano le città (urbes nullas habitari) e non si costruivano i tugurj vicini gli uni agli altri da' Germani, ma ciascuno interponeva grandi spazj di terra fra que' tugurj o per paura degl'incendj, o per ignoranza dell'arte d'edificare (inscitia aedificandi). Niun uso della calce; niuno delle tegole: e sacrilego era il pensiero di rizzar Statue o di fabbricar Tempj alle lor Divinità, quasi rimanessero elle imprigionate in tal guisa fra le mura (parietibus cohibere Deos). Quando poi si cominciavano a mutare i costumi, levossi un'agreste dimora, la quale si chiamò più dal Romano [10] che non dal Germano il Tempio della Dea Tanfana. So, che ad alcuni or sembra più spiritale il concetto de' Germani di Tacito di non alzarsi nè Tempj nè simulacri agli Dei: ma qui non si tratta di ciò; qui non occorre altro notare se non la gran diversità fra essi Germani e gl'Immortali così di Zamolxi come soprattutto di Deceneo, e la mancanza d'ogni Architettura in Germania. Ma non potrà mai lodarsi a bastanza, nè alcuno più di me lodolla in tutto il corso della Storia, la dolcezza della servitù presso i Germani di Tacito.

Di qui si scorge qual somiglianza regnasse fra una borgata delle selve di Germania, e l'alta Sarmizagetusa di Decebalo, senza toccar dell'altre città Daciche, figurate nella Colonna Traiana, e massimamente di quella, dove si rinchiuse la sorella del Re[16]. Tali, quali or gli abbiamo veduti, erano i Germani di Tacito sette od otto secoli dopo la predicazione Zamolxiana dell'immortalità dell'anima fra' Geti o Goti. Un sì lungo spazio di tempo dee cancellarsi affatto dalla Storia per concedere, che i due popoli fossero d'una stessa razza, e che arrivati fossero insieme dall'Asia in sulle bocche del Danubio. S'e' dovesse tenersi per vero, che così l'una tribù come l'altra venute vi fossero entrambe in uno stesso giorno, insieme partitesi dalla Persia o dall'India o dalla Cina, sarebbe non meno vero, ch'elle si separarono, e divennero affatto straniere fra loro, e vissero a questo modo per molti secoli fino a Zamolxi, poscia per sette altri fino a Deceneo, e poi per otto altri fino alla promulgazione del Vangelo fatta da San Bonifazio. Non vanno comprese nel mio ragionamento quelle parti della Germania di Tacito, le quali furono conquistate da' Geti o Goti del Re Berebisto e da' suoi Successori, ma prima di San Bonifazio, le quali parti perciò acquistarono la natura Gotica ed appresero l'idioma, che ho detto essersi chiamato Ulfilano. Questo s'andò successivamente insinuando ed infondendo negl'idiomi Germanici primitivi, e vi dura oggidì nelle bocche Tedesche. Nè nego, che il Politeismo Romano era più ritroso del culto de' Germani di Tacito a ricevere in sè i propizj semi del Vangelo: ma chi più degli Immortali di Zamolxi potea tenersi per un popolo capace del Cristianesimo?

V.

Le vittorie de' Geti o Goti sopra i Romani prima delle due guerre Daciche di Traiano, e massimamente quella di Cornelio Fosco procacciarono il nome d'Ansi o d'Asi, cioè di Semidei, a que' Pilofori ed a quei Capelluti, che più s'erano in un tanto pericolo illustrati. Fra tali Asi fu Capto, dal quale discese, dopo diciassette [11] generazioni, Teodorico, Re d'Italia e padre d'Amalasunta; e fu eziandio Balto, donde trasse l'origini Alarico, il quale s'impadronì di Roma nel 409. I nipoti e pronipoti di Gapto signoreggiarono sugli Ostrogoti; que' di Balto su' Visigoti: due grandi famiglie del popolo Gotico, come nella Dacia, rimasta libera dall'armi Romane s'appellarono esse dopo la morte di Decebalo ed i trionfi di Traiano. Il bisnipote di Gapto, chiamossi Amalo, e per lui si chiamarono i suoi discendenti gli Amali. Or così gli Asi o Semidei Amali che i Semidei Balti, quando ebber nell'anno 107 perduta Sarmizagetusa, si ridussero nell'altre due terze porzioni del Regno di Decebalo di là dal Prut ed a cavaliere de' Carpazj, donde cominciarono contro i Romani quell'aspra e continua guerra, che costrinse finalmente Aureliano, fortissimo Imperatore, ad abbandonar la Dacia conquistata da Traiano, ed a ridursi nell'anno 275 di Gesù Cristo, al limite Augusteo di quà dal Danubio.

Ne' cento sessant'otto anni della dominazione Romana, la Dacia di Traiano si Latinizzò in buon dato: ma Gotico e puramente Gotico durò il resto, cioè la maggior parte, del Regno di Decebalo. Gli Ostrogoti vissero sotto il reggimento degli Amali, ed i Visigoti sotto quello de' Balti, fino al Re Ostrogota degli Amali, che regnò sopra entrambe le due grandi tribù nella metà del terzo secolo. Poscia l'undecimo discendente di Gapto, ed il sesto del Re Ostrogota, Ermanarico degli Amali, ottenne anche di signoreggiar su' Visigoti e sugli Ostrogoti, con le forze unite de' quali e' diè i principj alle sue conquiste.

VI.

Non appena erano spenti Decebalo e caduta Sarmizagetusa, che Celso il Filosofo si pose a scrivere, volgendo l'anno 131, contro i Cristiani. E' faceva uno stolto paragone tra Zamolxi e Gesù Cristo; poscia, volendo in qualche maniera deprimere l'antichità dei Libri Mosaici, lodò l'antichità e la sapienza de' Geti o Goti. Non ancora un mezzo secolo era trascorso, e Luciano ricordò i sacrificj degli Sciti, ma parlava dei Geti, perchè non tacque de' loro Pilofori, nè dell'uccisione degli Ambasciatori che spedir doveansi a Zamolxi[17]. Nè tardò Clemente Alessandrino[18] rifermar ne' suoi Libri dell'anno 193, i racconti di queste uccisioni degli Ambasciatori; lodando ad un'ora le discipline filosofiche sì d'essi Geti o Goti come de' Traci Odrisj, e soprattutto le dottrine Zamolxiane sull'immortalità dell'anima, la rassegnazione de' Geti alla morte, la lor cura in onorar gli Eroi ed i sapienti della loro nazione. Il che, tutti lo veggono, riesce all'Architettura Gotica, ed alla rinomanza [12] degli edificj posti a quegli Eroi, divolgata da per ogni dove ne' luoghi più lontani dal Prut e da' Carpazj. Quanto alla Dacia Romana, l'uccisione degli Ambasciatori a Zamolxi fu certamente vietata nella stessa guisa, che nelle Gallie i riti ed i sacrificj umani dei Druidi erano stati dianzi per gran ventura dell'umano genere aboliti dagl'Imperatori.

VII.

Ma già cominciava da lungi la luce del Vangelo a risplendere presso gl'Immortali, che, per questa sola credenza loro, doveano riuscire i primi a divenir Cristiani, e riuscirono, fra' popoli detti Barbari dal Greco e dal Romano: da lungi, dico, nè presso tutta la nazione Gotica. Nel 211 già Tertulliano parlava de' Daci, che aveano udita la Buona Novella[19]; ma erano scarsi drappelli, che non ancor poteano rivolgere ad altro e più fausto segno le pratiche dell'Architettura Gotica, sì come avvenne poscia quando il maggior numero della nazione si voltò al Cristianesimo. Intanto il Re Ostrogota degli Amali vinceva i Gepidi, popolo di sangue Gotico[20], il quale avea superato e disfatto i Burgundioni o Borgognoni. Furon costoro annoverati da Plinio fra' Vandali, ed erano genti di Germania verso il Baltico. Le relique di sì fatti Borgognoni furono incorporate fra i Gepidi, e tosto co' Visigoti e cogli Ostrogoti per la vittoria conseguita dal Re Ostrogota. In tal guisa i Borgognoni svestironsi la Germanica loro sembianza, e passarono alla Gotica, e furono sempre ricordati dagli Scrittori antichi fra' Goti. Tale Agatia[21], il quale dà loro espressamente il nome di popoli Gotici, quali veramente divennero e si mostrarono in tutto il corso della loro Storia.

Ne' giorni d'Ostrogota, Origene d'Alessandria in Egitto, prese a difendere il Cristianesimo dall'imputazioni del Filosofo Celso. Pubblicò, verso l'anno 250, i suoi Libri contro esso, il quale tanto aveva esaltato le Gotiche antichità e la sapienza. Origene per altro non negò punto l'antichità de' Geti[22], quantunque inferiore a quella di Mosè. Insigne testimonianza si legge in questo lavoro contro Celso intorno alle verità de' detti di Giuseppe Ebreo sulla conformità d'alquanti costumi de' Geti o Goti con alcune usanze de' Giudei. Non certamente nell'età d'Origene il Sommo Sacerdote degli Ebrei sarebbesi potuto paragonare col Pontefice Zamolxiano o col Decenaico de' Geti o Goti: ma l'inutile aspettazione di [13] costoro, che Zamolxi dovesse venire a regnar sulla terra, diè buoni fondamenti ad Origene di paragonare questa vivissima loro speranza con l'inutile aspettazione del già venuto Messia presso gli Ebrei. Più d'ogni altra Gotica tribù i Crobizj aspettavano Zamolxi, celebrando a tale uopo annui banchetti e sacrifizj. Queste Getiche pratiche religiose non aveano rimesso nulla del loro fervore nell'età d'Origene, quando i Goti non eransi ancora convertiti al Cristianesimo.

D'assai maggior momento per me nella trattazione sull'Architettura Gotica è l'essersi Origene accordato col suo avversario Celso nel fatto notissimo a tutto l'Orbe Romano, che i Goti onoravano Zamolxi col rizzargli e Templi e Statue (νηὼς καὶ ἀγάλματα[23]): tanto la fama così della credenza Zamolxiana come della nuova riforma di Deceneo da per ogni dove sonava, ed anche in Egitto. E però i Geti o Goti non conquistati da Traiano, cioè i Daci liberi, non intermisero giammai la pratica della nazionale Architettura loro, qualunque si fosse; nè poteano intermetterla, perchè sempre obbligati dal loro culto a rizzar Tempj e Cappelle in onore o di Zamolxi, o de' Minori Dei e degli Eroi. Tali pratiche dell'Architettura Gotica si mantenevano intere anche per odio contro i Romani, che signoreggiavano in Sarmizagetusa, dandole il nome d'Ulpia Traiana, e venivano Latinizzando sempre più la porzione caduta in lor potere della Dacia di Decebalo.

Così stavano le cose della Gozia e della Dacia libera da' Romani, verso la metà del terzo secolo Cristiano, quando un insolito moto agitò i popoli Gotici. Furono vinti nel 269 in Tracia dall'Imperatore Claudio, che ne riportò il nome di Gotico. Abbiamo ancor le sue Lettere, ov'egli afferma d'averne ammazzati trecento venti mila, ed affondate due mila lor navi; d'aver in oltre fatto prigioniero uno stuolo infinito di donne, fra le quali Unila, regal donzella de' Goti.

Uno degl'Imperatori più valorosi fu vinto dagl'Iutungi, che Dessippo chiamava Sciti, e che si possono tenere per non diversi da' Tervingi, tribù Visigotica. Parlo d'Aureliano, il quale poscia li vinse; ma conobbe quanti pericoli si minacciavano dalle Gotiche genti all'Imperio. Fra gli altri suoi provvedimenti e' circondò Roma di mura, ed abbandonò la Dacia conquistata da Traiano. Gl'Iutungi fermaronsi finalmente nella Rezia, e nelle parti Meridionali della Germania, ove non si dubita che introdotto avessero l'uso della lingua Gotica. I Borgognoni eziandio, che s'erano fatti Goti, come notò Agatia, e deposto aveano con l'indole Germanica l'uso del guidrigildo[24], sì come apparisce dalle [14] susseguenti lor Leggi, s'accompagnarono co' Goti nelle spedizioni di costoro contro l'Asia Minore. Innoltraronsi poscia verso la Germania Occidentale, dove ristettero fino a che non passarono ad abitar nelle Gallie. Gotica ivi fu la loro Architettura, perchè i Borgognoni divennero fervorosi Ariani: del che or ora dirò una qualche parola.

Ma le tribù de' veri Germani di Tacito si ristrinsero nella primitiva rozzezza loro: e solamente in alcune contrade più prossime all'Imperio cominciò appo essi una lenta ed incerta imitazione dell'Architettura de' Romani. Ammiano Marcellino[25], che nel 361 guerreggiò sotto Giuliano Cesare contro gli Alemanni tra il Meno ed il Reno, vide con sua gran maraviglia costruite alcune borgate con case all'uso Romano.

VIII.

Tornata la Dacia di Traiano in balía de' popoli Gotici dopo Aureliano, s'apre l'età di Costantino e d'Ermanarico degli Amali; l'uno e l'altro chiamato il Grande. Non parlo d'Ermanarico, il quale restò fedele a' dogmi di Zamolxi, e sì lungi spinse le sue insegne nell'Europa di là dal Danubio, fondando in Europa quel vasto e misterioso Imperio, che Giornande paragonava con l'altro d'Alessandro in Asia, e che si distese dal Prut e da' Carpazj fino al Baltico; i suoi Successori poscia lo dilatarono di mano in mano fino all'Estonia ed alle Provincie Orientali e Settentrionali di quel Mare, non che in tutta la Scandinavia. Ma non posso tacere di due grandi fatti avvenuti a' giorni di Costantino. L'uno, che molti Goti furono da lui ricevuti nell'Imperio col nome di Federati: l'altro, che una gran parte di Geti o Goti Zamolxiani si convertì al Cristianesimo. Teofilo, Vescovo Cattolico, sottoscrisse alla condanna d'Ario nel Concilio di Nicea del 325, in qualità di Primate della Gozia. Santo Epifanio, che visse in quella stagione, tramandò alla posterità le notizie de' Monasteri edificati da' Goti, nuovi convertiti[26], per le loro Vergini. La Gotica tribù de' Protingi ebbe altresì gran copia di Monaci Cattolici, derisi dal Pagano Eunapio, che pose principalmente in canzone le negre lor vesti[27].

Or si potrà più mai volgere in dubbio, che nella Gozia o Dacia di là dal Danubio durasse un'Architettura Gotica dopo la conversione de' Goti? Que' Monasteri delle Vergini, celebrate da Santo Epifanio, non erano certamente di legno, ma di pietra: come di pietra furono il cenacolo di Zamolxi, le Città d'Udisitana e [15] d'Elis, i Tempj di Deceneo, la Reggia di Sarmizagetusa e le Daciche mura effigiate nella Colonna di Traiano in Roma. La Dacia, posseduta fino al 275 da' Romani, ei riempì, egli è vero, di monumenti d'arti Greche e Latine; ma que' Monasteri delle Gotiche Vergini e de' Monaci Protingi non presero punto ad imitare alcuno de' monumenti del Paganesimo di Roma o d'Atene.

Scrive Santo Isidoro di Siviglia, che il Goto, divenuto Ariano, edificò novelle Chiese di là dal Danubio, ma secondo il novello suo dogma. Ecclesias sui dogmatis sibi construxerunt[28]. Ciò dimostra la diversità, che già si stabiliva, ed era divenuta notabile, fra l'Architettura Cattolica e l'Ariana. L'una cercava separarsi per ogni via dall'altra: ma, di qualunque natura fossero tali gare fra le due Architetture, Santo Isidoro parla di fabbriche Oltredanubiane, quando egli tocca delle Chiese del rito Ariano. E però, lasciando in disparte la Dacia stata già de' Romani, tre specie d'Architettura, la Zamolxiana e Decenaica, la Cattolica e l'Ariana fiorivano ad un'ora in Gozia, nella seconda metà del quarto secolo di Gesù Cristo.

Egli è facile il conoscere quanto la nuova Religione Cristiana mutato avesse i costumi de' Goti, e come fosser finiti l'incantamenti ed il Ponteficato stabilito da Zamolxi e da Deceneo. Ma ferme appo i Goti Cristiani rimaseso le Caste de' Pilofori e de' Capelluti. Alcuni di que' Pilofori divennero Vescovi, che all'autorità religiosa congiunsero eziandío la politica. Dall'ordine loro si continuarono ad eleggere i Re: si continuarono ad eleggere gli altri Capi, a' quali, dopo Ermanarico, si diè sovente il nome di Giudici da' Visigoti, e che non sempre furono de' Balti. Poichè già Ermanarico moriva, e già venivano gli Unni; già gli Ostrogoti cogli Amali cadevano in potestà de' vincitori, e perdevano, sto per dire, la loro Gotica faccia. I Visigoti, e fra essi anche i Protingi, tentarono di resistere all'Unnico nembo; Atanarico, Giudice Visigoto, fece, secondo i racconti d'Ammiano Marcellino, rizzar il Lungo Muro, ch'egli sperava poter difendere contro gli Unni: questo perciò dovè munirsi di Torri e d'altri propugnacoli, non che di Porte e di Posterle. Ammiano diceva essere stata sì fatta muraglia un'efficace opera e come una lorica de' Visigoti[29].

IX.

Inutile schermo riuscì nondimeno la muraglia del Giudice Visigoto contro gli Unni, che dettero una gran volta dietro i Carpazj [16] e lo assalirono alle spalle. Allora i Visigoti passarono il Danubio, e stabilironsi nell'Imperio Romano. Correva l'anno 375 di Gesù Cristo. Son questi que' Visigoti, che dopo varj casi Alarico de' Balti condusse nel 409 al saccheggio di Roma, beffandosi delle mura d'Aureliano. Fra tali casi, giova ricordar l'arrivo dei Protingi, venuti ad ingrossar lo stuolo de' popoli Gotici. Aveano potuto i Protingi per circa undici anni dopo il passaggio de' Visigoti schivar la rabbia degli Unni: ma finalmente furono costretti anch'essi a passare il Danubio, ed a chiedere d'essere accolti nelle Provincie Romane. S'affacciarono perciò nel 386 al gran fiume co' loro Vescovi, co' loro Monaci, vestiti di toniche nere, con le loro Vergini, che faceano l'officio di Diaconesse. Procedeano sopra magnifici e ben custoditi carri, ove si nascondevano gli eucaristici vasi: uomini e cose, che mosser la bile d'Eunapio. Ma la magnificenza e le ricchezze di questi Protingi erano di gran lunga inferiori a quelle, che lo stesso Eunapio[30] descrive de' Visigoti, quando nel 375 passarono il Danubio, con gli splendidi lor vestiti di lino e carichi di preziosi tappeti: le donne andavano adorne più pomposamente che non sembrava convenire alla presente loro sciagura, e gli stessi fanciulli de' Visigotici Pilofori non aveano deposto lo splendore d'un regio lusso.

Questi medesimi Visigoti e Protingi e simili non numerabili tribù de' Goti, dopo la presa di Roma e la morte d'Alarico de' Balti obbedirono al Re Ataulfo. Furono dall'Imperatore Onorio stanziati nelle Gallie Meridionali col titolo di Federati, già loro imposto da Costantino. Essi dappoi s'impadronirono di tutta la Spagna. È fama, che Ulfila tutti avesse finito di voltarli all'Arianesimo nel 360 per procacciar loro i favori dell'Ariano Imperatore di Bizanzio. Anche i Borgognoni, de' quali ho toccato, divennero zelanti Ariani. Qualunque sia stato il tempo, in cui abbandonarono la fede Cattolica, Ulfila non andò co' Visigoti del Re Ataulfo nelle Gallie; ma i Vescovi Selina e Sigesario, discepoli d'Ulfila e propagatori dello stesso dogma, furono quelli che vi si tragittarono con le Visigotiche tribù, e divennero lor guida e maestri e gran dottori dell'Arianesimo, portando seco la Traduzione Ulfilana delle Sante Scritture, scritta coll'Alfabeto Ulfilano. E però Santo Eugenio di Tolede, volendo nell'ottavo secolo Cristiano annoverar gli Alfabeti da lui conosciuti, parlò dell'Ebraico, dell'Attico, del Latino, del Sirio, del Caldaico, dell'Egizio, e soggiunse:

»Gulfila promisit Geticas, QUAS VIDEMUS, ULTIMAS (literas)[31]».

Dopo ciò niuno dirà, che i Visigoti da un lato ed i Borgognoni [17] dall'altro si posarono in Ispagna e nelle Gallie in qualità di popolo Barbaro, privo di scienze, privo d'Alfabeto, privo d'Architettura: niuno dirà, che gl'Immortali di Zamolxi e di Deceneo non fossero stati abitatori delle più splendide città di là dal Danubio, e non avessero costruita una lunga e forte muraglia contro gli Unni. Qual era quest'Architettura, che i Visigoti recavano in Ispagna e nelle Gallie Meridionali dalle regioni d'Oltre il Danubio? Qual era questa Architettura, che prima fu Zamolxiana, e poi Decenaica, e poi Cattolica e poi Ariana per dieci secoli da Zamolxi fino al passaggio del Danubio nel 375? Godè forse quest'Architettura, che in dieci secoli mutossi tante volte, d'operar gli archi acuti, a' quali da noi si dà il nome d'ogive? Qui anche dirò, come già dissi del Getico Alfabeto a' tempi d'Ovidio, che nol so, e che affatto ignota m'è l'Architettura di questi dieci secoli di là dal Danubio; ma so, ch'ella vi fu, e che non fu Architettura nè Greca nè Romana; ma so, ch'ella chiamossi, qual era veramente, Architettura Gotica, prima del 375: ma so, ch'ella era così militare, come religiosa e civile.

Il Re Ataulfo, quando e' si vide giunto al colmo della possanza e della gloria nell'Occidente d'Europa, rivolse in mente d'abolir l'Imperio Romano e di chiamarlo Gozia[32]. Onorio Imperatore s'ebbe a gran ventura di sviare sì fatti disegni, dando Placidia, sua sorella, in moglie ad Ataulfo. E noi ci lasceremo persuadere, che il popolo Gotico delle Gallie Meridionali e della Spagna, deposto avesse i nazionali orgogli delle sue discipline particolari d'Oltre il Danubio? Gli orgogli del suo Alfabeto, della sua lingua e della patria sua Architettura? No, così non avvenne. A dimostrar l'impossibilità d'ogni contrario concetto, basta la ragione intima delle cose: ma gli esempj de' Visigotici orgogli non mancano, e sussistono ancora le prove Storiche della perpetua durata di quell'Architettura Gotica nelle Provincie Occidentali dell'Imperio Romano.

Anche a' Borgognoni si concedè nel 431 da' Romani quel tratto delle Gallie, che s'interpone tra Magonza, Vormazia e Spira, in qualità di Federati, che poi quivi si dissero anche Leti e Gentili. Queste furono le prime stanze Burgundiche nell'Imperio; qui cominciano con più certezza la loro Storia ed il novero de' Re loro nelle lor Leggi, le quali giunsero fino a noi; qui s'ascoltarono i Cantici Nazionali, che si credono scritti nell'idioma e coll'Alfabeto Gotico d'Ulfila[33]: e però qui si debbono, s'egli è possibile, rintracciare le più antiche memorie della loro Architettura Gotica ed Ariana. L'avventure del popolo Borgognone in Vormazia, e le [18] sciagure da essi patite pel ferro degli Unni d'Attila, divennero un famoso argomento d'epopea, che ne' secoli meno lontani da noi piacque a' remoti nipoti de' Germani di Tacito, e che vive tuttora fra essi con la denominazione di Nibelungen.

X.

Io non istarò qui a trattar la Storia de' Visigoti delle Gallie Meridionali e della Spagna durante il quinto secolo, che fu il secolo di Attila. Ma si può egli tacere al tutto del Re Torrismondo? Nacque da quel Teodorico de' Balti, che morì combattendo fortemente nelle pianure della Marna contro l'Unno. I Catalaunici Campi furono il teatro della gloria di Teodorico: lo stesso Attila, narra Giornande[34] ammirò le pompe de' funerali di lui dopo la battaglia, ed udì senza trar fiato i mesti concenti de' Visigoti per averlo perduto. Non erano più le Cetre de' Pii. Quelle funebri magnificienze sono un riscontro certissimo degli splendori della Reggia, che i Visigoti piantato aveano in Tolosa, e de' modi signorili del loro vivere, oh! quanto diverso del vivere de' Germani di Tacito nel secolo Attilano. Il lusso de' Visigoti corruppe lentamente nella Spagna e nella Gallia Gotica i loro costumi: non andava intanto discompagnato dall'esercizio dell'arti, e massimamente d'un'Architettura diversa da quella de' Romani.

All'età d'Attila, il quale non ardì uscir dal suo campo, circondato di carri, per interrompere le canzoni de' Visigoti, vuol riferirsi quella de' due fidanzati Gualtieri o Waltario, figliuolo d'un Re d'Aquitania, e d'Ildegonda, nata da un Re de' Borgognoni. Le loro vicende furono scritte in versi da uno, che il Cronista della Novalesa chiamava un metricanoro: fondamento principalissimo delle quali è la finzione, che fossero stati ostaggi nella Reggia d'Attila. È questo il più antico tra' fin qui noti di quelli, che in più tarda età si chiamarono Romanzi: esso fu poscia inserito (chi sa se intero?) nella Cronica dalla Novalesa, e generò gravi dispute intorno alla nazione, donde uscì quel versificatore. Sia stata qualunque la patria di costui; egli è certo, che l'Eroe, promesso ad una Burgundica donzella, si dice appartenere all'Aquitania, paese lungamente signoreggiato da' Visigoti: e però il tutto si mescola col Ciclo de' popoli o Goti o divenuti Goti, colà nelle regioni dove surse in prima la Cavalleria, e dove il rispetto per la donna Cristiana giunse al grado più alto; colà dove poi risonarono i primi accenti di non volgari affetti, e s'aprirono le Corti dette d'Amore nella Gallia Gotica, quando i Goti aveano cessato d'esserne i padroni; tanto era stata profonda l'orma da essi quivi stampata. [19] Qui anche surse la Lingua Provenzale: qui, per molte generazioni, operarono e cantarono i Trovatori.

Eurico, fratello di Torrismondo, sollevò al più alto segno di gloria le Visigotiche stirpi. E' recossi nelle mani tutt'i paesi Romani della Prima Aquitania, e nel 472 s'impadronì di Lemovico o Lemosì, oggi Limoges[35]; città, della quale dovrò più d'una volta riparlare. Indi Eurico ebbe dagl'Imperatori l'Alvernia, ed allargò la sua propria dominazione fino ad Arles ed a Marsiglia. Fu crudele persecutor de' Cattolici, fra' quali era eziandìo un qualche Goto. Un di costoro si credeva esser Vittorio; ma il Re Visigoto lo deputò al governo dell'Aquitania Prima e dell'Alvernia. Salva quest'eccezione o qualche altra, Eurico in generale odiò i Cattolici, e distrusse o guastò quanto più egli potè le loro Chiese. Altre in gran numero egli ne costruì dell'Ariano suo dogma. Più amara sorgente diversità fra l'Architettura Gotica e l'Architettura Greco-Romana sgorgò in Ispagna e nelle Gallie Meridionali da cotal differenza de' culti, e per l'odio dell'Ariano contro il Cattolico. Questa diversità fu comune anche a' Borgognoni, discacciati da Vormazia; popolo, a' quali Valentiniano III.º Imperatore concedè i riposi di Sapaudia, oggi Savoia. Essi di poi vennersi distendendo alla volta di Vienna sul Rodano e di Lione, quando l'Imperio d'Occidente vedeasi ridotto all'ultima estremità in Roma, e quando già gli Eruli d'Odoacre si disponevano ad occuparlo.

Apollinare Sidonio allora, illustre Romano delle Gallie, inviò ad Eurico, Re de' Visigoti, que' versi, che non si possono mai ripetere a bastanza, perchè meglio di qualunque altra testimonianza ci fanno comprendere il Dritto pubblico di quel secolo, e l'obbligazioni de' Goti Federati verso l'Imperio. Gli scrisse, che il Marte inquilino, cioè l'armi degli stranieri Visigoti, doveano dalle possenti rive della Garonna, ov'e' regnava, sospingersi nella qualità di Federati a difender l'Imperio e Roma ed il Tevere, ormai divenuto sì debole:

»Eorice, TUAE MANUS ROGANTUR,

Ut MARTEM VALIDUS PER INQUILINUM

Defenset tenuem Garumna Tibrim»[36].

All'udir queste sì misere preghiere, chi potrà pensare, che l'Architettura Gotica Oltredanubiana del Visigotico difensore, ora implorato sulle sue sponde trionfali della Garonna, piegatasi fosse alle forme Romane? Che l'Architettura Sui Dogmatis del fiero Principe Ariano prescelto avesse per le sue molte Chiese le sembianze [20] abborrite delle Cattoliche? Apollinare Sidonio in altre sue Scritture deplorava, che queste Chiese fossero, per comandamento d'Eurico, divenute immonde stalle, aperte a tutti gli armenti[37].

Con tali disposizioni dell'animo, Eurico non avrebbe tratto la Visigotica spada in pro del tenue Tevere. Nè la trasse. Roma nel 475 cadde in mano degli Eruli, e l'Imperio d'Occidente finì: ma gli Ostrogoti di Teodorico degli Amali, alla morte d'Attila, eransi già levati dalla servitù degli Unni, e ben presto doveano succedere agli Eruli nella Signoría d'Italia. Bastò nondimeno quella servitù perchè avesser dimenticata una gran parte delle nazionali lor discipline, sì che gli Ostrogoti riuscissero i meno civili fra tutt'i popoli di sangue Gotico. Intendo favellar qui della loro antica e particolare Getica o Gotica civiltà; non di quella, che presero ad imitare da' Greci e dai Romani, dopo la morte d'Attila, quando essi, col permesso degli Imperatori, fermaronsi nella Romana Provincia della Pannonia e vi abitarono fino a che Teodorico degli Amali, diciasettesimo discendente del Semideo Gapto, e bisnipote d'Ermanarico il Grande, non gli ebbe condotti nel Campidoglio a dominar sull'Italia, sulla Pannonia, sulla Rezia e sopra la più grande parte dell'Imperio disfatto d'Occidente.

Le sventure degli Ostrogoti al tempo dell'Unno fecero lor perdere il dritto d'esser creduti conservatori e propagatori dell'antica loro Architettura Gotica Oltredanubiana. S'invaghirono delle forme Romane dell'Architettura civile; ma nella religiosa, l'Arianesimo li tenne sempre avversi a costruire le loro Chiese alla guisa Cattolica. In quanto alle stesse forme degli edificj civili, non poterono le Gotiche rimembranze spegnersi del tutto in Italia, e con corrompere in molti modi l'essenza dell'arte Latina con la mescolanza d'un qualche Oltredanubiano piglio di fabbricare; ma oggi egli è difficile di ravvisar l'Ostrogotica traccia in Italia, ed il vanto d'aver conservate intere le memorie dell'Architettura Gotica Oltredanubiana spetta senza fallo a' Visigoti di Spagna e delle Gallie Meridionali. Quivi Alarico II.º, figliuolo d'Eurico, il Vittorioso, rendea vieppiù illustre la Reggia di Tolosa. Una sì lunga fortuna procacciò a queste Provincie delle Gallie il nome di Gallia Gotica; nome, che sopravvisse alla loro possanza, e durò fino al duodecimo secolo. Nè io da indi in qua userò altro vocabolo se non questo di Gallia Gotica, per additare tutt'i paesi posseduti già e poi perduti da' Visigoti nelle Gallie.

Teodorico portò l'armi sue nella Rezia e ne' luoghi vicini, ove si trovavano da circa un secolo stabiliti gl'Iutungi, che ho detto essere stati di Gotico sangue. In tal modo assai più si confortarono [21] e si distesero l'Arianesimo e l'odio contro l'Architettura delle Chiese Cattoliche: l'Arianesimo, che dopo il Vescovo Ulfila s'appigliò a tutt'i popoli o Gotici o fatti Gotici. L'Alfabeto Ulfilano e la Traduzione della Bibbia regnarono senza contrasto sugli Ostrogoti d'Italia; ed anzi tutto ciò, che fin qui abbiamo di sì fatta Traduzione, o si trovò in Italia, o trasportossi dall'Italia in altre Provincie d'Europa. Tale il Codice argenteo d'Upsal; cioè la Traduzione Ulfilana de' Vangeli. Ma il Papiro di Ravenna, conservato in Napoli, è il testimonio più solenne dell'uso di quell'Alfabeto della lingua d'Ulfila presso gli Ostrogoti di Teodorico degli Amali.

XI.

Più antica era stata l'introduzione dell'idioma e della Bibbia di Ulfila nella Gallia Gotica e nella Spagna. Intanto Alarico II.º dava le Leggi del suo Breviario nel 506 a' Goti ed a' Romani dei vasti suoi Regni: ciò che gli riuscì agevole, non avendo i Goti conosciuto giammai l'uso del guidrigildo Germanico. Anche Teodorico degli Amali pubblicò in Italia il suo Editto pe' Goti e pe' Romani: ma l'uno e l'altro Re non ebbero cura maggiore se non di manifestare al mondo, che la razza Gotica era dappiù della Romana: il che fecero entrambi, tenendo ciascuno un diverso cammino. Alarico II.º inserì nel Breviario una Legge, promulgata in tempo degli orgogli Romani dagl'Imperatori, che dovessero punirsi di morte coloro, i quali contraessero matrimonio fra' Romani ed i Gentili; e per Gentili, Alarico intendea ora parlar de' suoi Visigoti: sottile artifizio a tener separate le due razze de' suoi sudditi. Nell'Editto d'Italia sì fatta Legge non si trova, ed i matrimonj si contrassero indistintamente fra' due popoli: ma Teodorico tolse l'uso dell'armi pubbliche a' Romani, lasciandolo solo agli Ostrogoti: errore immenso, che non si commise da' Visigoti. E però in Ispagna e nella Gallia Gotica, bene i Romani si congiunsero co' nuovi padroni e formarono un popolo unico, non diviso che dal solo divieto delle nozze Gentili. Sì fatta congiunzione, che che scrivesse Cassiodoro in contrario, non si fece, o fu bugiarda ed ingannatrice, in Italia.

Clodoveo, a quei medesimi giorni, regnava nelle Gallie Settentrionali, e metteva in luce i suoi Diciassette Capitoli[38], dove per l'uccisione d'un Franco assegnavasi un guidrigildo maggiore di quel da doversi pagare per l'uccisione d'un Romano. A tal modo, i Romani si vedevano disgradati dalle lor condizioni civili, e ad un popolo ignobile se ne sovrapponeva uno, che ardiva dire di essere il solo nobile. Troppo avventurosi furono poscia i Romani [22] delle Gallie, quando la qualità di Vescovo e d'Ecclesiastico li tolse dalla sì crudele disuguaglianza di quel Germanico rabuffo, dopo che Clodoveo si fece Cattolico nel 496, ed indi pubblicò la Legge Salica. Santo Avito perciò, Vescovo di Vienna sul Rodano, gli scrisse da quel paese de' Borgognoni, che la fede di Clodoveo era stata una vittoria dei Romani.

Clodoveo nondimeno, che usciva dai Germani di Tacito, e che riponea soltanto nell'armi l'insolenti pretensioni del suo popolo, dovè in tutto il resto riconoscere così nelle lettere come nelle scienze, e massimamente nell'Architettura, i pregi e la superiorità del popolo da lui disgradato. I franchi della Germania di Tacito non aveano recato nelle Gallie alcuna cognizione dell'arte di edificare, nè anche della calce o delle tegole.

Laonde, se Clodoveo ed i Re Franchi, suoi Successori, vollero edificare, non poterono che secondo l'arte Romana o la Visigotica. Ma Clodoveo, il quale avea cotanto depresso i Romani col minor guidrigildo, già disegnava d'assalire i Visigoti. Cercò d'inanimire l'esercito Franco, accusandoli di viltà: ingiusto rimprovero, che di mano in mano allargossi nelle bocche de' Franchi, e ne surse l'iniquo motteggio d'essere la paura una qualità propria de' Goti (Gothorum est povere). Indi essi Franchi procedettero a dar loro il nome di Cani Goti: voce, che tuttora s'ascolta nell'abbreviatura doppia di Cagot presso i Francesi d'oggidì. Non nego, che la lunga prosperità de' Visigoti gli avesse ammolliti a' giorni di Alarico II.º: ma essi pugnarono fortemente co' Franchi, e nei secoli seguenti mostrarono il coraggio antico de' Geti contro i Saracini, sollevando sopra ogni altra la gloria delle Visigotiche spade. Alarico II.º, che avea sospese o rallentate le persecuzioni Ariane contro i Cattolici, fu vinto ed ucciso da Clodoveo nel 507 in Vouglé presso Pottieri; nondimeno i Visigoti poterono gloriarsi, che in quella battaglia erano caduti, combattendo in loro difesa i più illustri fra' Romani lor sudditi, non ostante la diversità delle Religioni e la proibizione delle nozze Gentili. E però Clodoveo, a malgrado del suo motteggiar contro i Visigoti, si mostrò generoso verso quei delle Città da lui soggiogate; anzi molti di costoro vi rimasero in qualità or di Duchi, ed ora di Conti, a reggerle in nome de' Re Franchi. Ciò durò per lunga stagione fino ai giorni di Pipino e di Carlomagno; della qual cosa più innanzi si troverà più d'un esempio. Dopo la morte d'Alarico II.º, la Reggia di Tolosa fu trasportata in Ispagna.

La compenetrazione avvenuta (oggi la chiamano fusione) dei Romani delle Gallie co' Visigoti, divenuti loro Signori, non essendosi fatta punto in Italia presso gli Ostrogoti di Teodorico, io non prenderò ad esaminare le condizioni dell'Architettura Ostrogotica [23] nella nostra Penisola. Un gran numero di Basiliche Ariane, massimamente in Ravenna, edificaronsi dagli Ostrogoti: ma costoro dovettero spesso implorare l'opera de' Visigoti, ciò che si vide soprattutto quando il Visigoto Eutarico (d'un altro ramo degli Amali) venne in Italia e sposò Amalasunta, figliuola di Teodorico: Eutarico, aspro ed implacabil nemico dei Cattolici. Mettendo perciò dall'un de' lati gli Ostrogoti, sarò contento di volgere gli sguardi solo all'Architettura Gotica Oltredanubiana de' Visigoti. Nel sesto secolo si cominciò a darle il nome generalissima di Architettura Gallica, ciò che si vedrà ben presto nelle Leggi del Re Longobardo Liutprando. L'Architettura del tutto diversa de' Romani cominciò eziandio a ricevere nella medesima età l'appellazione di Romanese, che piacque ad alcuni paragonar con la Gallica dei Druidi antichi, e soprattutto con quella del tempo di Vercingetoringe; quasi ella conservato avesse le sue particolari forme Druidiche da' tempi di Cesare fino ai tempi di Carlomagno. Non ignoro, che Avarico, città espugnata da Cesare fra' Biturigi, ove racchiuso erasi Vercingetoringe, avea le sue mura. Il vincitore senza più le chiamò Galliche[39]; costruiti con travi distese in sul suolo, e distanti due piedi fra esse: gli intervalli colmavansi con calcina e con altri materiali di pietra. Ma certamente i Romani, pel corso di cinque secoli da Cesare fino ad Ataulfo, non fabbricarono alla Druidica ed alla maniera d'Avarico le mura delle Città soggette ad essi: nè Galliche furono le mura, onde Aureliano cinse l'eterna Città: ed il Giudice Visigoto Atanarico non imparò dai Druidi l'arte d'edificare il Lungo Muro contro gli Unni. Ed è ben da maravigliare, che siavi stato non ha guari chi prese a dichiarar le parole di Cesare sulle Galliche mura d'Avarico[40], ricordando le mura di Clermonte, insigne patria d'Apollinare Sidonio nell'Alvernia Romana. Il quale verso la fine del quinto secolo, si doleva che tali mura fossero fragili ed avesser sembianza di quasi brugiate[41]; colpa o della loro costruzione, forse tumultuaria e recente, o pe' validi assalti, che il Visigoto Eurico diè alle Città degli Alverni: del che Sidonio non cessava di lamentarsi.

XII.

La vittoria di Vougle diè Tolosa ed una parte della Gallia Gotica in mano de' Franchi Cattolici. Pochi anni appresso, i Borgognoni si convertirono alla fede Cattolica: il che recò grandi mutamenti fra essi, e soprattutto nell'Architettura, la quale cessò di [24] essere Ariana. In Settembre 517, Santo Avito di Vienna convocò in Epaona un Concilio, dove si promulgarono quarantuno Canoni. Uno di questi condannò alle battiture i Cherci, che accettato avessero l'invito ad un qualche banchetto degli Eretici; tanta era la distanza, che separava le due credenze. Più famoso riuscì l'altro Canone Trigesimo Terzo, nel quale si decretò di volersi avere in abborrimento le Basiliche degli Eretici, nè doversi elle riconciliare al culto Cattolico; potersi ciò fare solamente delle Chiese, che gli Eretici avessero tolto ai Cattolici con violenza. Di qui s'apprende qual distruzione si fosse fatta delle Basiliche Ariane nel Burgundico Regno: e quante Basiliche avessero ivi costruite gli Ariani, le quali caddero per l'esecrazione comandata dal Concilio. Così perirono in gran parte le memorie d'un'Architettura, che ingegnavasi per la spavalderia delle Sette di non somigliar punto alla Cattolica.

»Basilicas haereticorum, QUAS TANTA EXECRATIONE HABEMUS EXOSAS, ut pollutionem earum purgabilem non putemus, SANCTIS USIBUS APPLICARE DESPICIMUS. Sane quas per violentiam nostris abstulerunt, possumus revocare[42]».

Dopo la celebrazione di questo Concilio, il popolo divenuto Cattolico de' Borgognoni fu vinto nel 534 da' Franchi, ed obbedì ai Re, figliuoli di Clodoveo, ed i precetti Epaonensi propagaronsi con più vigore di tratto in tratto nelle Provincie d'Occidente, le quali venivano liberandosi dall'Arianesimo, perocchè niun'altra Eresia fu tanto possente quanto questa presso i popoli Goti, o fatti Goti come i Borgognoni: niuna ebbe tanti favori da' Re, nè alzò sì superba la testa, quasi fortunata vincitrice del Simbolo Niceno. Per lo contrario, i Goti di Spagna e della Gallia Gotica non conquistata da Clodoveo vieppiù infiammaronsi nel desiderio di segregare la Ariana loro Architettura dalla Cattolica; ed in tal modo mostraronsi vieppiù evidenti le differenze native tra l'Architettura Gotica e la Romana o Romanese.

XIII.

Parve bello nondimeno a Clotario I.º, figliuolo di Clodoveo, di additare a' suoi Franchi della Neustria gli Architettonici artifici dei nuovi suoi sudditi Visigoti della Gallia Gotica; e piacquegli di costringerne alcuni, se pur già dianzi non erano per avventura Cattolici, ad edificare, quasi un trionfo sull'Eresia, secondo le forme Visigotiche, ma secondo il Cattolico rito, una Chiesa in Rotomago, cioè in Roano, sulla destra riva della Senna. Ciò avvenne quando Flavio, il quale morì nel 534, era Vescovo Rotomagense. [25] Allora Clotarico fece costruire un magnifico Tempio a San Pietro: lo stesso forse, che la Regina Clotilde, sua madre, nata fra i Borgognoni, avea cominciato in onor de' Dodici Apostoli. Clotilde, sebbene Cattolica, non si ricordò ella giammai delle patrie forme di architettare in Borgogna, quando edificò nel Regno de' Franchi le molte sue Chiese? Che che fosse stato di ciò, Clotario I.º, il quale avrebbe dovuto nel suo sacro Edificio di Roano servirsi della Mano Romana, si rivolse in vece alla Mano Gotica, cioè al Gotico Magistero. E rizzò in quella città il magnifico Tempio, che ancor ivi s'ammira, sebbene due volte ristorato: il Tempio, al quale s'aggiunse un ampio Monastero, e che nel secolo seguente a Clotario non più si disse di San Pietro, ma di Sant'Oveno. Così ancor oggi egli s'appella, perchè nell'anno 684 vi si riposero le ceneri di quell'illustre Vescovo Rotomagense. Vi riposarono fino all'841 allorchè i Normanni minacciarono Roano e tutta la spiaggia ulteriore della Senna. Un Monaco Rotomagense, di cui non si conosce il nome, compose la Vita di Sant'Oveno, mentre quelle ceneri vi si veneravano ancora: ma furono indi trasportate altrove dai Monaci all'approssimarsi de' Normanni, che attualmente nell'841 saccheggiarono il Tempio, privo della santa spoglia. Ulmaro, il quale scrivea nell'875, diè meritamente il nome di Geti a questi Normanni[43].

Or ecco le brevi, ma efficaci, parole del Monaco, Autore della Vita di Sant'Oveno od Audoeno:

»In Basilica Beati Petri Apostoli Beatum Audoenum sepelierunt. Denique ipsa Ecclesia, IN QUA SANCTA MEMBRA QUIESCUNT, quadris lapidibus, MANU GOTHICA, a primo Lothario rege Francorum olim est NOBILITER constructa...... MIRO OPERE..... Pontificante Flavio Episcopo Rothomagensi»[44].

Gotica dunque, non Romana, fu la Mano che rizzò quella mirabile opera del Tempio per comandamento di Clotario I.º: Gotica, e nuova del tutto in Roano, e però incognita in tutto il Regno di Neustria, dove prevalea l'arte Romana. Se la Mano Gotica non fosse stata nuova ed incognita; perchè dunque avrebbe dovuto parlarne con tanta diligenza il Monaco, Autore della Vita di Sant'Oveno? L'essersi da questo Monaco ricordata in oltre la forma delle pietre riquadrate, poste in atto dalla Mano Gotica, ci riconduce dinanzi gli occhi le figure della Colonna Traiana, dove con pietre per l'appunto di tal forma si veggono fabbricate la Reggia di Sarmizagetusa, e l'altre città Daciche di Decebalo.

[26]

Un error grave del Surio, seguitato da molti ed anche dottissimi Scrittori, fe' credere falsamente, che questo Monaco fosse stato non diverso da Fridegodo, Monaco Inglese del 965 ed Autore non della Vita del Vescovo Sant'Oveno, ma sì di quella d'Osvino Monaco e non Vescovo Inglese. L'età del Monaco Rotomagense, non più antico dell'841, lo ravvicina più assai al secolo di Clotario I.º e della sua mirabile opera Gotica. Un Codice di San Massimino Trevirense presso il Wiltheim, parla non in generale della Mano Gotica, ma sì degli Artefici Goti, chiamati da Clotario I.º in Roano. E però il Wiltheim nel 1659 non tardò ad affermare la perpetua durata dell'Architettura Gotica: vero e necessario concetto, che dopo lui s'oscurò in quasi tutte le menti.

»Hinc, egli dice, haud dubie efficitur, habuisse Gothos........ quamquam a Chlodoveo subacti...... habuisse, inquam, GENUS AEDIFICANDI PROPRIUM[45]».

XIV.

Chi non dice oggidì, che l'Architettura Gotica sia un falso nome dato nella nostra età da noi ad un'Architettura, che surse per la prima volta nel decimo e nel duodecimo secolo? Così scrivonsi oggi tutte le Storie dell'Architettura; e tutte narrano, che allora soltanto rampollò dall'umano cervello, senza un innanzi e senza riscontri d'alcuna sorta nel passato, una particolar foggia d'edificare coll'arco acuto; la quale stoltamente attribuissi a' Goti, privi d'ogni arte loro propria e d'ogni disciplina. Ho già confessato, ed or confesso da capo, d'ignorare qual fosse l'Architettura Gotica nel 534, regnando Clotario I.º su' Franchi. E ben si può e si dee deplorare sì fatta ignoranza, ma non per essa vuolsi negare, che fuvvi l'Architettura Gotica di là dal Danubio, dond'ella venne in Ispagna e nella Gallia Gotica. Nel 548 cominciò a regnare su' Goti Atanagildo, che più d'ogni altro suo Predecessore amò l'Architettura patria Oltredanubiana, e mantenne scintillanti più che non dianzi su questo punto gli orgogli, onde testè favellai: Atanagildo, padre di Brunechilde, la famosa Regina de' Franchi. L'insigne Storico Mariana scrive, che ai suoi dì nel secolo decimo sesto sussisteano le rovine delle Gotiche fabbriche del Re Atanagildo in Portogallo vicino ad Idana, oggi Guimaraens: fabbriche simili perciò a quelle, che tutto il mondo nel secolo del Mariana chiamava Gotiche: testimonianza tanto più vera e concludente quando più elle sembravano brutte allo Storico, essendo ristucca in quella stagione l'Europa de' modi tenuti dalla Architettura [27] Gotica dopo essersi nuovamente voltati gl'intelletti ad ammirar l'arte antica d'architettare, risorta in Italia, secondo gli esempi Greci e Romani. »In portugalia, dice il Mariana, ex sexto decimo ab urbe Guimaraens (antiquis Idania fuit) lapide, pagus EXTAT ATHANAGILDI nomine, fortassis ab hoc tempore conditus; in eo parientinae CERNUNTUR et aedificiorum fundamenta gotthicae structurae, multum a Romana elegantia degenerantis speciem repraesentantia[46]».

Brunechilde sposò nel 566 Sigeberto; Re de' Franchi d'Austrasia. Non debbo qui toccare della bellezza e delle grazie, cotanto lodate da' due Vescovi Cattolici, Venanzio Fortunato e Gregorio Turonese, di questa egregia donzella de' Goti, la quale di poi dopo le prime virtù meritò aspri e giusti rimproveri: ma i suoi più spietati nemici non le negarono la lode, ch'ella d'illustri monumenti avesse riempiuto i paesi de' Franchi, e conseguita la riputazione d'edificatrice magnanima e grande. Ignorava ella fosse Brunechilde, che San Pietro di Roano era stato costruita con Mano Gotica dal padre di suo marito? Ed aveva ella dimenticato di esser figliuola del Re Atanagildo? Colui, al quale piacesse di tener per vero un simile obblio, dovrebbe dimostrare, che la tralignante Brunechilde non avesse mai edificato in altra foggia se non alla foggia Romana.

Questa è la troppo celebre Brunechilde, che non lasciò mai di esser Gota; ed in qualità di Gota, non di Romana, la sua rinomanza riempì le carte dell'Edda e de' Nibelungen.

XV.

Clotario I.º, autor della Mano Gotica in Roano, aveva unito nella sua persona tutte le Provincie conquistate da' Franchi sui Romani, sui Borgognoni e su' Visigoti nelle Gallie. Sigeberto, Re d'Austrasia, ed i suoi tre fratelli divisero fra loro la Monarchia paterna, mercè un solenne Trattato del 562[47]. A Sigeberto nella Gallia Gotica toccarono i paesi della Prima Aquitania, ed in questa l'Alverinia, ov'era Clermonte d'Apollinare Sidonio; toccarono alcune parti della Provincia Romana, da noi detta Provenza, ove sorgeva Marsiglia[48]. Brunechilde, moglie di Sigeberto, venne dunque nel 566 a regnare sopra molte nobili Città de' Visigoti, conquistate da Clodoveo dopo la battaglia di Vonglè. Qual non fu la gioia di quei Visigoti, che ho detto[49] aver lo stesso Clodoveo lasciati non di rado al reggimento di tali Città in nome de' Re Franchi? Qual non fu il loro tripudio nel veder salire sul Trono d'Austrasia la bella [28] figliuola del Visigoto Re Atanagildo? Brunechilde perdè il marito nel 575; allora ella tenne da sè con varia fortuna i freni del Regno, invece or del figliuolo, ed or de' nipoti. Qui niuno dirà, che la Regina preso avesse in Marsiglia e negli altri luoghi dei Visigoti suoi sudditi a sommergere la loro Architettura Gotica ed antichissima, nè che i quattro Re, nati da Clotario I.º avessero dovuto aver in dispregio la Mano Gotica, già sì cara dianzi al lor genitore. Gli esempi di Brunechilde, che fu soprannominata la Grande Edificatrice, giovarono anche a' Goti delle Città cadute in sorte agli altri figliuoli di Clotario I.º: tra le quali mi giova ricordar spezialmente Lemosì, ovvero Limoges, che spettò nel 562 a Cariberto, Re di Parigi. Lui morto nel 568, per breve ora obbedì al Re Chilperico. Ma Nimes cotanto famosa pel suo Anfiteatro Romano, e la marittima città di Magalona rimasero in potere de' Visigoti uniti con la Spagna, sebbene l'una e l'altra città fossero strette per ogni verso e circondate dalle regioni della Gallia Gotica, le quali erano cadute sotto il dominio de' Franchi.

Due anni dopo le nozze di Brunechilde con Sigeberto, arrivò il Re Alboino in Italia co' suoi Longobardi; seguito dagli Ostrogoti, che Narsete avea discacciati al tutto dall'Italia nel 554, regnando Giustiniano Imperatore. S'erano rifuggiti costoro nella lor Provincia di Pannonia, in mezzo alla quale allora viveano i Longobardi, ed essi Ostrogoti ne avevano convertita una gran parte alla fede Ariana. Alboino, giovine Re de' Longobardi, mostravasi più acceso di tutti nella novella credenza, e lasciavasi tuttodì vedere nelle Chiese Ariane in compagnia de' Clerici Goti. Di ciò gravi lamenti mosse il Vescovo di Treviri San Nicezio, in una lunga sua Lettera da me ricordata nella Storia[50]. Quei Clerici Ostrogoti furono in Italia non solamente i dottori ed i maestri dei Longobardi Ariani, ma eziandio gli Architetti così nel costruire le Chiese, che costoro v'edificarono, come nel ridurre al rito Ariano l'altre, che si tolsero da essi a' Cattolici. Ma io promisi di non parlar dell'Architettura Ostrogotica in Italia[51]; e, stando al mio proposito, non toccherò d'altro nel presente lavoro se non della caduta del Maggior Tempio, alzato in Ravenna dagli Ariani sotto il Gran Teodorico; il qual Tempio indi vi stette in piè per circa mille anni fino al 1457. Tacerò eziandio delle grandi fabbriche di Teodolinda, l'eccelsa e Cattolica Regina d'Italia, nelle quali poterono qualche volta metter mano anche gli Architetti Ostrogoti; soprattutto se alcuno tra essi convertissi alla credenza Cattolica. E però, lasciando queste cose in disparte, io mi terrò stretto nell'Orbe Visigotico.

[29]

Fra' Visigoti, divenuti Cattolici, v'era il Duca Launebode, al quale i Re Franchi aveano conceduto il governo della sì ricca e bella e della cotanto Visigotica Tolosa. Launebode nel 578 prese ad edificare una grandiosa Basilica in onore del Vescovo San Saturnino; ed il Romano Venanzio Fortunato scrisse alcuni versi al Duca, da' quali s'impara in qual modo vispi e gagliardi, eziandio dopo le sciagure di Vouglè, durassero quei Visigotici rigogli, onde favellai[52], a cagione della dilettissima loro Architettura Gotica. Venanzio non seppe lodar più degnamente sì fatte fabbriche se non dicendo, che aveale recate a termine un Barbaro, ma senza l'aiuto d'alcun Romano:

»Launebodes enim....... Ducatum

»Dum gerit, instruxit CULMINA SANCTA loci.

»Quod NULLUS VENIENS ROMANA E GENTE FABRIVIT

»Hoc vir Barbarica prole peregit opus[53]».

Questo è ciò che si faceva in Tolosa, regnando i Franchi: e quando la Reggia de' Visigoti era passata in Ispagna. Nella quale si vide l'Ariano Re Leovigildo fabbricar la città di Recogoli della Celtiberia, e circondarla così di mura come di sobborghi: opera, che parve mirabile a Giovanni Biclariense, Autore della Cronica[54], e perseguitato da quel Re, il quale afflisse fieramente i Cattolici. Nello stuolo de' perseguitati annoverossi altresì un Piloforo Goto; Mansona, cospicuo per la sua nobiltà. Questi dal 573 al 606, sedette Vescovo in Emerita, oggi Merida, nella Lusitania. Fedele suo Predecessore, nacque nella Grecia e venne in fama per aver ristornato il Tempio di Santa Eulalia di Merida, ma con aggiungervi nuovi edifizî e soprattutto per l'eccelse Torri, ch'ei soprappose alla mole sublime di quella Basilica. »Celsa Turrium Fastigia sublimi produxit in arce[55]». Così diceva il Diacono di Merida Paolo, che a' giorni di Mansona compose le Vite de' Vescovi Emeritensi. Da Merida il culto di Santa Eulalia si diffuse da per ogni dove a cagione di sì augusto Tempio, e gran numero di Basiliche s'eressero in onor di quella Vergine, massimamente in Cordova ed in Toledo. Nè Mansona cessava d'edificare Ospedali e Basiliche in Merida con ammirabile artificio, per quanto afferma lo stesso Diacono Paolo; artificio, adoperato da un nobilissimo tra i Goti, non tra i Romani. Le Torri di Santa Eulalia sursero in alto non per difesa contro i nemici, nè per altre occorrenze [30] di guerra, ma per ornamento d'Architettura, e forse fin da quella stagione per sostegno delle Campane[56]. Il Greco Fedele dovè quivi ergere quelle Torri per seguitar le voglie de' Visigoti Cattolici, non i precetti dell'Architettura Bizantina, che nella Chiesa già dianzi ricostruita di Santa Sofia s'astenne da ogni sorta di Torri, donde avesse potuto il Vescovo di Merida voler trarre gli esempj.

Nel mezzo delle sue persecuzioni, Leovigildo Re si fece a ristorar le mura dell'antica Italica, vicino a Siviglia. Edificò in Toledo una Chiesa del rito Ariano: la quale, quando i Goti vennero la più gran parte alla fede Cattolica nel 587, fu dal Re Recaredo riconciliata immantinenti al nuovo culto. Allora in Ispagna e nella Gallia Gotica non conquistata da' Franchi si diminuirono l'industrie, con le quali s'andavano studiando gli Ariani di voler differenziar le loro Chiese da quelle de' Cattolici: ma non vi cessarono al tutto gli Ariani. Per un altro lato, da' Goti Cattolici si vide imposta la lor Liturgia Gotica ed Orientale anche a' lor sudditi Romani della Spagna e della Gallia Gotica. Ciò si fece per Decreto del Terzo Concilio di Toledo, preseduto da Mansona di Merida nel 589. Robusta poi sempre si mantenne l'usanza presso i Goti nuovi Cattolici, di tener in onore la prisca loro Architettura, ch'essi aveano recata dalla Dacia e dal Danubio in Ispagna. E però in alcune famiglie de' Goti s'erudivano i servi nell'arti di edificare: si come si legge in un'Iscrizione posta dall'un di costoro per nome Gudila, il quale vantavasi, al pari del Duca Launede Tolosano, di non aver adoperato altre braccia se non de' servi nati nella sua casa, per ergere in Cadice due Chiese a Santo Stefano ed a San Giovanni Martire nel 607: »Oferarios vernulas. Sumptu Proprio[57]».

XVI.

L'età de' Re Atanagildo, Liuba I.º, Leovigildo, Recaredo, Liuba II.º, Vilterico, Gondemaro e Sisebuto, dal 548 al 622, è quella, in cui maggiormente fiori la civiltà de' Goti, e più mostrossi la lor natura Cavalleresca. Il Re Chilperico, fratello di Sigeberto sposò nel 568 Galsvinta, sorella di Brunechilde: alla quale Galsvinta esso Chilperico fece il Dono Matuttino detto del Morgicap da' Franchi, da' Longobardi e da' rimanenti popoli della Germania di Tacito. Lemos con altre Città Gallo-Gotiche si videro comprese in tal Dono: e queste, quando il Re uccise la moglie nello stesso anno, furon cagione di guerra tra' figliuoli di Clotario I.º; poscia passarono tutte nel privato dominio di Brunechilde.

[31]

Qual non era la differenza tra un sì fatto Morgincap, e la Morgengeba de' Visigoti nella Spagna? Una Formola insigne in versi Latini del 615, scoperta e' non ha guari dal Signor di Roziere e da me riproposta in parte nel Codice Diplomatico Longobardo[58], c'insegna, essere stata la Morgengeba il dono, che facevasi alle Visigotiche Vergini, quando elle non erano se non semplici fidanzate, come la Burgundica Ildegonda nel Romanzo di Gualtieri o Waltario, prole del Re d'Aquilania. E si ravvisa in tal Formola qual fosse la delicatezza de' sentimenti di chi la scrisse, ma col proposito di voler dipingere al vivo alcuni costumi del suo secolo, e lodarne l'antichità. Il Getico Senato ci apparisce nel suo lustro primiero, come al tempo de' Pilofori, e però vie meglio si mostra l'Aristocratica natura Visigota:

»Insigni merito et geticae de stirpe Senatus

Illius sponsae dilectae....

Ordinis ut GETICI est et MORGINGEMBA VETUSTI»

Qui nella Formola del 615 comincia la descrizione de' doni a colei, che lo sposo vagheggia;

»Te dominam in mediis cunctisque per omnia rebus.

Constituo, donoque tibi vel confero, Virgo.

Quanta disformità tra il Morgincap de' Franchi o de' Longobardi e la Morgengeba de' Visigoti! La Vergine Visigota diveniva Signora di tutto fin dal momento del dono; la donna Longobarda era soggetta sempre al Mundio Perpetuo, anche de' suoi proprj figliuoli. Da questa sola diversità si misuri lo spazio, che dividea la vita civile de' Goti da quella de' popoli della Germania di Tacito; si vegga di qual altra tempra fosse in Ispagna e nella Gallia Gotica il rispetto per la donna ed ogni sentimento generatore della Cavalleria. Si scorga in oltre quanto i Visigoti del Re Sisebuto si vantassero della vetustà della Morgengeba, che racchiudea veramente in se tutt'i germi Cavallereschi della loro stirpe. In ciò l'Europa d'oggidì è Visigotica, non Longobarda. E di qui si può facilmente conchiudere quanto il Re Sisebuto col suo Getico Senato dovesse aver cari gli usi ed i costumi primitivi del suo popolo; quanto gli fossero a cuore l'esercizio ed il progresso così della Gotica liturgia come della loro antica e nazionale Architettura Gotica. Chi non conosce l'intima connessione dell'Architettura Sacra e della Liturgia? E come avrebbero potuto dimenticarsi gli usi della Patria Oltredanubiana e gli esempi recenti dati ti dal Re Alanagildo, quando il Re Sisebuto edificava in Toledo [32] sul Tago il magnifico Tempio di Santa Leocadia (CULMINE ALTO, MIRO OPERE[59]), ove indi si tennero i famosi concili Toledani? Al Quarto de' quali presedè nel 633 Santo Isidoro di Siviglia, e vi si fecero più ampj ordinamenti per rifermare la autorità della Liturgia Gotica. Di questa Basilica era notabile principalmente l'elevazione, ammirata cotanto da Santo Eulogio di Cordova, e dalla Cronica d'Albelda; l'elevazione, che anche a' nostri sguardi nel secolo d'oggidì ci si rappresenta come una delle impronte primitive dell'Architettura Gotica, e soprattutto dell'Ecclesiastica. Sol nelle Leggi, negli Atti Pubblici, nelle Formole, nelle Monete i Visigoti amarono l'idioma Latino, riserbando il proprio, cioè l'Ulfilano, agli usi privati ed al commercio quotidiano fra Goti e Goti; del qual costume non tacerò quando farommi a ricordare i linguaggi arcani de' Culdei[60].

XVII.

Non so se la conversione de' Visigoti fosse stata sì generale nella Gallia Gotica, sì come fu in Ispagna. Parlo della Gallia Gotica non conquistata da' Franchi, ove mi sembra, fosse rimasto un gran lievito Ariano, pel quale si continuò a desiderare di mettere sempre differenze fra l'Architettura Sacra degli Eretici e quella de' Cattolici. Nella Gallia Gotica venuta in potestà dei Franchi, assai poco frequenti, anche per resistere a' nuovi dominatori, furono le conversioni de' Visigoti alla fede Romana, ed a pochi tra essi piacque d'imitar l'esempio Tolosano del Duca Launebode, rizzando Chiese alla guisa Cattolica. Le sette degli Albigesi e de' Valdesi, delle quali ne' secoli seguenti si vide travagliata Tolosa col resto della Gallia Gotica de' Franchi, dimostrano, essere state ivi più che in ogni altra Provincia disposto di lunga mano il terreno a farle allignare. Sì fatta preparazione produsse non piccoli effetti sulla continuità dell'Architettura Gotica degli Ariani, e sull'esplicamento successivo così della letteratura come della lingua de' Provenzali.

Ampio e ricco argomento, ma non è il mio in questo luogo: riparlo perciò del Re Sisebuto e dell'elevazione Visigotica, sì, ma non più Ariana della sua Chiesa di Santa Leocadia. Così fatta elevazione, che sembrava la sola degna ne' Sacri Templi ai Visigoti ed acconcia meglio ad innalzar gli animi verso Dio, dominava già in tutto il resto della natura di quel popolo fin dal tempo, in cui credettero all'immortalità dell'anima pei discorsi di Zamolxi; poscia s'accrebbe per le vittorie di Dromichete, di Berebisto e di Decebalo. Il nazionale orgoglio pigliò forme novelle [33] dopo la conquista di Traiano, per effetto delle stesse sciagure dei Geti o Goti, e nuovo stimolo dettero alle lor cittadine superbie le vittorie de' Re Ostrogota ed Ermanarico, non che la presa di Roma nel 409. La grandezza dell'animo si congiungea ne' Visigoti con una salda ed adamantina tenacità del proposito, la quale apparisce in tutta la Storia di Spagna fino a' dì nostri; e con un alto, anzi superlativo, sentire di sè medesimi. Ne abbiamo una pruova in una Lettera di Sisebuto, ch'egli per mezzo del suo Legato Totìla mandò a Teodolinda, Regina de' Longobardi, verso l'anno 616, allorchè gli fu riferito di predicarsi fervorosamente in Italia l'Arianesimo dagli Ostrogoti, ritornativi col Re Alboino. Quale sventura, scrivea Sisebuto, che popoli del nostro Gotico sangue siano macchiati dell'Ariano contagio? »affinitatem sanguinis nostri Ariana contagione nunc pollui, et virulenta profusione canceris FRATERNA COGNATIONE DISJUNGI?». Qual razza, soggiungeva, è più bella, più inclita, più naturalmente valorosa e prudente di quella de' Goti? Quale ha più eleganti costumi? Chi non ha in pregio i modi loro di vivere, la perspicua dignità e la gloria del loro nome? »GENUS INCLITUM ET INCLITA FORMA, INGENUA VIRTUS, ET NATURALIS PRUDENTIA ELEGANTIA MORUM, VITAE BONA CENSURA, PRESPICUA DIGNITAS, ET GLORIA DIGNITATIS EXIMIA[61]. La bellezza e le grazie di Brunechilde, Regina, delle quali concepirono sì gran maraviglia i Romani, ci fan sicurtà, che Sisebuto non esagerava col suo favellare l'eleganza de' costumi Visigotici: ma già Brunechilde, quando egli scrivea, era morta da circa tre anni. »Puella elegans, venusta aspectu, honesta moribus atque decora, prudens consilio et blanda colloquio». In tale aspetto ella era venuta dalla Gozia, scrive Gregorio Turonese, al talamo del Re Sigeberto.

Un'antica tradizione ripeteva d'età in età, che Sisebuto avesse rafforzato la città d'Ebora con grandi propugnacoli[62]. Verso la fine del sesto decimo secolo sorgeano ancora in essa due saldissime Torri, che dallo Storico Mariana s'attribuiscono a quel Re. Santo Eulogio di Cordova ricorda la Chiesa di Santo Eufrasio, fatta costruire da Sisebuto in Iliturgi, oggi Martos, sul Guadalquivir[63]. Bastavano tali esempi ad inanimire i Pilofori Visigotici Vescovi e Laici, ed a ricordar loro la patria consuetudine del Danubio così nell'Architettura sacra come nella civile e nella militare. Nè la memoria di Brunechilde Regina, e del suo edificare [34] s'era perduta, quando il Re Sisebuto mancò nel 621. L'anno che seguì alla sua morte, fu il Primo dell'Egira di Maometto e però il primo, da cui si numerassero i pubblici fatti e le conquiste del fortunato legislatore di quegli Arabi, che viveano sotto le tende: indi essi nel corso delle loro vittorie, dopo aver perduto Maometto, edificarono in vari Regni un gran numero di Templi e di Moschee, chiamato in aiuto la scienza de' popoli vinti; dalle quali costruzioni nacque ne' secoli seguenti l'Architettura della Moresca. Di questa forse, ma nol prometto, farò un particolare Discorso: qui mi contento dell'osservazione, che gli Arabi di Maometto non insegnarono alcuna forma speciale d'architettare al Re Sisebuto ed al popolo, discendente dagli Immortali di Zamolxi.

XVIII.

A' giorni di Sisebuto la Città di Lemosi nella Gallia Gotica fioriva per l'eccellenza delle sue arti. Nè l'arti Romane sotto i Visigoti erano spente, quantunque non primeggiassero; ma sotto Eurico vi predominarono le Visigotiche dell'Architettura, e sopratutto di quella peculiare degli Ariani. Era in Lemosi una Pubblica Officina della moneta fiscale, afferma Sant'Oveno, che circa un quaranta anni dopo Sisebuto scrisse diffusamente la Vita del suo amico Santo Eligio[64]. Ecco una Zecca nella Gallia Gotica, dove presedeva un Orefice lodatissimo (fabro aurifici probatissimo), chiamato Abbone, il quale v'insegnava le pratiche ingegnose dell'arte sua, ed ebbe Santo Eligio a discepolo. Nasceva egli da' Visigoti questo Abbone? Un tal nome non è Romano, e pur tuttavolta egli non sembra Visigotico: ma Eligio, ed i suoi Genitori Eucherio e Terragia, si possono pei loro nomi credere usciti di sangue Romano. Che che sia della nazione di tutti costoro, Lemosi, retaggio di Brunechilde[65], ha le apparenze d'essersi mantenuta Visigotica sotto la dominazione particolare della Regina[66]; ma, dopo lei, si ripose in libertà. E ne godeva nel 620, se dee credersi al contemporaneo Sant'Oveno, il quale narra, che alcune cagioni sospinsero quel suo amatissimo Eligio a condursi nel Regno de' Franchi[67]. Sopra una gran parte di questi regnava Dagoberto; ed Eligio giunse fra essi per l'appunto verso il 620, negli ultimi giorni di Sisebuto. Dagoberto indi ottenne tutta la Monarchia de' Franchi e possedè il tratto di Lemosi, o per conquista, [35] o per volontaria dedizione. L'aura Visigotica spirò per lunga stagione in quel tratto, dove di poi venne alla luce il Trovatore Gerardo di Berneuil, ricordato dall'Alighieri nel Purgatorio e nell'Eloquio Volgare.

L'Orefice di Lemosì diventò il Ministro e l'amico principale del Re Dagoberto. Tutti gli Ambasciatori, che dall'Italia e dalla Gallia Gotica non conquistata da' Franchi arrivavano al Regio Palazzo, avevano a cuore, scrive Sant'Oveno[68], di rendersi benevolo Eligio: per opera del quale, se non vado errato, si dette Lemosì a Dagoberto. Grandi prove avea somministrato Eligio della sua eccellenza nel suo mestiere, ma egli divenne ancora un edificator grande così di Monasteri come di Chiese. Nel 631[69], si fe' donare dal Re un territorio in Lemosì, dove costruì un ampio e magnifico Monastero, che indi fu visitato con ammirazione da Sant'Oveno: poscia l'avventuroso Ministro fabbricò nella sua propria casa d'abitazione in Parigi un nobile Monastero per trecento Vergini (dignum construxit Archisterium). Nel 634, con Visigotica elevazione, fabbricò l'alta Basilica fuori le mura di Parigi, e coprì elegantemente di piombo quelli, che son chiamati dal medesimo Santo Oveno i sublimi tetti di San Paolo. Tralascio l'altre fabbriche innalzate da Eligio e quella di San Marziale della sua patria Lemosina, per domandare se fu Gotica o Romanese la natura di tali edifizi? Saranno stati dell'una e dell'altra sorta, rispondo, ma io l'ignoro. Certamente non furono Romanesi le forme primiere della Badia di S. Dionigi, fatta edificare nel 637 da Dagoberto, e decorata con insigni opere d'Orificeria: lavori dell'egregio artefice, dell'operoso costruttore d'un Monastero nella sua propria casa e del possente Ministro della Monarchia. Eligio perciò ebbe la più gran parte nel disegnare o nell'approvare le sembianze Architettoniche di quella famosa Basilica, della quale il Pontefice Stefano II.º volle al suo ritorno da Parigi fabbricarne in Roma una simile, secondo l'uso di Francia, come a suo luogo dirò[70].

Donde si trae, che un nuovo spettacolo si vide sul Tevere quando ivi surse la Chiesa di San Dionigi »JUXTA FORMAS SPECIES DECORATA SICUT IN FRANCIA (Pontifex) VIDERAT». Son queste le parole di Benedetto del Monte Soratte: dalle quali apprendiamo, che l'Architettura primitiva del Tempio Parigino di San Dionigi non fu Romana o RomaneseDruidicaFrancica (i Franchi non ebber giammai arte propria d'edificare), ma Gallo-Visigotica [36] e posta principalmente in atto da Santo Eligio della Gallia Gotica, posseduta da Brunechilde. Non è mio l'officio d'indagare quali mutamenti si recaron di poi all'Architettura di San Dionigi del 637.

XIX.

Mancato il Re Dagoberto, i due amici Oveno ed Eligio, nello stesso giorno 13 Maggio 640, salirono sulle Cattedre delle Chiese, quegli di Roano, e questi di Noion. In tal guisa, da' suoi paesi Visigotici Eligio si tramutò per sempre nelle Gallie Settentrionali, ove non cessò d'edificare Tempi e Chiostri. Un ampio Monastero di Vergini costruissi dal novello Prelato in Noion: lavoro, che potè non essere di stile Romanese. Morì nel 659. Allora S. Oveno dettonne la Vita. Erasi questi partito da Roano e dal suo Maggior Tempio di Mano Gotica per predicare la vera fede Cristiana contro i Monoteliti, ed avea impreso lunghi viaggi a tale uopo. Approdò in Ispagna, ove non mancavano alcune reliquie dell'estinto Arianesimo, e dove al Re Recesvinto era succeduto Vamba. L'Arcivescovo Rotomagense fu ricevuto con grandi onori dai Goti secondo i racconti dell'Autore quasi contemporaneo d'una delle sue Vite (Unde felix opinio Gothorum terras penetravit[71]). Ivi sul Guiserga, in mezzo a' suoi gentilizj poderi di Donnia o Dogna, vicino a Valladolid, aveva Recesvindo edificato nel 661 un Tempio, ricco di marmi e d'iscrizioni, al Batista; i rimasugli del qual Tempio sussistevan tuttora nel secolo dello storico Mariana. Questi giudicolle di Gotica struttura (Vetusti operis atque adeo Gotthicae structurae immaginem repraesentans[72]).

Recesvindo, sì celebrato nelle Storie di Spagna, nacque da quel Re Cindasvindo, ch'ebbe a disdegno i Romani a lui soggetti, e con sua Legge solenne dichiarò di non dover più l'universalità de' suoi popoli esser vessata dalle Leggi Romane (Romanis legibus nolum amplius CONVEXARI[73]). Laonde non ingannossi punto il Mariana, quando gli parvero appartenere all'Architettura Gotica le rovine del Tempio di Dogna, opera del figliuolo di un Re che odiò tanto le discipline forensi de' Romani. Recesvindo adunque sarebbe stato colui, che ne' suoi privati poderi avrebbe preso a voler imitare la Romanese Architettura? Ed a calcar sotto i piedi le tradizioni de' Gotici Monasteri delle Vergini Oltredanubiane? Recesvindo non si sarebbe curato di riproporre in Dogna le Visigotiche forme delle Chiese di Santa Eulalia e di Santa [37] Leocadia in Toledo? Chi ardisse affermar ciò, nol crederebbe in suo cuore.

Al tempo di Recesvindo fu con sua Legge abolito il divieto delle nozze fra Romani e Gentili[74]: ma i Romani perdettero l'illustre lor nome nelle Leggi e negli Atti Pubblici, e tutti gli abitatori de' Regni di Recesvindo non si chiamarono se non Visigoti. Così recossi ad effetto in parte l'antico disegno del Re Ataulfo, che avrebbe voluto chiamar Gozia l'Imperio Romano. Ciascuno di quegli abitatori sapea se Romana o Gotica fosse l'origine di sua famiglia: ma i Goti si teneano pe' veramente nobili, sebbene ignorassero l'uso del guidrigildo stabilito da Clodoveo: e però nacque la voce Hidalgo, tuttora usata ne' nostri dì, cioè la voce, che con apocope doppia vuol dire figliuolo di Goto. Ella basta per dinotare un'antica nobiltà e maggiore d'ogni altra in Ispagna. Così non aveano fatto i Re Vandali d'Affrica, i quali ne' loro Editti, riferiti da Vittore Vitense[75], chiamaronsi Re dei Vandali, e Re degli Alani ad un'ora. I Romani di Spagna e della Gallia Gotica vidersi perciò ingloriosamente incorporati ne' Visigoti, e peggio che già non erano stati dal Re Ostrogota i Borgognoni. La stessa dignità degli Ecclesiastici non diè risalti d'alcuna specie a' Clerici di sangue Romano, sì per la mancanza del guidrigildo fra' Visigoti, e si perchè appo essi la sacra Liturgia era Gotica ed Orientale, secondo i decreti dianzi accennati del Terzo Concilio di Toledo nel 589, i quali furono sempre più rifermati da' seguenti Concili e dalla diuturna possessione. In mezzo a sì grandi cure de' Visigoti per conservare la loro particolare Liturgia non Romana, e' divien sempre più agevole di conoscere se avesser coloro abbandonato il pensiero giammai della loro Architettura Gotica.

Tali erano quando Sant'Oveno giunse in Ispagna, le qualità civili della razza dominatrice de' Visigoti e della razza obbediente dei Romani. Se il Prelato Rotomagense non vide il Tempio di Recesvindo in Dogna, e' vide certamente in Toledo la Chiesa di Santa Eulalia, e l'altra di Santa Leocadia del Re Sisebuto, e forse conobbe San Fruttuoso, nato di stirpe regia: di stirpe, cioè, non Romana, e però Gotica[76], da un Duca Ispano d'alta possanza nell'esercito militante tra' Monti della Galizia e di Leone. Fruttuoso diè molte delle sue grandi ricchezze a' poveri, e con le rimanenti sollevò non piccoli stuoli dei suoi servi, a' quali egli soleva concedere la libertà. Sì fatte lodi gli si tributarono da un [38] suo quasi contemporaneo, che ne scrisse la Vita: Valerio, Abate di San Pier in Monti nell'Asturie[77]. Andò Fruttuoso in Merida per venerare il Tempio di Santa Eulalia; costruì un gran numero di Monasteri; popolati da moltitudini di Monaci, e principalmente quello di Nono, posto nell'Isola di Cadice. Fu salutato Vescovo di Braga, ove fabbriconne un altro, nel quale di giorno e di notte, con le faci accese, lavorava egli con le sue braccia. Morì nel 670; Architetto e muratore ad un tempo, ma la sua Mano era Visigotica.

Sant'Oveno, ritornato verso il 677 in Roano, portovvi le memorie degli Edifici e de' Tempi veduti da esso in Ispagna, ma soprattutto del culto e degli affetti verso Eulalia. E però Guaningo, uomo ricco e polente tra' Franchi, edificò in onor di quella Santa un Monastero di trecensessanta Vergini, alla costruzione del quale Sant'Oveno deputò Wandregisilo, detto San Vandrillo. Non avrebbe voluto forse l'Arcivescovo di Roano imitar le Gotiche forme della Chiesa Toledana di S. Eulalia, eziandio se gli fosser mancati gli esempi della Mano Gotica di S. Pietro nella sua stessa città? Con questi domestici monumenti e con le Gotiche rimembranze di Spagna, S. Filiberto fabbricò i nobili Chiostri Gemmenticensi ossia di Jumieges, e San Vandrillo costruì gli altri di Fontanelle: operando entrambi col consiglio e sotto gli auspici di Sant'Oveno. Il quale cessò di vivere nel 684, e pose per tutto l'avvenire il suo nome al Gotico Tempio di S. Pietro.

XX.

Il Re Vamba s'illustrò più de' suoi Predecessori per le sue splendide opere nell'Architettura Gotica. Ristorò nobilmente Toledo, allargandone le mura, ove rinchiuse i Sobborghi, e volle non si ignorasse il suo intendimento di propagar con tante magnificenze la fama e l'onore della sua Gente:

»Erexit fautore Deo Rei inclytus urbem

»Wamba, SUAE CELEBREM PRAETENDENS GENTIS HONOREM[78]».

Questi versi gli fece incidere sulle nuove mura della città, riferiti da Isidoro Pacense, che scrivea pochi anni dopo lui, nel 740; Isidoro, al quale sembrò maravigliosa quella costruzione. Vamba comandò, che brevi Torri si fabbricassero sulle Porte, ove collocò le statue marmoree d'alcuni martiri. Simili Torri fino all'ottavo [39] secolo non si disgiunsero dal pensiero de' Visigoti nella costruzione delle loro Chiese: ornamento, già il dissi, e non difesa. Ne' secoli seguenti, dopo gli assalti degli Arabi e de' Normanni, tali Torri divennero altresì propugnacoli e speranze di salvezza contro la furia de' nemici tanto ne' Monasteri quanto nelle Chiese di tutta l'Europa Occidentale, senza parlare dell'uso che divenne generalissimo, di situarvi le Campane.

Le statue poste da Vamba sulle Torri delle Porte di Toledo furono rovesciate dal tempo: ma il Mariana racconta, che a' suoi proprj dì, Filippo II.º le restituì al loro luogo[79]. Soggiunge, che Vamba cercò pietre da per ogni dove, adoperando i marmi delle Romane fabbriche, ne' quali volle si scolpissero immagini a simiglianza d'una Rota o a una Rosa[80]. Di così fatte Rote o Rose fu grande l'uso nell'Architettura Gotica del duodecimo e tredicesimo secolo; ma Vamba ne avea dato gli esempi, che certo non furono i primi appo i Visigoti, e che Filippo II.º richiamò al lume del giorno. Vamba in oltre guerreggiò felicemente contro i Visigoti, che ribellaronsi a lui nella Gallia Gotica non conquistata da' Franchi; e fondò vicino a Nimes la celebre Badia di Santo Egidio[81], mentre San Fruttuoso di Braga edificava i popolosi Monasteri, onde ho toccato, e soprattutto il Complutense, il Rufinianense, il Visumense. Nel costruire il suo Monastero di Santo Egidio, Vamba non pose mente al prossimo Anfiteatro Romano di Nimes: nè gli Anfiteatri erano cagione di grande amore a' popoli non Romani, e la memoria degli antichi spettacoli era odiosa principalmente a' popoli Gotici. La Nemausense Badia di Santo Egidio non ritrasse nulla in se di quelle forme anfiteatrali, ed in tutti gli altri edifizi la vanità de' Visigoti dava loro a credere volentieri, che la vetusta loro Architettura Gotica vincesse di lunga mano i pregi della Greca e della Romana. Di qui nascea l'abbandono dei pubblici edifici Romanesi nelle Provincie sottoposte a' Visigoti, e l'uso, che costoro correano velocemente a fare dei marmi di quegli edifici. Ervigio, che succedette a Vamba nel 680, risarcì le mura di Merida; indi rifece il Ponte Romano di quella città, in parte crollato; impresa, ch'e' commise al Duca Salla. Compiuto il lavoro, Ervigio fe' collocare sul Ponte un'Iscrizione in versi, o piuttosto un Ritmo, che non ha guari tempo si pose in luce dal Florez[82]. Ivi ad Ervigio si dà il titolo di Re de' Geti [40] e s'afferma ch'egli studiossi d'estendere il suo nome con magnanimi fatti, sì che dopo aver cinto Merida con esimie mura, operò quel miracolo di ricostruzione:

. . . . »Potentis GETARUM ERVIGII Regis

. . . . . . .

»Studuit Magnanimis factis extendere nomen

Veterum et titulis addidit Salla suum,

Nam postquam EXIMIIS novavit moenibus urbem

Hoc Magis MIRACULUM patrare non distitit;

E però l'operatore di così fatto miracolo non si rimase dal dire, ch'egli aveva vinto, sebbene imitando, l'ammirabili opere del primo autore di quel Ponte; vittoria, che avrebbe dovuto far lieta Merida per molti secoli;

»Contruxit Arcos (sic), PENITUS FUNDAVIT IN UNDIS

Et MIRUM Auctoris Imitans VICIT OPUS.

. . . . . . .

»Urbs augusta, felix, mansura per saecula longa,

Novata studio Ducis.......».

Or Visogoto era quel Duca Salla, e Visigotica la burbanza o l'adulazione, con le quali si pretendeva nel Ritmo d'aver colui vinto i mirabili concetti del primo autore. Da tal burbanza o da tale adulazione si scorge vie meglio come la loro Architettura Gotica si tenesse da' Visigoti dappiù della Romana, e come coloro giudicassero di questa, o si sforzassero di giudicarne, in un modo affatto diverso dal nostro. Egli è un singolar piglio dell'età presente il credere, che i Visigoti (non parlo già degli Ostrogoti) avesser dovuto inclinarsi, come noi facciamo, alla bellezza dei Monumenti di Architettura Greca e Latina, e deporre a tal vista ogni lor vanità cittadinesca. I Visigoti di Spagna, quantunque scrivessero in Latino e si chiamassero Flavii (per non esser da meno de' Re Longobardi) e fossero vaghi d'imitar la pompa del Palazzo Imperiale di Bizanzio, pur tuttavolta si vantavano d'essere più antichi e più civili assai de' lor sudditi Romani. Con questo animo, Vamba dirizzava le Gotiche Rose in Toledo e Sisebuto scrivea le sue Lettere a Teodolinda. Ne' secoli seguenti vinse l'intelletto Latino in tutta Europa, massimamente nell'Italia Longobarda: e là nella Spagna, quando ella fu liberata dal giogo degli Arabi, la voce Ladino, cioè Latino, divenne da capo, e si mantiene anche oggidì, una voce dinotante un titolo d'onore.

[41]

XXI.

Maometto era morto nel 632; nè ancora settanta nove anni eran trascorsi, quando i suoi Arabi giunsero in Ispagna nel 711, dopo aver soggiogata una parte non dispregevole così dell'Asia come dell'Affrica. Il passaggio di quegl'Ismaeliti dal loro Scenitico vivere sotto le tende al vivere nelle più popolose Città fe' sentir loro il bisogno dell'Architettura, e soprattutto della Sacra per la costruzione delle loro Moschee: bisogno, che costituì un novello senso nella natura lor trasformata. Edificarono dunque Moschee in ogni luogo, fin da' primi giorni delle loro vittorie: ma riuscirono da per ogni dove in Architettura i discepoli non i Maestri dei popoli vinti, e massimamente de' Visigoti di Spagna. Non tardarono a prorompere nella Gallia Gotica, unita con la Spagna; nel 719 s'impadronirono di Narbona, poscia si sospinsero fino a Magalona. Penetrarono anche in Marsiglia, ch'era de' Franchi, e però Carlo Martello, Principe di costoro, mosse l'armi sue contro gli assalitori. Carlo Martello ritolse nel 737 a' Saracini Agde e Béziers, notabili Città Visigotiche da essi occupate, ma le saccheggiò ed arse; indi barbaricamente bruciò in Nimes l'Anfiteatro Romano[83]. Fe' rovesciar da' fondamenti Magalona, vicina dell'odierna Monpellieri e d'Aniana, oggi Saint Aignan, sul Mar di Provenza: ma i Saracini lasciarono a quella spiaggia il lor nome, che anche ora s'ascolta, di Port Sarrasin.

Più crudele s'accese allora la guerra. Carlo Martello domandò gli aiuti di Liutprando, Re de' Longobardi, che rapido accorse in Provenza nel 739. Finalmente i Saracini furono in quell'anno disfatti, e fuggirono verso i Pirenei e si rinchiusero dentro Narbona. Liutprando, ritornato in Italia, pubblicò nel 741 le sue famose Leggi sui Maestri Comacini, da me riferite nel Codice Diplomatico Longobardo[84], nelle quali si nota la diversità, che passava fra l'Architettura Romanese o Romana, e l'Architettura Gallica o Visigotica; la Gallica, cioè, veduta dal Longobardo in Provenza, non la Druidica di Vercingetoringe, nè la Moresca degli Arabi, nè quella de' Germani di Tacito, de' quali ricordavasi tuttora la rozzezza nel Concilio Romano, tenuto da Papa Zaccaria nel 744[85]. Ampie Note io soggiunsi alle Leggi Liutprandee su' Comacini: e però in questo luogo non mi rimane se non il debito di tacere.

[42]

Non meno sensibile che al Re Liutprando riuscì a Stefano II., Pontefice Romano, la diversità degli usi Architettonici d'Oltre l'Alpi e degli usi Romani. Al suo ritorno da Parigi verso la fine del 754 volle quel Pontefice mostrar alla sua Città di Roma gli stranieri costumi, e comandò s'edificasse ivi nella Regione Flaminia una Chiesa di San Dionigi, la quale somigliasse a quella da lui veduta in Francia, e desse una festa di nuova sorte sul Tevere. Lui morto nel 759, Paolo I., suo fratello e successore, compì l'edificio, che sussistea tuttora nel Mille, sì come scrisse Benedetto del Monte Soratte, del quale ho recitato le parole[86]; testimonio tanto più certo di quella diversità, quanto più ignorante d'ogni letteraria disciplina.

L'anno, in cui mancò Stefano II., fu quello nel quale il Re Pipino, figliuolo di Carlo Martello, giunse a scacciar di Narbona i Saracini. Con solenne Trattato d'Accomandigia, e' concedè ai Visigoti di Narbona il pieno godimento della lor Legge Visigotica[87]: e però la conservazione de' lor Magistrati, de' loro Duchi, dei loro Conti, de' loro Saioni e Gardingi e Tiufadi. Con altro suo Diploma dello stesso anno 759, Pipino donò all'Arcivescovo le Mura e le Torri di quella città ed anche i balzelli, soliti a riscuotersi da' Visigoti su' commercj delle navi discorrenti pel mare[88]. Sì fatti commercj de' Visigoti di Spagna, di Narbona, di Magalona e d'altri Porti della Gallia Gotica ne' Porti di Genova e ne' rimanenti del Regno Longobardo venivano tuttogiorno allargando in Italia e ne' paesi bagnati dal Mediterraneo la cognizione dell'Architettura Gotica. Ma i Visigoti, che riparavansi nell'Italia e nel Regno de' Franchi, fuggendo l'impeto dell'armi Saracine, meglio di qualunque altro propagavano in estranee contrade il concetto dell'Architettura loro nazionale. Fra tanti fuggiaschi primeggiò il Conte Visigoto di Magalona, che poscia ottenne i favori del Re Pipino. Smaragdo, Scrittore contemporaneo, lo dice uscito di Getica stirpe (Ex Getica stirpe oriundus, natus in Gothia[89]), ma senza tramandarcene il nome. Da questo Piloforo Visigoto nacque Vitizza[90], il quale videsi accolto nelle Reggie di Pipino e di Carlomagno, e nel 774 venne in Italia contro il Re Desiderio, sotto le mura di Pavia. Mutò poscia i pensieri, e si condusse vicino alla sua patria Magalonese nella solitudine d'Aniana: ivi cominciò a fabbricar con le sue mani le povere celle, che tosto divennero l'Anianese Badia, una delle più [43] illustri d'Europa. Vitizza mutò anche il nome suo, e chiamossi Benedetto, come or noi l'appelliamo col titolo di Santo, congiunto con l'altro d'Anianese. Questo insigne Ottimate Visigoto fondò nelle Gallie un gran numero di Monasteri, le forme dei quali s'imitarono poscia nella Germania di Tacito: ma, innanzi di parlarne, giova dare un rapido sguardo a ciò che avvenuto era in Ispagna dopo l'arrivo degli Arabi.

XXII.

Avendo i Romani perduto il lor nome nella Spagna Visigotica e nella Gallia Gotica, dovè loro sembrar odiosa ed insopportabile questa condizione; ma i rancori cessarono, e le due razze si confusero daddovero insieme in un comune servaggio, quando sopraggiunsero gli Arabi. Allora i Visigoti alla lor volta perdettero il nome loro: e così essi come i Romani vinti da' Saracini si chiamarono Muzarabi nelle Provincie Spagnuole occupate dal nuovo nemico: allora i desiderj di scuotere il giogo abborrito divampò ugualmente ne' petti dell'uno e dell'altro popolo Cristiano. I loro studj e le lor discipline si confusero altresì presso i Muzarabi, e crebbe massimamente l'amore per la Liturgia Gotica, imposta dal Terzo Concilio di Toledo anche a' Romani. Questa da indi in qua chiamossi e chiamasi tuttora Muzarabica. Io ne riparlerò in poco d'ora, ma la breve Storia, che ne farò, ci verrà dimostrando la sua continua durata in Ispagna, e però il tenace proposito, con cui ella fu ivi custodita dalle genti di sangue Romano. Santo Ildefonso pregò secondo quella Gotica Liturgia, e soprattutto Santo Isidoro di Siviglia, l'amico del Re Sisebuto, al quale aveva egli dedicato il suo Libro Della natura delle cose. La conservazione della Liturgia Gotica non potè disgiungersi dall'esercizio dell'Architettura Gotica Sacra in ogni luogo di Spagna, dove i Saracini permisero a' Muzarabi d'edificare o di conservare le loro Chiese.

Ma si lascino i Muzarabi nella loro sventura, e si volga il pensiero alle felici montagne dell'Austurie, donde a capo d'un qualche secolo dovea discendere il liberatore aspettato. Don Pelagio con una mano di Visigoti riparossi ne' luoghi, dove ben presto sorse la città d'Oviedo, e v'inalberò la Croce di Gesù Cristo. Con questo segno tutelare alla mano mosse agli Arabi la guerra, e s'illustrò con la perseveranza della sua nobile resistenza contro gl'infedeli. Carlo Martello intanto saccheggiava e metteva in fondo la Gallia Gotica: orrido fatto, che spingea con immenso ardore i cuori de' Muzarabi da un lato e dall'altro quello de' Visigoti, oppressi dal Principe Franco, a desiderare il trionfo del cittadino loro nell'Asturia. Don Pelagio morì nel 737: Alfonso il [44] Cattolico gli succedette, che non lasciò di ristorar con felici armi le speranze de' suoi. Sì lieti principj si turbarono per l'ignavia del Re Mauregato, ch'ebbe la mala voce d'aver promesso a' Mori l'infame tributo di cento donzelle Cristiane alla fine d'ogni anno. Froila, figliuolo d'Alfonso il Cattolico, riportò la lode d'avere in mezzo a tante sciagure fondata Oviedo, ed il Re Silo d'avervi costruito un Tempio al Salvatore: costruzioni, che niuno dirà non essere state d'Architettura Gotica. Nondimeno questi Principi furono superati da un edificatore assai più fortunato e grande, che pose in più splendido aspetto il Tempio di Silo, ed arricchillo con aurei doni. Lo chiamarono Alfonso il Casto, nome temuto dagli Arabi. Al tempo di lui giunse Carlomagno in Ispagna, verso l'anno 778. Fu fama, che Bernardo del Carpio, nipote del Re Alfonso il Casto, fosse stato l'autor principale della disfatta di Carlomagno in Roncisvalle, non che della morte d'Orlando. Larga sorgente d'eroiche geste, cantate ne' Romanzi e nelle favole della Cavalleria del Medio-Evo; ma le rimembranze Visigotiche intorno a Bernardo del Carpio accrebbero fin da quel tempo il numero de' Romanzi, che piacquero tanto al popolo di Don Pelagio dopo il Waltario d'Aquitania e l'Ildegonda di Borgogna.

I fatti di Roncisvalle perciò riempirono di Visigotiche Canzoni e di magnifici Tempj l'Asturia. Vinceano di nuovo i Goti ed edificavano. Alfonso il Casto fe' con celebre pompa consacrar da sette Vescovi nell'802 il Tempio d'Oviedo, quando avea già conseguito molte vittorie sugl'Infedeli; poscia edificonne un altro alla Vergine Santa, ed un terzo a San Giuliano: ma più elegante di tutti parve quel di San Tirso, che la Cronica d'Albelda nella Rioia (scrittura dell'883) ammirava per le sue marmoree colonne, pei suoi archi e pe' suoi molti angoli (Miro aedificio CUM MULTIS ANGULIS[91]). Veggano gli Architetti se quest'opera cotanto angolosa d'un Re Visigoto possa giudicarsi non Visigotica, ma Romanese. Più caro a que' Goti riuscì Alfonso il Casto, quando egli ridusse la nascente città d'Oviedo alle prette sembianze della perduta loro Toledo. Chi fra essi non sospirava per questa cara Toledo? Chi non dolorava di non poter più innalzar gli occhi verso l'alte cime di Santa Eulalia e di Santa Leocadia? Il Casto adunque tutto compose in Oviedo, tanto le Chiese quanto il novello Palagio dei Re, come sera fatto in Toledo; e però la Cronaca d'Albelda ebbe a dire: »Omnem Gothorum ordinem, sicut Toleti fuerat, tam in Ecclesiis quam in Palatio, Oveti cuncta constituit[92]». Chi non rammenta nell'atto di leggere questa Cronica, la nuova Troia, fondata in Epiro per opera di quelli, che fuggivano dall'antica? [45] Chi non si riduce alla memoria i versi, ove si canta il giubilo, col quale i Troiani del figliuolo d'Anchise approdarono alla riva del falso Simoenta in Epiro, e corsero ad abbracciare i limitari della Porta Scea?

In tal modo Alfonso il Casto riproponeva le sembianze amate di Toledo a' suoi Visigoti d'Oviedo, e vi ponea le tombe de' Re. A quella stagione, il Visigoto Vitizza, figliuolo del Conte di Magalona, col nuovo suo nome di Benedetto Anianense, già era venuto da per ogni dove in fama pel gran numero di Monasteri da lui edificati dopo il suo proprio d'Aniana. Smaragdo, suo discepolo, afferma, che assai grande fu la Chiesa d'Aniana, e che i Chiostri, cospicui pe' suoi Portici e per le sue marmoree colonne, fabbricaronsi con nuova opera[93]. Furono essi Romanesi o Visigotici sì fatti Portici, voltati da uno de' Pilofori Visigoti? Dovè questo Piloforo ignorare ciò che Alfonso il Casto faceva in Oviedo? Con qual dritto e con quale ragione si può egli presupporre, come pur troppo si fa, che gli Ottimati Visigoti dell'ottavo e del nono secolo abbiano antiposta la Romanese alla nativa loro Architettura Gotica? E chi può negar, che di questa fossero andati superbi non dico i soli Re Vamba ed Ervigio, ma gli ultimi tra' Visigoti?

XXIII.

Emulo d'Alfonso il Casto nell'edificare, ma oh! quanto di lui più possente, fu Carlomagno, che tentò di far fiorire le Romane arti dell'Architettura e della Musica Ecclesiastica. Molti credono tuttavolta, ch'egli avesse fatto costruire alla foggia Visigotica la splendida sua Rotonda d'Aquisgrana. Io non ripeterò in questo luogo ciò che altrove scrissi di sì fatta Rotonda[94], non veduta da me: non posso nondimeno temperarmi dal riferir nuovamente le gravi parole del Cav. Giulio Cordero di San Quintino: »Chi non direbbe oggi d'essere tal Rotonda un edifizio d'Architettura Gotica in Aquisgrana[95]?» E per l'appunto, io soggiungo, in Aquisgrana, dove regnato avea la Gota Brunechilde.

Anche opera Visigotica può sembrare la magnifica Chiesa ed il Regal Monastero di Centula o di San Richerio in Piccardia. Quella Chiesa non fu priva della sua doppia Torre; una terza ne surse nel Chiostro; e tutte veggonsi effigiate nell'antica immagine presso il Mabillon[96], donde apparisce un andamento non Romanese nella [46] costruzione, sebbene un Franco ne fosse stato l'autore: Angilberto, cioè, genero di Carlomagno, al quale Angilberto potè la Mano Gotica piacere quanto ella piacque a Clotario I. in Roano.

Angilberto morì pochi giorni dopo Carlomagno nell'814. Allora il nuovo Imperatore Ludovico Pio chiamò nella sua Reggia d'Aquisgrana il Visigoto Vitizza, ossia San Benedetto d'Aniana. Questi fabbricò poco discosto il Monastero d'Inda, sul fiume dello stesso nome: ultimo forse de' tanti Chiostri da lui edificati nella Gallia Gotica, ed in molte Provincie di Francia. Racconta Smaragdo, che Ludovico Pio prepose quel Visigoto al governo di tutt'i Monasteri dell'Aquitania e della Gozia, sperando che l'esempio giovasse al Regno de' Franchi: »Praefecit cunctis Coenobiis per Aquitaniam et Gothiam, ut Franciam imbueret exemplo[97]» La qual Francia di Ludovico Pio non avea certamente penuria degli esempj di Romanese Architettura.

Una delle più rinomate Badie di San Benedetto dopo la principale d'Aniana fu l'altra di San Piero in Cauna, della quale tosto riparlerò; situata fra le Visigotiche Città, di Narbona e di Carcassona. Ma la Badia d'Aniana fu il perpetuo modello d'ogni altra della Congregazione Anianese: perciò Smaragdo scrisse: »Hoc Anianense CAPUT esse Coenobiorum, quae in Gothorum partibus constructa esse VIDENTUR; verum etiam et illorum quae in aliis regionibus ea tempestate et DEINCEPS PER HUIUS EXEMPLA aedificata sunt[98]». Or quante Badie Anianesi non si fabbricarono dopo quella d'Aniana, che fu il primo concetto d'un Visigoto nella Gallia Gotica? A tal concetto accostossi dunque l'idea del Monastero d'Inda in Aquisgrana, e massimamente se di stile Gotico fu la Rotonda fattavi costruire da Carlomagno.

XXIV.

Contemporaneo di Vitizza o S. Benedetto Anianese, che morì nell'821, fu Walafrido Strabone, Monaco di Reichenau sul Lago di Costanza. Verso quel medesimo anno egli scrisse il suo Libro delle Cose Ecclesiastiche, ove chiamossi uomo Teotisco, affermando, che il suo Teotisco linguaggio parlavasi da' Geti, ossia da' Goti, e massimamente dalle Scitiche genti di Tomi (quivi era stato rilegato Ovidio); sì come appreso avea da' racconti d'alcuni Monaci, fedeli suoi confratelli. Nè seppe tacere, che a' suoi concittadini Teotisci s'erano insegnate molte utili cose da essi Geti, sebbene Ariani.

»Multa nostros (Theotiscos) UTILIA DIDICISSE, PRAECIPUE A GETIS, QUI ET GOTHI, cum eo tempore quo Ariani effecti sunt [47] (licet a vera fide aberraverint), in Graecorum Provinciis commorantes, NOSTRUM, idest Theotiscum, sermonem habuerunt.

»Et, ut historiae testantur illius gentis (Geticae), divinos libros transtulerunt, quorum ADHUC Monumenta apud nonnullos habentur.

»Et fidelium fratrum nostrorum relatione didicimus, apud quasdam Scytharum gentes et maxime apud Tomitanos eadem locutione ADHUC DIVINA CELEBRANTUR OFFICIA[99]».

Qui tutti veggono, che si tocca della Traduzione d'Ulfila, e che di questa v'erano alcune Copie ancora nell'820 sulle spiagge del Lago di Costanza, sebbene i Teotisci di quelle contrade fossero divenuti Cattolici. Ma quali furono i Geti Ariani, ammaestratori dei Teotisci? Non essendo a noi noto, che i Geti della Gallia Gotica e di Spagna, cioè i Visigoti, avessero spedito alcuno a predicar l'Arianesimo nelle vicinanze di Reichenau, può credersi, che quegli ammaestratori de' Teotisci non fossero stati altri se non gli Sciti Iutungi ed i Borgognoni, dell'Arianesimo e della lingua Ulfilana de' quali s'è più volte ragionato[100]. Senza l'Arianesimo, direi, che Walafrido Strabone accennò al Geta o Visigoto Vitizza ed a' suoi Monaci della Congregazione Anianese. Si noti frattanto in qual modo i Monaci, compagni di Walafrido Strabone, dal paese, ove abitarono lungamente gli Sciti Iutungi d'Aureliano, conduceansi volentieri nelle regioni degli Sciti d'intorno alle bocche del Danubio; e come il linguaggio Tedesco d'oggidì potè divenir cotanto ricco, quanto egli divenne, di vocaboli prettamente Gotico-Ulfilani. Questo linguaggio Ulfilano stringeva ed aumentava i commercj fra le regioni circostanti al Lago di Costanza ed i vicini paesi, aiutati nelle Gallie da' Borgognoni: linguaggio, che propagossi di tratto in tratto nella Meridionale Germania, e che però si distendea dalle rive del Reno sino alle Colonne d'Ercole in Ispagna, nell'età di Walafrido Strabone.

Ma già si veniva formando il linguaggio Teotisco, e già la dominazione dei Franchi sì nella Germania di Tacito e sì ne' paesi Burgundici, senza parlar della mutata Religione, andava ristringendo i limiti, fra' quali s'udiva l'idioma Ulfilano. La Gallia Gotica, la Spagna Visigotica dell'Asturia ed il rimanente della Spagna, mutata in Muzarabica, serbarono sotto gl'ismaeliti l'antico affetto per la lingua d'Ulfila; sì come faceano per la Legge, per la Liturgia e per l'Architettura Gotica: le quali cose non possono mai, chi ben le considera, separarsi tra loro. Nell'853 Udalrico, Marchese di Gozia, tenne un Placito in Crespiano del Narbonese, [48] per giudicar la causa di Godescalco, Abate dell'Anianense Badia di San Piero in Cauna, contro il Visigoto Odilone, che aveva usurpato alcune terre del Monistero. Intervennero al giudizio molti nobili personaggi, sei Giudici ed un Saione. Ivi s'allegarono le Leggi del Codice Visigoto, qual'egli era divenuto dopo l'abolizione del Dritto Romano comandata dal Re Cindasvindo[101], e quale il Re Pipino l'avea conceduto a' Visigoti col Trattato d'Accomandigia del 759[102]. Secondo sì fatte Leggi, che poi per un'antica Versione Castigliana si dissero del Fuero-Juezo, diessi vinta la lite all'Abate Caunense[103].

Nè solo i Visigoti, ma eziandio, sì come ho già detto, i Romani Muzarabi deploravano amaramente la caduta e la soggezione della Gotica stirpe in Ispagna. Santo Eulogio, Romano di Senatoria famiglia, che nell'858 lasciò la vita per la fede Cristiana, deplorava nel suo Libro del Memoriale de' Santi le sorti della Penisola Ispana. Cadde, scrivea, cadde il Regno de' Goti, fiorente per la dignità de' suoi Sacerdoti, e splendido per l'ammirabile costruzione delle sue Basiliche. »Post excidium regni Gothorum, quod Venerabilium Sacerdotum dignitate florebat, et admirabili Basilicarum constructione fulgebat[104]». Fu Santo Eulogio discepolo d'Alvaro; famoso Goto di Cordova. Ma quanto più i Saraceni mettevano alle prove la pazienza così de' Visigoti come de' Romani Muzarabi di Spagna, tanto più qualche volta prorompeva della Gotica stirpe il rigoglio. Non dubitò quell'Alvaro di scrivere ad un suo detrattore, che rammentasse chi mai si fossero i Geti, ovvero i Daci, dond'egli procedeva: usi a spregiar la morte, usi a lodar le loro ferite. »Ut me, qui sim ipse, cognoscas et amplius me tacendo devites, audi,

»Mortem contemnunt, laudato vulnere, Getae........,

.... »Hinc Dacus premat, inde Getes occurrat[105]».

In mezzo alla vasta oppressione de' Muzarabi, Alvaro coltivò l'amicizia del Diacono Leovigildo, il quale ancor egli nacque Visigoto e possedeva in Cordova una ricca Biblioteca. Fu questa celebrata da esso Alvaro, ed il suo possessore s'ascoltò insignire d'una gran lode; ch'egli, cioè, splendeva di Getica luce: »Getica [49] qui luce fulget[106]». In tal guisa i Visigoti serbavano in cuore la memoria della loro passata grandezza, e però sempre, quando Alvaro di Cordova scrivea, intendeano a conservare il più che poteano le tre cose, onde ho testè favellato, la Legge del Fuero-Juezo, la Liturgia e l'Architettura Gotica. Nell'878 tennesi un Concilio in Troia di Sciampagna, nel quale si fecero Sigebodo, Arcivescovo di Narbona ed altri Vescovi della Gallia Gotica innanzi al Pontefice Romano Giovanni VIII, pregandolo di provvedere a punire i sacrilegj: materia, di cui non si faceva parola nel Codice Visigotico[107]. Poichè Goti eran que' Vescovi, egli è facile il comprendere, che la loro Ecclesiastica dignità non li distoglieva dall'esercizio, nè togliea loro il godimento delle patrie Leggi civili, nè dava loro il consiglio di mutare in Romanese l'Architettura Gotica delle Basiliche da essi costruite.

XXV.

Anche i Germani di Tacito a quella stagione cercavano d'ingentilire il loro idioma, venuti al Cristianesimo dopo la predicazione di San Bonifazio: già la loro agreste vita de' tugurj e delle capanne, senza tegole e senza calce[108], s'era mutata nella vita della città: già sorgeano da per ogni dove Cattedrali e Chiese, per la costruzione delle quali doveano chiamarsi gli Architetti o Romani o Visigoti. Ma la lingua Teotisca restò incolta e stridula per lunga stagione; del che abbiamo solenne testimonianza in Otfrido[109]: il quale, tra l'863 e l'879, si pose a parafrasar poeticamente i Santi Evangelj, e dedicò que' suoi lavori a Liutberto, Arcivescovo di Magonza. Nacque Otfrido non so se nel Regno dei Franchi o nella Germania di Tacito, posseduta da' Re Franchi. Afferma d'esser Teotisco, sì come Walafrido Strabone; ma il dialetto de' luoghi, ove Otfrido (nelle vicinanze forse di Magonza) dettava i suoi versi, era inferiore d'assai a quello de' paesi di Walafrido verso il Lago di Costanza, ove più larga e più profittevole si fece sentire l'infusione della vera lingua Gotica, od Ulfilana.

E però diceva Otfrido nella sua Prefazione a Liutberto, che barbaro, inculto ed indisciplinabile dal freno della Grammatica era il suo linguaggio Teotisco, e difficile a scriversi pel motivo della pronunzia Germanica, dello stridore de' denti e della sonorità delle fauci di que' popoli. »Linguae Theotiscae [50] barbaries, ut est inculta et indisciplinabilis, atque insueta capi froeno Grammaticae..... difficilis scriptu propter litterarum congeriem aut incognitam sonoritatem... Ob stridorem dentium, ut puto, utuntur litera Z, et litera K ob faucium sonoritatem». E tosto soggiunse, che sì fatta lingua riputavasi agreste tuttora, e non era nè pur anco ridotta in iscritto da' proprj suoi cittadini, nè polita con l'arte. »Lingua haec velut Agrestis habetur, dum a PROPRIIS NEC SCRIPTURA NEQUE ARTE ALIQUA ULLIS TEMPORIBUS EXPOLITA[110]».

Queste ultime parole d'Otfrido attestano, che ignote a lui furono molte Scritture dell'idioma de' Franchi, le quali soglionsi attribuire all'ottavo secolo. Elle perciò sembrano appartenere alla seconda metà del secolo nono, e di non aver l'antichità della Parafrasi d'Otfrido. Tali sarebbero state le Versioni d'un Libro di Santo Isidoro di Siviglia, e della Regola del Patriarca San Benedetto; il Pater Noster Germanico; poche Formole Catechistiche del Concilio di Leptines (del 743, tradotte forse più tardi); la pugna d'Ildebrando e d'Altubrando ne' Ritmi di Cassel; una preghiera di Weissemburgo della Baviera[111].

In tal guisa Otfrido, che amava il suo linguaggio Teotisco e provavasi a dirozzarlo con le sue sacre rime, non potè dissimularne i difetti e la rusticità. Non trovo per verità, che Amalasunta in Italia e Brunechilde in Ispagna fosser dotate di sì stridenti gole. Questa pochezza e barbarie regnò parimente appo i Franchi, quando essi non parlavano in Latino. Coloro, i quali confondono la razza de' Germani di Tacito con quella de' Geti o Goti si condannano a dover concludere, che un solo furono l'idioma d'Otfrido e de' Visigoti così di Spagna come della Gallia Gotica. In simil modo avranno essi a dire, che le fabbriche imprese dopo San Bonifazio nella Germania di Tacito, dalla seconda metà dell'ottavo secolo fino alla prima del nono ed all'età d'Otfrido, uguagliarono in magnificenza ed in elevazione i Tempj Toledani di Santa Eulalia e di Santa Leocadia, e que' d'Alfonso il Casto in Oviedo e tutti gli altri magnifici Monumenti dell'Architettura Gotica, de' quali s'è fin qui ragionato.

XXVI.

Un altro popolo intanto, a' giorni d'Alvaro di Cordova e del Diacono Leovigildo e d'Otfrido, minacciava le spiagge dell'Europa Occidentale sull'Oceano, recando con le sue marittime correrie i più gravi danni e le più spietate stragi alla Spagna ed al Regno [51] dei Franchi. Erano i Normanni, a' quali ho detto, che Ulmaro nell'875 diè il nome di Geti[112]: nome, che loro s'appartenea, sì come ho narrato nel Libro Trigesimo Settimo della Storia. Qui solo dirò, che nel 912 Rollone il Normanno ebbe dal Re Carlo il Semplice quella parte, la quale chiamossi Normandia, del Regno de' Franchi di Neustria, col titolo di Duca: e che il nuovo Duca pose la sua sede in Roano. Fu padre di Guglielmo I. detto Lungaspada, il quale dalla nobilissima Sprota generò il Duca Riccardo I. Sprota, rimasta vedova, da un secondo marito ebbe Rodolfo, Conte così d'Ivry come di Baieux, e però fratello uterino d'esso Riccardo I.[113]. Sulle relazioni di questi due fratelli, Dudone di San Quintino compose l'enfatiche sue ma fedeli Storie de' Normanni[114]; dalle quali apparisce, che quel Rollone fu veramente Dacigena[115], ovvero della Dacia, e che parlava la Lingua Dacica. Nacque, raccontavano l'uno e l'altro fratello, il loro avo Rollone in Dacia; non nella Danimarca od in altra delle regioni poste sul Baltico, alle quali si dava il nome generale di Dacia, per la conquista fattane da' Goti o Daci dopo la morte d'Ermanarico il Grande: ma sì nella Dacia confinante con l'Alania. L'Alania in varj tempi ebbe varj confini, più o meno vasti: nondimeno ella non si distese giammai oltre gli spazj, che interpongonsi fra il Mar Nero e la Vistola. Rollone fu prole d'un Re, che possedè pressochè interi questi Regni d'Alania e di Dacia: »Daciae regnum pene universum possidens, AFFINES Daciae et ALANIAE terras sibi vindicavit[116]». Dell'Alania parlarono i messi di Teodosio Imperatore, dicendo: »Dacia et Alania finiuntur ab Oriente, desertis Sarmatiae: ab Occidente, flumine Vistula: a Septemtrione, Oceano: a Meridie, flumine Histro[117]».

Fuggito Rollone da quest'Alanica Dacia, navigò verso la Scandinavia e giunse in Meora di Norvegia; donde poi venne a saccheggiar l'Europa Occidentale co' suoi compagni, e, fatto Cristiano, dette i principj al Ducato di Normandia, dal quale indi uscirono i conquistatori d'Inghilterra e delle due Sicilie.

La prima cura di Rollone fu di far ricondurre nel Tempio Gotico di Clotario I. il Corpo di Sant'Oveno, donando non poche terre a' Monaci, rimpatriatisi. Altre ne donò a Santa Maria di Baieux, a Santa Maria d'Evreux ed alla Chiesa del Monte di San Michele, denominato In pericolo di mare; nobile scoglio, d'accesso [52] difficile in mezzo all'Oceano. Su quello scoglio surse la Badia, che oggi anche da lungi ostenta le forme dell'Architettura Gotica. Ivi Rollone parlava la sua Dacica Lingua, ignota del tutto anche a' discendenti di quei Sassoni, che Gregorio Turonense[118] narra essersi dalla Germania di Tacito tramutati, dopo varie guerre, in Baieux. Il Duca Guglielmo I. Lungaspada, trovandosi nel 941 a parlamento con Arrigo nella vera Germania di là dal Reno, udivvi Ermanno, Duca de' Sassoni, favellare nell'idioma Dacico: »Dux Saxonum, narra Dudone di San Quintino[119], coepit affari Dacica lingua Willelmum, Ducem Northmannorum». Domandogli, maravigliando, in che modo avesse appreso un idioma non conosciuto in Sassonia, ed Ermanno rispose d'essergli occorso ciò, a suo malgrado, avendolo i valorosi Daci travagliato con assidua guerra e poi fatto prigioniero: »Quis te, continua Dudone, Daciscam linguam, inexpertem Saxonibus, docuit? Bellicosum, respondit, TUAE PROGENIEI DECUS, quae innumerabilia proelia in me exercuit, meque proelio captum ad sua detrusit, et, me nolente, linguam Daciscam docuit». Di qui s'impara, che la Dacica patria di Rollone stava situata tra l'Alania e la Sassonia della Germania di Tacito, e che nel Novecento niuna infusione della lingua de' Daco-Geti, ossia dell'Ulfilana erasi fatta nell'idioma di que' Sassoni, sebbene in più antica età dalle medesime dimore Germaniche fossero usciti una porzione degli Anglo-Sassoni, conquistatori dell'Inghilterra nel 449.

La Lingua Dacica di suo padre Rollone fu cara cotanto al Duca Guglielmo Lungaspada, che volle mandar in Baieux un suo tenero figlioletto per esservi educato allegramente alla Normanna, e nel nativo idioma de' Daci. Disse, che in questa città v'era un maggior numero di Normanni, e che in Roano udivasi più volentieri parlare il Latino, in danno del Dacico linguaggio, »Quoniam (quegli che parla, è sempre Dudone, buon testimone di que' fatti), Rothomagensis civitas Romana potius quam Dacisca utitur ELOQUENTIA, et Baioacensis frequentius. Fruitur Dacisca quam Romana, volo ut puer ad Baioacensem deferatur ut EDUCETUR, FERVENS LOQUACITATE DACISCA[120]».

Con tali cure s'ingegnavano i popoli del sangue Daco-Getico di tenere svegliata la patria lingua, e con tale predilezione l'antiponevano essi al Latino, quantunque i loro Pubblici Atti si scrivessero Latinamente per farli capire dall'universalità degli abitanti di Normandia. Ben questo Dacico era lo stesso linguaggio della [53] Gallia Gotica e di Spagna; diverso affatto da quello de' Franchi, de' Sassoni e dell'altre genti della Germania di Tacito. I Normanni di Rollone, il Daco, erano idolatri, e quando passarono al Cristianesimo, non aveano la Liturgia Ecclesiastica de' Visigoti: ma, in quanto all'Architettura Gotica, ciascuno può di leggieri comprendere con quanto diletto avesse dovuto Rollone veder la Mano Gotica di Clotario I. in Sant'Oveno di Roano, e con quale facilità largheggiar de' suoi doni verso quel Monastero.

Il fanciullo, che coltivò la Lingua Dacica in Baieux, fu Riccardo I.; e' succedette al padre Guglielmo Lungaspada nel Ducato di Normandia. Non credo, che la sua Lingua Dacica di Baieux somigliasse in tutto a quella de' Visigoti dopo la separazione di molti e molti secoli fra i Geti passati nell'Occidente d'Europa, ed i Daco-Geti di Rollone. Ma intelligibile certamente riusciva la favella di Rollone a que' Visigoti; ciò che non avveniva punto ai Sassoni avveniticci di Baieux, nè a' Sassoni rimasti nella Germania. Più ignoto sonava l'idioma Dacico di Rollone a' Romani di Normandia, suoi nuovi sudditi; nè Rollone, o Guglielmo Lungaspada cercarono di propagarne l'insegnamento. La contraria sentenza piacque a Teodorico e ad Amalasunta in Italia, i quali godevano del vedere i fanciulli Romani addottrinarsi nella lor lingua Gotica. Tra questi s'annoverarono i figliuoli del Patrizio Cipriano[121]: e tali studj piacquero tanto più ad Amalasunta quanto più ella, dotta così nel Latino come nel Greco, era vaga di mostrar a tutti le ricchezze del patrio linguaggio. Del che lodavala Cassiodoro, scrivendo al Senato di Roma: »Nativi sermonis UBERTATE GLORIATUR[122]».

XXVII.

Qui è necessario sdebitarmi della mia promessa[123], dicendo una qualche parola intorno al linguaggio arcano e però a' fatti dei Culdei o Colidei, onde favellarono dottamente lo Spelmanno ed il Ducange ne' loro Glossarj. Ebbero per vero, seguitando l'autorità degli Storici Ettore Boezio e Giorgio Bucanano, che sì fatti Culdei furono antichi Monaci o Canonici Regolari di Scozia, i quali non del tutto ubbidivano, salvo la fede, a' precetti disciplinari del Pontificato Romano. Ciò bastò ad alcuni recenti Scrittori per crederli o Eretici, o seguaci dello Scisma de' Greci[124]; ed in tal qualità s'odono i Culdei predicare oggidì per inventori dell'Architettura Gotica e dell'ogiva od arco acuto, in odio dell'arco [54] rotondo dei Romani Pontefici ed in dispregio di tutta la Romanese Architettura. Dell'ogiva parlerò più innanzi: ma priva di qualunque fondamento è l'opinione, che attribuisce ai Culdei di Scozia d'aver creato un'Architettura inimica della Cattolica; la medesima, cioè, che si sparse tosto in tutta l'Europa Cattolica e divenne cara per molti secoli ad infinite generazioni di Vescovi, di Sacerdoti e di Monaci, ossequiosissimi a' Pontefici Romani. E poi che aveano di comune co' Pontefici le mura di Merida o di Toledo e dell'altre Città de' Visigoti; che aveano di comune co' Pontefici di Roma i loro Castelli e Palagj con tutto il resto degli edifizj militari e civili di ogni sorta?

Io non nego, che San Colombano, uscito dall'Ibernia, scritto non avesse alcune acerbe parole contro la Catedra di San Pietro, da me non taciute nel Codice Diplomatico Longobardo[125]. Ma e' le scrisse per Cattolico zelo, ignorando nella sua qualità di straniero i fatti; e la Romana Chiesa onora nel numero de' suoi Santi questo insigne fondatore de' Monasteri di Lussovio (oggi Luxeu) nel Regno de' Borgognoni, e di Bobbio nel Regno d'Italia; di Bobbio, che tosto divenne l'asilo d'un gran numero di virtuosi e dotti uomini dell'Ibernia. San Gallo, San Deicolo, San Romarico, Autori di famose Badie, furono Monaci, non Culdei, di Lussovio, ed ebbero gran numero d'imitatori nel settimo secolo, i quali tra' soli Monti Vogesi verso l'Alsazia, in uno spazio non maggiore di quarantacinque leghe, costruirono, afferma lo Schoepflin[126], un circa settanta Monasteri di Canonici Regolari e di Religiosi dell'uno e dell'altro sesso. I loro edificj si giudicarono ammirabili opere dallo stesso Autore, per l'ampiezza delle loro moli e per la bellezza delle lor forme; donde poi sursero, nè ciò increbbe a' Pontefici di Roma, un numero infinito di Ville, di Rocche, di Vici, di Castelli e di Terre[127].

Più singolare può credersi l'altra opinione[128], la quale confonde gl'intendimenti de' Culdei con le dottrine Architettoniche d'alcune Consorterie di Laici, Operatori ed Architetti, che usarono un linguaggio arcano fra loro, ed ebbero una particolar Gerarchia col divieto di svelare a' profani la regola dell'arte loro e de' lor computi Matematici. Lunghe fatiche si son tollerate in Germania e' non ha guari per persuaderci, che la Gran Carta di sì fatte Consorterie Laicali si compilò in Inghilterra, e propriamente nell'anno [55] 926, al tempo di Guglielmo Lungaspada e di Riccardo I. Soggiungesi, che un cotal Documento Anglo-Sassonico, disteso nell'Eboracense città, ovvero in York, si conserva tuttora in Londra[129]. Che che sia di sì fatta Scrittura, che io non lessi e della quale non posso dar giudizio, ella non distrugge certamente le Storie dell'Architettura Gotica Oltredanubiana, da Zamolxi fino a Deceneo e ad Ulfila; non distrugge le Storie dell'Architettura in Ispagna e nella Gallia Gotica. La compilazione, vera o falsa, del 926 non potè dunque non esser l'erede necessaria d'un qualche precedente Sodalizio, dal quale in più remota età si lavorò un qualche Trattato d'Architettura: e, se congregaronsi Consorterie Architettoniche nel decimo secolo di Gesù Cristo, elle non furono più antiche sì de' Collegj dei Fabbri presso i primitivi Romani e sì degli altri de' Maestri Comacini presso i Longobardi. Simili Sodalizj formavansi non solo per le ragioni di ciascun'arte, ma eziandio per soccorrersi a vicenda nelle varie occorrenze della vita; e soprattutto nelle spese de' funerali, come il Mommsen[130] a' nostri dì vien dimostrando in quanto a' Romani. Anche oggi pei medesimi fini d'aiutarsi reciprocamente con carità religiosa vi sono le così dette Congregazioni Spirituali dell'Arti nel Reame delle due Sicilie. Gli stessi modi, credo, si tennero da' Collegj degli Architetti Visigoti di Spagna prima della venuta degli Arabi nel 711, e fino al duodecimo secolo nella Gallia Gotica.

Non veggo perciò come si debba creder nuovo nel 926 l'essersi formate o no alcune Consorterie non solo di Culdei Ecclesiastici, ma d'Architetti Laici; e come gli uni e gli altri avessero potuto essere trovatori d'un'Architettura, non mai più veduta dianzi, per contrapporla con insolito ardire a quella tenuta in pregio dai Pontefici Romani. E poi, qual maraviglia, che parecchie Consorterie giurassero di non comunicare a niuno il magistero dell'arte loro? Che altro essi faceano se non quello che sempre s'è fatto e si fa e si farà in tutte l'Officine dell'arti e de' mestieri, anche oggi che in molti paesi d'Europa s'abolirono per Legge i Collegj d'arti e mestieri? Non v'ha più giuramento del segreto, è vero; ma il privato interesse in ogni Bottega di vini o di zolfi o di ferri sa custodire assai bene a' nostri giorni le tradizioni e le pratiche della sua industria, per nascondersi agli emuli e difendersi contro gl'imitatori. Del rimanente, io non ignoro, che i costumi erano assai più feroci nel Medio-Evo, e che allora un segreto violato aprir potea più agevolmente le vie alle stragi ed al sangue, come si narra essere avvenuto nel 1099 a Corrado, Vescovo d'Utrect, il quale rubò al giovine Pleber le sue formole intorno al gittar le fondamenta [56] d'una Chiesa (arcanum magisterium), e fu per vendetta ucciso dal padre del giovine. Tralascio i paurosi racconti, che si fanno sopra Erwino di Steimbach, autore d'una delle Torri di Strasburgo nel secolo decimo quarto.

L'arcano linguaggio degli Operatori d'un'Architettura, che pretendesi allora nata verso il 926, è un gran fenomeno agli occhi di chi giudica essersi, mercè un segreto inespugnabile, propagata in tutta l'Europa Cattolica l'arte da noi detta oggi Gotica. Quella, che noi chiamiamo così, non vuole attribuirsi a' Visigoti; gente barbara ed ignorante, la quale non edificò giammai se non alla Romana, e, sto per dire, secondo i precetti di Vitruvio! A questo modo ragionano i presenti Storici dell'Architettura, ignorando tutta la Storia Oltredanubiana de' Visigoti da un lato, e dall'altro affannandosi per rintracciar nelle Consorterie de' Culdei o degli Architetti Laici tutto ciò che si trova in quella Storia molti secoli prima del 926. Somigliano tal sorta di Storici a chi con grande smania vada cercando gli occhiali, ch'egli avea già sulla fronte.

Quel gran fenomeno del linguaggio arcano è un fatto non molto dissimile all'altro d'essersi Riccardo I condotto da Roano in Baieux per parlarvi la Lingua Dacica. Perciò i Visigoti di Spagna e della Gallia Gotica, sebbene scrivessero in Latino, aveano pe' loro usi particolari[131] la Visigotica od Ulfilana Lingua in serbo; istromento ed arcano del Regno loro sì per tener desta la patria favella in mezzo a popoli di sangue diverso, e sì per non esser talvolta compresi da' Romani, sudditi non sempre fedeli. Negli eserciti d'Alessandro il Grande, composti di molte nazioni, la sua Macedonica favella era divenuta il privilegio del minor numero; ed egli stesso il Re non l'adoperava che in alcune rare occorrenze, avendo sempre il Greco illustre fra le labbra. E però, volendo ammazzar Clito, gridò contro lui all'armi nel dialetto dei Macedoni, chiamando a sè i Portatori di targhe; l'uso del quale dialetto, nella sua bocca era divenuto, scrive Plutarco, il segno e quasi un simbolo di qualche gran turbazione. I discendenti di quei Bulgari d'Aleczone, i quali furono dal Re Longobardo Grimoaldo collocati verso l'anno 667 nelle vicinanze d'Isernia e nel tratto, che oggi chiamasi Provincia di Molise nel Reame di Napoli, vivono ancora negli stessi luoghi, ove sopravvennero alcuni stuoli di Schiavoni o Slavi al tempo del Re Ferdinando I d'Aragona. Son tutte popolazioni bilingui, ed ora si veggono pubblicati dal Professor De Rubertis, nato nella Provincia di Molise, alquanti brani delle popolari canzoni, solite a cantarsi nel primo di Maggio [57] presso i nipoti e pronipoti degli Slavi[132]. Ma chi, senza una tradizione, potrebbe percepirne il significato?

L'Architettura e le Matematiche nel Medio-Evo non s'insegnavano dalle Cattedre, come oggi fra noi ma o ne' Monasteri o nelle Consorterie Laicali degli Architetti. Non solevano in quel tempo disgiungersi la scienza e la speculazione dall'operare. Nè si disgiunsero così ne' Collegj de' Comacini come in quelli de' Fabbri di Roma; non si disgiunsero in più antica età presso i Visigoti, quando essi edificavano di là dal Danubio, e quando poi edificarono in Ispagna e nella Gallia Gotica. Sì agli uni e sì agli altri Visigoti dovè tornar necessario un qualche Sodalizio d'arti e di mestieri, e soprattutto d'Architetti e muratori. Da qualcuna di sì fatte Consorterie uscirono per aventura gli Operatori della Mano Gotica, chiamati nel 534 da Clotario I in Roano; e non saranno stat'i soli, che vennero nel Regno de' Franchi di Neustria. Dopo la predicazione di San Bonifazio nella Germania di Tacito, poterono alcuni di sì fatti Visigoti esservi chiamati a costruir le Città e le Chiese, come certamente chiamati vi furono i più vicini Comacini d'Italia e come i Monaci Cattolici, di qualunque nazione si fossero, v'andarono, sì per propagarvi la fede Cristiana e sì per farvi costruire le Badie di Fulda e di Corbeia e tante altre splendidissime. Il linguaggio di tutti costoro in principio non si comprendea dai Germani di Tacito; semplicissimo fatto, sul quale di poi s'inventarono tante favole intorno a' Culdei ed agli Architetti Laici del Medio-Evo, non che all'arcano lor favellare.

XXVIII.

La Dacia confinante con l'Alania, donde si partì Rollone, Duca di Normandia, ebbe o no alcuni di sì fatti Collegj? Sembra, che avesse dovuto averli; ma chi può dirlo con certezza? Se gli ebbe, i primieri costumi della piraterìa di Rollone fan credere, ch'egli non si fosse curato di portar Architetti sulle sue velocissime navi e la brevità del suo Ducato dopo la sua conversione al Cristianesimo non gli permise forse di chiamarne dalla sua Dacia nativa e dal Danubio. Ma volendo Rollone fabbricare una qualche Chiesa od un qualche Palagio, non vedeva egli la Mano Gotica di Sant'Oveno in Roano? E non dovea egli esser tentato di chiamar Visigotici anzichè Romanesi Architetti?

Riccardo I. non solamente volle, che la Storia de' suoi Daco-Geti Normanni, al tempo della loro idolatria, si scrivesse da Dudone di San Quintino; ma vivi serbò nella sua mente i concetti dell'Architettura Oltredanubiana di que' Daco-Geti. Gli piacquero [58] innanzi ogni cosa ne' Tempj l'elevazione, che chiamerò Visigotica, ed il pensiero di circondarli con le Torri. Stando egli un giorno sulle soglie del suo Normannico Palazzo di Fecampo, vide in qual maniera questo vincesse nell'altezza l'opposta Chiesa della Trinità; e tosto mandò per un Architetto, al quale impose d'alzar la nuova Chiesa cotanto, ch'ella superasse le mura sì del Palazzo e sì della città. Il nuovo Tempio, ricco di Torri come quello di Santa Eulalia in Merida, non tardò a levarsi maestoso nell'aria, con due file d'archi: »Delubrum MIRAE AMPLITUDINIS, hinc inde Turribus praebalteatum, dupliciter arcuatum et de concatenatis artificiose lateribus DECORAE ALTITUDINIS CULMINE... Intrinsecus depinxit historialiter[133]». La Casa di Dio, disse Riccardo I., dee superare tutte le sommità d'ogni altra fabbrica.

Notgero, Vescovo di Liegi, a' giorni di Riccardo I., riedificò nella sua città la Basilica di San Lamberto, della quale si conserva l'immagine nelle Lamine, descritte dopo il Dittico Liegese dal Wiltheim[134], ove tutti possono scorgere il Gotico artificio delle Torri e de' molti angoli, compagni di que' della Chiesa di S. Tirso d'Asturia. Non è questa, esclama il Wiltheim, non è questa l'Architettura da noi chiamata Gotica? »Vidisti in singulis tabellis tria FASTIGIA ACUMINATA, et sub unoquoque horum singulos ARCUS ACUTE ANGULOSOS, genus structurae a Vitruviana seu Romana Graecave veteri longe diversum: vulgo Gothicum hodie appellant». In tal guisa, gli esempj della Mano Gotica di Roano si veggono passati dalla Normandia in Liegi, appartenente al Regno de' Franchi d'Austrasia. Un esempio più illustre diessi nella stessa Normandia da Riccardo I. quando egli cominciò nel 966 a costruire un Monastero sul Monte S. Michele. Ottenne dal Pontefice Romano Giovanni XIII. e da Lotario, Re de' Franchi, grandi privilegj pel grandioso edificio, collocato su quella marina rupe[135], ma le fiamme lo consumarono, ed il nuovo Duca Riccardo II. lo ricostruì nel 1022: della quale ricostruzione il Mabillon[136] pubblicò le figure. Ivi si ravvisano agevolmente le forme dell'Architettura Gotica, e l'elevazione aerea delle mura, che n'era il principal distintivo. Non leggo in niun Documento, che Riccardo I. e Riccardo II. avessero chiamato sul Monte San Michele a lavorare alcuno de' Culdei o degli Architetti Laici di Scozia e di Inghilterra; [59] ma la Cronica del Monte San Michele[137] ci assicura che nel 966 e nel 1022 gli Abati di quel Monastero, Mainardo e poscia Ildeberto, ne furono gli autori: Monaci entrambi, ed entrambi Cattolici.

Orderico Vitale, il quale nacque nel 1065 e fu Monaco di Santo Ebrulfo in Normandia, dove mori nel 1141, parla d'un celebre Architetto delle Gallie a' giorni di Riccardo I e del suo uterino fratello Rodolfo, Conte d'Ivry e di Baieux. Chiamavasi Lanfredo; ed Albereda, moglie d'esso Rodolfo, pregollo di fabbricare in Baieux una Torre. Questa riuscì famosa nelle guerre di Normandia (Turris famosa, ingens, munitissima[138]): un sinistro romore intanto si divolgò, che Albereda fatto avesse mozzare il capo a Lanfredo, acciocchè mai più egli non costruisse di simiglianti lavori per alcuno[139]. Lo stesso lagrimevole fine attribuiscasi all'Architetto della Meclenburghese Badia di Dobberano, e ad altri; atroci fatti, pe' quali gli Architetti e simili Operatori dell'arti si teneano più stretti ne' loro particolari Collegj, e si circondavano di misterj, occultando la pratica dell'arte loro, ed ogni procedimento Matematico.

XXIX.

Mentre Riccardo I edificava sul Monte San Michele, i Visigoti della Gallia Gotica non aveano perduto il godimento, pattuito nel 759 col Re Pipino, del Fuero-Juezo, nè l'esercizio dell'antica loro Architettura Gotica. Nelle loro contrade s'erano stabiliti non pochi Franchi, viventi a Legge Salica; ed i Romani del decimo secolo erano da lunga stagione rientrati nel possesso del Breviario Alariciano, abolito nel settimo da Cindasvindo in Ispagna; del quale riacquisto sopravanzano luminose memorie ne' Placiti e nelle donazioni del 918, 935, 942, 949[140]. Ecco tre Leggi diverse nella Gallia Gotica: nondimeno presso que' Romani e presso quei Visigoti s'insinuava sempre un qualche uso de' Franchi dominatori; e non di rado nelle due lingue, Ulfilana e Latina, si faceva un qualche innesto d'alquante Germaniche voci. Già negl'Istromenti Visigotici del decimo secolo si vede introdotto il costume dei Feudi: ma il vocabolo Allodio, della Legge Salica di Clodoveo, divenne frequentissimo fra' Visigoti, sebbene se ne fosse voltato il senso a dinotar le possessioni libere di qualunque dritto feudale.

L'essersi cominciati gli ordinamenti de' Feudi a propagare più [60] o meno rapidamente fra' Visigoti non tolse a costoro il lustro della loro schiatta, ed essi conservarono la più gran parte delle ricchezze, mercè le quali si facevano tuttodì a fabbricar volentieri un numero, che talvolta sembra favoloso, di Monasteri e di Chiese. Le donne Visigote andarono innanzi ad ogni altro in questo arringo d'Architettura Sacra; le donne, a cui erasi propizio il Fuero-Juezo; e massimamente in una Legge del Re Cindasvindo[141]. Niuno impaccio ad esse recavano il Mundio perpetuo, de' Longobardi, nè il Reippus[142] stabilito contro le vedove da Clodoveo, e rinfrescato dopo tre secoli da Carlomagno nella Legge Salica[143].

E però due donne illustri, senza il consentimento d'alcun tutore o Mundualdo, fecero una larga distribuzione de' loro Allodj e de' loro servi a pro di molti Monasteri e di non pochi Laici. Nel 26 Febbraio 960 la Contessa Berta, moglie del Marchese di Gozia, Raimondo I, conferì, senza interrogarlo, una gran copia di Allodj e di servi al Monastero di Monte Maggiore, nuovamente fondato vicino ad Arles in Provenza. Disse voler donare tutto ciò che per le Leggi erale toccato in sorte nel Regno di Gozia (in Regno Gociae[144]) sul retaggio di suo zio Ugo di Provenza, il quale dianzi era stato Re d'Italia. In pari modo, nel 977[145] e nel 990[146], Adelaide, Viscontessa di Narbona, scrisse due testamenti, profondendo i suoi doni alla sua famiglia ed a' suoi amici. Non meno generosa mostrossi verso i Monasteri; fra' quali non dimenticò l'Anianense di San Piero in Cauna, e quello proprio di Aniana.

Poco appresso, nel 1002, celebrassi un Placito insigne, ove Gausfrido, Abate di Santo Ilario di Carcassona, vinse una lite contro Arnaldo, Visconte di quella città, coll'allegare in suo favore la Prima Legge del Libro Quinto delle Visigotiche, ossia del Fuero-juezo[147]. Nella stessa guisa, essendo già innoltrato l'undecimo secolo, Adelaide, figliuola di Pietro Raimondo, Conte di Carcassona, rinunciò ad ogni suo dritto su' Feudi e sugli Allodj di quella Contea (Feva et Alode) in favore del Conte di Barcellona, senza l'intervento d'alcuno, e sol per effetto, com'ella disse fin dal principio, delle facoltà concedutele dalla Legge Sesta, Titolo Secondo, Libro Quinto della Lex Gothorum. L'istromento si scrisse in Agosto 1070[148]: testimonio certissimo della vita nazionale [61] de' Visigoti fino a tutto quel secolo nella Gallia Gotica: ma ben presto in quella medesima Provincia ed in tutto il resto delle Gallie, verso i principj del duodecimo, l'intelletto Latino trionfò, cacciando in fondo sì le Leggi del Visigotico Fuero-Juczo e sì le Saliche de' Franchi, non che degli altri popoli Barbari. Con queste disparvero tutti gl'istituti Germanici del guidrigildo, e cessò la lunga onta della stirpe Romana, la cui vita si tassava da Clodoveo e da Carlomagno una metà meno della vita d'un Franco.

Diasi ora uno sguardo indietro, e si vegga quel che nel nono secolo fecero i Visigoti Spagnuoli del Regno d'Oviedo, i quali viveano parimente col Fuero-Juczo. Don Ramiro, succeduto al Re Alfonso il Casto, avea nell'846 vinto i Mori, che ardirono chiedergli la rinnovazione dell'annuo tributo di cento donzelle Cristiane; e tosto con le spoglie tolte a' nemici fabbricò nelle vicinanze d'Oviedo un Tempio alla Vergine Maria, il quale sussistea tuttora nell'età del Mariana. Ma poco elegante sembrò allo Storico illustre quell'opera, essendosi veduto quanto egli avesse in dispetto le fabbriche d'Architettura Gotica; uso ad ammirar solamente l'arti de' Greci e de' Romani: »EXTAT, egli dicea, structurae genere ac totius operis IN PAUCIS ELEGANTISSIMA[149]». Nè belle sarebbero parute al Mariana, se si fossero, come questa, conservate fino a' suoi dì le primitive fabbriche di Compostella e l'altre de' Re Visigoti d'Oviedo; cioè, da Don Ramiro fino ad Ordogno II. Costui prese nel 918 il suo regio titolo dalla città di Leone, dopo averne scacciati gli Arabi. Cessò allora la gloria di Oviedo, e le Chiese d'Alfonso il Casto andarono a male, del che si doleva fortemente lo stesso Mariana[150].

XXX.

Un nuovo moto frattanto si facea sentire in Europa nel decimo e nell'undecimo secolo al proposito dell'Architettura Gotica. Ella mutò spesso i sembianti, ma senza perder giammai le particolarità, che la distinguevano dalla Greca e dalla Romana: e però ella s'udì sì variamente giudicata ne' varj secoli; tenuta in alcuni per bella e maravigliosa, in altri per pazza e deforme. Io toccherò d'alcune costruzioni principalissime dell'Architettura Gotica, prima in Normandia, poi nella Gallia Gotica e finalmente nella Germania di Tacito. Passerò indi al Settentrione d'Europa.

Rollone cominciò a fondare il mondo Gotico in mezzo alla Neustria. Guglielmo I non interruppe l'opera del padre; ma Riccardo I v'introdusse una specie peculiare di civiltà, che si diffuse in molti e molti paesi. Egli ebbe cari gl'ingegni, e parecchi uomini [62] di gran fama si condussero in Normandia, fra' quali non giova ricordarsi di Lanfredo, che forse vi trovò una morte sì sventurata, per le mani d'una donna, soverchiamente ammiratrice della sua scienza. I nipoti de' pirati, ferocissimi compagni di Rollone, volgeansi ad arti più miti, quasi già consapevoli delle loro future conquiste. Quando essi erano padroni dell'Inghilterra, Lanfranco ed Anselmo vennero in Normandia, ove illustrarono la Badia del Becco; indi salirono l'un dopo l'altro sulla Sedia di Cantorbery, nella Provincia di Kent.

Intanto l'alta Basilica di Sant'Oveno continuava sempre in Roano a mostrar le sue forme di Gotica Mano, l'imitazione delle quali dovea distendersi e si distese così nelle Provincie della Neustria, rimaste in potere de' Re Franchi, come nell'Austrasia e nella Germania di Tacito. La Mano Gotica vi stette fino al 1042. Allora un uomo di sangue Dacico divenne Abate di Sant'Oveno; vo' dire Niccolò III, nato dal Duca di Normandia, Riccardo III; il quale Abate ristorò l'antica Chiesa del 534[151]; e non ristorolla certamente secondo lo stile Romanese. La Chiesa di Sant'Oveno fu indi consumata dal fuoco, e ricostruita nel quattordicesimo secolo in quel modo, che oggi si vede, con la sua magnifica Torre. Un'altra Cattedrale di Normandia prese nell'undecimo in Contances ad emulare le proporzioni del primitivo Sant'Oveno, ma ebbe tre Torri, condotta nel 1048 al suo compimento[152]. San Pier sulla Diva s'annoverò eziandio tra le fabbriche non Romanesi di Normandia: Monastero fondato nel 1046 da Lescelina, Vedova del Conte Guglielmo, il quale nacque dal Duca Riccardo I[153]. L'aura dell'Architettura Gotica presso i discendenti de' Daco-Normanni venuti con Rollone si fa sentire anche al Ramée, quantunque preoccupato dalle sue opinioni sulla scienza e sull'ubiquità de' Culdei[154]. Ma l'Architettura Gotica non fiorì meglio che in Sicilia, per opera di que' Daco-Normanni: e non Romanesi (lo confessa ben anche il Ramée[155]) furono la Cattedrale di Palermo e la Cappella Palatina, le Chiese della Martorana, di San Cataldo e della Magione di quella città, non che le Cattedrali di Messina e Cefalù.

XXXI.

Gli stessi spiriti, che nell'undecimo secolo agitavano la gente dominatrice di Normandia, moveano, sì come ho già esposto, il [63] petto de' Visigoti nella Gallia Gotica. Fulcrado, Vescovo della Visigotica città di Lodeve, uomo nobilissimo, avea due sorelle, che nel 975 donarono a Ricuino, Vescovo Magalonese[156], un oscuro podere o villaggio, chiamato Monpellieri, nel territorio di quella Magalona, che fu disfatta da Carlo Martello. Dal 737 in qua i Vescovi Magalonesi risedettero nel territorio della caduta città, e propriamente nel prossimo Substanzione o Melgueli; Castello, che ebbe i suoi Conti particolari, ma Franchi, e viventi a Legge Salica. Tale dicea d'essere il Conte Bernando (II) in una donazione del Novembre 985[157]: ma Ponzio, suo discendente, che nel 1109 divenne Abate di Cluny (alcuni lo dicono morto nella Napolitana Badia Cavense), affermava nelle sue Lettere[158] di essere uscito dal sangue di Vitizza, ovvero di San Benedetto Anianense, de' Conti di Magalona: parentela, che doveva essere vera per parte solo di donne, sì come argomenta lo Storico della Linguadocca[159].

In Substanzione adunque si trovava Ricuino quando fugli donato Monpellieri, che poi dovea divenire una cotanto famosa città. E la diè in feudo a Guidone o piuttosto a Guglielmo, che fu il Primo degli otto Guglielmi, Signori di Monpellieri[160]. Arnaldo, Successor di Ricuino, volle tornar nel 1037 a Magalona, e fe' sorgere intorno ad essa una città novella, ch'e' cinse con Muro e con Torri[161]. Edificò in oltre in Monpellieri la Chiesa di Santa Maria, per la quale generaronsi tosto aspre controversie tra' Vescovi Magalonesi ed i recenti Signori del nuovo feudo, che poco appresso al 1037 fu circondato eziandio d'un Muro e d'un Fosso. A troncar sì fatte liti, nella Primavera del 1090, rivolsero anche, fra l'altre cure, il pensiero i Padri del Settimo Concilio di Tolosa. I lor desiderj ebber l'effetto: e nel Decembre dello stesso anno 1090 si conchiusero, non ponendo in obblio le Mura ed il Fosso[162], gli accordi fra il Vescovo di Magalona e Guglielmo IV, Signore di Monpellieri. Otto fra' Vescovi, di quel Concilio, nelle lor sottoscrizioni presso il Martène[163], dichiararono d'appartenere le loro Sedi alla Gallia Gotica: Dalmazio, Metropolitano di Narbona con sette suoi Suffraganei; Matfredo di Béziers; Goffredo di Magalona; Pietro di Nimes; Pietro di Carcassona; Bernardo di Lodeve; Guglielmo d'Albi e Berengario d'Agde. Quest'erano le otto Diocesi, [64] questi nel 1090 i confini della Gallia Gotica, sì tenera del suo Fuero-Juczo e della sua Liturgia Gotica, sotto l'ombra dell'Accomandigia co' Re Franchi.

Pur chi l'avrebbe allora temuto? Questa Liturgia, compagna necessaria dell'Architettura Gotica, fu sommersa quasi nell'anno seguente all'additato Concilio di Tolosa. I Visigoti d'Oviedo, i quali avean posta la regale stanza in Leone, conquistarono Toledo su gli Arabi: Toledo invano vagheggiata da' Cristiani per tre secoli. Alfonso VI se ne impadronì, marito della Francese Costanza di Borgogna; secondo i desiderj della quale fu salutato Arcivescovo di Toledo un Francese per nome Bernardo, mentre in Roma sedeva il Pontefice Francese Urbano II. Bernardo dunque, il nuovo Arcivescovo, intimò un Concilio in Leone, dove sopraggiunse un Legato di quel Papa, e decretossi, che s'abolissero le lettere dell'Alfabeto Visigotico, cioè dell'Ulfilano, per sostituirvi le Latine. Inanimito Bernardo prese a far guerra contro la Liturgia Gotica, e gli venne fatto di sopprimerla in pro della Romana: il che non avvenne senza gravi difficoltà; nè avvenne in tutt'i luoghi di Spagna, restituiti alla dominazione Cristiana. L'assenso d'Urbano II ed il favore della Regina Costanza procacciarono un grande incremento alla Liturgia Romana, la quale vinse alla fine in Ispagna: eppure il Cardinal Ximenes, a capo di molti secoli, dispose, che vi fosse nella Cattedrale di Toledo una Cappella, in cui alcuni appositi Sacerdoti dovessero cantar la Messa in certi giorni dell'anno secondo il Messale de' Goti[164]. La Provvidenza di Dio volle, che nell'Europa del Medio-Evo si formasse una compage di popoli, o favellanti o scriventi una medesima lingua. Urbano II ubbidiva senza saperlo ad altri decreti del Signore, i quali aveano posto Roma sopra tutte le genti, dispensando ad esse un comune idioma ed un comune Alfabeto Latino.

Maggior Concilio tennesi da Urbano II nel 1092 in Clermonte. Vi si predicò la doppia Crociata; l'una contro gli Arabi di Spagna, l'altra contro gli Arabi Oltremarini di Siria e di Palestina. I Cavalieri Cristiani accorsero al santo e nobile invito; alcuni verso l'Oriente, come fece ben presto, nel 1096, Guglielmo IV di Monpellieri; altri alla volta de' Pirenei, sì che in poco d'ora negli ultimi giorni di quel Pontefice cadde Valenza in potestà del Cid, e Gerusalemme nelle mani di Goffredo Buglione. Oggi ascolto, che nuovi Documenti or ora trovati danno del traditore a quel Cid; ciò che a me non importa d'investigare, contentandomi di sapere, che i Muzarabi ed i discendenti de' Goti di Don Pelagio vinsero [65] nel nome del Cid, e lo celebrarono d'età in età ne' Poemi e nelle Canzoni del Romancero.

Qui torna la solita difficoltà, se la Chiesa di S. Maria, edificata nel 1037 in Monpellieri da un Vescovo Magalonese della Gallia Gotica, prima d'abolirvisi la Liturgia Gotica, fu di stile Romanese o Gotico? E se Gotici furono il Muro ed il Fosso, de' quali già si parla, come d'opere condotte al lor compimento, nella Carta del Decembre 1090, testè ricordata, di Guglielmo IV? A saperne il vero, mi piacque interrogarne due Architetti di Monpellieri, che pubblicarono un buon numero di Documenti, tratti dagli Archivj della lor patria. Sono il Renouvier ed il Ricard, i quali non ha guari scrissero un'Opera col titolo »Degli Artisti Gotici di Monpellieri[165]». Essi vengono dimostrando, ma senza conoscere quella Carta del 1090, che di stile Gotico fu il Muro ed il Fosso, costruiti dopo il 1037 in Monpellieri; che Gotica da' Documenti di quell'Archivio s'impara essere stata in principio l'incamiciatura della nascente città (Chemise Gothique): Gotiche le sue Torri e Torricelle[166]. Con Torri e con Torricelle certamente i Visigoti del 374 aveano alzato il Lungo Muro contro gli Unni di là dal Danubio. E però il Renouvier ed il Ricard, attribuirono il nome non di Romanesi ma di Gotici agli Architetti della loro città, da' quali s'edificarono quel Muro e quel Fosso, tra gli anni 1037 e 1090.

Già nel 1096, quando Guglielmo IV accingevasi al passaggio d'Oltremare, doveva esservi una Consorteria qualunque d'Architetti o di muratori e simili Operai, che cinsero Monpellieri con la Camicia Gotica, poichè questa Consorteria, cento anni dopo si ascolta portar il nome di Comune Chiusura in un Atto, con cui le si promettono assistenza e favore da un altro Guglielmo, Signore della città, nel mese d'Ottobre 1196[167]. Gotici adunque, giova ripeterlo col Renouvier e col Ricard, Gotici furono gli Architetti ed i muratori, che i Vescovi della Visigotica Magalona deputarono a rialzar la loro Sede primiera, ed a fabbricar Santa Maria di Monpellieri: Gotici, non Romanesi, gli altri Operai, che circondarono Monpellieri d'un Muro Gotico. Io non ignoro, che molte Chiese fabbricaronsi nell'undecimo secolo in Ispagna, nella Gallia Gotica e nella Normandia, secondo lo stile Romanese. Ma come si può negare in quel secolo all'Architettura, buona o [66] malvagia, che i Visigoti aveano recato dal Danubio nell'Europa Occidentale, come si può negarle il nome di Gotica?

XXXII.

Or vengono i Tedeschi della Germania di Tacito, sì agreste fino a San Bonifazio, e cotanto povera ed aspra nel suo linguaggio fino ad Otfrido. Le sue prime costruzioni Cristiane delle Chiese o di pietra o di legno sembrano essere state Romanesi, perchè ho già confessato[168], che d'Italia v'andarono i Missionarj, ed anche i Maestri Comacini d'Italia. Ma i Visigoti della Gallia Gotica poterono parimente andarvi dopo alcun tempo: ed i Monaci della Regola di San Colombano, venuti dalla Burgundica Badia di Luxeu o Lussovio, recarono per avventura in Germania un qualche concetto, che non era del tutto Romanese, dell'Architettura. V'ha eziandio chi vuole, che un gran numero di Architetti Bizantini vi si tramutò nel decimo secolo pel favore della Greca Teofania, moglie dell'Imperatore Ottone II.: al che non saprei contraddire, dopo aver fatto un simil ragionamento intorno all'Architettura Gotica, diffusa nel Regno d'Austrasia dalla Gota Regina Brunechilde. Fra gli Architetti, che passarono in Germania, non si vogliono dimenticare gli usciti dalla Normandia, di qualunque nazione si fossero, nell'undecimo secolo, e soprattutto i Monaci Cattolici. Ainardo, nato nella Germania di Tacito, fu il primo Abate del Monastero di San Pier della Diva, ed il suo Epitaffio soggiunge, ch'egli edificollo con grande studio in Normandia (A quo locus iste... aedificatus ingenti studio[169]). Chi sa quanti altri Monaci Tedeschi si condussero prima del 1042 a studiare la Mano Gotica di Sant'Oveno, e poi ne trasmisero il desiderio alle lor patrie?

I discendenti de' Germani di Tacito cominciarono perciò ad invaghirsi delle non Romanesi costruzioni; e ben presto l'ogiva od arco acuto si vide apparire nelle loro fabbriche. Ogivale dicono essere stata la Cattedrale di Naumburgo, edificata nel decimo secolo, al tempo di Teofania Imperatrice: ogivali nel seguente secolo undecimo le Cattedrali di Minden, di Bamberga, di Goslar e d'Hildesheim. Lo stile dell'arco acuto poscia s'innalzò d'età in età fino all'altezza di quella rinomanza, che conseguirono le Cattedrali di Strasburgo e di Colonia; ma egli prevaleva già in tutta l'Europa, e l'arte de' Tedeschi piacque principalmente all'Italia nel quattordicesimo secolo. Una tanta e sì rapida fortuna indusse in errore quel famoso Alberto Durer, il quale, scrivendo il suo [67] Trattato Geometrico nel sestodecimo, credè i suoi Tedeschi essere stati gl'inventori dell'ogiva, ed i primi, che la mostrarono al genere umano[170].

XXXIII.

Gotica oggi suol chiamarsi da noi l'Architettura, che ama gli archi acuti, ossia l'ogive: donde i più recenti Scrittori deducono, che ella debba denominarsi ogivale, non Gotica. Ciò non toglie, bisogna sempre rammentarlo, che dall'anno 412, in cui si stabilirono i Visigoti nelle Gallie Meridionali, fino al 1042, nel quale si ricostruì Sant'Oveno di Roano dall'Abate Niccolò III, non vi fosse stata in tutto l'Occidente d'Europa l'Architettura Gotica, ovvero la Mano Gotica, o con l'ogiva o senza l'ogiva: una Mano, cioè, Oltredanubiana e differente dalla Greca e dalla Romana. Ma come può egli dimostrarsi, che l'ogiva, la quale regnò in Sant'Oveno dopo la ricostruzione del 1042, non avesse regnato ivi fin dalla prima costruzione del 534? Non è egli più ragionevole, anzi non è egli necessario il dire, che l'ogiva si mostrò in Sant'Oveno fino dal sesto secolo di Gesù Cristo? Non era forse l'ogiva nel Medio-Evo creduta sommamente utile all'elevazione Visigotica del Tempio edificato da Clotario I. in Roano? Utile all'elevazione dell'altro, che poi s'innalzò dal Re Sisebuto a Santa Leocadia in Toledo? (Mirum opus, dicea Santo Eulogio prima dell'858[171], CULMINE ALTO). Nel caso presente, per una rara eccezione, il peso di provare, che non fuvvi l'ogiva in questi due Tempj e negli altri d'una grande altezza, fatti costruire da' Pilofori e da' Re Visigoti, si trasferisce in chi nega: ed a coloro, i quali affermano, basta il ricordare l'antichità dell'arco acuto. Questo non inventassi da niuno in un dato giorno, ma nacque coll'uomo, e trovasi così nelle vetustissime Città d'Italia (tali Arpino e Palestrina) come in Ninive, in Licia, in Gerusalemme, in Egitto ed anche nell'Oasi di Libia, senza parlar della Persia e dell'India.

Chi crederebbe ora, che il Ramée, uomo dotto, ricordi la Mano Gotica[172] di Sant'Oveno e l'opinione dianzi esposta[173] del Wiltheim sulla perpetua durata dell'Architettura Gotica, senza concepire il più leggiero sospetto intorno a Santa Leocadia del settimo secolo, ed all'Architettura Oltredanubiana, diversa dalla Greca e [68] dalla Romana, in Ispagna? Chi crederebbe, ch'e' dichiari di non aver più antiche notizie sull'Architettura di Spagna e di Portogallo se non dell'essersi nel 1221 edificata la Cattedrale di Burgos[174]? Perchè non apriva egli le Storie del Mariana, e non consultava i Documenti del Florez?

Assai più inaspettata nella bocca del Ramée s'ascolta la sua confessione, che i Duchi di Normandia, nella loro qualità di guerrieri e di Laici, non edificarono se non secondo lo stile ogivale: per la qual cosa l'ogiva ricorre così frequente in tutta la Sicilia[175]. Ogivali dunque debbono sembrar necessariamente al Ramèe le costruzioni della Santissima Trinità di Fecampo e del Monte San Michele fin dal principio, cioè fino dal decimo secolo. Se poi la qualità di Laico chiarisce l'intenzioni de' Duchi di Normandia contro la Chiesa di Roma, e contro l'arco rotondo o Romano, dunque il Laico Riccardo I. cercava di levarsi contro Roma, quando egli chiedeva tanti privilegj per la sua nuova Badìa di San Michele In periculo Maris al Pontefice Giovanni XIII! Ed a fabbricarla deputava per l'appunto i Monaci del luogo!!! Ma di queste cose già ragionai[176].

XXXIV.

Altre vie tengonsi dal Beulé. A lui, salito in fama per le sue scoperte Archeologiche, venne veduta l'ogiva fin sulle Porte d'Atene; del che promette dare più speciali notizie. Di qui deduce, che gli Antichi ben conobbero l'ogiva, ma che l'ebbero a vile; sì ch'ella non apparisce se non per eccezione presso l'Antichità. Ma tali eccezioni si vanno tuttodì moltiplicando: e chi avrebbe sperato di scoprir l'ogiva tra le ruine di Ninive, in compagnia dell'arco rotondo? So l'ogiva si trovò in Atene, perchè non si dovrà trovare anche in Roma, comecchè Plinio e Vitruvio ne avesser taciuto? Il capriccio in pro dello forme straniere, l'esser sazj e ristucchi delle Romane, la corruzione del gusto e cento altre cagioni poterono aprir facile accesso all'ogiva su' Sette Colli. Nel 400 o 405 dell'Era Volgare, in un Dittico pubblicato dal Montfaucon[177], si rappresenta il Console Stilicone seduto sotto l'arco acuto d'una muraglia: nell'847 si scavò una Cappella ogivale in Subiaco. Simili eccezioni, risponderà il Beulé, non costituiscono lo stile ogivale. No, certo: ma egli, che col nome d'Antichi addita [69] solo i Romani ed i Greci, non può nè vuole comprender sotto un tal vocabolo i Geti o Goti. Or come si dimostra, che i Geti o Goti avessero avuto lo stile ogivale in dispetto, così di là dal Danubio, come in Ispagna e nella Gallia Gotica ed in Sant'Oveno di Roano?

Qui si trovano a fronte due specie d'orgoglio nazionale presso i più illustri Scrittori della Francia d'oggidì. Gli uni, come il Vitet ed il Viollet le Duc, aspirano a voler dimostrare, che lo stile ogivale non è se non un trovato Francese: ciò che sarebbe vero, ma per opera de' Visigoti Ariani di Tolosa e della Gallia Gotica. Gli altri, come il Beulé, non solamente abborriscono lo stile ogivale, ma sperano lavar la Francia da ogni rimprovero d'averlo posto in atto per la prima volta. Questi sono i sensi d'un Discorso proemiale, recitato nel 6 Gennaio 1857, ove dal Beulé si tratta dell'insegnamento dell'Architettura. Il Laboulaye ne pubblicò alquanti brani, dicendo, che la questione ivi agitata sull'Architettura ogivale arde sopra ogni altra di tal natura nella nostra età[178]. In quel suo Discorso, il Beulé con nobile risentimento afferma, che i Francesi d'oggidì non sono Franchi, ma Neo-Latini: Latini per le leggi, pe' costumi e per la lingua. Son troppo cari simili accenti all'animo d'uno, che pose, come io feci, una parte della vita nel narrare i trionfi dell'intelletto Romano sulla barbarie dei Germani di Tacito, e sul guidrigildo minore, con cui essi offesero la razza Latina; ma i Geti o Goti, ch'eran diversi da' Greci e da' Romani, erano diversi altresì da que' Germani, e non conoscevano, quante volte dovrò ridirlo?, non conoscevano l'uso del guidrigildo.

La Storia dell'Architettura Oltredanubiana, recata nell'Europa Occidentale da' Visigoti, e assai più antica di quella, che racconta le vittorie dell'intelletto Latino sulla natura de' Franchi, de' Longobardi e degli altri Germani di Tacito: ed inutilmente il Beulé vien rammentando nel suo Discorso le voglie, ch'ebbe Carlomagno di farsi Latino. Fu questo un omaggio involontario di quell'imperatore alla grandezza del nome Romano: ma egli lasciò nella Legge Salica da lui emendata le tasse minori per le vite de' Romani, che non per le vite de' Franchi; nè prese a rialzare del loro civile avvilimento le generazioni Latine, tuttocchè facesse una grande stima del loro intelletto. Mi si perdoni perciò d'aver cercato d'opporre ad alcune moderne pretensioni Germaniche le memorie, omai vicine a spegnersi, dell'Architettura Gotica, le discipline della quale furono affatto ignote a' Germani di Tacito [70] prima di San Bonifazio: mi si permetta d'invocar nuovamente gli studi, da me in altro luogo lodati[179], del signor di Boissieu, il quale s'unisce al Beulé nel proposito di non volere i Franchi per progenitori de' Francesi odierni della Provincia Lionese, ma i Romani ed i Borgognoni; que' Borgognoni, che incorporaronsi co' Goti e passarono all'esercizio dell'Architettura Gotica. Io nè voglio nè posso far confronti di sorte alcuna della bellezza ed eccellenza di questa con la bellezza ed eccellenza della Greco-Romana; ma ringrazio sinceramente il Beulé d'essersi collocato in Roma ed in Atene per contemplare a suo bell'agio i miracoli dell'arte Greca e Romana, sebbene il Laboulaye gli abbia domandato la permissione d'ammirar con occhio imparziale così lo stile ogivale della Cattedrale di Strasburgo, come gli archi rotondi nella Chiesa di San Paolo in Roma.

XXXV.

Gli archi rotondi son quelli, a' quali ora il Ramée ed il Vitet[180] con altri egregi Francesi, aventi sempre in mira lo stuolo degli avversari di Roma, danno il nome di Sacerdotali o Ieratici. E però io desidero sapere se Ieratici od ogivali furono gli archi voltati da' Goti nel 534 in San Pietro di Roano, quando quel popolo era tutto d'Ariani? Se Ieratici o Romanesi, dunque le loro diversità dagli archi ogivali non eran cagione della differenza, che passava tra l'Architettura Gotica e la Romana, ed in cento altri modi potea la prima separarsi dalla seconda, conservando gli archi rotondi, e non perdendo il nome giustamente dovutole di Mano Gotica. Se ogivali, sì come doveano essere perchè di tal natura furono dopo la ristorazione del 1042, dunque dello stile ogivale s'ha nel Tempio Rotomagense un esempio illustre fino del sesto secolo, senza esservi bisogno d'aspettare le Consorterie Laicali od Ecclesiastiche del 926.

Ma, secondo il Ramée[181], le dottrine Architettoniche, descritte nella Carta Eboracense del 926, risalgono all'antichità più alta: ed in quell'anno ardirono gli Anglo-Sassoni di York aspirare a ristorar la vetusta sapienza, per opporsi alle tradizioni Ieratiche de' Pontefici Romani. Or chi erano questi Anglo-Sassoni, se non popoli di Germania? Tali non nacquero gl'Iuti, che discesero insieme [71] con essi nel 449 alla conquista d'Inghilterra, condotti dai fratelli Hengist ed Horsa. Sotto il nome di Iuti si comprendevano allora i Goti o Daci, che seguitando la fortuna d'Ermanarico degli Amali conquistarono la Iutlandia, ed ogni altra regione posta sulle rive Meridionali del Baltico, dando all'antica Dania o Danimarca il nome di Dacia, prima di spingersi nelle contrade oggi chiamate di Svezia e di Norvegia, ossia della Scandinavia. Queste s'acquistarono dopo la morte d'Ermanarico da' Goti, che vi fondarono la Vestrogozia e l'Ostrogozia; nomi, che ancor vi durano; ma quello di Dacia s'impose più tardi anche alla Provincia, che oggi dicesi della Scania in Isvezia. E però nell'età di Rollonde l'appellazione di Dacia si dilatava dalle rive del Danubio, e all'Alania fino all'Oceano Germanico. Già nella Storia narrai[182], che gl'Iuti od i Goti del 449 fermaronsi nell'Isola di Tanet e ne' luoghi dove sorge Cantorbery, la quale di poi accolse Lanfranco e Sant'Anselmo: Cantorbery, non lontana di Londra, è divenuta oggi la sede principale del recente Primato Anglicano. L'essersi uniti cogl'Iuti o Goti non tolse agli Anglo-Sassoni, che formavano il maggior numero di que' conquistatori, la lor natura Germanica, nè l'uso del guidrigildo, che durò in Inghilterra per molti secoli; ma il minor numero de' Goti comunicò modi più civili alle Germaniche genti, che abitavano in capanne agresti senza tegole e senza calce. Gl'Iuti o Goti del 449 tramandarono parimente all'idioma Germanico degli Anglo-Sassoni quel gran novero di voci Ulfilane, pel quale non dubitò l'Hikes[183] di scrivere, che l'Anglo-Sassone somiglia mirabilmente al Gotico del Vescovo Ulfila.

Poichè lo stile ogivale, a senno del Ramée, rinacque nel 926 fra gli Anglo-Sassoni, egli è costretto a doverlo senza più credere Gotico, ed insegnato a' Germani dagl'Iuti o Goti loro compagni nella conquista. Costoro fino all'età di San Gregorio il Grande professarono il sanguinoso e crudele culto, che comandava le quinquennali uccisioni, riferite da Erodoto, degli Ambasciatori da spedirsi a Zamolxi: culto riformato da Deceneo, che prescrisse a' Geti o Daci dirizzar Tempj e Cappelle in onor de' loro Ansi o Semidei e degli Eroi. Poscia patì altre Riforme, oscure tutte od ignote; ma celebre sopra ogni altra divenne, sebbene in mezzo alle tenebre più fitte, la Riforma d'Odino o Wodan, che l'armi e la Gotica predicazione diffusero prima nella Germania Orientale di Tacito e poi nella Scandinavia. Odino, sull'orme di Zamolxi, aprì all'anime de' guerrieri gli spazj eterei del suo Vahalla, in cui gustassero la voluttà di sempre uccidersi fra loro per rinascere [72] a stragi novelle. Più atroci s'udirono i precetti di Thor, descritti dal Duca Riccardo I. e da Rodolfo d'Ivry a Dudone di San Quintino. Thor, Dio de' Geti o Goti[184], inacerbì la riforma d'Odino, e si fece adorare insieme con esso, ma in primo luogo, dai suoi Geti o Goti di Scandinavia: origini, delle quali trattai nella Storia[185], ma più copiosamente nella Tavola Cronologica[186], e che per lunga età produssero l'effetto certissimo d'essersi versato il sangue dell'uomo a torrenti. Poco dopo Dudone di San Quintino lo Scaldo Eilivo, figliuol di Godruna, compose il Poema del Thorsdrapa, ossia della Guerra de' Giganti di Thor: del quale Poema, nell'ultimo anno del secolo trascorso, il Thorlacio pubblicò alquanti versi[187].

Questa nondimeno di Thor fu l'antica Religione di Rollone. Prima di lui, Santo Ansgario d'Amburgo avea predicata la Cristiana in Isvezia, e propriamente in Birca, non lontana di Sigtuna, ove poi s'innalzò Stocolma. Egli morì nell'865; e Ramberto, suo discepolo, che ne scrisse la Vita, narra d'aver Ansgario trovato in Birca idolatra non pochi segni di civiltà e di commercio con infinite ricchezze (quod ibi essent multi negotiatores divites et abundantia totius boni atque pecunia thesaurorum multa[188]). Non so se fin da quell'anno 865 si fosse costruito in Birca il Tempio, denominato Upsal, che due secoli dopo già era famoso nel Settentrione d'Europa, secondo Adamo di Brema[189]. Questi, verso il 1080, ne trasmise alla posterità i più certi e minuti ragguagli; e già egli allora conosceva nella Scandinavia le due Provincie così della Vestrogozia come dell'Ostrogozia. Birca, dicea, s'appartiene a' Goti nel mezzo della Sveonia: »Birka est oppidum Gothorum in medio »Sveoniae[190]». In altro luogo dichiarava, che Svezia e Sveonia erano la stessa cosa: »SVEONIA vel SVEDIA[191]....»: e che l'Ostrogozia si distendea fino a Birca: »OSTROGOTHIA protenditur usque ad BYRKAM[192]». Or questa Byrka non era lontana dal Tempio Ubsola od Upsal: »Byrka est oppidum Gothorum in medio» Sveoniae, non longe a TEMPLO CELEBERRIMO..... UBSOLA[193]»; celebratissimo Tempio, che per la sua ricchezza [73] dicevasi esser tutto d'oro (totum ex auro paratum), dove si veneravano, continua il Bremese[194], le tre statue di Thor, di Wodan od Odino e di Fricco. Il pensiero d'imprigionar gli Dei fra le pareti e d'alzar loro un simulacro sarebbe sembrato infame ad un Germano di Tacito.

La celebrità del Tempio Upsal vicino a Birca nel 1080, ed il concorso di varj popoli non Germanici per celebrarvi alla fine di ogni nove anni le loro solennità, dimostrano la sua non recente costruzione. Di non minor celebrità godeva il Tempio di Letra o Leira (Lederum) nell'Isola Danese, oggi detta Selandia. Ditmaro di Merserburgo[195] (uscì di vita nel milledieciotto) narrava, che in Letra scannavansi novanta nove uomini (ma forse il novanta che precede, sta per un errore nel testo) con altrettanti cavalli e cani e galli: orridi riti Zamolxiani; ma il periodo quinquennale dell'uccidersi, con molti strazj, gli Ambasciatori a Zamolxi s'era mutato in quello di nove anni.

Con lo stesso intervallo di nove anni, s'ammazzavano in Birca nel Tempio Upsal nove capi d'ogni animale maschio, non escluso l'uomo. Questi sono i racconti d'Adamo di Brema[196]; il quale riferisce in oltre, che gli umani cadaveri si appendevano con quelli de' cani, ludibrio a' venti ed alle pioggie, agli alberi di una sacra foresta. Il numero nove, ripetuto in Letra ed in Birca, delle vittime alla fine d'ogni nono anno, sembra da un lato essere il prodotto d'una qualche superstizione Pitagorica o Zamolxiana; e dall'altro ci chiarisce, che uno era il popolo Gotico, una la Religione di quelle due Città. Enea di Gaza, nella seconda metà del quinto secolo Cristiano si trovava in Costantinopoli, ove ascoltò che intorno alle rive del Danubio v'era tuttora un residuo di Geti Zamolxiani, da' quali s'uccidevano ancora i più nobili personaggi fra essi; ciò che si faceva, secondo il parere d'esso Enea[197], per mandarli all'immortalità. Un tal residuo di Geti o Goti, sarà stato quello, che il Toppeltin[198], Storico non antico della Transilvania, dicea viver tutt'ora in quella Provincia nel decimo settimo secolo.

Maggior prova della natura Zamolxiana e Decenaica di questa Religione passata dal Danubio nella Dacia o Dania e nella Scandinavia, mercè le susseguenti riforme d'Odino e di Thor, si trova [74] in ciò che Adamo di Brema ci tramandò intorno al culto prestato a' Semidei ed agli Eroi da' Visigoti e dagli Ostrogoti, concorrenti a Birca nel tempio Upsal. »Colunt et DEOS EX HOMINIBUS FACTOS, quos pro ingentibus factis immortalitate donant[199]». Ecco gli Ansi o Semidei, da' quali erano usciti Gapto ed Ermanarico degli Amali, e Teodorico, Re d'Italia.

Qui non mi porrò a riparlare della natura de' Geti o Goti, amica degl'incantesimi[200]. Nel Carmide, Platone[201] parlava di quelli d'un medico Zamolxiano de' Geti: ma Giuliano Imperatore[202] beffavasi de' loro estatici susurri e delle loro arcane parole, dette all'orecchio. Anche Adamo di Brema tocca delle libazioni d'ogni sorta, che facevansi nel Tempio Upsal, delle nenie, che vi si cantavano, e della divinità che attribuivasi agli alberi, ove s'erano i cani e gli uomini appesi[203]. Frattanto, un lungo e non interrotto commercio avea congiunto i Goti di Birca e di Letra cogl'Iuti o Goti della Iutlandia, i quali nel 449 si fermarono in Cantorbery: ma questi convertironsi prima de' Goti Scandinavici al Cristianesimo. Temo pur tuttavolta, non qualche uso di segreti mormorii (obmurmurationes) e d'altre vanità non fosse rimasto presso gl'Iuti d'Inghilterra, donde poi nacquero le confuse tradizioni dell'arcano linguaggio degli Architetti Laici del 926 e de' Culdei. Certo, il Ramèc non aspettava le conseguenze, che i fatti fin qui esposti mi danno il dritto di trarre; che, cioè, lo stile ogivale tenuto da quello Scrittore per una ristorazione Anglo-Sassonica, potesse in vece attribuirsi agl'Iuti o Goti di Cantorbery, mostratori dell'arte d'edificare agli Angli ed a' Sassoni. Costoro avevano abitato fin qui ne' tugurj e nelle capanne, ma videro altresì per la prima volta in Inghilterra l'Architettura degli edificj Romani. Da un'altra parte, questi medesimi Iuti o Goti, a' quali si comandava, per precetto della Religione Zamolxiana o Decenaica, di rizzar Tempj e Cappelle a' loro Eroi, accettarono, mi rincresce il dirlo, l'uso del guidrigildo, sì vivace presso i Germani; ma ebbero un guidrigildo uguale a quello degli Anglo-Sassoni, e però non ignobile, come l'altro imposto nelle Gallie a' Romani.

XXXVI.

Finalmente dopo l'età d'Adamo Bremense, il Cristianesimo rovesciò i funesti e rilucenti altari di Birca: nè il Valhalla rimase più in onore se non ne' Ritmi dell'Edda e nelle Saga d'Islanda. Or qual nome daremo se non di Gotico al Tempio [75] di Birca? E quale all'Architettura sua se non di Gotica, fosse ogivale o no? Certo, quel Tempio non s'edificò alla Romanese, nè i Romani andarono giammai nella Scandinavia. Perchè dunque ad un'Architettura, che senza l'idolatria regnò nell'Europa Occidentale fra' Visigoti per tanti secoli, e per tanti altri con l'idolatria fra gli Ostrogoti ed i Visigoti di Birca, si contende il nome di Gotica?

Un secolo e mezzo era trascorso dall'anno, in cui scrisse Adamo di Brema, e questo nome non le si contendea. I Bagni edificati al tempo di Teodorico in Ravenna ritenevano ancora la denominazione de' Bagni de' Goti nel 10 Luglio 1169, in una Bolla del Pontefice Alessandro III.: »Monasterium Sancti STEPHANI ad BALNEUM GOTHORUM[204]». Gotica udivasi chiamar la Chiesa, edificata in Ravenna verso il 515 dal Visigoto marito d'Amalasunta, Regina Ostrogota: la sola Chiesa, onde mi riserbai di parlare fra tutti gli edificj degli Ostrogoti d'Italia. Nel 1254 si riformò lo Statuto Municipale di Ravenna, e si pose la pena di cinquanta Lire contro chiunque recasse danno alla Chiesa de' Goti: »Ne ECCLESIA GOTHORUM possit destrui, nec destruatur[205]». Se tutte le Città d'Europa imitato avessero un esempio sì degno, non sarebber forse perite alcune delle più antiche memorie dell'Architettura Gotica. Inutile tornò nondimeno quell'esempio, e vane riuscirono le nobili cure de' Ravennati per conservar la Chiesa Gotica, la quale a malgrado di tante cure, cadde nel 1457. Così comandarono i Veneziani, divenuti Signori di Ravenna. Lo Storico Spreti, che visse fin verso il 1474, fu presente alla caduta del Tempio Gotico, da lui amaramente rimpianto e lodato come un'opera insigne d'Architettura. I Veneti edificarono su quel suolo una fortezza, ch'ebbe assai minor vita, e che anch'ella cadde alla sua volta. »ADEST, egli scriveva, et GOTTHICUM TEMPLUM, quod GOTTHI, licet Arianae heresis labe infecti, sub S. Andreae nomine SUMMOPERE COMPTUM, et SUIS TUNC AEDIFICIIS ADMIRABILE construxere. Sed id nuper solo aequatum et funditus deletum vidimus; PRAECLARUM autem OPUS et multorum annorum labores arx munitissima, quae modo tanta Venetorum impensa erigitur, paucis nunc diebus absumpsit[206]».

Or chi potrà mai dubitare, che le sembianze della Chiesa Gotica fossero state diverse affatto da quelle d'ogni altra Romana di Ravenna? Senza di ciò, come avrebb'ella dovuto destar le sollecitudini de' Reggitori del 1254 a tenerla in piedi? Chi non vede, [76] che la singolarità delle sue forme, con l'ogiva o senza l'ogiva, movevano la curiosità e l'ammirazione dell'universale? Non compariva ella tal Chiesa essere un Preclaro Monumento allo Spreti? Per affermare ch'ella non era di stile Gotico, e che però non vi fosse stato giammai un'Architettura Gotica nel mondo, bisognerebbe dimostrare, che i Goti Ariani la fabbricarono, pigliandone l'immagine da' Cattolici; e che gli altri Goti idolatri, Zamolxiani ed Odinici, portarono con loro l'effigie d'un qualche Tempio di Roma o di Ravenna in Birca.

Nè giova punto a chi nega d'aver i Goti o Cristiani od idolatri conosciuta una particolare Architettura, ch'ebbe in tutte le bocche degli uomini la denominazione di Gotica, il dire di non aversi dello stile ogivale al dì d'oggi Monumenti più antichi del decimo o del duodecimo secolo. Egli non si può mai abbastanza rispondere, che l'ogiva non era la sola fonte delle diversità infinite, le quali segregavano la Greco-Romana dall'Architettura Gotica. L'ampiezza delle Chiese, l'elevazione delle mura, le Torri, le Rose, le qualità de' fastigj bastavano a separar l'una dall'altra in quel modo che l'Architettura d'ogni popolo ad un tratto si distingue da quella d'un altro, agli occhi de' più ignoranti delle discipline Architettoniche; in quel modo, che i Tempj di Birca e di Letra si differenziavano da San Vitale di Ravenna, senza nessun magistero dell'ogiva. Che bisogno v'ha dell'ogiva per sapere che l'Architettura Cinese allontanasi dall'Indiana, ed ogni altra Europea od Affricana dall'Asiatica?

S'è già veduto[207], che pel Concilio Epaonense del 517 cadde o si trasformò un gran numero di Chiese Ariane del Burgundico Regno. Più vasta fu la distruzione delle Visigotiche in Ispagna per mano degli Arabi: l'antica Santa Leocadia più non sussiste sul Tago, ma in vece si vede su quel fiume una piccola Chiesa in onore di tal Santa, secondo i racconti dello Spagnuolo Arevalo[208]. Dove sono più gli edificj sacri e profani d'Alfonso il Casto in Oviedo? il Tempio di Letra fu distrutto dal Re Arrigo I in odio dei sacrificj umani: del che affettuosamente lo ringraziava Ditmaro di Merseburgo. La vittoria del Cristianesimo e la mano del tempo hanno successivamente disfatto nel Settentrione d'Europa non solo il Tempio cruento di Birca ma qualunque altro edificio sacro e profano de' Daci, de' Visigoti e degli Ostrogoti, sommersi nell'idolatria fino al decimo al duodecimo secolo: ma l'essere scomparsi quegli edificj dalla terra non concede il dritto ad alcuno di concludere, che que' popoli non ebbero una speciale Architettura, nè fecero alcun lavoro se non secondo l'arte de' Greci e dei Romani. Siano pure ignote quanto si vuole più le forme dell'Architettura [77] Gotica sul Baltico e sul Mediterraneo, tra l'Alpi di Scandinavia e fra i Pirenei, ella tuttavolta vi fu; e non poteva non esservi per la natura delle cose umane, alla quale rispondono tutte le testimonianze della Storia e la continua durata del nome di Gotica dato nel 534, nel 1169, nel 1254, e nel 1457, in Ravenna ed in Roano, all'Architettura di quel popolo.

XXXVII.

Ma fuvvi ella mai l'ogiva nella Chiesa Gotica di Ravenna? Sì, certamente, rispondo senza esitare, quantunque sia perita una tal Chiesa, e che a me d'un Monumento, il quale piaceva tanto allo Spreti, non sia punto nota l'immagine allo stesso modo, con cui l'aspetto della città di Classe mi sta sotto gli occhi mercè un mosaico Ravennate del sesto secolo. Tutti possono contemplare una tal figura nel Fantuzzi[209]. Giorgio Vasari nondimeno, che nacque nel 1512 e che fu lungamente in Ravenna, dovè senza dubbio veder l'effigie della Chiesa Gotica: dovè anche vedere altre reliquie, oggi dileguate affatto, degli edificj di quella città, costruiti dai Visigoti d'Eutarico degli Amali; tra le quali potevano essere i Bagni de' Goti. Scriveva Giorgio Vasari nel 1550, ed in quel tempo e' diè alla luce per la prima volta le sue Vite de' Pittori[210], venticinque anni dopo la pubblicazione del Trattato Geometrico d'Alberto Durer. L'Architettura ogivale nel 1550 si chiamava Tedesca in Italia e tale era divenuta, sì come dissi, dopo il duodecimo secolo. Quale altro nome avrebbe meritato ella in Europa, quando già sorgevano le Cattedrali di Colonia e di Strasburgo? Tutta l'Italia chiamava gli Operatori Tedeschi: Laici, sì, ma che venivano ad esercitar l'arte loro, secondo gl'indirizzi ed i precetti di chi li chiamava, ovvero de' Vescovi e de' Monaci Cattolici.

Brunellesco finalmente aveva posto la Cupola in Firenze. Allora gli animi si voltarono all'ammirazione dell'arti Greco-Romane; allora i giudizj delle nuove generazioni dell'uomo si mutarono, e l'opere di Colonia e di Strasburgo parvero brutte. Io starò fermo nel proposito di non dar sentenza fra l'Architetture de' Greco-Romani, e così de' Goti come de' Tedeschi d'Alberto Durer; pur non so se Roma e l'Italia, dove abbondavano i più egregj Monumenti dell'arte Pagana, simili al Panteon d'Agrippa, fossero state le contrade più opportune a mettere per la prima volta in opera il Gotico pensiero del Duca Riccardo I, che l'altezza delle Chiese debba sopravvanzare la sommità d'ogni altra fabbrica. Ma quanto un tal pensiero, che fu ancor quello de' Visigoti di Sisebuto e dei Daco-Geti d'esso Riccardo I, seguitati da' Tedeschi, germogliò in [78] Italia, non vi stette ozioso, e si videro le meraviglie dell'Architettura di Firenze, di Pisa e di tante altre Città, per non parlare di San Pietro in Vaticano.

Odansi ora le parole del Vasari, che non ebbe altri occhi se non quelli del Beulé per l'Architettura de' Goti e poi de' Tedeschi. »Ecco un'altra spezie di lavori, che si chiamano Tedeschi, i quali sono d'ornamenti e di proporzione molto differenti dagli antichi e da' moderni: nè oggi si usano per gli eccellenti, ma son fuggiti da loro come mostruosi e barbari; mancando ogni lor cosa d'ordine che piuttosto confusione o disordine si può chiamare, avendo fatto nelle lor fabbriche, che son tante che hanno ammorbato il mondo, le porte ornate di colonne sottili ed attorte ad uso di vite, le quali non possono aver forza a reggere il peso di che leggerezza si sia, e così per tutte le facce ed altri loro ornamenti facevano una maledizione di tabernacoli l'un sopra l'altro con tante piramidi e punte e foglie, che non ch'elle possano stare, pare impossibile ch'elle si possano reggere; ed hanno più il modo da parer fatte di carta, che di pietre o di marmi.

»Ed in queste opere facevano tanti risalti, rotture, mensoline, e viticci, che sproporzionavano quelle opere che facevano, e spesso con mettere cosa sopra cosa andavano in tanta altezza che la fine d'una porta toccava loro il tetto. questa maniera fu trovata da' Goti, che per aver ruinate le fabbriche antiche, e morti gli architetti per le guerre, coloro che rimasero fecero dopo le fabbriche di questa maniera, le quali GIRARONO LE VOLTE CON QUARTI ACUTI e riempierono tutta Italia di questa maledizione di fabbriche, che per non averne a far più s'è dismesso ogni modo loro. Iddio scampi ogni paese da venir tal pensiero ed ordine di lavori, che per essere eglino talmente difformi alla bellezza delle fabbriche nostre, meritano che non se ne favelli più che questo[211]».

Queste poche parole contengono la vera Storia dell'Architettura Gotica; e, come oggi dicono, la sintesi della Storia. I Goti dettero l'arco acuto a' Tedeschi, e questo da' Tedeschi tornò in Italia. Il Vasari, poco versato nelle Storie civili de' popoli, non pensò punto a' Visigoti, ma sì agli Ostrogoti: e così la brevità come la sicurezza delle sue affermazioni dimostrano sempre più ch'egli ebbe i disegni del Tempio Gotico in Ravenna innanzi agli sguardi. Certamente non furono le presenti parole del Vasari, che per la prima volta nel 1550 comandarono agli uomini di chiamar Gotico lo stile ogivale, quantunque il nome di Gotico non si legga in Leon Batista Alberti, ed in altri Scrittori, che parlarono dell'arco acuto. Questo silenzio procedette dal loro proposito di trattar delle [79] ragioni dell'arte, non della sua Storia. E però, secondo il comune dialetto di Liegi, nel 1659 chiamavansi Gotici gli angoli acuti della Chiesa delineata nelle Lamine presso il Wiltheim[212].

Ed or si comprende, che la sintesi del Vasari contiene in se tutte le verità Storiche intorno all'Architettura Gotica, od ogivale. I più recenti Scrittori non fecero, che aleggiare intorno al vero, descrivendone a brani a brani chi l'una e chi l'altra particella: gli uni volendo che lo stile ogivale si mostrò in Francia dopo la caduta del Romano Imperio, senza pensare a' Visigoti ed a Sant'Oveno: gli altri, che l'ogiva fu nemica de' Cattolici, senza rammentarsi dell'Arianesimo de' Visigoti: alcuni altri ch'ella fu Anglo-Sassonica, non ponendo mente a' Goti dell'anno 449 in Cantorbery, non che a' Tempj di Birca e di Letra: ed altri finalmente ricordarono l'arcano linguaggio degli Architetti Laici, quasi per lunghi secoli non avessero i Geti o Goti usato nel Settentrione d'Europa il secreto idioma de' lor mormorii e susurri Zamolxiani.

Un altro insegnamento si ritrae dal Vasari, ed è ch'e' non confuse le stirpi de' Goti con quelle de' Germani di Tacito. L'Hickes pretendeva, che Ulfila i cui progenitori nacquero, per attestato di Filostorgio[213], in Cappadocia, fosse un Tedesco. Al che rispose il gran Leibnizio, che i Goti non furono un popolo Teutonico: »Quod doctissimus HICKESIUS novissime Ulphilam ad Francos, vel ad aliam TEUTONICAM GENTEM voluerit GOTHICA referre, credo quod sibi persuadere non possit Gothos fuisse adeo Teutones[214]». Gli Scrittori Tedeschi d'oggidì scrivono intorno all'Origini Teutoniche secondo la maniera dell'Hickes, non del Leibnizio. Un altro uomo dottissimo di Svezia venne aleggiando intorno al vero, senza raggiungerlo, ed anzi capovolgendolo, quando egli fece uscire Zamolxi ed i suoi Goti dalla Scandinavia per andare a predicare l'immortalità dell'anime nella Tracia. Parlo della famosa Opera di Carlo Lund, intitolata Zamolxi, ove dice: »Getas seu Gothos exisse e Scandia affirmant inter alia Scaldae, mores, litterae, sacra et leges patriae omnium antiquissimae[215]».

Simili errori sull'origini de' Geti o Goti e de' Teutoni o Germani di Tacito corruppero la Storia dell'Architettura per la confusione fatta delle due stirpi di popoli affatto diversi, e per la dimenticanza, in cui si posero il Tracio cenacolo di Zamolxi ed i fatti seguenti dell'Architettura Gotica Oltredanubiana, la quale nel 412 passò [80] nelle Gallie Meridionali, e si diffuse in tutta l'Europa con una doppia corrente; l'una Visigotica da' Pirenei, l'altra non meno Gotica dall'Alpi di Scandinavia, da Cantorbery e dalla Normandia di Rollone il Daco. Più volte, il confesso, doverono mutarsi e rimutarsi le sembianze dell'Architettura Gotica nel corso di più secoli; ma ella non perdè mai le sue naturali condizioni d'Oltredanubiana, e però diversa dalla Greca e dalla Romana. Le sue varie trasformazioni ammisero un uso più o men generale dell'ogiva: e se questa trionfò nel tredicesimo e nel quattordicesimo secolo sull'arco rotondo, non perciò dee dirsi, ch'ella era incognita nel quinto e nel sesto a' Visigoti.

XXXVIII.

La Chiesa di Roma ottenne in ogni età questa lode, che avesse amato benedire e santificare, non distruggere i Tempj del Paganesimo. Lo stesso ella fece intorno alle Chiese de' Goti Ariani di Spagna e della Gallia Gotica, dopo la loro conversione al Cattolicismo nell'anno 587. Durante l'Arianesimo, ben dovettero i Visigoti usar l'ogiva in odio della Chiesa Cattolica e dell'arco rotondo, al quale si dia pur il nome di Sacerdotale o Ieratico. Nella Gallia Gotica, ove ho detto più volte che rimase un lievito d'Arianesimo, l'ogiva dovè più lungamente piacere a' Visigoti non convertiti. Roma intanto accettato avea e benedetto l'ogiva, senza curare il breve stuolo de' Visigoti ostinati nell'eresia. E ben videro i Pontefici Romani de' secoli seguenti, che l'ogiva era di gran sussidio all'elevazione Visigotica de' Tempj la quale innalza gli animi delle fragili creature verso Dio.

Le Storie intanto dell'Architettura si scrivono al dì d'oggi sopra il fondamento, che i Visigoti non ebbero arte d'alcuna sorte, e che lo stile ogivale nacque nel decimo e nel duodecimo secolo. Il danno maggiore, che deriva da sì fatta proposizione, consiste nell'impedire, che si facciano le più diligenti ricerche in Ispagna e nella Gallia Gotica per vedere se può scoprirsi una qualche reliquia delle fabbriche de' Re Atanagildo, Sisebuto, Vamba, Recesvindo, Ervigio, ed Alfonso il Casto, alcune delle quali sussisteano a' giorni del Mariana. La Gallia Tolosana e la Marca Ispanica, ossia di Barcellona, dovrebbero esplorarsi altresì per trovarvi una qualche rovina, od almeno un qualche indizio di quell'industria Gotica, della quale il Muro ed il Fosso di Monpellieri nell'undecimo secolo non furono certamente il primo tentativo. Da queste ricerche un nuovo lume apparirà nella Storia della Cavalleria Spagnuola, della lingua e letteratura dei Provenzali e della civiltà intera d'Europa.

FINE.

NOTE:

1.  Grimm, Uber Iornandes und die Geten — Berlino 1846, in 4.

2.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I, pag. 143 (stampato nel 1839).

3.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I, pag. 189 — Tavola Cronologica, pag. 103.

4.  Ibidem, Vol. I, pag. 189.

5.  Treopompus, apud Athenaeum, Dipnos, lib. XIII, cap. 5.

6.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I, pag. 278.

7.  Strabo, Geogr. lib. VII, pag. 303 (Casaub. 1620).

8.  Iornand., De Rebus Geticis cap. XI »(Decenaeus) naturaliter propriis legibus vivere fecit, QUAS USQUE NUNC CONSCRIPTAS Bellagines vocant».

9.  

»Ah, PUDETI et Getico scripsi SERMONE libellum!».

Ovid., Ex Ponto lib. IV, eleg. 13.

10.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I, pag. 505. — Tavola Cronologica, pag. 202.

11.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II, pag. 687.

12.  Ibidem, Vol. II, pag. 689.

13.  Ibidem, Vol. I, pag. 862. — Tavola Cronologica, pag. 358.

14.  Stat., Silvar. Lib. I, Carm. 1.

15.  Tacit. Vita Agricolae cap. 41.

16.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I, pag. 574 — Tavola Cronologica, pag. 227.

17.  Lucianus, In Scytha, Operum vol. I, pag. 859 (edit. Hemstheruis).

18.  Clemens Alexandrinus, Stromatum, Lib. I, Cap. 15; Lib. IV, Cap. 8.

19.  Tertullianus, Contra Iudaeos, Operum pag. 189 (Venetiis 1741).

20.  Vedi Storia d'Italia, Vol. 1, pag. 666 — Tav. Cronol. pag. 264.

21.  Agathias, Histor. lib. I, cap. 3.

22.  Origenes, Contra Celsum, lib. I, cap. 16; lib. II, cap. 65; lib. III, cap. 54 (edit. La Rue). Γέτας σοφώτατα ἔτνη, καὶ ἀρκαῖα (Origen., lib. I, cap. 16).

23.  Origenes, ibidem lib. III, cap. 34.

24.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I, pag. — Tav. Cronol. pag. 296.

25.  Ammianus Marcellinus, Lib. XVII. Cap. 1.

26.  S. Epiphanius, Adversus Haereses, Lib. III., Operum, I. 827. (Coloniae, 1682).

27.  Eunapius, In Excerptis Legationum, pag. 48-52. Editio Niebhur (A. 1829).

28.  S. Isidori Hispalensis. Chronicon Gothorum. (Era quadringentesima quintadecima).

29.  Ammianus Marcellinus, Lib. XXXI. Cap. 3. »Muros ALTIUS erigebant.... LORICAM...... EFFICAX OPUS».......

30.  Eunapius, loc. cit. In Excerptis Legationum, pag. 48-52.

31.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II, pag. 865.

32.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I. pag. 993. — Tav. Cronol. pag. 415.

33.  Ibid. Vol. I. pag. 1056. — Tav. Cronol. pag. 484.

34.  Iornandes, De Rebus Geticis. Cap. XLI.

35.  Dom Vassette, Histoire du Languedoc, I. 217. (A. 1730).

36.  Apollin. Sidonii, Lib. VIII, Epist. 9.

37.  Sidonius, Ibid. Lib. VII, Epist. 6.

38.  Vedi storia d'Italia, Vol. II, pag. 205.

39.  Caesar, De bello Gallico, Lib. LIV., Cap. 23.

40.  Achaintre, Ad dictum locum Caesaris, Nota (13). Nell'edizione dei Classici, detta di Le Maire, I, 323. (A. 1819).

41.  Apollinaris Sidonii, Lib. VII. Ep. XI. »Semiustas fragilis muri ANGUSTIAS».

42.  Concil. Epaon. Apud. Mansi, Concil...

43.  Ulmarus, De inventione Corporis S. Vedasti, Apud Bollandum, Acta SS. Februarii (6. Feb.), I 806. (A. 1658.)

44.  Anonym. Apud Laurentium Surium. Vitae. Sanctorum (24 Agosto), IV, 879 e 890. — Et Apud Bollantistas, Acta Ss. Augusti, IV. 818-849. §. 40-41 (A. 1739).

45.  Alexandri Wiltheim, De Diptyco Leodiensi, pag. 22. In Appendice (Leodii, 1659).

46.  Mariana, De Rebus Hispaniae, Lib. V. Cap. 9.

47.  Gregorii Turonensis, Hist. Lib. IV. Cap. 92. Editio Ruinart.

48.  Dom Vaisette, Hist. du Languedoc, l. 277. Vedi la sua Nota LXXI.

49.  Vedi prec. § XI.

50.  Vedi Storia d'Italia, Vol. III. pag. 217.

51.  Vedi prec. §. XI.

52.  Vedi prec. § XI.

53.  Venantius Fortunatus, Oper. Lib. II, Cap. XII, Editio Luchi (A. 1786).

54.  Ioh. Biclar., Chron. Apud Roncalli, Chron. Latin. Vetust. II. 389. (An. 1787).

55.  Paulus Emeritensis, Cap. VI. §. 16. Apud Florez, XIII, 312.

56.  Vedi Storia d'Italia, Vol, II; pag. 829.

57.  Inscriptio, Apud Florez, Esp. Sagrada, VII. 35. (A. 1766).

58.  Vedi Cod. Dipl. Longobardo, Num. 994.

59.  Vedi Storia d'Italia. Vol. II, pag. 832.

60.  Vedi seg. §. XXVII.

61.  Sisebuti Regis Epistola, Apud Florèz Esp. Sagrada, VII, 321-328 Num. VIII. (A. 1766).

Vedi Codice Diplomatico Longobardo, in cui ella trovasi ristampata con Note, I. 571. Num. 259.

62.  Mariana, De Rebus Hispaniae, Lib, IV Cap. 4.

63.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II. pag. 833.

64.  Sancti Audoeni, Vita S. Eligii, Apud Achery, Spicilegium, V. 456. — Dom Bouquet, Scrip. Rer. Francicarum, III. 552. (A. 1741).

65.  Vedi prec. §. XVI.

66.  Greg. Turon., Lib. IX. Cap. 20. Vedi Dom Vaissette, l. 277.

67.  S. Audoenus, loc. cit. Lib. I. Cap. 4.

68.  S. Audoenus, ibidem, Lib. I. Cap. 4.

Vedi Codice Diplomatico Longobardo. V. 18.

69.  Seguo, nell'assegnar gli anni, la Cronologia di Dom Bouquet, notata in margine a ciascun Capitolo della Vita di Santo Eligio scritta da S. Oveno.

70.  Vedi seg. §. XXI.

71.  Anonymus, in Vita S. Audoeni, Apud Bollandistas (24 Agosto) Acta Sanctorum Augusti, Tom IV. pag. 807, §. 9. Auctore Suppare (A. 1739).

72.  Mariana, De Rebus Hispaniae, Lib. VI. Cap. XI.

73.  Lex Wisigothorum, Lib. II. Tit. I. Leg. 9.

74.  Lex Wisigothorum, Lib. III. Tit. I, Leg. 1. Editio Georgish.

75.  Victor Vitensis, Hist. Persecutionis Vandaligae, Lib. II §. 13, Lib, IV. §. 1. Editio Ruinart.

76.  Mariana, De Rebus HISP. Lib. VI. Cap. 8. »Fructuosus ex regio Gotthorum sanguine».

77.  Valerius Abbas, Apud Mabillon, In Vita S. Fructuosi, Cap. I. Act. Ordinis S. B., II. 557.

78.  Isidorus Pacensin, pag. 8 Editio Sandoval (A. 1634): et Apud Florez, Esp. Sagrada, VIII. 293, § 24. (A. 1769).

Vedi Storia d'Italia, Vol. II, pag. 834.

79.  Mariana, De Rebas Hispaniae, Lib. VI. Cap. 14.

80.  Id. Ibid. »Marmora convecta, in quibus Rotae aut Rosae similitudine sculptae immagines pluribus in locis».

81.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II. pag. 733.

82.  Florez, ESP. Sagrada, XIII, 222. (A. 1782), Vedi Storia di Italia, Vol. II. pag. 839.

83.  Dom Vaissette, Histoire du Languedoc, I. 404. »La Gothie, infortunée Province, fut plus maltraitée par les Chrétiens que par les Infideles».

84.  Vedi Codice Diplomatico Longobardo, IV. 131. Num. 563.

85.  Ibidem, Num. 547.

86.  Vedi prec. §. XVIII in fine.

87.  Vedi Cod. Diplomatico Longobardo, Num. 729.

88.  Vedi Codice Diplomatico Longobardo, Num. 730.

89.  Smaragdus, Apud Mabillon, Acta Ordinis S. Benedicti, V. 184-215.

90.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II. pag. 840.

91.  Chronicon Albeldense, Apud Florez. Esp. Sagrada, XIII. 153.

92.  Idem, Ibidem, XIII. 453.

93.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II. pag. 845.

94.  Vedi Codice Diplomatico Longobardo, V. 24.

95.  Cav. di S. Quintino, Ragionamento sull'Architettura Italiana sotto i Longobardi, pag. 90. Brescia, in 8. (A. 1829).

96.  Mabillon, Acta Ord. S. Benedicti. V. 105. In Vita S. Angilbert Lib. II. §. 7.

97.  Smaragdus, Apud Mabillon, Acta O. S. B. V. 202.

98.  Idem, Ibidem, V. 492.

99.  Walafridus Strabo, De Rebus Ecclesiasticis, Cap. VII. In Bibliotheca Patrum, XV, 184. (A. 1587).

100.  V. prec. § VII. intorno agli Sciti Iutungi, e § X. intorno a' Borgognoni.

101.  Vedi prec. §. XIX.

102.  Vedi prec. §. XXI.

103.  Placitum Caunense. Ex Autographo Caunensi, Apud Mabillon, De Re Diplomatica, Lib. VI. Num. LXXXIX.

104.  S. Eulogii, Lib. II. Memorialis Sanctorum, Apud Schottum, Hispaniae Illustrata, IV. 231. (A. 1608).

105.  Alvarus Cordubensis, Epistola XX. Ad Transgressorem, Apud Florez, Esp. Sagr. XI. 118. (A. 1775).

106.  Alvarus Cordubensis, Ibid. XI. 283. In Epist. De Bibliotheca Leovigildi.

107.  Concilium Tricassinum, Apud Balutium, Capitularium, II. 277. (A. 1677).

108.  Vedi prec. §. IV.

109.  Otfridus, Paraphr. Evangel. Apud Schilter, Thesaurus Antiquitatum Theotonicarum, Tom. I, pag. 11. (A. 1728).

110.  Otfridus, Ibidem.

111.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II, pag. 873.

112.  Vedi prec. §. XIII.

113.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II, pag 676-678.

114.  Dudo S. Quintini, Hist. Norm. Apud Duchesne, Script. Norm. (A. 1619).

115.  Idem, Ibidem, Lib. I, in principio, pag. 69. 70.

116.  Idem, Ibidem, pag. 70.

117.  Missi Theodosii, Apud Dicuil, pag. 10. Vedi Storia d'Italia, Vol. I, pagina 1052.

118.  Gregor. Turon. Hist. Lib. X. Cap. 9.

Vedi Storia d'Italia, Vol. II. pag. 47.

119.  Dudo S. Quintini, loc. cit., Lib. III. pag. 100.

120.  Dudo S. Quintini, Ibidem, pag. 112.

121.  Cassiod., Variar. Lib. VIII. Epist. 21.

122.  Idem, Ibidem, Lib. XI. Epist. 1. Senatui Urbis Romae.

123.  Vedi prec. §. XVI. in fine.

124.  Ramée, Manuel de l'Histoire de l'Architecture, II. 277. (A. 1813).

125.  Vedi Cod. Dipl. Long., I. 864. Num. 284. Vedi anche la mia Disertazione Bobbiese, dopo il Num. 307. dello stesso Codice.

126.  Schoepflin, Alsatia Illustrata, In Conspecto Operis, I. 14. §. XXII. (A. 1751).

127.  Id. Ibid. »Ortae hinc innumerabiles Villae, Arces, Vici, Oppida, Castra haud majore quam XLV spatio leucarum».

128.  Ramée, Manuel, etc. II. 284.

129.  Ramée, ibidem, II. 158, 281.

130.  Momsen, De Collegiis et Sodalitiis Romanorum, in 8.º Kiliae (A. 1853.).

131.  Vedi prec. §. XVI. in fine.

132.  Giovanni de Rubertis, Delle Colonie Slave del Regno di Napoli, pag. 20, 21. In 12. Zara (A. 1856.).

133.  Dudo S. Quintini, loc. cit. Lib. III. pag. 153.

134.  Wiltheim, Diptycon Leodiense, Append. pag. 85-87, Cap. 5. (A. 1659).

135.  Gallia Christiana Nova, Tom. XI. Col. 511-533: et In Appendice Instrumentorum, Col. 105.

136.  Mabillon, Annales Ordinis S. B. Lib. L. §. 62. »Ecclesia S. Michaelis, cujus Orientalis facies Gothici operis delicatissima est».

137.  Chron. S. Mich., Apud Labbé, Nova Bib. MS. I. 551. (A. 1637).

138.  Ordericus Vitalis, Eccl. Hist., Lib. VIII, Inter Scriptores Nortmannicos Apud Duchesne, pag. 705.

139.  Ordericus Vitalis, loc. cit. pag. 706.

140.  Dom Vaissette, loc. cit. II. Preuves, Col. 56, 69, 83, 91.

141.  Lex Wisigothorum, Lib. IV. Tit. II. Leg. 5.

142.  Vedi Storia d'Italia, Vol. II. pag. 361-362.

143.  Lex Salica emendata a Carolo, Tit. XLVI.

144.  Dom Vaissette, Histoire du Languedoc, II. 91. (A. 1733.) Vedi la donazione da lui riferita, Preuves, Col. 102.

145.  Idem, Ibidem, II, Preuves, Col. 131.

146.  Idem, Ibidem, II, Preuves, Col. 147.

147.  Idem, Ibidem, II, Preuves, Col. 158.

148.  Idem, Ibidem, II, Preuves, Col. 274.

149.  Mariana, De Rebus Hispaniae, Lib. VII. Cap. 14.

150.  Idem, Ibid. Lib. VII. Cap. 20.

151.  Ordericus Vitalis, loc. cit. Lib. IV. pag. 530.

152.  Gallia Christiana Nova, Tom. XI. Col. 870. et in Append. Instrumentorum, Col. 218.

153.  Ibidem, XI. 728.

154.  Ramée, Manuel, etc. II. 186.

155.  Idem, Ibidem.

156.  Dom Vaissette, loc. cit. II. 103.

157.  Idem, Ibidem, II. Preuves, Col. 139. Num. 120.

158.  Idem, Ibidem, II. 350.

159.  Idem, Ibidem, II. 104.

160.  Dom Vaissette, Histoire du Languedoc, II. 103.

161.  Idem, Ibidem, II. 171.

162.  Idem, Ibidem, II. Preuves Col. 327-329. »Quidquid est inter Vallatos et Muros».

163.  Martène, Novus Thesaurus Anecdotorum, IV. 120. (A. 1717.)

164.  Cardinalis de Lorenzana, Praefatio ad Breviarium Gothicum, secundum regulam B. Isidori. Matriti, in fol. (A. 1775).

165.  Renouvier et Ricard, Des Maitres de pierre et des autres Artistes Gothiques de Montpellier, in 4. Monpellier (A. 1844).

166.  Idem, Ibid., pag. 11. »Ces pièces de l'Archive contiennent des details precis et interessans sur les Tours et les Tourelles, les Portails et les Fossés d'une Chemise Gothique».

167.  Idem, Ibid., pag. 105, Append. des Documents, Num. 1. Ex Arch. Com. de la Commune de Monpellier, Arm. B. Cass. 10, num. 2.

168.  Vedi prec. §. XXVII, in fine.

169.  Gallia Christiana Nova, Tom. XI. 730. — Ordericus Vitalis, Lib. IV. pag. 544, 545.

170.  Durer, Trattato Geometrico delle misure, etc. (in Tedesco) Norimberga, A. (1525).

171.  S. Eulogii, Apologeticus Martyrum, Lib. II. Apud Schottum, Hisp. Illustratae, IV. 272 (A. 1608).

172.  Ramée, Manuel, etc. II. 116 e 117. in Nota.

173.  Vedi prec. §. XIII. in fine.

174.  Ramée, Ibidem, II. 430.

175.  Idem, Ibidem, II. 186. »Les Ducs de Normandie etaient guerriers, par conséquent Laiques; leurs monuments furent dans le style que nous nommons A OGIVE».

176.  Vedi prec. §. XXVIII.

177.  Montfaucon, Antiq. Expliquée, III. 232. (A. 1719).

178.  Beulé, Discours d'ouverture d'un Cours d'Archéologie.

Stampato in parte nel Journal des Débats del 28 Gennaio 1857, con alquante Osservazioni preliminari del Laboulaye.

179.  Vedi Codice Diplomatico Longobardo, V. 30.

180.  Vitet, Rapport à M. le Ministre de l'Intérieur sur les Monuments et les Bibliothèques, pag. 12, 13. Paris (A. 1831).

Idem, Notre Dame de Noyon, nella Revue des deux Mondes, dell'anno 1844, Tom. IV. pag. 654, 655.

181.  Ramée, loc. cit. II. pag. 158. »Les traditions du 926 remontent à la plus haute antiquité.... les Anglo Saxons s'elancèrent alors au delà des vieilles traditions (Sacerdotales).»

182.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I. pag. 1148, 1149.

183.  Hickes, Praefatio ad Grammaticam Anglo-Saxonicam, pag. VIII. XIII. In Tomo I. Thesauri Linguarum Septentrionalium, in fol. Oxonii (A. 1703).

184.  Dudo S. Quintini, loc. cit. Lib. I. pag. 62. »Getae, qui et Gothi, venerantes Thur, DEUM SUUM».

185.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I. pag. 935, 959, 975, 1127, 1250, 1254.

186.  Vedi Tavola Cronologica, pag. 407-428.

187.  Thorlacius, Miscellanea, Borealia, Specimen VII. in 8.º Hafniae A. 1799.

188.  Rembertus, In Vita S. Anscharii, §. 28. Nelle Raccolte del Bollando, del Mabillon, del Langebek, del Fant e del Pertz.

189.  Adamus Bremensis, Historia Ecclesiastica, etc. Apud Erpoldum Lindebrogium, Script. Rer. Germanic. Septentrionalium, curante Fabricio (A. 1706).

190.  Idem, Ibidem, Lib. I. Cap. 14.

191.  Idem, De Situ Daniae, Post Historiam Ecclesiasticam, pag. 60. §. 231.

192.  Adamus Bremensis, De situ Daniae, pag. 61. §. 233. Editio Lindebrogii.

193.  Idem, Ibidem, pag. 61.

194.  Adamus Bremensis, Ibidem.

195.  Ditmari, Seu Thietmari, Historia, etc. Lib. I. Cap. 9. Editio Pertz, Inter Monumenta Germaniae. V. 739. (A. 1839.)

196.  Adamus Bremensis loc. cit. De Situ Daniae, pag. 61.

197.  Aeneas Gazaeus, In Dialogo Theophrastus, sive de Immortalitate animae, pag. 43. Editio Barthii (A. 1655).

198.  Toppeltin, Origines et casus Transylvanorum, pag. 24. Lugduni, in 12. (A. 1667). »Gothi, ut mea fert opinio, sunt veteres Daci...... Getae, Daci pro Iisdem habentur.... Reliquiae autem ipsorum Gothorum, AD HUNC USQUE DIEM, pristina orbati nobilitate, VIVIMUS OBSCURI».

199.  Adamus Bremensis, loc. cit. pag. 61.

200.  Vedi Storia d'Italia Vol. I. pag. 123.

201.  Plato, In Charmide, Opp. II. 156-157. Editio Serrani (A. 1578).

202.  Iulianus, In Caesaribus, pag. 369. Editio Spanhemii (A. 1696).

203.  Adamus Bremensis, loc. cit. pag. 61.

204.  Privilegium Alexandri III.: Apud Fantuzzi, Monumenti Ravennati, II. 139. (A. 1802): Ex Archiv. Canonic. Ravennae.

205.  Statutorum Ravennae, Num. CCCXLVIII. Apud Fantuzzi; Mon. Rav. IV. 142. (A. 1802).

206.  Desiderii Spreti, De Originibus Ravennae, Lib. I. (A. 1489). Extat etiam in Thes. Ital. Graevii et Gronovii. Tom VII. Part. I.

207.  Vedi proc. §. XII.

208.  Arevalus, In Isidoriana, Tom. II. pag. 383. Opp. S. Isidori (A. 1797).

209.  Fantuzzi, Monumenti Ravennati, II. nel Frontispizio.

210.  Vasari, Introduzione alle Vite de' Pittori, Cap. III. in fine, presso il Torrentino (A. 1550).

211.  Vasari, loc. cit.

212.  L'Opera del Wiltheim, divenuta rara, fu inserita dal Gori nella sua Raccolta de' Dittici.

213.  Vedi Storia d'Italia, Vol. I. pag. 690.

214.  Leibnitius, De variis linguis, Inter Scriptores Orationis Dominicae in varias linguas per Iohannem Chamberlayne, pag. 27. Amsterdam, in 4. (A. 1715). — Scrittura, che fu ristampata fra l'Opere del Leibnizio, Tom. V. Part. II. (A. 1768).

215.  Caroli Lund, Zamolxis restitutus, in 4. (A. 1687).

Nota del Trascrittore

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