The Project Gutenberg eBook of Il Tenente dei Lancieri: Romanzo

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Title: Il Tenente dei Lancieri: Romanzo

Author: Gerolamo Rovetta

Release date: March 1, 2004 [eBook #11492]
Most recently updated: December 25, 2020

Language: Italian

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK IL TENENTE DEI LANCIERI: ROMANZO ***

Produced by Claudio Paganelli, Carlo Traverso

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Gerolamo Rovetta

Il Tenente dei Lancieri

ROMANZO

Sesto S. Giovanni, 1916.

I.

La ditta portava il nome del padre «Giovanni Monghisoni», ma chi comandava, la vera padrona del negozio, era sempre stata l'unica figlia del Monghisoni: la signora Maddalena, maritata Trebeschi.

Colla sagacia, col fiuto degli affari, uniti a una gran passione per i quattrini, e di più col vento sempre in poppa, la signora Maddalena aveva mandato avanti la nave a gonfie vele, aveva raddoppiata e triplicata la sostanza paterna. Ma quanta attività, quanta tenacia, quanto lavoro ci aveva messo, e quanto sforzo di polmoni! La voce della signora Maddalena squillava, in ogni ora e in ogni stanza, come una campana; giovane, sana, esuberante, il gridare era il suo unico sfogo.

Il fondaco era in via Lentasio a porta Romana. Nei lunghi cameroni, fra le botti d'aringhe, i barili d'olio, le forme di parmigiano, era un continuo andirivieni, un vociare continuo, di commessi e di avventori: il lampadino che ardeva in fondo in fondo, nel buio, dinanzi ad una immagine della Santa Casa di Loreto, dondolava come un pendolo, per il tremoto dei facchini che caricavano o scaricavan la roba: ma la voce della signora Maddalena, sempre alta e forte, dominava tutto quel gran fracasso, dando ordini e strapazzate.

Il babbo Monghisoni quand'era vivo, stava ben attento, e scantonava nel fondaco, per non urtare la figliuola; se no, fioccavano le strapazzate scroscianti come pioggia e grandine anche sul suo capo.

—Se non ci fossi io—strillava la signora Maddalena—se io fossi come le altre donne, tutte matte da legare, che pensano soltanto a spendere e a fare all'amore, colla tua poca testa a quest'ora saresti al Ricovero o all'ospedale.

Morto il padre, essa aveva cominciato a lodarlo e a levarlo ai sette cieli; ma lo faceva aggrottando le ciglia, e finiva sempre per umiliare gli altri ed esaltare, sè stessa.

—Mio padre!… Era l'unico al mondo che poteva vantarsi, come me, di essere un fiore di galantuomo!—Oppure:—Mio padre!… era insieme con me la sola testa di casa in mezzo a un branco di bestie,

La Signora Maddalena, ancora prosperosa e piacente adesso che toccava la cinquantina, era stata a' suoi tempi un bel pezzo di donnone: a porta Romana la chiamavano il bel granatiere. Maestosa, forte, con un profluvio di capelli nerissimi, lucenti, ondulati, spartiti a ciuffo in mezzo alla fronte, colla peluria dei baffettini che le ombreggiava le labbra rosse e dava risalto ai denti sani, con un'aria smargiassa di me n'impipo, pareva la padrona del mondo. Pure, se le piaceva di mettere in mostra la sue qualità virili per dar soggezione, ed all'occorrenza anche per incutere un certo timore, non aveva mai fatto caso della propria bellezza: e nemmeno, a dir vero, di quella degli altri. Aveva scelto per marito il signor Daniele Trebeschi: un perticone giallo, mal piantato, col naso storto e fatto a, spatola e col mento pecorino; certo, il più brutto dei suoi commessi: ma che ne importava alla signora Maddalena? In dieci anni che lo aveva, in negozio, o non lo aveva mai guardato, o ci si era avvezzata. Aveva notato invece quello che a lei premeva: cioè che fra i suoi commessi era il più attivo, il più diligente, il più pratico: onde il giorno nel quale essa si trovò di fronte a un dilemma inevitabile, o crescergli lo stipendio o lasciarselo scappare, s'appigliò a un terzo partito, che fu di sposarlo. E poi il signor Monghisoni diventava vecchio, rimbambiva un giorno più dell'altro, e per il negozio, un uomo sicuro, fidato, interessato, le era ormai necessario.

Essa non viveva se non per gli affari; pel buon andamento degli affari aveva preso marito; e per l'incremento degli affari, per l'avvenire della ditta aveva messo al mondo anche i figliuoli. Ma questa, per la signora Maddalena, era sempre stata una faccenda affatto secondaria. Se ne sbrigava il più presto possibile, rimanendo fino all'ultimo momento al suo posto a gridare, a strapazzare, a far conti. Il suo posto era lo scrittoio, un bugigattolo, in un angolo del primo camerone del fondaco; e, dopo ogni parto, appena poteva reggersi in gambe, colà scendeva, ancora pallida e debole, facendo un gradino alla, volta, indifferente alle tanfate di mucido e di rancido che la prendevano alla gola: appoggiata alte pareti fredde e viscide, ricominciava a brontolare e a strapazzare colla voce fievole e rotta, scrollando il capo faticosamente.

—No! no! no!… Quando non c'era lei, non sapevano far niente, niente!… Erano tanti babbei, tanti mangiapane, che colla loro indolenza e incuria volevano mandarla in rovina.

L'orgoglio, le gioie, le ansie della maternità essa le aveva provate e le provava; ma per quella sua azienda, per la ditta, per i suoi quattrini, accumulati col suo sudore e col sangue del suo sangue. Stava in palpiti solo quando si spargeva la voce del possibile fallimento di un suo banchiere o corrispondente. S'inebriava di gioia solo quando le riusciva un bel colpo.

Menava vita regolare. All'alba entrava nel fondaco, dietro al signor Daniele che le apriva la porta e non risaliva altro che la sera tardissimo, qualche volta a notte inoltrata, facendo lume al marito, che sotto i suoi occhi doveva richiudere diligentemente la cassa, i cassetti, gli usci, la porta. Anche, la domenica, quando i commessi se n'erano andati, la signora Maddalena teneva tuttavia nello scrittoio il signor Daniele a rifare tutti i conti, a stendere il bilancio della settimana. Era quella la sua vita, era quello il suo ambiente; per lei la giornata più lunga dell'anno era il Natale, perché doveva, tener chiuso e lasciar andar il signor Daniele a Melegnano, a portare il panettone e gli augurî a' suoi parenti.

Quella mattina strapazzava anche per il resto della giornata:

—Non pensavano altro che a divertirsi, a far festa, a buttar via quattrini a cappellate! Lei sola aveva nel sangue, come quel pover'uomo di suo padre, l'amore al lavoro e alla casa!…

E non usciva: anche tutto quel giorno sola soletta, intirizzita, rimaneva nel suo bugigattolo, scartabellando lo scartafaccio, e passando e ripassando il portafoglio delle cambiali. In quell'androne chiuso, durante il pomeriggio di Natale, il silenzio era profondo e cupo: e soltanto in fondo, nel buio, crepitava il lampadino acceso dinanzi alla Santa Casa di Loreto.

II.

La ditta Monghisoni commerciava in olio, formaggio, aringhe salate, baccalà, ma lavorava molto anche in cambiali. Il saggio dello sconto variava dall'otto al dieci per cento.

—Tutto sommato—esclamava la signora Maddalena—un poco più un poco meno, quello che si paga anche alla Banca; e posso vantarmi che per onestà, dopo morto quel bonomo di mio padre, come me non c'è nessuno.

Ma «la ditta» non ammetteva, nè rinnovazioni, nè pagamenti parziali, nè acconti sul capitale.

—Io sono puntualissima ne' miei impegni; e tutti devono essere puntualissimi con me. Regola generale!

In questa idea la signora Maddalena si era intestata in modo che non c'era verso di smuoverla: non lo faceva per avarizia, ma quasi per puntiglio. Magari, di lì a poco, tornava a prestare la stessa somma ed anche una più grossa, ma il giorno della scadenza—regola generale—bisognava pagare.

Il sarto di casa, un vecchio portinaio di via San Barnaba, era venuto per vestire d'inverno tutti i Trebeschi; e la signora Maddalena gli stava appunto rifiutando la rinnovazione che il povero diavolo le domandava per una sua cambiale di novantacinque lire.

—Capirà, signora Maddalena, può farmi questo favore! senza arrischiar nulla: fra pochi giorni, quando le porto gli abiti fatti, lei stessa si tratterrà le novantacinque lire sul mio conto.

La signora Maddalena scrollava il capo:—No, no, no! Sono complicazioni che non mi vanno. Oggi scade la vostra cambiale e dovete pagarla. Quando poi mi porterete gli abiti finiti, in perfetto ordine, io allora vi pagherò il vostro conto. Vecchio mio!… Si cammina come un orologio; anzi, molto meglio, perché gli orologi vanno sempre male e io vado sempre bene.

Ciò detto, uscì dallo scrittoio e chiamò il marito che, per ordine gerarchico e di anzianità, doveva essere il primo a farsi prendere la misura.

—Daniele!…

Ma Daniele, in quel frastuono rimbombante, non udì, e non rispose subito.

—Dààniele! Sei sordo?—ripetè quasi urlando la signora Maddalena.—E sì, per diana, posso vantarmi di aver i polmoni di mio padre: Dààniele!

—Eccomi! eccomi!—e il signor Daniele sbucò di dietro a due facchini che facevano rotolare un barile sopra un lungo carretto a mano.

—Presto, la misura.

La signora Maddalena si era appoggiata col gomito a due pezze di panno color bigio «resistente» che aveva comperato apposta per vestire tutta la famiglia, e mentre il sarto prendeva le misure al signor Trebeschi, Maddalena dava le opportune istruzioni.

—Giacca, gilet e pantaloni; largo, comodo; e buone fodere, mi raccomando.

—Non dubiti, signora, Maddalena.

Poi il sarto, mentre teneva alzato un braccio del signor Daniele per prendergli la misura della manica, domandò, sempre rivolgendosi alla signora Maddalena:

—Facciamo a un petto solo, o a due?

—A due, a due petti! Così, all'occorrenza, gli può servire anche da, paltò. Io, che ho la testa sulle spalle, ho sempre tutte le viste. Ha finito?

—Sissignora.

—E uno! Adesso a quest'altro!

E mentre il signor Daniele, che si era lasciato girare e rigirare dal sarto senza mai dire una parola, tornava frettoloso là donde era venuto, Maddalena ricominciò a gridare con quanto fiato aveva; in gola:

—Temistocle! Temistocle!

Comparve, quasi subito, un altro perticone dinoccolato, arruffato, colla faccia scialba, col naso storto e fatto a spatola e col mento pecorino; era il primogenito dei Trebeschi. Si sbottonò subito il panciotto e si fermò diritto dinanzi al sarto, anche lui senza fiatare.

—Mi raccomando molta roba sotto alle maniche e in fondo ai calzoni, per farli allungare a un bisogno: la mal'erba cresce.

—Non dubiti, signora Maddalena.

—I bottoni per le bretelle, ben forti.

E mentre Temistocle, come prima aveva fatto suo padre, si lasciava voltare e rivoltare, la signora Maddalena continuava a strapazzarlo:

—Sei uno sciupone: è un peccato farti la roba! Ma perché non prendete tutti esempio da me, giacché avete la fortuna di avermi sempre davanti agli occhi? Questo vestito—e ne alzava la sottana stirandola con una mano—ha più di sei anni ed è ancora nuovo fiammante!

Poi, al sarto:

—Ha finito?

—Sissignora.

Temistocle non glie lo lasciò ripetere, e mentre la signora Maddalena esclamava:—E due!—scappò in fondo al magazzino dove, tolta di mano la bilancia ad un giovanotto che stava pesando un gran fiasco d'olio, gli disse:

—Corri; tocca a te.

Infatti, in quel punto si udì la voce della signora Maddalena che chiamava:

—Gian Maria!

Gian Maria, il secondogenito, sebbene avesse un anno soltanto meno di Temistocle, era molto più piccolo. Ma. aveva la stessa testa arruffata, lo stesso naso collo stesso mento da pecora.

Dopo di lui si presentò per la misura di un soprabito anche la nipote del signor Trebeschi: la signorina Cammilla era assestata e aggraziata nella elegante semplicità della giovane personcina; dal visetto piacente traspariva la bontà e la dolcezza: tuttavia, chi osservasse bene la forma del naso e del mento poteva riscontrare anche in lei una lontana aria di famiglia.

Uno solo, l'ultimo dei Trebeschi, Giacomino, alto, sottile, elegante, era un bel ragazzo, col naso diritto e il mento aristocratico: tutti dicevano, per spiegarci tale anomalia, che Giacomino assomigliava alla mamma. In ogni modo è certo che la somiglianza, se somiglianza c'era, non rabboniva la signora Maddalena, non la rendeva nè più indulgente nè più tenera per quel figliuolo; anzi sembrava che nutrisse contro di lui una strana avversione.

Forse la signora Maddalena era così, perchè Giacomino dal canto suo dimostrava un carattere troppo vivo e indipendente e certe volte anche prepotente. Egli intanto dichiarava che non voleva saperne a nessun patto di fare il «mercante», poi scappava, stava fuori la notte, giocava al biliardo, dava pizzicotti e abbracci alla serva, e non aveva nessuna paura di sua madre: fatto straordinario, questo, così straordinario che gli suscitava intorno un tacito senso di ammirazione e di simpatia. Tutti quanti facevano carte false per scusarlo, per difenderlo, per salvarlo dalle furie materne.

Anche quel giorno Giacomino doveva essere lì cogli altri per farsi prendere la misura; ma, al solito, se n'era dimenticato, e bisognò che il babbo di nascosto lo mandasse a chiamare.

—Eccomi, saperlotte! Avete detto alle dieci, e non sono che le dieci e un quarto!—esclamò Giacomino arrivando di corsa, e quantunque la mamma, muta, con gli occhi torvi (bruttissimo segno!) cercasse di schermirsi e di respingerlo, egli riuscì a stamparle un bacio sul collo.

Il sarto, che stava per andarsene, e si era già messo le due pezze sotto le braccia, le posò sopra uno sgabello per cercare nelle tasche il nastrino del metro; ma Giacomino, prima di lasciarsi prendere la misura, volle vedere la stoffa; poi, appena l'ebbe guardata e toccata, dichiarò che non ne voleva sapere: era troppo grossa, troppo ordinaria.—No! no! no! E poi sempre vestiti tutti ad un modo, come in un collegio; peggio, come in una casa di ricovero! No! no! no!…—non ne voleva sapere!

—Del resto—e scoppiò in una gran risata—tu parli sempre di risparmio e di economia, e poi non la sai fare, una giusta economia. Questo inverno dovrò cominciare il mio anno di volontariato. Che cosa me ne faccio degli abiti… da vile borghese? Vado in cavalleria, sapristi! Hoplà, là!—E mentre il signor Daniele, Temistocle, la Cammilla, tutti quanti stavano attenti a quella scena, cacciando fuori il capo tra le botti d'olio e i barili di acciughe, Giacomino inforcò una sedia e girò con essa attorno alla signora Maddalena, fingendo di cavalcare, gridando sempre allegramente:—Hoplà, là! hoplà, là!

—Ha sentito: lei può andarsene. Se ne vada—disse la signora Maddalena al sarto che, rimesse le due pezze sotto il braccio, cheto cheto, infilò l'uscio.

L'audacia era stata troppa: le teste del babbo, dei fratelli, della cugina non si vedevano più, erano sparite. Gli altri poi facevano anche più rumore del solito, per timore che la voce della signora Maddalena non si udisse in istrada.

Ma questa volta la signora Maddalena non fiatò. Continuava a fissare Giacomo, immobile, muta: quando la signora Maddalena guardava uno dei giovani del fondaco in quel modo, la sera si facevano i conti e il disgraziato era messo in libertà.

E infatti essa ripensava a un suo progetto che da anni le mulinava in testa per quel ragazzaccio. Altro che il volontariato! Lo avrebbe imbarcato come mozzo sopra una nave a vela: gli avrebbe fatto fare il giro del mondo. Suo padre non voleva? Voleva lei, e basta.

—Hop! hop! hoplà, là!—continuava a gridare il monello.

Essa a un tratto, mentre le passava vicino, lo, afferrò per i capelli, lo arrestò scotendolo con violenza.

—Scimmiotto!—borbottò fremente.—Va via! Fuori dei piedi!—e lo buttò lontano, verso la porta del fondaco.

Il ragazzo alla sua volta impallidì.

—Sì! Anche subito—rispose.—Anche sul momento. Sono un uomo, e non ti riconosco il diritto di trattarmi come un cane, d'insultarmi in questo modo. Hai capito?—e si piantò diritto in faccia a sua madre, fissandola pallido, ma sicuro.

Maddalena lo squadrò dal capo ai piedi; a un tratto si sentì confusa da quell'occhio limpido, ceruleo, che la fissava, abbassò lo sguardo…. e scorse allora, per la prima volta, la ciocca colorata di un fazzoletto di batista che spuntava dalla tasca di Giacomino.

—Che roba è questa?—Di nuovo aggrottò le ciglia, ficcò due dita nella tasca, ne tirò fuori lentamente il fazzoletto impregnato di acqua, di Colonia, dietro al quale schizzarono via, e ruzzolarono in terra un porta-sigarette d'argento ed un ritratto di donna.

—Che roba è?—ripetè la madre con una intonazione.—Roba mia.

—Roba mia—esclamò il giovanotto arditamente.—Roba mia.

E mentre Maddalena si chinava a raccattare il porta-sigarette, egli, in un attimo, ghermì il ritratto, e se lo ficcò nella tasca interna della giacca, che si abbottonò risolutamente.

—Quel ritratto a me, fuori!

—No.

—Fuori!

—No: mai.

Il giovane, per difenderlo ancor meglio, incrociò lo braccia sul petto.

—Vi ripeto: lo voglio e me lo darete.—Ma essa era avvezza a quelle ribellioni e sapeva che lì per lì, anche a pestarlo, non avrebbe ottenuto niente. Allora, pesando il porta-sigarette sul palmo della mano, come per valutarne il prezzo, cambiò discorso:

—Questo, intanto, rispondete, dove lo avete rubato?

—Rubato?…—Lì per lì il ragazzo si sentì montare il sangue alla testa, ma non poteva, non voleva dire come lo aveva avuto; non voleva compromettere suo padre.—L'ho comperato coi miei denari—rispose.

—Bugiardo!—gli gridò in faccia la signora Maddalena colla voce strozzata, poi, come mossa da un'improvvisa risoluzione:—Venite con me—gli disse, e si avviò al solito bugigattolo: fece entrare Giacomino per il primo; essa lo seguì e chiuse l'uscio.

—Tu fai debiti—gli disse, accostandogli la bocca al viso e quasi bruciandolo con una vampata di fiato.

—No, mamma—balbettò l'altro un po' scosso.

—Tu fai debiti; non negarlo, io lo so. Da un pezzo me ne sono accorta. I tuoi vestiti li fai rifare, stringere, accomodare. Dove trovi i quattrini? E le cravatte?—E così dicendo, preso Giacomino per il nodo della cravatta, lo scoteva, lo stringeva così forte da soffocarlo.—Tutti i giorni hai una cravatta nuova. Chi ti dà i danari? E questo… balocco? e mostrava il porta-sigarette—costerà almeno una cinquantina di lire. Com'è che si trova nelle tue saccocce? Io denaro non te ne do, tuo padre non può dartene, perché non ne ha: dunque, o rubi o prendi la roba senza pagare, che fa lo stesso. Ti conosco, mascherina. Tu non sei come i tuoi fratelli, tu, tu—e nel crescendo di quel tu, misto alla collera, alla minaccia pareva ci fosse dell'astio, perfino dell'odio.

Giacomo sentì tutto ciò. Nel viso alterato della madre non vide nessuna espressione di bontà, di affetto; diventò ancor più smorto, balbettò qualche parola sconnessa, poi, di colpo, scoppiò in un pianto dirotto.

Alla vista di quelle lacrime, la signora Maddalena, invece di placarsi, parve anche più inviperita: chissà? quelle lacrime le ridestavano forse a suo dispetto un senso di pietà e di rimorso in fondo al cuore.

—Coccodrillo—borbottò. Poi, credendolo vinto, fece l'atto di mettergli la mano in tasca.-Fuori il ritratto.

—No: questo no!—rispose il ragazzo, ridiventando uomo a quella minaccia: non piangeva più, e aggrottava a sua volta le ciglia, guatando la madre cogli occhi torvi.

La signora Maddalena sogghignò beffardamente.

—Un'amante!… E non hai ancora vent'anni! Debiti, giuoco, perché so che vai anche a giuocare al caffè Biffi, alla birraria Nazionale. Debiti, giuoco… e donne. Tu sei di quelle buone lane che mandano in malora le famiglie, che divorano i patrimoni. Ma questo non deve essere, questo io non voglio che sia, per tuo padre, per i tuoi fratelli e per me. Nè colle buone, nè colle cattive, nè da bimbo, nè da ragazzo, nè da uomo, ho mai potuto farti perdere un solo dei tuoi vizi. Ti ho battuto, persino; peggio che peggio! Non hai sentito nè l'amor proprio, nè le botte. Ma non si deve andare avanti così. Guardami bene, e non mi far perdere la bussola, e non farmi diventar matta. È un caso di dovere e di coscienza: o accetti la mia proposta… o so io ciò che farò.

—Non ho paura nè di te, nè delle tue minacce, chiare o tenebrose—rispose Giacomino con piglio arrogante.—Non ho paura di nessuno, io!… ma visto e considerato che in casa mia sono trattato come… come non mi piace, così… se la tua proposta è che io me ne vada… me ne andrò.

Quel bel ragazzo non era mai stato tanto bello come in quel punto. Pareva l'immagine artistica di David in atto di sfidare il Gigante.

La signora Maddalena gli disse seccamente che gli avrebbe pagato tutti i debiti, a un patto: recarsi a Genova dal signor Rosasco, l'armatore, e imbarcarsi: salute, forza e coraggio ne aveva. Col tempo e la volontà di lavorare e di far bene poteva riuscire un buon capitano di mare.

Giacomo si sentì stringere il cuore: e il babbo così buono?… E mademoiselle Fanny?… la piccola cavallerizza?… quella del ritratto?… E i suoi fratelli, la sua casa? E Milano… la più bella città del mondo?… Più, più, mai più! Ma pure il piccolo eroe rimase diritto, impassibile, con una mano sul fianco, e rispose ancora con calma senza che i piccoli baffettini biondi, tirati in su, tradissero un sol tremito delle labbra:

—Sta bene; e sono molto contento di andarmene. Magari oggi per non aspettare domani.

La signora Maddalena lo guardò, poi volse gli occhi altrove. Meno del ragazzo, si sentiva sicura di sè; e la sua voce, proprio la sua voce, era alterata.

—Il signor Rosasco era un buon amico—andava dicendo, quasi per far animo a lui e a se stessa.—In fin dei conti anche quella poteva essere una bellissima carriera, forse la sua fortuna. Fosse stata un uomo lei! Subito in mare! A Milano non c'è più posto per nessuno! C'è troppa gente!

E concluse rabbonita, sorridendo per la prima volta, per la prima volta insinuante, dispostissima a sentire la confessione di una somma enorme:

—La cifra de' tuoi debiti? Dimmi tutto. Prima di partire pagherai.

—Venti o trenta lire, al giovine del sarto Martinenghi, che mi accomoda gli abiti.

—Va bene, va bene; il più grosso, sentiamo il più grosso.

—Ventidue lire alla calzoleria inglese, per un paio di scarpe gialle, di bulgaro.

—E poi? E poi?… Di' tutto. Hai la fortuna di avere una madre buona, generosa e che, a tempo debito, sa anche perdonare. E poi?

Giacomino pensò, ripensò. Doveva confessare anche quel centinaio di lire che gli aveva prestato il babbo e colle quali aveva comperato i fiori e un frustino di tartaruga col pomo dorato e anche quel porta-sigarette per regalare a mademoiselle Fanny? No; non lo doveva dire: non lo poteva dire. Non voleva che il babbo fosse sgridato per lui, povero babbo!

—E poi? Avanti.

—E poi—rispose forte e in fretta per finirla—un conto di cravatte, due o tre paia di guanti e dodici lire alla confetteria di Santa Margherita.

—E altro?

La signora Maddalena, per quanto avara, pareva desiderasse, in quel momento, che il figlio avesse un monte di debiti.

—Proprio nient'altro?—domandò con una strizzatina d'occhi significante.—E… la signorina del ritratto?

—Questo è affar mio. Quanto ai miei debiti, se ti paion pochi, non posso inventarne degli altri per farti piacere.

—Eh, eh! signorino!—Non le pare che ce ne sia abbastanza?

La signora Maddalena, a poco a poco riprendeva il sopravvento sulla madre.

—Che cosa si può sperare, quando, sotto la mia educazione e col mio esempio, uno scapestrato che non ha ancora vent'anni spreca un mucchio di danaro per la gola, per la vanità, per fare il milordino? Io posso vantarmi di non aver mai buttato via quattrini nè per la moda, nè pei capricci, e non ho mai sciupato dodici lire dal pasticciere, avendo da mangiare a casa mia.

Povero Giacomino! La signora Maddalena non poteva immaginarsi che quelle dodici lirette erano state rosicchiate in tanti confetti dai candidi dentini di mademoiselle Fanny.

—Dovrò partire, quando?—demandò il giovanotto, che voleva finirla; anche per trovarsi solo ed essere padrone del suo dolore, per sfogarsi, per piangere.

—Partirete… quando avrò la risposta del Rosasco: gli scrivo subito. Andate.

Ma la signora Maddalena, anche questa volta, girò gli occhi per non guardarlo in faccia.

—Sta bene—rispose Giacomino. Si avviò, poi tornò indietro.—Siamo intesi: lo dirai tu al babbo… perché io… (sentì inumidirsi le palpebre), perché io non gli dirò nulla—concluse arrogantemente, con un'alzata di spalle. Si rizzò, s'inchinò e—uno, due, tre—se la battè con un colpo secco dei tacchi.

—Siamo intesi: buon giorno.—E se ne andò.

—Superbo, donnaiolo, dissipatore! Io devo difendere la casa; la ditta Monghisoni—borbottò la signora Maddalena rimasta sola. E quand'ebbe finita e chiusa la lettera al signor Antonio Rosasco, armatore, a San Pier d'Arena, vi scrisse sopra: Urgentissima.

III.

Tutti erano assai inquieti nel fondaco. Perché la signora Maddalena si era chiusa nello scrittoio con Giacomino? Come mai?

Di solito, quando andava in bestia, strillava come un'anima dannata, anche davanti alla gente, e quella volta non si udiva nemmeno la sua voce!…

—Dio, Dio, Dio! Che cosa gli farà?—gemeva la signorina Cammilla, e diventava pallida pensando a Giacomino.—Che cosa gli dirà? Che cosa gli farà confessare?—pensava alla sua volta il signor Daniele, più stralunato, più arruffato, più giallo che mai, sbirciando alla sfuggita l'uscio del casotto, dove la sua signora si era chiusa col figliuolo.

Pure la Cammilla si consolava un poco quando Gian Maria e Temistocle rispondevano con un'alzata di spalle che quell'altro non aveva paura di nessuno e avrebbe saputo difendersi. Il signor Daniele invece si sentiva sempre più scombussolato e sgomento, sbagliava nel far le somme, gli tremava la mano nel pesare, non capiva più niente.

E aveva ben ragione di essere inquieto; stava peggio lui di Giacomino: l'aveva fatta più grossa.

—Dio, Dio, Dio! Se Giacomino, messo alle strette, minacciato, spaventato, facesse una frittata? Se confessasse che i denari li aveva avuti da suo padre?… Che a giuocare a biliardo, al Biffi, ci andava con suo padre? Se… Dio, Dio, Dio! (e da giallo diventava verde), se Giacomino confessava, tutto il resto!… Se parlava di madamigella Fanny?…

Quando il ritrattino della cavallerizza era saltato fuori dalla tasca di Giacomo, nessuno l'aveva visto, tranne la signora Maddalena. Se il signor Daniele fosse stato presente, sarebbe scappato Dio sa dove!… A Melegnano da' suoi parenti, e più in là, anche in capo al mondo!

E causa di tutto, l'amor paterno. Un cieco, un eccessivo amor paterno; un misto d'affetto e d'orgoglio pel suo bel ragazzo così ardito, così sano, così prepotente! Insomma così diverso da lui!

Il signor Daniele era la gallina che aveva covato un uovo di aquila; rimaneva come sbalordito e timoroso dinanzi a quel figliuolo, che non pareva dello stesso sangue dagli altri: lo ammirava, nelle sue qualità, ne suoi difetti, nei suoi vizi; e non solo, ma di soppianto dalla madre, lo contentava in ogni capriccio, quasi cedeva alle sue volontà e ne seguiva persino i cattivi esempi.

Dal figliuolo si era lasciato indurre una sera ad entrare al caffè Biffi: passeggiavano da un pezzo sotto la Galleria, quando ad un tratto Giacomo scorse seduti ad un tavolino del caffè alcuni suoi antichi condiscepoli dell'istituto tecnico, e tutti volontari di cavalleria.

Come avrebbe potuto il signor Daniele trattenere quel diavolo di Giacomino, che senza alcun riguardo si era buttato allegramente fra le braccia dei compagni?

—Addio, Moretti!

—Oh, Trebeschi!

—Cosa fai?

—Come stai?

—Sono in cavalleria!

—Anch'io quest'inverno! Anch'io entro in cavalleria!—Ma, per il momento, entrarono invece nella, sala da biliardo, dopo aver traversato rumorosamente il caffè, urtando la gente… e il signor Daniele dietro, trasognato, meravigliato per la disinvoltura e la baldanza del figliuolo.

—Permettete? Facciamo le presentazioni: mio padre.

E Giacomino, con signorile eleganza, appoggiandosi ad una stecca di biliardo, fece tutte le presentazioni speditamente e coi dovuti inchini, mentre il buon Daniele sorrideva come uno stupido e s'imbrogliava nello stringere tutte quelle mani.

—Complimenti!… Servitor suo!—e guardava Giacomino per farsi coraggio.

E proprio lì, proprio in quel maledetto caffè Biffi, sempre per causa di quel diavolo scatenato, una bella sera egli aveva fatto la conoscenza, e aveva parlato la prima volta con madamigella Fanny. Cioè, parlato no. Egli si era contentato di dirle: bon soàr, madamoasèl, quando la signorina si era alzata per andar via. Ma intanto aveva cominciato col pagare il punch frappé… e dopo… dopo non c'era stato più rimedio.

—Se Maddalena venisse a saperlo!… Che finimondo!—E il signor Daniele, tremante, tornava a guardare verso il bugigattolo e l'uscio sempre chiuso. A poco a poco, l'oppressione, l'affanno gli toglievano il respiro.

Gli, pareva a volte che il casotto traballasse, che sua moglie ne scattasse fuori come una bomba, mettendo sossopra tutto il fondaco, tutta la via Lentasio, vomitando ingiurie e vituperi.

E il signor Daniele, riguardoso e delicato, soffriva in cuore suo, anche nel pensare alle brutte parolacce che senza dubbio avrebbero colpito ingiustamente quella gentilissima signorina, così piena di sentimenti dignitosi e disinteressati: con quel piccolo neo dietro l'orecchio, col collo d'avorio, sottile e trasparente nel cravattone rosso, e… e che, gli stringeva la mano con tanta forza da storpiargliela, dicendogli: mon cher ami!

—Babbo! Il Cartolari ha rimandato il conto! Ancora non va bene.

—Chiama Temistocle!… Parla colla Cammilla!

Aveva altro in niente lui che il Cartolari e i conti sbagliati! Seduto in un angolo buio del fondaco, tenendo sempre d'occhio l'uscio dello scrittoio, riandava nella mente tutta la storia di quel suo incontro colla signorina Fanny.

Una storia semplice, del resto e naturalissima nella sua… fatalità.

La signora Maddalena era andata a Lodi per affari, e non sarebbe tornata altro che il giorno dopo: erano in piena libertà… non c'era nemmeno il pericolo che la serva facesse la spia alla padrona, perché era stata mandata via su' due piedi. Il pranzo lo aveva preparato la Cammilla, e per stare allegri, invece del solito lesso e riso e rape, avevano ordinato maccheroni, polpettone, tortelli; ne avevano fatta una scorpacciata. Temistocle e Gian Maria russavano colla testa giù, sulla tavola. Il signor Daniele sonnecchiava, ma con una certa compostezza; Cammilla, accesa in volto, certo per il calor dei fornelli, rideva e scherzava con Giacomino… Dio santo! Non potevano continuarla così tutta sera, a divertirsi innocentemente?… Signor no! Giacomino, a un tratto, passa vicino al babbo, gli tocca il gomito, gli strizza l'occhio, fa l'atto di tirare un colpo colla stecca del biliardo:

—Si va a prendere una boccata d'aria? Saperlotte! Quattro passi e poi si torna!

Invece, quando il signor Daniele tornò a casa col figliuolo, la mezza era sonata da un'ora. Avevano fatto cinque o sei giri in Galleria, e Giacomo, ad ogni giro si era scostato dal babbo per spiare dai cristalli del caffè Biffi se vedeva il tavolino coi soliti amici: non c'era nessuno.

Saperlotte!

—Andiamo a dormire: è molto meglio.

Il signor Daniele pareva avesse il presentimento d'una grande disgrazia. Ma il figliuolo entrò diritto nel caffè, e lui, par non lasciarlo solo, gli tenne dietro sospirando.

—Un punch frappè! Molto frappè!

Giacomino allungò le braccia, tirò fuori i polsini dalle maniche, accese una sigaretta e domandò lo Sport illustrato e il Figaro.

Il babbo lo contemplava estatico.

—Fumi troppo, ti farà male—gli disse poi con un tono di voce sommesso e carezzevole.

Giacomo, per tutta risposta, fece passare il fumo della sigaretta per il naso come i Turchi, poi lo inghiottì come gli Spagnuoli; poi, alzando il capo, vide fermarsi poco innanzi al suo tavolino una bella signora, mezzo vestita da uomo, accompagnata da un giovanotto con un soprabitino cortissimo e un berettino di panno bigio; la signora cercava un posto dove sedersi: ma il caffè era tutto pieno.

—Si accomodi, prego—esclamò il giovane Trebeschi alzandosi e inchinandosi con perfetta galanteria. Si alzò quasi subito anche il signor Daniele, ma per la confusione il cappello gli scivolò di mano e andò a cadere sotto il tavolino.

Merci, monsieur.

Il giovanotto fece un gran saluto col berrettino stendendo il braccio all'inglese, e la signora,—Merci, messieurs—si accomodò fra Giacomo e Daniele.

Quest'ultimo, seduto a mezzo sulla sedia per tenersi il più possibile lontano dalla signora, cominciava a guardarla di sottecchi.

Essa aveva un soprabito come un uomo, ma era un gran bel… soprabito.

Dopo alcune domande, buttate là a caso da Giacomino, si avviò subito un'animatissima conversazione. Il signor Daniele stava attento, a bocca aperta, ma capiva poco perchè parlavano in francese e molto in fretta. Ad un tratto vide Giacomino alzarsi; si alzò subito anche lui, credendo di andar via; invece c'erano le presentazioni: il tic di Giacomino.

Mon père—poi voltandosi—Mademoiselle Fanny Richard.

Monsieur Richard, le frère de mademoiselle.—Ah, era suo fratello!…

Il signor Daniele s'inchinò, riafferrò a tempo il vecchio cilindro che gli scappava di mano un'altra volta, poi mentre Giacomo chiamava il cameriere e gli ordinava due altri punch frappès, disse sottovoce al figliuolo che avrebbe preso anche lui un'acqua d'arancio. E fu contento di quella risoluzione. Dinanzi alla sua acqua d'arancio, si sentiva tornare il coraggio, aveva qualche cosa per occupare il tempo e le mani, e, bevendo l'aranciata a sorsi, poteva sbirciare a suo bell'agio madamigella Fanny.

Sotto il soprabito essa aveva la giacchettina e il gilet bianco, la camicia, la cravatta, tutto come un uomo.

—Ah, il giovinetto non era che suo fratello—continuava a pensare il signor Daniele, e guardava la signorina con maggior fiducia.

Quella madamigella era proprio… un bell'ometto!

La grazia femminile risaltava in lei maggiormente per il contrasto dell'abito. I labbruzzi procaci, bagnati dal punch frappé, parean foglie di rosa. Daniele continuava a star attento, a sorridere quando ridevano gli altri e a non capire. Gli pareva che parlassero di cavalli: certo dovevano parlar di cavalli. Giacomino ci prendeva tanto gusto! Giacomino andava matto per i cavalli! Certe volte rimaneva estatico persino dinanzi ai brum di porta Romana. E il babbo, dopo aver guardato con compiacenza il figliuolo, tornava a bere un sorso d'aranciata e tornava a rimirare la signorina. A un tratto egli arrossì, abbassò gli occhi. Madamigella Fanny aveva caldo, si era sbottonata, con una rapida scorsa della mano scintillante di gemme, tutta la giacchettina e lo splendore del gilet bianco aveva abbarbagliato il signor Daniele. Giacomo e gli altri parlavano proprio di cavalli. Figurarsi! Erano due cavallerizzi del Circo Stanislao.

Ma niente sottanino corto; «amazzone» e «alta scuola». Madamigella e monsieur Richard erano ricchi proprietari di una scuderia in Inghilterra, artisti per passione; l'ippodromo era uno sport.

Giacomino spiegò tutto questo al babbo, soggiungendo con calore:—E domani sera un gran debutto al Dal Verme!

Domani sera?…

Quel domani sera ricordò al signor Daniele il ritorno della moglie che aveva dimenticato. Il pover'uomo si rannuvolò, sospirò, e fece cenno al figliuolo che era tardi, era ora di tornar a casa.

Ma che! Giacomino faceva il bravo col suo francese!… già aveva sempre preso il dieci anche a scuola; e parlava persino coll'erre!

—Voi dovete essere—come si dice,—molto fiero di vostro figlio—esclamò ad un tratto madamigella Fanny, rivolgendosi a Daniele, sforzandosi di parlar italiano, e guardandolo per la prima volta con certi occhi neri e luccicanti che diventavano sempre più grandi.

Il babbo sorrise: chinò in fretta la testa arruffata e si accostò il bicchiere alle labbra per bere un altro sorso d'aranciata, ma il bicchiere era vuoto..

Dopo aver parlato di cavalli, parlarono di scherma. Un'altra gran passione di Giacomino: ora peraltro non poteva esercitarsi come avrebbe voluto, perché alla palestra non si dava se non una lezione alla settimana.

Il signor Richard gli promise allora d'insegnargli un colpo straordinario: un colpo, col quale a Parigi aveva; passato da parte a parte un certo conte Brakonine, un russo, che si era permesso con sua sorella certi modi che non gli andavano. E parlando mezzo francese e mezzo italiano si voltò a raccontare il fatto al signor Trebeschi, mentre madamigella Fanny, bisbigliando pianino con Giacomo, gli dava appuntamento per la sera dopo al Dal Verme.

Il racconto del signor Richard andava per le lunghe. Aveva già consegnato due schiaffoni al conte Brakonine, lo aveva mandato a gambe all'aria nella «pista», lo aveva già passato da parte a parte più d'una volta, quando la signorina si alzò e dopo essersi fatta promettere una visita per la sera dopo al Dal Verme, cominciò a fissare il signor Daniele… continuò a fissarlo.

E mentre Giacomo impediva a monsieur Richard di pagare, essa strinse la mano del babbo due volte con tanta forza, che il pover'uomo ne rimase scombussolato.

Bonsoàr, madamoasèl!

Il signor Daniele non seppe dir altro.

Per tutto il giorno dopo il brav'uomo fece il muso lungo con Giacomino, modi bruschi, poche parole condite col voi a tutto spiano; cercava insomma di imitare la cera ed il farà imperioso della moglie.

Ma l'altro non se ne diede per inteso; dopo cena, dietro le spalle della madre che, stanca del viaggio, cascava dal sonno, continuava a strizzar l'occhio e a far l'atto di tirare un colpo colla stecca.

Daniele era sulle spine, temendo che sua moglie si accorgesse di tutta quella mimica.

—Sì!… ho capito!…—diceva Giacomo sottovoce—appena la mamma sarà andata a letto.

Si riservava di fare al figliuolo una solenne paternale per la strada; e infatti, mentre camminavano in via Lentasio per sbucare a porta Romana, ne rimuginava l'esordio, quando a un tratto Giacomino, prendendolo a braccetto colla sua solita monelleria affettuosa, sparò il colpo a bruciapelo:

Mon père, andiamo al Dal Verme?

—Sei matto?… Siete matto!

E Daniele che aveva pensato tutto il giorno a quel teatro, appunto perché non ci voleva pensare, si staccò a viva forza dal figliuolo.

—Siete matto! È ora di finirla! Dovreste imitare il mio esempio!
Lavorare! Andare a letto!

—Allora dammi i denari! andrò io solo—rispose Giacomo arrabbiandosi lui pure, ma sul serio.—Ho dato la mia parola e non voglio mancare. Non voglio aver osservazioni dal signor Richard. Non sono più un bimbo, sono un uomo.

Che c'è di male? Meglio al teatro che in una bisca!—E, borbottando e gesticolando, continuò a camminare in fretta verso il Dal Verme, mentre il signor Daniele, curvo, muto, gli teneva dietro per non saper che fare, per non lasciarlo andar solo, per paura che gli scappasse.

E così Giacomino sempre innanzi, il signor Daniele sempre dietro, si trovarono alla porta del teatro.

—I denari per i biglietti—intimò il giovinotto fermandosi su' due piedi.

L'altro cercò di qua e di là il portafogli, con una lentezza da far disperare; infino lo trovò, lo apri meticolosamente e non meno meticolosamente scelse il più sudicio fra i biglietti da dieci lire… durò un pezzo a fregarlo colle dita per assicurarsi che non erano due. Poi, scrollando la testa, seguì un po' alla lontana il figliuolo… e finì col sorridere ancora di compiacenza, vedendo come sapesse farsi largo fra la calca fino al finestrino.

Pardon messieurs, pardon mesdames, due fauteuils di prima fila, s'il vous plait!

IV.

Il signor Daniele era sempre rannicchiato nel cantuccio buio del fondaco; pure, al ricordo di quel suo primo ingresso al Dal Verme, si sentì come avvolto da una gran luce allegra e calda: la folla muta gremiva il teatro: l'orchestra sonava in tono lamentevole la Stella confidente.

Gladiator, montato all'alta scuola da madamigella Fanny, eseguiva il «passo spagnuolo».

Gladiator, come spiegava il manifesto, era il «famoso stallone arabo, regalato alla Stella del Circo Stanislao da Mohamed-pascià»,

—Sediamoci?—aveva detto Daniele a Giacomino, subito quando, a furia di gomitate e di spintoni, erano arrivati ai loro, posti.—Sediamoci?

Il signor Daniele, alla vista di madamigella Fanny, così esposta al pubblico, nell'amazzone nera, attillata, a cavallo di Gladiator, aveva provato come un barbaglio, un senso misto di confusione, di gelosia e di timidezza vereconda: non voleva, non osava guardarla: gli pareva che, seduto, sarebbe stato più nascosto e tornò a domandare al figliuolo:

—Sediamoci?

—Oh! Oh! C'è tutto il Nizza cavalleria!—esclamò Giacomino, che aveva visto gli ufficiali prima ancora di madamigella Fanny, e di corsa, saltando lo steccato e attraversando l'ultimo tratto della pista, andò a salutare il capitano Braganza, un suo amico del caffè Biffi.

—Che fai?….. Che fai?….. Giacomino! Giacomino!

—Giù a sedere—gridò una voce rabbiosa dietro il signor Daniele.

Il signor Daniele si sedette di colpo.

—Cappello!—intimò poco dopo la stessa voce: e il signor Daniele, subito, si tolse anche il cappallo senza voltarsi: guardava sempre Giacomino, aspettando che tornasse, o almeno gli facesse cenno.

Oh sì!… aveva altro in mente il giovinotto! Dopo stretta la destra al capitano, si era avvicinato a M. Richard che, in falda e stivaloni alla scudiera e con un grosso frustino in mano, teneva d'occhio ogni movimento di Gladiator.

—Bellissimo teatro, saperlotte!

—Tutto quello che c'è a Milano, come a Parigi, a Berlino, a Filadelfia!… tutto quello che c'è a Milano di più high-life, anche il generale Piccolomini di Coccorito.

Gladiator, nel frattempo, sempre al suono della Stella confidente, aveva finito il «passo spagnolo» e incominciava la «danza scozzese». Il cavallo mordeva il freno bavoso, sbuffava, nitriva, squassava la criniera, ma pure doveva piegarsi sotto la mano esperta o il ginocchio di ferro di madamigella Fanny e fare lentamente e leggermente tutto il giro del circolo, cullandosi sulle quattro zampe.

—Brava! Benissimo!

Il pubblico applaudiva, e il signor Daniele si faceva piccino nella sua poltrona come per nascondersi. Aveva guardato una volta sola madamigella Fanny, diritta sol cavallo bianco. L'aveva guardata per un attimo, appena entrato in teatro… e dopo tanti giorni, anche allora che ci ripensava in quell'angolo riposto del fondaco Monghisoni, l'aveva ancora stampata negli occhi quella figura viva e procace: ne vedeva ancora il cappello a cilindro, lucentissimo, un po' sollevato dal grosso volume delle trecce, il solmo candido stretto ai collo delicato, le spalle larghe, il vitino sottile… e il mazzo di garofani rossi sul seno rotondo, sporgente, dentro l'amazzone attillata…

Era stato un incubo per lui lo spettacolo di quella svelta cavallerizza, di quel pubblico applaudente, di tutti quegli ufficiali, di quei giovanotti eleganti, che sorridevano, che scherzavano con lei, che la divoravano col desiderio.

Il buon uomo non vedeva l'ora che finissero gli sgambetti e le giravolte di Gladiator.

Ma ecco un ultimo esercizio. Madamigella Fanny aveva fatto impennare, il cavallo.—Su! su! su!—E il signor Daniele si era sentito un brivido nella ossa.—Su! su! su!—Gladiator tutto diritto, zampava in aria furiosamente… Madamigella Fanny si aggrappava alla criniera… Poi «hop» aveva gridato colla vocina acuta, ridente, prendendo la rincorsa; una frustata schioccante di M. Richard, e via, aveva saltato lo steccato fra uno scoppio di applausi.

—Brava! Benissimo!

E Giacomino?

Giacomino era in piedi, in mezzo allo stuolo degli ufficiali. Col cappello sulle ventitré e la mazza ficcata in una tasca dei soprabito, approvava e ammirava col gergo di chi se ne intende Gladiator e la Fanny.

—Se Dio vuole, è finito!

Il signor Daniele respirava e si allungava più comodamente nella poltroncina; ma tutto ad un tratto, ricomincia la Stella confidente ed eccola… eccola daccapo!

E un terzo incanto; non più il «bell'omino» dalla sera innanzi, non più la intrepida amazzone di prima: è a piedi, sola in mezzo al Circo immenso, reggendosi con una mano il lungo strascico e coll'altra mandando al pubblico saluti e baci…

Nuovi applausi, nuovo entusiasmo, e un'altra volta, due, tre, la Stella confidente e madamigella Fanny. Ma poi… la storia era continuata… Dopo qualche sera—povera ragazza!—poca gente al Dal Verme e pochi quattrini.

La virtù non è mai premiata a questo mondo: aveva ragione M. Richard.

—Se ma soeur—diceva—fosse come le altre centomila, bisognerebbe tutta le sere allargare il vostro Dal Verme. Invece la mia sorella, alto là, gentilissima, amabilissima, riconoscente a tutte le cortesie, ma… alto là. E di giorno, durante la répétition, e di sera con noi a cena, nessun altro che il generale Piccolomini di Coccorito, vecchio amico, e voi se ci farete l'onore.

Come dir di no?… e, qualche volta di giorno, colla scusa degli affari o della Camera di commercio, e qualche volta la sera, dopo che sua moglie era andata a letto e si era addormentata, il signor Daniele, strigliato, profumato, inguantato da Giacomino, scappava con Giacomino medesimo da madamigella Fanny.—Ma lui ci andava soltanto per sollecitudine paterna: per non lasciar andar solo il figliuolo, per invigilarlo, per impedire all'occorrenza che commettesse uno sproposito.

Proibire il Dal Verme al figliuolo?—Come poteva fare oramai? Giacomino aveva vent'anni e Maddalena aveva torto di volerlo tener sempre cucito alle sue gonnelle e sempre senza un soldo. Il troppo stroppia. E alle volte una simpatia innocentissima poteva salvare… dal pericolo. E pericolo con madamigella Fanny non ce n'era punto. L'intrepida amazzone del Circo Stanislao era a prova di bomba.—Lo diceva lei stessa, nel suo camerino, al signor Daniele, fissandolo con quegli occhi magici, scintillanti come le stelle e penetranti come un coltello—glielo diceva lei stessa sorridendo, sfiorandogli il ciuffo dei capelli arruffati, colla punta del frustino.

—No, no, no!… Quello che dovrà essere lui non è ancora arrivato.

—E il generale?… Piccolomini?

—Il generale? Oh! il generale non è altro che le grand père. Compris?…—Il nonno! E la bella ragazza, accarezzando più forte colla punta del frustino il ciuffo arruffato di Daniele, tornava a sorridere, tornava a guardarlo fisso e tornava a ripetere:

—No, no, no!… Marameo! Quello che dovrà essere lui non è ancora arrivato!

—Birichina! Birichina!

E ripensandoci, il signor Daniele sorrideva: sorrideva anche in quel fondaco melanconico, davanti all'uscio chiuso dello scrittoio della moglie.

—Birichina!… Birichina!…

Ma… e Giacomo?… Perché Maddalena lo teneva sempre chiuso?… Se
Giacomo avesse parlato? Se avesse confessato tutto?

Allora ricominciava la paura e colla paura il pentimento.

Aveva speso troppo: il lunch, come lo chiamava M. Richard, all'ora della prova, e la cenetta dopo il teatro, ingoiavano un mucchio di quattrini. Aveva fatto male a lasciar sempre ordinare e comandare a quei ragazzi.

E poi i fiori? E poi il frustino per la beneficiata?… E l'astuccio dalle spagnolette che dovevano regalare a madamigella Fanny quel giorno alla prova, o quella sera a cena… appena insomma avrebbero potuto svignarsela?

Aveva fatto male; anzi malissimo. Era stato imprudente. Avrebbe dovuto subito, fino dalla prima sera, obbligare Giacomino ad andarsene a letto, proibire il Dal Verme, proibire le lezioni di scherma di monsieur Richard, le passeggiate a cavallo di Gladiator… proibire le spagnolette, le ostriche, il cognac, la omelette soufflée!

E coi pentimenti e coi rimorsi gli riappariva dinanzi, più che mai terribile, minaccioso il fantasma della moglie, quando a un tratto si spalancò l'uscio dello scrittoio e Giacomino—finalmente!—Giacomino ne uscì in libertà!

Daniele, subito, gli passò accanto in mezzo al buio e gli domandò sottovoce:

—Hai parlato? Hai confessato?

—Io? Per chi mi prendi? La mamma non sa nulla: règolati. Bada di non cascarci tu. Senti? La mamma ti chiama. E il ragazzo, un po' pallido, ma sicuro, attraversò il fondaco per salire in casa.

Temistocle, l'altro fratello, e più di tutti la Cammilla, gli giravano attorno, inquieti, ansiosi, per interrogarlo.

—Niente! Niente! Una sfuriata delle solite—rispose Giacomo con un'alzata di spalle e passò via in fretta,—mentre anche il babbo, ormai rassicurato, lo seguiva e lo accarezzava con uno sguardo amoroso.—Come lo avrebbe abbracciato volentieri!

—Daniele! Taartaruga!

Alla voce della signora Maddalena, Daniele si voltò di colpo, traballando:

—Eccomi! Eccomi!—e corse affannosamente fin sull'uscio dello scrittoio.

—Dentro—gl'intimò la moglie.

—Eccomi—ed entrò.

—Chiudete.

Il signor Daniele, chiuse d'uscio, sgraffiandosi anche un dito tra per la fretta e la confusione.

—Bisogna mandare questa lettera alla posta, sul momento—strillò la signora Maddalena mostrandogli la lettera scritta al Rosasco.—Ma alla posta centrale. È più sicura.

—Dammela, la porto io.—Al signor Daniele non pareva vero di cavarsela così a buon mercato.

—Un momento. Dovete prima sapere anche voi di che; si tratta—rispose la signora Maddalena, che nelle occasioni più solenni dava sempre del voi a tutti.—Scrivo al signor Rosasco—soggiunse con voce, alquanto velata e interrotta da una tossetta secca—per avvisarlo che gli mando… gli mando… quel bel mobile.

—Giacomino?

—Sissignore; Giacomino, che tutti quanti avete guastato, viziato, resa insopportabile, pericoloso!

Pareva a Maddalena, coll'andare in furia, di scaricare addosso agli altri, in tutto o in parte, la gravita e l'odiosità della risoluzione presa.

—Vuoi mandare Giacomino a Genova?

—Appunto a Genova; per imbarcarsi.

—Imbarcarsi?… Per dove?

—Per dove, pur dove… per dove sarà.

La signora Maddalena voleva far presto, finirla. Aveva le guance rosse, era in orgasmo, sbuffava.

Le domande, le spiegazioni, le chiacchiere, la rimescolavano ancora più del solite.

—Mi sono abbastanza fatto il sangue guasto con… quello là! Se non vi siete proprio messi in testa di farmi crepare, abbiate; un po' di carità, e meno discorsi.

—Ma, scusa—insisteva il signor Daniele sommessamente—deve cominciare l'anno di volontariato fra pochi mesi.

—Il volontariato lo farà invece Gian Maria. È un tanghero che ha bisogno di svegliarsi e di rinforzarsi. Del resto, quando io, colla, mia testa, e io l'ho sempre avuta sulle, spalle, ho pensato una cosa, vuol dire che tutte le altre… le ho già messe, in regola.

Il signor Daniele diventava, pallido, taceva succiandosi il dito spellato.

—E voi, invece di fare opposizione, dovreste ringraziarmi… e benedirmi.

—Io non faccio nessuna opposizione—balbettò Daniele dopo un momento.—Soltanto vorrei capire meglio la tua idea. Vuoi imbarcarlo? Per dove?… Come?… Vuoi farne… un marinaio?

E a, mano a mano anche Daniele si riscaldava, alzava la voce. Per la prima volta sentiva in sè quasi un soffio di ribellione; il suo cuore si rivoltava, e anche la sua coscienza: non poteva, non doveva abbandonare Giacomino. Giacomino, che sarebbe stato punito così ingiustamente, così barbaramente, perché aveva taciuto, perché lo aveva salvato.

No! no! Doveva difenderlo; doveva salvarlo alla sua volta; lo doveva come padre e come galantuomo.

—Vuoi allontanarlo dalla famiglia, dalla casa?—ripigliò, dopo un momento, vincendo il tremito e l'affanno che gli soffocavano la voce.—In fine, non ha commesso nessun delitto.

Il petto poderoso della signora, Maddalena ebbe un sussulto, che essa fermò e represse a fatica, colle due mani.

Poi rispose colla, bocca amara e colle labbra asciutte, sforzandosi di parer calma:

—Tu non hai due dita di comprendonio, ma io sì, ne ho per tutti quanti, e per ciò, io non voglio aspettare a correggere quando non si sarebbe più in tempo, quando ci avrà sciupato mezzo patrimonio.—Si avvicinò al signor Daniele e gli bisbigliò all'orecchio:—Quel ragazzo fa debiti, ha delle amanti, giuoca! Via, via presto!

—Come me! Come me!—gemeva in cuor suo il povero Daniele; e dopo un breve silenzio riprese più umile, per riuscire più persuasivo:—Scusami, Maddalena, ma… per il momento… per il momento ripensiamoci.

—È un anno che io ci penso e ripenso.

—Tu sì, ma io no… e vorrei anch'io assuefarmi a questa… idea.

«Finché c'è tempo c'è fiato» e il signor Daniele, debole e incerto, aspettava sempre molto dal tempo.

—Se non ci avete pensato—la signora Maddalena ricominciava col voi—è colpa vostra. Non è la prima volta che io vi metto a parte di questa mia idea, che vi propongo d'imbarcare…—cercò un epiteto per non voler dire il nome, poi borbottò:—Giacomino.

—Ma io credeva non fosse altro che una minaccia, per ischerzo!—rispose il signor Daniele.

—Scherzo? Io non scherzo mai! Quando avrei tempo di scherzare, con tutti i fastidi, i dispiaceri che mi date? Ad ogni modo, adesso lo sapete: non è uno scherzo: basta così.

Daniele si risentì. Aveva la pelle dura, ma soltanto per sè: qui trattavasi di suo figlio.

—No, non basta—rispose facendosi bianco come un cencio lavato e con voce bassa, occhi bassi, capo basso, quasi aspettando di essere fulminato, ma risoluto a tener fermo—no, non basta: in vent'anni ho accettato tutto, non ho mai rifiutato: ma adesso si tratta del mio sangue; c'è di mezzo il cuore.

Alla Maddalena scintillavano gli occhi e tremavano le labbra; e chissà in quali parole stava per prorompere: ma quel giorno faceva miracoli, e si frenò ancora.

—È anche per il suo bene—rispose dopo un momento.—Io posso giudicarne perché ci vedo da lontano. E in quanto al cuore—qui tornò ad alzare la voce—ho ereditato quello di mio padre, il che vuol dire che ne ho più di tutti. Ma cuore—e così dicendo si batteva forte sul petto resistente,—vero cuore, non sugo… di pomodoro!—Poi, calmandosi daccapo e fingendo di crederlo oramai convinto, par togliergli il coraggio di risponder altro, gli tornò a porgere la lettera.

—Va, va; porta questa lettera alla posta. Un giorno mi ringrazierai.

Il povero signor Daniele sudava freddo e gli tremavano i ginocchi.

—I miei figliuoli… io… io non domando altro. Ho sempre taciuto, non sono mai stato padrone di niente, ma i miei figliuoli… li voglio con me!

Ciò detto, chiuse gli occhi, si era al finimondo.

—Hai sempre taciuto? Che cosa avevi da dire?—domandò la signora Maddalena, più ancora maravigliata, quasi, che offesa.—Non hai mai domandato niente? Non sei mai stato padrone di niente? Ma… sei mio marito, sì o no?—E chi ti ha fatto padrone della casa, tal quale come me?

—No, non è vero! Non è vero! Io servo; sono un servo. Come prima! Come sempre! Padrone di niente! Padrone di niente! Ma dei miei figli, questo poi, sì, dei miei figli sono padrone anch'io, voglio essere padrone anch'io!

E per la prima volta in vita sua, trovata la via dello sfogo, il signor Daniele, balbettando e tremando, tirava innanzi senza finir più, ripetendo continuamente le stesse cose, le stesse parole.

Maddalena a un tratto ebbe un impeto di collera; gli afferrò il ciuffo dei capelli arruffati, lo scossa violentemente, poi lo spinse fuori dall'uscio.

—Va via!… non mettermi al punto di commettere uno sproposito.

E colla voce soffocata, tremando anch'essa, ma di rabbia, chiamò un facchino e lo mandò alla posta colla lettera per il signor Rosasco.

In un momento, la gran notizia si sparse per tutto il fondaco: la signora Maddalena voleva scacciare di casa Giacomino, voleva imbarcarlo.

Era lo stesso signor Daniele che andava in giro a raccontarlo a tutti, e colla speranza di acquistare maggior coraggio sentendosi dar ragione.

—Sì—concludeva—prima che mio figlio mi sia strappato dalle braccia per essere imbarcato, devo esserci anch'io: non ho forse diritto di non volere? Non dovevo oppormi?

Tutti gli rispondevano di sì e il signor Daniele si era messo a gridare, a smaniare, a predicare anche lui, come faceva sua moglie; ma quando la vedeva in distanza tirava di lungo e si perdeva nel fondaco, non bastandogli il cuore di affrontarla una seconda volta.

La sera, a cena, Giacomino non comparve: era rimasto tutto il giorno chiuso in camera sua, aveva pianto, si era sfogato, e adesso aspettava la notte, quando tutti fossero addormentali, anche il babbo, per scappare solo, colla notizia del suo imbarco, da madamigella Fanny.

Chissà? Se riuscisse a commuoverla? a toccarle il cuore colle sue disgrazie? Chissà?… Almeno un bacio?… Saperlotte!

A cena la signora Trebeschi non vide altro che musi lunghi: la rivolta era muta, ma generale.

—Come ha saputo farsi amare quello scavezzacollo!—pensava. Maddalena trinciando il lesso.

E forse, per un moto istintivo del suo cuore di madre, quella sera fu insolitamente larga nelle porzioni. E parlava e voleva far parlare gli altri, e cercava, con tutti i pretesti, d'intavolare la conversazione.

Anche quella sera, naturalmente, non faceva se non lodare sè stessa e criticare gli altri, ma ci metteva minore acredine, e quasi una certa bonarietà. Pareva che cercasse un complimento, una parola affettuosa.

—Io ho sempre avuto cuore, ricordatelo, ma il cuore,—diceva il mio povero padre—il cuore non deve mai far perdere la testa. E se io mi sono sempre mantenuta quella che sono, non è che non abbia avuto cuore come le altre, è perché ho avuto più testa delle altre.

E versava da bere al marito, che lasciava il bicchiere pieno sulla tavola, e offriva ancora del lesso ai figliuoli, che non ne volevano più e respingevano il piatto.

Vedendo che non riusciva con gli altri, si provò a far complimenti alla Cammilla:

—Adesso hai imparato: la minestra la sai far bene.

Ma anche la Cammilla rimaneva impassibile, nè smetteva di tenerle il broncio. Allora essa cominciò ad aggrottar le ciglia, e a, far gli occhi torvi.

—Che la stupida ragazza avesse del tenero per quel bel mobile? Badasse bene ai casi suoi, perché era sempre lì come un uccel sulla frasca. In quattro e quattr'otto la si poteva rimandare a Melegnano.

Il signor Daniele aveva desiderato prender con sè la nipotina, per aiutare, sollevandoli di una bocca, i suoi parenti poveri, e la signora Maddalena vi aveva acconsentito, dopo avere un po' storto la bocca, ma con una condizione, anzi con due: primo, la Cammilla non doveva mangiare il pane a tradimento: secondo, non voleva dir di , definitivamente, senza qualche giorno di prova.

La Cammilla, quando era venuta a Milano, era una bimba di nove anni; adesso ne aveva diciotto, ed era sempre in prova. Di giorno, nel fondaco, teneva il carteggio e le prime note: la sera poi, in casa e in cucina, puliva, rattoppava, faceva le calze a tutti i Trebeschi; e di più, in quel continuo via vai delle serve e delle cuoche, sempre in prova e per prova, doveva lei, bene spesso, durante gli interregni, metter la pentola al fuoco per la colazione e pel pranzo.

V.

La risposta dell'armatore non si fece aspettare; l'Arcobaleno partiva diretto a Porman e da Porman per Filadelfia il 1. di novembre, e perciò il signor Rosasco avvertiva la signora Maddalena che il suo pivetto doveva trovarsi a Genova per la fine del mese…

—Quindici giorni, quindici giorni soltanto!…—sospirava il povero signor Daniele.

—Quindici giorni e poi… poi, forse non vederlo mai più!—gemeva in cuor suo la signorina Cammilla cogli occhi gonfi e il dolor di capo.

Giacomino invece si dava buon tempo.

—Ancora un paio di settimane e poi… divertirmi e godermela più che a Milano!

Passato il bruciore della prima impressione, aveva risoluto di farsi animo, inghiottendo il boccone amaro, anzi mostrando d'infischiarsene, e c'era riuscito.

Ma in quanto alla, genitrice…—ah! ah!—le preparava una magnifica sorpresa per quando l'Arcobaleno sarebbe stato in alto mare verso l'Equatore: un mucchio di debiti da pagare; e intanto si divertiva a tormentarla, a punzecchiarla.

La genitrice—adesso la chiamava sempre così—cercava di sfuggirlo?… E lui si dava un gran da fare par cacciarsele sempre fra i piedi; e quando la incontrava nel fondaco, la salutava nel modo che alla signora Maddalena faceva più dispetto: strisciando i piedi, battendo i tacchi. E su, in casa, quando si trovavano insieme all'ora della colazione e del pranzo. Giacomino, con una compitezza affettata, esagerata, correva ad aprirle l'uscio, ad offrirle la seggiola, a metterle lo scaldino sotto ai piedi.

Talvolta mamma e figliuolo si fissavano in viso: lei pallida, accigliata; lui, col sorriso impertinente sotto i baffettini tirati in su: pareva che stesse per iscoppiare il fulmine: il signor Daniele tremava, tremava la signorina Cammilla; Temistocle e Gian Maria non battevano palpabra: ma poi la signora Maddalena voltava la testa con una mossaccia dispettosa, e invece di pigliarsela con quello sfacciato, si sfogava contro la Banca Generale in liquidazione e il Credito Provinciale tentennante.

E strillava:

Queste sono le vere burrasche! le tremende burrasche!… Altro che aver paura di un po' di mal di mare!—e affaccendata mandava il signor Daniele in traccia di notizie e di informazioni alla Borsa, alle Banche, dagli agenti di cambio, lo faceva correre di qua e di là, a portar ordini, contr'ordini, minacce, strapazzate.

Il pover'uomo correva e sudava: ma dappertutto, appena, sbrigata l'incombenza avuta, buttava fuori, con un sospirone, la gran notizia della prossima partenza del figliuolo, del suo imbarco, chissà per dove, chissà fin quando! e chiedeva consiglio e conforto con un balbettamento affannoso che pareva un gemito:

—Che cosa devo fare? Che cosa si può fare? Ma io non voglio! Io non lo lascio andar via!

—Che cosa doveva fare?…—Opporsi a sua moglie, dire un bel no!—Non era lui il padrone?

Il signor Daniele approvava, col capo… e tornava a correre e a gemere da un'altra parte.

—Che cosa devo fare? Che cosa si può fare?… aveva domandato una volta anche a madamigella Fanny, e con un tremito più vivo e un accento più fervoroso:—Io non voglio lasciarlo andar via!… Io non lo lascio andar via. Che cosa si può fare?

On divorce!—gli aveva consigliato la cavallerizza, schioccando la frusta.

—Che cosa?

—Divorzio!—gli aveva urlato nelle orecchi monsieur Richard.

Al povero signor Daniele non rimaneva più che la Cammilla.

—Che, cosa devo fare?… Che cosa si può fare?…—mormorava anche a lei, ma sottovoce, per non essere udito dagli altri. E lì colla Cammilla poteva sfogarsi; tutt'e due pensavano, studiavano se c'era verso d'impedire la partenza di Giacomino, e finivano con piangere insieme brontolando:—No, no, no! non deve andar via!… non deve andar via!….

Giacomo, ciarliero, espansivo con tutti, evitava tanto il babbo, quanto la Cammilla, ma per diversa cagione.

Il babbo che lo seguiva, stralunato, balbettando colla voce piena di lacrime:—Ma io non voglio!… io non ti lascio partire!…—lo commoveva troppo, e Giacomino voleva esser troppo forte, e sempre allegro. Quanto poi alla Cammilla, quel naso di famiglia, sempre rosso e gonfio per amor suo, lo infastidiva e lo indispettiva.

Nel suo cuore non c'era più posto che per il bel nasino della Fanny.

—Che c'entrava la Cammilla? Era forse sua sorella?… E le voltava lo spalle.

Giacomo era innamorato di Fanny e Fanny di Giacomo. I due giovani se l'erano detto ed anche provato.

La grande notizia dell'imbarco del giovane Trebeschi sull'Arcobaleno aveva fatto colpo anche al Circo Stanislao.

La Fanny, fin dalla prima sera al Biffi, quando aveva ammirato quella bocca fresca, intatta del giovanotto, non aveva aspettato altro che di trovarsi a quattrocchi con lui, per mangiarsela di baci. Così, appena, Giacomino le ebbe detto, sospirando:—che partiva per sempre e che non ne provava nessun rammarico fuorché per lei—subito, la bella ragazza, gli aveva buttato le braccia al collo, dicendogli, fra i baci, all'orecchio:

Prends bien garde, mio caro, que le général non si accorga di niente!

Saperlotte!—aveva risposto Giacomino, rassicurando la ragazza.

Infatti, poco dopo, quando udirono picchiare leggermente all'uscio,—erano nel camerino, al Dal Verme,—Giacomo, prontissimo, si era già allontanato, mentre Fanny si passava il piumino della cipria sulle guance, esclamando con una risata squillante:

Venez donc, mon général.

Piccolomini di Coccorito, entrò, e si fermò in mezzo al camerino, fieramente, colla pancetta traballante sulle gambette ercoline: non salutò nemmeno madamigella Fanny; squadrò il giovinotto che aveva già notato qua e là, ma che vedeva per la prima volta.

Monsieur Trebeschi, un amico di mio fratello—disse tosto e con gran disinvoltura l'intrepida amazzone, presentando Giacomo al generale, senza voltarsi nemmeno, mentre col cappello a cilindro sugli occhi e col frustino sotto il braccio, calzava, con grande sforzo, i guanti gialli, lunghi, scamosciati.

Il generale continuava a, fissare il giovinotto, e, quasi annusasse odor di polvere, gli si rizzavano i peli dei grossi baffoni, tinti di nero, il ciuffetto irto in mazzo al cranio pelato.

Giacomo, dal canto suo sosteneva imperterrito quello sguardo.

—Trebeschi?—domandò finalmente il generale, gonfiando le gote e soffiando ad ogni parola.

—Trebeschi?… Ufficiale?… In cavalleria?

Madamigella Fanny rispose di no, sorridendo, perché tutti pigliavano quel bel ragazzo per un ufficiale… E così anche il Piccolomini che pur doveva intendersene. Poi si affrettò a soggiungere che l'amico di suo fratello partiva quanto prima per la Spagna, per l'America, per l'Australia.

Il generale si rasserenò, e senza badar più a quel borghese, si accostò saltellante alla Fanny, e si mise ad aiutarla a calzarsi i guanti, gonfiando le guance e soffiando più forte che mai.

Giacomo salutò, con un altro inchino, e se ne andò serio, impettito. Ma appena fuori fece anche lui un salterello, fregandosi le mani e strizzando l'occhio.

—Ah! ah! la faceva in barba a un generale!

E il giovanotto in quei giorni fu pienamente felice; ma la felicità non gli fece perdere la bussola; tutt'altro. Invece di essere geloso, si divertiva a chiamare Fanny la sua bella generalessa, e così tutti, compreso il Piccolomini, restavano contenti più di prima.

Il solo che, colla crescente felicità di Giacomino, si andasse rannuvolando era monsieur Richard, inquietissimo per l'avvenire.

—Sempre così—borbottava—a Milano, come a Parigi, come a
Pietroburgo!

E minacciava sempre, quando l'altro non poteva sentire, di voler somministrare schiaffoni a destra e a sinistra, e faceva gli occhiacci alla Fanny, che gli rispondeva appena con un'alzata di spalle.

E il buon fratello, nella sua sperimentata antiveggenza, pur troppo, era profeta. Era mancata la prudenza non a Giacomino, ma alla Fanny, e proprio nel momento supremo, cioè quando al povero generale Piccolomini, che aveva già speso un occhio, per la stella del Circo Stanislao, e credeva ormai di essere arrivato in fondo, era capitato a domicilio un altro fascio di conti da pagare: il riassumendo della fine di stagione. L'avarizia stimolata dalla maraviglia e dal dispetto non scemò l'amore del generale, ma ne acuì la gelosia. Gonfiandosi e soffiando, cominciò a impressionarsi, a impermalirsi, a guardare, ad osservare.

—E quel Trebeschi? Quel giovanotto borghese?

Il Piccolomini non lo aveva più trovato , nel camerino, e non lo aveva mai incontrato in casa di mademoiselle Richard, ma spesso gli capitava tra i piedi nei paraggi del Dal Verme, e gli dava sempre nell'occhio appunto per quella sua aria di ufficialetto in borghese… e per la fretta di sgattaiolare inosservato.

—Ohi! ohi!… Attenti!

Per scoprir terreno, cominciò a parlare: e a sparlare del signor Trebeschi—di quel giovane di bottega che si dava un atteggiamento marziale—cominciò a scherzare sul conto suo, a ridere alle sue spalle e notò che ci stava a scherzare e a ridere anche la Fanny, ma esageratamente, con un'esaltazione nervosa; e notò di più che monsieur Richard, parlando del Trebeschi, pareva che avesse un nodo in gola, benché si sforzasse di non darlo a divedere..

—Ohi! ohi! Cospetto di bacco!… Ma quando ci va? Dove si vedono?
Come si trovano?

Rimase molto perplesso; poi prese un partito. Regalando venti lire, in due volte, alla portinaia, seppe tutto ciò che gli premeva di sapere.

Povero Giacomino! Con tutto il suo giudizio, con tutta la sua prudenza, con tutta la sua furberia, era proprio andato a finire in bocca al lupo.

Visite a Fanny, in casa, non ne faceva, non praticava più in teatro, di giorno, all'ora della prova. E poi nemmeno la sera. Dacchè si erano accorti che il generale sospettava di qualche cosa, Giacomino non aveva più cenato coi Richard nè messo piede al Dal Verme.

In teatro correva la voce che il giovane Trebeschi si fosse già imbarcato a Genova sull'Arcobaleno.

Tutto spirava pace, perfino la fronte del Richard cominciava a spianarsi… quando una notte, molto tardi, mentre Giacomino, con tutte le possibili cautele, stava per aprire lo sportello della casa dove era alloggiata la cara Fanny, si sentì battere sulla spalla: si voltò di colpo, e—Saperlotte!—si trovò a faccia a faccia col generale.

Il giovanotto, pronto, si mise in posizione e rimase serio, mentre l'altro dava in una risataccia insolente.

Prendete—esclamò dopo un momento il generale.—Vi aspettavo per regalarvi un'altra chiave, la mia, nel caso che perdeste la vostra.

E così dicendo pose, una lunga chiave arrugginita nella mano che il povero malcapitato gli stendeva macchinalmente. Poi gonfiò le labbra, soffiò, soggiunse soltanto un:—Buona notte: a lei e a tutta la compagnia—e così se ne andò, traballando sulle gambette a roncolo.

Giacomino, rimasto lì, immobile e muto con quelle due chiavi in mano, seguì il generale collo sguardo finché lo potè scorgere: sospirò, ma non si mosse. Riflettè a lungo, sul da farsi, e si persuase che, nel caso suo, due chiavi erano troppe.

Allora invece di aprire e di salire, mise le due chiavi in tasca, tornò indietro, tornò a casa sua, si cacciò in letto, e spense subito il lume per addormentarsi più presto. Ma penò molto a prender sonno. Il caso era grave.

Al mattino avrebbe dovuto andare da Fanny a raccontarle la scena col generale: che bella improvvisata!

Furbo, per altro, quel Piccolomini! Ma che avrebbe risposto Fanny? E il Richard? Apriti, cielo!

Giacomo sapeva che fratello e sorella erano pieni di debiti: debiti col conduttore del teatro, debiti coi fornitori, debiti con tutti. E nel calduccio del letto, dietro la sfilata dei creditori del Circo Stanislao, vedeva anche venire quella de' suoi: il cameriere del caffè del teatro, col quale, in tante colazioni, in tanti cognac, in tante bottiglie di Marsala in ghiaccio bevute alle prove con tutta la Compagnia equestre, aveva un conto che non finiva mai. L'orefice, che, conoscendo la solvibilità e l'onorabilità della famiglia Trebeschi, gli aveva venduto sulla parola un anello di brillanti. E il sarto. A la Ville de Paris?… E il camiciaio alla Città di Vienna?…

—Che caldo! Auf! che caldo!…

Giacomo smaniava, si voltava, si rivoltava nel letto, ma ad ogni giravolta c'era un debito, un creditore nuovo, una nuova puntura. Finalmente gli venne un'idea; una bella idea. Se invece di indugiarsi ancora gli ultimi quattro o cinque giorni, fosse partito per Genova la mattina dopo?… Se invece di aspettare l'Arcobaleno, si fosse imbarcato subito? Il generale credeva di avergliela fatta, ma lui, ancora più furbo e più svelto, avrebbe preso il largo in alto mare!…

Giacomo rise a questa idea; e col rider si rimise in calma. Allora, dimenticate le due chiavi, si addormentò, e dormì profondamente fino alla mattina molto tardi, quando venne a svegliarlo suo padre, il signor Daniele in persona, tutto sossopra, ansante, piangente, ridente.

—Non parti più! Non vai via più! Sono stato io!… Lo dirai alla signorina Fanny!.. Lo dirai a monsieur Richard!… Sono stato io! Io e la Cammilla!

—Che cosa?—domandò l'altro, mettendosi a sedere sul letto, fregandosi gli occhi, ancora trasognato.—Che cosa c'è?

—È arrivata la lettera del signor Rosasco! Il colpo è andato benone!

—Che colpo? che colpo?—E Giacomo fissava in viso il babbo, e nel buio della sua testa intronata, col dubbio di non poter più partire, ricomparivano ad una ad una le immagini della Fanny e dei creditori, del Richard e del generale.—Che colpo?

—Il colera. Abbiamo inventato che a bordo c'è il colera! Non puoi più imbarcarti. Non parti più, resti a Milano. Sono stato io; io e la Cammilla. Ma non dir niente alla mamma. Guai! guai! guai!

E ad ogni «guai!» la faccia, del pover'uomo si rifaceva torva e spaurita; il naso storto pareva che gli tramasse dalla commozione.

Giacomo cominciava a capire, e si arrabbiava, gridando che voleva saper tutto, e cercando di sciogliersi dal signor Daniele, che non rifiniva dall'abbracciarlo e dall'accarezzarlo, mentre ripeteva:

—Non dir niente alla mamma; non dir niente alla mamma!… Io non potevo lasciarti andar via… Io non volevo lasciarli andar via!

VI.

—Pazienza il babbo—brontolava Giacomo alzandosi e vestendosi.—Lo ha fatto a fin di bene. Ma la Cammilla come c'entra?… Con quel naso?… e lo vuol ficcar dappertutto!

Mentre, chinato sulla catinella, si lavava rumorosamente, buttando l'acqua in mezzo alla camera e spruzzandone le pareti, sentì aprir l'uscio.

Si voltò colla faccia insaponata: era Gian Maria.

—Che vuoi?

L'altro, con un sorrisetto significativo, gli diede una letterina che avevano portato allora dal teatro Dal Verme.

Gian Maria e Temistocle, per incarico del fratello, stavano alle vedette, per badare in quei giorni che certe lettere o bigliettini non capitassero fra le unghie materne.

Giacomo, mentre si asciugava le mani, guardava fisso la lettera con occhio torvo:

—Dammela.

Erano due righe soltanto:

«Venez vite: prestissimo.

«Fanny».

Gian Maria, che possedeva pure e teneva nascosto in un cassettone della, sua camera un ritratto di mademoiselle Fanny a cavallo di Gladiator, contemplava a bocca aperta il fratello ed il bigliettino.

Giacomo se ne accorse, e se la pigliò con lui:

Marche!

Gian Maria, abituato dal fratello alla militare, se la battè senza fiatare, e Giacomo tornò a leggere:

«Venez vite: prestissimo.

«Fanny».

Saperlotte!…—esclamò, pensando che il generale, certo, senza perder tempo, doveva aver dato e preso un congedo definitivo.

Infatti quella mattina, alle sette, prima di recarsi in quartiere dove aveva una ispezione, il Piccolomini aveva già mandato il grosso incartamento dei conti da pagare alla signorina Richard, scrivendo sopra una seconda fascia:

«Pel signor Trebeschi.

«proprie mani.»

Nella sua breve carriera, da maggiore a generale, il Piccolomini di Coccorito si era trovato parecchie volte in simili contingenze, e però ci aveva fatto la mano.

Alla lettura, del bigliettino di Fanny, il giovane Trebeschi era diventato pallido; pure non indietreggiò: coraggio e avanti. Ma, lungo la strada, mentre si recava dai Richard, pensava, con desiderio, al porto di Genova; lo vedeva inondato di sole, mentre Milano era piena di nebbia, e quasi si arrabbiava anche contro sua madre, così furba di solito, e questa volta «tanto oca, da non capire il trucco.».

Quando Giacomino entrò in camera della Fanny, la ragazza, ancora in sottanino e colle spalle nude, si stava vestendo; e intanto riscaldava il caffè, ravviava la sua roba, assestava la sua camera, tutte cose che la mattina faceva a comodo, un po' l'una, un po' l'altra, fra l'andirivieni della gente da teatro, fumando un monte di sigarette e leticando col fratello.

Il Richard dormiva fuori, coi cavalli, ma la mattina veniva a casa, per buttarsi qualche altra ora sul letto, e poi lavarsi e far colazione.

Appena essa vide entrare Giacomino, l'amico del cuore, e mentre passava dallo specchio, dinanzi al quale si pettinava, al caminetto dove scaldava il caffè, rovesciava un sacco d'improperi, nel suo linguaggio internazionale, sul capo dell'antico protettore.

C'est une canaille, un filou!..—cominciò anche il fratello a gridare dall'altra camera, e monsieur Crispì, un pappagallo bianco, grosso, con una cresta gialla, che s'arrampicava su tutti i mobili, rosicchiandoli e insudiciandoli, nel sentir gridare a quel modo, cominciò a gridare più forte, come un'anima dannata:

Amourreux! Pauvre Amourreux! Cafè! Cafè! Cafè!

Fanny giurava di vendicarsi di quel miserabile troupier; aveva dei molti buoni amici, dappertuto in Italia, ed anche a Roma, molto in alto.

—A Roma, come a Parigi! Come a Pietroburgo! Come a Berlino!—urlava il fratello.

Giacomo, colle orecchie intronate, si chinò per sedersi sopra una poltroncina che la ragazza gli aveva spinta dinanzi col piede; ma di colpo si rialzò; la poltroncina, sgangherata, cascava da una parte; e lui andò a mettersi sul letto non ancora rifatto, ma un brontolìo ringhioso, di sotto alle coperte, lo fece allontanare: era il vecchio bulldogh dei Richard che mordeva e che l'aveva con lui particolarmente.

Falstaff! couche!

Giacomo restò in piedi, girando su e giù, a testa bassa.. Aspettava la stoccata, cioè che entrassero nell'argomento dei quattrini; se la sentiva arrivare; e infatti, appena monsieur Crispì e Falstaff si furono acquietati, fratello e sorella, la sorella di qua, lavandosi i denti, il fratello di là, mutandosi la camicia, rivolsero la loro collera non più sul generale, ma su quell'altro miserabile; imbroglione, ladro… dell'impresario.

Non potevano partire, avevano tutto sotto sequestro; avevano un contratto d'oro a Borgo San Donnino: per otto sere, mille lire per sera. E poi due mesi al gran teatro di Terni, assicurati.

E recando queste buone notizie, il fratello della Fanny si presentò sull'uscio dell'altra stanza, ancora in maniche di camicia, stringendosi attorno alla vita una larga cintura di pelle.

Monsieur Crispì, che rosicchiava la cornice della credenza, vedendo il Richard, col quale non andava, d'accordo, si fermò, lo fissò, gonfiò le penne, drizzò tutta la cresta, e ciao: una chiazza, bianca sul pavimento.

Giacomino tenne duro; la verità è quasi sempre la via più spiccia par levarsi d'imbroglio; e Giacomo disse la verità.

Neppur lui aveva un soldo, ed era pieno di debiti, e con questo di peggio, saperlotte! che non poteva svignarsela. Doveva restare a Milano un altro mese.

Fanny sorrise; il Richard strinse la mano a Giacomo, battendogli amichevolmente sulla spalla:

Avez-vous besoin d'argent? Forse anche mille franchi, ma cinquecento sicuramente; penso io.

Che cosa voleva, dire? Giacomino non capiva.

—Io faccio una… cortesia a voi: voi fate una cortesia a me. Compris? No? Adesso vi spiego l'affare; sedete.

Giacomo restò in piedi, sempre guardando, con tanto d'occhi, monsieur
Richard.

L'affare era semplicissimo. Un forte capitalista, il signor Facchinetti, era contentissimo di scontargli una cambiale per due, tremila franchi: in un altro momento anche cinque! anche dieci! Tutto quello che voleva.

Il Richard, sorridente, riempiva la pipa colle sigarette che il generale aveva regalate a Fanny, e nel parlare faceva lunghe pause, perché il buon amico Trebeschi capisse tutto, ben chiaro.

—Io gli ho detto: Signor Facchinetti, la mia firma vi basta?—La vostra firma? Crénon! Per me, basta la vostra, parola. Ma devo scontare anch'io alla Banca: oltre alla vostra, datemene un'altra, qualunque sia, per formalità; è la vostra che conta.—Très-bien! Accettate quella, del signor Trebeschi?—Trebeschi?… Mai sentito nominare: lo conoscete voi? E allora basta. Affar fatto.—E Richard, a questo punto, si mise a ridere come un matto.

Perché rideva in quel modo?… Perché? L'amico Trebeschi non capiva?

—Perchè la firma, Giacomo Trebeschi» è una firma semplicamente… decorativa: non siete ancora maggiorenne! Voi perciò non correte alcun rischio. E non mi dovete ringraziare. Il signor Facchinetti mi dà tremila franchi? Mille sono per voi. Me ne dà duemilacinqueceinto? Crénon! Cinquecento sono per voi.

—La cambiale è a tre mesi?—interruppe Giacomino.

—Oh no; non ho voluto io per risparmiare l'interesse: anche troppo quindici giorni. Appena a Borgo San Donnino, mando uno chèque al Facchinetti, e ritiro la cambiale.

—E le mie cinquecento lire?—replicò Giacomo, perplesso.

Très-bien! Voi me le manderete; a Terni, quand vous voudrez—rispose il cavallerizzo con un'alzata di spalle.—Io non sono un affamato.

Intanto che il Richard parlava, la Fanny, alzata una gamba sopra una seggiola, si abbottonava lentamente con un allacciascarpe di avorio gli stivaletti lunghissimi, e monsieur Crispì, arrampicandosi col becco sui piatti della tavola, rimasti lì sudici e ammonticchiati fin dal giorno innanzi, borbottava colla voce nel gozzo: Saccorrotto, saccorrotto, parola che aveva udita per la prima volta a Milano, e che stava studiando in quei giorni.

—I mille franchi… diremo cinquecento, per essere sicuri—ripeteva il Richard, con flemmatica prosopopea—me li manderete a Terni quand vous voudrez. Non ci pensate.

No; Giacomino non ci pensava: ma quelle cinquecento lire—anche lui non diceva mille per esser proprio sicuro—a mano a mano gli rischiaravano l'orizzonte, e mentre la Fanny gli sorrideva, abbottonandosi l'altro stivaletto e monsieur Crispì continuava a ciangottare nel gozzo: Saccorrotto, saccorrotto, egli mentalmente distribuiva quel denaro fra i creditori più seccanti.

Centosessanta al cameriere del caffè del teatro; duecentocinquanta all'orefice, quello dell'anello di brillanti; il resto per un acconto alla Ville de Paris

—E dunque?… gli domandò, dopo un momento, il cavallerizzo.

—Che cosa?

—Accettate?

—Se è per farvi piacere, qua la mano!

E non essendo affatto un minchione, Giacomino assunse, alla sua volta, una cert'aria d'importanza e di protezione.

—Si firma, quando? Stasera?

—Subito: vado e torno. Attendez!

Ma l'amico Richard non era ancora fuor dell'uscio che già la Fanny s'era buttata fra le braccia di Giacomo, e gonfiando le gote, o soffiando per rifare il generale: Meglio così, sai—esclamò.—Non ne potevo più! quel miserabile troupier m'era diventato antipatico, odioso!

Saccorrotto, saccorrotto—borbottava sempre il pappagallo, accoccolato sulla spalliera di una seggiola.

Venendo via dai Richard, Giacomino continuò a far conti per tutta la strada.

—Centoventicinque lire al cameriere, duecento all'orefice, cento alla Ville de Paris… Così me ne restano anche per la Città di Vienna…—Ma nel fare e rifare la somma, diminuiva questo, diminuiva quello… tanto che sulla porta di casa aveva conchiuso: cento lire al cameriere e centocinquanta all'orefice, che avevano minacciato di scrivere a sua madre, e il resto tenerselo per divertirsi in quei giorni e par fare un'improvvisata alla Fanny quando sarebbe stata a Borgo San Donnino.

Hoplà, là!—Il ragazzo si stropicciò le mani, ed entrò nel fondaco fischiettando la Stella confidente sul tempo di Gladiator… ma alla porta, zitto: si fermò. V'era la genitrice…

—Intendiamoci—gli disse la signora Maddalena a bruciapelo.—Non crederete di averla spuntata.

—No, mamma.

—Partirete lo stesso, quanto prima.

—Sì, mamma.

—E intanto si lavora. Imparate da me, e dopo pranzo, subito a letto, come me. Vita nuova, avete capito? Vita nuova.

Ciò detto, la signora Maddalena entrò nello scrittoio sbattendo l'uscio così violentemente che il piccolo casotto traballò tutto.

—Psst!

—Psst!

—Giacomino.

Temistocle, Gian Maria, il babbo, lo chiamavano di qua, di là, mezzo nascosti fra i barili d'olio e le botti di aringhe. Volevano sapere che cosa gli avesse detto la mamma; se la mamma aveva sospetti e se proprio aveva creduto alla storiella del colera.

—Sì! Sì! Se l'è bevuta!… Niente paura.

Poi, avvicinandosi al babbo, Giacomino lo fissò, sorrise furbescamente, e gli sussurrò all'orecchio:

Mon père, tanti saluti!

Il signor Daniele diventò rosso; e cento domande che avrebbe voluto fargli gli rimasero tutte nella strozza.

—Non voglio scherzi—gli disse poi, col tono severo della genitrice.—Vergognatevi.

Anche la Cammilla, girando con femminile strategia in quell'oscuro labirinto del fondaco, s'era fatta incontro al cugino, per averne una parola buona. Ma con lei—niente!—L'aspetto della Cammilla, così dimessa, e anche un po' trasandata per il gran da fare di quei giorni, faceva troppo vivo contrasto coll'immagine ardita, florida, elegante della cavallerizza, che gli appariva più seducente che mai, nell'atto di sorridere abbottonandosi gli stivaletti.

Giacomo, con una mossaccia sgarbata, voltò le spalle alla ragazza.

Doveva capirla!… Non la voleva tra i piedi! La Cammilla, mortificata, non fiatò: un nodo le serrò la gola… e inconsciamente, rivolse lo sguardo nel fondo buio, dove il lampadino acceso dondolava sempre dinanzi alla Santa Casa di Loreto. Ma non pianse, non pregò; e invece, dopo un istante, parve rasserenarsi, quasi che si trasfondesse nel suo animo la fermezza ostinata e la sicura fiducia del suo amore.

Intanto… quella cattiva se ne andava e Giacomino rimaneva.

VII.

—Non avete un soldo?—rispondeva Giacomino ai lamenti di Temistocle e di Gian Maria.—Cinquanta dire ve le presterò io, stasera.

Infatti, non dando all'orefice, come al cameriere, più di cento lire in acconto, poteva benissimo, senza incomodo, usare quella cortesia ai fratelli. Andò al teatro per prendere i denari dal Richard; ma, per quella sera, niente. Il Facchinetti non aveva ancora sborsata la somma. La darebbe domani; ma nè domani nè doman l'altro, non si vide nulla, come nei giorni innanzi. Giacomo, inquieto, cominciò ad alzar la voce; e allora il cavallerizzo, messo alle strette, confessò di essere stato imbrogliato, truffato dal Facchinetti. Non glielo aveva voluto dire, per non dargli un dispiacere.

Crénon! Che razza d'usuraio! Non aveva dato altro che duemila lire, e ne aveva intascate cinquecento per quindici giorni d'interessi! Ma per l'amico Trebeschi, nessun danno: soltanto ventiquattr'ore di ritardo.

Appena arrivato colla compagnia a Borgo San Donnino, il Richard avrebbe mandato un vaglia telegrafico.

—Fermo in posta—raccomandò Giacomino, pensando alla mamma.

E infatti, dopo la partenza dell'amico, per due o tre giorni, il giovinotto non fece altro che andare e venire dal fondaco alla posta. Ma niente vaglia telegrafico… e nessuna lettera, nemmeno da Fanny, che gli aveva giurato e spergiurato di scrivergli subito.

—E il cameriere, e l'orefice, che strepitano, minacciano!

Telegrafò lui a Borgo San Donnino: «Urge cinquecento in giornata». Nessuna risposta.

Una mattina, finalmente, sei o sette giorni dopo che il Circo Stanislao era partito da Milano, venne fermato di colpo da un tale in bicicletta, che quasi lo schiacciava contro il muro.

—Lei, signor Trebeschi, non mi conosce?—E il velocipedista, saltando a terra, gli si piantò davanti, cacciandogli la bicicletta di traverso.

—No! Non la conosco e non è questo il modo di fare!…—esclamò il giovanotto arrogantemente.

—Io sono il Facchinetti, quello della cambiale di tremila lire.

—Duemilacinquecento,—rispose Giacomo, alzando la mano al cappello e smettendo subito il sussiego.

—Tremila—replicò l'altro sempre più burbero e accigliato; e siccome Giacomo lo guardava attonito continuando a negare, quegli alzò la voce:

—Tremila… Tre cambiali da mille lire!

—Ma la terza l'avevo firmata in bianco; non si sapeva la cifra…

—Mille lire. Tre cambiali da mille lire…

—Scriverò al Richard: a Borgo San Donnino.

Il Facchinetti guardò Giacomo ancor più di traverso.

—È lei il responsabile. Lei deve pagare. Io non voglio conoscere altri che lei.

A tale minaccia il giovanotto sorrise e negli occhi gli passò un lampo che l'usuraio colse a volo.

—Stia bene in gamba, giovinotto. Lei crede di avermi imbrogliato allegramente, perchè non è ancora maggiorenne? Ma io lo faccio metter dentro. Lo faccio metter dentro, perchè ha garantito colla sua firma un nome falso.

—Un nome falso?…

—Meno chiacchiere; Richard è un nome falso.

—È un nome falso? Richard?…—esclamò Giacomo diventando pallido.—Ma io non lo so, non lo sapevo, non so niente! posso giurarlo; lo giuro!

—Lo proverà… in tribunale.

—Io scriverò al Richard, andrò a San Donnino. Andiamo insieme a San
Donnino!

Giacomo, preso da subito spavento, balbettava, tremava come una foglia.

—A San Donnino?… Non sa che il Circo Stanislao si è sciolto?… Non facevano un soldo.

—Ma…

Il Facchinetti capì l'interrogazione muta, l'angoscia di quel ma, e scoppiò in una risata.

—Coraggio, giovanotto!… Quei due imbroglioni sono stati scritturati da un impresario americano; devono essersi imbarcati ieri per Buenos Aires.

—Ma allora?… Allora?…—e Giacomo, più che alla Fanny e al suo tradimento, pensava all'infamia del Richard e a quella minaccia del Facchinetti—In tribunale!—e balbettava supplichevole:

—Non mi faccia del male!… Non mi faccia del male: io sono innocente di tutto!

L'altro rimase duro, insensibile.

—Due parole sole—gli disse poi abbassando la voce, ma in tono aspro, risoluto.—Le tremila lire scadono dopo domani: Lei paga? Io mi accontento e sto zitto. Non mi paga? consegno la cambiale a chi l'ha da avere e buona notte! Se lei è innocente lo proverà nel giudizio.

Ciò detto, e messa la bicicletta in equilibrio, vi saltò sopra dandosi una spinta, e via come il vento!…

Giacomo, sbalordito sotto il peso di quel disastro, colle gambe che gli tremavano, si avviò verso casa.

Avrebbe trovato il babbo solo; voleva confessar tutto al babbo. Bisognava disperarsi; strapparsi i capelli; minacciare un suicidio.

—In tribunale?… Un processo?… Che canaglia quel Richard! Gli era sempre stato antipatico, odioso. E lei… Fanny?…. Così affettuosa, così tenera l'ultima sera… tante promesse!…

A poco a poco, gli entrava in cuore la sicurezza che il babbo lo avrebbe salvato, che il babbo gli avrebbe pagata lui la cambiale; ma quanto più si calmava tanto più provava dispetto e bruciore dell'abbandono, del tradimento di Fanny; bruciore, sentimenti che, a poco a poco, all'idea della sua bella, perduta per sempre, si tramutavano in rammarico dolore.

—Dio!… Dio!… Che infamia!

E non più per far paura al babbo, ma sinceramente, sentendosi così solo e tanto disgraziato, pensò di ammazzarsi.—Un colpo di revolver, secco…—Ma poi, riflettendoci, vedendosi tutto insanguinato, e magari ancora vivo, sospirò:

—Che bella cosa sarebbe stata, di potersi addormentare quietamente, senza colpo di revolver… e non svegliarsi più.

Così, sospirando, borbottando e camminando sempre più lentamente, a mano a mano che si avvicinava a casa arrivò in via Lentasio, e subito vide suoi padre sulla porta del fondaco.

—Il babbo?…. Lo aspettava?… Sapeva già qualche cosa? Meglio così.

Il signor Daniele, appena scorse il figliuolo, gli fece un cenno colla mano, come per gridargli:—Che cosa hai mai fatto?…—E poi, quando gli fu vicino:—Vieni su subito—gli disse. E salì pel primo frettolosamente la scala, sospirando, sbuffando, e crollando il capo, finchè l'ebbe condotto in camera sua.

Voleva innanzi tutto strapazzarlo.

—Vergognatevi! Vergogna!—Ma non trovando le parole, proruppe in un singulto:—Almeno… almeno correre da me, parlar con me, subito!… subito!…

—Sa tutto—pensava Giacomino, chinando il capo con aria avvilita e compunta.—Meglio così.

—Sai?—continuava il signor Daniele, sgranando gli occhi come uno spiritato—sono venuti a dirlo alla mamma. Che scena! Correva la gente!… Si fermava sulla porta! e tutto contro di me!… Addosso a me! Tutto sulle mie spalle! Io sono un Pantalone, un cretino della Val d'Aosta, un rimbambito; tu un malvivente da rinchiudere fra i correggendi. Perché non mi hai confessato tutto?… Devo condurti a Genova io stesso, subito, e imbarcarti. Non più col Rosasco, con un altro. Non si sa chi; ha telegrafato la mamma. Anche il Rosasco è un traditore; la Maddalena ha capito tutto; anche la gherminella del colera. È furente anche per questo. Siamo tutti bugiardi! Tutti impostori!

—Anche la mamma sa tutto—ripeteva Giacomino fra sè.—Meglio così—e per calmare e intenerire il babbo diede in un pianto dirotto.

—Si… Ci vuol altro che lacrime!—E il signor Daniele si esaltava a gridare e a pestare i piedi per vincere la commozione e il singhiozzo.

—In fine, non ho mica ammazzato nessuno…—esclamò Giacomo, pensando essere venuto il momento di rimettersi in sella.

—Sicuro!—rispose l'altro.—Ma provati a dirlo a tua madre. Sai che… non si può parlare. Non si può fiatare. È un eccesso; peggio che sotto i croati. Peggio!… E se apri bocca, casca il mondo. «Imparate da me! Imparate da me!» Non c'è che lei. Maledette le perfezioni!…—Ma poi, accortosi di essersi lasciato trasportare, si fermò, cambiò tono:—Sempre, per altro, con giustizia… per il bene della casa… per il bene di tutti. E voi… Vergogna… Vergognatevi!… E, fatto il male, nessuna confidenza in vostro padre.

—Volevo dirti tutto. Ero venuto a casa, apposta, per dirti tutto.

—Non dovevate aspettare: oggi, proprio oggi, a parlare: dovevate parlare a suo tempo.

—A suo tempo? Quando?

Anche Giacomino lo aveva saputo appunto allora, in quel momento, dal
Facchinetti, e lo disse a suo padre.

—Io non credevo di dover pagare, e non dovrei pagare se il Richard non fosse una canaglia: lui ha preso i quattrini. Suo è il debito. Sua è la cambiale. Lui solo, il Richard, quel pezzo da galera…—ma Giacomino si fermò di colpo, spaventato dal viso di suo padre.

L'equivoco, in ogni modo, non avrebbe potuto durare più a lungo. Nessuno ancora, in casa, sapeva niente: della cambiale. La signora Maddalena aveva fatto una scenata al marito per via del cameriere del caffè del teatro, che, stanco di scrivere, era venuto in persona, nel negozio Monghisoni, per farsi pagare i suoi centocinquanta franchi.

—La cambiale?… La cambiale?… Una cambiale?—balbettava il signor
Daniele in convulsioni, aggrappandosi al figliuolo.

Giacomo, che non aveva mai visto quegli occhi, quel viso, quel color verde, quella, bava alla bocca, si spaventò, gli buttò le braccia al collo, stringendolo forte, disperatamente.

—Papà! Papà! Papà! Ascoltami!… Papà!

Dio santo!… il signor Daniele non poteva, più parlare. Era un colpo.

Giacomo, preso da terrore, voleva andare a chiamare aiuto: l'altro si riscosse, lo fermò.

—Per… per… amor di Dio!—E non disse altro.

—Perdonami! Perdonami!—supplicava Giacomo alla sua volta, colpito, scosso da quel gran dolore,—Ha ragione la mamma. Sono un tristo! Un infame! Partirò! Nessuno mi vedrà più!… Ma prima, andiamo insieme dal Facchinetti. Io lavorerò, non mangerò che pane e acqua, finché non avrò pagato, ma pagherò io: tutto io. Con una tua parola il Facchinetti aspetterà, nessuno saprà niente.

L'altro, livido tremando come una foglia, balbettava:

—Qua… qua… quanto?

—Tremila lire.

Tutta la lunga persona del signor Daniele dette un'altra scossa.

—E… qua… qua… quando?

—Doman l'altro.—Sì… Sì… Sì… Dal Facchinetti… Dal Facchinetti… Subito, subito, subito dal Facchinetti!—esclamò cercando cogli occhi il suo cappello che aveva lì dinanzi, sul tavolino, e non lo vedeva.

—Andiamo.

—Andiamo.

E andarono in cerca del Facchinetti, girando e domandandone per mezza
Milano, ma il Facchinetti non si poteva trovare in nessun posto.

Giacomo aveva preso a braccetto e sorreggeva il padre che continuava a tremare e a balbettare sempre più, per paura di non trovare il Facchinetti, e di non fare in tempo.

—Tre… tremila lire… Dopo… dopodomani… Finalmente lo imbroccarono: sulla porta del Campari.

—Cercavano di me? Cosa vogliono?—domandò l'usuraio col solito modo brusco e affrettato.

—Mio padre—disse asciutto Giacomino, indicando il signor Daniele.

Allora il Facchinetti cambiò tono, diventò garbatissimo, si profuse in complimenti, in scappellate, fece entrare i due signori nel caffè, e li condusse a un tavolino in un angolo oscuro.

—Cameriere! vermouth!

—No… no…

—Mi faranno la cortesia di accettare il vermouth.

—No; no… grazie—balbettava il signor Daniele.

—Prego, prego; senza complimenti; sediamo. È sempre mio buon padrone.

Vedendo quella faccia stravolta, il Facchinetti aveva capito subito di che si trattava, e aveva capito pure che teneva quel bonomo nelle sue granfie.

Cominciò a calmarlo, a rassicurarlo, e a difendere il signor
Giacomino.

Oh Dio! spropositi di gioventù!

Il Facchinetti dichiarò al signor Daniele che anche lui era padre, aveva un maschio e una femmina; e perdianabacco gliene facevano di tutti i colori. Ma un padre che cosa può desiderare dai suoi figliuoli? La salute e basta! Del resto anche il signor Giacomino, evidentemente, ci avrebbe messo la mano sul fuoco, era stato raggirato per troppa buona fede, per troppo cuore: e poi la ragazza—e strizzò l'occhio…—Insomma, gioventù; egli era rimasto preso alla pania, per le arti di due volpi sopraffine, che avrebbero ingannato mezzo mondo. Il Richard non era riuscito a fargliela anche a lui? Sicuro! A lui, Facchinetti!—Poteva gloriarsene!—Gli aveva truffate seimila lire… una sull'altra. Ma ormai aveva preso il largo. Inutile il pianto; inutile guastarsi il sangue.

—La loro cambiale scade, quando?…—Il Facchinetti non se ne ricordava più.

—Doman l'altro—risposero, quasi insieme, padre e figlio.

—Che importa? Rinnoviamo, se crede. Sempre mio buon padrone.

Il signor Trebeschi metteva la sua riverita firma, e lui teneva la cambiale chiusa, sepolta in fondo al cassetto, per tre mesi, per, sei mesi, per un anno.

—E nessuno—concluse il Facchinetti—deve saper niente dei nostri interessi.

—Sì… Sì… Bravo; facciamo così.—Oh Dio!…—Il signor Daniele cominciava a respirare.—Io le pagherò subito gli interessi della rinnovazione…

—Faccia come vuole; io mi contento del giusto.

—E lei mi giura, proprio, di tenerla in portafoglio?

—Basta la parola.

—Senza farla girare?

—Mai mai… Non ci sarebbe altro che il caso di dover dar fondo a tutte le batterie; ma in tal caso, perdiana! l'avvertirò.

—Ecco, prima di farla girare, in tutti i casi, mi fa il favore di prevenirmi.

—Si figuri!… Basta la parola!…—E così dicendo alzò il bicchierino.

—Alla sua salute, signor Trebeschi.—Poi volle toccare anche con Giacomino, e lì, nell'angolo buio del caffè, bevendo il vermouth, il signor Daniele firmò la cambiale. Il signor Facchinetti la cacciò subito nel suo portafoglio, col danaro degli interessi, e andandosene in fretta e furia, dimenticò persino di pagare il vermouth.

Padre e figlio rimasero ancona seduti, un momentino, per non esser veduti uscire insieme coll'usuraio.

—E adesso, siamo sicuri!—esclamò il signor Daniele guardando il figliuolo con tenerezza, come se lo avesse ricuperato. E gli si fece più vicino, sul canapè.

—Raccontami tutto, com'è andata, fin dal primo principio, perché io ancora non ho capito niente.—E soggiunse che aveva sempre sospettato che quel Richard fosse un poco di buono… Ma invece… la… quell'altra… la sorella…—non aveva il coraggio di dire Fanny—la sorella non ci doveva, aver che fare.

—Oh, anche lei!…—sospirò Giacomino.

—Anche lei?… Anche lei?—replicò ansiosamente il signor Daniele.

—No! No!… Non è possibile!

Colla cambiale, colle bricconate del fratello, la Fanny non ci doveva entrare, non ci entrava, affatto. E babbo e figliuolo si accordarono nel difenderla buttando tutta la colpa addosso al Richard e alla esistenza girovaga, e alla vita del teatro.

—Tutte le sere, esporsi al pubblico in quel modo…—sospirava il signor Daniele.

—Sempre col pericolo di rompersi il collo—soggiungeva Giacomino.

Daniele si fece coraggio e finalmente diede libero sfogo alle centomila domande che da tanti giorni gli stavano sul cuore.

—Ed era proprio partita per Borgo San Donnino? E poi doveva andare a Terni?… E adesso era stata scritturata per l'America?… per Buenos Aires?… Da chi?… Sempre col fratello?… E quel generale?… E il Circo Stanislao?… Fallito? e in America?… Andava più gente al teatro in America?… E la sua roba? Sequestrata?… Proprio anche la sua?… Tutto venduto?…

Ci fu, dopo tante domande, alle quali il figliuolo aveva risposto per lo più con monosillabi, un lungo silenzio.

—Andiamo?—disse a un tratto Giacomino.

—Andiamo—rispose Daniele.

Si alzarono, uscirono senza dir neppure una parola, e sempre silenziosi e meditabondi, attraversarono la piazza del Duomo.

Poi, il signor Daniele, dopo un sospiro, domandò:

—E Gladiator?… Avrà dovuto, vendere anche Gladiator?

VIII.

Nell'animo del signor Daniele, dopo tanta agitazione, era subentrata la calma e quasi un senso di benessere; ma poi, appena rimesso il piede in quella benedetta via Lentasio, così angusta e tetra, appena scorta da lontano quella vecchia insegna: Giovanni Monghisoni, tornò a rannuvolarsi e a sospirare.

—Dio, Dio!… E adesso, saremo daccapo…

Che cos'era, a che si riduceva il piccolo conticino del cameriere, in paragone delle tremila lire del Facchinetti? E la Maddalena colle sue sfuriate, co' suoi «editti» gli parve più esagerata, più matta che mai.

—Tanto strepito per così poco!

A buon conto peraltro si staccò da Giacomino: se Maddalena lo avesse visto così a braccetto del malvivente, stava fresco.

—Tu va avanti difilato in camera tua, senza passare dal negozio.

Qui la vecchia insegna Giovanni Monghisoni, gli ricordò tutti i suoi doveri: anche quello di far la predica al figliuolo, e continuò:

—Riflettete a quanto vi è successo, e a quanto di peggio vi poteva capitare. Rifletteteci col fermo proposito di mutar vita. E per oggi non muoversi più di camera; non si viene a pranzo: la mamma lo ha dichiarato formalmente, non vuol più vedervi sino al momento della partenza e, forse, nemmeno allora.

Giacomo tirò diritto col bastoncino sotto il braccio, svelto, elegante, sottile, e infilò la porta di casa senza esitare: l'altro lo seguì cogli occhi, intenerito.

No: non lo avrebbe lasciato partire; no; no.

—Oh monsieur! ben arrivato!

Daniele trasalì. Era Maddalena che lo aspettava sull'uscio dello scrittoio, le mani suoi fianchi, battendo i piedi per la stizza.

—Ben arrivato il monsieur!

Monsieur? perché monsieur?—e Daniele si sforzò di fare un viso ridente, sbirciando la moglie per capire che cosa ci fosse di nuovo.

—Io, qui, sacrificata tutto il giorno: e il nostro monsieur tutto il giorno a spasso!

Monsieur?… perché monsieur?—continuava a pensare il pover'uomo, sempre più inquieto.—Che cosa c'è di nuovo?

—Sono stato dal Borgondio—rispose—dal Cartolari, dal Mazza, dal Poncelletti, dal Vergani—e seguitò ad infilar nomi quanti gliene venivano in mente, finché sua moglie lo interruppe con una risataccia.

Simpaticone, il nostro Monsieur.—Lo fissò, lo fulminò con un'occhiata piena di sprezzo, di collera.—Très sympathique, con… con, quel bel muso!—E di colpo gli voltò le spalle e se ne andò per non scoppiare.

Il signor Daniele impallidì; il sorriso gli morì sulle labbra.

Che sua moglie avesse scoperto qualche cosa? Ma poi si tranquillò.

Se avesse scoperto qualche cosa, non si sarebbe accontentata di borbottare fra i denti: avrebbe mandato all'aria tutto il fondaco Monghisoni colle botti di aringhe e i barili d'olio.

Monsieur? perché monsieur?…—Era andata a inventare anche il francese per tormentarlo?

E su. in casa, durante tutto il desinare, Maddalena tornò da capo. Ogni due parole ci ficcava in mezzo un monsieur od un sympathique, mentre il povero signor Daniele rideva giallo e i bocconi gli facevano groppo in gola.

—Il monsieur non ha fame?… Io, invece, sono sempre di buonissimo appetito—e si sbatteva sul piatto un'altra gran fetta di lesso.—Sempre. di buonissimo appetito; oggi come ieri, tal'e quale. Perché oggi come ieri, io ho lavorato, ho sgobbato; sempre in banco o in magazzino per poter far fronte ai nostri impegni, logorandomi la salute e stillandomi il cervello per gli altri, sicuro!… per tutti quelli che dovrebbero imparare da me, come io ho imparato da mio padre, il lavoro, la prudenza, l'onestà, l'oculatezza.

Temistocle e Gian Maria, col viso sul piatto, si davano calci sotto la tavola, per sfogare la noia e la stizza; la Cammilla, vicino ai fornelli, faceva smorfie e occhiacci allo zio per incitarlo a rispondere, ma nessuno fiatava; e Daniele meno di tutti. Sempre a capo chino, continuava a fare e a disfare nodi colla cocca del tovagliolo, meditando su quella grande disgrazia di avere una moglie troppo perfetta.

—Dio, Dio! come le faceva scontare le proprie perfezioni!… Oh, avesse avuto qualche virtù di meno, un po' meno di cervello, avesse lavorato meno, e li avesse lasciati tutti respirare in pace!

—Che cosa medita il monsieur? Mi sembra sospiroso, malinconico.

Maddalena, diritta sulla seggiola, rideva ironicamente, stirandosi il lungo tovagliolo bianco sul petto rigonfio.

—Anch'io, anch'io avrei potuto essere la simpaticona, la très sympathique di qualcuno!

Daniele allibì; il sangue gli dette un tuffo.

—La signorina Fanny—pensò ad un tratto, e istintivamente chiuse gli occhi, abbassò il capo, sprofondò sulla seggiola.—La signorina Fanny!—Sua moglie sospettava, sua moglie aveva scoperto la verità!

Proprio così: Daniele lo seppe quella sera stessa dallo stesso Giacomino, il quale cercando le sue lettere—saperlotte!—non le aveva più trovate.

La signora Trebeschi, da donna pratica e avveduta, aveva subito pensato che il conto del cameriere del Caffè del Teatro non doveva essere il solo debito di Giacomino, e che quel malvivente non aveva certo bevuto da solo tanto cognac, tanto marsala, per centocinquanta lire.

Appena ebbe visto Giacomino uscir con suo padre, salì in fretta nella, sua camera, frugò, rovistò in tutti i cassetti, trovò le lettere minacciose dell'orefice, trovò i conti della Ville de Paris, della Città di Vienna… e finalmente anche le lettere di Fanny, le prime.

Dopo, la cavallerizza aveva scritto meno, e Giacomino aveva sempre stracciato tutto. E quelle prime letterine tra il sentimentale e lo scherzoso, mezzo in francese, mezzo in italiano; scritte per lo più per ringraziare di qualche regaluccio, finivano sempre con una stretta di mano, coi saluti pel signor Daniele.

«Bien des compliments a quel caro simpaticone, à monsieur votre père».

Maddalena, a tale scoperta, aveva riso del marito facendo una sdegnosa alzata di spalle, ma tutta la sua collera, anche la sua collera di moglie offesa, si riversò sul capo di Giacomino, del figlio scellerato.

—È riuscito a depravare anche quell'innocente semplicione. Giacomo! Giacomo!—Essa lo aveva sempre preveduto. Ecco il pericolo della casa; la corruzione, la rovina della casa.

Bisognava disfarsene. Altro che il colèra!… E ci aveva creduto anche lei!… Ci aveva creduto perchè all'ultimo momento si era sentita debole, non aveva voluto capire che la ingannavano. E adesso era punita: se lo meritava. Bisognava disfarsene; bisognava saper tutto; aver le prove in mano.—Far confessare quel malvivente?—Impossibile; era troppo bugiardo.

—Fanny?… Che demonio era questa Fanny?… Fanny?…

La signora Maddalena sguinzagliò di qua e di là tutti i suoi segugi, agenti, sensali, compari, e questi, in breve tempo, facendo cantare il famoso cameriere del Caffè del Teatro, interrogando l'orefice, e via via seguendo le orme di Giacomino fin dalla portinaia dei Richard, riuscirono a sapere la verità; e anche più della verità.

Quella tal Fanny era una francese, una delle prime cavallerizze del circo Stanislao.

—E Giacomino?… Il Trebeschi?

—Era il suo amante. La cavallerizza aveva piantato, per il giovanotto, nientemeno che il generale: un principe, un milionario.

—E l'altro Trebeschi? Il signor Daniele?

—C'era cascato anche lui, per pagare i debiti. Padre e figlio ne avevano fin sopra gli occhi, erano in mano degli usurai; di uno specialmente, il peggiore di tutti, un certo Facchinetti.

Il Facchinetti?…—Quella gente, quei sensali, quei compari, erano tutti pane e cacio col Facchinetti. Andarono da lui, direttamente, e in un batter d'occhio la signora Trebeschi-Monghisoni fu messa al corrente di tutti gli amori, di tutti i pasticci del figlio e del marito, ed anche della famosa cambialetta di tremila lire colla firma del signor Daniele.

—La firma di Daniele? Impossibile: non è capace, certo quello scellerato di Giacomo—Giacomo!—lui, giurerei, ha falsificata la firma.

No. Le dissero che il signor Daniele aveva firmato di suo pugno, proprio di suo pugno, dal Campari.

—Dal Campari?… In pubblico?…

Il signor Trebeschi era stato messo alle strette. Quell'altra cambiale da rinnovare, quella colla firma del Richard e del signor Giacomo, era in scadenza, non c'era tempo da perdere.

Maddalena mandò subito a chiamare il Facchinetti per avere la cambiale, ma era già stata girata alla Banca Popolare.

—Alla Banca! La firma Trebeschi!—Daniele Trebeschi—alla Banca
Popolare, sotto quella di Facchinetti!

Era il disonore, il discredito della ditta Monghisoni; e in quei giorni di crisi, col timor panico da cui era preso il commercio per tante disgrazie, per tanti fallimenti, che nessuno avrebbe mai preveduto, bastava un nonnulla, una voce sinistra, una cattiva informazione, per mettere in allarme la gente e poi portare alla rovina.

Infatti, alla Banca Popolare qualcuno del Comitato di sconto, trovando quella cambiale con Facchinetti traente e Daniele Trebeschi accettante, aveva fatto molti commenti e punto favorevoli.

Si fa presto a perdere il credito.

La signora Maddalena, a quel colpo, non strepitò; non fiatò nemmeno. Stordita, accasciata, si lasciò cadere di peso sul vecchio canapè dello. scrittoio, borbottando:—La peste! La peste! Doveva essere il flagello della casa, di tutti: me lo merito; era destino.—E non disse più altro. Soltanto, dopo mezz'ora buona di raccoglimento, quando cominciò a riprender fiato, mandò in cerca del signor Mauro Piazza.

Questi era un lontano cugino di suo padre; l'unica persona colla quale essa si consigliasse qualche rara volta, nei momenti più difficili, perché il Piazza le dava sempre ragione, e la ammirava estatico per i suoi danari, per la sua testa e per la sua bellezza rigogliosa.

Lee e poeu pù!—Era questo il motto, il saluto, la conclusione del signor Mauro.

Maddalena rimase seduta nello scrittoio ad aspettarlo. Gian Maria, Temistocle, i commessi una frotta di gente, correvano in su e in giù, gridando, chiamando, abbaruffandosi, in quel continuo caricare e scaricare, in quel fracasso, in quel tramestìo del fondaco; ma la signora Maddalena. non badava a niente, non sentiva niente; coll'occhio sempre fisso verso l'uscita di strada, aspettava il signor Mauro. La Cammilla le portava lettere, conti, bollette: essa non guardava nemmeno, appena le faceva cenno col capo di metterle tutta sul banco, nello scrittoio.

Continuava a pensare a' suoi casi e a ruminarli nella mente, mentre teneva d'occhio l'uscio di strada aspettando sempre Mauro Piazza. Quando lo vide entrare, alto, diritto, colla barba brizzolata e il pelliccione di volpe come suo padre:—Eccolo—esclamò; si alzò e fece chiamare il signor Daniele.

L'infelice, in quei giorni, stava più che mai rincantucciato negli angoli bui, per non lasciarsi vedere dalla moglie, per non lasciarsi vedere da nessuno, più spaventato ancora perché sua moglie taceva.

—Andiamo su—disse la signora Maddalena.

Salì, e si avviò, dondolando i fianchi, verso il salotto, che aprì con gran rumore di chiavi e un gran sbattachiar di porte.

Il salotto, una stanza fredda, con un forte tanfo di muffa, con pochi mobili diventati vecchi senza essere usati, non si era aperto se non per i grandi avvenimenti della famiglia; il matrimonio col signor Daniele, i funerali del signor Monghisoni, il giorno del battesimo dei figliuoli.

La signora Maddalena, sempre muta e maestosa nella solennità tragica di quel momento, spalancò le persiane, tirò le tende, prese tre sedie, che spolverò col fazzoletto e poi collocò presso ad un tavolino con sopra un gran vaso di tulipani celesti di tulle stinto.

—Sediamoci, signor Mauro.

Semper lee e poeu pù!—mormorò il vecchiotto, ch'era rimasto assorto in contemplazione.

—Si tratta d'interdire Giacomino—disse lei di colpo.—Come si fa?

Daniele se l'aspettava; fece uno sforzo per dar la risposta che aveva preparata, ma subito gli mancò la voce, tossì.

—Parlerò oggi stesso col mio avvocato—rispose Mauro Piazza—l'avvocato Rossetti, un bravissimo avvocato. Sempre ai suoi comandi, signora Maddalena—e le posò sulle ginocchia la mano rossa e gonfia.

—Ecco… intanto… bisogna aspettare che sia maggiorenne—borbottò
Daniele, a testa bassa, strappandosi i pelolini dei calzoni.

—Ci manca poco. Io, sempre io, devo preveder tutto e prevenir tutto, in tempo debito. Quando il signor Giacomo compirà i ventun'anni, egli, sarà già chissà dove, speriamo, molto lontano; ma in ogni luogo, anche in capo al mondo, se gli si lascia un giorno solo, può compromettere il nostro nome. Lei, signor Mauro—il signor Mauro continuava ad approvare ogni parola dondolando il capo—lei lo condurrà a Genova domani stesso e lo consegnerà a quell'individuo che io poi le indicherò, maa—e tirò lungo il ma, che non finiva mai,—maa tenga bene a mente, o guai a lei!:—nessuno deve saperne niente.

Il signor Mauro giurò che non avrebbe aperto bocca.

—Nessunissimo—ripetè Maddalena.

—Nemmeno suo padre? Nemmeno suo padre?—esclamò di scatto Daniele balzando sulla seggiola, e drizzando verso il signor Mauro, giacché non osava di guardar la moglie, il naso affilato, lucente di sudore e di lacrime.

—Voi…—proruppe la signora Trebeschi, ma poi, con uno sforzo brusco, mordendosi le labbra e i baffetti, riuscì a contenersi—voi—riprese con calma studiata—siete qui per ascoltare, non per parlare. Voi non avete più voce in capitolo—e sgranando gli occhi e fissandolo come se lo volesse mangiare, ripetè:—in nessun capitolo!

—Sempre… sempre potrò… potrò parlare—balbettò Daniele con parole strozzate che gli uscivano dalla gola come singhiozzi—sempre… sempre quando si tratta di mio figlio… di… del… del mio sangue.

Maddalena si alzò di colpo; non si reggeva più; non poteva più star ferma.

—Signor Mauro.

—Comandi?

—Andrà domattina alla Banca Popolare; parlerà col direttore, farà in modo di ritirare una cambiale di tremila lire, colla firma del Facchinetti, e la firma di questo signor… padre.—E pronunziò quest'ultima parola—padre—con tutto il disprezzo e l'ironia di cui era capace.

—Come?… Come?… Alla Banca Popolare?… Alla Banca Popolare?…

Anche Daniele era annichilito.

—Alla Banca?… Alla Banca Popolare?

—Sì, sì, sì!—strillava lei ridendo, sogghignando nervosamente e andando su e giù per la stanza. Il signor Mauro, sbalordito, si rigirava sulla seggiola e si ostinava a domandare all'uno e all'altro senza ottenere risposta:—Come? è proprio il Facchinetti del Crocifisso? L'usuraio? Il Facchinetti del Crocifisso? e intanto il povero Daniele smaniava e protestava che il Facchinetti si era impegnato solennemente a non girare quella cambiale e a tenerla in portafoglio.

—Mi ha dato la sua parola d'onore! La sua parola d'onore!

—Il Facchinetti del Crocifisso?—domandò ancora per l'ultima volta il signor Piazza.

—Ma sì, in nome di Dio!—strillò Maddalena—l'usuraio! l'usuraio del figlio, l'usuraio del…—e qui un'altra occhiataccia ironica, sprezzante, furibonda—l'usuraio del padre!

—Ah, ma allora…—e il Piazza, scandolezzato, si sdraiò sbuffando sulla seggiola—allora la signora Maddalena ha tutte le ragioni, ha cento, mille, un milione di ragioni.

—Ha un torto solo, per altro, fra tante ragioni—gli rispose Daniele a mezza voce, non potendo frenare un fremito di stizza.—Ha il torto di mettere gli… estranei nelle questioni nostre di famiglia. È difficile poter giudicare di tutte le circostanze cha capitano… nella vita.

—Lui, le cavallerizze del Dal Verme, le chiama circostanze della vita, lui!—strillò Maddalena, afferrando il vecchio sbalordito, per la pelliccia e sbattendolo violentemente.—Capisce, signor Mauro? Io, quando per eccesso di prudenza, e posso vantarmene, domando un consiglio al cugino di mio padre, metto in piazza i segreti della famiglia; lui, invece, lui, che si fa menare per il naso dalle cavallerizze di rango francese, che fa ridere alle sue spalle mezza Milano, e spende a spande, e firma cambiali, e fa debiti sporchi per le Fanny, lui è l'uomo, anzi il padre, il genitore saggio e circospetto!

Daniele cercò di giustificarsi, ma sbagliò strada; pareva quasi non volesse far altro che calmare la gelosia della moglie.

—Ah, non sei stato più di due o tre sere al Dal Verme? E soltanto per tener d'occhio quella. perla del tuo ragazzo?… Hai paura, magari, che io dia in convulsioni per te?… Gelosa?… Io?… della tua faccia? Ma so, so, so, che sei incapace, incapacissimo di tradimenti!—E qui una risata peggiore delle altre.—Tu ti sei lasciato menar per il naso, ti sei fatto mettere in mezzo da quella peste di Giacomo! Lui, lui, ti ha corrotto, ti ha istupidito; lui, la rovina della casa, la rovina tua, mia, di tutti quanti; se non ci fossi io, peraltro; io, che ho gli occhi aperti.

—Brava!—esclamò il signor Mauro, voltando le spalle a Daniele.

—Io, io—continuava Maddalena—che mi sono ammazzata a lavorare tutta la vita come mio padre, perché poi i miei denari, vadano a ingrassare le signore Fanny e i Facchinetti!

—Benissimo!

Daniele protestò, rivolgendosi al Piazza, obbligandolo a voltarsi.

Anche lui, in fin dei conti, anche lui, Daniele, sudava da venti, da trent'anni in quel fondaco, in quella cantina, in quella prigione, senza mai aver domandato niente, mai niente, nemmeno un tozzo di pane, più di quel tanto che gli buttavano sul piatto come un cane; erano venti, trenta anni che sgobbava anche lui, da mattina a sera, senza aver chiesto niente, mai niente, nemmeno un giorno di riposo, un minuto di pace. In fine c'era anche il suo sangue, il suo sudore in quei danari tanto vantati dalla moglie; li avevano guadagnati insieme! E quando, un giorno, non per divertirsi, ma per suo figlio, per amore di suo figlio, che aveva commesso uno sproposito, lui, padre, voleva spendere anche tremila lire per rimediare, per pagare, credeva di poterlo fare, di avere il diritto di farlo, e di non essere, per questo, nè un vizioso, nè un ladro, nè un'imbecille.

Il signor Mauro sogghignava:

—Per una cavallerizza?… Tremila lire?… Ha ragione, signora
Maddalena.

—Caro Piazza, lei non è padre—gli rispose Daniele ancor più risentito, colla voce alterata. E forse, chissà, nell'ira, par quell'intromissione indelicata, c'entrava pure un fremito di pudore offeso, il risentimento di un'intima e gelosa verecondia: era la signorina Fanny, nell'amazzone nera, attillata, tutta la signorina Fanny, coi labbruzzi che parevan foglie di rosa, col piccolo neo dietro l'orecchio, era il desiderio, la tentazione, l'ideale che veniva buttato villanamente in pascolo alla curiosità, allo scherno di quell'omaccione plebeo.—Lei non è padre—gridò—e non può, non deve, non ha il diritto di criticare quello che può fare un padre per suo figlio.

—Finiamola!—interruppe Maddalena.—È ora di finirla col padre, col figlio, collo spirito santo!

Non ne poteva più!

—Imparate da me a saper tacere, a saper comandare anche al proprio cuore e a farvi rispettare. E imparate da me ad educare, ed anche—me ne vanto perché posso vantarmene—ad amar con giudizio e con coscienza i propri figliuoli.

—Certo!—replicò ironicamente il signor Daniele.

Amava i suoi figli, lei, e li mandava in mare, lontano, incontro ad una vita piena di stenti, di pericoli, una vita di galera! Amava i suoi figli e li voleva interdire, voleva rovinarli, disonorarli per sempre, prima ancora che cominciassero a vivere!

—E. questo perché?—rispose, sforzandosi di tornare in calma, la signora Trebeschi—per impedire che uno solo possa essere la rovina degli altri.

—Brava!… Lee e poeu pù!

—Per questo voglio imbarcare quel manigoldo; e siccome l'ha nel sangue la peste dei debiti e delle cambiali, così non c'è scampo: interdirlo, per mettersi al sicuro.

—No; niente.

Maddalena guardò suo marito trasecolata.

Grazie alla presenza d'un altro, essendo in tre, il signor Daniele aveva meno paura della moglie; e poi erano su in casa; essa poteva strillare e strepitare, nessuno sentiva. Infine, quel signor Mauro, mortificandolo e punzecchiandolo, gli dava coraggio.

Suo, figlio imbarcato? No. Suo figlio interdetto? No. E continuava a insistere, a ribattere, a ripetersi, con quella testardaggine che era pure una forza, la sola forza che vincesse in lui la timidezza.

Tremila lire? Ebbene in quegli anni aveva guadagnato altro che tremila lire! Aveva lavorato per suo figlio, le aveva guadagnate per suo figlio, le aveva spese per suo figlio! Che cosa erano in fin dei conti tremila lire? Ne poteva spendere anche trentamila senza rovinarsi… E le avrebbe spese, e ne avrebbe spese anche centomila, avrebbe speso tutto il suo per la salvezza, per l'onore di suo figlio.

Maddalena, non avvezza ad essere contraddetta, e nemmeno sentirsi rispondere, dinanzi a quell'esaltazione e a quel profluvio di parole, rimaneva sempre più attonita e sconcertata.

—Sta bene—rispose a Daniele un po' più sottovoce.—Hai perdonato? Pagheremo e ritireremo la cambiale. Ma perdonare, impara da me, non vuol dire dimenticare; perdonare non vuol mica dire tenere… quel cattivo soggetto ancora in condizione di nuocere a noi e a' suoi fratelli. Ho ragione, signor Mauro?

—Sempre.

Daniele, stupito a sua volta della moderazione di Maddalena, se ne fidò troppo: essa abbassava la voce?… Credette far bene alzandola, lui.

—Correggere—esclamò con forza, rizzandosi come sua moglie, e battendo come sua moglie un piede in terra—correggere non vuol dire… esagerare.. Si può correggerlo… senza mandarlo a fare il mozzo, in capo al mondo.

—Che cosa vuoi farne di un ragazzo che non ha vent'anni e già s'ingolfa nei debiti fino al collo, per donne di teatro?

—Correggerlo, sissignore! ma interdirlo; punto primo, non si può. e anche se si potesse, non vorrei, piuttosto… mi cambio nome. Vergogna: c'è da vergognarsi!

—Ma… se è d'una razza… se l'ha nel sangue la peste dei debiti, delle donne, del giuoco, delle cambiali?…

—Tu, tu invece—non ho paura, parlo chiaro,—tu hai nel sangue del… del veleno contro Giacomino.

Daniele gridava più forte, per non perdere il coraggio, ma era diventato balbuziente, non trovava più le parole, era come fuori di sè, ubbriacato dalla sua stessa temerità, e non sapendo che altro dire, tornava da capo colle stesse cose.

—Adesso ne pagava tremila delle lire?… ne avrebbe anche pagate trecentomila!… Era stufo di piegar la schiena, di servire, di tremar sempre, di far la bestia, di non essere padrone di niente, nemmeno dei suoi figli, delle sue creature, del suo sangue!

—Ma se è appunto per salvare i tuoi figli—soggiunse Maddalena strascicando le parole e sorridendo con una dolcezza che graffiava—se è per salvarli che io voglio allontanare…—quello là!

Quello là deve essere amato e rispettato come gli altri, quello… quello là è mio figlio come gli altri; e lei, signor Mauro, la finisca, sissignore, anche lei, la finisca di voltarmi le spalle, di compatirmi, di… di… di sogghignare.

—Tu finiscila! Tu! Basta; basta! Basta di alzar la voce!

Maddalena, ormai fuori di sè, aveva, perduto affatto il lume degli occhi, e siccome Daniele, sebbene un po' scosso, con voce più rotta e più bassa, continuava sempre a rispondere, essa lo afferrò per la cravatta, per il colletto, e prese a scuoterlo violentemente.

—Basta di alzar la voce! Hai capito? Basta! Adesso basta, basta,—basta!

—No… no… non basta! No… mio figlio…—si ostinava a ripetere
Daniele, mezzo strozzato.

—Ma che tuo figlio!… Tuo figlio! Quello là non è mai stato tuo figlio! Hai capito? hai capito?

Maddalena rauca, accesa in viso, continuava a tenere il marito per il collo, a stringerlo, a scuoterlo sempre più forte.—Hai capito?… Hai capito?… Allora basta di gridare, basta di seccarmi. Va! Va via!… Fuori dei piedi!—e così dicendo, gli diede tale una spinta che lo mandò traballante fin contro l'uscio.

Poi, a poco a poco, s'andò calmando e mentre si ravviava i capelli arruffati e l'abito sgualcito, ripigliò:

—Avrei dovuto dir tutto anche prima: ho taciuto per riguardo tuo: adesso lo hai voluto tu. Me ne hai fatto un caso di coscienza: colpa tua. Del resto, se mi è capitata una disgrazia… tutte quelle che perdono la testa dovrebbero imparare, da me, come si fa a vincersi, a rimediare, a riparare. Non è vero, signor Mauro?

Questa volta il signor Mauro, che era rimasto a bocca aperta, trasalì, ma non disse verbo.

—Tu—continuò Maddalena, rivolgendosi al marito—quando saprai tutto, imporrai le tue condizioni: la mia punizione, se sarò stata colpevole. Sei il capo della famiglia, farai tutto ciò che crederai più necessario: fa tu, pensaci tu, Ricordati però che il nostro nome, che l'onore e il credito della ditta Monghisoni, non è nè tuo nè mio: è dei nostri figli, di Temistocle e di Gian Maria. Ed ora…—la signora Maddalena cominciava a commuoversi—ed ora… questo posso giurare… se… mi è toccata una disgrazia, non ho… non ho rimorsi!

Vinta dall'affanno, dette in un pianto dirotto, e senza dir altro uscì dalla stanza sbattendo l'uscio.

I due erano rimasti attoniti, trasognati.

—Signor Mauro—disse poi Daniele sottovoce, come per interrogarlo.

—Io?…—rispose l'altro abbottonandosi la pelliccia.—Io…Io per me non lo crederò mai; nemmeno, nemmeno se avessi visto coi miei propri occhi.—Si cacciò il cappello in testa, e se ne andò lentamente, pesantemente, senza mai guardare il signor Trebeschi, senza nemmeno salutarlo.

Daniele, lo vide uscire, lo sentì scendere le scale, ma non si mosse: fermo, immobile, pietrificato, restò lì un bel pezzo a pensare.

—Imparate da me!… Imparate da me!…—mormorò alla fine, scrollando il capo, sospirando melanconicamente.—Belle cose da imparare.

Ma, poi, quando rientrò nel fondaco—si era fatto tardi; era l'ora di chiudere—diede tutti gli ordini e le istruzioni necessario ai commessi, con voce più forte, più alta delle altre sere.

Per la prima volta, il signor Daniele cominciava a sentirsi un po' padrone in casa sua.

IX.

La disgrazia della signora Maddalena aveva avuto un nome ed anche un titolo aristocratico: si chiamava, il conte Adelino di San Marsilio, tenente dei lancieri.

A' suoi tempi il conte Adelino era stato famoso come uno dei più galanti e dei più allegri viveurs del bel mondo di Torino, di Milano e di Parigi, dove lo chiamavano le comte des mille et une nuits. Ma… adesso? chi ne sapeva più niente?… Era morto? E se vivo, dove era andato a finire?

Aveva dovuto dare le dimissioni, abbandonare il reggimento, perché tutti i nodi vengono al pettine… e anche i debiti quando non si pagano. Si era ritirato a Torino, perché i San Marsilio erano di Torino; ma… poi? Chi se ne ricordava? Qualche creditore, forse.

Quanto alla signora Maddalena, ne sapeva ancor meno degli altri. Lo aveva visto una volta sola; e poi più. Ne aveva avuto abbastanza.

—Mostro… canaglia.

Lo odiava, lo detestava perché anche lei c'era caduta.

Come mai? Com'era successo? Non poteva dirlo; non avrebbe saputo dirlo.

Era stata la sorpresa? la stupidità? la paura? O le era mancata la voce per gridare? per chiamar gente? Il caldo, l'afa di quella sera, dopo pranzo; la testa le girava… chissà?…

E poi chi poteva aspettarsi un fatto simile?… Lì, nel fondaco, proprio lì, in quello scrittoio, su quel vecchio canapè di pelle, imbottito di stoppa, che aveva servito onoratamente a tutta la discendenza dei Monghisoni!

Che bestia, lei; e lui, che sfacciato, che canaglia!

Forse anche quel profumo; quell'odore, anzi quel puzzo di… di serpente, di basilisco che aveva addosso; così sottile, così acuto, e, maledetto lui! così snervante!

C'entrava anche quel certo non so che di… di sopraffino, quella bella maniera che non hanno che i gran signori. E, quello là, tuttoché spiantato, fallito, era uno di quei tali che hanno nel sangue la gran padronanza dell'universo.

Averne sentito parlare tanto e poi tanto, di lui, e di tutte quelle matte che perdevano la testa per lui, e ad un tratto trovarselo lì, seduto accanto, a far lo spasimante!

—Altro che criticarmi! Avrebbero tutte da imparare da me, che in fin dei conti sono stata l'unica… che abbia dato prova di giudizio.

Era vero, infatti, che tutti a Milano, e non soltanto quelli che non avevano niente da fare, si occupavano del conte Adelino di San Marsilio, de' suoi amori, dei suoi debiti, de' suoi cavalli.

Anche i buoni borghesi della domenica se lo indicavano l'un l'altro sui bastioni, nelle carrozze delle signore, e nei palchetti al teatro: e così il nome e la fama e le gesta del conte Adelino di San Marsilio erano arrivate vieppiù esagerate, perchè più lontane, persino in via Lentasio, e nel fondaco Monghisoni.

La signora Maddalena, sebbene giovane e prosperosa, restringendo ogni sua gioia nella cerchia meschina degli affari e dei guadagni, odiava la gente di fuori che stava a divertirsi, a spendere e a far all'amore; specialmente poi quello spaccone di un conte senza contanti che non aveva mai visto, ma di cui le avevano empito la testa, non lo poteva patire e provava per lui un'antipatia istintiva.

—Come facevano quelle matte—e quelle matte, per la signora Maddalena, erano tutte le più grandi dame di Milano—come facevano a perdersi dietro a un tisicuccio spiantato come quello?

—Spiantato?… Gli arrivavano da Torino i danari a sacca, e lui li buttava via a palate! Tisico? Ma la signora Maddalena non lo aveva mai visto! Era un bellissimo giovane.

No, non l'aveva mai visto; non lo voleva vedere; per lei, gli zerbinotti li aveva tutti in uggia, non li poteva soffrire: tutti leccati, impomatati, le davano la nausea; e sporgendo le labbra e arricciando il naso, dimostrava energicamente il suo disgusto:—Peuh!

La signora Trebeschi si trovava appunto in queste ottime disposizioni d'animo verso il conte di San Marsilio, quando un giorno le capitò nel fondaco uno dei suoi soliti compari, il Fioccola, che strizzandole l'occhio le propose un buon affaretto.

—Diecimila lire, un mese e mezzo, per il tenente di San Marsilio.

La signora Maddalena strepitò:

—Vada da quelle matte, vada dalle sue contesse a farsi pagare i debiti!

L'altro, il Fioccola, rimase maravigliato. Era un buon affare, un affare sicuro.

—Sicuro? È uno spiantato. E io che non sono una di quelle che si divertono a far all'amore, non voglio rimetterci del mio con questa sorta di gente.

Il Fioccola cercò di persuaderla. Il signor conte di San Marsilio aveva casa di gran lusso, scuderia con dei cavalli; e il Fioccola del resto aveva scritto a Torino. Si poteva dormire fra due guanciali, e ad ogni modo egli stava garante.

Maddalena lo guardò: il Fioccola aveva denari; non c'era rischio. Ma non ne volle sapere; con quella gente lì, non voleva sporcarsi. E tornò a strillare.

—Che; cattivaccia!—esclamò il Fioccola sorridendo a questa sfuriata.—Così bella, bianca, rossa e fresca come una rosa, e sempre cattiva, cattivaccia!—E se ne andò: ma tornò il dì dopo. Gli premeva quella cambiale del signor conte: prendeva i denari dalla Trebeschi Monghisoni al dieci per cento all'anno; ma poi lui si beccava, per provvigione, il dieci per cento al mese.

Tornò dunque alla carica.

—E così? Siamo sempre in collera col povero Fioccola? Sempre tanto bella e tanto cattiva?

Maddalena lo guardò fisso, aggrottando le ciglia; ad un tratto le saltò un grillo in capo e mutò parere. Conosceva il Fioccola da molti anni: se metteva tanta insistenza in quella faccenda, voleva dire che al signor tenente sarebbe costata salata. E perché no? Lei non si insudiciava le mani perché i suoi denari li dava al solito saggio ragionevole: non correva nessun pericolo, perché il Fioccola, in ultima analisi, avrebbe dovuto risponder lui, e quel signor tenente, quel conte senza contanti avrebbe almeno pagata cara, una volta tanto, la bella vita che menava a Milano.

Si fece pregare ancora un poco, poi scontò la cambiale,

—L'ho sempre detto, Madonna!—disse il Fioccola,—andandosene, e sorridendole, galantemente.—L'ho sempre, detto che era troppo una bella donna, lei, per dir sempre di no!

Rimasta sola, la signora Maddalena guardò e rigirò in tutti i versi la cambiale, prima di chiuderla nel portafoglio.

Quella firma, Adelino di San Marsilio, così lunga e sottile, cotor violetto, risaltava aristocraticamente sotto il grosso caratteraccio nero, scarabocchiato del signor Fioccola.

Adelino di San Marsilio—ripetè, battendo le sillabe nel rileggere il nome.—Questi demoni sanno essere, in tutto e per tutto, diversi dagli altri!—E mentre guardava il foglietto, sentì un profumo vago, sottile, penetrante, che a mano a mano pareva farsi più acuto.

—Che cos'è?—e fiutò a lungo la cambiale.

Certo il San Marsilio doveva averla tenuta in tasca varii giorni, e la lingua di cane aveva preso l'odore dei suoi abiti.

—Che puzzo!—mormorò dopo un istante.—E quelle matte si lasciano ubbriacare da tutte queste droghe!—E di nuovo arricciò il naso:—Peuh!—ma fiutò ancora, la cambiale… e finalmente, quando la ripose nel portafoglio richiuse il cassetto, pensò con aria soddisfatta di padronanza:

—Ma intanto, me lo tengo io, sotto chiave, il cicisbeo delle contesse.

Per un mese non si parlò più del giovane ufficiale, finché, una mattina, uno dei commessi del fondaco Monghisoni, che si piccava di galanterie, portò una notizia da far strabiliare:

—Il duca Della Torre ha scoperto sua moglie in intimo colloquio con un tenente di cavalleria: si sono battuti in duello, all'ultimo sangue, e il tenente, un conte anche lui, il conte San Marsilio di Torino, gli ha spaccato la testa di colpo, con, una sciabolata.—E il giovane, esaltato, prese; a rifare le mosse del tiratore:—Uno, due e tre! Il duca Della Torre è mezzo morto.

—Il tenente? il conte di San Marsilio?… È il mio!—pensò la giovane scontista. E più tardi, quando lesse, la notizia di quel gravissimo duello anche nella cronaca del Secolo, dove per altro non c'erano i nomi, ma soltanto le iniziali: il duca D., il tenente A. S. M. essa tirò fuori la cambiale per-vedere se proprio quelle iniziali corrispondevano alle sue.

—Sicuro: Adelino di San Marsilio. A. S. M.—Adelino?… Che razza d'un nome!—mormorò la signora Trebeschi.—E che razza di cane! Ruba una moglie e rompe la testa al marito!—Ma in appresso ci ripensò, e osservando il signor Daniele forse per la prima volta, le balenò in mente:

—Se toccasse a quello lì, un fatto simile!—e le scappò da ridere.

Poi non ci pensò più: il cacio parmigiano da un giorno all'altro aveva fatto un ribasso favoloso, e i magazzini del Monghisoni ne erano pieni. Aveva altro in testa.

Tornò a ricordarsi del San Marsilio dopo un paio di settimane, quando venne il Fioccola a proporle la rinnovazione a un mese della cambiale del tenente, di quel conte piemontese.

—No.

—Come no? Almeno per quindici giorni. Sta facendo un mutuo ipotecario sopra una sua casa di Torino per cinquantamila lire: ho visto io le carte.

—No; regola generale: alla scadenza si paga.

—Tutti i giorni, pare impossibile, diventa sempre più bella e sempre più cattiva!—esclamò il Fioccola, dandosi un pugno sul capo con comica disperazione. Poi le fece l'occhiolino:—Al caso ci sarebbe un pourboire

La signora Maddalena montò su tutte le furie e scacciò il Fioccola come un can frustato.

—Imparate da me; che io non faccio l'usuraia!

Il Fioccola andò a passeggiare, e a far la posta attorno al Cova, aspettando che il tenente uscisse, finito il pranzo.

Non c'era tempo da perdere!

Ma il San Martino lo fece aspettare un pezzo: poi, finalmente, uscì dal portone di via Manzoni, ridendo, parlando forte, strascicando la sciabola, in mezzo ad una brigata di amici. Appena visto il Fioccola che lo aspettava, l'ufficiale si staccò dai compagni, e infilò via Andegari.

L'altro allungò il passo, e lo raggiunse in due minuti.

—Fiasco.

Sapristi!—esclamò il tenente dei lancieri, diventando pallido. E anche lui strapazzò come un cane il povero Fioccola.

Ma il compare c'era avvezzo, e invece di offendersi gli diede un consiglio da vero amico.

—Sa che cosa dovrebbe fare, signor tenente? Lei…—e fece l'occhiolino al signor tenente come aveva fatto alla signora Maddalena—lei sa come si fa… per convincere le belle donne. Si provi lei. L'onore di una visita del signor conte, poi la sua parlantina; ci scommetto la testa: le rinnova la cambiale vecchia, e gliene sconta una nuova.

—Dove sta?

—Via Lentasio, 59. Se fa presto, trova sempre aperto.

—Pss!—Il tenente, alzando la mano stretta nel guanto bianco, fece cenno di fermarsi ad una carrozzella che passava.

—Via Lentasio, 59, avete detto?

—Sissignore.—E il Fioccola ripetè l'indirizzo al cocchiere che, frustata la rozza, riprese a correre verso via Manzoni, mentre il tenente si sdraiava nella carrozza, accavallando le lunghe gambe attorno alla sciabola.

Alt!—Il signor conte fermò il cocchiere in piazza della Scala, accese una sigaretta, poi:—Avanti!—gli gridò colla prima boccata di fumo… e tre minuti dopo saltava dalla carrozza dinanzi alla porta di casa Monghisoni.

In quei giorni, l'ultimo bimbo dei Trebeschi, Gian Maria, che era a balia, a Sesto San Giovanni, era mezzo ammalato; cominciava a mettere i denti, bisognava divezzarlo, e il signor Daniele tutte le sere, dopo pranzo, andava fino a Sesto, a piedi, e ritornava in strada ferrata coll'ultimo treno.

Ma la signora Maddalena doveva restare a casa e brontolava perché non c'era un filo di aria e si moriva dal caldo; brontolava perché a lei toccava di lavorare, e di sfacchinare giorno e notte come lo schiavo alla catena e non poteva come certa gente, andar a spasso, e darsi buon tempo, col pretesto di Gian Maria… che stava benone!

Infatti, anche quella sera, la sera del giorno, appunto, in cui si era tanto arrabbiata col Fioccola, la signora Maddalena, dopo aver imbarcato il marito per Sesto, dopo aver chiuso il negozio, dopo aver messo a letto Temistocle, era scesa di nuovo nello scrittoio, e lì, tranquillamente, in corset per avere più fresco, e col suo bravo virginia in bocca—qualche volta si godeva dopo pranzo anche la fumatina—s'era messa a rivedere le prime note e a sfogliare il carteggio.

Di solito, nel fondaco, non faceva mai troppo caldo: ma quella sera, anche lì, si soffocava. La signora Maddalena aveva pranzato di buon appetito: forse, d'estate, colla gran sete, si beve anche di più, senza accorgersene… Si sentiva le vampe al viso; s'alzò, si levò il fazzoletto di foulard che aveva attorno al collo; e tirò su fin sopra il gomito le maniche del giubbino…

Ad un tratto sentì parlare nel cortile; udì dei passi che si avvicinavano, poi aprir l'uscio del fondaco: non poteva essere Daniele, era troppo presto.

—Chi è?

—Sono io, signora padrona!—gridò la voce di Teresa, la portinaia.—C'è un signore… Vuol parlar con lei!… Di gran premura!…

—Venga domani mattina!—rispose Maddalena forte, senza muoversi.—Adesso è chiuso; è troppo tardi.

Pardon, mille pardons, cara signora, ma domani sarebbe troppo tardi per me.

—Chi è?—ripetè Maddalena, vivamente, balzando in piedi; e, presa la lucernina a petrolio, e tenendola alzata col braccio, andò sull'uscio dello scrittoio a vedere.

—Chi è?

Sentì un batter di sproni e di sciabola, e sotto i voltoni bui del magazzino, fra i barili d'olio, le botti di aringhe e le forme di cacio parmigiano, apparve, si avanzò, si fermò dinanzi a lei, inchinandosi e picchiando i tacchi l'un contro l'altro, un giovane ufficiale, alto, sottile, biondo, sorridente.

Pardon, ancora mille pardons!

—È lui, quel maledettissimo!—pensò Maddalena, e sentì una stretta al cuore, per via della cambiale.—Mio marito non c'è; a quest'ora non c'è nessuno: torni domani!—rispose in fretta, sgarbatamente.

—Il signor Fioccola mi ha detto di parlare con lei, e desidero parlare con lei.—Il San Marsilio era risoluto a non tornare indietro.

Maddalena entrò nello scrittoio, posò la lucernina sulla scrivania, e mentre l'altro, ritto presso l'uscio, attendeva per entrare anch'egli, essa cominciò a cercare il suo fazzoletto di foulard voltandosi, rivoltandosi di qua e di là, chinandosi, abbassandosi.

Sapristi!—E il tenente dei lancieri, fissandola, si arricciava i baffetti.

Maddalena, che aveva trovato il foulard sotto il canapè, se lo buttò sulle spalle, accomodandoselo al collo.

—Allora venga avanti: che cosa desidera?

La signora Trebeschi si mise a sedere sulla poltroncina dello scrittoio, e l'altro sul canapè. In quel piccolo casotto, dove tutto era ammonticchiato, ci stavano appena.

Il San Marsilio disse subito che gli premeva parlare per quella sua cambiale di diecimila lire.

—Scusi, chi è lei?—gli domandò Maddalena, fingendo di non aver capito chi era, e però rimanendo fredda ed impassibile, mentre l'altro le sciorinava nomi e titoli.

—La sua cambiale—rispose poi seccamente—è stata girata alla Banca
Nazionale. Non ha ricevuto l'avviso?

—No, non ancora.

—Adesso lo sa: per ritirarla bisogna andare alla Banca Nazionale.

Ma l'altro, invece di andarsene, posò tranquillamente il berretto sul canapè, cacciò la sciabola in mezzo alle gambe che prima allungò, poi accavallò l'una sull'altra, e fissando negli occhi la signora Trebeschi e sorridendo con galanteria, le domandò come il Fioccola, la rinnovazione ad un mese.

—Impossibile.

—Allora quindici giorni.

—Impossibile. È regola generale: non si ammettono rinnovazioni. Alla scadenza bisogna pagare.

Il tenente, chinandosi e avvicinando il viso, a Maddalena, mentre la fissava negli occhi e sorrideva, cominciò a far un lungo discorso per smuoverla, per convincerla, per ottenere la rinnovazione.

—No? proprio no?

—No.

—Sarei così sfortunato con lei?… Una così bella signora, mandarmi via con un no?—riprese il San Marsilio adattando lo spirito all'ambiente.

—No.—E Maddalena pensò fra sè:—Sarò la prima, e ci ho gusto, così t'accorgerai che io non sono una matta come le tue contesse.

—No.

E per allontanarsi dal divano, si accostò di più alla scrivania. Quella giubba succinta, quei pantaloni attillati le facevano un'impressione penosa; e poi le urtava i nervi quell'occhio sempre così fisso e quel continuo riso da scimmia, per far vedere i denti bianchi! Era strano però, come egli aveva l'aria d'esser lì in casa sua; toccava tutto, le aveva già preso la mano due volte; e non era davvero aristocratico; questo poi no. Non dava nessuna soggezione. Quasi quasi pareva anche a lei di averlo sempre conosciuto.

—No, sa—ripigliò dopo un momento, interrompendolo per finirla, e per farlo andar via, che voleva chiudere lo scrittoio e risalire in casa.

Quel soldato aveva addosso un odore così acuto che le dava alla testa.

—No, sa, è impossibile. Del resto non dipende da me; se vuol provare domattina con mio marito… ma già le risponderà come me: che non si può.

Il giovane tenente, invece di perdere la pazienza, di andarsene, dette in una gran risata, e tornando ad allungar le gambe, le accavalcò dall'altra parte.

—Credo bene che suo marito… risponderà come lei!… Vorrei io essere suo marito, aver la fortuna di essere suo marito, e farei altrettanto. Sapristi! e come volentieri!

—Se non avesse dovuto star sulle sue per cagione della cambiale, anche a Maddalena sarebbe scappato da ridere a veder l'entusiasmo del bell'ufficiale.

Suo marito, con quella faccia da miserere, che, cosa aveva capito, lui, della gran fortuna che gli era toccata?

E invece, quel mostro, come sapeva fare! I gran signori erano proprio di un'altra razza, tutta diversa.

Questo era il primo che Maddalena avesse avvicinato, che potesse vedere, osservare con tutto comodo: e lo osservava e lo studiava con curiosità crescente.

Chissà che mentre stava lì, a pregarla, a supplicar, lei—per niente—qualche sua principessa non fosse in ansie ad aspettarlo!

San Marsilio parlando, si accarezzava i baffetti, e alla Maddalena pareva impossibile che una manina così bianca, così sottile, così delicata, potesse tirar di quelle sciabolate che spaccano la testa ai mariti, con un colpo solo. E come faceva per aver le unghie così lucide, e per conservarsi i denti così bianchi? E sotto le maniche che pelle fina, delicata… E sotto quella pelle da donnina bionda che muscoli d'acciaio, che forza, che coraggio temerario! Com'era diverso da quei bei giovani di negozio che a lei facevano schifo, coi cappelli unti e bisunti e colla camicia scollata!

—È inutile, signor conte; anche se resta qui fino a domani, io dovrò dire sempre di no.

—Mi tiene qui fin domani? Io ci resto, beato, contento… anche a, costo di sentirmi… di sentirmi dir di no—e scrollando la testa, e sorridendo sempre con quei denti così bianchi sotto quei baffetti così biondi, continuava a ripetere maliziosamente:

—No, no, no, no.

San Marsilio non era mai stato tanto eloquente; senza mai dimenticare ch'era lì per la cambiale, si animava, si riscaldava davvero, trovandosi solo, a quell'ora, in quel luogo, con quella donna, e, sapristi! che bella donna! A poco a poco la grossa cambiale e la grassa bottegaia si fondevano in un desiderio solo dell'accesa fantasia… e gli sorrideva molto l'idea che tutte le strade conducono a Roma.

Un momento la Maddalena, che aveva il gomito sulla scrivania, si ritrasse indietro, per sfuggire al contatto di quel braccio appoggiato lì sulla sua poltrona, e un monte di carte, delle lettere, dei libretti, ruzzolò per terra. San Marsilio balzò in piedi per andare a raccattarli.

—Non si disturbi, signor conte!—esclamò Maddalena diventando rossa.—Non importa! In questo stanzino è tutto in disordine; non ci guardi, per carità!

—No; quando si è qui, non, si può guardar altro che lei!

Doveva offendersi? Far la selvatica? No. Era il modo di fare di quella gente lì. Invece si alzò per fargli capire di andar via.

—Allora, pardon, mille pardons… per averla incomodata…—e il bell'ufficialetto non sorrideva più. Pareva triste e un po' mortificato.

Una cambiale di diecimila lire che scade il giorno dopo può esser un affar serio, specialmente quando le diecimila lire non ci sono.

La signora Maddalena, per la prima volta, forse, in vita sua, pensò una cosa simile ed ebbe un sentimento quasi di compassione per un suo debitore.

—Creda, signor conte, se dipendesse da me, volentieri; ma, proprio, non si può. Anche noi abbiamo i nostri impegni; e la sua cambiale abbiamo dovuto girarla.

—Allora pardon, mille pardons!—E il tenente dei lancieri, inchinandosi, le stendeva la mano per salutarla. Ma nel suo sorriso, tra i baffetti biondi e i denti bianchi, c'era una punta di amarezza e d'incredulità.

—Le assicuro, le dico la verità!—esclamò Maddalena, stringendogli la mano.

—Ascolti, signora Trebeschi; avevo dimenticato un'altra cosa.

E il conte Adelino si sedette di nuovo, tenendo sempre Maddalena per la mano.

—Le mostrerò una lettera del mio procuratore.

—No, no; adesso non c'è più altro da, dire, adesso vada.

Ma il giovinotto la teneva sempre stretta per la mano; dovette sedersi anche lei.

—È tardi, adesso torna mio marito; ho detto di no, è no.

E l'altro daccapo, con quella voce tenera, morbida, insinuante a pregarla, a supplicarla; ma pregarla di che cosa? Supplicarla per che cosa? Ancora per la cambiale? Per la rinnovazione?

—No.

Perché la guardava in quel modo?… perché le baciava la mano?

—Dunque… signor conte, siamo intesi. Adesso vada via, torni domani, da mio marito; cercherò anch'io di persuaderlo; vedremo se si potrà combinare…

Il bell'ufficiale continuava, continuava a parlare; colla voce calda, strascicando l'erre, continuava, sempre più vicino, stringendole la mano sempre più forte, passandole infine un braccio dietro la vita.

—Ma che crede lei?… con chi crede d'essere lei?… Adesso siamo intesi, vada via…—E restava lì, ad ascoltarlo, doveva ascoltarlo; un po' perché, con quella gente lì, così diversa dagli altri, non sapeva come trattare, nè come fare a cacciarlo via, un po' per la curiosità, sempre per la curiosità.

Ma che cosa diceva? Che cosa voleva?… Lei, o la cambiale?… Certe parole non le capiva nemmeno. Ma era quello il suo modo di fare? E così quelle matte si riscaldavano, s'innamoravano? chissà quante di esse avrebbero pagato un occhio, per tenerselo lì, come lei, ai suoi piedi… Ma lei no; sempre no! Mascherina, ti conosco!

—Oh Dio! Adesso cosa fa?… Ma signor conte…—e lo fissò corrugando le ciglia.

Il San Marsilio si era slacciato un po' la giubba per cercare il portafoglio e nel portafoglio la lettera del suo procuratore.

Era una lettera lunghissima, che si riferiva al mutuo delle cinquantamila lire. Il San Marsilio volle leggerla tutta, da capo a fondo, stringendo sempre la mano alla signora Maddalena. Essa cercava di allontanarsi tirandosi in fondo al canapè. La giubba era sempre aperta, e lasciava scorgere la camicia finissima, colorata, e ne usciva più forte, più acuto quel profumo strano che le dava tanto alla testa.

Ma non poteva fare a meno di guardare, di osservare tutto.

Che stranezza!… Aveva una camicia fina, fina, di batista, come quella delle signore…

Il giovane, continuando a leggere, si chinò, sotto la luce, per vederci meglio, e allora scivolarono risonando, fuori della giubba, un gran medaglione con un mazzetto di oggettini d'oro appesi ad una catenella.

—Sono forse i capelli, i ritratti delle sue contesse?—pensò
Maddalena, sbirciandoli di sottecchi.

La lucernina a un tratto scoppiettò, dette un guizzo e poi si abbuiò.

—Sì! sì! sì!—insisteva il San Marsilio.

-. No, no, no, signor conte: sentirà mio marito; adesso, la prego, vada via.

—Sì.

—No; sia buono, adesso vada via. Insomma vada via! Teresa!…

Il signor conte sparì a un tratto, e ritornò in un attimo; era andato a chiudere l'uscio.

Ma… non è sempre vero che tutte le strade menano a Roma. Il giorno dopo, la signora Maddalena, più rabbiosa, più bisbetica che mai, strapazzando tutti e più di tutti quel povero signor Daniele, mandò il Fioccola all'inferno e fece protestare la cambiale del conte Adelino di San Marsilio.

X.

Ormai erano passati vent'anni, eppure la signora Maddalena non aveva perdonato.

Ancora, certe volte, quel maledettissimo le appariva dinanzi a un tratto, fissandola, sorridendo, mettendo in mostra i denti bianchi, sotto i baffetti biondi.

Era un dispetto continuo e un continuo tormento; e a mano a mano che Giacomino cresceva lungo e sottile, anche lui con quei denti e con quel sorriso, anche lui con quella faccia e quell'impostatura, erano cresciuti pure nell'animo di Maddalena il livore e il rimorso, ma sopratutto il livore. Ed ora poi, quando nell'impeto della rabbia e quasi senza sapere, quel che dicesse, si era lasciata trasportare a confessar tutto, non era stata la cieca ribellione del marito ciò che le aveva fatto perdere la testa: no; era stato quell'altro, sempre quell'altro—la sua disgrazia.

Essa, da prima, avrebbe voluto dimenticare; avrebbe voluto persuadere sè stessa ch'era stato un sogno, un incubo, chissà, un effetto di cattiva digestione; ma poi, fin dalla prima volta che il piccolo. Giacomino—hop, hoplà-là!—si era messo a correre per il fondaco a cavallo di una granata, essa non aveva più potuto ingannarsi nè illudersi, non aveva più potuto mentire a sè stessa. Subito, di colpo, si era sentita rimescolare il sangue; aveva dato quattro potentissimi scappaccioni al povero piccino e aveva pensato con timore che se il ragazzo fosse venuto su cogli istinti di quel mostro, avrebbe dato fondo in un fiat alla casa, alla ditta, all'universo!

—E adesso—rifletteva la signora Maddalena fra sè e sè—adesso ho fatto bene a dir tutta la verità? a svelare la mia disgrazia? Sì, ho fatto bene: ho fatto il mio dovere, e tutte quante avrebbero a imparare da me.

Giacomo, ormai, non più protetto da quel balordo di Daniele, non era più da temersi. Sarebbe stato allontanato da casa e da Milano, e lei, lei sola, coi danari suoi, guadagnati da lei, per quello scopo, lo avrebbe sempre aiutato. Aveva fatto bene a spiegarsi, a mettere le carte in tavola: soltanto aveva un certo timore pel marito. Timore, così per modo di dire; timore che d'ora innanzi negli affari volesse far più da padrone, senza consigliarsi con lei.

E la signora Maddalena, chiusa nella sua camera, sospirava. A un tratto si alzò e si accostò all'uscio, per udire.

—Ecco, non ci sono io, e chiudono il negozio mezz'ora prima.

La sua inquietudine cresceva. Il momento era critico.

—Quel pantalone di Daniele fosse almeno prudente cogli sconti! Dice sempre di sì a tutto al mondo!

E la corrispondenza?

Pensò se non fosse il caso di scendere un momentino:—gli altri erano a pranzo!…

No, non poteva, non doveva uscire da quella camera, finché suo marito non fossa venuto lui stesso a cercarla, a chiamarla… a farle intendere, insomma, che, senza di lei, non si poteva tirare innanzi.

Ma perché tardava tanto a venire? Avrebbe dovuto aver la smania, se non altro, di saper tutto; di sentire le sue giustificazioni, le sue discolpe, per uscire dall'incertezza, per perdonarla o per strangolarla!

—Che pantalone!

Il signor Daniele, invece, questa curiosità, questa smania non la sentiva nè punto nè poco.

D'inverno, i Trebeschi pranzavano appena chiuso il negozio: quella sera non c'era Giacomino, non c'era Maddalena: ma egli non volle dare alla famiglia nessuna spiegazione. Disse soltanto:—La mamma è un poco incomodata—e non aprì più bocca per un pezzo. Pareva come investito di una nuova e misteriosa autorità; non essendoci la moglie, scodellò lui la minestra, tagliò e dispensò lui le fette del lesso; e tutti zitti, mangiando adagio, lentamente, senza far rumore. Persino i cucchiai, come fossero presi da un senso di rispetto, pareva che evitassero di picchiare sui piatti. Tuttavia, il signor Daniele, più che dalla propria autorità, sembrava angustiato da un altro pensiero.

Portavano, sì o no, da mangiare a… a quello di sopra? Soltanto l'idea di quel ragazzo gli faceva venire caldo e freddo. Lui come lui, avrebbe anche potuto lasciarlo morire di fame. Ma gli altri no. Quella stupida della Cammilla, per esempio, no; lei avrebbe dovuto pensarci… E a un tratto, vedendo che nessuno si moveva, che nessuno si ricordava di… di quello di sopra, perdette la pazienza e sgridò la Cammilla perché aveva messo troppo aceto nell'insalata.

Appena il signor Daniele aprì bocca, fu rotto l'incanto, e tutti cominciarono a ridere, a gridare, a bisticciarsi, a fare una casa del diavolo. Non c'era la gatta, i topi ballavano.

Il signor Daniele gridò più forte, pestò i piedi, poi tacque stanco, seccato.

Si sarebbe fatto sentire il giorno dopo.

—Temistocle!… dove andate?… Gian Maria! Giù quel cappello!
Vergogna! Vergognatevi!

Ma che? non gli badavano nemmeno, e i due ragazzi, col boccone in gola, scapparono di casa.

—Non c'era la mamma, dunque… viva la libertà!

Il signor Daniele pensò che sarebbe stata necessaria una di quelle lavate di capo come le dava sua moglie; e tornò a concludere.

—Domani mi farò sentire.

La, Cammilla, senza che nessuno se ne fosse accorto, aveva già pensato al cuginetto, a Giacomino, e rimasta sola con Daniele, gli domandò della zia Maddalena:

—Bisogna rispondere a Verona; bisogna scrivere a Trieste…—Vado dalla zia a sentire che cosa devo fare?

—No: niente—rispose il signor Daniele.—Penserò io; d'ora in avanti si parla con me.

Si rizzò quant'era lungo, alzò gli occhi al soffitto, si fece ancor più serio:

—Mi son fatto sentire.

—Allora, Giacomino non parte più? Giacomino resta a Milano?—esclamò la ragazza cogli occhi scintillanti.

—Finiamola con questo Giacomino!—Il signor Daniele diede uno scossone facendosi pallido.—Adesso siete diventata una donna; vergogna! non voglio più confidenza con… coi giovani che sono diventati uomini. Vergognatevi!

La Cammilla guardò lo zio stupefatta, e subito gli fece tanto di muso.

Fu primo Daniele a riprendere la conversazione.

—La zia Maddalena ha domandato qualche cosa da pranzo?

—No.

—E… a quell'altro lassù hanno portato da mangiare?

—Non so.

Daniele scrollò il capo malinconicamente.

—Alla zia—pensò—non avresti risposto in questo modo. Ma domani, cominciando da domani, dovrò farmi sentire anche con te.

Passeggiò su e giù per la stanza, si sentì stanco, si sentì solo, si seccò e andò a dormire, pensando forse, in cuor suo, che la libertà è una gran cosa, ma un po' come le belle donne: bisogna farcisi da giovani.

La mattina dopo, quando il signor Trebeschi scese nel fondaco, non c'era ancora nessuno; cominciò a brontolare, a gridare da solo, e continuò a strillare sempre più forte a mano a mano che capitavano i commessi, i facchini, tutta la sua gente; ma per quanto li strapazzasse e pestasse i piedi, gli altri facevamo il loro comodo alzando le spalle e borbottando rispostacce. Nei lunghi cameroni, l'andirivieni affaccendato, il lavoro, il frastuono di tutti gli altri giorni stentava a ricominciare: la lampada, dinanzi alla Santa Casa di Loreto, che la signora Maddalena accendeva ogni mattina, era spenta, immobile.

—Vi caccio fuori tutti quanti, nel momento, su due piedi!

—Buhm!—fece un commesso nascosto dietro le botti.

Il signor Trebeschi finse di non aver udito.

—E Gian Maria?… e Temistocle?… Ancora a letto? vergogna! Dovreste tutti imparare da me: sempre il primo la mattina; e la sera, sempre l'ultimo.

Non aveva ancora finito di sfogarsi, quando i due figliuoli, invece di scendere dalla scala entrarono dalla porta di strada, tutti e due pallidi, smunti e cogli occhi pesti.

—Voi?… A quest'ora?…

Temistocle affrontò il padre, per il primo:

—Si lavora tutto il giorno e la sera abbiamo diritto di divertirci. È carnovale. Giacomino stava fuori tutte le sere.

Piantarono lì il signor Daniele a bocca aperta; e andarono a levarsi il soprabito dietro il banco.

Daniele, un po' scosso, stava per ricominciare la ramanzina, quando un—Buon giorno mon père—che sentì dietro le spalle, gli fece tremare le gambe.

Era lui: il momento terribile era giunto.

Si voltò coll'impressione, chissà, di trovare un'altra faccia a quel ragazzo. Invece niente di mutato; egli provò quasi un senso di sollievo trovando Giacomino, tal e quale come il giorno innanzi, grazioso, allegro, sorridente, buono.

Il figliuolo, al contrario, fu colpito dal viso stravolto, dalle labbra tremanti del babbo.

Domandò:

—La mamma sta proprio poco bene?

—Sissignore. E siete stato voi, vergogna, vergo…—ma il resto gli rimase a mezzo, vedendo gli occhi di Giacomino che si erano empiti di lacrime.

Gli voltò le spalle in fretta, e corse a rinchiudersi nello scrittoio.

—È l'unico, stamattina, che abbia pensato a sua madre. Quanto a cuore, sarebbe più mio figlio quello lì che gli altri.

E non poteva aver ragione il signor Mauro? Il signor Mauro aveva detto: Io non lo credo e non lo crederò mai, nemmeno se avessi visto co' miei occhi!

Entrò la Cammilla ancora imbronciata:

—Bisogna rispondere a Verona, bisogna scrivere a Trieste.

—Sicuro.

Daniele frugò nei monte delle lettere, scartabellò i registri… alla fine dovette arrendersi.

—Va su dalla zia, te come te. Scrivete insieme a Verona e rispondete a Trieste. Ma, mi raccomando, senza allungar musi. Impara da me. Intanto io vado in Borsa, poi alla Banca Commerciale.

E se ne andò.

Che cosa doveva fare lì, in negozio? Per il momento aveva già gridato abbastanza. E poi gli avventori lo mortificavano in faccia ai commessi, alla sua gente.

—Mia moglie non può scendere oggi, è incomodata. Ci sono io, parlino con me.

—La signora Maddalena non c'è? Allora torneremo domani; e se ne andavano.

Per istrada, solo, senza fretta, pensava al più importante. Era inutile volere scacciare quel pensiero, bisognava aver coraggio, guardare la verità in faccia e risolvere qualche cosa. Era vero, come diceva sua moglie, o non era vero, come diceva il signor Mauro?

Si sbrigò in pochi minuti, distrattamente, delle cose da fare, alla Borsa come alla Banca, e prese la via più lunga per ritornare al fondaco Monghisoni.

—Fosse anche vero, che colpa ne ha quel povero ragazzo? Ma no, ma no!—E il signor Daniele sorrideva.—Chi le fa, queste cose, non le dice. D'altra parte, e tornava a rannuvolarsi—chi non, le fa, non le inventa.

Eppure sua moglie era capace di tutto: anche d'inventare una storia simile.

Essa aveva sempre detestato quel ragazzo; voleva disfarsene; dunque:—Non è tuo figlio; non gli devi voler bene; mandiamolo in malora!

—«Non è tuo figlio»; ma e le prove? E il tempo? Quando? Dove? Chi? Se Maddalena non è mai stata sola un giorno? Se non è mai uscita di casa, sola? Se non conosce, nessuno? Quando mai ha avuto il tempo, quella lì, di perdere la testa, di innamorarsi?

—«Ti dirò tutto e saprai tutto». E se io non volessi saper niente, perché non credo niente?

E… la voce del sangue?

Giacomino era sempre stato il suo prediletto, e per questo appunto
Maddalena non lo aveva mai potuto soffrire. Il cuore, il cuore di
Giacomino era il suo. Poi gli somigliava in tutto il resto… Glielo
aveva detto la signorina Fanny.

Quante volte la signorina Fanny lo aveva guardato a lungo, tanto da fargli abbassare gli occhi, e gli aveva detto con quella sua bella voce così profonda e penetrante:

Gran Dieu! Quanto rassomigliate al vostro fanciullo!

E glielo diceva anche quando scherzava, accarezzandogli i capelli col frustino e mormorando:

—No, no, no; quello che dovrà essere lui non è ancora arrivato…

—Povera ragazza! Chissà come sarà andata a finire nelle mani di quel fratello?…

Assorto in tali pensieri arrivò in faccia al fondaco Monghisoni; e come al solito sentì una stretta al cuore e sospirò.

Le altre volte era l'apprensione di essere strapazzato; questa volta la pena di dover strapazzare.

—Chissà che confusione, che disordine!… poi quei due veri briganti di Temistocle e di Gian Maria…

Invece, niente di simile: nei lunghi cameroni del fondaco era ricominciato il solito movimento, l'andirivieni, il vociare dei commessi e degli avventori, il caricare e lo scaricare affaccendato delle merci, il rimbombo e il rotolìo delle botti e dei barili… e persino la lampadina davanti alla Santa Casa brillava dondolante in fondo, nel buio.

Guardò verso lo scrittoio; l'uscio era chiuso, ma dietro il vetro appannato scorse l'ombra nera di sua moglie.

La signora. Maddalena non aveva saputo resistere.

—Gli affari, la ditta, prima di tutto—Sarebbe rimasta tutto il giorno a lavorare nello scrittoio, e poi, sempre, colla scusa dello star poco bene, avrebbe pranzato sola in camera sua.

E questa specie di modus vivendi, tacitamente offerto dalla moglie e tacitamente accettato dal marito, durò parecchi giorni, con ottimo effetto.

Gli affari procedevano bene come al solito; nel fondaco tutti lavoravano di lena.

Adesso, quando Daniele alzava la voce, e la signora Maddalena era nello scrittoio, sempre taciturna ed indisposta, tutti ubbidivano senza fiatare.

—Cominciano a temermi—pensava il signor Daniele.—Si fa presto a far da padrone; basta saper gridare.

Aveva una sola inquietudine: di dover venire a una spiegazione colla moglie. Che cosa sarebbe successo?

Non si vedevano se non in presenza di altre persone, non si scambiavano se non poche parole, sempre relative agli affari. Ma quando si incontravano sulle scale o attraversando il cortile, lei pareva volesse fermarsi, e lo fissava risolutamente in un certo modo, come per dirgli:

—Avanti, coraggio: hai paura? Io sono qui, pronta a risponderti.

Una sera, mentre sua moglie era sola nello scrittoio, Daniele si fece animo e si avviò verso il bugigattolo tossendo forte per dare la sveglia.

Nel breve discorsetto che aveva pensato le dava del voi.

—Voi non mi direte niente. Non voglio saper niente.

Ma invece, quando si trovò davanti a sua moglie, abbassò gli occhi, abbassò il capo e mormorò appena con un fil di voce:

—Tu non mi dirai niente; desidero ignorare. Dobbiamo vivere insieme per amore dei nostri figliuoli, nella comunione della nostra vita, dei nostri interessi, del nostro lavoro. Quello che mi hai detto… basta. Voglio ignorare per poter dimenticare; per poter… perdonare.

E il signor Daniele, il quale, a mano a mano che parlava, si sentiva commosso, a questo punto tacque, sentendosi una forte stretta al cuore.

Maddalena, invece di fissarlo in viso con arroganza; aveva anch'essa abbassato gli occhi, aveva chinato il capo…—Piangeva?…

…Dio, Dio! E se fosse vero? Se fosse vero? Sua moglie?… Quella donna che gli aveva appartenuto per vent'anni?… La madre dei suoi figli?… Il sangue, la carne dei suoi figli?….

Rimase stordito e una nube gli oscurò la vista. Allora, per la prima volta, gli si affacciò alla mente tutta la vergogna della sua disgrazia; ma fu un lampo. Sua moglie stessa, inconsapevolmente, si salvò, e salvò la pace del povero uomo, domandandogli, sempre a capo chino, colla voce rotta dalla commozione:

—Quando hai fissato che parta? Quando deve partire?

—Chi?

—Giacomino.

A questo nome, Daniele tornò a rasserenarsi. Era sempre l'idea fissa di sua moglie, il suo maligno proposito di dividerlo da quel ragazzo.

—Giacomino—rispose, con tono risoluto, questa volta—Giacomino partirà quando gli dirò io di partire. Per il momento non c'è fretta; sotto di me, è docile, è buono.

La signora Maddalena non rispose, non si ribellò; si voltò verso la scrivania e ricominciò a scrivere.

—Si rode perché non può spuntarla—pensò il signor Daniele, e approfittò del momento per imporre tutte le sue condizioni.

—Bisogna regolare gli affari in modo da avere un'ora fissa, sempre quella, per la colazione e per il pranzo. Bisogna dare una piccola mesata a Temistocle, a Gian Maria e alla Cammilla. Lavorano dodici ore al giorno: ne hanno diritto. La domenica e le feste non si apre bottega; riposo generale.

Non voleva più che sua nipote facesse la cuoca e la serva. Adesso aveva quasi vent'anni, non era cosa conveniente nè per la Cammilla, nè per il suo amor proprio, nè per il rispetto che doveva al nome e ai parenti.

Concludendo, lasciava a sua moglie la direzione suprema degli affari, ma voleva tenersi lui, in mano, come capo della famiglia, le redini della casa.

XI.

Giacomino aveva abbandonato il caffè Biffi, il teatro e stava sempre in casa; ma per due ragioni: la prima, che non aveva un soldo e non ne poteva trovare; la seconda… il buon Daniele non l'avrebbe mai indovinata!… Cominciava a piacergli la Cammilla, e il suo capriccio era stimolato da una gran curiosità: sapere se quel mucchio di capelli era tutto vero, o se c'era sotto del crespo.

E questa curiosità gli era nata la prima sera in cui egli aveva dovuto pranzare solo, in camera sua.

Da più di un'ora se ne stava buttato sul letto, al buio, mangiando bile, e roso dalla gelosia per Fanny, quando a un tratto sentì un fruscìo dietro l'uscio, poi picchiar leggermente, e una vocina bisbigliare:

—Si può?

—La nasona!—pensò fra sè Giacomino,—e si voltò contro il muro borbottando:—Avanti: cosa c'è?—Ma appena entrata la fanciulla, si voltò attratto da un profumo vivificante. La Cammilla teneva un lume e una bottiglia di vino da una mano, dall'altra un bel piatto di risotto caldo.

—Hop, lalà—fece il giovanotto alzandosi a sedere sul letto, e i suoi occhi, dopo aver fissato il risotto, si volsero alla ragazza, ringraziandola.

Cammilla arrossì di piacere. Finalmente, dopo tanto tempo, dopo tanto pensarci, era riuscita a fare cosa grata a suo cugino!…

—La zia Maddalena è scesa nello scrittoio ed io ho pensato di farti il risotto; la zuppa di rape era diventata lunga e salata. Ti ho fatto anche un piattino di rosticciana.

Giacomo tornò a sorridere guardandola; e restando sempre seduto sulla sponda del letto, l'aiutò, mentre disponeva sul comodino il bicchiere, il piatto e la bottiglia; la cameretta era un buco, non c'era altro che il letto, un cassettone, una seggiola, un catino; nessun posto per mettersi a mangiare.

—Grazie, Cammilla.

E proprio in quel punto, mentre la ragazza si chinava, posando sul tavolino la roba, egli osservò, per la prima volta, tutti quei capelli biondi, che cominciavano da ricciolini d'oro, sulla nuca rosata, e finivano in un grande ravvolgimento di trecce, di ciocche ondulate, massa pesante e ricadente sulle spalle.

Quando Cammilla scese per prendere l'altra roba, Giacomo cominciò a mangiare il suo risotto, pensando alla cugina.

—E il naso?… come mai?… Dacché è un po' ingrassata le si è raddrizzato, il mento e il nasone sono spariti.

Essa ritornò poco dopo colla rosticciana; e lui, sempre seduto sulla sponda del letto, le faceva cento domande, per tenerla lì, per non lasciarla andar via, per avere da ridere e da scherzare. E intanto la guardava, l'osservava, la scrutava, e la ragazza sotto quegli occhi si sentiva accendere il sangue, battere il cuore, mancare il respiro. Avrebbe voluto essa pure fissarlo a lungo per fargli capire che lo amava, ma non poteva resistere, abbassava gli occhi arrossando, impallidendo, tremante, vinta.

—Di profilo—pensava Giacomino—il naso torna a spuntare, ma di faccia è un naso regolare.

E come era divenuta grande e si era fatta donna, senza che lui se ne fosse accorto!

—Sono tuoi tutti questi capelli?

—E di chi dunque?—esclamò ridendo la ragazza.

—Scommetto che c'è del crespo.

—Oh no, te lo giuro.

—Allora bisogna, vedere per credere—rispose il. cugino fissandola sempre e ridendo maliziosamente, intanto che ingoiava la rosticciana.

—Guarda—e la fanciulla si chinò, allungando il capo. Giacomo sentì da vicino l'odore acuto, caldo dei capelli, ma intimidito da quella, franchezza, non osò toccarli. Invece le prese la mano.

—Come fai a cucinare il risotto e ad avere le mani così bianche?

—Ho visto le tue—rispose la Cammilla, superba di essere osservata.

—E i piedi? hai un bel piedino? Lasciami vedere.

—No, no, no!—gridò Cammilla, arrossendo, turbata, spaventata, e si chinò per nascondere i piedi sotto le vesti.

Ma l'altro voleva vedere ad ogni costo, e le prendeva la vita, le stringeva le braccia per sollevargliele.

—No, te ne prego, sta buono.

—Voglio vedere.

—Sta buono; domani.

—Voglio vedere.

—Guarda.—E Cammilla, alzatasi un poco la sottana, mostrò due piedi sformati nelle scarpacce sdruscite e sgangherate, ma coll'altro braccio si nascose gli occhi e pianse.

—È l'avarizia della mamma,—esclamò il cuginetto con galanteria.—Devi avere de' bei piedini. Fatti sentire dal babbo, e fatti fare degli stivaletti coi bottoni, alti così.—E le indicò come li portava la Fanny. Poi tornò a fissare, a guardare la Cammilla, con occhi esperti da conoscitore, immaginandola nell'amazzone attillata o colle spalle nude come la Fanny.

Se tutti quei capelli erano suoi… doveva essere uno splendore.

Cammilla si lasciava premere, accarezzare la mano. Guardava anche lei quegli occhi penetranti e sorridenti che la scrutavano in tutta la persona, poi chinava il capo turbata, intimidita, innamorata, e il piccolo seno palpitava sotto il grembiule di percallina, che dalle spalle e dal petto le scendeva fin quasi ai piedi, allacciandola stretta stretta alla vita.

Dagli occhi di Giacomo, a un tratto, venne quasi una chiamata, un invito: corse un lampo nel viso della fanciulla, poi ella ebbe un sussulto che parve un singhiozzo e fuggì.

—Cammilla! Cammilla!

Mentre la ragazza scendeva a precipizio la scala, Giacomo, rimasto solo, dette in una risata.

—Comincia a trovarci gusto a civettare. Scommetto che son tutte malizie per parer più donna che non sia: sotto i capelli, certo ci deve metter del crespo.

E mentre il ragazzaccio, già corrotto, dai baci, e più che dai baci, dal tradimento di Fanny, non indovinava, nè capiva nulla nel pudore verecondo della povera ragazza, questa sognava e spasimava tutta sconvolta e fremente per una inopinata e dolcissima speranza.

Finalmente egli l'aveva guardata!… Era riuscita finalmente a farsi guardare! Aveva vinto lei! Sì, aveva vinto, a forza di pazienza, di ostinazione, di tenacia: ma già non pensava a resistere. La dedizione del suo cuore era intera; voleva essere amata, non altro, pronta ad abbandonare in contraccambio tutta sè stessa, la sua giovinezza, la sua vita.

Sola, sola, tardi, nella sua cameretta, essa vegliava e si tormentava.

Le voleva bene?… Cominciava a volerle bene?… Aveva vinto, aveva vinto lei, dopo tante ansie, dopo tante angoscie, dopo aver patito il suo disprezzo, la sua ironia, il suo odio, dopo averlo visto innamorato di un'altra, pazzo per un'altra, tutto d'un'altra. Ora egli l'aveva guardata, con quegli occhi belli, vivi, acuti, penetranti. L'aveva guardata amorosamente, appassionatamente; e anche lei sentiva il fascino di quel sorriso che mostrava i denti bianchi sotto i baffetti biondi.

—Sì, sì; era sicura; piaceva a Giacomino, gli occhi di lui erano pieni di baci… e la fanciulla si buttava sul suo lettuccio, affondando il viso nel guanciale come per riceverli tutti.

Poi fece uno sforzo, si rizzò e cominciò a spogliarsi, ma con lui sempre in mente. Appoggiata alla sponda del letto, stette un pezzo a guardarsi i piedini nudi. Aveva ragione Giacomo, erano quelle scarpacce che li sformavano. Oh, ma il giorno dopo avrebbe fatto una scena allo zio: Voleva gli stivaletti alti così!

Poi, prima di coricarsi, corse al cassettone e, avvicinato lo specchietto, si sciolse tutti i capelli, se ne riempì le mani, e, chiusi gli occhi, prese a baciarli bisbigliando:—Sono tuoi, sono tuoi, prendili, sono tuoi.

Giacomo, da quella prima sera, non lasciava più in pace la Cammilla: la cercava, le correva dietro per le scale, la seguiva negli andirivieni degli stanzoni del fondaco. Avevano insieme lunghi colloqui, fra le botti d'aringhe e i barili d'olio. Egli scherzava fissandola sempre collo sguardo acuto e malizioso, ridendo co' bei denti bianchi luccicanti sotto i baffettini biondi; e anche la ragazza lo guardava estatica, a lungo… arrossendo, impallidendo, tremando, palpitando. Ma ogni giorno essa diventava più florida e più bella, come un fiore levato dall'ombra e messo al sole. Ogni giorno essa diventava più elegante, più flessuosa nel suo povero abitino, le sue industri manine parevano affinate dall'amore e il tic-tac degli stivaletti nuovi faceva risonare nel vecchio fondaco buio una nota insolita di gioventù e di gaiezza femminile.

Nessuno, in casa Trebeschi, badava a quei due ragazzi, eccetto forse la signora Maddalena che osservava tutto, spiando dai vetri del suo casotto. Ma la signora Maddalena si era imposto di non più fiatare; altri aveva voluto toglierle di mano le redini della famiglia, essa aveva accettato, e siccome era una Monghisoni, voleva insegnar a tutti quanti come si doveva essere fedeli ai patti conclusi. E forse… chissà? forse in cuor suo immaginava, aspettava un aiuto dall'amore e dagli eventi.

Il signor Daniele non era, di sua natura, un grande osservatore. Vedeva Giacomino allegro… e non credeva ai propri occhi. Giacomino doveva dissimulare il suo gran cordoglio, tanto è vero che si era cambiato, stava sempre in casa tutto il giorno, tutta la sera. Era impossibile che il ragazzo avesse dimenticato… sicuro; era impossibile che avesse dimenticato la signorina Fanny. E il babbo sospirava lui, anche per il figliuolo.

Così i due cugini erano liberi ed erano sempre insieme.

Una sera, poco prima di pranzo, Giacomo chiamò la Cammilla in fondo all'ultimo stanzone. Aveva da regalarle una bella cravattina rossa.

—Ma voglio mettertela io.—E per vederci tirò la fanciulla sotto la lampadina, davanti alla Santa Casa di Loreto. Essa alzò il capo per lasciarlo fare.

—Ma sono proprio tuoi tutti questi capelli?

Il ragazzo, intanto, le aveva fatto il nodo sfiorandole colle dita il mento delicato.

—Qui no—riprese colla voce rauca.—Non si può vedere. Come si fa?

—Come si fa?—ripetè la fanciulla.

Il ragazzo dette un'occhiata dietro alle botti: tutto il fondaco era pieno di gente, ma lì, in quel momento, non c'era nessuno.

—E se io, per donarti la cravatta, volessi un bacio?

Cammilla impallidì, i suoi occhi diventarono timidi e lucenti, le corse un fremito per tutta la persona, e sporse le labbra.

—Va via, vien gente!—bisbigliò Giacomino; ma poi trattenne la ragazza per la vita, e le dette il bacio sui riccioli della nuca.

Quel bacio!… Essa aveva sentito piegarsi le ginocchia, si era sentita morire; ma poi, dal suo cuore, dal suo sangue, da tutto il suo essere, prorompevano baci anelanti di rispondere al primo che Giacomino le avesse dato.

Era sua, tutta sua. E già coll'anima si era data spontaneamente, liberamente, senza esitazione, senza un rimorso.

Perché rimorso? Per chi? Non era libera di sè? Padrona di sè? Il suo pane se l'era guadagnato lei fin da bambina; non doveva niente a nessuno; nè ai suoi parenti di Melegnano che l'avevano mandata via perchè non avevano da mantenerla, nè a questi di Milano, che l'avevano fatta lavorare, sfruttandola come una serva. Non doveva render conto di sè a nessuno al mondo. A tutto il resto, all'avvenire, non pensava.

Che cosa c'era fuori del suo amore?… di là del suo amore?…

Al poi, il suo amore non ci pensava nemmeno. Amava come respirava; quando non c'è più aria, non c'è più vita—si muore.

Invece il cugino Giacomo seguiva un ben diverso ordine di idee.

—Ci sta—pensava, atteggiando le labbra quasi infantili ad un sorriso scettico, anzi cinico.—Ci sta, subito, come quell'altra. Ma questa, forse, per farsi sposare. Sono così false le donne, così perfide e così viziose!

Pure, ripensandoci, i begli occhi neri, scintillanti della cavallerizza, quando lo fissavano, gli dicevano tutt'altra cosa che i grandi occhi cilestri, nuotanti fra le lacrime della Cammilla.

L'una rideva con trilli di gioia quando egli la stringeva, e quasi la soffocava fra le sue braccia; questa tremava, pareva fosse lì lì per svenire, solo che egli le toccasse una mano.

Era una stupida! Si sa: veniva da Melegnano! Pure, l'odore di quei capelli?… Che odore strano, acuto, quasi selvaggio!

Che male c'è a farsi mostrare i capelli? Se era lei, lei stessa che aveva la smania di farglieli vedere?

Che male c'era a scherzare?… I baci tra cugini sono di regola.

Ridere, scherzare, nient'altro. Egli era un galantuomo—saperlotte!

Un giorno, una domenica, il babbo e i fratelli erano fuori, la mamma, al solito, nello scrittoio, e Giacomo, che teneva d'occhio la Cammilla, la vide uscir dal fondaco, attraversare il cortile, salir le scale.—Certo andava in camera sua.—Mancava poco all'ora del pranzo; andava in camera sua per ripulirsi e ravviarsi i capelli.

Giacomo si sentì spuntare una certa tentazione che lo mise in orgasmo.

Se fosse salito, se fosse entrato a sorprenderla?

Che c'era di male?… Esitò, aggrottò le ciglia. Ma, come un baleno, gli passò nella fantasia la visione di Fanny in sottanino, colle spalle nude: fece le scale di corsa e volle aprir l'uscio della ragazza, ma, lo trovò chiuso.

—Cammilla—bisbigliò—Cammilla…

Subito l'uscio s'aprì.

Egli rimase su due piedi, impacciato, sorridendo.

Essa lo chiamò con un accenno del capo, e poi chiuse l'uscio pianino, trattenendo il respiro per non farsi sentir di fuori.

La cameretta in quella penombra del crepuscolo era rischiarata appena dal fanale della strada, che stava proprio di faccia alla finestra.

—Vuoi i miei capelli?…

L'altro, guardandola, tremava, respirava ansante.

—Prendili, sono tuoi.—E chinando il capo, si appoggiò tutta contro il suo petto.

Giacomo non si mosse; con le labbra, appena, le sfiorò i riccioli del collo.

—Prendili, sono tuoi.—E Cammilla, rapidamente, snodate le treccie, cacciò le due mani dietro la nuca, sollevò tutta la massa bionda dei capelli e la rovesciò sulla testa di Giacomo. Questi baciò la faccia, gli occhi, cercò la bocca che lo cercava, e impresse un bacio sulle labbra tumide, ardenti.

Ma tosto le sentì diventar fredde ed esangui, mentre tutta la persona gli sfuggiva dalle braccia, e, prima che potesse trattenerla, scivolava a terra tramortita.

—Cammilla! Cammilla!…—balbettò Giacomo fuori di sè. Nella fioca luce della cameretta vide il lettuccio bianco; cercò di rialzare, per adagiarvela, la fanciulla svenuta; ma era troppo forte il suo tremito, il suo turbamento; si guardò attorno smarrito… poi scese a precipizio giù per le scale, afferrò nell'andito il cappello, il paltò, e continuò a fuggire infilando la porta.

XII.

L'aria frizzante della strada lo rimise in calma; cascava un nevischio minuto, e lui si levò il cappello per sentir sulla fronte il contatto di quelle goccioline ghiacciate. Così rinfrancatosi, sorrise del suo spavento.

—Un leggero deliquio; forse Cammilla lo ha fatto apposta. No, no; questo no,—Sentì rimorso di un tale sospetto, e nel tempo stesso si vergognò e s'arrabbiò di ciò che aveva fatto e tentato.

—In casa nostra: la nipote di mio padre, mia sorella, quasi!

Era stato sul punto di commettere un delitto, un odioso delitto; e senza un perché, senza una scusa.

La Cammilla?… Egli l'aveva sempre vista, senza curarsene nè punto nè poco; non gli era mai piaciuta, non l'amava.

No; sentiva di non amarla; non l'amava. Era stato un turbamento, un capriccio. Sopito l'eccitamento dei sensi, la Cammilla era ritornata quella di prima, indifferente, anzi seccante per le sue premure e per quegli occhi sempre facili al pianto e sempre in adorazione. Non sentiva più l'odore, l'acuta fragranza dei capelli biondi: non sentiva più l'allegro e giovanile tic-tac degli stivaletti risonare nei cameroni del fondaco: tutto il fascino era dileguato; essa era tornata come una volta, la Cammilla di Melegnano col naso lungo e il mento storto, la Cammilla che cucinava e lavava i piatti colle mani gonfie, rosse, screpolate.

E la ripugnanza s'accrebbe in lui per il pericolo corso di sposarla.

Ah no; sposarla no; non l'avrebbe mai sposata. Voleva essere libero; voleva divertirsi; e poi con quella lì? legato alla catena per tutta la vita? Ah no; con quella lì, anche meno che con un'altra.

Era proprio sfuggito a un gran rischio: era un galantuomo lui! e un po' più, ci restava impaniato per davvero!

—E adesso?… Che fare?

—Tornare a casa? Ritrovarsela tra i piedi? Tutti i giorni, tutte le ore, aver sempre davanti quegli occhi imploranti che lo avrebbero tormentato colle tante accuse, o peggio angustiato coll'umile e devota rassegnazione?

Oh Dio, che bisogno aveva di un po' di Fanny, la Fanny ridente, la
Fanny sempre allegra!

Ma no, partire piuttosto, per sempre, in mare, in capo al mondo, come voleva sua madre.

Anche questa del partire però sarebbe stata una bella penitenza. E sospirò: era proprio disgraziato.

Intanto bisognava tornare a casa; non c'era verso, bisognava tornare a casa e spiegarsi con Cammilla.

L'aveva ingannata, doveva disingannarla.

Che cosa le avrebbe detto?

Che aveva scherzato?… che aveva fatto per chiasso?… E lei, che cosa avrebbe potuto rispondere?—Se scherzavi tu, sapevi che non scherzavo io. Sapevi ohe ti davo, coll'anima, il mio sangue, il mio onore, e ti sei comportato con me, con la nipote di tuo padre, in casa tua, come con una servaccia d'albergo.

Ma che! la Cammilla non avrebbe risposto così, non avrebbe risposto niente; tutt'al più un singhiozzo represso, e sarebbe stato peggio.

Eppure, sì, bisognava spiegarsi, parlar chiaro, una volta per sempre.

Ma era ancora presto: poteva aspettare una meza'oretta. E continuò a passeggiare sotto il nevischio, col vento gelato in faccia, per le viuzze buie, diguazzando nelle pozze e affondando nel fango e nella neve. Finalmente, stracco e rifinito—non aveva ancora desinato; e la fame, senza che lui se ne accorgesse, gli raddoppiava l'uggia ed il freddo nelle ossa—si trovò, per caso, sulla piazza del Duomo, anch'essa, in quella prima ora della sera, deserta e melanconica sotto il vento e la neve. Soltanto attorno al Duomo le vetture da nolo ferme e nere, e i tram risonanti che passavano al trotto dei cavalli, pieni di ombre vaghe dietro i cristalli appannati… più oltre, sotto la galleria e sotto i portici, una lunga distesa di luce squallida, donde, tra le falde della neve, echeggiavano le vociacce degli strilloni:

—La gran vittoria degli Italiani in Africa!

Giacomino non attraversò la galleria, continuò a passeggiare fuori dei portici; nondimeno, pensando che sotto i portici c'erano il Biffi e il Savini, sentì quasi il tepore e il profumo dei cibi e si accorse che aveva fame. Ma non aveva un soldo in tasca; bisognava tornare a casa.

E il giorno dopo?… Sempre quella vita. Partire, per dove?… E poi suo padre non lo avrebbe lasciato partire.

Giacomo aveva notato il gran mutamento avvenuto nei rapporti fra il babbo e la mamma; e credendo di aver indovinato, spiegava tutto a suo modo: il babbo aveva avuto il gran coraggio dei disperati, aveva messi i piedi al muro perché la cambiale fosse pagata e Giacomino non fosse imbarcato, tantoché la mamma aveva dovuto finire col baciar basso.

—La gran vittoria degli Italiani in Africa!

Il vento si era fatto più forte e più gelato, e Giacomo non poteva più andare avanti. Si calcò il cappello in testa perché non gli volasse via, e facendo una giravolta si trovò in faccia ad una donna cenciosa, che pareva una strega, con una cassetta di fiammiferi e di giornali appesa al collo.

—Supplemento straordinario!—borbottò con voce da ubbriaca.—La gran vittoria degli Italiani in Africa!

Giacomo scansò la donna e tirò dritto, giù per il Corso; ma poi a un tratto esclamò:

—In Africa! Saperlotte!

La sua risoluzione era presa.

La Cammilla, quella sera, non si era fatta vedere. Il signor Daniele era salito domandandole, di dietro l'uscio, perché non scendesse a pranzo, ed essa gli aveva risposto che era a letto coll'emicrania, che non aveva bisogno di nulla, che il giorno dopo sarebbe stata bene. E il giorno dopo, infatti, si alzò prestissimo; sapeva, presentiva che si sarebbe incontrata con Giacomino, e che quel loro colloquio sarebbe stato l'ultimo; il suo cuore non aveva più speranza. Quando nella sua cameretta si era riavuta e riaperti gli occhi si era trovata sola, per terra, aveva capito che l'abbandono di quel momento era l'abbandono di tutta la vita. Non pianse, non sospirò. Si alzò pallida, aggrottando le ciglia, e una prima ruga solcò la sua fronte candida e serena.

—Io sì però; io sempre. Lui solo, e nessun altro.

S'incontrarono nel fondaco e daccapo nell'ultimo stanzone.

Giacomo era là ad aspettarla: a lei nessuno glielo aveva detto, ma vi andò difilata.

—Sai—le disse subito Giacomino—oggi vado al Distretto per arruolarmi: sono già inteso con mio padre. Farò la domanda per entrare nel ventiquattresimo fanteria, a Torino; c'è un capitano che è mio amico.

La fanciulla lo guardava fisso, restando immobile e muta. Egli aveva altro a dirle, e lei voleva udir tutto.

—Sai perché non vado più in cavalleria, com'era stata la mia prima idea? Questo, ancora non l'ho detto a mio padre; lo saprà a suo tempo. Perché voglio andare in Africa a battermi.

Gli occhi grandi e celesti che fissavano Giacomo si empirono di lacrime; il seno della fanciulla batteva forte forte sotto il grembiule di percallina; ma essa rimaneva immobile e muta: voleva udir tutto.

—Capirai—ripigliò il giovinetto dopo un momento—io resterò lontano molti anni.

—Aspetterò—rispose semplicemente la Cammilla con una voce così grave e lenta, che pareva uscisse dal più profondo dell'anima.

—Potrei anche non tornar più. Io, peraltro, non posso, non devo ingannarti—riprese Giacomo abbassando lo sguardo, titubando, sentendo tutto il rossore della vigliaccheria che stava per commettere.—Io lo dico, perché devo dirtelo francamente, per il tuo avvenire, perché tu devi essere libera… affatto libera… capirai, interamente libera.

—Ho capito—rispose la fanciulla interrompendolo.—Ho capito tutto, ma non importa, aspetterò—sempre.

—E se io ti dicessi…—principiò l'altro con un fremito d'impazienza nella voce rauca; poi si fermò.

—Che cosa puoi dirmi, che non mi sia detto anch'io?… Ma non importa; per me è così, è sempre stato così, sarà sempre così.

Tre mesi dopo, il fondaco Monghisoni era sossopra. Doveva arrivare
Giacomo da Torino, per salutare la famiglia e ripartire per l'Africa.

La signora Maddalena aveva ripreso da due o tre giorni, e per questo fatto, a dar le sue grandi strapazzate.

Chi la capiva più? Lei che aveva sempre voluto liberarsi di quel manigoldo, mandandolo in mare, in capo al mondo, adesso che egli si era arruolato, che doveva proprio ripartire quella sera stessa irremissibilmente, adesso la signora Maddalena era su tutte le furie e strillava contro tutti, cominciando da quell'Africa maledettissima, la rovina del commercio, poi contro il Governo, contro i commessi e i facchini che si perdevano in chiacchiere, contro Temistocle e Gian Maria che non avevano cuore. Fissava sulla Cammilla certi sguardi rabbiosi; pieni d'ironia e di sarcasmo, come per dirle:

—Nemmeno tu sei stata capace di tenerlo a casa. Se tu avessi saputo fare, quello lì, invece di andare in Africa, avrebbe potuto sposarti e mettere giudizio.—Stupida! Stupida la Cammilla! Stupida io!

—Forse—pensava la signora Maddalena—anzi, senza forse, certo, certissimo, se ci fosse stato di mezzo un po' di tempo, tre mesi, un. mese, quindici giorni, avrei potuto avvezzarmi. Ma così, detto fatto, da un'ora all'altra, senza remissione, senza nemmeno potersi fermare fino al treno dopo, per non passare da disertore…

Sicuro, essa aveva voluto imbarcarlo, quando Giacomino ne faceva di tutti i colori, anche adesso lo avrebbe mandato via per un anno, per due, perché si facesse uno stato indipendente. Ma non a farsi scannare in quella maledettissima Africa!

Soltanto quando c'era Daniele, taceva; marito e moglie si scansavano il più possibile; l'uno avendo quasi vergogna dell'altro, pel proprio dolore.

Daniele, per conto suo, si spiegava quella risoluzione del figliuolo col suo amore per la signorina Fanny, amore che il povero ragazzo non era riuscito a vincere.

—Certo non può…. non potrà mai dimenticarla!

E il buon Daniele, fra le lacrime che gli solcavano le gote smorte e gli rigavano il naso verdognolo, nella sua grande ambascia pel figliuolo che partiva, sospirava, sospirava pure per quell'altra, dietro a quell'altra lontana… il sogno, la visione; il solo punto luminoso della sua vita oscura e misera: la figuretta nera nell'amazzone attillata, a cavallo di Gladiator, il cappello a cilindro e il garofano rosso…

E Gladiator, tutto dritto, che zampava in aria? e il grido, quel grido dalla vocina acuta e ridente: hop!

Il signor Daniele rabbrividiva, poi sorrideva, poi tornava a sospirare profondamente.

No, no, no; il povero ragazzo non avrebbe mai potuto dimenticarla.

Intanto Giacomino, coi distintivi di caporal maggiore sulla giubba di tela e coll'elmetto dei soldati d'Africa, destava la meraviglia dei commessi, dei fattorini, di tutta la gente del fondaco. Colle mani in tasca e colla sigaretta in bocca, battendo a terra la punta del piede in atto di spavalderia soldatesca, raccontava i fasti del quartiere, come aveva saltata la barra, come aveva risposto a tono al tenente, come avrebbe fatto in Africa e tornando d'Africa a passare in cavalleria, perchè, già, non voleva rimanere a lungo fra i pista pauta.

No, non era più Giacomino: come si era mutato in quei tre mesi!

Aveva perduto l'aspetto fanciullesco e l'umore allegro, aveva perduto quell'ingenua freschezza che rendeva simpatiche anche le sue mariuolerie. Sogghignava, invece di sorridere, e la bocca giovanile, coi denti bianchi sotto i baffi impeciati, puzzava di acquavite; nel parlare, mischiava un po' di piemontese a un po' di napoletano, e mentre Temistocle ammirava la sua daga e Gian Maria si provava l'elmetto, egli seguiva con l'occhio freddo e indifferente ogni passo della Cammilla per essere pronto a schivarla se gli fosse venuta appresso.

—Com'è diventata secca!—Accidenti!—E che naso!

Il signor Daniele, sempre più agitato e affannato, girava attorno al figliuolo; gli si accostava, lo chiamava; voleva pigliarselo lui una buona volta, lui solo, tutto per sè. Era l'ultimo giorno, le ultime ore, erano gli ultimi momenti! Gli voleva parlare, voleva sapere tutte le sue intenzioni, voleva che Giacomino gli aprisse il suo cuore.

—E se fosse pentito di andare in Africa?

Gli fé cenno col capo: poi gli battè sulla spalla.

L'altro non gli badava, nè si moveva, sempre beato di farsi ammirare da tutto il fondaco. Daniele aspettava che Giacomino avesse finito; rideva anche lui cogli altri; ma soltanto a fior di labbra. Aveva bisogno di star solo con lui, ma non osava interromperlo.

No, non era più il suo Giacomino; non era più quello di una volta; adesso era diventato più alto, più forte, più bello; si era fatto uomo e il signor Daniele si sentiva intimidito dalla sua divisa, dal suo gergo soldatesco, dal suo piglio di spaccamontagne.

Finalmente si fece coraggio: sapeva o immaginava che anche Maddalena avrebbe avuto da parlare al figliuolo e voleva essere il primo.

Lo prese a braccetto:

—Scusa, un momentino, due parole soltanto.—E se lo portò in fondo allo stanzone, dietro al banco, dove aveva la sua seggiola.

—Dimmi la verità… proprio la verità….—balbettò il signor
Daniele con voce supplichevole, e rotta da un singhiozzo.

—Sicuramente!—rispose Giacomo coll'aria seccata, e tenendo sempre le mani in tasca e la sigaretta in bocca.

—Sei pentito d'andare in Africa?

—Niente affatto.

—Se lo avessi saputo in tempo, io mi sarei opposto; non lo avrei permesso. Capisco tutto, ma una simile risoluzione, no, abbandonarmi, no!

—Due o tre anni, e poi si torna.

—Ma, non sai, per me che sono vecchio, come son lunghi, come possono essere lunghi due o tre anni?

—Che ci posso fare?—esclamò Giacomino con una gran boccata di fumo.

—Ho indovinato tutto, capisco tutto; ma dovresti avere un po' di cuore, anche per me.

—E che ci posso fare? Non c'è rimedio!

—Io non me ne intendo; ma se si potesse mettere un cambio, io sono disposto a spendere quanto occorre. Oggi, ti pare così, ma domani ti pentirai. No? Ti pentirai. Lontano dalla tua famiglia, lontano da tutti. Credi così di… di dimenticare?… Quando ti troverai laggiù… solo; sarà peggio.

Giacomo non capiva dove suo padre andasse a parare. Ma tre mesi di quartiere, se lo avevano cambiato molto, non lo avevano cambiato del tutto. La faccia stravolta, le lacrime del povero uomo, a poco a poco, ritrovavano la via del suo cuore, ed egli si stizziva per paura d'intenerirsi come una volta.

—Laggiù ci sarà da menar le mani. Farà caldo laggiù; e non ci sarà tempo da pensare al resto.

Il signor Daniele rabbrividì: se glielo ammazzavano il suo figliuolo? Lo abbracciò strettamente, lo accarezzò, e gli disse sottovoce, baciandolo sui capelli:

—Dovevi pensare anche a me, e non soltanto a lei.

—A lei?… A chi?

—Ho capito subito; ho capito tutto. Ti compatisco, ti compiango; ma non dovevi pensare soltanto a lei, dovevi pensare anche a me.—E continuava a stringerselo al cuore, ad accarezzargli e baciargli i capelli, a bagnargli il viso di lacrime.

—Ma lei?… Lei, chi?—continuava l'altro a ripetere, a domandare.—Lei?… Chi?

Il signor Daniele appoggiò tutta la faccia sul capo del figliuolo, e gli bisbigliò nei capelli con un lungo sospiro, con tutto lo strazio del suo cuore.

—La signorina… la signorina Fanny.

—La cavallerizza?…—La generalessa?—esclamò Giacomino con una gran risata, sciogliendosi vivamente dalle braccia del babbo.—Ma non sai…—E stava per raccontarne una molto bellina al babbo: stava per dirgli che monsieur Richard non era mai stato monsieur Richard, cioè che non era mai stato il fratello di sua sorella, quando ad un tratto fu interrotto dalla voce squillante della signora Maddalena che lo chiamava nello scrittoio.

—Vengo, mamma!

Giacomino si avviò, ma poi, vista la Cammilla, tornò indietro girando fra i barili e le botti; ma la ragazza che stava in vedetta, gli andò incontro risolutamente e lo fermò.

—Mi ha chiamato la mamma—disse Giacomo duramente.—Lasciami passare.

Cammilla non si mosse; lo guardò fisso cogli occhi aridi, bruciati dalle lacrime.

Io, sempre.—Questo volevo dirti, e nient'altro. Io, sempre. Adesso va,—E sparì con un singhiozzo, mentre la signora Maddalena continuava a chiamare; Giacomino.

—Eccomi, mamma, eccomi!—ripetè il giovanotto, entrando in due salti nello scrittoio, e presentandosi dinanzi a sua madre ritto, impalato, come dinanzi al colonnello.

—Dentro, e chiudete l'uscio.

Giacomo eseguì prontamente, e tornò a mettersi in posizione.

—Lì.—La signora Maddalena, ch'era seduta nella poltroncina, gl'indico il canapè.

Il giovanotto sedette, e sdraiandosi un poco, sorridendo, cacciò la daga fra le gambette lunghe e sottili.

—Ci deve essere un perché sotto questo nuovo capriccio dell'Africa. Che c'è? Sentiamo.

—No, mamma. Quello che ti ho detto è la verità. Laggiù c'è da menar le mani e da far fortuna.

—Bella fortuna! La fortuna che ci manda tutti quanti in malora—borbottò rabbiosamente, diventando pallida per la stizza, la signora Maddalena. Poi si calmò.—Non si fa un progetto simile… senza dir niente a nessuno, se non c'è il suo perché. Per tua regola, io ho la testa sulle spalle, e ho sempre un occhio aperto, anche quando dormo. Tu hai fatto perdere la testa alla Cammilla; poi, dopo, averla stregata, te ne sei seccato, e per cavartela pulitamente hai pensato di andare in Africa. Già, ventiquattr'ore, il capriccio del momento, il caffè del dopopranzo, e poi non ci si pensa più! Eppure, vedi, le donne, tutte, anche le peggiori valgono meglio, molto meglio di tutti voialtri. E quella ragazza lì, quella povera stupida… ha un tesoro qui e qui.—E così dicendo la signora Maddalena si era dato un pugno sul petto e un altro sulla fronte.

Giacomo guardava sua madre sbalordito.

—Quella povera stupida, che formerebbe la felicità e la fortuna di un galantuomo, ha tanta bontà, tanta pazienza e tanto cuore da poter convenire, meglio di ogni altra, anche a una testa matta come te. Il giudizio che non c'è da una parte, ci sarebbe dall'altra.

—Ma io, mamma, io ho preso la ferma; io devo partire; parto oggi stesso.—E Giacomino si alzò; pareva che volesse andarsene sul momento.

—Lì,—intimò la madre, facendolo sedere sul canapè per la seconda volta.

La signora Maddalena, che metteva in tutto l'aritmetica e accomodava tutto coll'aritmetica, anche i rimorsi e gli scrupoli, non voleva rinunciare al suo disegno. Giacomino, sposando la Cammilla, diventava nipote da una parte come era figlio dall'altra, e la signora Maddalena, facendo la somma delle parentele, degli affetti, degli interessi, dei diritti, ne ricavava un totale che la metteva in regola col patrimonio e in pace colla coscienza.

—Lì.—Quando poi il figliuolo si fu rimesso a sedere, essa, come faceva qualche rara volta, lo guardò spianando la fronte con grande compiacenza. Anch'essa lo accarezzò sui capelli, poi gli guardò a lungo la bocca bella, dai denti bianchi, e la baciò.

—Non ti dico di sposarla adesso. Hai tempo davanti a te. Quando torni, vuoi continuare a fare il militare? Puoi sposarla lo stesso. La Cammilla è di quelle donne rare, che si trovano sempre quando si vogliono, e non seccano mai. Poi avrà una dote grossa. A questa, se non ci penserà suo zio, ci penserò io. E tu, ricordati, starai male a quattrini, ne avrai meno de' tuoi fratelli, perché essi hanno il capo a lavorare, e tu a divertirti.

—Oh, mamma! io non ci penso a queste cose!

—Sicuro;—esclamò Maddalena, ridendo ironicamente del disinteresse, un po' altezzoso e sprezzante, del figliuolo.—Tu non ci pensi a queste cose, perché trovi sempre la minestra scodellata, e il babbo ti paga le cambiali.

—Allora, per tornare all'altro discorso, ti dirò che non ho nessuna intenzione di prender moglie.

—Adesso, ma fra qualche anno? E ricordati bene: se non vuoi quella lì, nessun'altra. Io, in casa, non voglio facce nuove. Quella lì la conosco; sposandola, faresti la tua felicità, la sua e la mia. E faresti il tuo dovere, perché colle ragazze non si scherza, signor mio. Ce ne son tante delle pazzarelle che non domandano altro che di rovinarsi; ma le ragazze a modo si rispettano, e quella lì poi… la nipote di tuo padre… Non l'hai vista, poverina? Che faccia! che occhi! Non fa che piangere.

—No, mamma—rispose Giacomino, diventando serio alla sua volta, con accento risoluto.—No. Avrò fatto male; ma farei peggio a sposarla. Le avrò dato un dolore; sposandola, la renderei infelice per tutta la vita. Io non voglio prender moglie. Voglio fare il militare. Ormai ci sono, mi piace, ci sto.

La signora Maddalena continuò ad accarezzare il figliuolo; era paziente perché capiva che in quelle cose lì, e con un tomo come quel suo ragazzo, non si può riuscire alla prima e ci vuol molta pazienza, dolcezza e persuasione.

—Fra un anno, fra due, fra tre; quando sarà. Per ora non le devi dir altro che una parola per consolarla, per rimediare alla tua condotta con lei, per mostrarti galantuomo. Oh, quella povera ragazza aspetterà, e anch'io, ti perdono tutto, anche questo capriccio maledettissimo dell'Africa e anch'io ti aspetterò più tranquilla, e mi farai proprio contenta, e ti vorrò molto più bene.

Giacomo rimase confuso e sorpreso da quella nuova effusione, da quella improvvisa tenerezza; non osava rispondere, non sapeva che dire.

La mamma singhiozzava! Sì; lo bagnava di lacrime, abbracciandolo stretto stretto, appassionatamente. Lo abbracciava così per la prima volta.

E Maddalena mormorava sotto voce, premendosi il capo del figliuolo contro le gote calde e molli di pianto:—Forse ti sarò sembrata ingiusta, cattiva certe volte; senza cuore. Ebbene, accontentami in questo; sposa la Cammilla, e vorrò più bene a te, molto più bene a te che a tutti gli altri.

—No, mamma; è impossibile—rispose Giacomo arricciandosi i baffetti scomposti. Parlava tranquillamente, senza nessuna commozione, da uomo che fa un ragionamento e nient'altro.

—No, mamma; colla Cammilla sarò stato imprudente, avrò avuto torto; ma ho scherzato, nient'altro: come ha scherzato anche la Cammilla del resto. Sposarla no,—e la faccia del giovanotto così dicendo diventava dura, gli occhi si facevan torvi; capiva di dover combattere contro l'amore di quella testarda, e combatteva accanitamente.—Sposarla, no; nè quella lì, nè nessun'altra; ma quella lì poi, meno di ogni altra. Sarà così, perchè è mia cugina, perchè l'ho sempre veduta, perchè non l'amo, perchè sento che non l'amerò mai, perché non mi piace, perchè…

—Perchè non hai cuore! Te lo dico io! Perchè non hai cuore!—interruppe Maddalena, frenando la voce per non farsi sentire nel fondaco, ma diventando livida di rabbia.—Sei un egoista senza cuore! Un vizioso, un mostro, una canaglia! Tutti, cominciando da.. quel balordo—si riferiva certo al signor Daniele—dovrebbero imparare da me a valutarti secondo i tuoi meriti. Vattene! Vattene! In Africa, in malora, a casa del diavolo! Va via!

E Giacomino, se ne andò; dopo qualche ora partì, chissà per quanto tempo, chissà per quanti anni; e partì sorridendo, sempre colla sigaretta in bocca, levandosela appena per ricevere i baci dell'addio, per asciugarsi le gote bagnate di lacrime, lacrime non sue, ma degli altri che lo baciavano piangendo.

Un momento solo fu lì lì per commuoversi, tornando il Giacomino d'una volta; e fu nell'abbracciare suo padre.

Il pover'uomo era così pallido, così disfatto… ed era sempre stato buono!

Giacomino non volle assolutamente che lo accompagnassero alla stazione; lo seccava di dare spettacolo alla gente.

—Addio! Scriverò!… Buon dì, Teresa—e saltò in fretta nella vettura, gridando al cocchiere:

—Alla stazione centrale! Allez! vite!

La Cammilla non era stata presente a quella partenza. Nessuno, del resto, se n'era accorto, fuorchè Giacomino e la Maddalena. Lui, che temeva di quell'incontro, dapprima aveva avuto piacere di non vederla; ma poi ne era rimasto quasi seccato; e la zia dal canto suo non aveva avuto cuore di chiamar la ragazza per farla assistere a quella partenza.

La Cammilla era rimasta sola, accasciata, nell'ultimo standone del fondaco, immota, cogli occhi asciutti e spalancati nel buio.

Era rimasta così lungamente, insensibile al tempo, insensibile al dolore; non aveva nemmeno la forza di pensare a colui che era partito, senza salutarla, senza dirle una parola, lasciandola forse per sempre, con un moto di stizza e con una spallata.

Che cos'era successo? cos'era morto in lei?… Il suo cuore era stato spezzato, e anche la sua vita era stata spezzata… era finita.

No, la vita no. A poco a poco cominciava a riaversi, a sentirsi viva, ancora viva, per un primo fremito di collera e di ribellione.

—No, basta…—più!

Si alzò, si asciugò gli occhi colla palma della mano così forte da schiacciarsi quasi le pupille, e ritornò al suo posto come gli altri giorni, al suo banco, a scrivere, a far conti, a lavorare.

Il fondaco Monghisoni, dopo una breve sosta nel momento degli addii a Giacomino, aveva ripreso la solita vita affaccendata e rumorosa. Di nuovo c'era questo soltanto: Temistocle e Gian Maria, che s'eran messi a chiamarsi per ischerzo, l'uno Menelik e l'altro Mangascià. Era l'ultimo ricordo e quasi l'ultima traccia del giovane soldato, oramai partito e andato lontano, lontano…. in quei brutti paesi del malaugurio, come borbottava la signora Maddalena.

—Mangascià!… Menelik!…

La Cammilla volle ridere anch'essa, a quello scherzo—perché no?—Ormai basta;…—più! E sforzandosi volle chiamare anch'essa Temistocle, Menelik. Poi si volse, coll'animo disperato, laggiù, nel fondo buio, dove dondolava il lampadino acceso dinanzi alla Santa Casa di Loreto. Ed esclamò trucemente:

—Tutto falso! tutte bugie!

Guardò fissa, con aria di sfida, l'immagine benedetta, e, col sogghigno beffardo di… di quell'altro, ripetè:

—Tutto falso! Tutte bugie! Non c'è nulla di vero, nè di qua, nè di là.

Tuttavia c'era quaggiù qualche cosa di vero e di grande: il dolore del signor Daniele. Quando la Cammilla guardò quel povero babbo, quando tutti e due si guardarono negli occhi, quelli della fanciulla lampeggiarono; essa scappò via dal fondaco, fece le scale di corsa, e si rinchiuse nella sua camera, dove si buttò sul letto, prorompendo in singhiozzi disperati.

Lei sì, sempre, come prima!

Ricominciava a piangere e a sentire il dolore: ricominciava a vivere.

—Giacomo! Giacomo!…—Oh, egli era partito! Era lontano!… Non la udiva più!—Giacomo! Giacomo!…—e il cuore di Cammilla tornava ansioso a cercarlo, e il suo pensiero a seguire una nave fumante nel mare plumbeo, nel mare immenso… una nave che si allontanava sempre, e scompariva sull'orizzonte bigio e nella densità della notte.

Si asciugò le lacrime, facendo uno sforzo per cercarlo, per vederlo, per seguirlo sempre….

Egli era solo solo, colla nostalgia profonda di quel primo tramonto, in quel deserto di acqua bigia e di cielo buio; e allora Cammilla non soffrì più del proprio dolore, ma soltanto della nuova tristezza di lui, e con uno slancio supremo di tutta l'anima, di tutto il suo amore, di tutti i suoi baci, gli disse ancora, non per sè, ma per lui, come a consolarlo ed a rinfrancarlo, perché non si sentisse più solo in quel mare immenso; in quel mare ignoto:

—Io sì! Io sì! Io sempre!

Quella sera, appena scodellata la minestra, il signor Daniele scese nel fondaco. Si avvicinò allo scrittoio, si fermò un istante ancora titubante, poi risoluto, aprì l'uscio di colpo.

Maddalena ebbe appena il tempo di nascondere il fazzoletto col quale si asciugava gli occhi e di rimettersi a scrivere.

—No, no, Maddalena; non aver paura di me… Vedi… anch'io come soffro, come sono ridotto.

Il signor Daniele si mise a sedere sul canapè, si trasse la moglie vicina, se la strinse forte contro il petto e le disse ancora con tutta l'angoscia del suo cuore di babbo, con tutta l'effusione della sua timida e grande bontà:

—Non fingere più con me; non fingere più. Oggi abbiamo tanto bisogno
di sfogarci insieme. Nelle stanze di sopra, non mi posso vedere:
Temistocle, Gian Maria… non fanno altro che ridere e scherzare.
Lasciami star qui con te…

E avvicinandosi di più, le bisbigliò pianino all'orecchio:

—Sai?… quella tua storia, di quel giorno, non l'ho mai creduta!….

L'accarezzò ancora, le diede un bacio sui capelli, e accortosi che singhiozzava, se la strinse più forte al petto, esclamando con un gran sospiro:

—Povero il nostro figliuolo!… Chissà, a quest'ora, dove sarà!
Maddalena… di', di'… Maddalena, dove sarà?…

FINE.