Title: Fiori d'arancio
Author: Roberto Bracco
Release date: December 4, 2011 [eBook #38216]
Language: Italian
Credits: Produced by Carlo Traverso, Barbara Magni, and the Online Distributed Proofreading Team at http://www.pgdp.net
PROPRIETÀ LETTERARIA
I diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, non escluso il Regno di Svezia e quello di Norvegia.
È assolutamente proibito di rappresentare queste produzioni senza il consenso scritto dell'Autore (Art. 14 del Testo Unico 17 Settembre 1882).
Copyright by Roberto Bracco and Miss Dircé St. Cyr in the United States of America.
Off. Tip. Sandron — 148 — I — 290514.
Rappresentato per la prima volta nell'aprile del 1898 al teatro Fiorentini di Napoli, a beneficio della Società Margherita pei Ciechi, dalla signorina Rosina Gervasi, e dai signori conte Giuseppe Calletti, Leopoldo Persico e Felice De Luca.
PERSONAGGI:
Il signor Vannucci, direttore della scuola.Nina, alunna.Altre undici alunne.Don Paolo, curato.Ferdinando.Un maestro.
Lo studio del direttore, di forma irregolare. La parete di sinistra sta di sbieco, formando un angolo ottuso con la parete di fondo. Ambiente rusticano. Una scrivania innanzi a una seggiola a bracciuoli di tela cerata. Sulla scrivania, tra gli altri oggetti, un orciuolo. A un muro l'enorme orologio ufficiale della scuola: sfere e pendolo, immobili. Attaccato alla parete di destra, e precisamente alle spalle della seggiola a bracciuoli, un gran calendario illustrato e una carta geografica. In un canto della stanza, un lavamani, con su una bottiglia d'acqua. In un altro canto, una campanella con una cordicina penzolante. Una vecchia poltrona presso un tavolinetto portatile. In fondo, un uscio a due battenti, e sull'uscio i ritratti in oleografia del Re e della Regina: bruttissimi. Nella parete di sbieco, un gran balcone spalancato, dal quale si scorge la campagna.
Il signor VANNUCCI e DON PAOLO, poi il MAESTRO.
(si è appisolato sulla vecchia poltrona, con le spalle volte al signor Vannucci. Ha davanti il tavolinetto su cui sono una tazzolina vuotata e un mazzo di carte.)
(è seduto presso la scrivania, curvo sopra un registro aperto, e scrive. Un lungo silenzio. A un tratto, si lascia scivolare con mal garbo la penna dalle dita) Ih, che inchiostro! Che inchiostro! (Prende l'orciuolo e versa inchiostro nel calamaio. Quindi, stringendo fra le labbra i peli più lunghi dei baffi, borbotta:) Si va male. Male assai! (Guardando il registro) Punti scadenti in grammatica, punti scadenti in geografia, punti scadenti in condotta...: punti scadenti sempre! Fatiche buttate via con queste fanciulle benedette! L'istruzione obbligatoria?... A che pro? A che pro?... Fisime, caro don Paolo, utopie, sogni! La scuola nel villaggio! Uhm! Che sbaglio! Ignoranti vogliono restare, ignoranti! Ed è meglio!... Oh, la santa, beata e comoda ignoranza! Altro che progresso! Diceva bene il celebre Giuseppe Verdi: «Torniamo all'antico!» Già, voi siete un progressista sfegatato!... Menate vanto di seminare in campagna le idee della città e quindi non potete essere della mia opinione. Non è così? Eppure, voi, che dite di conoscere a fondo l'umanità, dovreste capirmi. (Un silenzio.) Don Paolo, parlo con voi. (Un silenzio.) (Alzando la voce e chiamando:) Don Paolo, don Paolo!
(svegliandosi) Oh!... Sono all'ordine. (Pigliando il mazzo di carte) Faccio carte io.
Ma, don Paolo, non è l'ora della partita. Vi eravate addormentato?
Il vostro caffè è... un narcotico potentissimo!
Bravo!
Ma perchè non si può fare la partita?
Devo mettere in libertà le classi femminili, adesso. Sono le sette e forse più.
Come lo sapete? L'orologio della vostra scuola non è di quelli che camminano. Oh, no!
(alzandosi) Il mio vero orologio è il sole. Vedete: l'ultimo raggio ha già lasciato il mattoncello lesionato. (Indica un punto del pavimento.) Nondimeno, per la scolaresca, l'orologio a cucù, che è l'orologio ufficiale, funziona perfettamente. (Prende di su la scrivania una stecchetta di osso.) Non cammina?... Che importa?... Introducendo questa stecchetta nelle sue viscere, io ottengo quanti ululati voglio. E nelle scuole, caro don Paolo, tutto è forza morale. State a sentire. (Con la stecchetta, comincia a martoriare l'ingranaggio dell'orologio, il quale mette fuori sette suoni affannosi.)
Bella, questa forza morale!
(dopo il settimo suono) Ecco, sono le sette. (Indi, va a tirare la cordicina della campanella, che riempie l'aria del suo strepito.)
(portando le mani alle orecchie) Altro saggio di forza morale!
(Si ode sùbito un rumore di panchette smosse e un gaio e fanciullesco vocìo femminile.)
(di dentro, con voce nasale) Calma, ragazze, calma! Caspita, che fretta!
Ma ci scommetto che il maestro ha più fretta delle scolare. (Torna a sedere presso la scrivania.)
(schiudendo l'uscio del fondo e facendo comparire soltanto la testa calva con i relativi occhiali e un paio d'orecchie a ventaglio) Valgo a servirla, direttore?
(quasi tra sè) Se l'ho detto io che ha più fretta lui!... (Al maestro) Nulla di nuovo?
Nulla, direttore. Servo suo, direttore.
E dica, professore: hanno imparato i quattro punti cardinali?
Non tutti e quattro, direttore. Mi sono riserbato il Nord per la volta ventura.
Ha fatto bene.
Grazie, direttore. Servo suo, direttore.
Si conservi. E le raccomando...
Che cosa?
Il Nord.
Non dubiti, direttore. Servo suo, direttore. (E via.)
(sbuffando e parlando tra sè:) Direttore di qua, direttore di là, direttore di giù, direttore di su.... Sarà un omaggio, sarà tutto quello che si vuole; ma a me sembra una burletta! Nè più, nè meno: una burletta!
Fatemi grazia: perchè non vi siete ammogliato?
Come c'entra questo?
Voi avete tutti i difetti delle vecchie zitelle, compreso quello di brontolare dalla mattina alla sera. Se vi foste ammogliato, io non avrei per amico... un brontolone....
Mi dispiace, ma non c'è rimedio.
Ammogliatevi, ammogliatevi. È meglio tardi che mai. Anzi, a questo proposito, io volevo proporvi....
(interrompendo) Don Paolo, vi prego.... Ho da fare il controllo della scolaresca. Vi pare il momento opportuno per prendermi in giro?
Il controllo! Oh! Oh! Che controllo?
Ma sì. Devono essere dodici teste e dodici «riverisco». Conto giusto.
E allora me ne vado. Se manca qualche testa, sto fresco. Arrivederci ...direttore! Ma torno più tardi per la partita, eh?
Sì, sì, don Paolo. Arrivederci, arrivederci.
(Si odono i battimani delle fanciulle e le lor voci confuse:) Don Paolo! Don Paolo! Don Paolo!...
(stringendosi il capo tra le palme) Ora me le mette in rivoluzione!... Che pazienza! Che pazienza! (Vede schiudere un po' l'uscio di fondo.) Finalmente, ci siamo!
VANNUCCI e le ALUNNE.
(Comincia la sfilata delle scolare. Ognuna di esse sporge la testa di tra i battenti dell'uscio semiaperto, saluta e scappa.)
Riverisco, signor direttore.
(tra sè) E una. (Poi, gridando e battendo il pugno sulla scrivania:) Ho detto mille volte che a quest'ora le parole «signor direttore» sono superflue! Ma prèdico al deserto, io? (Di nuovo tra sè) Fra le altre cose, quel «signor direttore» mi confonde la mente, e addio controllo!
Riverisco, signor dir....
Zitta! E due.
Riverisco, signor....
Zitta! E tre.
Riverisco....
Proprio così! E quattro.
Riverisco.
Benissimo! E cinque.
Riverisco.
E sei.
Riverisco, signor direttore.... Uh! Non l'ho fatto apposta....
E sette.... (Arrabbiandosi) E sette sono i peccati mortali!...
Riverisco... e niente più.
(come sopra) Brava la sciocca! E otto.
Riveri... schi.
(correggendo) sco... sco.... E nove.
Riveris.... Riverì....
... sco! sco! sco!... E dieci.
Riveri... scò... scò... scò!
(irritatissimo) Scoppio! scoppio! scoppio! E undici. (Dopo una lunga pausa) E undici.... (Impensierito) Undici!... Una di meno! Dove diamine s'è cacciata la dodicesima?... Ah! Eccola... (Meravigliato) Entra... O perchè mai entra?...
VANNUCCI e NINA.
(portando la borsa dei libri sotto il braccio destro, si avanza titubante, con gli occhietti lucidi, che guardano in mille punti in un momento solo.)
Che c'è, Nina? Che c'è?
(tenta di sorridere, ma non fa che mostrare i suoi dentini bianchi, e sotto l'ascella stringe la borsa dei libri, quasi temendo che le cada.)
Ma che c'è, dunque, Nina?
Nulla.
(brusco) E allora buona notte! Non vedete che sono occupato? Potevate riverirmi com'era vostro dovere ed andar via con le vostre compagne. (Pausa. Poi, gentilmente) Venite qua, Nina: vi ho rimproverata, ma ho bisogno di scusarvi io medesimo ai miei occhi e di giustificare la vostra venuta in questa stanza. Via, avvicinatevi.... Non fate la cattiva.... Il vostro direttore, lo sapete, vi vuol bene come a una figlia.
(inquieta e riluttante, si pesta con l'uno l'altro piedino. Ma, a un tratto, si fa coraggio.) Signor direttore....
Dite....
(con una cantilena come di parole imparate a mente) Io vengo a ringraziarvi di tutte le cure che avete spese per me. La mamma verrà a fare lo stesso... domani.
(con l'animo sospeso, si fa triste in viso e la guarda di sottecchi.) Spiegatevi, Nina. Non ho capito....
Ecco, signor direttore, io... oggi....
... oggi?
(lasciando scorgere il suo ingenuo compiacimento) Compisco sedici anni.
(simulando indifferenza) Ah ah! Sicuro! Sedici anni! Eh, infatti, siete diventata alta quasi come una donna e avete allungata la veste fino ai piedi.... (La contempla con un misto di curiosità, di compiacenza e di sordo dispetto.) Me ne accorgo adesso. (Indi, guarda altrove. Tace. Ha un fastidio invincibile. Sbuffa. Brontola:) A quest'ora, sale dai giardini una fragranza di fiori d'arancio così acuta che dà alla testa!... Auff!...
Volete che chiuda le invetriate?
No, no, non chiudete.... Mi piace di vedere il tramonto.
(Nel lontano orizzonte, incorniciato dal balcone aperto, un lembo di cielo rosseggia.)
(è lì, immobile, coi piedini serrati e incollati al suolo.)
(scattando) Sedici anni! E perciò credete di poter dare un calcio alla scuola! Siete donna, non è vero? Siete donna? Il maestro tien compagnia alla bambola! A sedici anni, siete una dottora! A sedici anni i libri si chiudono e la veste si allunga; allo studio si sostituiscono le passeggiate, i nastri, i ghiribizzi, e al direttore si sostituisce.... Dio sa che cosa!... Basta! Basta! Basta!... Mi saluti. Se ne vada. Subito però... e non se ne parli più!..
(torcendo il collo per non farsi guardare, trattiene le lagrime.) Non è colpa mia se me ne vado,... e non è colpa di nessuno. Ho sedici anni, ecco; e l'articolo ottavo parla chiaro.
(trasalendo) L'articolo ottavo?!...
(ripete ad alta voce, cadenzatamente, il testo dell'articolo:) «Non sono ammesse le fanciulle che abbiano meno di sette anni e più di quindici. E l'alunna che avrà raggiunta l'età di sedici anni, anche nel corso dell'anno scolastico, sarà obbligata a lasciare la scuola....» Eh!... Questo è l'articolo ottavo.
Lo ricordate a memoria, lo ricordate?!... Non c'è che dire! Dovete andarvene. Sono parole che scrissi proprio io quando fondai la scuola in questo villaggio. (Sospirando) Avevo appena trent'anni ed erano neri i miei capelli.... Ora ne ho quaranta suonati.... Questi dieci anni se li è rubati il tempo! (Pausa.)
(lo ha ascoltato senza capire, ed ora è intenta a cacciarsi il dito mignolo della sinistra fra le umide labbra porporine.)
(in tono di acerbo rimprovero, gridando e aggrottando le sopracciglia) Che fate lì?
(tutta spaurita) Sa... signor direttore... mi pulivo il dito. Veda... è macchiato d'inchiostro. (E, stendendo il braccio, mostra il dito macchiato.)
(con ira eccessiva) Ma ci vuol tutta la sua faccia tosta per venirmi a contare di simili ragioni. Gliel'ho ripetuto fino alla nausea, cocciuta d'una ragazza, che mettere le mani in bocca è ciò che vi ha di più ristucchevole e di più indecente. Ma tutto fiato sprecato! Le mie parole le entrano in un orecchio e se n'escono dall'altro! Si ha un bell'affacchinarsi da che fa giorno a che fa notte! Ecco, ecco quel che se ne ha in compenso: malecreanze, mali modi e ingratitudine. Gli è già un pezzo che lei, signorina mia, si è guastata. Guardi, guardi, guardi qui gli ultimi suoi rapporti, e mi dica un po' lei stessa se non c'è da inorridire. (Consultando nervosamente il registro) Cinque in geografia... tre in calligrafia... quattro in grammatica... zero in condotta! E per giunta? Per giunta: «ho sedici anni.» Vuole che gliela dica come la sento? Vuole che glielo faccia in tre parole il suo ritratto?... Cervellina, ignorante e ingrata. Sì, ingrata!... Ingrata!
(vorrebbe parlare e non può: la parola le si strozza in gola) Signor... diret...tore, signor... di...rettore.... (Scoppia in un pianto dirotto.)
(mortificato, si accosta a Nina, le solleva la fronte con le mani tremanti, le asciuga le lagrime col suo fazzoletto, le carezza leggermente i capelli, e le mormora all'orecchio:) Ho torto io, Nina, ho torto io..., ma... te ne prego... non mi lasciare!
(abbassa lo sguardo e, presa da un lieve tremito di paura vaga, che le fa cadere di sotto l'ascella la borsa dei libri, si scosta da lui.)
(osserva tutto ciò con profonda tristezza.)
(inquieto, stranamente emozionato, va al balcone, e resta lì come estatico, mormorando:) Oh, questa fragranza!... Questa fragranza di fiori d'arancio...!
(sempre tremando, si guarda intorno, e fugge via.)
(ritornando nella stanza, cerca Nina nella penombra:) Nina!... Nina!... Dove sei, Nina? (Pausa.) Fuggita! (Va di nuovo al balcone e la scorge che dilegua.) Come corre!... S'allontana.... Non si vede più. (Chiude le invetriate e gli scuri del balcone; accende un lume; raccoglie da terra la borsa e i libri di Nina, e li pone accuratamente su la scrivania. Siede al suo posto. Scrolla il capo. Si passa una mano sulla fronte. Indi, prende una penna e guardando il registro ricomincia a borbottare:) Eh,... si va male!... Male assai!
VANNUCCI, FERDINANDO e NINA.
(di fuori, chiamando in tono d'allarme:) Signor Vannucci! Signor Vannucci!
Ohè, chi mi chiama con tanta furia? (Si alza.)
Signor Vannucci! Presto presto, aprite, chè la Nina è svenuta!
Oh, diavolo!... (Esce in fretta dal fondo, gridando:) Nina? Nina? Nina?
(Entrano il signor Vannucci e Ferdinando, che, insieme, portano Nina svenuta.)
Là, là, su quella poltrona.
È viva per miracolo!
(adagiando Nina sulla vecchia poltrona) Ma che è accaduto? Che è accaduto? Mi si fa il favore di dirmi quello che è accaduto?
Il fosso, signor Vannucci, il fosso!
Il fosso?!
Un po' d'acqua, intanto.... Un poco d'acqua dov'è?... Ecco. (Sta per prendere l'orciuolo di su la scrivania.)
No. Che fate? Questo è inchiostro!...
E che Dio vi benedica! Avete l'inchiostro negli orciuoli?
L'acqua è lì, nella bottiglia....
Ah! (La prende.)
Nina? Nina? Ninuccia bella? Non senti la mia voce?
(con in mano la bottiglia, spruzzando l'acqua sul viso e sulla veste di Nina) Sss! State zitto. Lasciate fare a me.... (Continua a spruzzare acqua) Lo vedete? Lo vedete come rinviene?
È vero, è vero!
(con un fil di voce) Dove... dove sono capitata?
In casa mia, Nina. In casa del vostro direttore.
(con un lieve moto di panico) Oh!
Sss.... State zitto! È ancora tutta spaurita.... Figuratevi! Appena uscita dalla scuola, aveva presa tale una rincorsa che pareva una pazza, pareva. E fuggiva, fuggiva, fuggiva... come se fosse stata inseguita da un cane rabbioso. Era buio, capite, perchè il sindaco non ne ha figlie da mandare a scuola, e i fanali qui non ce li mette mica; ed è per questo che, alla svoltata del viottolo, la poveretta inciampa, barcolla, e dando un grido, patapúnfete, giù!...
Misericordia!
Fortuna, però, che nel fosso ci ero già io!
C'eri già tu?!
L'ho potuta afferrare prima che toccasse il terreno, signor Vannucci, prima che toccasse il terreno...! E siccome le mie braccia sono di ferro, ella è restata, così, in aria, come una colomba con le ali aperte. (A Nina) Neanche indolenzita, n'è vero, Nina? Neanche indolenzita?...
(alzandosi e parlando con soavità, senza raccapezzarsi) Oh no! Niente niente.... Mi sembra soltanto d'aver sognato.... E non capisco perchè, ma certo non mi dispiacerebbe di rifare il medesimo sogno....
Ah! Non vi dispiacerebbe?... (Dopo un breve silenzio, non riuscendo a dissimulare la sua preoccupazione, si rivolge con ansia sospettosa a Ferdinando) E tu, come ti ci trovavi in quel fosso?
Io... mi ci trovavo... di passaggio.
Ma che passaggio! Che passaggio!... (Adirandosi) Quel fosso ha la forma d'un imbuto. Bisogna discenderci a bella posta, santodio! E per fare ciò non si può avere che un solo scopo: quello di nascondersi. Sicuro! Di nascondersi come un ladro!
Signor Vannucci!...
Nina, Nina, per amor del cielo, ditemela voi la verità. Ditemela voi. Come si trovava laggiù questo galantuomo?
Signor direttore, io non lo so....
La verità, Nina! La verità! La verità!
(con pudica reticenza) La verità è ch'egli....
(quasi con terrore) Ti aspettava?!
(ha un impercettibile sorriso, e, arrossendo, si copre il volto con un braccio) Sì, mi aspettava!
(sentendosi soffocare da una dolorosa commozione) Dio! Dio! Che enormità! Che corruzione! Che rovina! E che si dirà di me nel paese? Che si dirà di me? È naturale: si dirà che questo insegno io alle ragazze, si dirà che io le educo a fare all'amore, che io le spingo a camminare su gli orli dei precipizi!... Dio mio! Sono perduto! Sono perduto!...
Ma no, signor direttore, non vi disperate così.... Ferdinando mi aspettava innocentemente....
(incalzando) Parla, parla....
Sì, innocentemente. Mi aspettava... per dirmi qualche paroletta... senza mostrarsi alle mie compagne... senza mostrarsi a nessuno.... Aveva soltanto, un po', la testa fuori del fosso.... E laggiù non lo scorgevo che io, io sola, perchè... io distinguo il colore dei suoi capelli anche all'oscuro.... Che male c'è?... Ci conosciamo da diciassette anni.... È vero che io non ne ho che sedici... ma lui — dice la mamma — veniva già in casa un anno prima che io nascessi. È il figliuolo di compare Antonio — lo sapete —, quello che ha la vigna accanto all'orto della mamma. Ma la mamma dice ch'egli non ci deve mettere più piede in casa, ed ecco che, così, da un momento all'altro, lo ha scacciato....
Ah? Lo ha scacciato?!
Lo ha scacciato, sì, perchè le galline — dice la mamma — le galline lo hanno in antipatia, e, quando lo vedono, si guastano il sangue e fanno le ova acide. Eh!... Lo dice lei; ma io non me ne sono accorta. E allora il poverino — dico io — che deve fare? Lui mi dice: così non si può vivere. Io gli dico: allora, aspettami nel fosso. Lui mi dice: e sì, t'aspetterò. E allora, passando, gli dico: buona notte, buona notte, Ferdinando! E lui... lui mi dice: ti voglio bene, Nina, ti voglio tanto bene!... Ieri (assai dolce) me lo disse due volte.... Oggi — vedete... vi racconto tutto — oggi (con qualche lagrimuccia) non me lo ha detto ancora.
(dopo un silenzio, si accosta con severità esagerata e cupa a Ferdinando, che è rimasto lì un poco imbarazzato e intenerito) Lo intendi, tu, quello che fai?!
(semplicemente) Sissignore.
(in tono truce) Tu commetti un'infamia!
Mi meraviglio, signor Vannucci! O che non prese forse moglie il mio babbo? Ebbene, me ne voglio prendere una anch'io.
Ha ragione!
(a Nina, gridando aspramente) A posto, voi!
E anzi, se foste un direttore coi fiocchi, uno di quelli buoni, ci andreste voi a parlare col babbo mio e con la mamma di Nina.
Ma come?! È ufficio d'un direttore di scuola, questo?
(con umiltà) In fin dei conti, signor direttore, io ho compiuti gli studi. Non dovreste darmi un diploma? E invece mi date un marito.
(montando in furia) E vi pare che sia lo stesso, vi pare!?
No. Proprio lo stesso, no. Ma gli è che voi siete così buono con me. Anche quando mi sgridate, sento che siete buono. Anche quando mi fate piangere, sento che siete il mio protettore. Non mi abbandonate adesso che ho più bisogno della vostra protezione.... Tanto, alla scuola io non ci posso più venire.... E giacchè mi toccherebbe di stare tutta la giornata in ozio, non è forse meglio maritarmi?... Don Paolo, il confessore, mi ha detto che il maritarsi non è peccato e che le ragazze sono ragazze appunto per cercare marito.... Parlate, dunque, parlate voi con la mamma.... Ditele tante cose.... Ditele che mi sono condotta bene... e che ho meritato questo premio.... Diteglielo con la vostra voce dolce, con la vostra voce migliore, e lei vi crederà... vi crederà... perchè quando parlate con quella voce (gentilissimamente) non c'è nessuno che non creda in voi come in un santo!...
DON PAOLO e gli ALTRI.
(fermandosi sulla soglia della porta in fondo) Piano, piano, piccina mia. Non confondere il signor direttore coi santi. Lui, è un altro genere!
(voltandosi con rabbioso rancore) Ah, don Paolo, siete voi che mettete i mariti nel cervello delle fanciulle?
Io non ce li metto, mio caro: io ce li trovo.
(esasperandosi) A quell'età, è una cosa orribile!... Orribile!
Non esageriamo. (Con serenità sacerdotale) Quando il terreno è propizio e l'aria è pura, si può anticipare la seminagione.
(Nina e Ferdinando si avvicinano al signor Vannucci, l'una da un lato, l'altro dall'altro, supplichevoli e insistenti.)
Signor Direttore....
Signor Vannucci....
Accompagnate Ferdinando e me dalla mamma.... È così tardi.... Ella sarà in pena.
Sì, sì, non perdiamo più tempo....
Proteggeteci....
Aiutateci....
Animo, direttore, animo!...
(scattando con un accento di strazio) Anche voi, Don Paolo, anche voi contro di me?! Ma è inutile! Io non mi lascio imporre da nessuno, perdinci!, e non sarò mai il complice d'una mostruosità! Mai! Mai!... E poi, per quale ragione dovrei aiutarli? Perchè sono buono? E chi lo dice che sono buono? Lo pensa lei (indicando Nina) e s'intende che lo pensi visto che lei è una piccola egoista a cui fa comodo di pensarlo. Ma non sono buono io, no che non lo sono, e non è possibile d'esser buoni quando si vive come io vivo, senza il ricordo d'un sorriso..., senza la speranza d'un sorriso! (In una crescente esasperazione di malinconia) Coltivo un giardino che non è mio e che è di tutti gli altri, e, per questi fiori che vedo sbocciarmi dinanzi belli e rigogliosi, io sono un estraneo... un estraneo; e alla mia mano che vorrebbe difenderli perfino dalla rugiada troppo fredda o dal raggio di sole troppo ardente, essi preferiscono quella che li strappa senza pietà e che li porta ad appassire... chi sa dove!... Non sono buono io, no, non lo sono, e non voglio esserlo, non voglio esserlo!... Don Paolo, non mi cacciate in codesta faccenda, e non mi fate predicozzi, chè, tanto, non mi convincereste. Questi ragazzi mi hanno dato un dolore, un gran dolore; e, adesso, che se la sbrighino tra loro e mi lascino in pace. (Siede sulla vecchia poltrona presso il tavolino, e non sa dissimulare la sua sofferenza.) Ciascuno per sè e Dio per tutti; e se c'è qualcuno che vuol morire d'amore, muoia, muoia pure, e buon viaggio! Io me ne lavo le mani!
(gli si avvicina e, guardingo, insinuante, semplice, solenne, gli parla all'orecchio:) Signor Vannucci... siete sicuro... di non essere voi innamorato di quella fanciulla?
(levandosi come per una violenta scossa elettrica e spalancando gli occhi in un misto di stupore e di raccapriccio) Io! (Poi acuisce il pensiero, impallidisce, abbassa gli occhi e dice a Don Paolo, con voce fioca e penosa:) Don Paolo, voi siete stato crudele,... ma io vi sono riconoscente!
(si stringe nelle spalle in segno di bonaria indulgenza sacerdotale e si scosta da lui, andando verso Ferdinando e Nina.)
(facendo uno sforzo) Sentite, Nina.... Ho riflettuto al vostro desiderio.... (Con molta dolcezza) È giusto, sì.... Mi occuperò io di ogni cosa.... Sarete contenta.... Fidate in me.... Ne riparleremo domani.... Per ora, abbiate pazienza.... Ho un po' d'emicrania.... Ma, domani, sarà passata... sarà passata.... (Torna a sedere sulla vecchia poltrona e piega il capo in una mano, poggiando il gomito sul tavolino.)
(piano, a Don Paolo) Don Paolo....
(piano come lei) Cos'è?
(commossa) Gli ho forse fatto del male?
Un poco.
Devo chiedergli perdono?
E perchè no? Sarà un beneficio per lui e anche per te. Va... va....
(incoraggiata dallo sguardo di Don Paolo, ma pur timidamente, si accosta al signor Vannucci e gli s'inginocchia ai piedi.) Vi chiedo perdono, signor direttore.... Io non so che male vi ho fatto, ma vi vedo soffrire, vi vedo molto soffrire... e capisco che ne sono io la causa. (Con grande tenerezza) Perdonatemi, signor direttore, perdonatemi....
(evitando di guardarla) No, Nina, voi non mi avete fatto niente.... Che significa ciò? (Stendendo il braccio per sollevarla) Su, su.... Alzatevi, alzatevi, vi prego di alzarvi!
(con l'aria d'aver capito, presso la porta in fondo) Andiamo via, Nina!
Sì, mi alzerò; ma permettetemi almeno, permettetemi di baciarvi questa mano. (Glie la prende con effusione.)
(ritraendola bruscamente, come per una gran paura indefinibile) No, no, no!... (Indi, mutando il tono di paura in un tono di contenuta affettuosità) No, Nina, non ce n'è bisogno.... Grazie... grazie.... (A un tratto, le lagrime gli sgorgano dagli occhi copiosamente; ed egli si affretta ad incrociare le braccia sul tavolino e a nascondervi il viso, singhiozzando in silenzio.)
(lo guarda attonita e lentamente si alza. Poi guarda attonita Don Paolo. Poi, di nuovo, con gli occhi fissi sul signor Vannucci, retrocedendo verso Ferdinando che l'aspetta inquieto e che tuttora col gesto le consiglia di andar via, mormora quasi tra sè:) Come è strano!... (Pausa.) Come è strano!...
*** END OF THIS PROJECT GUTENBERG EBOOK FIORI D'ARANCIO ***