The Project Gutenberg eBook of Le monete di Venezia descritte ed illustrate da Nicolò Papadopoli Aldobrandini, v. 1

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Title: Le monete di Venezia descritte ed illustrate da Nicolò Papadopoli Aldobrandini, v. 1

Author: Nicolò Papadopoli Aldobrandini

Release date: October 2, 2009 [eBook #30164]
Most recently updated: January 5, 2021

Language: Italian

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LE MONETE DI VENEZIA DESCRITTE ED ILLUSTRATE DA NICOLÒ PAPADOPOLI ALDOBRANDINI, V. 1 ***

Produced by Piero Vianelli

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NOTE DEL TRASCRITTORE.

Il titolo del libro indica il nome "Nicolò Papadopoli Aldobrandini", assunto dall'autore nel 1905 utilizzato nei volumi successivi e/o nelle edizioni successive dell'opera.

Il sottotitolo "Parte prima. . .", assente nella edizione trascritta, è ripreso dalle edizioni successive dell'opera.

Le citazioni evidenziate nel testo originale con il segno di virgolette ripetuto ad ogni linea sono qui formattate come paragrafi rientrati e tra virgolette.

Nell'edizione qui trascritta, le iscrizioni delle monete sono stampate utilizzando caratteri non apaprtenenti alla tavola "Latino standard" Unicode: in questa trascrizione in formato testo, sono stati utilizzati i seguenti nomi per rappresentare i caratteri speciali utilizzati dall'autore per rappresentare lettere latine medievali, legature e/o segni della moneta.

CARATTERI SPECIALI UNICODE.

CON = Latin Extended D+A76E — Latin capital letter CON.

EPSILON LUNA = Greek and Coptic U+03F5 — Greek lunate epsilon symbol.

EZH = Latin Extended B+01B7 — Latin capital letter EZH.

H SEGNO = Latin Extended A+0127 — Latin small letter h with stroke.

OI = Latin Extended B+01A2 — Latin capital letter OI.

P SEGNO = Latin Extended D+A750 — Latin capital letter P with stroke through descender.

QUAM = Latin Extended D+A756 — Latin capital letter Q with stroke through descender.

RUM TONDA = Latin Extended D+A75C — Latin capital letter RUM rotunda.

CARATTERI SPECIALI NON UNICODE.

ALFA CEDILLA. Lettera alfa minuscola con cedilla.

C QUADRATA. Lettera C maiuscola scritta con tre segmenti di retta.

C QUADRATA SEGNO. Lettera C quadrata con segno diagonale.

C SEGNO. Lettera C maiuscola con segno diagonale.

D SEGNO. Lettera D maiuscola con segno diagonale.

EZH CODA. Versione maiuscola del carattere unicode Latin Extended
B+01BA — Latin small letter EZH with tail.

I SEGNO. Lettera I maiuscola con segno diagonale.

L SEGNO. Lettera L maiuscola con segno diagonale.

N SEGNO. Lettera N maiuscola con segno diagonale.

RUM. Versione maiuscola del carattere unicode Latin Extended
D+A776 — Latin letter small capital RUM.

T SEGNO. Lettera T maiuscola con segno diagonale.

LEGATURE.

Le legature di coppie di lettere latine vengono indicate con la parola "legatura" seguita dalla coppia di lettere tra loro legate. Le coppie usate nel testo sono:

AR, AV, HE, HL, HR, HT, MA, MP, MR, NE, NP, NR, TH, VA, VE.

Viene poi indicata con "legatura H, C QUADRATA SEGNO" la legatura tra i due caratteri H e C QUADRATA SEGNO.

PUNTEGGIATURA.

Con "un punto sopra due punti" si indica una punteggiatura latina medievale simile al carattere unicode U+2234 — Therefore.

Con "due punti in verticale" si indica una punteggiatura latina medievale simile al carattere unicode U+2236 — Ratio.

Con "quattro punti in quadrato" si indica una punteggiatura latina medievale simile al carattere unicode U+2237 — Proportion.

Con "tre punti a destra" si indica una punteggiatura latina medievale simile al carattere Unicode U+2234 — Therefore ruotato di 90 gradi in senso orario.

Con "tre punti a sinistra" si indica una punteggiatura latina medievale simile al carattere Unicode U+2235 — Because ruotato di 90 gradi in senso orario.

La parola "ruotata" nella descrizione delle iscrizioni significa una rotazione di 90 gradi in senso orario, se non indicato diversamente.

La parola "capovolta" nella descrizione delle iscrizioni significa una rotazione di 180 gradi.

La parola "simmetrica" nella descrizione delle iscrizioni significa una trasformazione speculare lungo l'asse verticale.

Le elencazioni delle monete sono state rese omogenee utilizzando lo standard dei primi capitoli: nome, titolo e peso di ogni moneta precedono l'elenco numerato delle varianti.

Le note a piè di pagina sono riportate a fine di ogni capitolo, e sono state rinumerate.

Le punteggiature delle citazioni bibliografiche sono state rese il più possibile omogenee.

Le punteggiature decimali sono state rese omogenee e coerenti con la notazione moderna: il punto separa le migliaia e la virgola separa i decimali.

Per la rappresentazione dei segni dei massari si è utilzzata la seguente notazione: - campo 1 = segno posto sotto i gomiti del Redentore a sinistra; - campo 2 = segno posto sotto i gomiti del Redentore a destra; - campo 3 = segno posto presso le gambe a sinistra; - campo 4 = segno posto presso le gambe al centro; - campo 5 = segno posto presso le gambe a destra.

Per consentire l'uso di programmi di lettura digitale, sono state sciolte le abbreviazioni (ad esempio: "gr. ven." in "grani veneti").

Il testo è stato modificato come da "Errata . . . Corrige", che comprendono anche quelle originarie.

Le nuove pagine sono indicate con l'indicazione [Nuova pagina].

Le parole in greco sono precedute dalla notazione [Greco[, e seguite dalla notazione ]Greco].

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ERRATA . . . CORRIGE.

1. "Prefazione", nota (2):

grammi 238,4994 . . . grammi 233,4994.

2. Vari punti del testo:

oncie . . . once.

3. "Origini della zecca e prime monete di Venezia", paragrafo che inizia con "Naturalmente fu uno scrittore. . .":

dipendenza dell'impero . . . dipendenza dall'impero.

4. "Origini della zecca e prime monete di Venezia", paragrafo che inizia con "Indipendentemente da questo pregio. . .":

traccie incancellabili . . . tracce incancellabili.

5. "Origini della zecca e prime monete di Venezia", paragrafo che inizia con "Altra conferma. . .":

cominciô . . . cominciò.

6. Vari punti del testo:

Galliccioli . . . Gallicciolli.

Galliciolli . . . Gallicciolli.

7. Vari punti del testo:

Museo Brittanico . . . Museo Britannico.

8. "Lorenzo Tiepolo", paragrafo che inizia con "Da tutto ciò. . .":

è la regione . . . è la ragione.

9. "Vitale Michiel", paragrafo che inizia con "Questa monetina, . . .":

un'esame . . . un esame.

10. "Vitale Michiel", paragrafo che inizia con "Intanto sta il fatto che . . .":

un'aspetto . . . un aspetto.

11. "Giovanni Dandolo", ultimo paragrafo:

e precisamente nel 1352 . . . e precisamente nel 1354.

12. "Giovanni Soranzo", paragrafo che inizia con "Anche in questo periodo. . .":

grossis tondis . . . grossis tonsis.

13. "Antonio Venier", paragrafo che inizia con "Allo scopo di impedire. . .":

più di 61, né meno di 66 . . . meno di 61, né più di 66.

14. Vari punti del testo (accogliendo la lectio difficilior):

Marin Sanudo . . . Marino Sanuto.

15. Vari punti del testo (accogliendo la lectio difficilior):

Quarantia . . . Quarantìa.

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LE MONETE DI VENEZIA DESCRITTE ED ILLUSTRATE DA NICOLÒ PAPADOPOLI ALDOBRANDINI COI DISEGNI DI C. KUNZ.

Parte I.

Dalle origini a Cristoforo Moro.

1156-1471.

Venezia.

Ferdinando Ongania, editore.

1893.

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PREFAZIONE.

Allorquando dopo un lungo periodo di barbarie l'Europa poco a poco si ridestò come da un sonno penoso e cominciò a sentire il soffio benefico della nuova civiltà, assieme agli studî severi, sorse come per incanto l'amore per le arti ed il culto dell'antico e del bello.

In Italia fu ancor più sorprendente che altrove il rapido svolgersi di questa epoca gloriosa, nella quale un popolo povero, ma intraprendente, rozzo, ma sapiente, raccogliendo le tradizioni antiche e le aspirazioni novelle, creò quel rinascimento intellettuale ed artistico che forma l'ammirazione di tutti.

Anche le monete furono studiate e raccolte in tempi remoti. Troviamo già nel 1335 una memoria dove sono notati, da un appassionato cultore, libri, bronzi e monete esistenti a Venezia.

Ma ben presto i raccoglitori vennero insidiati da falsificatori e le monete dei tempi antichi furono imitate da artisti valenti, che più tardi si diedero a lavorare secondo il proprio sentimento e riprodussero i personaggi ed i fatti dei loro tempi. Questa nobile arte mandò i primi vagiti nella nostra regione: Padova, Venezia e Verona videro le prime opere di questi grandi, ricercatissime al giorno d'oggi dai musei e dai raccoglitori, studiate da italiani e forestieri, che formano una collana preziosa di piccoli capolavori, conosciuti col nome di medaglie artistiche italiane del rinascimento. La medaglia di Francesco Foscari che adorna il frontespizio del presente volume, opera di ANTONELLO DELLA MONETA intagliatore della zecca nostra, è la più antica riproduzione metallica della testa di un doge, e concorda per l'epoca e per le fattezze, col ritratto di Gentile Bellini e con una miniatura dell'epoca, esistenti entrambi nel Museo civico di Venezia.

Da prima ogni cura fu rivolta alle monete greche e romane, restando affatto neglette le antichità medioevali. Soltanto in epoca piuttosto recente si studiarono le monete delle città e dei principi italiani, che sono pure tanta parte della nostra gloria.

La zecca di Venezia fu tra le prime che attrassero l'attenzione dei dotti italiani e stranieri. Fu tosto veduta e trattata la questione più ardua e più interessante che la riguarda, perché già nel 1610 Petau (Petavius) pubblicava il disegno del denaro di Lodovico il Pio col nome di Venezia, e nel 1612 l'autore dello SQUITINIO DELLA LIBERTÀ VENETA se ne serviva come di arma principale ed invincibile contro la pretesa di indipendenza originale dei veneziani.

Nello scorso secolo alcuni studiosi, anche valenti, si occuparono della numismatica veneziana; ma i migliori superficialmente, e quelli che vollero addentrarsi nelle indagini sul valore della moneta, a Venezia ancora più importante che altrove, si smarrirono in supposizioni e fantasie, che complicarono maggiormente una materia già per sé non facile né semplice.

Si aggiunsero le insidie di alcuni impostori, che cercavano di sorprendere la buona fede dei raccoglitori, le idee preconcette e l'amore esagerato del luogo natìo, che non lasciavano vedere quant'era più naturale e più vero. Nell'epoca forte e serena, nella quale, mediante lo studio della storia e delle lettere, si preparava il risorgimento della patria, si formarono nuove raccolte, e vi applicarono la moderna critica storica i migliori cultori della numismatica veneziana Angelo Zon, Vincenzo Lazari e Carlo Kunz. Però il primo appena poté compiere un lavoro breve e succinto, gli altri due si occuparono di studî speciali, e per colmo di sventura Vincenzo Lazari fu rapito da morbo crudele in fresca età, prima di intraprendere quell'opera complessiva sulle monete veneziane, di cui aveva concepito il pensiero. Spariti questi valorosi, poiché a me la buona fortuna permise di trar profitto dalle annotazioni raccolte da Lazari e dai disegni e dalle note di Kunz, sebbene comprendessi la mia insufficienza di fronte a così grandioso soggetto, mi accinsi coraggiosamente all'opera. Ora dunque, dopo aver pubblicato alcune parti staccate di questo lavoro, presento al pubblico il primo volume della illustrazione delle monete di Venezia. A questo, col tempo, terranno dietro altri due, se il favore degli studiosi e degli intelligenti accoglierà con benevolenza un tentativo, che può essere superiore alle forze, non alla buona volontà che mi anima.

Ho trattato da prima la grande questione delle origini della zecca veneta e dei rapporti di Venezia cogli imperi d'Oriente e d'Occidente; indi ho diviso la materia in tanti capitoli quanti sono i dogi, da Vitale Michiel II sino a Cristoforo Moro, dove si arresta il còmpito prefisso alla prima parte dell'opera. Ogni capitolo comincia con brevi cenni sui fatti storici, e tratta poi con maggior dettaglio, quanto può interessare la parte numismatica ed economica, notando le monete coniate e citando i documenti che ordinano o che regolano la fabbricazione delle monete. Ciascun capitolo è seguito da un elenco dettagliato delle monete coniate da quel doge, poste in ordine secondo il metallo ed il valore. Ogni moneta, oltre la denominazione ed il valore_, reca l'indicazione del_ metallo_, del_ titolo e del peso_: la_ descrizione poi è completata dalle tavole_, che_ riproducono i bellissimi disegni di Carlo Kunz (1).

Speciale attenzione ho posto all'esattezza delle denominazioni e del titolo, che, se non ho potuto conoscere dai documenti contemporanei, ho rilevato con assaggi chimici. Solo quando trattavasi di monete assai rare, che non si potevano sacrificare, dovetti contentarmi dell'assaggio col tocco sulla pietra; ma in tal caso ho accompagnato la notizia colla parola circa_, essendo l'esattezza di tale prova_ soltanto approssimativa.

Nello stabilire quali monete si debbano chiamare di argento e quali di mistura_, non ho potuto seguire il sistema indicato da_ Domenico Promis, che classifica nell'argento solamente quelle che hanno più della metà di fino, né quello, ottimo per le romane, che annovera tra le monete d'argento tutte quelle che contengono anche una minima quantità di tale prezioso metallo. Questo modo regge soltanto dove le monete di mistura sono una degenerazione progressiva delle antiche migliori, ma non può essere scelto a Venezia, dove il denaro nei primi tempi era il tipo della moneta ed aveva l'intrinseco corrispondente al valore, contenendo appena un quarto del suo peso o poco più di argento. Ho preferito quindi collocare i denari nell'argento finché essi conservarono lo stesso titolo, ma quando il tipo o campione del valore fu trovato in altra moneta più perfetta, ed i denari discesero sotto al quarto del loro peso di fino, diventando così una specie inferiore, nella quale si teneva poco conto dell'intrinseco, perché serviva solo a compensare le frazioni dei pagamenti, allora ho creduto poter classificare i denari nelle monete di mistura tenendo il limite di 250 millesimi di fino, sotto il quale si devono considerare monete basse o divisionarie.

Per il peso, quando non ho potuto rilevarlo dai documenti, mi sono tenuto agli esemplari meglio conservati e più pesanti, avendo osservato che quasi mai le monete raggiungono il peso legale e ritenendo inferiore al vero il peso calcolato sulle medie anche di esemplari bene conservati.

Ho scelto l'antico peso veneziano, perché è quello usato nei documenti, mettendo fra parentesi la riduzione in grammi (2); invece nel titolo mi sono servito della divisione in millesimi, mettendo fra parentesi il modo veneziano di segnarlo, che è quello di indicare i carati di lega accompagnati dalla parola peggio_. Ciò_ vuol dire, che la composizione del metallo, da cui fu tratta la moneta, è formata di metallo fino, tranne i carati preceduti dalla parola peggio, i quali sono di lega, o, come dice elegantemente il poeta (3), di mondiglia_._

Ho citato le collezioni dove si trovano gli esemplari sicuri delle monete più rare, la maggior parte dei quali furono da me veduti, o furono esaminati da chi era competente ed esperto in tale materia. Ho trascurato tali note per le monete meno rare e per quelle che si trovano in quasi tutte le raccolte, non volendo moltiplicare inutilmente le citazioni. Invece, dopo ogni doge, ho posto i nomi degli autori e le opere che parlano o dànno disegni di monete, esaminando con diligenza, oltre le mie, le note del Lazari e del Kunz. Non oso sperare che l'elenco sia completo, potendo essere sfuggito alcun che nella farragine di autori forestieri e nostri che si sono occupati di Venezia e di tutto quello che la riguarda. In ogni caso spero col tempo di poter riparare gli errori e le ommissioni nella bibliografia, che sarà una futura appendice da porsi in fine dell'opera completa.

Nella terza appendice di questo volume ho notato la rarità delle monete veneziane ed i prezzi attuali per norma dei collettori e specialmente dei nuovi e dei giovani. Naturalmente questi dati sono soltanto approssimativi, perché variano in questa materia gli apprezzamenti, e di più possono variare per circostanze fortuite, come sarebbe qualche ritrovamento che facesse diventare comune ciò che prima era raro. I prezzi indicati sono relativi ad una conservazione perfetta, perché, quando manca tale qualità essenziale, conviene fare una proporzionata riduzione.

Avrei voluto dire qualche cosa anche sulle falsificazioni, che infestano alcune raccolte di monete venete, specialmente nei pezzi dei primi tempi e di minor mole, ma l'argomento è difficile a trattarsi e non può essere conosciuto completamente se non con una lunga pratica e col confronto di vari esemplari tanto falsi che genuini.

Non posso chiudere queste brevi parole senza ricordare almeno i principali fra quei benevoli amici, che mi hanno confortato, consigliato ed ajutato nei miei studi lunghi e minuziosi. Alcuni di essi sono già scesi nella tomba, e cioè Vincenzo Lazari, Rinaldo Fulin, Carlo Kunz e Bartolomeo Cecchetti, ai quali debbo tutto il poco che so. Agli altri, ai quali auguro lunga vita per conforto loro e degli studî storici, come il comm. Nicolò Barozzi, il cavalier Antonio Bertoldi, il cavalier abate Giuseppe Nicoletti, il professor Alberto Puschi, il signor Luigi Rizzoli e principalmente il cavalier Riccardo Predelli ed il comm. Alessandro Pascolato, che mi furono cortesi di benevolo ajuto, sono lieto di poter esprimere pubblicamente la mia perenne riconoscenza.

N. P.

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NOTE A "PREFAZIONE".

(1) Alcune poche monete, i sigilli dei dogi P. Ziani, G. Soranzo, M. Falier, M. Steno, F. Foscari, P. Malipiero e C. Moro, e la medaglia che figura nel frontespizio sono ottimi lavori del valente e diligentissimo disegnatore signor Vincenzo Scarpa.

(2) Il marco di Colonia era adoperato da tempo antichissimo a Venezia e si divideva in 8 once, ogni oncia in 141 carati, il carato in 4 grani. Il marco corrisponde a grammi 233,4994 e quindi il grano a grammi 0,05175.

(3) Dante. Inferno. Canto XXX.

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PARTE PRIMA.
DALLE ORIGINI A CRISTOFORO MORO.

1156-1471.

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ORIGINI DELLA ZECCA E PRIME MONETE DI VENEZIA.

Arduo e spinoso riesce certamente ogni studio storico intorno ai tempi di remota antichità o a quelli che ci sembrano quasi più lontani per la distruzione barbarica di una civiltà già arrivata a mirabile altezza. Per ciò stesso sono più importanti e di maggior interesse quelle ricerche, che hanno il felice risultato di rischiarare epoche tenebrose, di cui mancano i documenti e le memorie scritte; e conviene far tesoro di ogni umile traccia, di ogni debole raggio di luce, che possa far intravedere un tratto del difficile cammino.

Interpretati da sapienti ricercatori molto hanno servito a questo nobile scopo gli avanzi dei monumenti religiosi e civili; molto hanno rivelato e più ancora promettono di rivelare i tesori che la terra conserva nel suo seno e che di tempo in tempo generosamente concede. Molto ancora possiamo sperare dalle amorose ricerche sopratutto sulle monete e medaglie, che fin ora non furono abbastanza studiate e che non sono ancora apprezzate da tutti al loro giusto valore. Sia per la molteplicità degli esemplari, sia per il piccolo volume e per l'intrinseco pregio, sia infine per lo scopo a cui sono destinate, che le rende preziose all'universalità, le monete possono più facilmente d'ogni altra cosa, nascondersi e sfuggire alle persecuzioni di tutti coloro, che per mille svariate ragioni distruggono le memorie del passato. Ed in vero il maggior numero di quelle che si conservano ed arricchiscono le nostre raccolte provengono da nascondigli spesso sotterranei, e l'abbondanza di queste scoperte in tutti i tempi è prova della quantità inesauribile di tesori grandi e piccini, che furono deposti in quel sicuro rifugio dal guerriero vinto, dal mercante timoroso, dall'avaro inquieto, e persino dal colpevole, che cercava nascondere il corpo del delitto.

Indipendentemente da questo pregio, la moneta ha sempre qualche dato sicuro per conoscere l'epoca ed il luogo dove fu coniata, ha il nome o gli emblemi della sovranità che le imprime il carattere. Ha poi la nota importantissima della contemporaneità per essere vissuta, si può dire, della vita del suo tempo, di cui porta le tracce incancellabili, ragioni per le quali essa ci fornisce non poche notizie politiche economiche ed artistiche, che spesso non si ritrovano in monumenti di maggior volume.

Anche sulla storia dei primi secoli della nostra Venezia le monete possono dare non pochi lumi. Esse vennero tirate in campo nella seria e già antica controversia fra gli storici veneziani, che sostenevano la assoluta indipendenza della loro città e repubblica sino dalla sua origine, e gli storici non veneziani, i quali invece credevano che il governo veneto per molti anni avesse riconosciuto l'alta sovranità dell'impero prima greco, poi occidentale.

Naturalmente fu uno scrittore straniero pagato dall'oro spagnuolo, che, nell'interesse di quella politica fatale all'Italia, citò le monete di Lodovico il pio, quali prove incontestabili di dipendenza dall'impero (1). Tali conclusioni furono accolte con entusiasmo da altri autori, nei quali invano si cercherebbero la imparzialità e la rigorosa critica storica: mentre gli scrittori veneziani, per amore di patria e per ragioni a cui non era estranea la preoccupazione politica e nazionale, respingevano vivamente una simile idea. Alcuni di essi, non sapendo fare di meglio, negarono che tali monete appartenessero a Venezia, attribuendole alla Venezia terrestre (2), ovvero alla città di Vannes nella Armorica, come il senatore D. Pasqualigo (3) e G. G. Liruti (4); ma la maggior parte sostennero semplicemente, che Venezia aveva avuto fino dalla sua origine il diritto di coniare moneta (5), ed alcuno come il Sandi (6), affermò perfino non esistere alcuna sua moneta, sebbene antichissima, colla immagine degli imperatori greci o latini, o con quella dei re d'Italia.

Più saggia critica storica usarono gli autori moderni nel trattare di questo periodo della moneta veneziana. Lo Zon non osa combattere il pregiudizio comune, ma trova vano e superfluo discutere su tradizioni incerte ed arbitrarie, se la moneta veneziana abbia cominciato prima o dopo del 911 e 938, ed in sostanza ammette timidamente che la zecca cominciasse a lavorare solo nel secolo nono o decimo (7). Il conte di San Quintino, discorrendo di questo argomento con profondità di dottrina e con abbondanza di critica acuta ed imparziale, dimostra che le monete di Lodovico e di Lotario col nome di Venezia sono battute nella zecca palatina, che esisteva nel palazzo imperiale o nella sede del governo, e cerca di conciliare gli opposti pareri, dimostrando che il nome di Venezia è posto per manifestare apertamente le vere o supposte ragioni di sovranità, che agli imperatori d'occidente erano sempre contrastate dai Bizantini e dai Veneziani (8). Cartier (9) e Barthelemy (10) riproducono le idee di San Quintino e credono potersi attribuire tali monete a Venezia senza ledere la sua indipendenza. Finalmente Vincenzo Promis, in una saggia ed erudita memoria (11), riassume la questione, riporta tutte le opinioni e determina l'attribuzione delle monete in un modo assai soddisfacente, e sul quale resta ben poco da dire.

Così la numismatica erasi purificata, è vero, dagli errori più grossolani, giungendo a stabilire con sufficiente esattezza l'età e l'attribuzione delle monete; ma non si erano tratte ancora dalle premesse tutte le conseguenze che la critica storica naturalmente poteva dedurne, per cui gli errori ripullulavano anche quando non vi era più la giustificazione di preoccupazioni politiche o nazionali.

Infatti Romanin suppone (12) che i Veneziani stabilissero, col consenso degli imperatori, una zecca, da cui uscissero monete che avevano corso nelle terre italiane e greche, e crede che, quando Carlo Magno fece chiudere molte officine dell'impero per far coniare soltanto in Domo palatii, la zecca veneziana continuasse ad esistere. Anche Cecchetti e Padovan ritengono che prima delle monete ducali conosciute si battesse a Venezia moneta veneziana (13). Citando documenti del X ed XI secolo, che parlano di denari nostri o veneziani, Padovan (14) respinge l'idea, che le monete uscite dalla zecca veneta sino al 1156 fossero soltanto le imperiali, parendogli impossibile, che un governo così altiero della propria indipendenza, fondasse una zecca per battervi moneta straniera. In fondo è la solita tradizione degli storici veneziani; si crede alla zecca che battesse più qualità di monete ed alla indipendenza della repubblica fino dai primi tempi; il che, a mio avviso, ripugna alla critica storica, perché le nazioni e gli stati, come gli uomini, passano per le varie fasi della vita, dall'infanzia all'adolescenza, alla giovinezza, prima di arrivare alla virilità. Così Venezia cominciò ad esistere debole e piccina, studiandosi di sfuggire i pericoli che minacciavano la sua esistenza, cercando l'appoggio dei più potenti, e crebbe poi rigogliosa di forze e di vitalità; ma passo a passo, e solo col tempo, coll'attività e colle virtù dei suoi cittadini, raggiunse la forza bastante ad essere indipendente, ed a far sì che questa sua indipendenza fosse riconosciuta e rispettata dai vicini, che non furono sempre deboli, o benevoli verso di lei.

Non credo necessario di trattenermi lungamente sugli errori più evidenti degli antichi autori, che furono già dimostrati insussistenti dagli illustri scrittori di numismatica che mi hanno preceduto, in modo tale, da non lasciare più alcun dubbio. Per esempio, l'affermazione del Gallicciolli, che a Venezia siano state coniate monete d'oro dette redonde in un'epoca in cui non si coniava moneta d'oro in Europa, se non dai principi longobardi di Salerno e Benevento, è bastevolmente contrastata dal Promis (15), il quale (16) ha pure a sufficienza risposto al Sandi: imperocché, se è giusto alla lettera che non si trova sulle monete veneziane l'effigie e il ritratto degli imperatori, si trova però secondo l'uso del tempo, impresso su di esse il nome, che ha lo stesso valore ed eguale importanza.

Il Conte di San Quintino ha dimostrato, coll'approvazione di tutti gli studiosi, e così che nessuno potesse più tornare sull'argomento, essere affatto insussistente la supposizione che le monete col nome di "V E N E C I A S" fossero coniate a Vannes in Francia.

Così pure non occorre aggiungere molte parole a quelle già dette dal Promis (17) sopra il sistema architettato dal Carli (18) e seguito dal Filiasi (19), e cioè che i Veneziani avessero per i commerci coll'Occidente le monete di cui ora trattiamo coi nomi degli imperatori franchi e coniassero per l'Oriente bisanti dei tre metalli, mentre poi per l'interno si servissero di speciali denari, che sono quelli colla iscrizione "C R I S T V S spazio I M P E R A T". Una tale confusione non si è mai veduta in nessun paese, e non si comprende come potesse accogliersi da storici e critici di tanto valore. Infatti basta vedere i denari di Lodovico e di Lotario per assicurarsi che sono più antichi di quelli con "C R I S T V S spazio I M P E R A T", i quali invece per tipo e peso sono più vicini certo a quelli di Corrado e degli Enrici. Monete veneziane poi con tipo bizantino non se ne videro mai, nessun documento ne parla, e conviene quindi confinarle con altre fantasie che hanno infestato e continuano a rendere difficile la storia dei primi tempi della zecca veneta.

Mi tratterrò invece brevemente sull'errore più diffuso ed in cui cadono quasi tutti gli storici veneziani, cioè che Venezia, dai tempi immemorabili, abbia avuto diritto di zecca e lo abbia esercitato. Lo Zon ed il Lazari sono forse i soli che non credono anteriore al secolo nono la zecca di Venezia, ma, più che dirlo, lo pensano. Tutti gli altri ripetono, senza nemmeno l'ombra del dubbio, le stesse parole, e, sicuri della innata indipendenza di Venezia, suppongono che ne abbia ugualmente avuti tutti i diritti inerenti, fra i quali principalissimo quello della moneta: anzi taluno deplora che sieno stati già perduti quei nummi, dei quali ci porgono indubbia prova le memorie ufficiali (20).

Questo è giudicare di fatti antichi con idee moderne; il coniare moneta ed il porvi il proprio nome fu sempre considerato come indizio di sovranità, ma il coniare moneta per far prova dinanzi al mondo della propria sovranità è un'idea che comincia solo nell'epoca civile, e mostra la conoscenza del passato quale guida del presente. Laonde troveremo anche nella storia veneta un simile atto, ma più tardi solo quando il progresso civile sarà già alquanto avanzato, o quando Venezia, divenuta più forte, vedrà meno potenti i suoi vicini.

Il primo periodo storico di Venezia è quello che corrisponde alla dominazione dei Goti in Italia. È facile dimostrare e comprendere che in tale epoca, come in quella della invasione longobarda, i Veneziani non avevano né la potenza, né l'autorità di aprire una zecca, e questa verità è tanto evidente che ne conviene lo stesso Romanin (21).

Durante l'impero romano la facoltà di coniare moneta si esercitava esclusivamente dall'imperatore, e lo stato era così geloso di questa sua importante prerogativa, che a nessun altro l'accordò giammai, e persino nell'epoca della decadenza e della rovina dell'impero d'occidente, il prestigio dello stato romano e l'idea del potere imperiale erano ancora così grandi, che gli stessi barbari vincitori non osarono mettere iscrizioni nella propria lingua e la effigie del proprio re sulle monete, ma soltanto il monogramma o il nome in latino, lasciando sempre sul diritto l'effigie dell'imperatore romano residente in Costantinopoli, quasi che in nome suo esercitassero l'autorità regia. È ben naturale che, tale essendo il sentimento dei vincitori verso il vinto, non potesse essere inferiore il rispetto degli abitanti delle lagune verso il sovrano di Bisanzio, ch'era sempre il continuatore ed il rappresentante dell'impero romano.

Sia che la veneta laguna abbia dato ricetto a gran parte dei nobili e ricchi abitanti fuggenti le invasioni barbariche, sia che i poveri pescatori e modesti naviganti sfuggissero all'invasione per le difese naturali e per la loro pochezza, il fatto è che in quell'epoca sola le nostre isole cominciarono ad avere un'importanza e ad organizzare un governo proprio. Qualunque delle due ipotesi si debba accogliere, gli abitanti delle isole dovevano riguardare come nemici i barbari, ed avere i loro sguardi rivolti verso l'imperatore, trovando la naturale protezione nel sovrano di Bisanzio, che conservò il potere imperiale in tutte quelle parti d'Italia, che non furono invase dai barbari.

Pur troppo sono assai scarse le notizie storiche, e quasi nessun documento ci resta di quell'epoca interessante; la raccolta delle lettere di Cassiodoro, cancelliere di Teodorico, è uno dei pochissimi raggi di luce in queste tenebre. In varie lettere parla dei Veneziani, ma la XXIV del XII libro è diretta ai tribuni delle isole venete, e sebbene sia conosciuta da tutti gli studiosi della nostra storia, non sarà inutile rammentarla, perché è una descrizione così viva ed interessante, che mostra a qual punto erano giunte le industrie a Venezia, la forza rigogliosa del suo commercio e l'attività robusta dei suoi abitanti, che già si vedono destinati ad un grande avvenire.

"Con un comando già dato, ordinammo che l'Istria mandasse felicemente alla residenza di Ravenna i vini e gli olii di che ella gode abbondanza nel presente anno. Voi che nei confini di essa possedete numerosi navigli provvedete con pari atto di devozione, acciocché, quanto quella è pronta a dare, voi vi studiate di trasportare celermente. Sarà così pari e pieno il favore dell'adempimento, mentre l'una cosa dall'altra dissociata, non più si avrebbe l'effetto. Siate dunque prontissimi a tal viaggio vicino, voi che spesso varcate spazii infiniti. Voi, navigando tra la patria, scorrete, per così dire i vostri alberghi. Si aggiunge ai vostri comodi, che anche altra via vi si apre sempre sicura e tranquilla. Imperciocché quando per l'infuriare dei venti vi sia chiuso il mare, vi si offre altra via per amenissimi fiumi. Le vostre carene non temono aspri soffii, toccano terra con somma facilità e non sanno perire, esse che sì frequentemente si staccano dal lido. Non vedendone il corpo avviene, talora di credere che siano tratte per praterie, e camminano tirate dalle funi quelle che son solite starsi ferme alle gomene; cosicché, mutata condizione, gli uomini a piedi ajutano le barche. Queste già portatrici, sono invece tratte senza fatica, e in luogo delle vele si servono del passo più sicuro dei nocchieri. Ci piace riferire come abbiam vedute situate le vostre abitazioni. Le famose Venezie già piene di nobili, toccano verso mezzodì a Ravenna ed al Po; verso oriente godono della giocondità del lido jonio, dove l'alternante marea ora chiude, ora apre la faccia dei campi. Colà sono le case vostre quasi come di acquatici uccelli, ora terrestri, ora insulari: e quando vedi mutato l'aspetto dei luoghi, subitamente somigliano alle Cicladi quelle abitazioni ampiamente sparse e non prodotte dalla natura, ma fondate dall'industria degli uomini. Perciocché la solidità della terra colà viene aggregata con vimini flessibili legati insieme, e voi non dubitate opporre si fragile riparo alle onde del mare, quando il basso lido non basta a respingere la massa delle acque, non essendo riparato abbastanza dalla propria altezza. Gli abitatori poi hanno abbondanza soltanto di pesci; poveri e ricchi convivono colà eguaglianza in eguaglianza. Un solo cibo li nutre tutti; simile abitazione tutti raccoglie; non sanno invidiare gli altrui penati e, così dimorando, sfuggono il vizio cui va soggetto il mondo. Ogni emulazione sta nel lavorare le saline; voi usate i cilindri in luogo degli aratri e delle falci. Con ciò ottenete ogni prodotto, perché di là avete anche quel che non fate, e in certo modo battete una specie di moneta per il vitto. Dall'arte vostra ogni produzione deriva. Taluno può chiedere l'oro, ma non è chi non desideri di trovare il sale, e giustamente, perché a questo si deve che possa esser grato ogni cibo. Ancora una volta io vi raccomando, approntate al più presto possibile i navigli che stanno ne' vostri cantieri, come altrove la domestica armenta nella stalla del contadino".

Cassiodoro si rivolge ai tribuni marittimi delle isole venete e chiede un servizio, che essi certo non potevano rifiutare e che probabilmente avevano obbligo di prestare, ma lo chiede con tanta cortesia e con frasi così lusinghiere che non si possono attribuire soltanto allo stile enfatico e declamatorio dell'illustre retore. Il ministro di Teodorico non avrebbe adoperata una forma così umile e complimentosa con dei sudditi o vassalli, e siccome i veneti, anche se godevano di una certa autonomia o individualità, come appare dal senso di questa lettera, erano sempre troppo piccoli e troppo deboli per meritare tanti riguardi, dobbiamo concluderne che essi avevano la protezione dell'impero, col quale i Goti in quel momento desideravano conservare i buoni rapporti.

Questa lettera risolve anche la questione della zecca, perché
Cassiodoro dice ai Veneziani:

"Pro aratris, pro falcibus cilindros volvitis inde vobis fructus omnis enascitur, quando in ipsis et quae non facitis possidetis. Moneta illic quodammodo percutitur victualis. Arti vestrae omnis fructus addictus est. Potest aurum aliquis quaerere, nemo est qui salem non desideret invenire…".

Queste parole, che dobbiamo attribuire soltanto al solito stile figurato di Cassiodoro, non significano già che il sale servisse come mezzo di pagamento, né che a Venezia esistesse una speciale moneta denominata victualis, come fu creduto da alcuno; ma non occorre insistere su questo punto, concordando in tale opinione le autorità del Muratori (22) e di San Quintino (23).

Intanto però l'Imperatore Giustiniano cominciava a porre ad effetto i suoi progetti; nel 539 Belisario sconfigge gli Ostrogoti e conquista Ravenna, Treviso ed altri siti importanti nel Veneto; nel 550 Narsete prende il posto di Belisario, e, seguendo le coste del mare, riprende Ravenna e dà il tracollo alla potenza dei Goti. Tutta l'Italia ritorna in potere dell'imperatore romano d'oriente, ma per breve tempo, perché nel 568 i Longobardi, condotti da Alboino, conquistano quasi senza colpo ferire, la Venezia, e poco dopo presso che tutta l'Italia sino a Spoleto e Benevento.

Le possessioni dei Greci si restringono sino a poche coste che dipendono da' due centri di Ravenna e di Napoli; da questo momento tutti gli sforzi, prima dei Longobardi, poscia dei Franchi, sono rivolti a conquistare l'Esarcato, ciò che riuscì loro assai tardi, e ad impadronirsi delle Lagune e dello Stato veneto, il che non venne fatto né ai Longobardi né ai Franchi loro successori. È naturale però che i Veneti non potessero resistere soli e senza amici a potenti e ripetuti colpi; essi trovarono il naturale appoggio nei Bizantini, che avevano gli stessi avversari, e coi quali i Veneziani erano legati per tradizione, per interesse e per la comunanza del pericolo.

Già nell'epoca in cui Belisario e Narsete avevano respinto vittoriosamente i Goti, questi condottieri dell'esercito imperiale si tennero lungo la costa, ch'era per la massima parte dipendente dai Greci, e considerarono Venezia come sito amico. È naturale che da quell'epoca in poi il corso degli avvenimenti abbia stretto sempre più i legami di Venezia con Costantinopoli, e che essa sia stata considerata come parte dell'impero d'oriente. Invero qualche cronista forestiero (24) tratta i veneziani quali sudditi degli imperatori bizantini. Essi stessi tali si proclamano quando temono di cadere nelle mani di Pipino (25) ma tali di fatto non furono mai, perché nominarono sempre i loro magistrati e capi militari ed ebbero milizia propria. Però essi riconoscevano l'alto dominio dell'imperatore, ne ricevevano benefizi e gli prestavano ajuto, ciò che è conforme alle idee dell'epoca, mentre l'imperatore romano era riconosciuto come l'alto signore di diritto di tutti i popoli non barbari, conservator totius mundi, come si dice in un documento veneziano (26), e giudicherebbe colle idee del giorno d'oggi chi credesse differentemente.

Esisteva, è vero, a Venezia un partito insofferente dell'ingerenza dei Greci, che teneva per coloro che erano padroni della terraferma (27); ma la maggioranza dei cittadini preferiva un imperatore lontano e debole ad un vicino potente ed inquieto. Venezia intestava i suoi atti coi nomi e cogli anni degl'imperatori (28), pregava nelle chiese per la salute dell'imperatore (29): l'imperatore negoziava e stipulava i trattati per conto di Venezia (30). In fatti la posizione di Venezia non differiva da quella di molti altri piccoli stati, che nei loro primordî riconobbero la protezione di un qualche potente monarca, conservando intera l'autonomia della amministrazione interna e giovandosi delle circostanze per arrivare ad una completa indipendenza, meta e desiderio generale e costante. Insomma i legami con Costantinopoli non furono mai troppo stretti né troppo duri, e non incepparono i progressi civili e commerciali di Venezia, anzi bene spesso la dipendenza fu più di nome che di fatto, a seconda degli eventi e della vacillante potenza dei Bizantini.

L'organizzazione del governo dei Veneziani è precisamente quella stabilita dall'imperatore Giustiniano, quando ordinò l'amministrazione delle provincie liberate dai Goti colla pragmatica sanctio del 554 (31). I tribuni, i duci sono eletti dal clero, dai magistrati e dagli ottimati: nel raccontare le elezioni dei dogi anche i cronisti veneziani adoperano frasi, che possono lasciar supporre una conferma da Costantinopoli o dal rappresentante imperiale in Ravenna. Anche il magister militum è carica di origine greco-romana, e i dogi ricevono quasi sempre dei titoli di onore dalla corte bizantina, come ipati, spatari e protospatari ed altri, che talvolta nei documenti sono anteposti al titolo di doge di Venezia. Nelle lotte religiose fra l'oriente ed i papi, i Veneziani sono ordinariamente coll'imperatore, e per aver ragione contro il patriarca di Grado il papa si rivolge all'imperatore d'oriente, che fa arrestare il prelato e condurlo a Ravenna. Finalmente, nella celebre guerra di Pipino contro i Veneziani, questi dichiarano non voler essere sudditi dei Franchi, ma dell'imperatore romano di Costantinopoli (32). Anche Carlo Magno nell'803 riconosce che sopra Venezia e le città di Dalmazia, che avevano serbato fede e devozione all'impero, egli non ha alcun diritto (33), e promette di non molestarle, cose tutte confermate nel trattato di Aquisgrana nell'810 (34).

Il cumulo di tutte queste circostanze non può a meno di colpire chiunque non abbia il deliberato proposito di chiudere gli occhi; lo stesso Romanin, così tenero nel seguire la tradizione degli storici veneziani, conviene (35) che Venezia era sotto la protezione dell'impero d'oriente con proprie leggi e proprî magistrati, ed Agostino Sagredo con nobili parole proclama che si può ben confessare una mediata dipendenza antica, se l'indipendenza assoluta si acquista col sangue e colla vittoria.

Non è quindi strano che per tutta l'epoca in cui regnarono i Longobardi in Italia, e durante il regno di Carlo Magno, non si trovi moneta veneziana, e che, mentre abbiamo denari delle principali città italiane col monogramma o col nome di Carlo, manchino quelle di Venezia. Finché Venezia si considerò parte dell'impero romano d'oriente essa non poté battere moneta, perché tale diritto a nessuno fu mai concesso dall'imperatore, e non si trovano monete autonome delle città sottoposte ai Greci: se mai si potesse citare qualche eccezione, essa sarebbe evidentemente una usurpazione, dovuta ai tempi in cui l'imperatore non aveva la forza di far rispettare le sue prerogative.

Sino a quest'epoca nessuna prova diretta ci può venire dalle monete, ma la loro assenza conferma l'opinione esposta poc'anzi, e, benché debole, reca un raggio di luce. Ora invece entrano in lizza anche le monete, e al raccoglitore non è difficile di trovare i denari di Lodovico e di Lotario del peso e della bontà ordinati da Carlo Magno, perfettamente uguali a quelli di Pavia, di Milano, di Treviso e di Lucca, nei quali il nome di queste città è sostituto da quello di "V E N E C I A S".

Ho già riportato più sopra il parere del Conte di San Quintino, che cioè le monete tutte di Lodovico e di Lotario sieno uscite dalla zecca Palatina, e che quindi il nome di Venezia impresso su talune di esse non sia la prova di reale sovranità, ma solo della pretesa degli imperatori che questa città fosse ad essi legata da vincoli di sudditanza e di vassallaggio. Due quindi sono le questioni di cui dobbiamo occuparci, entrambe assai importanti e meritevoli di studio speciale. La prima è di sapere se effettivamente i denari di questa epoca sieno coniati tutti in una officina imperiale (in domo palatii) ovvero in varie zecche poste nelle città di cui portano i nomi: la seconda se il nome di una città come Venezia, che sino a Carlo Magno era stata considerata non appartenente all'impero d'occidente, sia stato segnato sulle monete solo per pretensione ossia per far mostra di un diritto contestato, ovvero, secondo le giuste regole internazionali, perché Venezia avesse riconosciuto l'alto dominio imperiale e sovra di essa gli imperatori d'occidente avessero un diritto accettato da tutti, e dagli stessi Veneziani non impugnato.

Quanto alla prima di queste ricerche, l'opinione sostenuta con tanta acutezza di critica storica, con tanta delicata circospezione dal San Quintino, fu oggetto di discussioni fra i numismatici italiani e forestieri, ebbe difensori valenti, ma fu combattuta da quelli che desideravano assicurare una origine così illustre alle zecche dei loro prediletti, e di cui distruggeva i sistemi architettati con tanta cura. Ora questi naturali avversarî hanno trovato un ajuto tanto poderoso quanto insperato nel dotto illustratore della zecca di Pavia, il quale ritiene che i denari di Lodovico e di Lotario sieno battuti nelle città di cui portano i nomi (36). Sono perfettamente d'accordo col Cavalier Camillo Brambilla, che il rinvenimento in Francia di monete carolingie null'altro prova se non che ivi avevano corso e forse più tardi che in Italia, come oggi si troverebbero più facilmente in Austria che fra noi quelle monete che furono coniate nelle zecche di Milano e di Venezia secondo la monetazione austriaca. Convengo con lui nel ritenere opera di officine italiane, piuttosto che francesi, i nummi di cui parliamo; ma credo in pari tempo che non si possano trascurare gli altri argomenti di somma importanza addotti dal San Quintino.

I capitolari di Carlo Magno dell'805 e dell'808, hanno lo scopo evidente di impedire gli abusi e le irregolarità nella fabbricazione della moneta e stabiliscono saggiamente ut nullo loco percutiatur nisi ad curtem, ovvero nisi in palatio nostro (37): nessuna circostanza ci autorizza a credere che essi sieno rimasti senza effetto, anzi sono confermati da un altro capitolare emanato da Carlo il Calvo in Pistes nel 854 (38), il quale dimostra che i sovrani carolingi, anche in questa materia, seguirono le tradizioni del loro grande avo. Non si può certo da tali disposizioni trarre la conseguenza che, per un così vasto regno, una sola fosse la zecca palatina, e che tutte le monete si coniassero in Francia; si deve anzi supporre che almeno nella città capitale di Pavia, ove risiedeva di spesso il sovrano, esistesse un'altra officina che fabbricasse le monete occorrenti per il regno d'Italia. Non sono lontano dall'ammettere che più di una zecca esistesse tanto in Francia che in Italia, ma tutte dove il sovrano aveva corte e palazzo, e solo per autorità regia. Si può anche supporre che la zecca palatina seguisse l'imperatore nelle sue peregrinazioni, e di queste officine ambulanti parlano il nostro autore ed altri del pari autorevolissimi, ma non credo che il nome di una città posta in questa epoca sulle monete imperiali sia ragione sufficiente per essere sicuri che in essa sia stata coniata. La prova più convincente sta nel trovarvi precisamente il nome di Venezia, città che, a quanto sembra, riconobbe l'alta sovranità imperiale, ma dove l'imperatore non ebbe mai potere diretto, né tenne corte o palazzo, di cui sarebbe rimasta traccia o memoria.

Altra conferma di questa opinione si trova nel fatto che Lodovico II, abolito il nome delle varie città sulle monete, vi sostituì il tempio tetrastilo coll'iscrizione "X P I S T I A N A spazio R E L I G I O". In ciò si riconosce l'evoluzione storica e naturale: dapprima gli inconvenienti e gli abusi fecero restringere a poche e sorvegliate officine il lavoro di tante zecche, conservando il nome delle più illustri città che vantavano questo diritto per antica consuetudine, poi si soppresse anche il nome in epoca in cui l'autorità regia non era maggiore che nei tempi di Carlomagno, e ciò perché l'onore aveva perduta ogni importanza non corrispondendo più alla realtà delle cose. Finalmente, quando cominciò la decadenza e diminuì la potestà degli imperatori, le città chiesero ed ottennero gli antichi privilegi e misero nuovamente i nomi sulle monete, che da quel giorno non ebbero più uniformità di tipo, e più tardi nemmeno uguaglianza di intrinseco.

Sono quindi fermo nel ritenere che i denari di Lodovico e di Lotario, i quali portano il nome di Venezia sieno coniati a Pavia od in altra zecca imperiale: né la osservazione del cavalier Brambilla (39) sulla croce patente, che precede il nome di Venezia nelle monete di Lodovico e non si trova nelle altre di questo principe, basta a farmi credere che esse sieno lavorate in una zecca particolare differente dalla palatina. In tali denari troviamo due rovesci affatto diversi: gli uni rarissimi hanno scritto "V E N E C I A S spazio M O N E T A", gli altri, più facili a ritrovarsi, hanno semplicemente "V E N E C I A S", e tutte e due le iscrizioni sono precedute da una croce patente. Io ritengo le prime più antiche fatte ad imitazione di quelle che portano l'iscrizione "P A L A T I N A spazio M O N E T A", e la croce mi fa credere, più che a una differenza di zecca, a una differenza di epoca fra i denari coi nomi di "P A P I A", "M E D I O L A N V M", "L V C A", "T A R V I S I V M" e quelli portanti per la prima volta il nome di una città, che si voleva far sapere a tutti aver dovuto riconoscere l'alta sovranità imperiale.

Resta ora da vedere se il diritto vantato dagli imperatori era incontestabile e riconosciuto dagli stessi Veneziani, o se era soltanto una pretesa, come suppone il Conte di San Quintino. Gli storici che discussero nei tempi passati tale questione erano troppo occupati della politica del momento per essere imparziali, ed anche i moderni scrittori veneziani vi dedicano poche parole, accettando con qualche restrizione la supremazia dell'impero greco, e respingendo o sottacendo affatto l'alta sovranità degli imperatori d'occidente, che a me sembra quasi più evidente.

Dal trattato di Aquisgrana (810) in poi la situazione politica dei Veneziani cambia sensibilmente: mediante gli estesi traffici essi crescono in ricchezza ed in prosperità, e con una prudente politica guadagnano di autorità e di forza. Il governo da Malamocco si trasporta a Rialto, sede più quieta e più sicura, come lo aveva dimostrato la resistenza ai Franchi condotti da Pipino, per la quale si erano sviluppati nei Veneziani la confidenza nelle proprie forze ed il sentimento della dignità nazionale.

Noi non abbiamo il testo del trattato di Aquisgrana, ma è certo che, dopo il riconoscimento dell'impero d'occidente per parte dei Bizantini, Venezia fu il principale argomento delle discussioni. A me sembra che entrambi gli imperî si sieno serviti di questo giovane stato allo scopo di non aver conflitti e contatti pericolosi fra loro. Venezia fu posta come un cuscinetto fra l'Oriente e l'Occidente, per fare quell'ufficio che oggi adempiono le potenze neutrali fra gli stati belligeri e turbolenti, e si dice che in allora i Greci inventassero il proverbio (40): Noi vogliamo il Franco per amico, ma per vicino non mai in eterno, proverbio che non manca d'opportunità, nemmeno al dì d'oggi.

Per le affermazioni concordi dei cronisti più autorevoli (41), sembra che Venezia rimanesse sotto la protezione dell'impero d'Oriente, sebbene non manchino quelli che raccontano Venezia esser stata ceduta all'imperatore carolingio (42). Taluno, per conciliare le opposte opinioni, credette che Venezia, restando sotto la protezione dell'impero d'Oriente, riconoscesse l'alto dominio dell'impero latino per quelle possessioni in terraferma, sul lembo della laguna, ch'erano di ragione del regno d'Italia. Qualunque però fosse la loro posizione legale, è chiaro che da quel giorno in poi i Veneziani non ebbero che una sola idea, un solo scopo, tanto nella loro interna sistemazione, quanto nella loro politica coi potenti vicini, quello di scuotere ogni legame di soggezione e diventare indipendenti non solo di fatto, ma anche di diritto.

Talvolta i dogi per ambizione cercarono l'appoggio dell'uno o dell'altro impero, ed allo scopo di rendere ereditario il potere nella loro famiglia fecero dei tentativi di infeudare Venezia; ma i cittadini e l'aristocrazia dominante opposero ogni sforzo a questi progetti, limitando l'autorità personale del principe coi consigli. Come avviene negli stati giovani, i Veneziani sentirono la loro forza, indovinarono l'avvenire ed approfittarono di tutte le circostanze per ottenere la completa indipendenza, sapendo talvolta cedere nelle apparenze, senza abbandonare mai la meta delle loro aspirazioni. La politica loro in questo periodo fu di appoggiarsi ora all'uno ora all'altro dei due imperi, traendo profitto dalle difficoltà e dalla debolezza di entrambi per migliorare la propria posizione; dando appoggio a chi ne aveva più bisogno per guadagnare terreno, consolidando i vantaggi ottenuti, senza perdere di vista lo scopo principale; insomma tenendo quella politica che seguirono sempre tutti gli Stati, che da piccoli inizî giunsero a grande altezza.

Manca ogni dato per sapere in quale momento i Veneziani abbandonassero l'impero d'Oriente per legarsi più strettamente a quello d'Occidente; ma è un fatto che al tempo degli imperatori germanici questo cambiamento era già avvenuto. Gfrörer crede che, durante gran parte del tempo in cui regnarono in Italia i Carolingi, Venezia sia rimasta legata all'impero d'Oriente (43). Il professor G. B. Monticolo, nel suo pregiato e dotto lavoro sulla cronaca del Diacono Giovanni, ritiene che la dipendenza dei greci continuasse sino al principio dell'XI secolo (44), che mutassero soltanto poco a poco le condizioni politiche di Venezia di fronte a Bisanzio, di mano in mano che i Greci decadevano e Venezia acquistava nuove forze (45); egli crede però che l'annuo tributo alla corte di Pavia non rappresentasse alcuna soggezione nemmeno di forma all'impero d'Occidente, ma che i favori accordati pel territorio d'Eraclea, pel taglio della legna, per l'amministrazione della giustizia, pel possesso dei beni e pei commerci nelle terre imperiali venissero compensati da quella contribuzione, la quale per nulla limitava la libertà di Venezia (46).

Ciò dimostra che l'illustre storico tedesco ed il dotto critico italiano non tennero il dovuto conto delle monete, e che nel discutere e cribrare con sottile analisi le più recondite ragioni di un passo dubbio o scorretto, non credettero far tesoro delle indicazioni sicure e contemporanee conservate all'argento monetato, dove non v'è pericolo di essere ingannati dalla incapacità o dalla negligenza di un amanuense che in epoche di ignoranza riporta un documento oggi scomparso.

Gfrörer crede che Giovanni Partecipazio II, mettendo sotto la protezione dell'imperatore anche i suoi possessi in Venezia nel trattato con Carlo il Grosso (883), abbia riconosciuto Venezia quale vassalla dell'impero (47). Lo storico ne trae la conseguenza che il doge abbia giurato fedeltà all'imperatore (48), notizia che avrebbe bisogno di essere confermata e che non si può dedurre dalle sole parole del trattato. Io penso che la protezione dell'imperatore fu accordata alla proprietà ed alla persona di Giovanni Partecipazio II, dietro domanda dello stesso doge, che non aveva molta fiducia nei suoi sudditi; ma del resto il trattato è la solita conferma usata dai suoi predecessori, e non credo che sieno stati alterati i rapporti che esistevano fra i due Stati. Si dovrebbe quindi anticipare di alcuni lustri l'epoca, in cui Venezia fu costretta a cercare il suo appoggio nell'Occidente, ed esaminando con attenzione la storia di quest'epoca, e cercando d'indovinare ciò che i cronisti non conoscono interamente, o non vogliono dire, crederei conforme al vero, l'attribuire i primi passi di questo nuovo indirizzo della politica veneziana a quel figlio di Agnello Partecipazio, Giovanni I, innalzato alla ducale dignità nei primi anni del regno del padre, e poscia deposto per l'influenza dei Bizantini (49). Da Costantinopoli, ove si trovava quasi in ostaggio, fu richiamato dal fratello, che, prima di morire, lo associò al ducato. Tutto l'insieme della sua storia lo dimostra avversario della politica greca. Rimasto solo principe dopo la morte del fratello e scacciato per una congiura, cerca rifugio presso l'imperatore franco; tornato poscia a Venezia, viene nuovamente deposto dal partito avverso e chiuso in un convento, tagliandoglisi la barba ed i capelli, come usavano i Franchi, mentre invece a Caruso, che nel frattempo usurpa il potere e probabilmente rappresenta gli amici dei Greci, vengono tolti gli occhi, secondo il barbaro costume bizantino.

Oltre a questo abbiamo altri dati che ci confermano nelle nostre idee, e prima di tutto le monete coi nomi di Lodovico e Lotario, che, sino a prova contraria, dobbiamo ritenere testimonianze di sovranità legittima. Abbiamo il tentativo fatto dal concilio di Mantova (827) di sopprimere il patriarcato di Grado (50), e di far diventare questa sede suffraganea di quella di Aquileja; ma l'argomento più importante è quello del concilio di Roma, che diede origine allo scisma d'Oriente, in cui si scomunicò il patriarca Fozio; concilio al quale fu invitato ed intervenne il patriarca di Grado (51). Ora è certo che gl'imperatori d'Oriente, che prendevano tanta parte alle questioni religiose, non avrebbero mai permesso ai loro sudditi d'intervenire ad un concilio fatto contro di loro, ed i Veneziani, se fossero stati in quell'epoca sotto la protezione di Costantinopoli, avrebbero preso partito coi Greci, come avvenne all'epoca dello scisma dei tre capitoli. D'altra parte invece non trovasi nei rapporti coll'Oriente nessun fatto, dall'830 in poi, che dimostri un riconoscimento formale, e che non possa interpretarsi come inspirato dai rapporti di amicizia e di relazioni commerciali. Più tardi forse, e precisamente nell'epoca che segue la caduta di Carlo il Grosso, i Veneziani sembrano avere rapporti più stretti coll'Oriente, ma questo corrisponde a ciò che più sopra abbiamo detto sulle alternative della politica veneziana, e non contraddice punto all'idea che ci siamo fatta di questo periodo.

Lasciando da parte le altre fonti e restringendoci alle sole monete, abbiamo un documento assai valido, che dà un concetto abbastanza chiaro della posizione dei Veneziani verso l'impero. La migliore conferma del nostro assunto sta nel denaro coll'iscrizione "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S", che nessuno ha mai dubitato sia stato coniato a Venezia (52), e che nella sua piccola mole è assai eloquente.

Esaminiamolo con un po' di attenzione. Il suo aspetto afferma apertamente la nazionalità franca, perché ha il titolo, il peso e l'aspetto dei denari coniati secondo il sistema carolingio da Lodovico II, ed è talmente simile nella forma ed apparenza alle monete di questo imperatore, che chi non legge la iscrizione può facilmente esser tratto in errore come dimostra il disegno delle due monete.

Questa somiglianza non lascia alcun dubbio, che la moneta fosse coniata in quell'epoca e che l'imitazione avvenisse ad arte, perché in un secolo in cui il leggere non era comune non lo si distinguesse facilmente dalle monete dell'imperatore. Nel diritto vi è la croce accantonata di quattro punti, e l'iscrizione "D S spazio C V N S E R V A spazio R O M A N O spazio I M P" (53), che somiglia e finisce esattamente come quella dei denari di Lodovico II. Il rovescio poi attorno al tempietto carolingio ha le parole "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S", che sono combinate a bella posta per fingere le parole "X P I S T I A N A spazio R E L I G I O", introdotte in tale epoca, a differenza del nome delle varie città che esisteva precedentemente.

Messo in chiaro che il tipo è franco e che la imitazione è fatta allo scopo di trarre in errore e non per lucro, avendo la moneta lo stesso valore di quelle che si vogliono imitare, ne viene per logica conseguenza, ch'essa è un tentativo d'indipendenza fatto dai Veneziani nell'epoca fra l'855 e l'880, e tradisce apertamente la politica degli abitanti delle lagune in quel tempo. Essa porta il nome di Venezia, mentre sulle altre monete si era soppresso quello delle altre città, ed invece del nome del sovrano vi è semplicemente una invocazione a suo favore. Il tentativo, timido come conviene a un primo passo, è però chiaro, e mostra che i Veneziani non volevano inimicarsi quel principe, col quale erano in ottimi rapporti, ma nello stesso tempo non lo temevano, perché troppo occupato in altri affari e non molto potente nemmeno nel centro del suo Stato.

Se i Veneziani avessero avuto la coscienza del loro diritto, non avrebbero usato un simile artificio: il tentativo prova che le monete di Lodovico I e di Lotario non sono state battute per semplice ostentazione, ma con vera autorità riconosciuta; autorità cui i Veneziani tentarono di sottrarsi appena fu loro possibile, e che non ebbe influenza sull'autonomia interna, essendo spesso più di nome che di fatto.

Nello stesso tempo questa moneta e questo tentativo mi confermano nell'idea, che da lungo tempo professo in tale materia, che il diritto di zecca non sia stato in origine conceduto dagli imperatori a nessuno, e che solo quando essi lo videro usurpato dalle città e dai principi ne abbiano fatta la concessione per conservare almeno il diritto astratto; da ciò in origine il passaggio di questo sovrano privilegio dalle mani dell'imperatore in quelle di coloro, che, riconoscendone l'autorità suprema, andavano mano mano spogliandolo della potenza reale.

Gli esemplari di questo bel denaro con "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S" non sono molto comuni nelle raccolte e si trovano difficilmente in commercio, sebbene se ne conoscano più varietà: queste però hanno poca importanza, e sono più che altro varietà di conio, dove l'incisore, per non aver preso bene la misura dello spazio, dovette fare qualche nesso fra le lettere dell'iscrizione. Però l'aspetto ed il carattere assai somiglianti dimostrano che probabilmente furono coniate a breve distanza di tempo. Io inclino a credere che tali monete appartengano all'epoca che seguì la morte di Lodovico II (875), ed in cui i suoi successori si disputarono colle armi alla mano le provincie dello Stato, e siano probabilmente anteriori all'ultima riunione dell'impero nelle mani di Carlo il Grosso, il quale avrà forse fatto comprendere che tale velleità d'indipendenza non gli era gradita. Infatti non troviamo traccia di moneta veneziana, né autonoma né coi nomi degli imperatori, per lungo tempo. Anni tristi furono quelli per l'Italia e per tutta l'Europa, che ripiombò in una nuova barbarie, quasi più completa di quella che aveva seguìto le invasioni dei Goti e dei Longobardi. Il grande impero, fondato da Carlo Magno e riunito per breve tempo nelle mani di Carlo il Grosso, crollava da tutte le parti. In Italia i duchi, parenti od affini del morto imperatore, si disputavano gli avanzi del suo Stato, spargendo le stragi e la desolazione per tutta la penisola e chiamando in aiuto le armi straniere, finché l'Italia tutta intera cadde nelle mani di Ottone. Anche i Veneziani, sebbene meno legati agli avvenimenti che turbarono così gravemente il nostro paese, furono costretti a difendersi colle armi dai pirati e dalle invasioni degli Slavi, dei Saraceni e degli Ungari; ebbero gravissime divisioni interne, di cui ci restano memorie nelle lotte fra Morosini e Caloprini, nella rivolta del figlio di Pietro Candiano contro il padre, ed in quella contro l'ultimo Candiano, che finì coll'incendio del palazzo ducale e coll'eccidio del doge e del figlio bambino. Tutte queste discordie davano tema a ricorsi all'imperatore e all'intromissione sua negli affari interni della Repubblica, certo con poco vantaggio della indipendenza di questa. Però il più grave pericolo per Venezia fu quello di cadere nelle mani dell'una o dell'altra delle potenti famiglie che tenevano il ducato e si studiavano di conservarlo nei propri discendenti, cercando di rendere ereditario il potere coll'appoggio dei sovrani stranieri dominatori d'Italia.

Salvarono Venezia la maggiore civiltà e la speciale configurazione delle isole, che mettevano i cittadini al sicuro dalle invasioni delle orde armate, la potenza e le ricchezze che i principali cittadini avevano acquistato nei commerci e che davano loro la forza di resistere ai dogi nei consigli ed anche colle armi alla mano.

Solo verso la fine del secolo X la posizione di Venezia divenne più stabile e più forte, per opera del doge Pietro Orseolo II. Questo principe saggio strinse i legami coll'Oriente, ed ottenne grandi vantaggi commerciali col crisobolo dell'anno 992 (54); né dimenticò le buone relazioni coll'Occidente, siffattamente che dell'imperatore Ottone III egli fu amico più che alleato: conquistò la Dalmazia, aggiungendo, primo, al nome di doge di Venezia quello di duce della Dalmazia, e preparò con politica sagace e fortunata la grandezza della Repubblica e il predominio sui mari.

Prima però di proseguire e di varcare il mille, bisogna soffermarsi alquanto sui celebri trattati tra i dogi di Venezia e gli imperatori, tanto discussi da tutti coloro che si occuparono della moneta veneziana. Essi furono tirati in campo dal Liruti, che li trovò in un manoscritto della biblioteca di San Daniele in Friuli, e largamente commentati dallo stesso autore (55), da Girolamo Zanetti (56) e dal conte Carli (57), che vollero con ciò provare, essere il diritto di zecca pressoché contemporaneo alle origini della Repubblica.

Il più antico di tali documenti è quello attribuito all'imperatore Lotario I colla data del febbraio 840, nel quale non fa parola del diritto di zecca, ma si parla dei denari mancosi e della lira veneziana (58). Questo diploma fu impugnato dal San Quintino (59) che volle dimostrarlo apocrifo od almeno interpolato; ma l'illustre numismatico piemontese doveva ignorare che il manoscritto di San Daniele fosse una copia antica di documenti esistenti nella raccolta dei Patti e precisamente del Liber Blancus, ove sono raccolti i diplomi che risguardano i rapporti coll'Italia e coll'Occidente (60), altrimenti egli non avrebbe supposto che quel trattato fosse opera di un falsario, caldo oltre il bisogno di patrio amore (61).

Il Liber Blancus giaceva quasi dimenticato dagli studiosi nell'I. R. Archivio di Casa, Corte e Stato a Vienna, ove lo vide e lo studiò Samuele Romanin, che nel primo volume della sua storia documentata riporta la bellissima Patente del Doge Andrea Dandolo, con cui ordina la compilazione della raccolta e lo stesso diploma di Lotario preceduto da una difesa della autenticità dello stesso documento (62). Non persuadono completamente le ragioni del San Quintino né quelle del Romanin, giacché non si può credere che un documento riportato nella celebre raccolta dei patti compilata dal doge Andrea Dandolo fosse ad arte alterato e nemmeno sembrano accettabili le ragioni addotte dal Romanin, che si appoggia principalmente sugli argomenti di Girolamo Zanetti. Entrambi però sono d'accordo che la data è inesatta e che gli anni del regno di Lotario non corrispondono al febbraio 840. Trovando tale convinzione anche nel più strenuo difensore del trattato, mi occorse il dubbio ch'esso fosse bensì genuino, ma copiato male e messo fuori di posto. La raccolta ordinata dal Dandolo è del 1344, e perciò di oltre cinquecento anni posteriore alla data presunta del diploma in questione, epoca sempre lontana ma per quei tempi lontanissima. La raccolta fu ordinata per impedire le dispersioni e per conservare quei documenti che probabilmente cominciavano a deperire. Non è quindi difficile supporre che alcuno di quei preziosi manoscritti fosse già guasto e danneggiato dal tempo e dagli incendi del palazzo ducale, e ciò è tanto più probabile per il documento di cui parliamo, che manca dell'ultima parte, che è scorretto in tutta la dizione, e che ha gli errori più importanti nei primi versi: ora ciascuno sa che il principio ed il fine un foglio sono più facili ad essere guastati. Vedendo che anche a San Quintino non era sfuggita la somiglianza di questo diploma con quello di Ottone II (983), studiai, confrontando tra loro i documenti di quel secolo, se, indipendentemente dalla data, si potesse argomentare l'epoca col confronto delle diverse diciture. Mi accorsi allora che il documento attribuito a Lotario I somiglia intieramente, e quasi direi letteralmente, ad altri simili patti del secolo decimo, e principalmente a quelli stipulati dai Veneziani con Berengario II nell'anno 953 (63), e con Ottone I nel 967, mentre non ha alcuna somiglianza coi diplomi firmati dagli imperatori Lotario I, Lodovico II, Carlo il Grosso, Guido ecc. ecc. sino alla metà del secolo decimo. Tutti questi documenti, che si seguono dal numero II in poi della raccolta del Liber Blancus, non hanno il carattere d'un trattato fra potenze uguali, ma bensì quello di una concessione dell'imperatore, quale supremo monarca, e si copiano letteralmente, conservando quasi le stesse parole. La parte più importante è la conferma dei privilegi dei Veneziani convenuti in Aquisgrana da Carlo Magno coi Greci, aggiungendosi soltanto di tempo in tempo un nuovo paragrafo, una nuova convenzione, che meno rare eccezioni, si ripete in tutte le rinnovazioni posteriori.

Berengario II nel 953 (64) stringe un nuovo patto coi Veneziani, che, nonostante le forme umili dell'introduzione, ha il carattere della reciprocità e risguarda i rapporti dei popoli del regno d'Italia confinanti cogli abitanti del territorio veneziano, che vengono stabiliti d'accordo fra l'imperatore ed il doge. Anche nella intestazione di questi documenti, che non è sempre contemporanea, ma che per la maggior parte dev'essere copiata dall'intestazione dell'epoca, vi è grave diversità, perché i diplomi del primo genere sono chiamati privilegium confirmationis imperatoris, mentre quelli di Berengario, di Ottone e anche il controverso di Lotario sono intitolati pactum inter. . . ecc, il che assai bene definisce la loro diversità essenziale.

I diplomi del primo tipo continuano da Lotario I nell'841, senza interruzione, sino ad Ugo re, e si ripetono ad ogni cambiamento di sovrano. L'ultima rinnovazione è di Ottone I nel 964 sul testo originario del primo Lotario senza tener conto delle aggiunte fatte posteriormente. Il patto invece di Berengario si riproduce per un'epoca assai lunga con quelle modificazioni ed aggiunte che vengono suggerite dalla politica del momento, ma continua per molti sovrani, anche quando Venezia aveva raggiunto una completa indipendenza ed una potenza ragguardevole. È dunque assai probabile che il documento in questione appartenga al tempo dei documenti che gli sono consimili, piuttosto che a quelli di un secolo prima, e precisamente non più tardi del 980, perché somiglia interamente ai due trattati del 953 e 967, e non ha quelle modificazioni che furono aggiunte al testo originario, e particolarmente una specie di proemio che fu introdotto nel trattato con Ottone II (983) quando vennero sopite le dissensioni fra i Veneziani e l'impero per causa dell'uccisione di Candiano. Esaminiamo dunque tranquillamente i punti controversi del trattato contestato attribuito a Lotario I.

Cominciamo dalla data posta in principio del documento, come in quelli di Berengario in poi, e non in fine come nei documenti più antichi. Il documento dice:

"Hlotarius divina ordinante providentia imperator augustus. Anno imperij ejus vigesimosexto, octavo kalendas Marcij. Papiae civitatis palatio. Hoc pactum, suggerente ac supplicante pro gloriosissimo duce veneticorum, inter veneticos et vicinos eorum constituit ac describere iussit, ut ex utraque parte de observandis hijs constitutionibus sacramenta dentur, et postea, per observationem harum constitutionum, pax firma inter illos perseveret".

Ora San Quintino osserva giustamente che l'anno 840 non può essere il ventesimosesto, né contando dall'817, in cui Lotario fu associato all'impero dal padre, né dall'823 quando fu incoronato; di più Lotario non avrebbe potuto sanzionare questo trattato senza il concorso od almeno la menzione di Lodovico il Pio suo padre e collega. Inoltre, afferma San Quintino, Lotario nel febbraio di quell'anno era in Germania nella Turingia, e non venne in Italia se non dopo la morte del padre (65).

La seconda osservazione del San Quintino si è, che al doge non conveniva il titolo di gloriosissimo nel tempo stesso ch'egli supplicante implorava il favore degli imperatori, e ciò è tanto più giusto in un'epoca in cui non si faceva abuso di titoli, ed allo stesso imperatore non si dava altra onorevole qualifica che quella di augusto (66). D'altronde questo titolo di "gloriosissimo" non fu mai adoperato dai Veneziani né in epoche più antiche né in quelle più recenti: io inclinerei a credere che sia piuttosto un nuovo errore del copista, il quale abbia sostituito con quel titolo, o il nome di battesimo del doge che si trova nel diploma di Berengario, o meglio ancora quello di provinciarum dux che esiste in quello di Ottone, e che probabilmente era guasto ed indecifrabile nell'originale. È da avvertirsi anche che Pietro Tradonico, doge di Venezia nell'840, s'intitolava sempre dux et spatarius, e che in tal modo viene nominato nei trattati genuini ed incontrastati; per cui è probabile che il doge nominato nel trattato in questione sia uno dei tanti Pietri che coprirono il soglio ducale, ma non Pietro Tradonico.

La terza osservazione poi, per me più importante, sta nel fatto che si parla del documento sospetto di soldi mancosi e di lira veneziana (67). Ora i soldi mancosi non sono nominati prima del secolo decimo, e quanto a lire veneziane nessun documento ne fa parola prima del trattato di Berengario ove esiste lo stesso paragrafo; ma il contributo dovuto da Venezia all'impero, viene stabilito in denari pavesi: solo in quello di Ottone II dell'anno 983 anche la contribuzione è fissata in denari veneziani. Così pure nelle carte private degli antichi tempi, che esistono nei nostri archivi, si parla di libbre d'argento, di libbre d'oro, di denari imperiali; ma solo negli ultimi trenta anni del secolo decimo si comincia a trattare in denari veneziani. In mezzo a tale armonia trovare un documento solo che parli di moneta veneziana, un secolo prima degli altri, non sembra dunque un argomento per credere, che tale moneta abbia esistito più anticamente, ma piuttosto per supporre che il trattato in questione appartenga a un'epoca più recente, tanto più quando questa supposizione sia suffragata da altri non ispregevoli argomenti, come nel caso nostro.

Io voglio anzi esprimere nettamente il mio pensiero e formare un'altra ipotesi che varrebbe ad appianare tutte le difficoltà. Nel secolo decimo abbiamo appunto un altro sovrano di nome Lotario, ed è il figlio di quell'Ugo di Provenza che venne in Italia nel 926 e fu dal padre associato al potere nel 931. Cacciato da Ottone, Ugo ritorna fuggiasco in Provenza e lascia in Italia il figlio Lotario, che regna fino alla sua morte, e cioè fino al 950. Lotario II ebbe assai poca autorità, ma per ciò appunto non è improbabile che i Veneziani stringessero con lui un trattato più vantaggioso di quello che avevano coi suoi predecessori, e siccome egli regnò immediatamente prima di Berengario II, la somiglianza dei due trattati mi conduce naturalmente alla supposizione che si tratti di questo Lotario, tanto più che sul seggio ducale era anche allora un Pietro (Candiano III, 942-59), e che quindi facilmente il copista poteva far confusione per l'uguaglianza dei nomi dei due sovrani contraenti, riportando all'imperatore Lotario, più conosciuto e più antico, quel documento che egli aveva più difficoltà a decifrare, e che essendo forse più guasto degli altri, gli sembrò per ciò solo più vecchio.

Romanin suppone che l'amanuense abbia unito le due penultime linee del XXIII per averne un XXVI, si può invece credere che abbia letto XXVI dove era scritto XVI, perché l'anno sedicesimo di Lotario II corrisponderebbe all'anno 947, nel quale egli regnava senza il padre, tenendo la sua abituale residenza in Pavia (68) e battendo moneta col solo suo nome in Pavia, Milano e Verona. Aggiungo anche che mentre la lettura del trattato in questione e di quello di Berengario II fa subito venire l'idea che i due diplomi sieno di data assai vicina, quello col nome di Lotario ha la frase: hoc pactum. . . constituit ac describere jussit, ut etc.; mentre quello di Berengario dice: hoc pactum constituit ac renovandum describi et competenter ordinari jussit etc., per cui è evidente che il primo diploma è più antico, e l'altro non è che una rinnovazione del primo, tanto più probabile che la distanza fra il 947 e il 953 è di poco maggiore del periodo di cinque anni convenuto per la durata del trattato.

Gli altri trattati ritrovati dal Liruti (69) e discussi dallo Zanetti (70) e dal Carli (71) sono quelli di Rodolfo di Borgogna (72) e del suo successore Ugo di Provenza (73), nei quali si concede a Venezia il diritto di usare moneta propria. Non ostante le obbiezioni di Vincenzo Promis (74), non ho dubbio che tali documenti sieno perfettamente autentici, e che la copia esistente nel Liber Blancus del nostro archivio sia tratta dall'originale che ora più non esiste. Non saprei anzi come si potrebbe dubitarne, perché in tal caso converrebbe rifiutare l'opera del doge Dandolo, e credere la raccolta dei patti un'invenzione moderna. D'altronde abbiamo un fatto importante che conferma le parole dei diplomi, e cioè che, mentre nessun documento né pubblico né privato parla di moneta veneziana prima di quell'epoca, dalla metà del secolo decimo in poi si comincia a farne menzione e con una progressione che dimostra il nascere ed il crescere di una novella istituzione.

Il primo documento in cui si parli di denari veneziani è il trattato di Berengario II del 953 (75), e precisamente quel passo dove si tratta del giuramento da prestarsi a seconda della somma che viene espressa in soldi mancosi od in lire veneziane. Questo passo, che abbiamo già citato (76), si riproduce anche nel trattato di Ottone I nel 967 ed in quello di Ottone II nel 983, invece il pagamento della contribuzione dovuta dai Veneziani è fissato in 25 lire di denari pavesi od imperiali nei due sopradescritti trattati 953 e 967, mentre in quello del 983 esso tributo è determinato in 50 lire di denari veneziani, variazione che deve interpretarsi nel senso che il denaro veneziano fosse uguale a metà del denaro imperiale (pavese, o milanese), e non già che la contribuzione fosse aumentata.

Oltre a ciò nelle carte private dei Veneziani troviamo nominati denari nostri o veneziani solo verso la fine del secolo decimo, ed il più antico ricordo sarebbe la locazione fatta nell'anno 972, da Rodoaldo patriarca d'Aquileja ad Ambrogio vescovo di Bergamo, di alcune terre fra l'Adda e l'Oglio, pubblicata per la prima volta dal De Rubeis (77). In essa leggesi: . . . et persolvere ei inde debeant singulis annis per omnem missam sancti Martini argenteos denarios bonos mediolanenses solum quinque, aut de Venecia solum decem (78).

Altro documento è la locazione fatta dal vescovo di Treviso Rozo o Rozone al doge Pietro Orseolo II della terza parte del teloneo e del ripatico, per cui il doge promette di dare ciaschedun anno quattro bisanti d'oro, ovvero libras duas denariorum suorum (79). Più chiaramente ancor si parla di moneta veneziana nel testamento di Pietro Orseolo II, che lascia al suo popolo mille ducentarum quinquaginta librarum nostrae monetae denariorum parvorum (80).

Osserva Padovan (81), che la frase del trattato non dà realmente facoltà ai Veneziani di coniar moneta, ma accorda loro soltanto di adoprare la moneta di cui sono usi valersi da tempo antico: . . . simulque eis nummorum monetam concedimus, secundum quod eorum provintie duces a priscis temporibus consueto more habuerunt; ma io non saprei vedere una moneta ideale che potesse crearsi senza che nei tempi precedenti o contemporaneamente essa fosse stata realmente in circolazione. Per solito la moneta ideale è la tradizione di una moneta che ha veramente esistito ed avuto corso nel paese, ma che poi è scomparsa per le vicissitudini politiche, od ha cambiato valore per le circostanze economiche.

Anche Dandolo interpreta il passo del trattato di Rodolfo, che egli perfettamente conosceva, in questo modo e nella sua cronaca dice (82): Hic Rodulfus sui regni anno IV. . . declaravit ducem Venetiarum potestatem habere fabricandi monetam, quia ei constitit antiquos duces hoc continuatis temporibus perfecisse. Per me la cosa non è dubbia; i Veneziani, visto il momento favorevole, vantarono antichi diritti di batter moneta, e forse in prova mostrarono i denari col "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S", stampati cinquant'anni prima. La dimostrazione fatta da noi ora, che essi non avevano questo diritto e che lo stampo di tali denari era arbitrario, non vale in casi di questo genere, perché quando il sovrano è deciso o costretto a concedere, ogni ragione è buona e viene riconosciuto per antico quel diritto che si è disposti a concedere nel momento.

Anche la tradizione attribuisce a quest'epoca la concessione del diritto di zecca a Venezia. Sanuto (83) e Sansovino (84) raccontano, che sotto il ritratto di Pietro Partecipazio si trova l'iscrizione:

Multa Berengarius mihi privilegia fecit,

Is quoque monetam cudere posse dedit.

Non è necessario discutere se Pietro Partecipazio era contemporaneo di Berengario, e cercare la perfetta concordanza storica, perché non si tratta di un documento, ma solo di una memoria conservata per tradizione, e riportata da un dipinto ad un altro dopo un incendio.

Ma abbiamo di più: le monete stesse, cioè coniate a Venezia, coi nomi di Enrico, di Corrado, e colla iscrizione "C R I S T V S spazio I M P E R", le quali sono evidentemente quelle chiamate nei documenti nostrae monetae denariorum parvorum (85), monetae Venetiarum (86), libras nostrorum denariorum. Per monete nostre non bisogna credere s'intendessero quelle improntate coi nomi e con le effigie dei dogi, ma bensì quelle coniate nella nostra città e col nome di Venezia e dell'imperatore, come ne troviamo anche nei tempi posteriori coi nomi degli imperatori battute in città che si reggevano a comune, con una completa indipendenza, solo riconoscendo l'alta sovranità imperiale. In quell'epoca il diritto di moneta si considerava più che altro dal punto di vista economico e per l'utile che ne poteva ridondare all'erario; l'imperatore concedeva questo diritto regale a chi glielo compensava con una conveniente somma di denaro. Né mi conturba l'idea che queste monete siano posteriori di cinquanta o sessant'anni al diploma di Rodolfo, perché i Veneziani possono aver tardato a far uso del loro privilegio, e può essere anche avvenuto che qualche nummo coniato in questo periodo non sia giunto sino a noi. Un indizio di ciò sarebbe, che il tipo delle monete sovracitate non è quello usato da quegli stessi imperatori nelle altre loro zecche, ma bensì uno più antico. Il rovescio di queste monete ha il tempietto carolingio, nel quale le colonne sono sostituite dalle lettere "V E N E C I", ed invece della iscrizione "X P I S T I A N A spazio R E L I G I O" vi è un ornato composto di lettere che non hanno alcun significato.

Ora il primo che abbia abbandonato quell'iscrizione nelle sue monete fu l'imperatore Ottone, e si può ragionevolmente supporre che i Veneziani abbiano approfittato della concessione di Rodolfo almeno al tempo di Ottone, copiando il tipo dei denari imperiali dell'epoca, colla sola aggiunta del nome di Venezia. In tal modo sarebbe rimasto per tradizione lo stesso tipo sulle monete coniate dai Veneziani coi nomi dei successori di Ottone, mentre non sarebbe naturale che ai tempi di Corrado e di Enrico si scegliesse un tipo già antiquato. Osservo ancora che in quell'epoca ogni zecca continuò collo stesso suo tipo le monete degli imperatori che si succedevano, per cui di ogni sovrano abbiamo tipi diversi secondo le zecche, onde la probabilità che anche Venezia abbia continuato la propria tradizione nel tipo delle sue monete.

Le monete coniate in questo periodo, e cioè dalla fine del secolo X fino a quando Venezia impresse il nome dei dogi sopra i suoi denari, furono interpretate diversamente da' numismatici; per maggior facilità di descrizione, li divideremo in due gruppi: il primo composto dei nummi stampati nell'ultimo quarto del secolo X e nei primi anni dell'XI, il secondo di quelli che, portando il nome dell'imperatore Enrico, hanno la effigie di San Marco e si devono giudicare posteriori al 1094, ma comprendono un tempo più lungo di quello del regno del terzo Enrico.

Il primo gruppo si compone di tre monete che hanno lo stesso rovescio e sono talmente somiglianti per il tipo, per il peso e per la forma delle lettere, che bisogna conchiudere essere state coniate in un'epoca assai vicina. Quella che porta il nome di Corrado fu per la prima volta descritta dal Bianchi di Rimini nelle Novelle letterarie del Lami (87) nel 1757, e fu da tutti i numismatici attribuita all'imperatore Corrado il Salico, che regnò dal 1027 al 1039, perché il primo Corrado fu solo re di Germania e non si occupò mai delle cose d'Italia. Quella di Enrico fu attribuita ad Enrico il Santo primo imperatore di tal nome (88) dal San Quintino (89), dallo Zon (90), dal Padovan (91), ed anche dal Lazari nelle sue schede. Promis invece vuole che tali denari appartengano ai tre imperatori dello stesso nome, che succedettero a Corrado, (92), senza distinguere quali spettano al II e quali al III ed al IV; ma io non posso convenire con lui, perché tutti i denari col nome di Enrico hanno fra loro differenze minime, e somigliano in tal modo al denaro di Corrado, che non possono appartenere se non ad Enrico I suo predecessore, o ad Enrico II suo immediato successore. Io crederei che essi possano più ragionevolmente essere attribuiti ad Enrico II, mentre i denari coniati da Enrico III, oltre all'effigie di San Marco, hanno qualche modificazione nella forma delle lettere e peso più scarso.

Quanto poi alle monete colla leggenda "C R I S T V S spazio I M P E R", molte e svariate furono le opinioni esposte dai diversi autori che vollero spiegarle; non si può convenire col Liruti (93) e collo Zanetti Girolamo (94), che le ritengono di un'epoca più antica di Carlo Magno, e nemmeno col Carli (95), che le riporta ai primi anni del secolo IX, perché il loro tipo ed i loro caratteri sono quelli della fine del secolo X e del principio dell'XI, come bene avvertì l'illustre Muratori (96).

Né posso accordarmi con Vincenzo Promis (97), che crede tali monete coniate nell'epoca tra la morte di Enrico V e la elevazione al trono imperiale di Federico I di Svevia, perché in quell'epoca il denaro era assai diminuito di peso e di valore. La somiglianza poi del tipo e del peso indica certo che tali monete sono assai vicine per tempo alle due coi nomi di Corrado e di Enrico, restando solo a decidere se si debba collocarle prima o dopo di questi imperatori. L'opinione più naturale sarebbe quella dell'illustre maestro Guidantonio Zanetti (98), e cioè che sieno state battute posteriormente alle imperiali e non già anteriormente; e ciò perché è più facile ad immaginare che sia stata sostituita la divinità al nome dell'imperatore da un popolo che amava la propria indipendenza, ed anche perché il nome di Cristus è scritto in modo da confondersi assai facilmente con quello di Enricus. Ma altre circostanze di non lieve importanza mi conducono ad opposto avviso, e cioè mi fanno credere le monete col nome di Cristo anteriori a Corrado ed Enrico. La prima è che le monete di questi due sovrani sono meno pesanti di quelle col nome di Cristo (99), mentre le prime pesano ordinariamente da 16 a 18 grani e solo raramente 20 grani; quelle col nome di Cristo pesano invece fra i 19 e 20 grani, e talvolta persino 22: ora in questi tempi, in cui la moneta andava progressivamente diminuendo di peso e di intrinseco, è da credersi che le monete più pesanti siano più antiche, e le meno pesanti più recenti.

La seconda ragione si è, che assegnando alle monete col nome di Cristo l'epoca precedente al regno di Corrado, si trova facilmente il momento ove collocarle, quando il potere imperiale aveva perduto quasi ogni valore in Italia, e si capisce facilmente che negli ultimi anni dell'imperatore Ottone III e durante le lotte fra Arduino ed Enrico I, i Veneziani abbiano potuto tentare nuovamente di sopprimere il nome degli imperatori sulle monete, e che poi sotto il vittorioso Corrado, tanto avverso agl'Italiani e che non volle nemmeno accordare i soliti privilegi a Venezia, si conformassero alle prescrizioni ed agli usi comuni, ponendo sulle monete il nome del temuto sovrano.

Non saprei vedere nella storia fra Enrico II ed Enrico III un'epoca favorevole ad un ritorno di tal genere, e siccome i denari attribuiti ad Enrico III gli appartengono indubbiamente, e per le ragioni anzidette non posso assegnare il denaro con "C R I S T V S" ai tempi posteriori ad Enrico III, conviene per forza ammettere, che il nome dell'imperatore fu rimesso sulle monete veneziane dopo di averlo tolto, e non vi è nessun'altra epoca meglio corrispondente a questa incertezza, a questo cambiamento repentino, che quella precedente il regno di Corrado; e l'essere poi ammessa questa ipotesi da uno storico così acuto come il San Quintino (100), mi fa coraggio a perseverare in questo convincimento.

Io reputo quindi di assegnare alle monete con "C R I S T V S spazio I M P E R A T" gli ultimi lustri del secolo X, di collocare poi i denari di Corrado, e finalmente di attribuire quelli col nome di Enrico all'epoca dell'imperatore Enrico II. Può essere poi che il tempo dimostri che il ragionamento di Guidantonio Zanetti era giusto, e che si trovino delle monete veneziane col nome di Ottone, ed in tal caso il sospetto che ho già fatto conoscere, si troverebbe completamente confermato.

Il secondo gruppo comprende le ultime monete veneziane del periodo imperiale. Queste hanno un solo tipo, sebbene siano coniate durante un numero abbastanza lungo di anni, perché ce lo accusano le varietà di conio, le differenti forme di lettere e sopratutto il peso vario e decrescente. I primi di questi denari furono certamente coniati nel tempo in cui, trovato il corpo di San Marco, questo santo fu riconosciuto come protettore della repubblica e l'imperatore Enrico III si recò a Venezia per venerarne le reliquie. Oltre alle altre circostanze, lo prova la esistenza di alcuni esemplari nella cassa in cui fu deposto allora il corpo del santo, i quali furono rinvenuti nel 1811, scoprendosi per la prima volta quella cassa. Infatti è stato sempre costume in tali occasioni di seppellire monete contemporanee, per conservare memoria esatta del tempo. Il tipo però fu continuato anche dopo la morte di Enrico III, e probabilmente durante tutto il regno di Enrico IV, come crede anche Promis (101).

Non posso invece accettare il parere di San Quintino, che alcuni di tali pezzi sieno mezzi denari, opinione alla quale sembra accostarsi anche il Promis (102), mentre non credo che collo stesso tipo e fisonomia possa essere stata coniata una moneta ed il suo spezzato. Penso invece che la differenza notevole di peso che s'incontra in tali monetine non sia che la prova del peggioramento della moneta, che è caratteristica di quest'epoca. Infatti i nummi senza aureola, e colla croce simile alla croce dei denari di Enrico II, pesano 15 e 16 grani, ed invece quelli colle leggende scorrette e colla croce ancorata, che sono i meno antichi, pesano appena 8 a 9 grani, anche bene conservati. È però da osservarsi che i più gravi pesano meno sempre dei denari di Enrico II, e che i più leggeri hanno sempre un maggiore intrinseco dei denari coniati posteriormente coi nomi dei dogi.

Dopo questo tempo non troviamo più monete col nome degli imperatori, ed è probabile che la zecca veneta rimanesse inoperosa per qualche anno, sinché il sentimento di indipendenza e di nazionalità, risvegliato nelle lotte con Federico Barbarossa, e la coscienza della propria forza persuasero i Veneziani a porre sulle monete i nomi dei loro dogi, cominciando da Vitale Michiel II.

Queste idee già da qualche anno io aveva esposto in una lettura al Regio Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, ed il non vederle combattute finora mi dà a sperare che esse abbiano ottenuto il consenso degli studiosi, i quali non avrebbero facilmente lasciato libero il passo ad errori in questione di tanta importanza.

In ogni caso mi conforta il pensiero, che il modo da me adottato per isciogliere le gravi difficoltà del quesito, concorda assai bene coi risultati della storia di Venezia e dei paesi vicini sino al secolo XII. Mentre infatti Venezia era nei suoi primordi debole e piccina, e le sue aspirazioni erano pur esse modeste, noi non troviamo moneta veneziana. Dopo la morte di Carlo Magno vengono i tempi più oscuri, e non ostante le parole dei cronisti, non si riesce a comprendere con esattezza i rapporti tra Venezia e gli imperatori. Solo le monete ci avvertono che Lodovico e Lotario avevano pretensioni di sovranità anche sulle Lagune, e il denaro con "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S" conferma la supremazia degli imperatori latini e l'aspirazione dei Veneziani a liberarsene.

Dopo vengono le monete coniate a Venezia coi nomi degli imperatori germanici, ed un nuovo tentativo d'indipendenza non coronato da completo successo; finalmente all'epoca in cui in Italia si costituiscono i Comuni, in cui si prepara una lotta giustamente gloriosa, Venezia si astiene dal porre i nomi degli imperatori, e soltanto dopo di essersi unita colla Lega lombarda, adotta un sistema conforme alla sua completa indipendenza. Ma i tempi erano maturi: Venezia non riconosceva più la supremazia di nessuno, anzi era giunta a tale grado di potenza e di forza, che dopo aver regolato con onore e vantaggio le questioni coll'Occidente, ebbe l'ardire di misurarsi anche coll'impero greco, riuscendo a piantare lo stendardo di San Marco vittorioso sulle vecchie torri della metropoli bizantina.

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NOTE A "ORIGINI DELLA ZECCA E PRIME MONETE DI VENEZIA".

(1) Squittinio della libertà veneta. Mirandola, 1612, pagina 43 e seguenti.

(2) Fontanini G. De sancto Petro Urseolo duce venetorum etc. Romæ, 1730, pagine 81-83.

(3) Spiegazione di tre antichissime monete veneziane. Venezia, 1737; e nella Raccolta d'opuscoli scientifici e filologici. (Calogerà), Tomo XXVIII, pagine 506-507.

(4) Liruti G. G. Della moneta propria e forestiera ch'ebbe corso nel Ducato di Friuli etc. Venezia, 1749, pagine 132-133; ed in Argelati F. De monetis Italiæ etc. Parte II, pagine 144-145.

(5) Zanetti Girolamo. Dell'origine e della antichità della moneta viniziana, ragionamento. Venezia, 1750, pagine da 1 a 26; ed in Argelati. Parte III, Appendice, pagine 1-7.

Tentori C. Saggio sulla storia civile politica ecclesiastica etc. della repubblica di Venezia. Venezia, 1785-1790, Tomo II, pagine 25-36.

Gallicciolli G. B. Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche. Venezia, 1795, Tomo I, pagine 366-370.

Filiasi G. Memorie storiche de' Veneti primi e secondi. Padova, 1811-1814, volume VI, pagine 56-59.

Cappelletti G. Storia della repubblica di Venezia. Venezia, 1848- 1855, volume I, pagina 186.

(6) Sandi Vettor. Principj di storia civile della repubblica di Venezia etc. Venezia, 1755, volume I, pagine 307-308.

(7) Zon A. Cenni istorici intorno alla moneta veneziana. — Venezia e le sue lagune. Venezia, 1847, Volume I, Parte II, pagine 6-8.

(8) Giulio di San Quintino. Osservazioni critiche intono all'origine ed antichità della moneta veneziana. Dalle memorie della Regia Accademia di scienze, Serie II, Tomo X, Torino, 1847.

(9) Cartier R. Observations sul les deniers Carlovingiens portant le nom de Venise. — Revue numismatique française. Blois, 1849, pagine 190-216.

(10) Barthelemy J. B. A. A. Nouveau manuel complet de numismatique du moyen âge et moderne. Paris, 1851, pagina 353.

(11) Promis Vincenzo. Sull'origine della zecca veneta. Torino, 1868.

(12) Romanin S. Storia documentata di Venezia. Venezia, 1853-1861, volume I, pagine 224-228.

(13) Padovan V. e Cecchetti B. Sommario della nummografia veneziana etc. Venezia, 1866, pagina VIII.

(14) Padovan V. _Le monete della repubblica veneta etc. _Venezia, 1879, Sommario, pagina 94.

(15) Promis. Opera citata, pagina 12.

(16) Promis. Opera citata, pagina 11.

(17) Promis. Opera citata, pagina 11.

(18) Carli Rubbi G. R. Delle monete e dell'istituzione delle zecche d'Italia etc. Aja, 1754, tomo I, pagine 124-127.

(19) Filiasi. Opera citata, volume VI, pagine 58-59.

(20) Archivio veneto, volume XII, pagina 81.

(21) Romanin. Opera citata, volume I, pagina 225.

(22) Muratori. Antiq. med. aevi. Volume II, pagina 647.

(23) San Quintino. Opera citata, pagina 5.

(24) Eginardo. — Paolo Diacono. — Annales Laurissenses (all'anno 803, PERTZ MON: GERM: HIST: SCRIPT I.).

(25) Costantino Porfirogenito. De Amministratione imperii. Presso il Banduri, Imp. orientale, Volume I, 84, capitolo XXVIII.

(26) Atto di fondazione del Convento di San Zaccaria. Romanin. Opera citata, Volume I, pagina 347.

(27) Romanin. Opera citata, Volume I, pagine 132 e 140 e seguenti. — Gfrörer A. F. Storia di Venezia dalla sua fondazione fino all'anno 1084. Traduzione del professor Pinton, Venezia, Visentini, 1878.

(28) Gfrörer. Opera citata, pagina 87. — Monticolo, professor G. B. La cronaca del Diacono Giovanni etc. Pistoja, 1882, pagina 94.

(29) Romanin. Opera citata, volume I, pagina 162, nota 2 (Cornaro).

(30) Romanin. Opera citata, volume I, pagina 149, nota 5.

(31) Gfrörer. Opera citata, pagina 24.

(32) Costantino Porfirogenito. De amministrando imperio. Capite XXVII, ed. bononiensis, III, 122.

(33) Dandolo. Nel Muratori, volume XII, pagina 151. — Romanin. Opera citata, I, 135. — Gfrörer. Opera citata, pagina 64.

(34) Gfrörer. Opera citata, pagina 73. — Romanin. Opera citata, pagina 149.

(35) Romanin. Opera citata, pagina 82 e seguenti.

(36) Brambilla. Monete di Pavia etc. Pavia, 1883, pagina 80.

(37) Le Blanc. Traité historique des monnaies de France. Paris, 1690, pagina 85.

(38) Le Blanc. Opera citata, pagina 111.

(39) Brambilla. Opera citata, pagina 80.

(40) Gfrörer. Pagine 78 e 86. — Eginardo. Vita di Carlo. Capitolo XVI.

(41) Dandolo. Nel Muratori, XII, 176. — Eginardo. Nel Pertz, I, 197.

(42) Adon (évêque de Vienne). Chron. in anno 810. Ediz. Basilea, pagina 224. — Abericus. Cronic. Pagina 153.

(43) Gfrörer. Opera citata, pagina 84.

(44) Monticolo. Opera citata, pagina 25.

(45) Monticolo. Opera citata, pagina 95.

(46) Monticolo. Opera citata, pagina 105.

(47) Gfrörer. Opera citata, pagina 133 e seguenti.

(48) Gfrörer. Opera citata, pagina 134.

(49) Gfrörer. Opera citata, pagina 91.

(50) Gfrörer. Opera citata, pagina 99. — Romanin. Opera citata, volume I, pagina 167.

(51) Gfrörer. Opera citata, pagina 134.

(52) Il terreno in Parrocchia di San Bartolomeo venduto nel 1112, dove si lavorava la moneta, di cui parla Cecchetti (Padovan e Cecchetti. Sommario. Pagina VII) potrebbe essere quello in cui esisteva il fabbricato dove si coniò il danaro con "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S".

(53) Girolamo Zanetti, che primo illustrò questa moneta, lesse: Domine cunserva Polano Imp. Questo granchio gli valse il nome di Zanetti Fiaba, come assicura nelle sue schede, da me possedute, il Lazari che lo seppe per memoria orale autorevolissima.

(54) Crisoboli (dalla bolla d'oro di cui erano fregiati) si chiamavano i diplomi concessi dagl'imperatori bizantini. Nel crisobolo dell'anno 992 gl'imperatori Basilio e Costantino accordavano ai Veneziani nuovi privilegi e favori specialissimi. — Romanin. Opera citata, volume I, pagina 267. — Gfrörer. Opera citata, pagina 228.

(55) Liruti. Opera citata, pagina 130 e seguenti.

(56) Zanetti Girolamo. Opera citata, Venezia, 1750.

(57) Carli. Opera citata, volume I, pagina 115 e seguenti.

(58) Il passo è il seguente: Volumus ut pro sex manc. sol'. ab uno homine sacramentum recipiatur, et si plus fuerit usque ad duodecim manc. duorum hominum juramentum sit satisfactum, et ita usque ad duodecim libras veneticorum semper addendum per duodecim electos juratores. Nam si ultra duodecim librarum quaestio fuerit, juratores ultra duodecim non excedant.

(59) San Quintino. Opera citata, pagina 27.

(60) I Registri originali del Liber Albus, Liber Blancus, Libri Pactorum furono pubblicati da Tafel et Thomas, Monaco, 1855.

(61) San Quintino. Opera citata, pagina 31.

(62) Romanin S. Opera citata, volume I, pagina 351.

(63) Romanin sostiene che la data deve essere 951: nel documento però è scritto 953.

(64) Romanin. Opera citata, volume 1, pagina 240.

(65) San Quintino. Opera citata, pagine 29 e 30.

(66) San Quintino. Opera citata, pagina 31.

(67) San Quintino. Opera citata, pagine 30 e 31.

(68) Nella grande opera Historiæ patriæ monumenta, Augusta Taurinorum, 1855, vi ha il diploma 27 Giugno 947 Actum Papiae, nel quale Lotario, per officio di Manasse Arcivescovo di Milano, fa una donazione all'amabile sua sposa Adelaide. Ivi Chart, tomo I, Doc. XCVII, colonna 159.

(69) Liruti. Opera citata, pagina 144.

(70) Zanetti G. Opera citata, pagina 3.

(71) Carli. Opera citata, pagina 113 e seguenti.

(72) Documento I.

(73) Documento II.

(74) Promis. Opera citata, pagina 21 e seguenti.

(75) Il passo citato esiste anche nel trattato che io attribuisco a Lotario II, e sarebbe quindi di pochi anni precedente quello di Berengario ed il più antico documento che parli di moneta veneziana.

(76) V. sopra, pagina 25.

(77) De Rubeis. Monumenta Ecclesiæ Aquil. etc. Pagina 474.

(78) Anche qui troviamo che il denaro veneziano è valutato per metà del denaro milanese od imperiale, come nel trattato con Ottone II.

(79) Liruti. Opera citata, pagina 142. — Zanetti G. Opera citata, pagina 6.

(80) Liruti. Opera citata, pagina 143. — Carli. Opera citata, volume I, pagina 399.

(81) Padovan. Le monete dei Veneziani. Pagina XVII, nota 2.

(82) Dandolo. Chronicon. In Muratori. Rer. Ital. Script. Tomo XII, colonna 200.

(83) Sanuto. Vitae Ducum Venetorum. In Muratori. Rer. Ital. Script. Tomo XXII, colonna 462.

(84) Sansovino F. Venetia città nobilissima et singolare. Venezia, 1604, pagina 367.

(85) Testamento del doge Pietro Orseolo II sopracitato.

(86) Brunacci. De re nummaria Patavinorum. Venetiis, Pasquali, 1744, pagine 5 e 6, cita due documenti in cui si parla di lire e soldi monetae Venetiarum.

(87) Lami. Novelle letterarie. Anno 1757, coll. 188.

(88) È comunemente chiamato Enrico II, perché tale come re di Germania, ma di fatto è il primo di questo nome che cinse la corona imperiale, mentre Enrico l'Uccellatore non l'ebbe mai.

(89) San Quintino. Opera citata, pagine 52 e 56.

(90) Zon. Opera citata, pagina 14.

(91) Padovan. Opera citata, pagine 2, 3.

(92) Promis. Opera citata, pagine 25 e 26.

(93) Liruti. Opera citata, pagina 136 e seguenti.

(94) Zanetti Girolamo. Opera citata, pagine 39 e 40.

(95) Carli. Opera citata, pagine da 121 a 123. All'autore non è sfuggito che il "C quadrata" fatto in questa forma si vede anche nelle monete di Corrado II.

(96) Muratori. Antiqu. Ital. Medii aevi. Tomo II, Dissertazione XXVII, colonna 648.

(97) Promis. Opera citata, pagina 27.

(98) Zanetti Guid'Antonio. Nuova raccolta delle monete e zecche d'Italia. Bologna, 1775-89, volume II, pagine 405 e 406.

(99) Questa circostanza non era sfuggita a G. A. Zanetti, volume II, pagina 406.

(100) San Quintino. Opera citata, pagina 52.

(101) Promis. Opera citata, pagina 27.

(102) Promis. Opera citata, pagina 26.

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MONETE DI LODOVICO I. IL PIO.
IMPERATORE E RE D'ITALIA.

814-840.

Denaro (un dodicesimo del soldo, un duecentoquarantesimo della lira). Argento, titolo 0,900 circa (1). Peso, grani veneti 34 (grammi 1,759) (2).

1. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio I M P".

Rovescio. Su tre linee "croce V E, legatura NE, spazio C I A S M O spazio N E T A" (3).

Gabinetto numismatico di Sua Maestà in Torino (grani veneti 33 e mezzo).

Tavola I, numero 1.

Raccolta Papadopoli, Venezia (grani veneti 29).

2. Dritto. Come il precedente.

Rovescio. Su tre linee "croce V E, legatura NE, spazio C I A S M spazio O, legatura NE, T A".

Regio Museo di Parma (grani veneti 23).

Tavola I, numero 2.

3. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio I M P".

Rovescio. Su due linee "V E N spazio E C I A S", "C" più piccolo delle altre lettere.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 32).

Tavola I, numero 3.

4. Dritto. Come il precedente, "H" senza linea fra le due aste, "O" piccolo.

Rovescio. Come sopra, "C" piccolo.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 31).

Tavola I, numero 4.

5. Dritto. Come sopra, "O" piccolo.

Rovescio. Come sopra, punto dopo la "S".

Museo Bottacin, Padova (grani veneti 29).

Tavola I, numero 5.

6. Dritto. Come sopra, "O" piccolo.

Rovescio. Come sopra, un punto in mezzo alla moneta, uno in mezzo al
"C".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 31).

Tavola I, numero 6.

7. Dritto. Come sopra, quattro punti in croce dopo l'iscrizione.

Rovescio. Come sopra, punto dopo la "S".

Regio Museo Britannico, Londra (grani veneti 27 e mezzo).

Disegnato nelle Osservazioni critiche intorno all'origine ed antichità della Moneta Veneziana di G. di San Quintino, Tavola I, numero 4.

8. Dritto. Come sopra, punto triangolare sopra l'"O".

Rovescio. Come sopra, "C" piccolo.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 31 e mezzo).

Tavola I, numero 7.

9. Dritto. Come sopra, punto nel mezzo dell'"O".

Rovescio. Come sopra, punto dopo la "S".

Regia Biblioteca di San Marco, Venezia (grani veneti 28).

Tavola I, numero 8.

10. Dritto. Croce nel centro, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio I, legatura MP".

Rovescio. Come sopra, punto nel centro della moneta.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 33).

Disegnato nella tavola I, numero 6 dell'opera citata di San Quintino (grani veneti 29).

11. Dritto. Come il numero 10, punto sotto la linea che unisce le due aste della "M".

Rovescio. Come sopra.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 31 e mezzo).

Tavola I, numero 9.

12. Dritto. Come sopra, "S" rovescia, punto nel mezzo della curva del "P".

Rovescio. Come sopra, punto nel centro della moneta.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 32).

Tavola I, numero 10.

13. Dritto. Come sopra, punto triangolare sull'"O".

Rovescio. Punto triangolare nel mezzo della moneta.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 32).

Tavola I, numero 11.

14. Dritto. Come sopra, un punto triangolare sotto l'"O".

Rovescio. Come sopra, punto nel centro della moneta.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 32).

Tavola I, numero 12.

15. Dritto. Come sopra, due punti triangolari ai lati del secondo "V", un altro punto triangolare ai piedi del "P" ed un punto rotondo dopo l'iscrizione.

Rovescio. Come sopra.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 32).

Tavola II, numero 1.

16. Dritto. Come sopra, punto sotto la linea che unisce le due aste della "M".

Rovescio. Come sopra, punto fra le braccia della croce, e fra le aste della "A", punto nel centro della moneta.

Dalle schede del signor C. Kunz (grani veneti 34).

Tavola II, numero 2.

17. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D V V I C V S spazio I, legatura MP", punto triangolare sotto la linea che unisce le due aste della "M".

Rovescio. Come sopra, punto triangolare dopo la "N", punto nel centro della moneta.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 31).

Tavola II, numero 3.

18. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio M P".

Rovescio. Come sopra.

Museo Correr, Venezia (grani veneti 29).

Tavola II, numero 4.

19. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio, legatura MP" (4).

Rovescio. Come sopra, punto nel centro della moneta.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 32).

Tavola II, numero 5.

20. Dritto. Come sopra, "O" piccolo.

Rovescio. Come sopra, punto triangolare dopo la "N".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 24).

Tavola II, numero 6.

21. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio I M".

Rovescio. Come sopra.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 32).

Tavola II, numero 7.

22. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio I N".

Rovescio. Come sopra, punto nel centro della moneta.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 28).

Tavola II, numero 8.

23. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio M".

Rovescio. Come sopra.

Museo Bottacin (grani veneti 33).

Tavola II, numero 9.

24. Dritto. Croce nel mezzo, attorno "croce H L V D O V V I C V S spazio I N P".

Rovescio. L'inscrizione è in senso inverso.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 29 e mezzo).

Tavola II, numero 10.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI LODOVICO I.

PETAVIUS P. — Antiquariæ suppellectilis portiuncola veterum nummorum [Greco[Gnorìsma]Greco]. Parisis, 1610; ed in A. H. DE SALLENGRE. Novus thesaurus antiquitatum romanarum. Hagæ Comitum, 1718, Tomus II, pagina 1034.

(WELSER M.). — Squitinio della libertà veneta, nel quale si adducono anche le raggioni dell'Impero Romano sopra la Città e Signoria di Venezia. Mirandola, 1612, pagina 77.

WORMIUS O. — Danicorum monumentorum libri sex. Hafniæ, 1643, Libro
V, pagina 440.

Museum Wormianum. Amstelodami, 1655, Libro IV, Capitolo VI, pagina 361.

LE BLANC F. — Traité historique des monnoyes de France. Paris, 1690, Tavola a pagina 102 b, numero 33. — Amsterdam, 1692, tavola a pagina 108, numero 2, 33.

KÖHLER. — Historische Münz-Belustigung. Nürmberg, 1729-65, Tomo
VIII, pagina 193, numero 2.

FONTANINI J. — De Sancto Petro Urseolo etc., Romæ, 1730, pagine 81- 82.

HARDUINUS J. — Opera varia. Amstelodami, 1733, pagina 591, numero 22, Tavola XII, pagina 679, numero 22.

(PASQUALIGO D.). — Spiegazione di tre antichissimo monete veneziane. Venezia, 1737, pagina VIII; e nella Raccolta di opuscoli scientifici e filologici (CALOGERÀ). Tomo XXVIII, pagina 508.

(VETTORI). — Il fiorino d'oro antico illustrato. Firenze, 1738, pagine 13 e 170.

MURATORI L. A. — Antiquitates italicæ medii ævi. Mediolani, 1738-42, Tomo II, Dissertazione XXVII. De moneta sive jure condendi nummos, colonne 754, 761-762, numero V; ed in ARGELATI F. De monetis Italiæ etc. Mediolani, 1750-59, Parte I, pagina 93, tavola LXXX, numero V.

LIRUTI G. G. — Della moneta propria e forastiera ch'ebbe corso nel ducato di Friuli etc. Venezia, 1749, pagine 131-132; ed in ARGELATI, Parte II, pagina 144.

ZANETTI GIROLAMO. — Dell'origine e della antichità della moneta viniziana ragionamento. Venezia, 1750, pagina 36, numero IV della tavola; ed in ARGELATI, Parte III, Appendice, pagine 9 e 14, numero IV.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete e dell'istituzione delle zecche d'Italia etc. A l'Aja (Venezia), 1754, Tomo I, pagina 123, tavola III, numero 6.

GRADENIGO G. A. — Indice delle monete d'Italia raccolte ed illustrate, in ZANETTI G. A. Nuova raccolta delle monete e zecche d'Italia. Bologna, 1775-89, Tomo II, pagina 165, numeri II e III, nota (b).

BALUZIUS S. — Capitularia regum francorum. Parisiis, 1780, Tomus II, colonna 1272, numero I.

APPEL J. — Repertorium zur Münzkunde des Mittelalters und der neuern
Zeit
. Wien, 1820-29, Tomo III, pagina 1116, numero 3900.

LELEWEL J. — Numismatique du Moyen Age etc. Paris, 1835, Parte I, pagine 121-122.

SAULCY F. (DE). — Deniers carlovingiens déterrés à Belzevet. — Revue de la Numismatique françoise. Blois, 1837, pagine 347-359.

FOUGÈRES G. e COMBROUSE F. — Description complète et raissonée des monnaies de la deuxième race royale de France. Paris, 1837, pagine 9 e 48, numero 105 e numero 480.

SAN QUINTINO G. (DI). — Osservazioni critiche intorno all'origine ed antichità della moneta veneziana. Torino, 1847, pagine 6-21 e 54, tavola I, numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 6.

ZON A. — Cenni istorici intorno alla moneta Veneziana. — Venezia e le sue lagune. Venezia, 1847, Volume I, Parte II, pagina 12, tavola I, numero 1.

LONGPÉRIER A. (DE). — Notice des monnaies françaises composant la collection de M. J. Rousseau etc. Paris, 1848, pagina 246, numero 588.

SCHWEITZER F. — Serie delle monete e medaglie d'Aquileja e di Venezia. Trieste, 1848-52, Volume I, pagina 60 (82-83) e numero 1 della tavola.

CARTIER E. — Observations sur les deniers carlovingiens portant le nom de Venise. — Revue Numismatique. Blois, 1849, pagine 190-210, tavola VI, numeri 1, 2, 3, 4, e 9.

ROMANIN S. — Storia documentata di Venezia. Venezia, 1853-60, Tomo
I, pagina 226.

MORBIO C. — Quinto Catalogo dei duplicati. Milano, 1860, pagina 8.

PADOVAN V. e CECCHETTI B. — Sommario della Nummografia Veneziana.
Venezia, 1866, pagina 5.

PROMIS V. — Sull'origine della Zecca Veneta. Torino, 1868, pagina 16, numeri 1 e 2 della tavola.

WACHTER C. (VON). — Versuch einer systematischen Beschreibung der
Venezianer Münzen nach ihren Typen
. — Numismatische Zeitschrift,
Wien, 1870, Volume II, pagine 217-218.

PADOVAN V. — Le monete della Repubblica Veneta dal secolo IX al XVIII etc. Sommario. Venezia, 1879, pagina 1; — idem, Le monete dei Veneziani, Sommario, Archivio Veneto. Tomo XII, pagina 85; — idem, terza edizione, Venezia, 1881, pagina 1.

PAPADOPOLI N. — Sulle origini della Veneta Zecca e sulle antiche relazioni dei veneziani cogli imperatori etc. Atti del Regio Istituto di Scienze, Lettere ed Arti, Tomo VIII, serie V, Venezia, 1882, pagine 1507-1512, 1535-1539; — idem, edizione in ottavo, Venezia, 1883, pagine 16-19, 37-40, tavola I, numeri 1 a 12, tavola II, numeri 1 a 10.

GARIEL E. — Les monnaies royales de France sous la race carolingienne. Première partie, Strasbourg, 1883, pagine 64, 67, tavola V, numero 54 e tavola VI, numeri 55 e 56. Deuxième partie, Paris, 1885, pagina 187, tavola XIX, numero 140, 141, 142 e 143.

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NOTE A "MONETE DI LODOVICO I. IL PIO".

(1) Il saggio fatto a Parigi da valente artefice dà il seguente risultato: 0,898 d'argento e 0,0005 d'oro.

(2) Dall'esemplare di maggior peso descritto al numero 16.

(3) Ho collocati per primi questi denari, che ritengo più antichi, perché somigliano a quelli coll'iscrizione "P A L A T I N A spazio M O N E T A", nella quale Zecca sono a mio avviso battuti, e perché l'iscrizione loro è corretta e senza abbreviature: mentre i denari con "croce V E N E C I A S" presentano invece dei nessi fra le lettere, segno di coniazione abbondante ed affrettata e portano i punti e contrassegni con cui soleva indicarsi lo zecchiere responsabile del valore della moneta. Tutto ciò dimostra che questo nummo veniva coniato in quantità rispondente ai bisogni di una vera circolazione e non per semplice ostentazione di sovranità.

(4) È la stessa moneta da cui fu tratto il disegno della tavola I, numero 3 dell'opera citata di San Quintino; credo bene riprodurla, perché meglio disegnata.

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MONETE DI LOTARIO I.
IMPERATORE E RE D'ITALIA.

840-855.

Denaro. Argento, titolo 0,720 circa. Peso, grani veneti 29 (grammi 1,500) (1).

1. Dritto. Croce nel centro, attorno "croce H L O, legatura TH, A R I V S spazio I, legatura NP, spazio A V".

Rovescio. In una sola linea "legatura VE, N E C I A".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 29).

Tavola II, numero 11.

2. Dritto. Croce come il precedente "croce, legatura HL, O, legatura HT, A R I V S spazio I M P A V".

Rovescio. In una sola linea "legatura VE, legatura NE, C I A".

Gabinetto numismatico di Sua Maestà. (grani veneti 26).

Tavola II, numero 12.

Regio Museo Britannico (grani 25).

3. Dritto. Come sopra "croce, legatura HL, legatura HT, O A R I V S spazio I, legatura MP, spazio A V".

Rovescio. In una sola linea "legatura VE, legatura NE, C I A".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 22), esemplare guasto.

Tavola III, numero 1.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI LOTARIO I. IMPERATORE.

LE BLANC F. — Opera citata, Paris, 1690, tavola a pagina 108, numero 3
— Amsterdam, 1692, tavola a pagina 113, numero 3.

FONTANINI J. — Opera citata, pagina 82.

HARDUINUS J. — Opera citata, pagina 592, numero 3, tavola XIII, pagina 681, numero 3.

(PASQUALIGO D.). — Opera citata, pagina IX, ed Opuscoli CALOGERÀ, Tomo
XXVIII, pagina 508.

ZANETTI GIROLAMO. — Opera citata, pagina 36, numero V; ed ARGELATI,
Parte III, Appendice, pagine 9 e 14, numero V.

ZANETTI GUID'ANTONIO. — Nuova raccolta delle monete e zecche d'Italia, già citata, Tomo II, pagina 165, nota (c).

LELEWEL J. — Opera citata, Parte I, pagine 121-122.

FOUGÈRES e COMBROUSE. — Opera citata, pagina 17, numero 240.

ROMANIN S. — Opera citata, Tomo I, pagina 226.

SAN QUINTINO G. (DI). — Opera citata, pagine 6-21 e 54, tavola I, numero 7.

ZON A. — Opera citata, pagina 12.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 60 (84) (85) e numero 2 della tavola.

CARTIER E. — Opera citata. — Revue Numismatique 1849, pagine 194 e 209, tavola VI, numero 5

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 5.

PROMIS VINCENZO. — Opera citata, pagina 17, numero 2 della tavola.

WACHTER C. (VON). — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift,
Volume II, 1870, pagine 218-219.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 2. — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 86; — terza edizione, 1881, pagina 2.

PAPADOPOLI N. — Opera citata, pagine 1507-1512 e 1540; — edizione in ottavo, pagine 16-19 e 41, tavola II, numeri 11 e 12.

GARIEL E. — Opera citata, Parte II, pagina 324, tavola LX, numero 28.

[Nuova pagina]

NOTE A "MONETE DI LOTARIO I".

(1) Il peso regolare dovrebbe essere almeno di 32 grani, ma tutti gli esemplari da me conosciuti sono deboli e consumati dall'uso.

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DENARO ANONIMO CON XPE SALVA VENECIAS.

855-880?

Denaro. Argento, titolo 0,700 circa. Peso, grani veneti 32 (grammi 1,656).

1. Dritto. Croce accantonata da quattro globuli, o bisanti, "D punto S spazio C V N S E R V A spazio R O M A N O spazio I, legatura MP".

Rovescio. Tempio con 4 colonne a base e capitello semplice, croce fra le colonne, sopra il tempio croce che divide l'iscrizione "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S".

(grani veneti 29).

Disegnato nella tavola I, numero 9 dell'opera citata di San Quintino.

2. Dritto. Croce come sopra "croce D punto S spazio C V N S E R, legatura VA, spazio R O, legatura MA, N O spazio I, legatura MP".

Rovescio. Tempio ed iscrizione come al numero 1.

(grani veneti 32).

Disegnato nella tavola I, numero 8 dell'opera citata di San Quintino.

3. Dritto. Croce come sopra, "croce D S spazio C V N S E R V A spazio P O, legatura MA, N O spazio, legatura MP".

Rovescio. Tempio ed iscrizione come al numero 1.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 29).

Tavola III, numero 2.

4. Dritto. Croce come sopra "croce D S spazio C V S E R V A spazio R O M A N O spazio, legatura MP, punto".

Rovescio. Tempio come al numero 1, "X P E spazio S A L V A spazio V
E, legatura NE, C I A S punto".

Regio Museo Britannico (grani veneti 24 e mezzo).

Tavola III, numero 3.

5. Dritto. Croce come sopra, "croce D S spazio C V S E R V A spazio P O M A N O spazio, legatura MP, punto".

Rovescio. Tempio come al numero 1, "X P E spazio S A L V A spazio
V E, legatura NE, C I A S".

Museo Bottacin (grani veneti 28 e mezzo).

Tavola III, numero 4.

6. Dritto. Croce accantonata da quattro globuli, o bisanti, "croce D S C W S E R V A spazio R O M A N spazio, legatura MP".

Rovescio. Tempio come al numero 1, "X P E spazio S A L V A spazio V
E, legatura NE, C I A S".

Dalle schede del signor C. Kunz.

Tavola III, numero 5.

7. Dritto. Croce come sopra, "croce D S spazio C V N S E R V A spazio R O M A N O spazio M".

Rovescio. Tempio ed iscrizione come al numero 1.

Gabinetto numismatico di Sua Maestà. (grani veneti 31 e mezzo).

Tavola III, numero 6.

8. Dritto. Croce come sopra, "croce D S spazio C W S E R V A spazio P O I A N O spazio I, legatura MP".

Rovescio. Tempio come sopra con le colonne a base e capitelli doppî "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S".

Museo Correr (grani veneti 30).

Tavola III, numero 7.

9. Dritto. Croce come sopra, "croce D punto S spazio C W S E R, legatura VA, spazio R O M A N O spazio, legatura MP".

Rovescio. Tempio come al numero 8, "X P E spazio S A L, legatura VA, spazio V E N E C I A S".

(grani veneti 31).

Disegnato nella tavola 1, numero 10 dell'opera citata di San
Quintino.

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OPERE CHE TRATTANO DEI DENARI ANONIMI CON XPE SALVA VENECIAS.

(ZANETTI GIROLAMO). — Di una moneta antichissima, e ora per la prima volta pubblicata, del Doge di Venezia Pietro Polani, Dissertazione di G. F. Z. V. Venezia, 1769.

GRADENIGO G. A. — Indice citato in ZANETTI G. A., TOMO II, pagine 166-167, nota (a).

ZANETTI G. A. — Delle monete di Faenza, nel Tomo II, Nuova raccolta delle monete e zecche d'Italia, pagina 406.

(MENIZZI A.). — Delle monete de' veneziani dal principio al fine della loro Repubblica. Venezia, 1818, pagina 75.

CARTIER E. — Lettres sur l'histoire monétaire de France. Monnaies de la deuxième race. — Revue de la Numismatique françoise. Blois, 1837, pagina 273, tavola VIII, numero 20.

FOUGÈRES e COMBROUSE. — Opera citata, pagina 53.

ROMANIN S. — Opera citata, Tomo I, pagina 227.

SAN QUINTINO G. (DI). — Opera citata, pagine 22-27, nota XIII, pagine 49 e 54, tavola I, numeri 8, 9 e 10.

ZON A. — Opera citata, pagina 12, Tavola I, numero 2.

LONGPÉRIER A. (DE). — Opera citata (Collection Rousseau), pagina 258, numero 607.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 64 (89) e tavola.

CARTIER E. — Opera citata. — Revue Numismatique 1849, pagine 211- 216, Tavola VI, numeri 6, 7 e 8.

FILLON B. — Considérations historiques et artistques sur les monnaies de France. Fontenay-Vendée, 1850, pagine 61 e 64.

CICOGNA E. ed altri. — Biografia dei Dogi di Venezia, con centoventi ritratti incisi in rame da A. Nani, Edizione seconda, corretta ed accresciuta colla serie incisa delle più pregievoli medaglie e monete per essi coniate. Venezia, Grimaldo, 1855 e 1857.

(PASINI professor PIETRO). — Numismatica Veneta, o serie di monete e medaglie dei Dogi di Venezia. Venezia, Grimaldo, 1854 e 1863. È la parte numismatica del precedente lavoro tirato separatamente. Due disegni al Doge X e due al Doge XXXVI.

DE COSTER. — Explications faisant suite aux précédentes notices sur l'attribution à Charlemagne de quelques types monétaires. — Revue de la Numismatique Belge, série III, tome I, Bruxelles, 1857, pagina 51.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagine 5-6.

PROMIS V. — Opera citata, pagina 17, numero 4 della tavola.

WACHTER C. (VON). — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift,
Volume II, 1870, pagine 219-221.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 2; — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 86; — terza edizione, 1881, pagina 2.

PAPADOPOLI N. — Opera citata, pagine 1512-1515, 1540-1541; — edizione in ottavo, pagine 20-22, 41-42, tavola III, numeri 1, 2 e 3.

GARIEL E. — Opera citata, Parte II, pagina 334, tavola LXI, numero 14.

ENGEL A. e SERRURE R. — Traité de Numismatique du Moyen-Age. Paris, 1891, Tome I, pagina 283, figura 507.

[Nuova pagina]

DENARO ANONIMO CON CRISTVS IMPERAT.

970-1024?

Denaro. Argento, titolo 0,260 circa. Peso, grani veneti 22 (grammi 1,139).

1. Dritto. Croce colle estremità trifogliate, accantonata da quattro globuli o bisanti "croce C R I S T V S spazio I M P E R apostrofo".

Dritto. Tempio simile a quello del precedente denaro, solo alle colonne è sostituita l'iscrizione "legatura VE, legatura NE, C I", sotto "A", attorno al tempio "I I O spazio O I I".

In tutte le Raccolte.

Tavola III, numero 8.

[Nuova pagina]

OPERE CHE TRATTANO DEL DENARO CON CRISTVS IMPER.

(PASQUALIGO D.). — Opera citata, pagina III; e negli Opuscoli
CALOGERÀ, Tomo XXVIII, pagina 495.

MURATORI L. A. — Opera citata, Tomo II, Dissertazione XXVII, colonne 648, 651-652, numero I; ed ARGELATI, Parte I, pagina 47, tavola XXXVII, numero 1.

LIRUTI G. G. — Opera citata, pagine 136-142, tavola VI, numero 60; ed in ARGELATI, Parte II, pagine 146-149, tavola III, numero 60.

ZANETTI GIROLAMO. — Dell'origine e della antichità etc. Opera citata, pagine 32-33, numero 1 della tavola; ed ARGELATI, Parte III, Appendice, pagine 8 e 14, numero 1.

ARGELATI F. — Opera citata, Parte III, Appendice. Editoris additiones ad nummos variarum Italiæ urbium, pagina 69, tavola VII, numero 1.

CARLI RUBBI G. R. — Dell'Origine e del Commercio della moneta etc.
Haja (Venezia), 1751, pagina 125, tavola I, numero 1.

CARLI RUBBI G. R. — Delle Monete etc. Opera citata, Tomo I, pagine 121-122, tavola I, numero 1.

BIANCHI dottor GIOVANNI. — Lettera da Rimini nelle Novelle
Letterarie
. Firenze, Tomo VIII, anno 1757, colonne 76-77 e 188.

GRADENIGO G. A. — Indice citato in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 165, numero I, nota (a).

MADER J. — Kritische Beiträge zur Münzkunde des Mittelalters. Prag, 1803-1813, volume I, pagine 192-201.

SALVAGGI. — De nummo argenteo S. Zaccariæ P. M. aliisque vetustissimis. Romæ, 1807, pagina 495.

(MENIZZI A.). — Opera citata, pagina 54.

MANIN L. — Esame ragionato sul libro delle monete dei Veneziani, dal principio al fine della loro Repubblica; — nelle Esercitazioni scientifiche e letterarie dell'Ateneo di Venezia, Tomo I, 1827, pagine 172 e 174, numero 3 della tavola.

LELEWEL J. — Opera citata, Paris, 1835, Parte I, pagina 122, tavola
XIV, numero 38.

SAN QUINTINO G. (DI). — Opera citata, pagina 52, nota XV, pagina 55, tavola II, numeri 1 e 2.

ZON A. — Opera citata, pagina 14, tavola I, numero 3.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 58 (81) e tavola.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 6.

PROMIS V. — Opera citata, pagina 27, numero 8 della tavola.

WACHTER C. (VON). — Opera citata, — Numismatische Zeitschrift,
Volume II, 1870, pagine 224-225.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 4; — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 88; — terza edizione, 1881, pagina 4.

PAPADOPOLI N. — Opera citata, Atti dell'Istituto, pagine 1527-1532, 1542; — edizione in ottavo, pagine 31-35, 42, tavola III, numero 4.

GARIEL E. — Opera citata, Parte II, pagina 346, tavola LXV, numero 3
(Berengario).

ENGEL e SERRURE. — Opera citata, pagina 283, figura 508.

[Nuova pagina]

MONETE DI CORRADO I. (II.).
IMPERATORE E RE D'ITALIA.

1024-1039.

Denaro. Argento, titolo 0,260 circa. Peso, grani veneti 20 (grammi 1,035).

1. Dritto. Croce colle estremità trifogliate, accantonata da quattro bisanti "croce C O N R A D spazio I M P E R".

Rovescio. Tempio simile a quello del precedente denaro, solo alle colonne è sostituita l'iscrizione "legatura VE, legatura NE, C I", sotto "A", attorno al tempio "I I O spazio O I I".

Museo Correr (grani veneti 15).

Tavola III, numero 9.

Museo Bottacin (grani veneti 20).

2. Dritto. Croce come sopra "C O R A D apostrofo spazio I M P E R apostrofo".

Rovescio. Tempio come sopra.

Gabinetto numismatico di Sua Maestà (grani veneti 19).

Tavola III, numero 10.

Raccolta Papadopoli (grani veneti 17 e mezzo).

[Nuova pagina]

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI CORRADO I.

BIANCHI dottor GIOVANNI. — Lettera da Rimini, nelle Novelle letterarie già citate, anno 1757, colonna 188.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 165, numero IV, nota (d).

SAN QUINTINO G. (DI). — Opera citata, nota XV, pagine 52 e 55, tavola
II, numero 3.

ZON A. — Opera citata, pagine 13 e 14.

SCHWEITZER. — Opera citata, pagina 60 (87).

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 6.

PROMIS V. — Opera citata, pagina 24, numero 5 della tavola.

WACHTER C. (VON). — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift,
Volume II, 1870, pagine 221-222.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 3. — Archivio
Veneto
. Tomo XII, pagina 87; — terza edizione, 1881, pagina 3.

PAPADOPOLI N. — Opera citata, pagine 1527-1529 e 1452; — edizione in ottavo, pagine 31-33 e 43, tavola III, numeri 5 e 6.

[Nuova pagina]

MONETE DI ENRICO II. (III.).
IMPERATORE E RE D'ITALIA.

1039-1056.

Denaro. Argento, titolo 0,250 circa (1). Peso, grani veneti 18 (grammi 0,931).

1. Dritto. Croce colle estremità trifogliate, accantonata da quattro bisanti "croce E N R I C V S spazio I M P E R".

Rovescio. Tempio come nei due denari precedenti, invece di colonne le lettere "legatura VE, legatura NE, C I", sotto "A", attorno al tempio "I I O spazio O I I".

In tutte le Raccolte.

Tavola III, numero 11.

[Nuova pagina]

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI ENRICO II.

BIANCHI dottor GIOVANNI. — Lettera da Rimini, nelle Novelle
Letterarie
già citate, anno 1757, colonne 75-76 e 188.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 165, numero V.

MADER J. — Opera citata, Tomo I, pagine 192-201, tavola VIII, numero 111; Tomo II, pagine 22-23.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1117, numero 3902.

ZON A. — Opera citata, pagina 14, tavola I, numero 4.

SAN QUINTINO G. (DI). — Opera citata, nota XV, pagine 52 e 55, tavola
II, numero 4.

SCHWEITZER. — Opera citata, Volume I, pagina 60 (88).

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 6.

PROMIS V. — Opera citata, pagine 23-26, numero 6 della tavola.

WACHTER C. (VON). — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift,
Volume II, 1870, pagine 222-223.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 2. — Archivio
Veneto
. Tomo XII, pagine 86-87; — terza edizione, 1881, pagine 2-3.

PAPADOPOLI N. — Opera citata, pagine 1527-1531 e 1542-1543; — edizione in ottavo, pagine 31-35 e 43, tavola III, numero 7.

[Nuova pagina]

NOTE A "MONETE DI ENRICO II. (III.)".

(1) L'esame chimico fatto a Parigi dà il seguente risultato: 0,242 d'argento e 0,0019 d'oro.

[Nuova pagina]

MONETE DI ENRICO III. (IV.) ED ENRICO IV. (V.).
IMPERATORI E RE D'ITALIA.

1056-1125.

Denaro. Argento, titolo vario da 0,250 a 0,220 (1). Peso decrescente, secondo l'epoca, da grani veneti 16 ad 8 (grammi 0,828 a 0,414).

1. Dritto. Croce colle estremità trifogliate, accantonata da quattro globuli, o bisanti "croce E N R I C V S spazio I M P E R A".

Rovescio. Busto di San Marco visto di faccia, con aureola e vestimenta riccamente decorate, al collo il pallio dei metropolitani "croce S spazio M A R C V S spazio V E, legatura NE, C I A".

Regio Museo Britannico (grani veneti 14 e mezzo).

Tavola III, numero 12.

L'esemplare è bene conservato, ma manca di un pezzettino per cui rimane deficiente nel peso.

2. Dritto. Croce come sopra "croce E N R I C V S spazio I M P E R A".

Rovescio. Busto di faccia rozzamente disegnato, senza aureola, ma col pallio "croce M A D C V S spazio, legatura VE, legatura NE, C I".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 16).

Tavola IV, numero 1.

3. Dritto. Croce come sopra "croce E N R I C V S spazio I M P E R A".

Rovescio. Busto simile al numero 2, "croce S spazio M A R C V S spazio, legatura VE, legatura NE, C I A".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 15).

4. Dritto. Croce come sopra "croce E N R I C V S spazio I M P E R".

Rovescio. Busto di faccia, senza aureola né pallio, le due linee che formano l'ornamento del vestito s'intersecano a croce "croce S spazio M A R C V S spazio, legatura VE, legatura NE, C I A".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 15 e mezzo).

Tavola IV. numero 2.

5. Dritto. Croce come sopra "croce E N R I C V S spazio I M P E R apostrofo".

Rovescio. Busto come sopra, un punto sul vestito del Santo "croce S spazio M A R C V S spazio, legatura VE, legatura NE, C I A".

Museo Bottacin (grani veneti 13).

Tavola IV, numero 3.

6. Dritto. Croce come sopra "croce E N R I C V S spazio I M P E R".

Rovescio. Busto come al numero 5, "croce S spazio M A R C V S spazio, legatura VE, legatura NE, C I A punto".

Regia Biblioteca di San Marco (grani veneti 11) logoro.

Tavola IV, numero 4.

7. Dritto. Croce come sopra "croce E N R I C V S spazio I M P E R".

Rovescio. Busto di San Marco con punti stretti attorno alla testa, sul vestito tre punti "croce S spazio M A R C V S spazio, legatura VE, legatura NE, C I A".

Museo Correr (grani veneti 16).

Tavola IV, numero 5.

8. Dritto. Croce patente sottile, accantonata da quattro bisanti "croce E N R I C V S spazio I M P E P apostrofo, due punti in verticale".

Rovescio. Busto come al numero 7, "croce S spazio M A P C V S spazio, legatura VE, legatura NE, C I A".

Museo Bottacin (grani veneti 14 e mezzo).

Tavola IV, numero 6.

9. Dritto. Croce patente come sopra "croce E N P I C V S spazio I, legatura MP, un punto sopra due punti".

Rovescio. Busto del Santo come sopra, con aureola di stelle, ossia punti "croce S spazio M A D C V S spazio V E N".

Museo Correr (grani veneti 10 e mezzo).

Tavola IV, numero 7.

10. Dritto. Croce patente simile alle precedenti, ma più rozza "croce E, legatura NP, I C V S spazio I, legatura NP, un punto sopra due punti".

Rovescio. Busto come al numero 9, "croce S spazio M, legatura AR, C V
S spazio, legatura VE, legatura NE, C punto".

Dalle schede Kunz (grani veneti 8).

Tavola IV, numero 8.

11. Dritto. Croce patente come sopra "croce E, legatura NR, I C V S spazio I M P, due punti in verticale".

Rovescio. Busto come al numero 9, "croce S spazio M, legatura AR, C V
S spazio, legatura VE, legatura NE, C punto".

Museo Bottacin (grani veneti 8 e mezzo).

12. Dritto. Croce patente come sopra "croce E, legatura NR, I C V S spazio I, legatura MP, due punti in verticale".

Rovescio. Busto come al numero 9, "croce S spazio M, legatura AR, C V
S spazio, legatura VE, legatura NE, C punto".

Dalle schede Kunz (grani veneti 8).

Tavola IV, numero 9.

13. Dritto. Croce patente come sopra "croce E, legatura NR, I C V S spazio I, legatura MP, punto".

Rovescio. Busto come al numero 9, "croce S spazio M, legatura AR, C V
S spazio, legatura VE, legatura NE, C I".

Museo Bottacin (grani veneti 11).

14. Dritto. Croce patente come sopra "croce E, legatura NR, I C V S spazio I, legatura NP, punto".

Rovescio. Busto come al numero 9, "croce S spazio M, legatura AR, C V
S spazio, legatura VE, N punto".

Museo Bottacin (grani veneti 10).

15. Dritto. Croce patente come sopra "croce E, legatura NP, I C V S spazio I, legatura MP".

Rovescio. Busto come al numero 9, "croce S spazio H H D C V S V C I I
I".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 9).

Tavola IV, numero 10.

16. Dritto. Croce patente come sopra "croce E, legatura NR, I C V S spazio I, legatura NP, due punti in verticale".

Rovescio. Busto come al numero 9, "croce S spazio, legatura MR, C V S spazio, legatura VE, legatura NE".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 9).

Tavola IV, numero 11.

17. Dritto. Croce ancorata, accantonata da 4 bisanti "croce E I I R I C, legatura, MP N P".

Rovescio. Busto come al numero 9, leggenda scorretta "croce S spazio, legatura HR, I, C quadrata, legatura HE, M P, legatura NE".

Raccolta Papadopoli (grani veneti 8 e mezzo).

Tavola IV, numero 12.

[Nuova pagina]

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI ENRICO III. E IV.

CORNER FLAMINIO. — Ecclesiæ Venetæ antiquis monumentis nunc etiam primum editi illustratæ, etc. Venetiis, 1749, Decadis XIII, pagina 76.

LIRUTI G. G. — Opera citata, pagine 149-150, tavola X, numero 105; ed in ARGELATI, Parte II, pagina 153, tavola V, numero 105 (2).

ZANETTI GIROLAMO. — Dell'origine e della antichità, etc. Opera citata, pagine 32-33, numero III della tavola; ed in ARGELATI, Parte III, Appendice, pagine 8-9 e 14, numero III.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagine 123-126, tavola III, numeri 5, 7 e 8.

CORSINI O. — Relazione dello scuoprimento e ricognizione fatta in
Ancona dei Sacri corpi di San Ciriaco, Marcellino e Liberio, etc
.
Roma, 1756, pagine 6-7 e 14.

BIANCHI D. GIOVANNI. — Lettera da Rimini nelle Novelle Letterarie già citate, colonne 76-78.

GRADENIGO G. A. — Indice citato in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 166, numeri VI, VII, VIII e IX e nota (a).

TERZI B. — Osservazioni sopra alcune monete inedite d'Italia.
Padova, 1808, pagina 23, tavola 1, numero 9.

BECKER W. G. — Zweihundert seltene Münzen des Mittelalters etc.
Dresden, 1813, pagina 50, tavola III, numero 78.

MANIN L. — Memorie storico-critiche intorno la vita, traslazione e invenzione di San Marco. Venezia, 1815, pagina 32, tavola V, figura 4 A; — seconda edizione, Venezia, 1835, pagine 27-28, tavola V, figura 4 A.

(MENIZZI A.). — Opera citata, pagine 55 e 71.

MANIN L. — Esame ragionato, etc. Opera citata, pagine 172 e 174, numero 4 della tavola.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1117, numeri 3903 e 3904.

LELEWEL J. — Opera citata, Parte I, pagina 122, Parte III, pagina 17, tavola XIV, numero 49.

PFISTER J. G. — The coins of Venice. — J. Y. AKERMAN, The
Numismatic Journal
, Volume II, 1837-1838, tavola a pagina 201.

WELZL VON WELLENHEIM L. — Verzeichniss der Münz - und Medaillen - Sammlung, Wien, 1844, Volume II, Parte I, pagina 168, numeri 2951- 2960.

SAN QUINTINO G. (DI). — Opera citata, pagine 52-53 e 55, tavola II, numeri 5, 6, 7 e 8.

ZON A. — Opera citata, pagina 15, tavola I, numeri 5 e 6.

SCHWEITZER. — Opera citata, pagine 76 e 77 (105, 106 e 107), numeri 6, 7, 8 della tavola (3).

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 7.

PROMIS V. — Opera citata, pagine 26-27, numero 7 della tavola.

WACHTER C. (VON). — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift,
Volume II, 1870, pagine 223-225.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 3. — Archivio
Veneto
. Tomo XII, pagine 87-88; — terza edizione, 1881, pagine 3-4.

PAPADOPOLI N. — Opera citata, pagine 1528, 1532-1533, 1543-1545; — edizione in ottavo, pagine 32, 35, 43-45, tavola III, numeri 8, 9, 10, 11, 12 e 13.

GARIEL E. — Opera citata, Parte II, pagina 269, tavola XLI, numero 30.

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NOTE A "MONETE DI ENRICO III. (IV.) ED ENRICO IV. (V.)".

(1) Questi denari sono posti nell'ordine di cui si crede sieno stati coniati, ritenendo più antichi quelli di maggior peso e più recenti i leggeri.

(2) Il Liruti avendo esaminato forse un esemplare di cattiva conservazione, invece di "E N R I C V S" lesse "K N D N V S spazio I M P E R A" che interpretò Kristus noster Dominus Imperat e fu seguito in tale lettura dal G. Zanetti, dal Carli, dal Menizzi, dal Lelewel e da altri, sebbene l'errore fosse stato rilevato dal Padre O. Corsini sino dal 1756.

(3) Lo Schweitzer attribuisce alcuni di tali denari ad Enrico Dandolo, dicendo che il titolo d'Imperatore poteva ben essergli lecito, quasi Maestà, dopo la conquista di Costantinopoli.

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VITALE MICHIEL II.
DOGE DI VENEZIA.

1156-1172.

Vitale Michiel II, trentaottesimo doge, tenne il supremo governo dello stato in un'epoca assai torbida e pericolosa. Dall'una parte la lotta grandiosa fra Federico Barbarossa e la Lega Lombarda cui era intimamente legata Venezia; dall'altra i dissapori e la guerra coll'impero d'Oriente, che ebbe fine colla disfatta della flotta veneziana e portò la conseguenza della uccisione del doge in una sommossa popolare. Però non era esausta la giovane repubblica, anzi in tale momento sentì più vivamente le proprie forze e le proprie aspirazioni, per cui non è da sorprendersi che la prima moneta su cui è solennemente affermata la indipendenza porti il nome di Vitale Michiel.

Questa monetina, di poco volume e di poco valore, mostra da un lato la croce accantonata da quattro punti, con attorno il nome, cognome e titolo del principe; dall'altro il busto di San Marco visto di fronte e somiglia in tutto, tranne che nell'intrinseco, ai denari coniati a Venezia dagli ultimi imperatori del nome di Enrico. Monetine dello stesso tipo si trovano pure coi nomi dei dogi che successero a Vitale Michiel, e per il peso, per l'aspetto e la forma scodellata, somigliano assai ai denari colla croce, che furono coniati dalla zecca veneziana con tipo uniforme durante quasi tre secoli, da Sebastiano Ziani a Francesco Foscari. Questa somiglianza fu causa che molti raccoglitori ed anche valenti numismatici confondessero le due specie, chiamando gli uni denari colla croce e gli altri denari col busto di San Marco. Non è però credibile che un governo saggio ed illuminato avesse contemporaneamente delle monete dello stesso valore con diversa impronta, e siccome l'intrinseco dei pezzi colla protome di San Marco è di molto inferiore a quello dei denari, è naturale supporre che essi sieno una frazione del denaro. Potrebbero essere la metà od il terzo, ma la rarità degli esemplari non permettendo un esame chimico, conviene giudicare per analogia. Siccome in altri paesi dell'Italia superiore (1) si coniava nella stessa epoca l'obolo, o mezzo denaro, vi è tutta la probabilità, e quasi la certezza, che la nostra monetina sia la metà del piccolo o denaro. Pare che Venezia informando il sistema monetario proprio, abbia riprodotto nel suo denaro con poche modificazioni, il tipo dei primi imperatori, prendendo a modello del mezzo denaro quelli di Enrico III e IV, col busto dell'evangelista: questo rapporto di uno a due era quello che probabilmente correva fra le antiche monete che si trovavano ancora in circolazione.

Negli antichi documenti oltre alle denominazioni già note di lire, soldi e denari, di grossi e di piccoli per le monete d'Occidente e quelle di bisanti, iperperi e romanati per quelle di Oriente, troviamo talvolta adoperato anche il nome di bianco, come per esempio, in un atto di donazione (2) del vescovo Stefano Lolino al Sacerdote Cristoforo della Chiesa Torcellana di Sant'Antonio Abate nel mese di giugno 1225, ove si parla di quindecim blancos. Però non essendovi alcun altro dato di confronto, non è possibile rilevare quale moneta effettiva, quale valore potesse essere quello che corrispondeva al nome di bianco. Solo allora che le memorie scritte cominciano a farsi più frequenti e più dettagliate, e cioè nella prima metà del secolo XIV, troviamo occasione di illuminarci su tale proposito.

Primo in ordine di età è un documento riportato dal canonico Rambaldo degli Azzoni Avogaro (3), che si trova negli atti del rinnovamento della zecca trevigiana; in data 7 settembre 1317 un mercante di Treviso offre al Podestà ed ai Consoli della Città di coniare bagattini uguali nella bontà e migliori di quelli di Verona e di Brescia, per supplire alla deficienza di denari piccoli buoni, in forza della quale blanchi de Venetiis et alie pessime monete parve expenduntur pro bagatinis. Siccome noi sappiamo che in tutti i tempi la lira usata a Treviso era uguale a quella di Venezia, ne viene per conseguenza che il bianco di Venezia doveva essere una moneta che facilmente si confondeva col denaro, ma di minor valore ed intrinseco, se in Treviso si muove lagnanza perché essa viene spesa come denaro.

Vengono poscia tre documenti dei quali ebbi comunicazione dall'infaticabile e liberalissimo comm. B. Cecchetti, di cui tutti deploriamo la fine immatura.

Il primo di questi documenti, del 23 febbraio 1334 more veneto ossia 1335 (4), contiene copia di una attestazione di Pietro Pino del dicembre 1334, che, mentre l'8 od il 9 stesso, assieme a ser Andrea Marioni di Santa Maria Formosa, egli tornava dall'aver visitato ser Nicolò Marioni

"Dum. . . et intraremus porticum domus dicti ser Nicolai, superveniente domina Lavinia uxore dicti ser Nicolai, dictus ser Andreas dixit ser. . . Io voio che vui oldè certe parole che io voio dir a Lavinia. Et sic vocavit ipsam ad partem angulariam dicte porticus, et me presente dixit: Ve Lavinia, el me se stade dite certe parole, e per zo inchià che ser Nicolò è vivo et che tu li pos favelar, io te digo cossì che del so io non tanto che vaia _un _bianco".

Altri due documenti sono tolti dal libro delle Grazie, che riportiamo qui sotto:

1340, 27 gennajo m. v. v. (5).

"Quod fiat gratia Albuyno vendericulo sancti Luce, quem officiales tarnarie condempnaverunt in libris tribus, quas jam solvit. Et insuper quod non audeat vendere oleum pro eo quod ejus filia ut dicunt vendidit cuidam unum quarterium olei de quo dati sibi fuerunt parvi VIII, et dum ipsa non haberet unum blanchum pro refundendo emptori, dedit nucellas XVI de quibus emptor fuit contentus. Cum autem sit pauper homo absolvatur, et de cetero vendere valeat oleum sicut antea faciebat".

1349, 27 settembris (6).

"Quod fiat gratia Johanni spiciario Sancti Julliani condempnato per officiales tarnarie in libris decem parvorum quia, sicut dicit, quidam puer accipiens oleum ab eo quodam sero videlicet unum quarterium, dimissit blanchum quem sibi dederat dictus Johannes super disco stationis, ob quod per famulos dicti officii euntes inquirendo pro suo officio invenerunt dictum puerum, petentes ab eo quantum dederat de dicto quarterio olei, qui simpliciter respondit septem denarios, non habens blanchum quem habere debebat, considerata condictione facti et sua paupertate, solvendo soldos centum parvorum a reliquo misericorditer absolvatur".

Dal primo di questi documenti si rileva chiaramente che il bianco è un pezzo di infimo valore, giacché in dichiarazione di questo genere, quando uno vuoi asserire che nulla possiede di pertinenza di altra persona, sceglie sempre la moneta di minor prezzo.

Nel secondo e nel terzo documento, oltre al confermare il minimo valore della monetina, riconosciamo che il bianco non è la stessa cosa del piccolo, giacché tanto il venderigolo di San Luca, che lo spiciario di San Giuliano, adducono a loro discolpa di non possedere il bianco per dare il resto al compratore di un quarto d'olio, per il quale aveva pagato sette od otto piccoli.

Ogni giorno vediamo ripetersi lo stesso fatto, ed anche oggi il guardiano di un pedaggio, ovvero il venditore di frutta o di altre cose di poco prezzo, approfitta della scarsezza dei piccoli centesimi per farne illecito guadagno, che per la poca importanza si trascura dal passeggiero o dal compratore.

In quei tempi patriarcali gli ufficiali della Ternarìa erano severissimi per siffatti abusi ed i fanti sorvegliavano attentamente l'esecuzione dei durissimi editti, per cui i venditori colti in flagrante, erano puniti con multe e colla proibizione di vendere; ond'è che i colpevoli per ottenere una diminuzione di pena, si scusavano sia per la acquiescenza del compratore, sia per averlo indennizzato con altra merce.

Intanto sta il fatto che noi troviamo menzionata nei documenti veneziani del secolo XIV, un'altra moneta oltre a quelle già conosciute, e poiché sappiamo positivamente a quali monete si debbano attribuire i nomi di piccolo, di grosso, di mezzanino e di tornese, non possiamo concedere questo nome di bianco se non che a quella che n'era priva, tanto più che al minutissimo intrinseco corrisponde il minimo valore della monetina. Anche la scarsezza dei piccoli pezzi nei secoli in cui avevano corso, giustifica la loro estrema rarità al giorno d'oggi; piuttosto sembra strano che a una moneta, che conteneva piccolissima quantità di argento e facilmente anneriva, sia stato dato il nome di bianco. È bensì vero che le monete di mistura avevano, quando erano fresche di conio una patina argentea, come si può vedere in un esemplare a fior di conio del bianco di Renier Zeno nella raccolta del Museo Correr: e lo stesso nome di bianco fu dato a moneta di simile apparenza in altri paesi, anche in epoche più recenti. Pare che si volesse con ciò denotare, più che il colore permanente della moneta, quello che essa aveva quando era nuova, e che quindi volesse piuttosto riferirsi all'imbianchitura data, che al metallo dell'intrinseco. Non bisogna poi confondere tale minima frazione del denaro con altra moneta chiamata pure bianco nel principio del secolo XVI, perché questa ha maggior valore, ottimo intrinseco ed un aspetto veramente bianchissimo, ma è necessario riflettere che tra l'una e l'altra vi è oltre un secolo di distanza, e che si era già perduta la memoria del primo bianco, quando l'abitudine popolare impose questo nome al secondo.

Se ad alcuno poi rimanesse qualche dubbio, citerò un paragrafo del Capitolare dei Signori di notte (7) il quale nell'anno 1318, al 19 maggio dice:

"cum die secundo dicembris nuper elapsi captum fuerit in isto consilio, quod masarii monete habere debeant octo Ovrarios et octo monetharios pro faciendo monetam parvam, scilicet denarios parvos albos et quartarolos. . .".

Evidentemente si tratta di tre qualità di monete che vengono comprese sotto la comune denominazione di moneta parva e cioè denari parvi, albi e quartaroli; l'albo è la stessa cosa che il bianco o, per meglio dire, è la sua traduzione nel latino burocratico, giacché sarebbe stato inutile aggiungere un'altro aggettivo al denaro, ch'era già accompagnato da quello solitamente usato di parvus.

L'ultima volta che a Venezia, troviamo nominato il bianco è nel 26 agosto 1348, in una parte della Quarantìa (8) che autorizza il Massaro di quindicina a far fabbricare quella quantità di bianchi che credesse conveniente; dopo quel giorno non se ne trova più menzione e ciò corrisponde anche alle monete che si conservano nelle raccolte, dove l'ultimo bianco porta il nome del doge Andrea Dandolo.

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MONETE DI VITALE MICHIEL II.

Mezzo denaro, o Bianco (un ventiquattresimo del soldo). Mistura, titolo 0,070 circa. Peso (9), grani veneti 8, (grammi 0,414): scodellato.

1. Dritto. Croce patente accantonata da quattro punti triangolari entro due circoli di puntini, altri due circoli di puntini chiudono l'iscrizione "croce punto V punto M I C, legatura H, C quadrata segno, spazio D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco visto di faccia, con aureola di nove punti o stelle, due cerchi concentrici di puntini separano la figura dall'iscrizione, altri due chiudono l'iscrizione "croce punto S punto M, legatura AR, C V S spazio V, legatura NE".

Regio Museo, Parma.

Tavola V, numero 1.

Civico Museo, Trieste.

Dottor C. Gregorutti, Fiumicello presso Aquileja.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI VITALE MICHIEL II.

ZANETTI GIROLAMO. — Dell'origine e della antichità, etc. Opera citata, pagina 46, numero VII della tavola; ed in ARGELATI, Parte III, Appendice, pagine 11 e 14, numero VII (Il disegno della moneta, tolto da un'esemplare probabilmente di cattiva conservazione è diverso affatto da quello che dovrebbe essere, avendo la croce da entrambi i lati e l'iscrizione incompleta ed inesatta).

(MENIZZI A.). — Opera citata, pagina 77 (Il disegno copiato da quello di G. Zanetti è completato in modo fantastico).

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 68 (91) e tavola. (La moneta non è disegnata bene e l'iscrizione non è fedele).

Biografia dei Dogi. Opera citata. Doge XXXVIII. (L'incisione è copiata dal fantastico disegno del Menizzi).

Numismatica Veneta. Opera citata. Doge XXXVIII. (L'incisione è copiata dal fantastico disegno del Menizzi).

KUNZ CARLO pose il disegno di questa preziosa moneta sopra un suo viglietto d'indirizzo, allorché dimorava a Venezia.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 9.

WACHTER C. (VON). — Opera citata, — Numismatische Zeitschrift, Volume III, 1871, pagine 227 e 570-571. (Anche qui l'iscrizione non è esatta).

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 9. — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 92, — terza edizione, 1881, pagina 8.

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NOTE A "VITALE MICHIEL".

(1) Promis D. Monete della zecca d'Asti. Torino, 1853, pagine 20-21.

(2) Ughelli F. Italia sacra. Venetiis, 1717, Tomo V, pagina 1383.

(3) Azzoni Avogaro R. Della zecca e delle monete ch'ebbero corso in Trivigi fin tutto il secolo XIV; in Zanetti Guid'Antonio. Nuova raccolta etc. Volume IV, pagine 138 e 165.

(4) Archivio di Stato. Petizion. Pergamena, busta III.

(5) Archivio di Stato. Grazie. Registro 8, carte 82.

(6) Archivio di Stato. Grazie. Registro 12, carte 49 tergo.

(7) Museo Correr. Manoscritti III, 349, carte 62 tergo.

(8) Archivio di Stato. Quarantia criminale, Parti. Registro II, carte 26 tergo.

(9) Il peso è rilevato dai due esemplari che si conservano nei Musei di Parma e Trieste, pur troppo alquanto sciupati; non avendo potuto conoscere il peso del Bianco del dottor Gregorutti, che è di migliore conservazione.

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SEBASTIANO ZIANI.
DOGE DI VENEZIA.

1172-1178.

Sebastiano Ziani, che successe al Michiel nel principato, resse saviamente la repubblica e rialzò le sorti di Venezia, ove ebbe luogo il memorabile incontro fra Alessandro III e Federico Barbarossa e fu segnata la tregua che condusse alla pace di Costanza.

Di questo doge abbiamo solamente il denaro o piccolo, bella monetina scodellata d'argento colla croce da entrambi i lati, che sul diritto ha il nome di battesimo del principe accompagnato dal titolo di Dux e sul rovescio quello di San Marco. Niun documento o memoria ci dice in che epoca siasi cominciato a coniare tale moneta, che è la base del sistema monetario veneziano, ma sappiamo che essa era perfettamente uguale al denaro di Verona e che nelle provincie vicine, come a Venezia, si trattava indifferentemente in denari veneziani o veronesi, come se fossero la stessa cosa. Sino dal secolo scorso Brunacci aveva mostrato, coll'appoggio di documenti, che i denari veronesi ed i veneziani avevano contemporaneamente corso in Padova ed erano considerati dello stesso valore (1); i più valenti eruditi di allora accettarono le sue conclusioni che sono confermate, oltreché dai documenti, anche dal fatto che i denari di Verona e di Venezia colla croce d'ambo i lati si trovano facilmente commisti quando viene alla luce qualche tesoretto di quell'epoca. La meta o calmiere dello stesso doge Sebastiano Ziani pubblicato nel 1862 dal fu commendatore Cecchetti (2) determina i prezzi delle derrate in denari veronesi, ed è una nuova prova della parità del valore delle due monete e del fatto che a somiglianza dei veronesi erano stati battuti i denari veneziani; tutt'al più si potrebbe inferirne che i veneziani erano in corso da poco tempo e che i veronesi avevano guadagnato quella reputazione che viene da un lungo ed onorato servizio. È bene anche osservare che in quella antichissima tariffa di commestibili, quando si parla di veronesi senz'altro, si intendono, i denari, mentre che le lire ed i soldi vengono chiamati libras veronenses, solidos veronenses (3).

La lira veronese, e conseguentemente anche la veneziana, derivano dalla lira di Carlo Magno, che è la sorgente ed il punto di partenza di tutte le monetazioni dell'Europa occidentale. Essa si divide in venti soldi, ognuno dei quali è composto di dodici denari e fu istituita dal grande imperatore riformando i precedenti sistemi dei Franchi, come ci viene narrato dalle cronache contemporanee. Carlo Magno ed i suoi successori non coniarono né la lira né il soldo, ma soltanto il denaro ossia un duecentoquarantesimo della lira, moneta che si trova facilmente nelle raccolte coi nomi delle principali città del vasto impero.

Sulla libbra, o lira di Carlo Magno dottamente scrissero illustri uomini che si dedicarono agli studi monetari ed economici in Italia ed in Francia, ma siccome il decreto o capitolare che la istituisce non è giunto fino a noi, e ci manca un campione, un modello fedele ed esatto di ciò ch'essa doveva essere, così le sapienti disquisizioni non sono riuscite a dimostrare con sicurezza l'origine storica ed il valore esatto di tale moneta. L'unico documento contemporaneo e sicuro sebbene non esattissimo, dal quale non si può allontanarsi, è il peso dei denari stessi, che essendosi conservato costante sotto i primi successori di Carlo Magno, è un freno sicuro contro i voli della fantasia.

Discussero, gli autori del secolo scorso, se Carlo Magno avesse repristinata la libbra romana (4) o sostituita la gallica (5). Chi volle che tale nuovo peso corrispondesse alla libbra di 16 once adoperata in Francia ed in Germania e formata dal doppio peso del marco (6), chi invece la cercò in un peso corrispondente a 12 once del marco (7), opinione alla quale sarei tentato di accostarmi, ritenendo probabile un legame fra il peso della moneta e dei metalli colle altre misure, considerando le molte libbre ed i molti marchi esistenti in Francia, in Germania ed in Italia, come degenerazioni di uno stesso sistema, di cui resta traccia nell'analoga divisione.

Fra i moderni che si occuparono di questo interessante argomento merita una speciale menzione la memoria presentata nel 1837 all'Accademia reale di Francia dall'eruditissimo signor Guérard (8), nella quale egli sostiene, dopo ricerche coscienziose, che la nuova libbra introdotta da Carlo Magno non fosse se non l'antica romana aumentata d'un quarto, fissando la prima in grammi 326 e 337 millesimi e la seconda in grammi 407 e 92 centesimi.

Il Fossati invece in altra dotta memoria (9) presentata all'Accademia delle scienze di Torino, attribuisce un maggior peso alla lira di Carlo Magno, e la crede equivalente a grammi 434 e 416 millesimi, ed il cavalier C. Desimoni (10) in un recente lavoro sulla decrescenza graduale del denaro dalla fine dell'XI, sino al principio del XIII secolo, lo porta fino a grammi 467 e 724 millesimi. In Italia due grandi autorità si sono pronunciate in favore del peso proposto dal Guérard e cioè Domenico Promis (11) e Camillo Brambilla (12), ed io piegandomi a sì illustri maestri ho seguito il loro esempio in un saggio sul valore della moneta veneziana che ho letto all'Istituto Veneto (13).

L'indole e lo scopo del presente lavoro non mi permettono di dilungarmi su questo importante argomento; osserverò solo che il Guérard ha preso per base del suo sistema il peso medio dei denari di Lodovico il Pio, da lui valutato a 32 grani del marco di Troyes. Ora a me sembra che il peso medio degli esemplari di una moneta, dopo tanti secoli, non possa dare un'idea esatta di quello fissato dalle leggi. Anche oggi noi vediamo che le monete appena uscite dalle officine raggiungono assai raramente il peso normale, perché la zecca cerca di aumentare i suoi utili colla tolleranza, e se per caso qualche esemplare eccedesse il peso legale, esso sarebbe subito tolto dalla circolazione e fuso dagli speculatori.

Lo stesso diligentissimo signor Guérard ci dà il peso di 69 denari di Lodovico dei quali 16 oltrepassano i 32 grani ed alcuni raggiungono i 35 e 36, e saviamente egli fece a scegliere quell'imperatore che mostrò esattamente mantenuto il peso della moneta, ma tenendo conto del consumo per la circolazione e della ineguaglianza del peso naturale in tutti i tempi e più comune in quell'epoca, io ritengo che il peso normale del denaro dovesse essere tra i 34 ed i 35 grani di Troyes, e quindi più vicina al vero la lira di grammi 434,416 proposta dal Fossati.

Il denaro, sola moneta coniata nei primi secoli, conservò il suo peso quasi completamente durante il regno dei sovrani carolingi; ma decrebbe sensibilmente durante quello degli imperatori germanici, per cui i denari coniati a Venezia nel secolo XI coi nomi di Corrado e di Enrico, pesano circa la metà di quelli di Carlo Magno e sono di titolo inferiore. Nelle più antiche carte che parlano di moneta veneziana, essa viene calcolata la metà (14) di quella milanese, pavese od imperiale, che è quindi quella che più si accosta alla originaria.

Assai più rapido fu il deterioramento della moneta nel secolo XII, ed infatti i denari Veneziani coi nomi di Sebastiano (Ziani), Aurio (Malipiero) ed Enrico (Dandolo) pesano meno del quarto dei denari di Carlo Magno, sebbene contengano tre quarte parti di lega ed una sola di fino. Gli assaggi che ho fatto fare su tali monetine danno il titolo di 0,250 a 0,270 ossia, relativamente al peso di oltre sei grani veneti, essi contengono qualche cosa di più di un grano veneto e mezzo di buon argento, peso ed intrinseco che stanno in armonia con quelli del grosso istituito da Enrico Dandolo e di cui parleremo più tardi.

Siamo già abbastanza lontani dal valore e dal peso del primo denaro, ma la scala discendente non è ancora finita e si può anzi dire che non finisce mai, perché il deterioramento della moneta è legge generale e costante. I tempi antichi e quelli del medio evo, ce lo provano cogli esempi di tutti i paesi, ed attualmente solo i freni artificiali ed i legami internazionali possono trattenere la moneta da questa china fatale. Il confronto col vecchio denaro imperiale e la esiguità del volume fecero dare il nome di piccolo al denaro veneziano, e poco a poco l'aggettivo sostituì il nome originario in modo da farlo dimenticare. Col tempo il nome di piccolo od il suo equivalente latino di parvus divenne ufficiale e rimase nelle scritture anche quando l'uso popolare diede al denaro altri appellativi.

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NOTE A "SEBASTIANO ZIANI".

(1) Brunacci J. De re nummaria patavinorum. Venetiis, 1744, pagine 31-42. — Brunacci J. Della beata Beatrice d'Este. Padova, 1767, pagina 51.

(2) Cecchetti B. Programma dell'i. r. Scuola di Paleografia in Venezia, 1862. Pagina 48 e seguenti.

(3) Documento III.

(4) Carli Rubbi G. R. Delle monete etc. Opera citata. Tomo I, pagina 248.

(5) Le Blanc F. Opera citata. Paris, 1690, pagina 83.

(6) Carli Rubbi G. R. Opera citata. Tomo I, pagine 249-251.

(7) Le Blanc F. Opera citata. Pagina 83.

(8) Guérard B. De système monétaire des Francs sous les deux premières races, Revue Numismatique française, Blois, 1837, pagina 406.

(9) Fossati. De ratione nummorum ponderum et mensurarum in Gallis sub primæ et secundæ strpis regibus. Atti della Regia Accademia delle Scienze. Torino, 1842.

(10) Mélanges de Numismatique. Paris, 1882, pagina 52.

(11) Promis D. Monete dei romani Pontefici avanti il mille. Torino, 1858, pagina 47.

(12) Brambilla C. Opera citata, pagina 56.

(13) Atti del Regio Istituto Veneto. Tomo III, serie VI, 1885.

(14) Papadopoli N. Sulla origine etc. Opera citata, pagina 29.

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ORIO MALIPIERO.
DOGE DI VENEZIA.

1178-1192.

Orio Malipiero, che aveva rinunciato una prima volta alla suprema dignità in favore di Sebastiano Ziani, fu chiamato a succedergli quando questi si ritirò in un monastero. Il nuovo doge dimostrò saviezza ed accorgimento politico nelle relazioni coll'impero bizantino, e così pure durante gli avvenimenti disgraziati dei Crociati in Palestina, in modo che se ne avvantaggiarono l'influenza ed il commercio dei veneziani in Oriente.

Il Carli (1), il Gallicciolli (2) ed altri scrittori di cose veneziane riproducono nelle loro opere la notizia di una nuova moneta di Orio Malipiero chiamata Aureola, dal nome del doge, la quale era adoperata dai notaj allorché minacciavano la pena di quinque libras auri. Non sono concordi i cronisti ivi citati sulla natura della specie metallica, perché alcuni parlano di moneta bianca o di argento, altri di moneta d'oro e finalmente le Memorie di Zecca notano all'anno 1178:

"Prencipe D. D. Aureo Mastropetro fu stampada moneta d'argento nominada Aurelij quali pesavansi Carati 10 per uno, Valeva Soldi due L'uno".

Qualunque sia la lezione che si voglia preferire non è facile interpretare le parole di questi antichi storici, tanto in quelle parti in cui sono concordi, quanto in quelle in cui differiscono, perché l'oro non fu ridotto in moneta nella zecca veneziana prima del 1284; i piccoli ed i bianchi esistevano anche prima del doge Malipiero ed il grosso, che pesa poco più di 10 carati, fu coniato per la prima volta da Enrico Dandolo, come ci assicurano i cronisti più autorevoli e ci provano quei documenti palpabili che sono le monete esistenti nei nostri Musei.

Ricercando quale sia la moneta nominata dai vecchi notai troveremo che la multa di quinque libras auri era imposta ai prevaricatori dei contratti e dei testamenti da antichissimo tempo e ben prima del Malipiero, come in un sinodo tenuto in San Marco nel 960 (3) per vietare il commercio degli schiavi, nel quale il doge ordinava, che chi violasse la legge componat in palatio nostro auri obrizi libras quinque, e nell'atto di donazione di Entesema, figlia di Domenico Orseolo al fratello Pietro nel 1.° dicembre 1061, che termina con queste parole:

"Quod si unquam tempore contra hanc meæ donationis cartam ire temptavero. . . solvere promitto cum meis heredibus tibi et tuis heredibus auri libras quinque, et hec donacio maneat in sua firmitate" (4).

È chiaro adunque che si tratta non di nuove e speciali monete, ma bensì delle libbre d'oro con cui si facevano molte contrattazioni nei secoli X e XI, che troviamo segnate nei documenti colle parole auri libras, auri obrizi libras, auri optimi libras, auri purissimi libras, auri cocti libras, e che continuarono ad essere usate anche più tardi, particolarmente nei testamenti ed altri simili atti dove le formole si conservano per tradizione anche quando il vero motivo di usarle è scomparso. L'errore proviene da una confusione ingenua fatta col nome del doge che latinamente si diceva Aurio, e di ciò sono persuasi anche il Carli ed il Gallicciolli, il quale però si affatica a cercare il rapporto di valore fra queste libbre, la lira grossa e la fantastica Redonda d'oro.

Per togliere ogni incertezza e comprendere come l'errore si sia formato, osserviamo da prima che non è giunta sino a noi alcuna cronaca o memoria storica scritta al tempo di Orio Malipiero od in epoca tanto vicina da considerarsi quasi contemporanea. Martino da Canal, che scrisse circa un secolo dopo, non parla di alcuna moneta nuova istituita da quel doge, e nemmeno Andrea Dandolo, giacché la postilla che ricorda il fatto nel Codice Ambrosiano, fu aggiunta in epoca posteriore. Il primo a parlarne è un manoscritto del secolo XIV intitolato Chronicum venetum ab U. C. ad annum 1360, che si conserva nella Regia Biblioteca Marciana (5), dove si legge:

"Iste Dux quandam monetam vocatam aureolus ut suo congrueret nomini cudi fecit de qua etiam hodierna die in cartis ubi pena apponitur V libre auri fit mentio singularis".

I cronisti posteriori riproducono la notizia quasi colle stesse parole, e finalmente Marino Sanuto nelle vite dei Dogi (6) racconta:

"Ancora fu fata una moneda d'arzento che si chiamava aureola per la chasada dil doxe: et è quella moneda che li nodari di Veniexia metevano in pena soto i lhoro instrumenti".

Possiamo dunque essere tranquilli che nessuna moneta nuova fu fabbricata al tempo di Orio Malipiero, il quale continuò soltanto a coniare nummi scodellati delle stesse specie usate dai suoi predecessori.

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MONETE DI ORIO MALIPIERO.

Denaro, o Piccolo. Argento, titolo 0,270 circa (7). Peso, grani veneti 7 (grammi 0,362): scodellato.

1. Dritto. Croce patente in un cerchio "croce A V R I O spazio D V X".

Rovescio. Croce patente in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto
M A R C V, S ruotata".

2. Varietà nel Rovescio. "croce, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

3. Varietà nel Rovescio. "croce, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata".

Tavola V, numero 3.

4. Varietà nel Rovescio. "croce, S ruotata, spazio M A R C V, S ruotata".

5. Varietà nel Dritto. "croce A V R punto D V X punto".

Rovescio. "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata".

Tavola V, numero 4.

Mezzo denaro, o Bianco. Mistura, titolo 0,070 circa. Peso, grani veneti 9 (grammi 0,465): scodellato.

6. Dritto. Croce accantonata da quattro punti triangolari "croce A V R I O punto D V X".

Rovescio. Busto in faccia di San Marco "croce S spazio M A R C V punto punto".

Gabinetto numismatico di Sua Maestà, Torino.

Tavola V, numero 5.

(Il rovescio della moneta è ribattuto, per cui la croce incusa copre quasi interamente l'immagine del Santo).

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI ORLO MALIPIERO.

LIRUTI G. G. — Opera citata, pagina 142, tavola VII, numero 61; ed
ARGELATI, Parte II, pagina 149, tavola III, numero 61.

ZANETTI GIROLAMO. — Dell'origine, etc. Opera citata, pagina 47, numero IX e X della tavola; ed ARGELATI, Parte III, Appendice, pagine 11 e 14, numero IX e X.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagine 401-402, tavola VI, numero II.

GRADENIGO G. A. — Indice citato in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 167, numero XI. e XII.

(MENIZZI A.). — Opera citata, pagina 79.

APPEL J. — Opera citata, pagina 1118, numero 3906.

SAN QUINTINO G. (DI). — Opera citata, pagina 53 e 55, tavola II, numero 10.

ZON A. — Opera citata, pagina 17.

SCHWEITZER F. — Opera citata, pagina 73 (94) (95) (96) (97) (98) (99) e tavola.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge XL.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge XL.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 10.

WACHTER C. (VON). — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift,
Volume III, 1871, pagine 227-228, 572-576.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 10. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 93, — terza edizione, 1881, pagina 9.

Bolla in piombo di Orlo Malipiero conservata nella Raccolta
Papadopoli.

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NOTE A "ORIO MALIPIERO".

(1) Carli Rubbi G. R. Delle monete etc. Opera citata, pagina 404, Volume I.

(2) Gallicciolli. Delle memorie etc. Opera citata, Volume II, pagine 14-16.

(3) Romanin S. Opera citata, Tomo I, pagina 370.

(4) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 48, Classe VII, ital.

(5) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 36, Classe X, lat.

(6) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 800 (autografo), Classe VII, ital.

(7) L'esame chimico fatto dall'ufficio del saggio di Venezia dà il titolo di 0,268.

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ENRICO DANDOLO.
DOGE DI VENEZIA.

1192-1205.

Quando Enrico Dandolo fu assunto al principato, Venezia era prospera e rigogliosa, le sue flotte varcavano i mari, la sua alleanza era cercata dai maggiori potentati d'Europa. La modesta città sorta dalle lagune aveva fatto rapidi progressi nel secolo fra Pietro Orseolo ed Enrico Dandolo. Quest'ultimo doge, ottuagenario e quasi cieco, conquistò Trieste, Zara e finalmente portò l'ultimo colpo all'Impero d'Oriente, entrando assieme ai crociati nella superba Bisanzio, altre volte padrona del mondo. Baldovino di Fiandra ebbe la corona imperiale, ma nella divisione delle spoglie, Venezia ebbe la parte migliore e conservò il predominio commerciale su tutto l'Oriente, che fu la sorgente della prosperità e della grandezza della repubblica.

In quest'epoca remota, in cui l'Europa usciva appena dalla barbarie, Venezia primeggiava per la sua civiltà: non vi è quindi da sorprendersi che nella sua zecca si iniziasse una delle più importanti riforme monetarie del secolo, qual è la istituzione del grosso. Sino allora non esistevano in circolazione se non i denari, assai deteriorati dall'originario valore, differenti di peso e di bontà, incomodi a maneggiarsi; la varietà e l'incertezza del valore, aggravate da molte falsificazioni, recavano non poco danno al commercio, per cui la istituzione di una moneta più pesante, di ottimo argento, mantenuta sempre fedelmente dalla zecca nel peso e nel titolo stabiliti, fu un vero progresso, nel quale Venezia ebbe il vanto di precedere gli altri stati. Tale progresso fu accolto con immenso favore in Italia ed in Oriente, ed il grosso ebbe dovunque una grandissima diffusione: lo provano le molteplici imitazioni del concetto ed anche del tipo, lo provano le memorie che il grosso ha lasciato e che durano ancora dopo tanti secoli, cosicché in Oriente si sente parlare di grossi ed a Venezia il popolo continua a valersi del nome di questa moneta in molte contrattazioni.

Non sono concordi gli antichi cronisti sull'epoca della prima coniazione del grosso. Andrea Dandolo la fissa all'anno 1194 colle parole:

"Subsequenter Dux argenteam monetam vulgariter dictam grossi Veneziani vel Matapani cum imagine Jesu Christi in Throno ab uno latere, et ab alio cum figura Sancti Marci, et Ducis, valoris vigenti sex parvulorum primo fieri decrevit" (1).

Marino Sanuto antecipa l'epoca della fabbricazione al 1192 (2); invece Martino da Canale, cronista quasi contemporaneo, asserisce che questa moneta fu coniata dai Veneziani solo nell'anno 1202, quando si preparavano all'impresa della conquista di Costantinopoli, colle parole

"Mesire Henric Dandle, li noble Dus de Venise, mande venir li charpentiers, et fist erraument apariller et faire chalandres et nes et galies a plante; et fist erraument faire mehailles d'argent por doner as maistres la sodee (soldo, salario) et ce que il deservoient: que les petites que il avoient, (intendi i denari o piccoli) ne lor venoient enci a eise. Et dou tens de Monseignor Henric Dandle en sa, fu comencie en Venise a faire les nobles mehailles d'argent que l'en apele ducat, qui cort parmi le monde por sa bonte" (3).

Senza discutere quale di queste date sia veramente la giusta, a noi basta sapere che a Venezia, prima della partenza dei crociati, e non a Costantinopoli, o durante il viaggio, come taluno sospettò, fu iniziata la coniazione del grosso, nel che sono concordi questi autorevolissimi cronisti. Anche il tipo e l'aspetto della moneta, attentamente esaminati, confermano quest'opinione. Ogni moneta, per quanto nuova, ha pure alcuni legami intimi ed apparenti con quelle coniate nelle epoche precedenti, per cui, non riuscendo a scoprirli subito nella stessa zecca, è necessario indagare nei paesi vicini od in quelli avvicinati da rapporti commerciali. Ora il grosso non ha alcuna affinità colle monete d'Occidente né per il peso né per l'aspetto, e conviene cercare i suoi legami in quell'Oriente con cui Venezia aveva florido commercio; infatti colà esistevano monete d'argento di maggior peso che in Occidente, colà si conservavano le tradizioni dell'arte e della civiltà antica. Studiando i pezzi che hanno qualche affinità col grosso, si riconosce facilmente ch'esso ha per base e per prototipo l'arte greca, ma passata per il sentimento e per la mano degli antichi veneziani. Sul rovescio vediamo disegnato il Redentore seduto sopra un trono, che tiene il libro appoggiato sul ginocchio e la destra alzata in atto di benedire. Questa sacra immagine si vede in tutte le antiche chiese di origine greca e si trova nel soldo d'oro bizantino dei secoli X, XI e XII, da cui fu copiata con fedeltà religiosa. Sul diritto della moneta sono disegnati due personaggi, che tengono insieme una lunga asta, la quale divide in due parti eguali il disco della moneta. Anche da questo lato il grosso ricorda i nummi bizantini di quei tempi, dove talora sono disegnati due o tre principi della casa imperiale, il Redentore o la Vergine pongono sul capo la corona al sovrano, ovvero l'Arcangelo Michele consegna il labaro all'imperatore, od altre analoghe rappresentazioni allegoriche e religiose. Questo concetto non è però copiato direttamente ed in modo servile dalle monete bizantine, ma adottato con qualche modificazione e diventato veneziano per l'uso fattone durante un lungo corso d'anni. San Marco che rappresenta e, per così dire, personifica l'idea del Comune indipendente di Venezia, consegna al capo dello stato lo stendardo, sul quale è disegnata la Croce, ricordo del tempo in cui tutti si decoravano di questo simbolo sacro; entrambi sono vestiti di lunghi paludamenti di foggia orientale con pietre preziose; la testa però non è coperta dalle bende e dai diademi gemmati dei sovrani orientali, bensì i capelli lunghi sono la sola decorazione del capo e ricordano gli usi franchi e longobardi, presso i quali questo distintivo era quello dei principi e dei grandi personaggi. Questa composizione caratteristica, che fu conservata con lievi modificazioni di forma nella moneta veneziana di tutti i tempi, è tolta di pianta dalle bolle di piombo che i dogi usavano attaccare ai diplomi per antichissima consuetudine. Basta vedere le poche bolle che esistono anteriori all'istituzione del grosso, e cioè quelle di Pietro Polani, di Sebastiano Ziani, di Orio Malipiero e quella dello stesso Enrico Dandolo, per riconoscere che l'intagliatore dei conî copiò le due figure rappresentate sul sigillo facendovi un leggiero cambiamento, che è la soppressione della sedia o cattedra del Santo, raffigurandolo in piedi anziché seduto. Non è un fatto nuovo né isolato nella storia numismatica del medio evo, che le monete traggano il concetto ed il disegno dai sigilli, e lo dimostra il dotto signor C. Piot in una notevole monografia intitolata: "Etude sur les Types" pubblicata nella Revue de la Numismatique Belge (4), con esempî tolti dalle monete della Francia e dei Paesi Bassi, a cui se ne potrebbero aggiungere altri di altri paesi. Per rimuovere ogni dubbio, basta osservare la bolla in piombo del doge Orio Malipiero, che ho la fortuna di possedere nella mia raccolta, e il disegno esattissimo che si trova alla fine del capitolo dedicato al doge Malipiero servirà meglio delle parole a dimostrare la giustezza del mio assunto.

È degno di essere notato il modo insolito con cui sono disposte le iscrizioni su questo sigillo. Presso al Santo ed al doge sta scritto il nome e la qualifica di ognuno dei due personaggi, ma parte dell'iscrizione è posta a destra, parte a sinistra della stessa figura, ciocché lascia supporre che in tempi più antichi essa dovesse correre tutt'attorno la testa come si vede in alcune immagini di santi bizantini. Nel grosso e nei sigilli posteriori fu ancora modificata la forma delle iscrizioni, ma lungo l'asta dello stendardo restarono le tre lettere "D V X", l'una sotto l'altra, in una posizione che non ha altri esempi e tale che non si saprebbe indovinarne l'origine, se non si conoscessero questa ed altre bolle, che mostrano la genesi e le successive modificazioni di tale scritta.

Come abbiamo visto, la nuova moneta istituita da Enrico Dandolo ebbe i nomi di Ducato e di Matapan, ma il suo nome proprio usato in tutti i tempi ed in tutti i luoghi e che riscontrasi esclusivamente nei documenti, fu quello di Grosso: onde mi par bene conservarlo a preferenza di tutti gli altri, avendo esso attraversato, senza alterazioni, tanti secoli nella bocca del nostro popolo.

Il valore originario del grosso fu di ventisei piccoli o denari, come affermano i cronisti Andrea Dandolo e Marino Sanuto e come ci vien confermato dall'esame del peso e dell'intrinseco della moneta. Possiamo esattamente rilevare il peso del grosso da un documento autentico ed ufficiale, quale è il Capitolare dei Massari della moneta, compilato nel 1278 (5), dove sono raccolte le deliberazioni dei Magistrati che si riferiscono alla zecca. Alla fine del primo capitolo troviamo indicato il numero dei pezzi, che si dovevano tagliare da ogni marco d'argento, colle seguenti parole:

"item faciam fieri istam monetam taliter quod erit a soldis novem et uno denario et tercia, usque ad medium denarium pro marca".

e cioè se ne devono trarre soldi (di grossi) nove e denari 1 e un terzo sino a denari 1 e e mezzo ossia denari (grossi) 109 e un terzo sino a 109 e mezzo, il che dà per ogni grosso un peso, che oscilla fra grani veneti 42 e 14 centesimi e 42 e 8 centesimi e può ridursi alla media di grani veneti 42 e un decimo, peso assai vicino a quello rilevato da Lambros (6) dall'autorevole volume del Pegolotti: La pratica della Mercatura.

Lo stesso prezioso documento ci dà anche il fino del grosso e dell'argento veneziano colle seguenti parole del Capitolo 73:

"Preterea tenor et debeo ligare et bullare vel facere bullare totum argentum quod mihi per mercatores presentabitur ad ligam de sterlino, etc".

Da ciò rileviamo che la lega del grosso era quella dello sterlino, la migliore del medio evo, istituita dai mercanti tedeschi dell'Hansa. Pegolotti nel Capitolo LXXIII (7), intitolato A che leghe di monete, assegna ai viniziani grossi once 11 denari 14, titolo che colla formula usata nella zecca di Venezia, si diceva a peggio 40, ciocché vuol dire che dei 1152 carati componenti una marca, 40 soli erano rame o lega, il resto argento fino. A sistema decimale questo titolo corrisponde a 0,965 e quindi sulla media di grani veneti 42 e un decimo, il fino del grosso rimane grani veneti 40 e 62 centesimi di buon argento, che diviso per 26 dà per ogni denaro o piccolo un peso d'argento puro di grani veneti 1 e 56 centesimi, che è approssimativamente la quantità di metallo che si è ritrovata nelle analisi da me istituite su tali monetine.

Altra moneta coniata per la prima volta da Enrico Dandolo è il Quartarolo o quarto di denaro, pezzo di rame con poco argento, creato per servire alle minute contrattazioni. Così ne parla Andrea Dandolo nella sua cronaca dell'anno 1264 (8), narrando la prima costruzione del ponte di Rialto in legno;

"Civitas quoque Rivoaltina, quae mediatione Canalis hactenus divisa fuerat, nunc ex lignei pontis constructione unita est, et appellatus est Pons ille de Moneta, quia priùsquàm factus esset transeuntes monetam unam vocatam Quartarolus valoris quartæ partis unius denarii Veneti nautis exsolvebant".

Carli (9), che riporta questo passo, incorse, traducendolo, in una di quelle sviste non impossibili anche ad un uomo dotto, e prendendo il denaro per soldo, diede al quartarolo il valore di un quarto di soldo. Meno scusabili sono invece tutti gli altri, i quali, dopo di lui trattando del quartarolo, copiarono religiosamente l'errore, senza accorgersi mai di una differenza tanto rilevante, che dà al quartarolo un valore di tre piccoli, cioè dodici volte maggiore del reale.

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MONETE DI ENRICO DANDOLO.

Grosso (26 denari, o piccoli). Argento, titolo 0,965 (peggio 40).
Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

1. Dritto. San Marco a destra ritto in piedi, cinto il capo di aureola, col libro dei Vangeli nella mano sinistra, consegna colla destra al Doge un vessillo con asta lunghissima, che divide la moneta in due parti pressoché eguali. A sinistra il Doge, vestito di ricco manto ornato di gemme, tiene colla sinistra un rotolo (volumen), che rappresenta la promissione ducale, e colla destra regge il vessillo, la cui banderuola colla croce è volta a sinistra. Entrambe le figure sono di faccia, le teste colla barba sono scoperte; quella del Doge ha i capelli lunghi che si arricciano al basso; a sinistra "croce punto H punto D A N D O L apostrofo", lungo l'asta sotto l'orifiamma "D V X" in senso verticale colle lettere sottoposte l'una a l'altra; a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Gesù Cristo seduto in trono col libro appoggiato sul ginocchio sinistro. Il Redentore ha il capo avvolto da largo nimbo colla croce, a destra e a sinistra della testa "I C sopralineati, spazio, XC sopralineati".

Tavola V, numero 6.

Denaro, o piccolo. Argento, titolo 0,250 circa (10). Peso, grani veneti 7 (grammi 0,362): scodellato.

2. Dritto. Croce patente in un cerchio "croce E N R I C apostrofo punto D V X".

Rovescio. Croce patente in un cerchio "croce, S ruotata, spazio M A R
C V, S ruotata".

Tavola V, numero 7.

3. Varietà nel Dritto. "croce E N R I C punto D V X".

4. Varietà nel Dritto. "croce, H minuscola, N R I C punto D V X".

Tavola V, numero 8.

Mezzo denaro, o bianco. Mistura, titolo 0,050 circa. Peso, grani veneti 10 (grammi 0,517): scodellato.

5. Dritto. Croce patente accantonata da quattro punti triangolari "croce E N R I C O spazio D V X".

Rovescio. Busto in faccia di San Marco "croce punto, S ruotata, M
A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Museo Correr, Venezia.

Tavola V, numero 9.

Dott. C. Gregorutti, Fiumicino.

Quartarolo (un quarto di denaro). Mistura, titolo 0,003 circa.
Peso, grani veneti 15 (grammi 0,776).

6. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce con un punto nel mezzo, un cerchio divide l'iscrizione "croce punto E punto D, omega scritto in alto, A D V L O spazio D V X".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli in un cerchio "croce,
S ruotata, punto M A R C V, S ruotata".

Regia Biblioteca di San Marco, Venezia.

Regio Gabinetto numismatico di Sua Maestà, Torino.

Regio Museo Britannico, Londra.

Tavola V, numero 10.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI ENRICO DANDOLO.

SANTINELLI S. — Dissertationes, orationes, epistolæ et carmina. Venetiis, 1734. Epistolæ VII, De vetere moneta veneta vulgo mattapana vocata, pagine 269-280; ed in ARGELATI, Parte I, pagine 299-302.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 648, 651- 652, numero II; ed ARGELATI, Parte I, pagina 47, tavola XXXVII, numero II. (la leggenda è invertita).

SCHIAVINI F. — Observationes in venetos nummos, etc., in ARGELATI,
Parte I, pagine 271-273.

ZANETTI GIROLAMO. — Dell'origine e della antichità, etc. Opera citata, pagina 47, numero VI della tavola; ed in ARGELATI, Parte III, Appendice, pagine 12 e 14, numero VI.

ZANETTI GIROLAMO. — De nummis regum Mysiæ seu Rasciæ ad venetos tipos percussis. Venetiis, 1750, numero I della tavola; ed in ARGELATI, Parte III, Appendice, pagina 22, numero I.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagine 406-407, tavola VI, numero V.

BELLINI V. — Dell'antica lira ferrarese di marchesini, etc. Ferrara, 1754, pagina 5.

BELLINI V. — De monetis Italiæ medii ævi etc. Dissertatio I. Ferraræ, 1755, pagine 99 e 107, numero II; ed in ARGELATI, pagine 29 e 31, tavola numero II.

BELLINI V. — Delle monete di Ferrara. Ferrara, 1761, pagina 43.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagine 167, 168, numeri XIII, XIV e XV.

TENTORI C. — Saggio sulla storia civile, politica, ecclesiastica, etc. Venezia, 1874, Tomo II, pagine 45-46.

GALLICCIOLLI G. B. — Delle memorie venete antiche, profane ed ecclesiastiche. Venezia, 1795, Tomo II, pagine 33-36.

BECKER W. G. — Opera citata, pagina 50.

(MENIZZI A.). — Opera citata, pagine 81, 85.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1118, numero 3907.

PFISTER J. G. — Opera citata. — The Numismatic Journal, Volume II, 1837-38, pagine 210-211, tavola a pagina 201.

SAN QUINTINO G. (DI). — Opera citata, pagine 3, 33, 55, tavola II, numero 11.

ZON A. — Opera citata, pagine 17 e 21-23, tavola I, numero 8.

SCHWEITZER. — Opera citata, Volume I, pagina 76 (100) (101) (102) (103) e (104), numeri 1, 2, 3, 4 e 5 della tavola.

ROMANIN S. — Opera citata, Tomo II, pagina 320.

ORLANDINI G. — Opera citata, pagina 2.

Biografia dei Dogi. — Opera citata, Doge XLI.

Numismatica Veneta. — Opera citata, Doge XLI.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 10.

WACHTER C. (VON). — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume III, 1871, pagine 227-228, 230 e 577, Volume V, 1873, pagina 191.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagine 10-11. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 93, — terza edizione, 1881, pagina 9.

Bolla in piombo di Enrico Dandolo conservata nella Raccolta
Papadopoli.

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NOTE A "ENRICO DANDOLO".

(1) Andrea Danduli Chronicon, in Muratori, Rerum Ital. Script. Tomo XII, pagina 316.

(2) Sanuto M. Vitæ Ducum Venetorum, in Muratori, Rer. Ital. Script. Tomo XXII, pagina 527.

(3) Archivio storico italiano. Volume VIII, pagina 320.

(4) Revue de la Numismatique Belge, Tome IV, Bruxelles, 1848.

(5) Documento IV.

(6) Lambros. Le Monete inedite dei Gran Maestri dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme in Rodi. Traduzione dal greco di C. Kunz, Venezia, 1865, pagina 20.

(7) Pegolotti. La pratica della Mercatura. Lisbona e Lucca, 1766, pagina 292.

(8) Andrea Danduli Chronicon, in Muratori, Rerum Ital. Script. Tomo XII, pagina 372.

(9) Carli Rubbi G. R. Delle monete etc. Opera citata, Volume I, pagina 401.

(10) L'esame chimico fatto all'ufficio del Saggio di Venezia, dà il fino di 0,247.

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PIETRO ZIANI.
DOGE DI VENEZIA.

1205-1229.

Morto a Costantinopoli Enrico Dandolo, fu chiamato a succedergli Pietro Ziani, figlio di Sebastiano, prudente e valoroso, che ebbe il compito di consolidare i possessi ottenuti in Oriente, di sedare i torbidi dei nuovi sudditi e le scorrerie dei pirati, aggiungendo nuovi territori allo stato, fra cui la vasta isola di Negroponte. Depose il principato dopo averlo tenuto ventitré anni e morì pochi giorni dopo essersi ritirato a vita privata.

Sotto questo doge si continuò a coniare il grosso, il bianco ed il quartarolo, che troviamo cogli stessi tipi del predecessore; manca invece il denaro, del quale pare sia stata in questo tempo sospesa la coniazione. Probabilmente era più proficua all'erario la fabbricazione dei grossi, che furono emessi in grande quantità, così da inondare tutto l'Oriente, usandosene quasi esclusivamente nelle transazioni commerciali.

Questo fatto, unitamente alla mancanza di monete degli imperatori latini di Costantinopoli, ai quali non si attribuiscono se non poche anonime di rame, suggerì al dottor Cumano (1) l'idea che un qualche accordo segnato tra Veneziani e Franchi avesse dato il diritto di zecca alla Signoria di Venezia: egli crede pur anche che le imitazioni del grosso fatte in Oriente dagli altri principi avessero una base comune ed una convenzione di uniformità monetale. Quanto alla prima supposizione a me sembra che, come si conoscono gli altri patti convenuti, dopo la conquista fra crocesignati, si avrebbe conservata la memoria anche di questo se avesse esistito: con apparenza di maggior ragione gli autori francesi ritengono che l'essere in mano dei Veneziani la maggior parte del metallo nobile e l'avere essi fabbricato molta moneta abbia impedito agli imperatori franchi di battere coi loro nomi. Quanto alla seconda opinione del dottor Cumano, essa corrisponde piuttosto alle idee moderne che a quelle del tempo; il grosso veneziano si diffuse per tutto l'Oriente solo in causa della sua bontà sempre costante, mentre gli altri stati adulteravano la moneta. Visto il successo del grosso, i piccoli principi delle isole e dei feudi franchi d'Oriente, come altri stati d'Italia, si misero ad imitarlo da prima forse con peso giusto e metallo buono, poi allettati dal guadagno, con lega inferiore, per cui i Veneziani ne mossero lagno e proibirono queste monete chiamandole a buon dritto falsificazioni, come vediamo nella parte:

MCCLXXXII, Indictione X, die tercio Maii, in Majori Consilio (2).

"Capta fuit pars quod addatur in capitulari Camerariorum Communis et aliorum officialium qui recipiunt pecuniam pro Communi, quod teneantur diligenter inquirere denarios regis Raxie contrafactos nostris venetis grossis, si ad eorum manus pervenerint; et si pervenerint, teneantur eos incidere. Et ponantur omnes campsores, et omnes illi qui tenent stationem in Rivoalto et eorum pueri a XII annis supra, ad sacramentum, quod inquirant diligenter bona fide predictos denarios, et si pervenerint ad eorum manus teneantur eos incidere. Et si alicui persone inventi fuerint de predictis denariis a XII supra, quod illa persona cui inventi fuerint perdat decem pro centenario de omnibus qui eis inventi fuerint de illis denariis, et debeant incidi. Et hoc stridetur publice illa die, vel altera, qua captum fuerit in M. C., quod a XV diebus in antea quilibet cui inventi fuerint, incurrat penam predictam, et medietas pene sit invenientis et medietas sit Communis, et deveniat in camera Communis. Et mittantur littere de precepto per sacramentum omnibus rectoribus preter Comitem Ragusii, et addatur in commissionibus illorum rectorum, qui de cetero ibunt, preter dictum Comitem Ragusii, quod omnes denarios predictos qui ad eorum manus pervenerit, vel eorum offitialium, teneantur, incidere vel incidi facere, et quod ipsi constringant gentem suam, per illos modos quibus eis melius videbitur, quod predicti denarii non currant per suos districtus, et incidantur si invenientur".

Oltre a questo documento, per conoscere quale era il pensiero dei contemporanei su questa adulterazione della moneta, che fu una delle piaghe più sanguinose della circolazione metallica nel medio evo, ci illumina il giudizio dell'Alighieri che colloca fra i principi che avranno giudizio severo nell'altro mondo per i loro peccati, Filippo il Bello di Francia

. . . . . . e quel di Rascia

che male aggiustò il conio di Venezia

Paradiso, Canto XIX 140-141.

Nelle carte manoscritte di Vincenzo Lazari trovo la seguente nota, di cui non posso defraudare il lettore:

"Nel citato verso di Dante merita attenzione il verbo aggiustare che la Crusca con goffa interpretazione fe' in questo caso sinonimo d'imitare. Ma il verbo aggiustare disusato, nel senso che allegheremo, nella lingua italiana, si mantiene ancora nella francese e nella, tedesca".

Esattissima definizione del verbo aggiustare si trova nella Explication des termes techniques che fa seguito alla pregiata opera Histoire monétaire de Genève par Eugène Demole, nel quale è detto

"Ajuster les flans, ou ajuster carreaux, opération par laquelle on affranchit à coups de cisailles les angles des carreaux".

Anche nella zecca veneziana la stessa operazione si chiamava zustar e l'operaio che la faceva zustador. Se oggi la parola è disusata, si è perché tale operazione si ottiene meccanicamente e quindi in modo affatto diverso da ciò che si usava nel medio evo.

Nel più antico registro di atti ufficiali che si conserva nel nostro
Archivio di Stato, conosciuto col nome di Liber Communis o Liber
Plegiorum
, il quale raccoglie alcune deliberazioni prese dal Doge
assieme al Consiglio Minore, troviamo la seguente nota:

(1224) "Die XIII exeunte marcio. — Illi homines qui faciunt fieri monetam coram domino duce et omnibus consiliariis eius, excepto M. Superancio, predicto die juraverunt supra capitulare quod continetur de moneta facienda vel fieri facienda, et illo suprascripto die intromiserunt in nomine Domini" (3).

È la prima memoria di quegli ufficiali soprastanti alla zecca che più tardi furono chiamati Massari della moneta, ed è probabilmente quello di cui si parla il più antico Capitolare di tale magistrato, che però non è giunto fino a noi e del quale si ignorerebbe perfino la esistenza, senza questo cenno prezioso nella sua brevità.

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MONETE DI PIETRO ZIANI.

Grosso. Argento, titolo 0,965 (4). Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

1. Dritto. San Marco che porge il vessillo al doge, come nel grosso di E. Dandolo "croce punto P punto Z I A N I", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola V, numero 11.

2. Varietà nel Dritto. "croce punto P punto, Z simmetrica, I A N I".

Mezzo denaro, o Bianco. Mistura, titolo 0,050, circa. Peso, grani veneti 8 e mezzo (grammi 0,440): scodellato.

3. Dritto. Croce accantonata da quattro punti triangolari "croce punto P punto Z I A N I punto D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Regio Museo, Parma.

Tavola V, numero 12.

4. Varietà Dritto. "croce punto P punto, Z simmetrica, I A N I punto D V X punto".

Rovescio. "croce, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Gabinetto numismatico di Sua Maestà, Torino.

Tavola VI, numero 1.

Museo Civico, Trieste.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 20 (grammi 1,035) circa.

5. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce "croce punto P punto Z I A N I punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata".

Tavola VI, numero 2.

6. Varietà Dritto. "croce punto P punto, Z simmetrica, I A N I punto D V X punto".

Rovescio. "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata".

Tavola VI, numero 3.

7. Varietà Dritto. "croce punto P punto, Z con asta centrale verticale, I A N I punto D V X punto".

Rovescio. Come al numero 6.

Tavola VI, numero 4.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI PIETRO ZIANI.

SANTINELLI S. — Opera citata, pagina 271-272, 275, 277 (disegno pagina 271); ed in ARGELATI, Parte I, pagina 299-300, 302.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 648, 651 e 652, numero III; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 47, tavola XXXVII, numero III.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 413, tavola VI, numero IX.

BELLINI V. — De monetis Italiæ, etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 98 e 107, numero I; ed in ARGELATI, Parte V, pagine 29 e 31, tavola numero I (erroneamente attribuita a Sebastiano Ziani).

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 168, numero XVI.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1118, numero 3908.

GEGERFELT G. (VON). — Numi ducum reipublicæ venetæ in nummiphilacio academico Upsaliensis. Upsaliæ, 1839, pagine 6 e 7, numero I.

LELEWEL J. — Opera citata, Parte III, pagine 33-34, tavola XV, numero 2.

Trésor de numismatique et de glyptique etc. Histoire par les monuments de l'art monétaire chez les modernes. Paris, 1846, pagina 60, numero 1, Tavola XXX, numero 1.

GIOVANELLI B. — Intorno all'antica zecca trentina. Trento, 1818, pagina 96.

ZON A. — Opera citata, pagina 17 (s'inganna, credendo che Pietro Ziani abbia coniato il piccolo).

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 79 (108) (109) (110) (111) e tavola.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge XLII.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge XLII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 11.

WACHTER C. (VON). — Opera citata, — Numismatische Zeitschrift, Volume III, 1871, pagina 227, 228, 230. Volume V, 1875, pagine 191- 192.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 11, — Archivio Veneto. Tomo XII, pagina 94, — terza edizione, 1881, pagina 10.

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NOTE A "PIETRO ZIANI".

(1) Cumano dottor C. Illustrazione di una moneta argentea di Scio etc. Trieste, 1852.

(2) Maggior Consiglio, Deliberazioni. Registro Commune II, carte 129 tergo.

(3) Liber Communis (Plegiorum), carte 26 tergo.

(4) L'esame chimico fatto dall'ufficio del saggio di Venezia dà il fino di 0,964.

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JACOPO TIEPOLO.
DOGE DI VENEZIA.

1229-1249.

Appena eletto, Jacopo Tiepolo dovette rivolgere tutte le sue cure all'isola di Candia, insofferente del dominio veneziano. Anche il nuovo impero latino di Costantinopoli trascinava vita debole e travagliata, perché i greci di Nicea e dell'Epiro non lasciavano tregua a quell'ordine di cose artificioso che mancava di base e di prestigio in Oriente. Il giovane imperatore Baldovino implorava il soccorso dell'Europa, ma trovò solo un aiuto interessato nei Veneziani, che sconfissero le flotte greche ed ebbero in compenso nuovi vantaggi commerciali. Né più fortunato era l'Occidente: gravissime discordie e lotte sanguinose dilaniavano l'Italia, ove l'imperatore Federico II ed il papa Gregorio IX si contendevano la supremazia. I Veneziani dapprima esitavano, ma quando Federico II fece uccidere il podestà di Milano, Pietro Tiepolo, figlio del Doge, si collegarono col pontefice e con altre città italiane contro l'imperatore.

Jacopo Tiepolo seppe in tutte le circostanze difendere l'onore e l'interesse di Venezia, conchiuse trattati e convenzioni commerciali, tanto colle vicine città, quanto coi principi dell'Asia e dell'Africa. Migliorò gli ordinamenti interni, istituì nuove magistrature e diede ordine alle leggi civili e criminali, che fu una delle maggiori glorie del suo regno. Nel libro della Promissione del Maleficio, che concerne specialmente il diritto Criminale, il Capitolo XX si occupa dei falsificatori colle seguenti parole:

"Item statuimus ut si quis sigillum nostrum, aut salis falsaverit aut nostræ monetæ falsator extiterit, quod manum perdere debeat, si de hoc confessus fuerit, aut convictus per testes".

Di Jacopo Tiepolo possediamo le stesse monete che furono coniate anche dal suo predecessore. Comune è il grosso, in alcuno dei quali si cominciano a vedere i punti segreti o segni posti dagli zecchieri per conoscere chi avesse sorvegliata la coniazione; raro il quartarolo e più ancora il bianco, di cui non si conosce che un solo esemplare, che dalla raccolta Koch è passato a Londra nel Museo britannico.

Proveniente dal legato del senatore Domenico Pasqualigo esiste nel Museo di San Marco un pezzo d'oro col conio del grosso di Jacopo Tiepolo. Molti numismatici fra cui Carli (1) e Zon (2) prestarono fede alla genuinità di tale nummo e ritennero anteriore al 1284 la monetazione dell'oro nella zecca veneziana. Sfortunatamente il grosso d'oro di Jacopo Tiepolo della Marciana, come quello di Francesco Foscari nominato pure dal Carli e dallo Zon e che probabilmente è lo stesso che si trovava nella Raccolta Montenuovo, sono gettoni, ossia fusioni eseguite sopra impronte del grosso d'argento (3), per cui cadono tutti i ragionamenti fatti per provare che prima del ducato si coniasse a Venezia moneta d'oro.

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MONETE DI JACOPO TIEPOLO.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

1. Dritto. San Marco che porge il vessillo al doge, come nei grossi di E. Dandolo e P. Ziani, "punto I A punto T E V P, L SEGNO, punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati" (4).

2. Varietà nel Dritto. "punto I A spazio T E V P, L SEGNO, punto", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Tavola VI, numero 5.

3. Varietà nel Dritto. "punto I A spazio T E V P, L SEGNO, punto", a destra "croce S spazio M punto V E N E T I punto".

4. Varietà nel Dritto. "punto I A punto T E V P, L SEGNO, un punto sopra due punti", a destra "punto S spazio M spazio V E N E T I punto".

Non si può in quest'epoca tener conto di tutte le varietà di punteggiatura nelle iscrizioni dei grossi, per cui accennerò solo le principali e più comuni. È invece necessario notare i punti o segni dei Massari esistenti sul rovescio dei grossi, e per indicarli in un modo pratico e facile a ricordare, ho scelto un sistema grafico ideato dal signor Carlo Kunz, ed usato nel Museo Bottacin di Padova ed in quello civico di Trieste. — I due campi superiori indicano i segni posti sotto i gomiti del Redentore, quelli inferiori i segni posti presso alle gambe. — La maggior parte dei grossi di Jacopo Tiepolo, non ha alcun segno; in alcuni si trovano i seguenti:

Punti, o segni dei Massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 2: un punto.

Segno 3. Campo 2: due punti.

Segno 4. Campo 2: un punto sopra due punti.

Mezzo denaro, o Bianco. Mistura, titolo 0,050 circa. Peso, grani veneti 11 (grammi 0,569): scodellato.

5. Dritto. Croce accantonata da quattro punti "croce punto I punto T E O P V, L SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Regio Museo Britannico.

Tavola VI, numero 6.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 21 (grammi 1,086) circa.

6. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce "croce punto I punto T E O P V, L SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Tavola VI, numero 7.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI JACOPO TIEPOLO.

SANTINELLI S. — Opera citata, pagina 270-271, 275 (disegno pagina 271); ed in ARGELATI, Parte I, pagina 299, 302.

(VETTORI.). — Il Fiorino d'oro, etc. Opera citata, pagina 139.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 648-649, 651 e 652, numero IV; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 47, tavola XXXVII, numero IV.

ARGELATI P. — Opera citata, Parte III, Appendice, Editoris additiones, etc. pagina 69-70, tavola VIII, numero III (5).

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagine 409 e 413.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 99 e 107, numero III; ed in ARGELATI, Parte V, pagine 29 e 31, tavola numero III.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 168, numeri XVII e XVIII, e pagina 169.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1119, numero 3909.

GEGERFELT (VON) G. — Opera citata, pagina 7, numero 2.

ZON A. — Opera citata, pagina 21.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 81 (112) (113) (114) e tavola.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 24.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge XLIII.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge XLIII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 11.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagine 227-228, 230, Volume V, 1873, pagine 192-193.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagine 11-12. — Archivio Veneto. Tomo XII, pagina 94, — terza edizione, 1881, pagina 10.

Bolla in piombo di Jacopo Tiepolo conservata nel Museo Correr.

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NOTE A "JACOPO TIEPOLO".

(1) Carli Rubbi G. R. Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 409.

(2) Zon A. Opera citata, pagina 21.

(3) Anche di Giovanni Soranzo mi venne offerto un grosso d'oro, fuso esso pure sopra impronta tratta dal grosso d'argento.

(4) Il grosso in oro esistente nella Regia Biblioteca e Museo di San Marco è fuso, e quindi falso.

(5) Il testo nomina Jacopo Tiepolo, ma sul disegno si legge "L A punto T E V P L punto".

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MARINO MOROSINI.
DOGE DI VENEZIA.

1249-1253.

Dopo che Jacopo Tiepolo ebbe deposto il potere, i correttori introdussero non poche modificazioni ed aggiunte alla Promissione Ducale, fra cui un articolo che imponeva al principe di perseguitare e punire i falsificatori della moneta colle parole:

"et si aliquis monetam falsaverit, erimus studiosi ut justificetur et condempnetur falsator" (1),

che fu riprodotto nelle successive Promissioni.

Fu poscia eletto Marino Morosini, il quale ebbe regno di breve durata e senza avvenimenti d'importanza, tranne la crociata del Santo re Luigi IX di Francia, che cominciò colla presa di Damiata e finì senza alcun risultato utile per la cristianità. Si provvide alla sicurezza della città, ed in quell'epoca vennero istituiti i Signori di notte al Criminale.

Le monete di questo doge sono le stesse coniate dai suoi predecessori, ma per la brevità del principato, sono assai più difficili a trovarsi. Il quartarolo ed il bianco sono monete di esimia rarità, e non sono comuni nemmeno i grossi col nome di Marino Morosini. Sopra di essi si vedono i punti segreti o contrassegni degli zecchieri, già posti su alcuni grossi di Jacopo Tiepolo ed ordinati nel capitolo nono del Capitolare dei massari della moneta, capitolare formato solo nel 1278, ma che conteneva disposizioni in vigore anche prima. Tali segni, che si vedono sul rovescio della moneta, e si distinguono per la differente forma e per la diversa posizione in cui sono collocati, continuarono ad essere usati per circa un secolo, più tardi furono sostituiti dalle lettere e dalle stelle, e finalmente dalle iniziali dei massari.

Anche di questo doge, come dei suoi predecessori Pietro Ziani e Jacopo Tiepolo e del suo successore Jacopo Contarini, manca il piccolo, o denaro; egli è perciò che l'industria malsana dei falsificatori si è specialmente dedicata a queste monetine, e conviene mettere in guardia i raccoglitori inesperti perché esaminino con tutta diligenza i pezzi di poco valore, come piccoli, bianchi, quartaroli e tornesi dei secoli XIII e XIV che furono imitati nella famosa officina di L. Cigoi di Udine in modo assai perfetto, e tale da ingannare persino qualche esperto conoscitore che non abbia la opportunità di quei confronti, coi quali si può sorprendere e conoscere la malafede dei falsarî.

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MONETE DI MARINO MOROSINI.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

1. Dritto. San Marco che porge il vessillo al doge "punto M punto M, legatura AV, R O C, E ruotata", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

2. Varietà nel Dritto. "punto M spazio M punto, legatura AV, R O C, E ruotata", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Tavola VI, numero 8.

Segni, o punti dei Massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 3: un punto.

Segno 3. Campo 5: un punto.

Segno 4: Campo 3: un punto; campo 5: un punto.

Segno 5. Campo 2: due punti.

Segno 6. Campo 2: quattro punti in quadrato.

Segno 7. Campo 2: quattro punti in quadrato; campo 5: un punto.

Segno 8. Campo 2: quattro punti in quadrato; campo 4: un punto.

Bianco. Argento, titolo 0,050 circa. Peso, grani veneti 9 (grammi 0,465): scodellato.

3. Dritto. Croce accantonata da quattro punti "croce punto M punto M, legatura AV, R O C E punto D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Raccolta Papadopoli.

4. Varietà nel Rovescio. "croce, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Museo Bottacin.

Tavola VI, numero 9.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 16 (grammi 0,828).

5. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" posti in croce "croce punto M punto M, legatura AV, R O C E N CON punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Tavola VI, numero 10.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI MARINO MOROSINI.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 168, numero XIX.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1119, numero 3910.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 83 (115) (116) (117) (118) e tavola.

Biografia dei Dogi. — Opera citata, Doge XLIV.

Numismatica. — Opera citata, Doge XLIV.

PADOVAN E CECCHETTI. — Opera citata, pagina 11.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagine 229-230, Volume V, 1873, pagine 193-194.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 12 — Archivio
Veneto
, Tomo. XII, pagina 94, — terza edizione, 1881, pagina 10.

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NOTE A "MARINO MOROSINI".

(1) Promissione Ducale, 13 giugno 1249, carte 6.

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RANIERI ZENO.
DOGE DI VENEZIA.

1253-1268.

Morto Michele Morosini, i voti degli elettori si raccolsero su Ranieri Zeno, allora Podestà a Fermo, il quale ebbe regno glorioso, ma travagliato da gravi difficoltà. In Italia fervevano le lotte fra Guelfi e Ghibellini, cui i veneziani presero parte quando il papa Alessandro IV bandì la crociata contro Ezzelino ed Alberico da Romano. Indi fra genovesi e veneziani, rivali nel commercio d'Oriente, si accese la guerra per il possesso della chiesa di San Saba in Acri (Siria). Dopo parecchi scontri favorevoli ai veneziani, s'intromise il papa e persuase i due popoli fratelli a deporre le armi; ma intanto cadeva il debole impero latino di Costantinopoli sotto i colpi dei greci condotti da Michele Paleologo, che concedeva favori speciali ai genovesi. Ciò fu occasione di nuova e ferocissima guerra fra le due città marittime, nella quale, dopo varie vicende, riuscirono ancora vittoriosi i veneziani.

Ranieri Zeno morì il 7 luglio 1268. Nulla di speciale abbiamo da registrare relativamente alla moneta durante questo periodo; i pezzi che giunsero fino a noi, conservati nelle raccolte, e quelli che l'Oriente ci rimanda, mostrano che la Zecca continuò a coniare con abbondanza i grossi, mentre sono scarsi i bianchi ed i quartaroli e mancano completamente i denari o piccoli.

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MONETE DI RANIERI ZENO.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

1. Dritto. San Marco che porge il vessillo al doge "punto R A punto G E N O punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola VI, numero 11.

Segni, o punti dei Massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 1: un punto.

Segno 3. Campo 2: un punto.

Segno 4. Campo 3: un punto.

Segno 5. Campo 5: un punto.

Segno 6. Campo 4: un punto.

Segno 7. Campo 1: un punto; campo 2: un punto.

Segno 8. Campo 2: un punto; campo 3: un punto.

Segno 9. Campo 3: un punto; campo 5: un punto.

Segno 10. Campo 4: un punto; campo 5: un punto.

Segno 11. Campo 1: un anello.

Segno 12. Campo 2: un anello.

Segno 13. Campo 3: un anello.

Segno 14. Campo 5: un anello.

Segno 15. Campo 4: un anello.

Segno 16. Campo 1: un anello; campo 3: un anello.

Segno 17. Campo 2: un anello; campo 3: un anello.

Segno 18. Campo 2: un anello; campo 4: un anello.

Segno 19. Campo 1: un triangolo.

Segno 20. Campo 3: un triangolo.

Segno 21. Campo 2: un triangolo; campo 3: un triangolo.

Segno 22. Campo 3: una goccia sottile.

Segno 23. Campo 1: un punto sopra due punti.

Segno 24. Campo 3: un punto sopra due punti.

Segno 25. Campo 1: un triangolo; campo 4: un punto.

Segno 26. Campo 1: un triangolo; campo 5: un anello.

Segno 27. Campo 1: un punto sopra due punti; campo 2: un punto; campo 3: un triangolo.

Segno 28. Campo 1: una stella a 5 punte; campo 4: un anello; campo 5: un anello.

Bianco. Mistura, titolo 0,050 circa. Peso, grani veneti 9 (grammi 0,465): scodellato.

2. Dritto. Croce accantonata da quattro punti "croce punto R A punto G E N O spazio D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Tavola VI, numero 12.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 21 (grammi 1,086).

3. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce "croce punto R A punto G E N O punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Tavola VII, numero 1.

4. Varietà Dritto. "croce punto R A punto G E N O spazio D V X punto".

Rovescio. "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S simmetrica e ruotata, punto".

Tavola VII, numero 2.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI RANIERI ZENO.

(VETTORI). — Il fiorino d'oro etc. Opera citata, pagina 139.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 649-651, 652, numero V; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 47, tavola XXXVII, numero V.

CARLI RUBBI G. R. — Delle Monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 413.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 99 e 107, numero IV; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 29 e 31, tavola numero IV.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 168-169, numeri XX e XXI.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1119-1120, numeri 3911- 3912.

GEGERFELT (VON) G. — Opera citata, pagina 7, numero 3.

Trésor de numismatique, etc. Opera citata, pagina 60, numero 2, tavola XXX, numero 2.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 85 (119) (120) (121) (122) (123) (124) (125) e tavola.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 3.

Biografia dei Dogi. — Opera citata, doge XLV.

Numismatica Veneta. — Opera citata, doge XLV.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 12.

WACHTER (VON) C. — Opera citata, — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228-230, Volume V, 1873, pagina 194.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 12, — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 95, — terza edizione, 1881, pagina 11.

Bolla in piombo di Ranieri Zeno conservata nel Museo Correr.

LORENZO TIEPOLO.
DOGE DI VENEZIA.

1268-1275.

Appena Lorenzo Tiepolo, figlio del doge Jacopo, fu eletto col favore del popolo alla dignità ducale, Venezia fu travagliata da carestia ed inondazione. Nel tempo in cui egli tenne il potere non vi furono fatti di armi, né avvenimenti di importanza. Questo periodo pacifico giovò alla Repubblica, che aumentava ogni giorno di prosperità e di potenza, come dimostrano i molti trattati di amicizia e di commercio stipulati, e le spontanee dedizioni di città e paesi specialmente nell'Istria e nella Dalmazia.

Durante il principato di Lorenzo Tiepolo fu ricominciata la coniazione del piccolo, sospesa da oltre mezzo secolo, e fu mutata la proporzione fra questa moneta ed il grosso, portandola da 26 a 28 denari piccoli per ogni denaro grosso. Si trovano facilmente i piccoli di questa epoca, simili nella forma e nell'aspetto, agli antichi, dai quali non differiscono sensibilmente nella lega, bensì nel peso alquanto inferiore: essi recano scritto il nome e cognome del doge, mentre gli antichi non avevano che il nome di battesimo del principe. Ci mancano invece i documenti pubblici veneziani relativi a questi provvedimenti, e le cronache contemporanee non ne parlano; ma ci assistono alcuni documenti, conservati nella vicina città di Padova, dai quali si rileva non solo quanto basta ad accertare i fatti, ma anche a riconoscere taluna delle ragioni intime di siffatto cambiamento, che può dirsi il primo passo sulla via della diminuzione dell'intrinsico della moneta.

Dimostra il Brunacci (1) nel capitolo VI, dove parla delle monete usate a Padova nel XIII secolo, che il grosso aveva aumentato il suo originario valore sino a 27 piccoli nel 1265, e che più tardi, nel 1274, esso era portato a 28 piccoli; ma i documenti riferiti a suffragio di tali asserzioni sono di diversa natura, perché il primo, e cioè quello del 1265, è semplicemente un atto di ricevuta in cui il grosso è ragguagliato a 27 piccoli, mentre il documento del 1274 è un atto pubblico, tratto dagli Statuti di Padova, che riportiamo (2):

"Potestate domino Jacopino Rubeo. Millesimo ducentesimo septuagesimo quarto. Nulla moneta expendi debeat in civitate Padue, exceptis monetis grossis veronensibus, paduanis et tridentinis grossis, et exceptis denariis parvis venetis, paduanis et veronensibus, qui expendi possint ut est actenus consuetum, et omnes alie monete, predictis exceptis, forbaniantur de Padua et paduano districtu, et exquiratur sacramento a gastaldionibus frataliarum, campsoribus et mercatoribus quod non accipiant aliquas alias monetas, preter predictis nisi pro argento rupto. Et denarii veneti grossi accipiantur et expendantur pro denariis vigintiocto parvis pro uno, secundum quod expenduntur Venetiis, et non currant cum aliquo alio lazo".

Da tutto ciò si rileva che il grosso veniva preferito dal pubblico e dal commercio, ed era pagato più del suo prezzo reale ed ufficiale: questa evidentemente è la ragione per cui la zecca veneta aveva dovuto cessare la coniazione dei piccoli, moneta deprezzata, che valeva meno di ciò che sarebbe costato il fabbricarla. Ma dopo lungo corso d'anni, anche tale astensione della più pregiata officina monetaria aveva i suoi danni ed i suoi pericoli, mancando così una moneta di giusto peso, necessaria alle minute contrattazioni in un tempo in cui abbondava la moneta falsa e scadente, mentre faceva difetto la buona. Per rimediare a tali inconvenienti fu scelto il mezzo che parve più facile e meno pericoloso, di scemare cioè di alcun poco il peso del denaro portando il valore del grosso a 28 piccoli, colla proibizione dell'aggio, che era il male più grave. Infatti il decreto del comune di Padova, dove la monetazione era la stessa di quella di Venezia, si riporta al corso di questa città commerciale e riproduce disposizioni che probabilmente esistevano nei decreti pubblicati a Venezia, facendo proibizione di ogni aggio nella nuova valutazione.

Nell'8 dicembre 1269 (3) il Maggior Consiglio deliberava di nominare due esperti ufficiali per sorvegliare la fusione e lavorazione dell'oro e dell'argento. In pari tempo furono stabilite le norme colle quali si permetteva di fondere ed affinare i metalli nobili secondo il titolo fissato, che era di 23 e mezzo carati per l'oro e quello del grosso per l'argento: registrandosi su apposito quaderno la quantità dell'oro e dell'argento, il titolo, il proprietario ed il compratore. Nel 14 novembre 1273 lo stesso Maggior Consiglio (4) aggiungeva a tale ufficio due massari per pesare l'oro. Non si possono confondere questi ufficiali, che dovevano sorvegliare la bontà ed il commercio dei metalli nobili, coi massari della moneta, sia perché i loro incarichi erano di diversa natura, sia perché la zecca era a San Marco, mentre questo nuovo ufficio doveva piantarsi a Rialto.

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MONETE DI LORENZO TIEPOLO.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

1. Dritto. San Marco che porge il vessillo al doge, "punto L A punto T E V P, L SEGNO", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola VII, numero 3.

Segni, o punti dei massari alla moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 1: un punto.

Segno 3. Campo 3: un anello.

Segno 4. Campo 2: un triangolo.

Segno 5. Campo 3: un triangolo.

Segno 6. Campo 5: un triangolo.

Segno 7. Campo 4: un triangolo.

Segno 8. Campo 1: un triangolo; campo 3: un triangolo.

Segno 9. Campo 2: un triangolo; campo 3: un triangolo.

Segno 10. Campo 2: un triangolo; campo 4: un triangolo.

Segno 11. Campo 4: un triangolo; campo 5: un triangolo.

Segno 12. Campo 2: un triangolo; campo 4: un triangolo; campo 5: un triangolo.

Segno 13. Campo 1: un rombo.

Segno 14. Campo 2: un rombo.

Segno 15. Campo 3: un rombo.

Segno 16. Campo 2: un rombo; campo 3: un rombo.

Segno 17. Campo 1: un rombo; campo 3: un rombo.

Piccolo, o denaro. Argento, titolo 0,250 circa (5). Peso, grani veneti 5 e 60 centesimi (grammi 0,289) circa: scodellato.

2. Dritto. Croce in un cerchio "punto L A punto T E punto D V X".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

Tavola VII, numero 4.

Bianco, o mezzo denaro. Mistura, titolo 0,050 circa. Peso, grani veneti 8 (grammi 0,420): scodellato.

3. Dritto. Croce accantonata da quattro punti. "croce punto L A punto T E V P, L SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. Busto in faccia di San Marco "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Regio Museo di Parma.

Tavola VII, numero 5.

Museo Correr.

Doppio quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 45 (grammi 2,328).

4. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce con un punto nel mezzo. "croce punto L A punto T E V P, L SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli. "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S simmetrica e ruotata, punto".

Tavola VII, numero 6.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 28 (grammi 1,449).

5. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce "croce punto L A punto T E V P, L SEGNO, punto D V X".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli. "punto, S ruotata, punto M A R C V, S simmetrica e ruotata, punto".

Tavola VII, numero 7.

6. Varietà Dritto. "croce punto L A punto T E V P, L SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio."croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S simmetrica e ruotata, punto".

Tavola VII, numero 8.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI LORENZO TIEPOLO.

SANTINELLI S. — Opera citata, pagine 270-271, 275, (disegno pagina 271); ed in ARGELATI, Parte I, pagine 299, 302.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 649, 651 e 652, numero VI; ed in ARGELATI, Parte I, pagine 47-48, Tavola XXXVII, numero VI.

ARGELATI F. — Opera citata, Parte III, Appendice, Editoris additiones, etc., pagine 69-70, tavola VIII, numero III (6).

BELLINI V. — _De monetis Italiæ et_c. Opera citata, Dissertazione I, pagina 99, 100 e 107, numero 5; ed in ARGELATI, Parte V, pagine 29 e 31, tavola numero V.

GRADENIGO G. A. — Indice citato in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 169, numeri XXII e XXIII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1120, numeri 3913 e 3914.

FONTANA C. D' O. — Illustrazione d'una serie di monete dei Vescovi di
Trieste
, Trieste, 1832, pagina 37, numero 21 della tavola.

GEGERFELT (VON) G. — Opera citata, pagina 8, numeri 4 e 5.

Trésor de numismatique etc. — Opera citata, pagina 60, numero 3, Tavola XXX, numero 3.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 87 (126) (127) (128) e tavola.

Biografia dei Dogi. Opera citata, doge XLVI.

Numismatica Veneta. Opera citata, doge XLVI.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 12.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatiche Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 227-231, Volume V, 1875, pagine 194-195.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 13. — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 95, — terza edizione, 1881, pagina 11.

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NOTE A "LORENZO TIEPOLO".

(1) Joannis Brunatii. De re nummaria patavinorum. Opera citata, pagina 42 e seguenti.

(2) Statuti del Comune di Padova, Padova, Sacchetto, 1878, pagina 274.

(3) Documento V.

(4) Documento VI.

(5) L'esame chimico fatto dall'ufficio del saggio di Venezia dà il fino di 0,249.

(6) Il testo nomina Jacopo Tiepolo, ma sul disegno si legge "L A punto T E V P L".

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JACOPO CONTARINI.
DOGE DI VENEZIA.

1275-1280.

Dopo la morte del doge Lorenzo Tiepolo si trovò necessario di modificare e di inasprire le pene minacciate ai falsari, e lo rileviamo da un decreto di quest'epoca, riportato nel libro VI, Capitolo LXXX degli Statuti e Leggi Venete, che condanna al fuoco chiunque falsificasse in Venezia la moneta veneziana, e quel veneto che in qualunque luogo commettesse lo stesso reato. Nello stesso senso furono fatte le correzioni alla Promissione Ducale (1), con la quale il doge doveva giurare di mantenere intatta nostram monetam magnam et parvam sicut nunc est, e di perseguitare i falsificatori.

Dopo ciò fu eletto Jacopo Contarini ottuagenario, che durò solo quattro anni, in tempi assai difficili. I Veneziani erano in lotta cogli Anconetani per la supremazia dell'Adriatico in causa di certe gabelle imposte ai naviganti del golfo, e le sorti della guerra non furono nei primi tempi favorevoli ai Veneziani. Alcune città dell'Istria rifiutavano i soliti tributi, e Venezia dovette ricorrere alle armi per condurle all'obbedienza. Anche Candia si agitava e, sebbene repressa, la rivolta alzava ripetutamente la testa, né poté essere domata se non dopo lungo tempo e ripetute spedizioni di navi e di armati.

Nell'Archivio di Stato ai Frari si conserva un Capitolare dei massari della moneta, compilato nel 1278 ed abrogato nel 1376 (2), il più antico che si conosca, non però il primo che resse la zecca di Venezia, perché, come abbiamo già raccontato, gli ufficiali della moneta prestavano giuramento sul loro Capitolare fino dal 1224.

Probabilmente fra l'uno e l'altro di questi Capitolari non vi era differenza sostanziale, perché il fino dell'argento ed il peso del grosso non avevano variato, ma certo nelle disposizioni di ordine amministrativo e regolamentare si introdussero quelle modificazioni che l'esperienza aveva nel frattempo mostrate necessarie ed utili.

Questo importante documento è esteso nella forma solita ai Capitolari, e comincia dal giuramento che fa il massaro di esercitare il suo ufficio per il profitto e l'onore del Comune di Venezia, fabbricando assieme ai soci, od almeno con uno di essi, moneta grossa, buona e di buona fede; di osservare e far osservare ciò che è prescritto dal Capitolare e quanto sarà ordinato dal doge e dalla maggior parte del suo consiglio. Ciascun massaro deve fare per turno la quindicina assieme ad un compagno, mentre il terzo è chiamato in caso di dubbio o di necessità.

Il massaro di quindicina deve avere le chiavi delle volte e delle porte dove si pesa e si custodisce l'argento; deve assieme ai colleghi fare l'acquisto degli argenti e delle monete, a seconda di ciò che torna più utile al Comune, col concorso di tutti due, od almeno di uno dei soci, deve comporre le leghe, e coll'assistenza dei pesatori e degli affinatori consegnare il metallo ai fonditori, e controllare il peso ed il fino. Egli deve sorvegliare tutti i particolari della fabbricazione ed invigilare, anche col mezzo di un inquisitore, affinché tutti i maestri facciano esattamente il debito loro; deve registrare gli acquisti e le rese dell'argento sopra apposito quaderno, ed alla fine del suo servizio dare conto esatto dell'avere del Comune e dei privati, e consegnare le chiavi al successore. Tutto è preveduto e determinato con esattezza e minuziosità forse eccessiva; si stabilisce il numero e la qualità degli operai, le ore di ufficio per i magistrati e la quantità del lavoro degli operai secondo la stagione, e persino il minimo del lucro che deve fruttare allo Stato la fabbricazione della moneta, cioè di due soldi per ogni marca d'argento lavorato.

I massari devono avere uno scrivano laico, che non abbia altro incarico alla zecca e che sia veneto, come veneti devono essere tutti coloro che lavorano alla moneta, tranne gli affinatori. Così i massari, come tutti gli altri funzionari ed operai devono riferire ai superiori se venisse a loro conoscenza qualche frode nella fabbricazione, qualche falsificazione o deterioramento delle monete. I massari devono, ogni sei mesi, rendere conto della loro amministrazione a coloro che sono preposti alle ragioni del Comune, con penalità per coloro che non lo rendessero nei tempi prefissi, ed esclusione dagli uffici retribuiti di quelli che non saldassero il loro debito verso lo Stato.

Altre sagge disposizioni provvedono affinché i massari e gli altri addetti alla zecca non abbiano utili illeciti, non ricevano doni o denari dagli interessati e non facciano società coi mercanti che speculavano sulle monete e sui metalli. Speciale cura avevasi per l'esattezza del peso e del fino, ed anche per la bellezza e regolarità del conio e della battitura. Ogni massaro era tenuto a fare un segno sulla moneta per riconoscere chi era responsabile della fabbricazione.

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MONETE DI JACOPO CONTARINI.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

1. Dritto. San Marco che porge il vessillo al doge "punto I A punto CON T A R I N punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

2. Varietà nel Dritto. "I A punto CON T A R I N punto".

Tavola VII, numero 9.

Segni, o punti dei massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 1: un punto.

Segno 3. Campo 2: un punto.

Segno 4. Campo 3: un punto.

Segno 5. Campo 5: un punto.

Segno 6. Campo 4: un punto.

Segno 7. Campo 2: un punto; campo 3: un punto.

Segno 8. Campo 3: un punto; campo 4: un punto.

Segno 9. Campo 3: un punto; campo 4: un punto.

Segno 10. Campo 2: un anello.

Segno 11. Campo 1: un anello; campo 3: un punto.

Segno 12. Campo 2: un anello; campo 5; due punti.

Piccolo, o denaro. Argento, titolo 0,250 circa. Peso, grani veneti 5 e 60 centesimi (grammi 0,289) circa: scodellato.

3. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto I A punto CON T punto D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R
C V, S ruotata, punto".

Tavola VII, numero 10.

Bianco, o mezzo denaro. Mistura, titolo 0,050 circa. Peso, grani veneti 8 (grammi 0,414): scodellato.

4. Dritto. Croce accantonata da quattro punti. "croce punto I A punto CON T A R E punto D V X".

Rovescio. Busto di San Marco in faccia "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Regio Museo Britannico.

Tavola VII, numero 11.

Raccolta Papadopoli.

Doppio quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 32 (grammi 1,656).

5. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce. "croce punto I A punto CON T A R E punto D V X".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S simmetrica e ruotata, punto".

Regia Biblioteca e Museo di San Marco.

Tavola VII, numero 12.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003, circa. Peso, grani veneti 16 (grammi 0,828).

6. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce. "croce punto I A punto CON T A R E punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S simmetrica e ruotata, punto".

Museo Correr.

Tavola VIII, numero 1.

Museo Bottacin.

Raccolta Papadopoli.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI JACOPO CONTARINI.

SCHIAVINI F. — Opera citata in ARGELATI, Parte I, pagine 283 e 287, numero I.

ARGELATI E. — Opera citata, Parte III, Appendice, Editoris additiones, etc., pagina 70, tavola VIII, numero V.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 169, numeri XXIV e XXV.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1120, numero 3915.

LELEWEL J. — Opera citata, Parte III, pagina 34, tavola XV, numero 3.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 9 (129) (130) (131) e tavola.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge XLVII.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge XLVII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 13.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 227-231.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 13. — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 95, — terza edizione, 1881, pagina 11.

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NOTE A "JACOPO CONTARINI".

(1) Promissione Ducale, 6 settembre 1275, carte 27.

(2) Documento IV.

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GIOVANNI DANDOLO.
DOGE DI VENEZIA.

1280-1289.

Dopo che Jacopo Contarini ebbe deposto il potere, i voti degli elettori si raccolsero su Giovanni Dandolo, di antica ed illustre prosapia. Egli fece la pace cogli Anconetani, ma continuò la guerra contro Trieste e le città insorte dell'Istria, sostenute dal Patriarca di Aquileja, guerra dapprima sfortunata, ma in fine coronata d'esito felice, con l'occupazione di Trieste e delle altre città. Erasi stretto un trattato con Carlo d'Angiò e con Filippo di Francia per la conquista di Costantinopoli, ma i vespri siciliani fecero abortire la spedizione progettata, ed anzi non avendo i veneziani lasciato bandire la crociata contro Pietro d'Aragona, il Pontefice li colpì di scomunica. Venezia in quel tempo, oltre ai danni della guerra e dell'interdetto, ebbe a soffrire carestia, inondazione, terremoto e pestilenza, ma tutte queste disgrazie non impedirono che fosse migliorata l'amministrazione interna e curato l'abbellimento della città.

Il principato di Giovanni Dandolo, sotto l'aspetto numismatico, è sopratutto famoso per la istituzione del ducato d'oro. Prima però di trattare di questo importante argomento, conviene soffermarsi un poco su due parti del Maggior Consiglio, che riguardano le monete d'argento già esistenti, del seguente tenore:

"Millesimo, ducentesimo, octuagesimo secundo. Indictione decima. Die XXVIII Maij. Pars fuit capta quod denarius grossus debeat dari a modo ad parvos pro denariis XXXII et quilibet debeat ipsum recipere pro denariis XXXII ad parvos de omnibus rebus que current ab hodierna die in antea, tam de illis rebus que sunt modo in terra, quam de illis que de cetero intrabunt in terram" (1).

"Millesimo, ducentesimo LXXXII. die VI octubris. Capta fuit pars quod denarii parvi debeant fieri secundum scriptum massariorum. Et si illis vel aliis aliquod melioramentum videbitur fiat; et ipsi teneantur facere. Scriptum autem massariorum est istud. Videtur nobis quod in unziis VI et dimidia minus uno grosso de pondere de rame, et unza una et dimidia et grosso uno de peso de argento de grosso sumat totum marcham unam et fiant denarii qui vadant soldos VIII et denarios II per unziam qui sumabunt libras III et soldos V et denarios IIII pro marcha. Et sic ibant alii novi qui fuerunt batuti; et taliter fieri possint denarii parvi stando in capitali Commune nichil inde perdendo. Et isti denarii erunt deteriores quam primi fuerunt sol. V et denar. II ad grossos pro marcha" (2).

Il primo di questi decreti ordina che il grosso debba essere dato per 32 piccoli, e che per tal prezzo sia ricevuto a modo ad parvos. Che cosa sia la valutazione ad grossos e quella ad parvos, sarà argomento di studio successivo: basti per ora sapere che il valore del grosso era così portato a 32 piccoli e che questo ragguaglio si usava nelle contrattazioni di tutti i giorni, dove è necessaria la moneta effettiva.

Il secondo documento fa sapere che la zecca non poteva utilmente continuare la battitura dei piccoli collo stesso intrinseco di prima. Era questa una conseguenza naturale della precedente deliberazione 28 maggio, perché dandosi 32 invece di 28 piccoli per grosso, se questi avessero contenuto la stessa quantità di metallo nobile, l'erario avrebbe risentito una perdita rilevante. Infatti il decreto del 6 ottobre più sopra riportato, ne diminuisce il fino ed il peso. Esso stabilisce che la lega dei nuovi denari sia composta di 3702 grani veneti di rame, e di 906 grani veneti d'argento per marca, e cioè meno di un quinto di fino, mentre quelli precedentemente coniati ne avevano circa un quarto, come risulta da un assaggio istituito sopra un piccolo di Lorenzo Tiepolo. Di più da ogni marca della nuova composizione dovevasi ricavare 3 lire, 5 soldi e 2 denari e cioè 784 pezzi, mentre lo stesso documento osserva che tale ricavo è superiore a quello avuto precedentemente di soldi 5 e denari 2 per marca. Senza riportare qui tutto il conteggio, si possono riassumere i dati in questo modo: i denari di Enrico Dandolo pesavano oltre 6 grani veneti, e contenevano approssimativamente grani veneti 1,56 d'argento; quelli di Lorenzo Tiepolo pesavano meno di sei grani ed avevano di fino circa grani veneti 1,40, mentre quelli fatti secondo il decreto 6 ottobre non avevano che grani veneti 5,877 di peso, e 1,155 di fino.

Abbiamo dunque tre qualità di denari che corrispondono alle diverse epoche ed alle differenti proporzioni fra il grosso ed il piccolo, e cioè quando il grosso valeva 26 piccoli, quando ne valeva 28 e quando 32; non era dunque il grosso che avesse aumentato il suo valore, ma bensì il denaro che andava perdendo del suo pregio intrinseco.

Oltre a questa indispensabile e naturale diminuzione conviene notarne un'altra, anch'essa assai rimarchevole; che cioè mentre i piccoli dell'epoca più antica, esaminati colla bilancia col crogiuolo, contengono tanto argento che corrisponde esattamente a quanto si trova nei grossi, quelli delle epoche posteriori hanno una quantità di fino notevolmente minore di quella che dovrebbero avere, anche tenuto conto della mutata proporzione fra le due monete. Infatti 26 piccoli di Enrico Dandolo a grani veneti 1,56 di fino, contengono più di 40 grani veneti d'argento puro, mentre 28 piccoli di Lorenzo Tiepolo non vi arrivano, e 32 piccoli di Giovanni Dandolo, secondo il decreto 6 ottobre 1282, a grani veneti 1,155, fanno grani veneti 36,960 ed e grani veneti 1,121, come fu stabilito più tardi, soltanto 35,872. Ciò vuol dire che anticamente, esistendo il solo denaro, era desso il termine di confronto per il valore delle cose e la base della monetazione, mentre dopo l'istituzione del grosso, questa nuova moneta rimasta sempre costante nel peso e nell'intrinseco, diventava la misura del valore commerciale ed il piccolo era ridotto ad una moneta spicciola di importanza secondaria.

Questa condizione di cose andò peggiorando sempre più, e già nell'11 dicembre 1289, una deliberazione della Quarantìa, che si trova nel capitolare dei massari della moneta, affida agli ufficiali della moneta grossa la coniazione della moneta minuta. Nei paragrafi 80, 81 ed 82 sono raccolte le disposizioni relative alla fabbricazione dei piccoli, nelle quali il fino è bensì migliorato di 6 grani per marca, ma è aumentato il ricavo tenendolo fra lire 3, soldi 5 e mezzo e lire 3, soldi 10 per marca, con una media di 813 pezzi per marca, e cioè un lieve miglioramento di lega, ma una maggiore diminuzione di peso, per cui il denaro fabbricato secondo questa norma dovrebbe pesare grani veneti 5,667 ed avere di fino 1,121.

Veniamo ora al ducato d'oro, istituito con una legge del Maggior Consiglio, che giova riprodurre integralmente, sebbene da lungo tempo pubblicata e conosciuta da tutti gli studiosi:

"1284 die ultimo octubris. Capta fuit pars quod debeat laborari moneta auri communis videlicet LXVII pro marcha auri tam bona et fina per aurum vel melior ut est florenus accipiendo aurum pro illo precio quod possit dari moneta pro decem et octo grossis et fiat cum illa stampa que videbitur domino duci et consiliariis et capitibus de quadraginta et cum illis melioramentis que eis videbuntur, et si consilium est contra sit revocatum quantum in hoc: pars de XL et erant XXVIIII de quadraginta congregati ex quibus voluerunt, hanc partem XXII et septem fuerunt non sinceri et nullus de non" (3).

Dopo la grande riforma della monetazione fatta da Carlo Magno, l'Europa non aveva quasi più specie d'oro, tranne quelle che erano rimaste in circolazione dei tempi longobardi e del basso impero, e quelle che si coniavano nei paesi occupati dagli Arabi. Federico II per il primo fece stampare (1231) l'Augustale, moneta che, per il metallo e per il conio, ricorda i bei tempi dell'impero romano; poscia nel 1252 Firenze decretò il fiorino, che imitato da altre città italiane, si diffuse in tutti i paesi Commerciali del mondo, e la moneta d'oro di Firenze e di Venezia, conservandosi per lungo corso d'anni sempre uguale di peso e di bontà, divenne una specie di moneta universale in un tempo, in cui non erano popolari le scienze economiche, ma una buona e savia pratica non era ignota ai commercianti accorti ed intraprendenti. L'importanza del fatto non isfuggì nemmeno allora e ne fanno menzione tutti i cronisti e storici contemporanei, anzi Marino Sanuto nelle sue vite dei Dogi (4) riporta un'iscrizione posta per ricordare il grande avvenimento.

Come risulta dalla lettura del documento, lo scopo del decreto 31 ottobre 1284, era quello di creare una moneta di oro fino buona quanto e più del forino fiorentino. Così fu fatto, perché nel ducato si adoperò l'oro più puro che si potesse avere coi mezzi chimici di allora; gli assaggi moderni provano il titolo 0,997, per cui si può calcolare che l'oro migliore del medio evo avesse per lo meno tre millesimi d'impurità.

Per il tipo e per il conio il Maggior Consiglio si rimette al parere del doge, dei consiglieri e dei capi della Quarantìa, i quali adempirono l'incarico con tutta coscienza e con buon risultato, riproducendo sulle nuove monete le stesse figure e lo stesso concetto che era diventato tradizionale del grosso, ma l'arte veneziana aveva fatto grandi progressi negli ultimi ottant'anni e si era liberata dalle pastoje della scuola bizantina, per cui il conio di questa moneta è superiore a tutti i contemporanei, e mostra che gli artefici della zecca di Venezia erano in un epoca remota, arrivati a notevole altezza nel gusto e nella finitezza del disegno. In luogo delle due figure tozze e stecchite di un'arte imbarbarita, vediamo sul diritto del nuovo ducato, il Santo protettore vestito di ampio paludamento, il quale offre il patrio stendardo al doge inginocchiato che riverente lo prende colla destra. Il principe ha sul capo la berretta ducale di forma antica con cerchio di gemme e la cuffia o camauro allacciato sotto il mento. La testa e gli ornamenti sono finamente lavorati, il manto ornato di pelliccia cade artisticamente sul corpo; solo le gambe del doge genuflesso hanno una certa piegatura alquanto primitiva, che mostra l'infanzia dell'arte, ma non è priva di grazia e di ingenuità.

Sul rovescio il Redentore non ha più il seggiolone, sul quale siamo soliti vederlo seduto in tutte le manifestazioni più importanti dell'arte e del culto bizantino, ma ritto in piedi, abbandona le forme abituali per prendere un ampio vestito drappeggiato con buon gusto. Non ostante queste mutazioni, dal libro che tiene nella mano sinistra, dalla destra che benedice, e sopra tutto dal greco nimbo colla croce, si riconosce, che l'artista ebbe per modello non solo il rovescio del grosso, ma anche la tradizione dell'arte religiosa bizantina e le successive modificazioni ad essa recate dai primi albori del rinascimento italiano. La figura del Redentore è chiusa in un aureola elittica, o per dir meglio composta di due archi di cerchio che si uniscono a sesto acuto. È questa una concezione poetica ed allegorica prediletta del medio evo, che si vede nelle antichissime tavole di soggetto mistico e religioso ed anche in alcuni mosaici che esistevano nella facciata della chiesa di San Marco, fedelmente riprodotti dal pennello di Gentile Bellino. Se fossero conservati i disegni di tutti quelli che nell'interno della basilica furono sostituiti da lavori più recenti, si avrebbe forse una serie completa, da cui studiare la graduale trasformazione del pensiero religioso ed artistico. Essa rappresenta una parte e precisamente un fuso delle sfere celesti, che sul rovescio del ducato è cosparso di stelle per far comprendere meglio l'idea dove manca il colore. Questa bella moneta ha molta rotondità e rilievo ed è superiore a tutte quelle coniate nella stessa epoca, perfezione che durò pochi anni, essendosi più tardi trascurato assai il lavoro d'intaglio per la fretta causata dall'abbondantissima fabbricazione.

Firenze che prima istituì la moneta d'oro, la fece di un peso che corrispondeva all'ottava parte di un'oncia e di un valore esatto e perfetto, vale a dire una lira fiorentina di 20 soldi; Venezia che volle approfittare della diffusione e della celebrità acquistata dal forino, dovette conservarne il peso e la bontà, decretando che da ogni marca si tagliassero 67 monete, ognuna delle quali risultava del peso di grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi. Il ducato all'epoca della sua creazione (1284) fu valutato 18 grossi, con una proporzione fra l'oro e l'argento di 1 a 10 e sei decimi; più tardi l'argento diminuì di prezzo grado a grado, e nei primi lustri del secolo XIV, il ducato fu portato a 24 grossi ed il rapporto fra i due metalli come 1 a 14 circa.

Nel 2 giugno 1285, il Maggior Consiglio (5) ordinava che il ducato d'oro fosse valutato 40 soldi ad grossos. Per comprendere questo decreto e per avere un'idea del prezzo del Ducato, che ha tanta importanza nella storia del valore, conviene addentrarsi un poco nel sistema monetario veneziano e studiare le differenti maniere colle quali si conteggiava nel secolo XIII. Due lire erano usate in quel tempo a Venezia, entrambe divise in 20 soldi, ed ogni soldo in 12 denari; la sola differenza era il valore del denaro, che nell'una era il piccolo e nell'altra il grosso, per cui si chiamavano: la prima lira di denari piccoli, la seconda lira di denari grossi.

La moneta di conto principale e più diffusa fu sempre la lira di piccoli e durò quanto la Repubblica, dalla fine del X° secolo, in cui si trovano i più antichi conteggi espressi in denari veneziani fino alla caduta del governo col quale si era, per così dire immedesimata. Nel 1806 fu introdotto nel regno d'Italia il sistema decimale, poi la moneta Austriaca, e finalmente ritornò la italiana, ma la lira di piccoli, ovvero lira veneta non è ancora completamente scomparsa nel territorio veneto, quale lira di conto. Ho già parlato di questa lira, della sua origine, del suo valore intrinseco e della diminuzione subìta dall'epoca di Carlo Magno in cui fu istituita, fino a quella di Enrico Dandolo. Da questo tempo in poi una nuova falcidia era avvenuta nella quantità d'argento contenuta in una lira. Infatti quando fu creato il grosso, esso equivaleva a 26 piccoli e per formare una lira di piccoli erano necessari grossi 9 e sei ventiseiesimi, corrispondenti a grani veneti 388 e 61 centesimi di argento buonissimo a peggio 40 sistema veneto, che equivale a grammi 20,110 a titolo 965 millesimi, e cioè a circa italiane lire 4,31 della nostra moneta. Quando si ricominciò a coniare il piccolo, ducando Lorenzo Tiepolo il valore del grosso fu portato a 28 piccoli e nel 1282 a 32 piccoli. Nel primo caso occorrevano 8 grossi e 16 ventottesimi a formare una lira, nel secondo bastavano grossi 7 e mezzo, e siccome il grosso aveva sempre lo stesso titolo e lo stesso peso, ne viene naturalmente che nella prima epoca, la lira conteneva grammi 18,024 d'argento puro, quanti circa si trovano in 4 lire italiane; nella seconda invece 15,771, quanti si trovano in lire 3,50 circa della nostra moneta.

Verso la metà del secolo XIV il grosso fu valutato 4 soldi ossia 48 piccoli, più tardi lo stesso grosso peggiorò di peso e di fino, ciò che equivaleva ad una continua diminuzione di pregio della lira. Per maggiore chiarezza darò in fine alcune tabelle ove saranno riuniti i dati di peso e di fino di ogni singola moneta, e così pure il valore del ducato e le conseguenti variazioni sul metallo contenuto in una lira nelle differenti epoche; così si avrà sott'occhio lo svolgersi di questo interessante fenomeno che fu detto volgarmente accrescimento del forino o ducato, ma, come il Carli (6) giustamente osserva, fu accrescimento numerario e non reale, perché di quanto crescevano in numero le lire contenute nel ducato, di tanto diminuivano nel peso, e peggioravano nell'intrinseco.

L'altra lira di conto adoperata dai veneziani nelle maggiori valutazioni era la lira di grossi o, per dire più esattamente, la lira di danari grossi. Questa moneta ideale si divideva essa pure in 20 soldi composti di 12 denari, ma ognuno di questi denari era un grosso, per modo che questa lira conteneva 240 grossi invece di 240 piccoli. Il rapporto fra la lira di grossi e quella di piccoli, corrispondeva naturalmente alla proporzione fra il grosso ed il piccolo: originariamente essa valeva 26 lire di piccoli, ma quando aumentarono i piccoli contenuti in un grosso, aumentarono pure le lire di piccoli che corrispondevano ad una lira di grossi.

La lira di piccoli e la lira di grossi erano pure usate a Padova, Verona, Treviso e nei loro territori, dove le monete veneziane avevano corso ed erano pregiate al pari di quelle locali, come insegnano il Brunacci (7) il Dionisi (8) e l'Azzoni Avogadro, (9), e come mostrano i documenti dell'epoca anteriore alla dominazione veneziana, che si conservano in quei paesi.

In tutti i documenti riguardanti Venezia e le città del Veneto la lira di piccoli viene indicata coi nomi di libra parvorum, libra denariorum, libra venetorum parvorum, libra denariorum venetorum (10) e quella di grossi, coi nomi di libra grossorum, libra denariorum grossorum e libra denariorum venetorum grossorum; quando poi si trova scritto: lira, soldo e denaro senza altra indicazione, si intende la lira di piccoli.

Come fu già detto la lira di grossi ebbe dapprima il valore di 26 lire di piccoli, ma aumentò mano mano che crescevano i piccoli contenuti nel grosso, così che la lira di grossi fu portata a 28 lire di piccoli, quando il grosso ebbe il valore di 28 piccoli. Nel 1282 quando il grosso fu portato a 32 piccoli, la lira di grossi arrivò al valore di 32 lire di piccoli, che le viene attribuito anche nel principio del secolo XIV da Marino Sanuto detto Torsello nel Liber Secretorum fidelium crucis, Liber II, Pars IV, Capitolo X, pagina 64, ove dice:

"Valet enim grossus venetus de argento parvos denarios venetos XXXII. Ita quod septem grossi cum dimidio XX soldorum parvorum summam perficiunt et XX soldi grossorum venetorum ad summam XXXII librarum parvorum ascendunt".

Allorché fu istituito il primo ducato d'oro, col decreto 31 ottobre 1284, esso fu ragguagliato a 18 grossi, ma più tardi crebbe notevolmente di pregio in confronto dell'argento, sinché un decreto della Quarantìa del 12 settembre 1328, che si conserva nel Capitolare dei Signori di notte, confermò tale aumento (11) ordinando che i ducati dovessero spendersi ed essere ricevuti per 24 grossi. Da questo ragguaglio ne venne un modo di conteggiare la lira di grossi assai facile e semplice, che incontrò così grande favore nel pubblico da resistere a tutte le mutazioni posteriori, di guisa che la lira di grossi divenne sinonimo di 10 ducati. Difatti, essendo il ducato 24 grossi, corrispondeva a due soldi di grossi e così ogni soldo di grosso era mezzo ducato e dieci ducati formavano 240 grossi effettivi, uguali alla lira di grossi, allora quasi universalmente adottata a Venezia.

Verso la metà del secolo XIV, durante il principato di Andrea Dandolo, il peso del soldo fu nuovamente diminuito ed il valore del grosso, elevato a 48 piccoli, ossia 4 soldi. Da ciò due differenti lire di grossi; una di queste conservava il valore di 32 lire di piccoli, e in essa il grosso, unità, era diventato convenzionale e di minor peso dell'effettivo, come in proporzione era diminuito anche il valore della lira di grossi, perché quelle 32 lire contenevano tanto minor quantità di metallo, quanto era cresciuto il valore nominale del grosso.

L'altra lira di grossi si basava sopra l'unità del grosso effettivo e sopra il valore di dieci ducati per lira, e cioè rimaneva uguale all'antica lira di grossi nel peso del metallo, tanto in argento, quanto in oro: ma aveva acquistato il ragguaglio convenzionale di 48 lire di piccoli. In questo secondo modo di conteggio si mantenne la divisione del grosso in 32 piccoli che naturalmente non si trovavano in ispecie, ma divennero ideali e di un valore maggiore di quello dei veri piccoli. Questo modo di conteggiare, che aveva la sua base nel valore del ducato d'oro, diede origine alla lira di grossi a oro, al grosso a oro ed al piccolo a oro, così chiamati per distinguerli dalle monete dello stesso nome che si usavano nella lira di piccoli e che erano materialmente in circolazione.

Nei documenti contemporanei abbiamo esempi numerosi dell'una e dell'altra lira, e le Memorie di zecca ricordano che nell'anno 1408 le lire di grossi valevano L. 32 et a oro L. 48.

Ecco adunque una complicazione singolare, due lire di comune origine e di uguale suddivisione, ma di differente valore, delle quali una ha il grosso ideale, l'altra ha ideale il piccolo. La minore però ebbe poca durata, perché le contrattazioni popolari si facevano in valuta di piccoli e nelle maggiori si preferiva la lira di grossi a oro.

Questa maniera di calcolare la lira di grossi a oro che prese piede nella seconda metà del secolo XIV, dava un ottimo assetto alla monetazione veneziana, lasciando uno speciale campo di azione a ciascuno dei due metalli. La moneta di piccoli aveva la sua base nel grosso, e più tardi nella lira d'argento, ed era destinata al piccolo commercio ed alle transazioni giornaliere e di poca importanza, ove gli inconvenienti della instabilità e del lento ma progressivo deprezzamento presentavano minori pericoli per la poca entità del valore, per la grande suddivisione e breve durata delle transazioni. Invece la lira di grossi, quando abbandonò l'antica base d'argento per prendere un valore fisso ed immutabile di 10 ducati d'oro, ebbe il grande pregio di rendere più sicure le operazioni commerciali di maggiore importanza o di lunga scadenza, i prestiti e le operazioni finanziarie dello stato, nello stesso tempo che rendeva più facili e semplici le scritturazioni in quei conti nei quali alla cifra romana non erasi ancora sostituita l'arabica.

Questo risultato tanto soddisfacente non si ottenne in breve né senza tentativi che non raggiunsero completamente l'intento. Sino dai primi tempi si sentì il bisogno di sottrarre le principali contrattazioni agli inconvenienti, gravissimi nel medio evo, dell'aggio e delle oscillazioni di valore. A tale scopo furono introdotti due modi di conteggiare che entrambi avevano per punto di partenza il grosso effettivo, sola base di valore costante prima del ducato e cioè la lira di grossi e la lira ad grossos, le quali sparirono quando divenne generale l'uso di valersi della lira di grossi a oro e fu necessario abolire il grosso diminuito e deprezzato.

Avendo già parlato della lira di grossi è duopo occuparsi della lira ad grossos o per meglio dire di due modi di conteggiare la lira di piccoli che cominciarono ad usarsi nella seconda metà del secolo XIII. Il primo e più antico è quello ad parvos sul quale poco resta da dire, perché è quello che ha per base la moneta effettiva del piccolo o denaro, e corrisponde al valore effettivo di 240 piccoli come uscivano dalla zecca. Così il decreto 28 maggio 1282 già citato stabilisce

"quod denarios grossos debeat dari a modo ad parvos pro denariis XXXII".

Naturalmente in questo modo la lira diminuiva di valore ogni volta che i piccoli diminuivano di pregio, così che la lira di piccoli, la quale al tempo di Enrico Dandolo superava 19 grammi d'argento puro, al tempo in cui furono soppressi i grossi e coniata la lira Tron, non ne aveva che 6 e un quarto circa e nel 1797 soltanto 2,352.

Quando incominciarono a fiorire in Italia gli studî storici ed economici, gli illustri scienziati che piantarono le basi della numismatica medioevale del nostro paese, si avvidero che a Venezia, nel secolo XIII esistevano una lira ed un soldo ad grossos, che non potevano confondersi colle lire e coi soldi già conosciuti. Fu precisamente nel cercare di chiarire il decreto 2 giugno 1282, che attribuiva al ducato il valore di 40 soldi ad grossos, che si constatò questo fatto. Ma non seppero darne soddisfacente spiegazione, né quel profondo storico del valore che fu il Conte Carli (12) né l'Azzoni Avogadro (13) che studiò con amore tale argomento, portando lumi e documenti nuovi, e nemmeno Guidantonio Zanetti (14) nelle note sapienti ch'egli soleva aggiungere ai lavori della sua raccolta.

Il Gallicciolli (15) ed altri scrittori, appoggiandosi ad una nota esistente nelle carte del Savio Cassier e tratta nel 22 marzo 1703 da Domenico Brusasette da una simile esistente nel Capitolar del Magistrato Eccellentissimo de' signori Provveditori sopra ori e monete in Cecca, asseriscono che il ducato alla sua origine fu apprezzato 60 soldi dei piccoli, e quindi che tale somma è pari a 40 soldi ad grossos. L'illazione è naturale perché due cose eguali ad una terza sono eguali fra di loro; ma allora dovrebbero allo stesso valore corrispondere i 18 grossi fissati nel decreto che ordina la coniazione del ducato nel 1284. Ora qui incominciano gli imbarazzi, perché noi sappiamo che il grosso era valutato 32 piccoli e che questo ragguaglio si conservò per tutto il secolo XIII e fino alla metà del XIV: moltiplicando 18 per 32 abbiamo 576 e cioè 48 soldi invece di 60 indicati nella nota citata dal Gallicciolli, la quale sebbene documento autorevole, non può meritare intera fede quando si trova in contraddizione coi documenti autentici contemporanei e per ciò ritengo la stessa cosa i 40 soldi ad grossos ed i 18 grossi (ossia 48 soldi di piccoli) scritti nei decreti che si trovano nel registro originale del Maggior Consiglio che porta il nome Luna.

Eliminato questo errore di fatto, osservo che il decreto 2 giugno 1285 non fa menzione del primitivo valore di 18 grossi, attribuito al ducato, ma si esprime così:

"quod ducatus aureus debeat currere in Venetiis et ejus districtus pro soldis XL ad grossos et omnis persona tam veneta quam forensis debeat ipsum ducatum auri pro suo pagamento accipere pro soldis XL ad grossos, sub ea pena et banno etc. etc.".

Sembra quindi ch'esso voglia definire un prezzo ed un ragguaglio, sul quale tutti non eran d'accordo, ma che si riferiva ad un conteggio speciale, quale era la lira ad grossos. Troviamo infatti un'altro decreto del Maggior Consiglio del 16 luglio 1296 (16), nel quale si ordina ai massari della moneta di dare il ducato non a 39 e mezzo ma a 40 soldi ad grossos e nel 9 marzo 1338 (17) una deliberazione della Quarantìa, dalla quale risulta che la zecca faceva pagamento dell'oro, che veniva condotto dai siti entro il golfo, in ragione di 39 e mezzo soldi per ducato e di quello che veniva da fuori del golfo in ragione di 39 soldi a grossi. Finalmente nel 24 marzo 1352 (18) si ordina ai massari di rendere i conti al Comune a 39 soldi per ducato come si fanno i pagamenti. Anche il Pegolotti (19) afferma che l'oro messo alla zecca di Venezia era pagato a 39 soldi per ducato, e Giovanni da Uzzano (20) fa testimonianza che, anche molti anni dopo, la Zecca di Vinegia rendeva per una marca d'oro ducati 66: 18 di soldi 39 il ducato. Ciò mostra che il prezzo di 40 soldi a grossi era un valore di aggio, ossia quello attribuito alla nuova moneta dalla preferenza commerciale, ma che il valore originario, quello considerato in zecca come ufficiale era di soli 39 soldi. Infatti 39 soldi sono il valore esatto di 18 grossi al primo originario ragguaglio di 26 piccoli per grosso, e la lira a grossi altro non è che la solita lira di piccoli, valutata secondo l'antico peso d'argento, quando il grosso si divideva in 26 denari, e per poterlo calcolare dello stesso intrinseco valore, invece di numerare i piccoli decaduti, si numeravano i grossi rimasti sempre dello stesso peso, e cioè grossi 9 e sei ventiseiesimi per lira. Da questo fatto di contare i grossi che componevano la lira, venne il nome di lira ad grossos, come il metodo più volgare di contare i piccoli fu detto ad parvos.

La lira a grossi continuò ad essere adoperata dal governo nella sua contabilità, ed anzi ho dovuto persuadermi che di essa, assieme alla lira di grossi, si servissero lo stato ed il grande commercio, lasciando la lira dei piccoli soltanto alle contrattazioni popolari, per cui quando il valore del ducato raggiunse i 24 grossi, esso divenne a grossi 52 soldi, valutazione che ci viene confermata dal Pegolotti in diversi capitoli della sua Pratica della Mercatura. Ogni volta ch'egli parla di moneta veneziana per ragguagliarla alla moneta degli altri paesi, adopera sempre la lira dei grossi, ovvero quella a grossi e mai la lira dei piccoli; p. e. si esprime chiarissimamente sul valore della lira a grossi, quando parla del cambio del perpero in moneta veneziana (21) colle parole:

"e vagliendo in Gostantinopoli il forino, ovvero ducato d'oro soldi 2 di grossi, come si mette a pagamento di mercatanzia di cambi, e vogliendo cambiare di Gostantinopoli a Vinegia, sì varrebbe il perpero a denari per denari tanti soldi a grossi di Vinegia, di soldi 52 a grossi di Vinegia uno forino d'oro ovvero ducato, di denari 26 a grossi, il grosso di Vinegia, quanto etc. etc.".

Una delle stranezze di questa lira ad grossos, ch'è pur uno degli ostacoli a ritrovarne il valore, è il suo ragguaglio colla lira di grossi. In questo trasporto la lira dei grossi perde un grosso per lira, e non si può dubitarne, perché lo dice chiaramente un documento da me trovato nel Libro d'oro (22). In esso si stabilisce che lo stipendio del Conte di Zara e dei suoi consiglieri debba essere pagato nella stessa forma, nello stesso modo che si usa nei pagamenti a Venezia, e cioè 20 soldi di grossi meno un grosso per ogni 26 lire. Tale differenza è confermata da una ducale (23) del 13 febbraio 1315 (more veneto), la quale stabilisce:

"che lire CC denariorum venec. ad grossos, que valunt ad denarios_ parvos libras CCXLV soldos duos, denarios octo, secundo_ morem nostræ patriæ",

e così pure dagli antichi registri della Procuratia di San Marco (24) ove la provvisione annua dei Procuratori nel secolo XIII è valutata 200 lire a grossi, che importano ducati 76, grossi 14 e mezzo, che fanno egualmente a piccoli Lire 245:2:8 (calcolando il ducato a 24 grossi, ed il grosso a 32 piccoli) e più precisamente da un decreto del Maggior Consiglio del 10 giugno 1254, riportato negli statuti, dove è scritto che omnis libra ad grossos valet grossos 9 par. 5 (25). Io non poteva persuadermi che esistessero lire di 239 e non 240 denari, perché moltiplicando i 9 grossi per 26 si ha 234, che uniti ai 5 fanno 239 piccoli per ogni lira; e rispettivamente 20 soldi meno un grosso, fanno pure 239 grossi per ogni lira di grossi, ma dovetti convincermi che si trattava di una moneta ideale, la quale aveva avuto vita da prima, e che nel ragguaglio erasi formata una consuetudine, che non corrispondeva all'esatto valore primitivo, ma ad un prezzo approssimativo e convenzionale accettato da tutti.

Prima di abbandonare il doge Giovanni Dandolo, è necessario ricordare alcune leggi relative all'ordinamento della Zecca che furono votate dal Maggior Consiglio durante il suo principato. La prima è del 27 settembre 1283 (26), nella quale si ordina ai massari di fabbricare e coniare la moneta grossa e la piccola, secondo gli ordini del doge, assistito dal suo consiglio. Questo decreto è in armonia cogli articoli 14 e 78 del vecchio Capitolare dei massari alla moneta e colle consuetudini, giacché in questo primo periodo della zecca veneta, il Maggior Consiglio si occupava della parte più importante legislativa, fissando il valore, il peso delle monete, mentre il doge e la signoria avevano l'ingerenza diretta e l'amministrazione che esercitavano col mezzo dei massari, cui spettava la sorveglianza e l'esecuzione degli ordini ricevuti. Un'altra parte è del 14 dicembre 1288 (27), colla quale il supremo consiglio delega i suoi poteri sulla zecca e sulla moneta al doge, ai consiglieri e al consiglio dei 40, ordinando che le deliberazioni prese da questo consesso, avessero la stessa autorità che quelle emesse dal Maggior Consiglio.

I massari della moneta erano in origine tre, ma quando fu istituito il ducato, se ne aggiunsero due nuovi all'oro, come racconta una cronachetta di Donato Contarini citata dal Sanuto dove è scritto:

  "Nel dicto tempo (1285) fo facto i primi Ofiziali a far far ducati
  Ser Zuane Bondimier e Ser Matio de Rainaldo e per èl so bon operar
  fo confermado quelo nel 1286".

La nomina di tali magistrati era certamente di spettanza del Maggior Consiglio, ma un decreto del 21 agosto 1287 (28), stabilisce che la elezione dei massari all'oro ed alla moneta (29) e degli stimatori dell'oro, possa esser fatta dal doge unitamente ai consiglieri ed alla Quarantìa. Più tardi, e precisamente nel 1354, una deliberazione riportata nel loro Capitolare (30) determina che i massari all'oro debbano essere nominati ad una mano dal doge, consiglieri e capi, e a due mani dal Maggior Consiglio.

[Nuova pagina]

MONETE DI GIOVANNI DANDOLO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. A sinistra San Marco cinto la testa di aureola, vestito di ampio paludamento e col vangelo nella mano sinistra, si volge a destra porgendo al doge genuflesso un'orifiamma su cui è la croce. Il doge con ricco manto, ornato di pelliccia, il capo coperto dal berretto ducale, stringe l'asta con ambe le mani. Dietro il doge "punto I O punto D A N D V, L SEGNO", lungo l'asta in caratteri collocati verticalmente "D V X", dietro il Santo in lettere sottoposte l'una all'altra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Gesù Cristo in piedi di fronte, con nimbo crociato di forma greca, ravvolto in lunga vesta, tiene colla sinistra il vangelo e colla destra benedice. Il Redentore è collocato in un'aureola elittica, cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra, in giro "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto QUAM punto T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola VIII, numero 2.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

2. Dritto. San Marco che porge il vessillo al doge "punto I O punto D A N D V, L SEGNO, punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola VIII, numero 3.

Segni, o punti del massari della moneta.

Segno 1. Campo 1: un punto.

Segno 2. Campo 5: un punto.

Segno 3. Campo 1: un punto; campo 2: un punto.

Segno 4. Campo 1: un anello; campo 3: un punto.

Segno 5. Campo 2: un anello.

Segno 6. Campo 3: un anello.

Segno 7. Campo 1: un anello; campo 2: un anello.

Segno 8. Campo 1: un anello sopra due anelli.

Segno 9. Campo 2: un anello sopra due anelli.

Segno 10. Campo 3: un anello sopra due anelli.

Segno 11. Campo 4: un anello sopra due anelli.

Segno 12. Campo 1: un anello sopra due anelli; campo 2: un anello sopra due anelli.

Segno 13. Campo 2: un anello sopra due anelli; campo 4: un anello sopra due anelli.

Segno 14. Campo 3: un anello sopra due anelli; campo 4: un anello sopra due anelli.

Segno 15. Campo 1: due segni a forma di gamma maiuscola.

Segno 16. Campo 1: due segni a forma di gamma maiuscola; campo 2: due segni a forma di gamma maiuscola.

Segno 17. Campo 2: due segni a forma di gamma maiuscola; campo 3: due segni a forma di gamma maiuscola.

Segno 18. Campo 1: due segni a forma di gamma maiuscola; campo 2: due segni a forma di gamma maiuscola; campo 3: due segni a forma di gamma maiuscola.

Segno 19. Campo 1: due segni a forma di gamma maiuscola; campo 2: due segni a forma di gamma maiuscola; campo 4: un anello sopra due anelli.

Piccolo, o danaro. Mistura, titolo 0,196 e 0,198. Peso, grani veneti 5 e 87 centesimi, e 5 e 66 centesimi (grammi 0,303 e 0,292): scodellato.

3. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto I O punto D A punto D V X".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

Tavola VIII, numero 4.

Bianco, o mezzo denaro. Mistura, titolo 0,040 circa. Peso, grani veneti 6 e mezzo (grammi 0,336): scodellato.

4. Dritto. Croce accantonata da quattro punti "croce punto I O punto D A N D V, L SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto, S ruotata, punto
M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Regia Biblioteca e Museo di San Marco.

Tavola VIII, numero 5.

Doppio Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 29 (grammi 1,500).

5. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce "croce punto I O punto D A N D V, L SEGNO, spazio D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Regio Museo Britannico (31).

Tavola VIII, numero 6.

Raccolta Papadopoli.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 21 (grammi 1,086).

6. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce "croce punto I O punto D A N D V L punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Tavola VIII, numero 7.

[Nuova pagina]

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI GIOVANNI DANDOLO.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 649-651, 652, numero VII; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 48, tavola XXXVII, numero VII.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 409-411, tavola VI, numero VIII.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 100 e 107, numero VI; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 29 e 31, tavola numero VI.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 169-170, numeri XXVI, XXVII e XXVIII.

(MENIZZI A.). — Opera citata, pagina 91.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1120, numero 3916.

MANIN L. — Esame ragionato etc. Opera citata, pagina 274, numero 7 della tavola (32).

GEGERFELT (VON) H. G. — Opera citata, pagina 8.

MAZZUCHELLI L. — Il monetario del commercio, Milano, 1846.

ZON A. — Opera citata, pagina 23-26 e 33, Tavola I, numero 10.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 91 (132) (133) (134) (135) (136) (137) (138) e tavola.

ROMANIN S. — Opera citata, Tomo II, pagine 320-321.

KUNZ C. — Primo catalogo degli oggetti di Numismatica etc., Venezia, 1855, pagina 7.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagine 3 e 4.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge XLVIII.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge XLVIII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagine 13 e 14.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 227-231, 249, Volume V, pagine 195-198.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagine 14-16. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagine 96, 97, — terza edizione, 1881, pagine 12, 13.

AMBROSOLI S. — Numismatica. — Manuali Hoepli, Milano, 1891, pagina 124.

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NOTE A "GIOVANNI DANDOLO".

(1) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio. Deliberazioni, Registro Comune I, carte 55.

(2) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, tenuto dall'Avogaria del Comun, Registro Cerberus, carte 106 tergo.

(3) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Registro Luna, carte 48 tergo.

(4) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 800, Classe VII, ital., carte 138.

(5) Documento VII.

(6) Carli Rubbi G. R. Delle monete etc. Opera citata, Volume I, pagina VII e 417.

(7) Brunacci. De re nummaria patavinorum. Opera citata, pagina 5-7 e 59-60.

(8) Dionisi Gianjacopo. Della Zecca di Verona e delle sue antiche monete, in Zanetti G. A., Tomo IV, pagina 342, 370-371, 376-377.

(9) Azzoni Avogadro R. Opera citata, in Zanetti G. A., Tomo IV, pagina 109-120.

(10) Nei secoli XI e XII si scrisse libra denariorum veneticorum.

(11) L'aumento deve essere stato anteriore a quell'epoca, perché Marino Sanuto, il vecchio, il quale presentò il libro sopracitato al Pontefice nel 1321, afferma che il forino (eguale al ducato) valeva 24 grossi.

(12) Carli Rubbi G. R. Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 142.

(13) Zanetti G. A. Opera citata, Tomo IV, pagina 145, 152-154.

(14) Zanetti G. A. Opera citata, Tomo IV, pagina 152, nota 94.

(15) Gallicciolli. Opera citata, volume I, pagina 371 e seguenti.

(16) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Deliberazioni, Pilosus, carte 61 tergo.

(17) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei Massari all'oro. Capitolo XXXVIII, carte 13 tergo.

(18) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei Massari all'oro. Capitolo LIIII, carte 20.

(19) Pegolotti. Opera citata, pagina 136.

(20) G. Da Uzzano. La pratica della mercatura. Lisbona e Lucca, 1776, pagina 142.

(21) Pegolotti. Opera citata, pagina 34.

(22) Documento VIII.

(23) Zanetti G. A. Opera citata, Volume IV, pagina 145 e 165.

(24) Zanetti G. A. Opera citata, Volume IV, pagina 153.

(25) Novissimum statutorum ac Venetorum Legum. Venetiis, typ. Pinelliana, 1729, in quarto, carte 221.

(26) Documento IX.

(27) Documento X.

(28) Documento XI.

(29) I Massari alla moneta, furono col tempo chiamati Massari all'argento.

(30) Capitolare dei Massari all'oro, Capitolo 66, carte 20 tergo. Questo paragrafo è riprodotto nel Capitolare dei Massari all'argento a pagina 11.

(31) I due esemplari citati, che soli conosco, sono entrambi assai guasti e deficienti di peso.

(32) Il quartarolo di cui si parla in quest'opera, non è esattamente riprodotto nella tavola; il disegno fu tratto probabilmente dall'esemplare poco conservato del quartarolo di Enrico Dandolo, che si conserva nel Gabinetto numismatico di Sua Maestà in Torino, proveniente dal Museo Gradenigo.

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PIETRO GRADENIGO.
DOGE DI VENEZIA.

1289-1311

Appena rimasto vacante il ducato, Jacopo Tiepolo, conosciuto per imprese militari e per prudenza civile, era designato dal favore popolare alla suprema dignità, ma gli elettori non vollero cedere a tale pressione e nominarono invece Pietro Gradenigo, uomo ancora giovane, di non comune capacità ed esperienza, ma di animo risoluto e valido sostenitore del partito che tendeva a restringere il potere nelle mani degli ottimati.

In Oriente le cose volgevano alla peggio per le vittorie del Sultano di Egitto, le quali facevano scomparire gli ultimi avanzi dei principati latini, istituiti dai crociati. Per gelosie di dominio e di commercio, rinacquero i dissapori fra Genova e Venezia, e, dopo lunga guerra e varia fortuna, i Veneziani furono sconfitti nelle acque di Curzola da Lamba Doria. Si intromise allora Marco Visconti e riuscì a stipulare una pace onorevole e vantaggiosa per entrambi i contendenti.

Anche nella penisola Venezia ebbe a lottare per le saline ed i forti eretti dai Padovani sul margine della laguna, e per sostenere il marchese d'Este contro i Bolognesi, Veronesi e Mantovani, che gli volevano togliere il possesso di Ferrara. Ma l'atto più importante, per cui si rese celebre il principato di Pietro Gradenigo, fu quello conosciuto sotto il nome di Serrata del Maggior Consiglio (1297). Forse questa legge fu creata allo scopo di escludere dal potere quelli che non appartenevano al partito dominante, forse coloro che la decretarono non ne compresero tutta la portata: certo è però che fu lungamente studiata e discussa, fu presentata più volte e fu voluta da quella parte che desiderava conservato il potere nelle mani dei severi e fermi aristocratici, ed ebbe per risultato la oligarchia che resse i destini di Venezia per ben cinque secoli senza interruzione.

Questa legge fu causa di discordie e di gravi torbidi nello stato; la congiura di Marin Bocconio (1300), quella di Bajamonte Tiepolo e Marco Querini (1310) dovettero essere vinte colle armi e colla severità; per cui il ducato di Pietro Gradenigo finì assai tristemente, sia per lotte intestine, sia per la guerra sfortunata di Ferrara e per la conseguente scomunica inflitta dal Pontefice, che recò non pochi danni a Venezia.

Nei registri del Maggior Consiglio e nei Capitolari dei massari si trovano non poche leggi e decreti relativi alla zecca, tutti però di indole amministrativa e di lieve importanza, non essendosi fatta alcuna novità nelle monete e nei valori. Nel suo importante lavoro sulle monete dei possedimenti veneziani Vincenzo Lazari (1) riporta una legge in data 7 marzo 1305 del Maggior Consiglio (2) che prescrive si debbano battere a Corone e Modone quelle specie di monete, che al doge e alla Signoria, unitamente ai provveditori, sembrassero più convenienti, essendo diminuiti i proventi di quei forti castelli, in causa delle monete fabbricate dai principi di Acaja e da altri di Romania, e danneggiati pure i commercianti. Non abbiamo alcun dato per sapere se quest'ordine abbia avuto esecuzione, e quali monete sieno uscite da tali officine. Non è però da ammettersi la supposizione espressa in forma assai riservata dal dottor Cumano (3), che ivi siano stati fabbricati quei nummi scodellati, che si rinvengono facilmente in Grecia e particolarmente in Morea, foggiati a modo di grossi e coi nomi dei dogi, anche antecedenti alla data di questo decreto. A me sembra che questi grossi, tanto doppi che semplici, nonché quelli piani, tutti di un titolo inferiore e talvolta anche di un peso minore dei veneziani, sieno prodotti di una malsana fabbricazione ad opera dei piccoli principi franchi poco scrupolosi, che si erano piantati sulle coste e nelle isole del Levante, i quali non possedevano un territorio abbastanza esteso per avere una circolazione propria ed imitavano con profitto la moneta veneziana, stimata e conosciuta da tutti.

L'infaticabile e fortunato signor Paolo Lambros è riuscito ad interpretare in modo soddisfacente alcune lettere, poste talora in modo aperto e chiaro, e tal'altra abilmente dissimulate in mezzo delle iscrizioni; le quali dànno la chiave della provenienza di alcuni ducati, grossi e soldini battuti in Oriente ad imitazione dei veneziani. Carlo Kunz ha richiamato l'attenzione dei numismatici su dei punti, che interrompono le iscrizioni di alcuni grossi e mezzi grossi di provenienza orientale, ma che a prima giunta erano stati creduti di fabbricazione veneziana, e probabilmente si riuscirà a scoprire il segreto di altri consimili enigmi, ma certo non si troverà la chiave per ispiegarli tutti, perché quei segni di riconoscimento sono fatti per celare la provenienza di tale fraudolenta operazione, non già per farne conoscere l'origine.

Più attendibile mi è parsa invece l'opinione del Lazari, che il decreto 7 marzo 1305 avesse di mira, più che altro, la fabbricazione dei torneselli abbondantissimi in quei tempi a Chiarenza nelle altre piccole zecche del Levante, progetto che non fu attuato, se non ai tempi di Andrea Dandolo, trattando dei quali avrò occasione di parlarne più diffusamente.

Allo scopo di completare le notizie intorno ai grossi, imitati nel Regno di Rascia, e di dimostrare quali erano le cure assidue del governo veneto per distruggere e togliere dalla circolazione le falsificazioni orientali ed italiane, ricorderò due decreti, che ci vengono tramandati dal Capitolare dei massari della moneta. Col primo, che porta la data del 24 giugno 1291 (4), il doge e la Signoria ordinano di tagliare per mezzo (per traversum) i denari grossi di Brescia e di Rascia, e tutte le altre monete fatte ad imitazione delle veneziane. Col secondo, del 24 giugno 1294 (5), si prescrive ai cittadini di portare alla zecca i grossi summentovati, i quali potranno, durante 15 giorni dalla pubblicazione dell'ordine, essere spesi per 28 piccoli nel distretto di Venezia, da Grado a Cavarzere. Passato questo termine, ognuno debba portarli alla zecca, che li pagherà 11 lire e 5 soldi per marca, con obbligo ai massari di fare gli assaggi e di rendere conto al doge ed alla Signoria dell'utile e del danno risultante da siffatta operazione.

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MONETE DI PIETRO GRADENIGO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge, come nel ducato di G. Dandolo "punto P E punto G R A D O N I C O punto", lungo l'asta "D V X", dietro il santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto QUAM punto T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola VIII, numero 8.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

2. Dritto. San Marco che porge il vessillo al doge "punto P E punto G R A D O N I C O punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola VIII, numero 9.

Segni, o punti dei massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 1: un punto.

Segno 3. Campo 2: un punto.

Segno 4. Campo 3: un punto.

Segno 5. Campo 1: un anello.

Segno 6. Campo 2: un anello.

Segno 7. Campo 2: un punto; campo 3: un anello.

Segno 8. Campo 5: un anello.

Segno 9. Campo 1: un anello; campo 2: un anello.

Segno 10. Campo 2: un punto sopra due punti.

Segno 11. Campo 2: tre segni a formare una Y.

Segno 12. Campo 2: un grosso segmento.

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,198. Peso, grani veneti 5 e 66 centesimi (grammi 0,292) circa: scodellato.

3. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto P E punto G R A punto D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

Tavola VIII, numero 10.

Bianco, o mezzo denaro. Mistura, titolo 0,040 circa. Peso, grani veneti 7 e mezzo (grammi 0,388): scodellato.

4. Dritto. Croce accantonata da quattro punti. "croce punto P E punto G R A D O N I C punto D V X".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto V punto N punto".

Tavola VIII, numero 11.

5. Varietà Dritto. "croce punto P E punto G R A D E punto D V X".

Rovescio. "croce S spazio M A R C V S punto V punto N".

Museo Bottacin.

Doppio Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 60 (grammi 3,105).

6. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce "croce punto P E punto G R A D O N I, C SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli. "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Tavola VIII, numero 12.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 19 (grammi 0,983).

7. Dritto. Nel campo "V punto N punto C punto E punto" poste in croce. "croce punto P E punto G R A D O N I, C SEGNO, punto D V X".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli. "punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Museo Civico, Trieste.

Tavola IX, numero 1.

[Nuova pagina]

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI PIETRO GRADENIGO.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 649, 651 e 652, numeri VIII e IX; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 48, tavola XXXVII, numeri VIII e IX.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 100, 101 e 108, numeri VII e VIII; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 29 e 31, tavole numeri VII e VIII.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or qui composent une des différentes partie du cabinet de S. M. l'Empereur, Supplément, Vienne, 1769, pagina 78.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 170, numeri XXIX, XXX, XXXI, e XXXII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1120-1121, numeri 3917 e 3918.

GEGERFELT (VON) H. G. — Opera citata, pagina 8.

Trésor de numismatique etc. — Opera citata, pagina 60, numero 4, Tavola XXX, numero 4.

ZON A. — Opera citata, pagina 33, tavola I, numero 9.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 93 (139) (140) (141) (142) (143) (144) (145) (146) e tavola.

KUNZ C. — Catalogo citato, pagina 7.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 4.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge XLIX.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge XLIX.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 14.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 227-228, 230-231.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 16. — Archivio
Veneto
, Tomo III, pagina 97, — terza edizione, 1881, pagina 18.

LENORMANT F. — Monnaies et Medailles. — Bibliothèque de l'enseignement des beaux artes. Paris, Quantin, pagina 226.

[Nuova pagina]

NOTE A "PIETRO GRADENIGO".

(1) Lazari V. Le monete dei possedimenti veneziani di oltremare e terraferma, Venezia, 1852, pagina 98.

(2) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Registro Magnus Capricornus, carte 17 tergo.

(3) Cumano dottor C. Opera citata, pagina 29-31.

(4) Capitolare dei massari della moneta; dopo il Capitolo 116, carte 101 tergo.

(5) Capitolare dei massari della moneta; dopo il Capitolo 116, carte 101 tergo.

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MARINO ZORZI.
DOGE DI VENEZIA.

1311-1312.

Il pio doge Marino Zorzi, che successe a Pietro Gradenigo, fece ogni sforzo per porre rimedio ai mali che affliggevano la patria; si adoperò perché fosse levata la scomunica; cercò di ridurre all'obbedienza Zara, ribellata coll'appoggio del re d'Ungheria: ma il breve regno non gli permise di vedere la riuscita delle sue aspirazioni; solo ottenne di fare la pace coi Padovani.

Dopo soli dieci mesi di principato, morì nel luglio 1312, ragione per cui le sue monete sono assai rare e pregiate.

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MONETE DI MARINO ZORZI.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto M A punto G E O R G I O punto", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto Q punto T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola IX, numero 2.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto M A punto G E O R G I O punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola IX, numero 3.

Segno del Massaro della moneta.

Segno 1. Campo 2: tre segni a formare una Y.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 16 (grammi 0,828).

3. Dritto. Nel campo "punto V punto N punto C punto E punto" poste in croce, "croce punto M A punto G E O puntino puntino puntino puntino punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Museo civico, Trieste.

Tavola IX, numero 4.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI MARINO ZORZI.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., pagina 170.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1121, numero 3919.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 95 (147) (148) e tavola.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 4.

Biografia dei Dogi. Opera citata, doge L.

Numismatica Veneta. Opera citata, doge L.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 14.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228, 230.

KUNZ CARLO. — Le collezioni Cumano. — Archeografo Triestino, Volume V, fasc. IV, Volume VI, fasc. I, pagina 5 e 21, numero 1 della tavola.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 16. — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 97, — terza edizione, 1881, pagina 13.

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GIOVANNI SORANZO.
DOGE DI VENEZIA.

1312-1328.

Eletto in tempi assai calamitosi, Giovanni Soranzo, che si era già distinto nelle magistrature e più ancora nelle armi, ebbe miglior fortuna del suo predecessore. Sua prima cura fu di condurre a termine la guerra di Zara, ove concentrò tutte le forze veneziane, riducendo quella città a capitolare nel settembre 1313. Papa Clemente V, soddisfatto nella sua domanda di centomila fiorini d'oro, levò la scomunica ed accolse favorevolmente gli ambasciatori della Repubblica. Nei sedici anni del regno di Giovanni Soranzo, Venezia vide prosperare i commerci e le industrie, sorgere nuovi e decorosi edifici, migliorare le leggi per la sicurezza pubblica, la salute e la morale, in modo che quando egli venne a morte fu lodato e rimpianto da tutti.

Anche in questo periodo non mancano le leggi ed i provvedimenti destinati sopratutto ad impedire la diffusione delle monete false e scadenti, ed a punire coloro che falsificavano e danneggiavano le specie metalliche. Un decreto del 26 novembre 1321 (1) revoca una disposizione precedente, che permetteva di dare i grossi a peso, ed incarica gli ufficiali istituiti super grossis tonsis (grossi tosati) di sorvegliare i banchi campsorum (dei cambiatori di monete), affinché non tenessero, spendessero o contrattassero grossi falsi, stronzati o diminuiti col ferro, coll'acqua od in altro malo modo, incaricandoli di frequenti visite ai banchi, alle case ed ai navigli dei cambisti, minacciando pene pecuniarie a coloro che esercitassero tale fraudolento commercio.

Nel 6 maggio 1314 (2) il Maggior Consiglio dichiara che i Giudici del proprio sono competenti a procedere contro i falsificatori di monete, ma nell'11 settembre 1320 (3) l'inquisizione ed il giudizio dei falsari è deferito ai Signori di notte al Criminal, magistrato che aveva già ingerenza nelle trasgressioni denunciate dai massari dell'oro e dell'argento (4) ed a cui fu concessa la facoltà (5) di arrestare e di sottoporre alla tortura i prevenuti di fabbricazione di monete false, conî, stampe ed altri oggetti relativi alle falsificazioni di qualsiasi genere. Nel capitolare di questo magistrato, che si conserva nel Museo Correr, sono raccolti molti decreti del Maggior Consiglio e della Quarantìa, che proibiscono monete forastiere o scadenti (6), che ordinano di tagliare a mezzo le monete deteriorate (7) e che incaricano i Signori di notte di applicare le pene minacciate dalle leggi ai colpevoli di fabbricazione e danneggiamento di moneta, ovvero di detenzione e spedizione di tali specie (8). Nello stesso capitolare è vietato a chi è Veneto od abitante a Venezia (9) di fare o far fare conio, ferro od intaglio, od altre cose pertinenti alla fabbricazione della moneta, senza il permesso degli ufficiali di zecca, e nel capitolare dei massari all'argento si trova un decreto del 1328 (10), che proibisce ai Veneti od abitanti a Venezia, di tenere od acquistare per sé o per altri in alcun modo zecca, dogana, muda, dazio, gabella o grazia, che non appartengano al dominio di Venezia, o di avervi parte.

Altre leggi furono emanate per regolare il commercio dell'oro e dell'argento (11) per vietare dalla parte di terra l'esportazione dei grossi appena coniati, mentre dalla parte di mare essa era permessa ai soli Veneti (12), e per istabilire le competenze dei diversi magistrati che avevano l'incarico di impedire le frodi (13) in fatto di moneta o di commercio di metalli, come estimatori dell'oro e dell'argento, ufficiali sopra i grossi tosi, ufficiali sopra i grossi di Rascia ed ufficiali del Levante. Le due disposizioni più importanti sono: una legge del Maggior Consiglio in data 15 novembre 1327 (14) che incarica la Quarantìa di sopraintendere ad ogni cosa attenente all'oro ed ai grossi tosi, con autorità uguale a quella del Maggior Consiglio; ed un decreto della Quarantìa del 12 settembre 1328 (15), il quale ordina che i ducati debbano correre e valere 24 grossi. Tale disposizione doveva avere la durata di due anni, ma restò definitiva, e mentre altri ordini, che avrebbero dovuto avere efficacia perpetua, durarono assai poco, questo, fissato per due anni, divenne la base della lira di grossi a oro, o lira degli imprestiti, che durò fino alla caduta della Repubblica.

Nessun cambiamento fu fatto nelle monete, che continuarono ad essere coniate coi tipi soliti; solo va ricordato un peggioramento nella incisione del ducato d'oro. Infatti chi esamina attentamente può rilevare differenze degne di nota nei vari pezzi che portano il nome del doge Soranzo, alcuni dei quali sono lavorati coll'usata finitezza e collo stesso rilievo che si osservano in quelli dei dogi precedenti, mentre altri, sebbene fedelmente imitati nelle linee e nelle figure, appariscono rozzi, volgari e senza alcun rilievo. È probabile che in quel tempo sia morto o sia stato sostituito il primo intagliatore della zecca, che potrebbe essere un certo Giovanni Albico od Albizo il quale nel 7 maggio 1308 chiedeva ed otteneva dal Maggior Consiglio (16) una anticipazione del suo salario.

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MONETE DI GIOVANNI SORANZO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto I O punto S V, P SEGNO, A N T I O punto", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto Q punto T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola IX, numero 5.

Alcuni esemplari somigliano, per rilievo e finitezza, ai ducati dei dogi precedenti, altri invece hanno minor rilievo e disegno più duro e volgare.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto I O punto S V, P SEGNO, A N T I O punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola IX, numero 6.

3. Varietà nel Dritto. dietro il santo "quattro punti in quadrato S punto M punto V E N E T I punto".

Segni, o punti dei Massari alla moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 1: un punto.

Segno 3. Campo 2: un punto.

Segno 4. Campo 3: un punto.

Segno 5. Campo 1: un anello.

Segno 6. Campo 2: un anello.

Segno 7. Campo 5: un punto.

Segno 8. Campo 3: una barretta in diagonale.

Segno 9. Campo 2: tre segni a forma di Y.

Segno 10. Campo 2: una stella a cinque punte.

Segno 11. Campo 2: un punto sopra due punti sopra un punto.

Segno 12. Campo 2: sei segmenti a formare una raggiera.

Segno 13. Campo 3: un anello sopra due anelli.

Segno 14. Campo 1: due barre in verticale; campo 2: un punto.

Segno 15. Campo 1: un punto; campo 2: un punto sopra due punti sopra un punto.

Segno 16. Campo 2: un anello; campo 3: un punto spostato a sinistra.

Segno 17. Campo 2: cinque segmenti a formare una raggiera; campo 3: un punto spostato a sinistra.

Segno 18. Campo 2: sei segmenti a formare una raggiera; campo 3: un punto spostato a sinistra.

Segno 19. Campo 2: cinque segmenti a formare una raggiera; campo 3: un punto spostato a sinistra; campo 5: un punto spostato a destra.

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,198. Peso, grani veneti 5 e 66 centesimi (grammi 0,292): scodellato.

4. Dritto. Croce in un cerchio "croce I O spazio, S ruotata, V, P SEGNO, spazio D V X".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

Museo civico, Trieste.

Museo Correr.

Tavola IX, numero 7.

5. Varietà nel Dritto. "croce I O punto S V, P SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. "croce punto S punto M A R C V S punto".

Museo Bottacin.

I. R. Gabinetto numismatico, Vienna.

Tavola IX, numero 8.

Bianco, o mezzo denaro. Mistura, titolo 0,040 circa. Peso, grani veneti 8 (grammi 0,414): scodellato.

6. Dritto. Croce accantonata da quattro punti. "croce punto I O punto S V, P SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto S spazio M A R C
V, S ruotata, punto".

Museo Bottacin.

Museo Correr.

Regio Museo Britannico.

Tavola IX, numero 9.

Quartarolo. Mistura, titolo 0,003 circa. Peso, grani veneti 16 e mezzo (grammi 0,854).

7. Dritto. Nel campo "punto V punto N punto C punto E punto" poste in croce. "croce punto I O punto S V, P SEGNO, A N punto D V X punto".

Rovescio. Croce accantonata da quattro gigli "croce punto, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata".

Regio Museo Britannico. Tai. IX, numero 10.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI GIOVANNI SORANZO.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 101 e 108, numero IX; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 29 t., 30 e 31 t., numero IX.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, Vienne, 1759, pagina 274.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 170, numeri XXXIII e XXXIV.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1121, numero 3920.

JELLOUSCHEK J. — Das Münzwesen Krain's im Mittelalter. — Archiv für Landesge schichte des Herzogthums Krain. Heft II, III, Laibach, 1854, pagina 66, tavola IV, numero 40.

SCHWEITZER F. — Opera citata, pagina 97 (149) (150) (151) (152) (153) e tavola.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LI.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LI.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 15.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 227-228 e 230.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 16-17. — Archivio Veneto. Tomo XII, pagina 97-98, — terza edizione, 1881 pagina 13- 14.

Bolla in piombo di Giovanni Soranzo conservata nel Museo
Correr.

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NOTE A "GIOVANNI SORANZO".

(1) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'argento, carte 19 tergo.

(2) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Registro Presbyter, carte 122.

(3) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Registro Fronesis, carte 50.

(4) Museo Correr. Manoscritti III, 349, Capitolare dei Signori di notte al Criminal, § LXXXXIII (1299), carte 29 tergo.

(5) Museo Correr. Manoscritti III, 349, Capitolare dei Signori di notte al Criminal, § CVI (28 aprile 1300), carte 34 tergo; § CCXXXVI (4 novembre 1323), carte 81; § CCLXXVIII (22 maggio 1330), carte 97.

(6) Museo Correr. Manoscritti III, 349, Capitolare dei Signori di notte al Criminal, § CXV (21 giugno 1302), carte 36 tergo; § CCXX (26 febbraio 1321-22), carte 75; § CCCI (17 novembre 1338), carte 110; § CCCIII (18 gennaio 1338-39), carte 112.

(7) Museo Correr. Manoscritti III, 349, Capitolare dei Signori di notte al Criminal, § CCXVII (26 novembre 1321), carte 74 tergo; § CCXXIII (5 ottobre 1328), carte 90 tergo.

(8) Museo Correr. Manoscritti III, 349, Capitolare dei Signori di notte al Criminal, § CVI (28 aprile 1300), carte 34 tergo; § CCXVII (26 novembre 1321), carte 74 tergo; § CCXXXVI (4 novembre 1323), carte 81; § CCXXXIX bis (21 maggio 1325), carte 86 tergo; § CCCI (17 novembre 1338), carte 110; § CCCIII (18 gennaio 1338-39), carte 112.

(9) Museo Correr. Manoscritti III, 349, Capitolare dei Signori di notte al Criminal, § CCLXXI (20 dicembre 1328), carte 94; e Capitolare dei massari all'argento, carte 23, colla data 20 dicembre 1329.

(10) Capitolare dei massari all'argento, carte 22.

(11) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio. Registro Presbyter (7 marzo 1314), carte 115 tergo. — Capitolare dei massari all'argento (12 maggio 1314), carte 18. — Capitolare dei massari all'argento (17 ottobre 1317), carte 18 tergo.

(12) Capitolare dei Signori di notte, Quarantia, § CLXXVIII (16 dic. 1315), carte 59.

(13) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Registro Presbyter (21 giugno 1313 e 23 giugno 1313), carte 98.

(14) Documento XII.

(15) Capitolare dei Signori di notte, § CCLXI, carte 90.

(16) Archivio di Stato. Maggior Consiglio (secreta), Registro Capricornus, carte 69.

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FRANCESCO DANDOLO.
DOGE DI VENEZIA.

1329-1339.

Morto il doge Soranzo, i voti degli elettori si raccolsero su Francesco Dandolo, che era stato ambasciatore presso il Pontefice quando fu tolta la scomunica. L'avvenimento più importante del suo principato fu la guerra contro Mastino della Scala signore di Verona, padrone di Vicenza, di Padova, di Treviso e di molte altre importanti città, e che in quel momento era forse il più temuto sovrano d'Italia. Egli molestava i commerci colla terra ferma ed usava della sua potenza a danno di Venezia; per cui la Repubblica, stretta alleanza coi Fiorentini, coi Visconti, coi d'Este, coi Gonzaga e con quanti altri si dolevano di Mastino, o lo temevano, gli mosse aspra guerra. Il comando delle truppe alleate fu dato a Pietro De Rossi già signore di Parma, che avea fama di essere il migliore condottiere del suo tempo ed era stato spodestato dallo Scaligero. La guerra fu lunga e con varie vicende, ma finalmente Mastino della Scala, vinto e tradito, segnò una pace, nella quale, oltre a molte condizioni onerose e cessioni di territorio, dava Padova ai Carraresi e Treviso ai Veneziani, che fu il primo possesso della Repubblica in terra ferma.

Nei capitolari dei massari all'oro ed all'argento ed in quello dei Signori di notte si conservano alquanti decreti di questo tempo, che regolano la stima e l'affinamento dell'oro, il prezzo del metallo, l'utile proveniente dalla fabbricazione, la resa dei conti che ciascun massaro deve fare agli ufficiali de le Razon, ed altri meno importanti particolari nell'amministrazione della zecca (1). Altri decreti della Quarantìa si occupano di vasellami e di altri lavori di argento fatti dagli orefici, i quali devono prima avere il bollo dell'artefice, e quando, saggiati, sieno trovati di giusta lega, devono essere segnati col bollo di San Marco (2). Gli estimatori dell'oro a Rialto ed i soprastanti all'arte degli orefici hanno l'obbligo di sorvegliare all'esatto adempimento di tali prescrizioni, come pure al divieto di vendere argenti forestieri.

Merita pure di essere ricordata una legge, con cui il Maggior Consiglio nel 18 luglio 1331 (3) autorizza il Senato a trattare le cose dell'argento e delle monete assieme alla Quarantìa.

Mancano i registri della Quarantìa di quest'epoca, e quelli misti del Senato non cominciano se non dal 1332, per cui non abbiamo i decreti che ordinano la emissione di due nuove monete coniate da Francesco Dandolo esistenti in tutte le raccolte di monete veneziane, l'una delle quali rappresenta per la prima volta il soldo, ventesima parte della lira, l'altra la metà del grosso, detta perciò mezzanino. Entrambe sul diritto hanno il doge tenente in mano lo stendardo della croce, raffigurato in piedi nel mezzanino ed in ginocchio nel soldo; sul rovescio San Marco, nel mezzanino a mezzo busto, colla destra che benedice, e nel soldo in forma di lion; questo non è però disegnato in quel modo che più tardi divenne classico, ma è senza ali, rampante e col vessillo fra le zampe anteriori.

Le memorie storiche suppliscono alla deficienza di documenti, e pressoché tutte le cronache contemporanee, o fatte sopra memorie dell'epoca, notano il fatto con leggere varianti. Una Cronaca Veneta del secolo XVI, che si conserva nella Regia Biblioteca di San Marco (4) lo ricorda colle seguenti parole:

"Lanno de Xpo MCCCXXXIX el ditto missier Francesco Dandolo dose primieramente fese bater et cugnar una moneda chiamada mezanini, li qual valeva pizoli XVI l'uno et ancora soldini e questa moneda fo ditte vechie".

Un altro Codice esistente pure nella Biblioteca Marciana (5) pone all'anno 1328:

"ancora in sto tempo questo doxe fece cuniar tre sorte de monede una che si chiamava matapan, l'altra mezzanini che valeva piccoli 16 et la terza soldini de piccoli 12 l'uno".

La cronaca Magno (6) nomina soltanto il mezzanino e dimentica il soldino: Marino Sanuto (7) ricorda entrambe le monete, ma s'inganna nel prezzo del mezzanino, che dice equivalente ad un soldo e mezzo; mentre al tempo di Francesco Dandolo il grosso valeva 32 piccoli, e quindi la sua metà non poteva valerne che 16.

Nemmeno sull'epoca sono concordi i vari autori: le due cronache anonime più sopra citate stabiliscono la emissione, una nel 1328, l'altra nel 1339, Marino Sanuto nel 1337; ma nessuna di queste date dev'essere esatta, a quanto sembra, perché il Dandolo fu eletto doge nel 4 gennaio 1328 secondo l'usanza veneta, che corrisponde al 1329 dall'uso comune, e non è probabile che abbia coniato le nuove monete nel primo mese del suo regno. È certo però che la loro emissione fu ordinata assai prima del 1337, come lo dimostrano due documenti riportati dall'Azzoni Avogadro nella appendice del suo dotto lavoro sulle monete di Trevigi. Essi portano la data del 7 ed 8 novembre 1332 (8) e contengono la consultazione degli anziani del Comune di Treviso, e la lettera di quel podestà a Guglielmo Bevilacqua rappresentante i signori della Scala, dove si lamenta la introduzione di moneta nuova veneziana da 16 denari chiamata mezzanino, e molto più dell'altra da 12 denari, chiamata ginocchiello, perché si valutavano più del giusto loro pregio e sulla forma dei medesimi se ne fabbricavano di false. Per mettere in chiaro l'attendibilità dell'accusa, feci assaggiare le due monete e trovai che il mezzanino ha il titolo di 780 millesimi, ed il soldino 670 millesimi; i Trevisani avevano dunque ragione di lagnarsi delle due nuove monete, perché, sebbene il loro peso, relativamente al grosso, fosse eccedente, l'intrinseco era troppo scarso.

Essendo l'intrinseco deficiente, la zecca vi trovava largamente il suo conto, e coniava più volentieri il mezzanino ed il soldo che il grosso, ma la stessa ragione produsse di seguito perturbazioni nel valore relativo di queste monete fra loro, in modo che il grosso dovette aumentare di prezzo.

Non era infondato nemmeno l'altro lagno dei Trevigiani, che cioè sul modello delle nuove monete corressero delle falsificazioni, e ce lo conferma un decreto della Quarantìa del 17 novembre 1338 (9) che proibisce certi soldadini (soldini) fabbricati in grande quantità nella Slavonia ed in altre località ad imitazione dei veneziani, e che ordina ai pubblici ufficiali di confiscarli e di distruggerli. Pochi mesi dopo, nel 18 gennaio 1339, lo stesso Consiglio rinnova gli ordini e ricorda queste ed altre pene minacciate dalle leggi contro coloro che avessero e tenessero scientemente moneta de soldadini mala et falsa (10). Finalmente se ne occupò il Senato colla seguente parte:

1339. die viij. Maij.

"Cum moneta falsa de soldadinis qui fiunt in partibus Slavonie multiplicet nimis in damnum nostris comunis, et alias fuerit missus ambaxator ad comitem Bartholum, in cujus terris predicta fieri dicuntur, et ipse responderit de cessando, et peius fiat;

Capta fuit pars, quod mittatur alius ambaxator ad dictas partes Slavonie cum illa commissione, et verbis gravibus et opportunis, que videbuntur domino, consiliarijs, capitibus et provisoribus, vel maiori parti eorum; qui habeat libras tres grossorum pro sua provisione pro ista materia, et vadat ad expensas communis, de grossis . xviij . in die. Insuper cum comes Duymus non venerit ad faciendum sacramentum fidelitatis, dato ei termino usque ad pasca resuretionis elapsum, et ipse non videatur curare de veniendo; commitatur dicto ambaxatori etiam quod precipiat dicto comiti, quod veniat personaliter usque ad sanctum Michaelem proximum, et si non venerit, quod nos faciemus fieri et mitti executioni secundum formam concessionis" (11).

Questo documento interessante ci fa conoscere una nuova officina in cui si batteva moneta scadente ad imitazione di quella di Venezia, ed indica un nuovo campo di ricerche ai numismatici. I conti Frangipani, contro i quali il Senato si mostra giustamente indignato, e che tenevano in feudo l'isola di Veglia da Venezia, e Segna dai re d'Ungheria, diedero spesso motivo a lagni, sia per questa che per altre colpe. Allorché i veneziani presero possesso di Veglia (1481), chiamati dagli abitanti che non potevano tollerare la tirannia del conte Zuane, Antonio Vinciguerra nella sua relazione (12) muove terribili accuse al principe spodestato, e, fra le altre, anche quella di fabbricare moneta falsa.

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MONETE DI FRANCESCO DANDOLO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto F R A punto D A N D V L O punto", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto QUAM punto T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto" (13).

Tavola IX, numero 11.

2. Varietà nel Rovescio. La stella superiore a sinistra è di poco più grande e con un circoletto interno.

3. Varietà nel Rovescio. La mano del Redentore è fra la prima e la seconda stella a sinistra.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

4. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto F R A punto D A N D V L O punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola IX, numero 12.

5. Varietà nel Dritto. "F R A spazio D A N D V L O", "S spazio M spazio V E N E T I".

6. Varietà nel Dritto. "F R A punto D A N D V L O", "punto, due punti in verticale, S punto M punto V E N E T I punto".

Segni, o punti dei Massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 2: un anello.

Segno 3. Campo 5: un anello.

Mezzanino, o mezzo grosso. Argento, titolo 0,780 circa (14). Peso, grani veneti 24 (grammi 1,242).

7. Dritto. Il doge in piedi a sinistra, col berretto ducale e manto ornato di pelliccia, tiene con ambe le mani l'asta di uno stendardo colla croce, che svolazza a destra "punto F R A punto D A N punto spazio punto D V L O punto D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte, cinto di aureola, che benedice colla destra avendo nella sinistra il vangelo "punto S punto M A R, C SEGNO, punto spazio punto V E N E T I punto".

8. Varietà nel Dritto. "punto F R A punto D A N spazio D V L O punto D V X punto".

9. Varietà nel Dritto. "F R A spazio D A N spazio D V L O spazio D V X".

Tavola IX, numero 13.

In alcuni esemplari del mezzanino, fra le pieghe del vestito di San Marco si osserva il seguente segno "punto punto punto anello" che probabilmente indica il massaro della moneta.

Soldino (soldo, un ventesimo della lira). Argento, titolo 0,670 circa (15). Peso, grani veneti 18 e mezzo (grammi 0,957).

10. Dritto. Il doge inginocchiato e volto a sinistra, con ricco manto e berretto ducale, tiene con ambe le mani l'asta di un'orifiamma colla croce the gli svolazza sul capo "punto croce punto F R A punto D A N spazio D V L O punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante, cinto il capo di aureola, tenente nelle zampe anteriori un vessillo colla banderuola volta a destra, il tutto chiuso in cerchio che divide dall'iscrizione "croce S spazio M A R C V S spazio V E N E T I".

11. Varietà Dritto. "punto, croce in basso, punto F R A punto D A N spazio D V L O punto D V X punto".

Rovescio. "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola IX, numero 14.

12. Varietà Dritto. "punto croce F R A punto D A N spazio D V L O spazio D V X".

Rovescio. Come il numero 11.

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,198. Peso, grani veneti 5 e 66 centesimi (grammi 0,292): scodellato.

13. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto F R A punto D A punto D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

14. Varietà al Dritto. ed al Rovescio. quattro piccoli punti posti alla estremità della croce, fra questa ed il cerchio che racchiude la parte centrale.

Tavola X, numero 1.

Bianco, o mezzo denaro. Mistura, titolo 0,040 circa. Peso, grani veneti 7 (grammi 0,362).

15. Dritto. Croce accantonata da quattro punti "croce punto F R A punto D A punto D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto, S ruotata, spazio M A R C V, S ruotata, punto".

Museo Correr.

Tavola X, numero 2.

Civico Museo Trieste.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI FRANCESCO DANDOLO.

SANTINELLI S. — Opera citata, pagina 271-272, (disegno pagina 271); ed in ARGELATI, Parte I, pagina 300.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 413, tavola VI, numero IV.

BELLINI V. — Dell'antica lira ferrarese, etc. Opera citata, pagina 98.

BELLINI V. — De monetis Italiæ, etc. Opera citata, Dissertazione
I. pagina 101, 102 e 108, numeri X, XI e XII; ed in ARGELATI, Parte
V, pagina 30 e 31 t., numeri X, XI e XII.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 275.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO III, pagina 170 e 171, numeri XXXV, XXXVI e XXXVII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1121, numero 3921.

ZON A. — Opera citata, pagina 80, 79 e tavola I, numeri 11 e 12.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 99 (154) (155) (156) (157) (158) e tavola.

KUNZ C. — Catalogo citato, pagina 7.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 4 e 5.

Biografia dei Dogi. — Opera citata, doge LII.

Numismatica Veneta. — Opera citata, doge LII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 15.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228, 231, Volume V, 1875, pagina 198-200.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 17-18. — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 98, — terza edizione, 1881, pagina 14.

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NOTE A "FRANCESCO DANDOLO".

(1) Capitolare dei massari all'oro, § XXXVII, XXXVIIII, XL, XLI, XLII, XLIII, XLIIII, XLV, XLVI, XLVII e XLVIII, carte 13-17.

(2) Capitolare dei massari all'argento (23 ottobre e 11 dicembre 1335), carte 23-26.

(3) Documento XIII.

(4) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 519, classe VII, Ital., carte 82.

(5) Regia Biblioteca di San Marco. Eletioni, Deliberazioni, Decreti, Istituzioni, Accordi, Privilegi, creation di Magistrati, Ordini, Corretioni, Parti delli Consigli et altro, estratte da una cronaca anonima manoscritta, Codice 1800, classe VII, Ital., pagina 136.

(6) Regia Biblioteca di San Marco, Codice 513, classe VII, Ital., Volume I, carte 91.

(7) Sanuto M. Vitæ ducum Venetorum, in Muratori, Rerum Ital. Script., Volume XXII, colonna 601.

(8) Zanetti G. A. Opera citata, Tomo IV, pagina 166-167.

(9) Capitolare dei Signori di notte, § CCCI, carte 110.

(10) Capitolare dei Signori di notte, § CCCIII, carte 112.

(11) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, Registro 18, carte 33.

(12) V. Solitro. Documenti storici sull'Istria e la Dalmazia. Venezia, 1844. — L'ultimo conte di Veglia. Relazione del segretario Antonio Vinciguerra.

(13) Nei ducati di questo ed altri dogi della stessa epoca manca talvolta il segno di abbreviatura sulla coda del Q.

(14) L'esame chimico fatto dall'ufficio del saggio di Venezia dà il titolo di 0,780.

(15) L'esame chimico fatto dall'ufficio del saggio di Venezia dà il titolo di 0,670.

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BARTOLOMEO GRADENIGO.
DOGE DI VENEZIA.

1339-1342.

I correttori della Promissione ducale, nominati dopo la morte di Francesco Dandolo, imposero nuove restrizioni al potere del doge, ciocché dimostra come si temessero gli esempi che venivano dalle vicine città d'Italia, ove principi ambiziosi avevano usurpato il potere assoluto coll'aiuto delle fazioni popolari e col favore della plebe. Dopo ciò fu eletto Bartolomeo Gradenigo, uomo già invecchiato nel servizio dello stato ed allora procuratore di San Marco.

La storia di questo principato non registra avvenimenti importanti, tranne la rivolta di Candia, rapidamente domata, ed alcuni disastri atmosferici. Venezia in quel tempo era ricca e prosperosa, sentiva già il desiderio di abbellirsi e di migliorare le condizioni delle sue fabbriche. Si costruì in pietra una fondamenta in Terranova, dove oggi si trova il giardinetto reale; si allargò la via che da San Giovanni Grisostomo conduce a San Bartolomeo, si ordinò la rifabbrica della sala del Maggior Consiglio ed altri lavori nel Palazzo Ducale. Anche le leggi suntuarie allora decretate mostrano ch'era già sentito il desiderio del comodo e del lusso, sebbene non si nascondesse il pericolo che veniva alla Repubblica dal rapido aumento della potenza dei Turchi, pericolo che i Veneziani addussero al re di Inghilterra scusandosi dallo stringere alleanza con lui nella guerra contro il re di Francia.

Nessuna novità troviamo relativamente alla zecca, che continuava a coniare le monete già conosciute; si lamentavano sempre più le falsificazioni e le imitazioni dei conî veneziani, donde il decreto 17 gennaio 1342 (1343) della Quarantìa Criminale (1), che autorizzava i Signori di notte al Criminal a procedere contro quel suddito dello stato che fabbricasse moneta falsa anche fuori del territorio veneziano, nello stesso modo con cui si procedeva contro chi lo faceva nell'interno dello stato.

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MONETE DI BARTOLOMEO GRADENIGO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "B A spazio G R A D O N I C O", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M spazio V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto Q punto T V spazio R E G I S spazio I S T E spazio D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola X, numero 3.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto B A punto G R A D O N I C O punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola X, numero 4.

Segni, o punti dei Massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 5: un punto.

Segno 3. Campo 5: un anello.

Soldino. Argento, titolo 0,670 circa. Peso, grani veneti 18 e mezzo (grammi 0,957).

3. Dritto. Il doge inginocchiato, tiene con ambe le mani il vessillo "punto, croce in basso, punto, B A sopralineati, punto G R A D O spazio N I C O punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante coll'orifiamma "croce punto S punto M A R C
V S spazio V E N E T I punto".

Tavola X, numero 5.

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,198. Peso, grani veneti 5 e 66 centesimi (grammi 0,292): scodellato.

4. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto B A punto G R A punto D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

Museo Bottacin.

Tavola X, numero 6.

Museo Correr.

Museo Britannico.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI BARTOLOMEO GRADENIGO.

BELLINI V. — Dell'antica lira ferrarese, etc. Opera citata, pagina 98.

BELLINI V. — De monetis Italiæ, etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 101, 102, numeri XIII e XIV; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30 e 32, numeri XIII e XIV.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 275.

GRADENIGO G. A. — Indice citato in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 171, numero XXXVIII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1122, numero 3922.

SCHWEITZER F. — Opera citata, pagina 101 (159) (160) (161) e tavola.

Biografia dei Dogi. — Opera citata, Doge LIII.

Numismatica Veneta. — Opera citata, Doge LIII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 16.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228-229, 231.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 18. — Archivio
Veneto
, Tomo XII, pagina 99, — terza edizione, 1881, pagina 15.

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NOTE A "BARTOLOMEO GRADENIGO".

(1) Regio Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti, Registro I, carte 6 tergo.

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ANDREA DANDOLO.
DOGE DI VENEZIA.

1343-1354.

Morto Bartolomeo Gradenigo, fu eletto a succedergli, a soli 36 anni, Andrea Dandolo uomo dotto e cultore degli studi: principe saggio ed amantissimo della patria raccolse gli antichi documenti e scrisse le cronache, monumento imperituro di storia veneziana.

Appena assunto al dogado prese parte alla crociata indetta da Clemente VI, nella quale le armi latine riuscirono ad impadronirsi di Smirne, ma in breve tempo perdettero il territorio conquistato e sciolsero l'alleanza senza alcun risultato. Zara sollevatasi per la settima volta fu ricondotta all'obbedienza, ma altre e più gravi sventure colpirono allora Venezia; prima un terremoto violentissimo che fece cadere case e campanili; poi la terribile peste nel 1348, nella quale perirono tre quinti della popolazione e si estinsero cinquanta famiglie patrizie, e finalmente la guerra fratricida fra Genova e Venezia. Le flotte più poderose ed i migliori capitani del tempo lottarono accanitamente nelle acque del Bosforo, della Sardegna e nello stesso Adriatico, con vittorie e sconfitte sanguinose, le quali ebbero il solo risultato di indebolire le repubbliche rivali, senza che una delle due ottenesse l'ambita supremazia. Non valsero a placare gli animi la parola e gli scritti dell'immortale Petrarca ambasciatore di pace. Senza vedere la fine di questa guerra sciagurata, Andrea Dandolo morì nel 1354, ultimo doge sepolto a San Marco.

Anche dal punto di vista del numismatico, il principato di Andrea Dandolo è ricco di fatti degni di essere notati; nei registri del Maggior Consiglio, in quelli della Quarantìa e nei Capitolari dei magistrati sono trascritti provvedimenti diretti a migliorare l'andamento amministrativo della zecca, a diminuire le spese ed a togliere alcuni abusi che erano di pregiudizio al pubblico erario. Fra gli altri ricorderò, dal Capitolare dei massari all'argento, l'ordine in data 7 maggio 1344 (1), di portare ai massari dell'oro tutto quel metallo in cui si doveva partire l'oro dall'argento; dal libro dei Commemoriali (2) l'atto solenne (3 agosto 1345) di deposizione, in un banco ferrato della Cancelleria, di una verga d'oro, colla bolla di San Marco impressa sopra uno dei capi, la quale verga est sazium ducatorum. Nei registri della Quarantìa Criminale si trova, com'è naturale, il maggior numero di documenti relativi alla moneta, ma disgraziatamente la raccolta non è completa e mancano alcuni volumi dei primi tempi, per cui sono deficienti le memorie su taluni avvenimenti che ci interessano, ed incompleti gli elenchi dei massari e dei pesatori all'oro ed all'argento, che in quei tempo erano nominati da questo magistrato.

Nei volumi che ci rimangono, merita di essere citata la terminazione del 26 agosto 1348 (3), che autorizza il massaro di quindicina a far fabbricare quella quantità di bianchi che trovasse conveniente, dandone conto al suo successore, tanto nelle spese quanto nell'entrata, perché questa è l'ultima volta in cui si parla di una simile moneta, come è di questo doge l'ultimo bianco conosciuto. Nel 5 ottobre 1349 (4), la Quarantìa allo scopo di studiare la riforma della zecca, nomina tre savi (Giovanni Grimani, Michieletto Duodo e Donato Onoradi). Con lodevole sollecitudine essi presentano le loro proposte nel 15 ottobre (5), le quali vengono dallo stesso Consiglio approvate, e riguardano il ricevimento dell'argento, la consegna delle monete ai mercanti, l'utile che dalla coniazione deve ritrarre il Comune, i conti che devono presentare i massari ed altre disposizioni di minore importanza. Altro decreto della Quarantìa del 29 ottobre 1349 (6), il quale, constatando che la separazione testé fatta della zecca dell'oro da quella dell'argento, è più utile che dannosa al Comune, e che in tal modo si soddisfano più prontamente i mercanti, mantiene la divisione delle due zecche. Nel 21 novembre 1351 (7), lo stesso magistrato ordina che gli argenti forastieri inferiori di lega ai veneziani, non possano essere venduti a Venezia, ma sieno rotti, e nel febbraio 1353-1354 (8) proibisce di far fabbricare o coniare a Venezia e nello Stato moneta che sia collo stampo o forma della moneta forestiera.

Un provvedimento, di cui non posso darmi una spiegazione esatta e sicura, si è quello prescritto da una legge del Maggior Consiglio, in data 24 febbrajo 1352, che ordina a tutti gli ufficiali del Comune di non ricevere ducati se non bollati, essendo gli altri inferiori. Ora è strano che con una disposizione così generica e tassativa, riprodotta in diversi Capitolari (9), non si trovi sopra i ducati di quell'epoca alcun segno che possa interpretarsi per il bollo prescritto. Conviene però osservare che nel medio evo, ed anche dopo, si usò raccogliere in sacchetti o cartocci le monete, sia per non avere la fatica di enumerarle, sia per essere sicuri della perfezione e qualità dei pezzi. A Firenze, precisamente nel secolo XIV, si chiudevano in una piccola borsa i fiorini autentici e perfetti, e vi si poneva il suggello dell'autorità, per cui erano preferiti agli altri e si chiamavano fiorini di suggello. A Venezia non abbiamo memoria di una simile costumanza nelle monete d'oro, ma è possibile che si facesse anche qui per i ducati quello che si faceva a Firenze per i fiorini, tanto più che certi usi si generalizzano facilmente in luoghi e tempi vicini, e può darsi anche che si chiamassero ducati bollati non solo quelli chiusi in un sacchetto, ma tutti quelli buoni e perfetti in modo da meritare di esservi collocati.

Non mi fu possibile invece trovare tutti i documenti relativi a fatti della massima importanza per coloro che si occupano della storia numismatica di questo periodo, e cioè il decreto che eleva il valore del grosso a 4 soldi, e quello che istituisce il nuovo mezzanino. Questi fatti sono però ricordati nelle memorie storiche e nelle cronache con piccole differenze nei particolari, ed hanno la più valida conferma nelle monete che esistono col nome del doge Andrea Dandolo.

L'antico manoscritto che abbiamo già citato, intitolato "Eletioni, Deliberationi, Decreti etc., etc." riporta che nell'anno 1346 (10) il doge Andrea Dandolo fece battere una moneta che si chiamava mezzanino e valeva 16 piccoli, e che nel 1353 (11) si coniò una nuova moneta chiamata soldino. Altre due cronache, appartenenti pure alla Marciana, l'una delle quali è attribuita a Daniele Barbaro (12) l'altra è chiamata Bemba (13), raccontano che nell'anno 1347 fu decretata la coniazione di due sorta di monete, e cioè mezzanini e soldini.

Marino Sanuto (14) non parla dei mezzanini e si limita a notare la stampa dei nuovi soldi colle seguenti parole:

"nell'anno (1353) vedando venetiani i soi soldi erano stronzati atorno per tuorli l'arzento feno una nova sorte cuniar cum uno zerchio atorno aziò i non se podesse stronzar et quelli non haveano el ditto zerchio atorno non voleano si potesse spender".

Così altre cronache, senza occuparsi dei mezzanini, ricordano la coniazione dei soldini nell'anno 1353.

Anche le memorie di Zecca fanno menzione:

"Anno 1343 Prencipe D. D. Andrea Dandolo li Aurelij cressetero fino a soldi quatro l'uno et si nominarono grossoni. — 1343, Prencipe detto fu stampado moneta nova nominata quartaroli che era un quarto di grosson, valeva soldi uno l'uno".

La compilazione di epoca relativamente recente, che va sotto il nome di Memorie di Zecca (15), fatta dal Fedel Francesco Marchiori maestro di zecca, se non merita cieca fede rispetto ai tempi remoti o quando vi contraddicono i fatti e cronache, è però tratta da antiche carte e può servire di ajuto, allorché i documenti e le monete vi corrispondono. Essa cade in errore quì come altrove, nel dare a monete conosciute nomi inesatti, come quelli di aureli e grossoni ai grossi e di quartaroli ai soldi: cade in errore nell'ascrivere la riforma monetaria al 1343, anno della elezione del Dandolo, quasi ad indicare piuttosto il principato sotto cui furono coniate le monete, che la data vera dell'emissione. Noi però dal confronto colle altre notizie e dall'esame delle monete, possiamo rilevare che il nuovo mezzanino si cominciò a coniare nel 1346 o 1347, e che era valutato 16 piccoli. Esso ha il peso di 15 grani veneti abbondanti, di ottimo argento, e quindi il valore intrinseco di poco più di tre ottavi del grosso, per cui, correndo esso per 16 piccoli, ne viene naturalmente che il grosso aveva aumentato di pregio, o per dir meglio, il piccolo era rinvilito in modo, da non essere più un trentaduesimo del grosso, ma bensì un quarantesimo od un quarantaduesimo, e però è assai probabile che in questo tempo il grosso valesse 40 o 42 piccoli. Non essendo il mezzanino la metà del grosso effettivo, fu mutato il suo tipo in modo da non confonderlo con quello coniato da Francesco Dandolo, ma siccome alla nuova moneta fu conservato il valore di 16 piccoli, si può arguire che sino dai primi anni del principato di Andrea Dandolo si cominciasse ad usare del grosso ideale di 32 piccoli effettivi, di cui ho già parlato a proposito della lira di grossi, e di cui avrò occasione di occuparmi anche in seguito.

In mezzo a tanta scarsezza di documenti storici, abbiamo la fortuna di possedere il decreto, che ordina la coniazione del soldino, conservato nei registri della Quarantìa Criminale, ed io qui lo pubblico per la prima volta.

"(1353) die VIII mensis aprilis.

Capta

Cum inquirendus sit omnis bonus modus qui inducat utilitatem communi et destrum merchatoribus navigantibus et conversantibus in partibus Romanie, et modus monete infrascripte verisimiliter redundare debeat, si fiat, in utilitatem tam communis quam dictorum merchatorum;

Vadit pars, quod fiat una moneta de eo argento quo fiunt mezanini et in eamet stampa qua fiebant soldini, que vadat ad soldos XXXVI pro marcha, et valeat quilibet denarius dicte monete parvos XII. Et quod omnes mercatores qui volent ponere argentum in Zecha pro faciendo fieri de dicta moneta debeant habere a communi, seu ab officialibus deputatis ad monetam, soldos XII grossos VI proqualibet marcha argenti quam posuerint in zecha. Et sculpiri debeat in ipsa moneta prima sillaba nominis massarii.

De parte 26" (16).

Dalla lettura di questo interessante documento si rileva che lo scopo principale della deliberazione era quello di recare vantaggio ai traffici colla Romania, dove pare che avesse trovato favore anche l'antico soldino. Ciò è pure dimostrato da una proposta trascritta nello stesso foglio, in seguito alla parte qui sopra riportata: in essa Andrea Gabriel chiedeva si coniassero soldini dell'antica bontà e dell'antico modello per comodo dei naviganti e commercianti in Romania. La proposta non fu accolta per ragioni facili ad indovinarsi, ma mostra quali erano i desideri ed i bisogni delle classi interessate.

La deliberazione notata ordina che il nuovo soldino abbia bensì lo stesso disegno dell'antico, ma la bontà del mezzanino, e che porti scolpita nel campo la lettera iniziale del nome del massaro. Il valore della moneta è determinato in 12 piccoli, e se ne devono trarre da una marca soldi 36; mentre l'erario è tenuto a pagare 12 e mezzo soldi di grosso al mercante che porta l'argento in zecca.

Non vi è bisogno di discutere il valore delle nuove monete fissato dalla legge in 12 piccoli; esse devono rappresentare il soldo della lira di piccoli e sono perciò chiamate soldini ed anche dodesini. Invece è necessaria qualche illustrazione alle altre cifre; perché non si capisce a prima giunta di che specie sieno quei 36 soldi che si devono ottenere da una marca: sono troppi per appartenere alla lira di grossi, e pochi, ma molto pochi, per essere della lira di piccoli. La frase che segue . . .et valeat quilibet denarius dicte monete. . . dà la chiave dell'enigma; perché, se viene chiamato denaro una unità di tale moneta, è evidente che soldo vuol dire l'agglomerazione di 12 pezzi; quindi da una marca si devono cavare 12 volte 36, e cioè 432 pezzi, il che corrisponde esattamente al peso del soldino di questo tempo. Anche il prezzo di 12 e mezzo soldi di grossi pagati dall'erario pubblico ai portatori dell'argento merita qualche breve osservazione, perché da una marca di argento fino, secondo il capitolare antico dei Massari alla moneta, si dovevano ottenere grossi 109 e mezzo o 109 e un terzo, i quali non fanno che soldi 9 e denari 1 e mezzo od un terzo di grossi. Ciò vuol dire che il grosso era già in questo tempo, e pochi anni prima del presente decreto, elevato al valore di 48 piccoli, e che il computo dei soldi si faceva non sopra i grossi effettivi, che erano di uguale bontà e peso degli antichi, ma sui piccoli, dei quali 32 si valutavano per un grosso nominale. Infatti soldi 12 e mezzo sono 150 grossi ideali inferiori agli esistenti, e la differenza fra questo prezzo e quello ricavato effettivamente dalla coniazione è evidentemente il compenso delle spese e l'utile della fabbricazione. Le memorie di zecca, sebbene sotto una data soltanto approssimativamente vera, ricordano il nuovo ragguaglio che rimase definitivo e tradizionale, perché anche oggi, nell'uso del nostro popolo, il grosso equivale a 4 soldi veneti.

Tanto il nuovo mezzanino che il nuovo soldino di ottimo argento sono incisi e coniati con molta cura e diligenza ed hanno una perfezione di forma rotonda affatto sconosciuta fino allora. Il Sanuto ricorda che un cerchio posto nel contorno faceva tosto conoscere se le monete avessero subìto quella tosatura o stronzatura, di cui si lagnano non pochi documenti del tempo: e vediamo per la prima volta sostituiti gli antichi punti o segni dalle iniziali dei massari, per mezzo delle quali si possono rilevare gli anni della battitura, quando non sono interrotti gli elenchi di quei magistrati, che ci furono tramandati dagli antichi registri, di cui mancano alcuni volumi.

Per completare la storia numismatica di questo periodo è necessario parlare di altra nuova moneta coniata dai veneziani per comodo del commercio e dei loro possessi orientali: è il tornese, che, poco conosciuto dagli studiosi del secolo scorso, fu degnamente illustrato da Cumano e da Lazari dopo un fortunato rinvenimento seguìto in Morea nel 1849.

Le monete francesi, e principalmente quelle di Tours, erano divenute assai popolari in Levante durante le crociate, e gli avventurosi cavalieri che si erano impadroniti dell'Acaja, di quasi tutto il Peloponeso e di altre provincie vicine, avevano introdotti negli effimeri principati, conquistati con poveri mezzi, ma con molto ardire, una moneta che imitava perfettamente il denaro tornese, avendo da un lato la croce e dall'altro il celebre ed emblematico castello che si vede sulle monete di Tours. Attorno al castello si leggono i nomi delle principali signorie franche della Grecia come Tebe, Damala, Lepanto, Corfù, Tino, Scio ecc., ma la officina più antica e più importante fra esse era certamente quella di Chiarenza, capitale politica ed amministrativa del principato di Acaja, fondato da Goffredo di Villehardouin, che divenne sotto i suoi successori una città prosperosa, residenza di una corte feudale celebre per la sua magnificenza. Della antica grandezza oggi non rimane, presso l'umile villaggio, cui fu tolto perfino il nome, che una torre diroccata e le rovine del Castello Tornese, dove senza dubbio era piantata la zecca, da cui uscivano abbondantissimi quei denari, che nei secoli XIII e XIV ebbero rinomata diffusione in tutto l'Oriente.

Torna opportuno, a proposito dell'origine del tornese levantino, riprodurre le parole con cui Marino Sanuto, nella Istoria del Regno di Romania (17), racconta il viaggio di Guglielmo di Villehardouin a Cipro per fare omaggio a San Luigi re di Francia, che si recava in Palestina nell'inverno 1249:

"Intendendo il principe Guglielmo che il Re passava in persona, volse andar egli a passarvi con circa 24 tra gallere e navilj e con 400 boni cavalli passò al Re. E dicendo egli al Re: Signor Sir tu sei maggior signor di me e puoi condur gente dove vuoi e quanta vuoi senza denari: io non posso far così. Il Re gli fece gratia ch'el potesse battere torneselli della lega del Re mettendo in una libbra tre onze e mezza d'argento".

Senza occuparci di quanto possa esservi di vero nella leggenda o tradizione ricordata dal celebre diarista veneziano, l'epoca ivi segnata concorda colle monete, non sembrando che il tornese sia stato coniato in Acaja se non dopo il 1250.

Altre notizie importanti delle monete che correvano in quei paesi possiamo rilevare dal diligentissimo Pegolotti, il quale dedica a Chiarenza il capitolo XIII, ove dice:

"In Chiarenza e per tutta la Morea vanno a perpero sterlini 20, e gli sterlini non vi si vendono, né vi si veggiono, ma spendonvisi torneselli piccioli che sono di lega oncie due e mezza d'argento fine per libbra, ed entrane per libbra soldi 33 denari 4 a conto e ogni denari 4 de' detti tornesi piccioli si contano per uno sterlino; e gli tre sterlini un grosso viniziano di zecca di Vinegia e gli 7 grossi un pipero (iperpero). . . La moneta di Chiarenza. . . chiamasi tornesella picciola" (18).

Da questo paragrafo importante si rileva che il tornesello era la sola moneta reale coniata nel paese e la vera base del sistema monetario, che 4 torneselli formavano uno sterlino, moneta meramente ideale, e che 20 sterlini formavano un iperpero, il quale doveva essere una moneta di conto, che aveva il valore di un bisante di Costantinopoli, o forse lo stesso bisante degli imperatori greci, il quale continuava ad essere in corso in tutti i paesi che avevano fatto parte dell'antico impero.

I veneziani, che dopo la conquista di Costantinopoli avevano ottenuto il predominio commerciale e monetario in Oriente, si trovarono danneggiati nei loro interessi dalla introduzione del denaro tornese, che soddisfaceva al bisogno di moneta spicciola. Di questa preoccupazione si scorgono le traccie nei lagni espressi in parecchi documenti della prima metà del secolo XIV, non solo per le imitazioni di monete veneziane, ma anche per le nuove monete introdotte dai principi di Romania.

Dopo di avere provveduto ad una migliore sistemazione della moneta piccola di argento fino, colla emissione dei nuovi mezzanini e dei nuovi soldini, il Senato, o la Quarantìa, pensarono che sarebbe tornato vantaggioso al Comune di fabbricare anche delle monetine di poco valore sul tipo del tornesello dell'Acaja; fabbricazione alla quale si mirava forse fino dal giorno in cui si pensò di aprire una officina in Corone o Modone, ma che non fu posta in esecuzione se non negli ultimi anni del principato di Andrea Dandolo, quando le circostanze erano più favorevoli per le guerre e l'anarchia che desolavano il Peloponeso.

I torneselli veneziani somigliano a quelli di Chiarenza nel peso, nella forma ed anche nella lega, alquanto inferiore a quella indicata dal Pegolotti. Sul diritto hanno la croce patente col nome del principe; ma, invece del castello da cui traggono il nome, portano il Leone di San Marco per la prima volta colle ali, accosciato in quella forma che dal nostro popolo fu detta leone in molleca, ed in termine di zecca leone in soldo, colla leggenda espressiva "V E X I L I F E R spazio V E N E T I A R V M".

Sebbene non si conosca la legge con cui fu ordinata la coniazione del tornese, possiamo essere certi che nella zecca di Venezia e non altrove essa fu cominciata dopo la metà del secolo XIV. Ne abbiamo la prova in una istanza del 20 giugno 1354 (19) di Giovanni intagliatore

"che da cinque anni lavora ad incidere i conî secondo gli ordini ricevuti, ed ora è occupato da mattina a sera per i tornesi che in questo momento si fanno in zecca".

In breve tempo il tornese incontrò tanto favore e se ne coniò tale quantità, che uno dei massari fu detto massaro ai torneselli, perché destinato a sorvegliare quella fabbricazione, e così pure troviamo nominati uno scriba ad tornesellos ed un pesatore ad tornesellos.

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MONETE DI ANDREA DANDOLO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto A N D R punto D A N D V L O", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M spazio V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto Q punto T V spazio R E G I S punto I S T E spazio D V C A, T SEGNO".

Tavola X, numero 7.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "punto A N D R punto D A N D V L O punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola X, numero 8.

Segni, o punti dei Massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 2: quattro linee a formare una croce.

Segno 3. Campo 1: quattro linee a formare una croce; campo 2: quattro linee a formare una croce.

Mezzanino di nuovo tipo (16 denari o piccoli). Argento, titolo 0,965 (20). Peso, grani veneti 15 e mezzo (gram. 0,802).

3. Dritto. A sinistra San Marco, nimbato in piedi, vestito di abiti sacerdotali ed il vangelo nella sinistra, colla testa di tre quarti si volge a destra e riceve dal doge, pur in piedi, ma di profilo, un cereo che questi gli porge con ambe le mani. Il principe con ricco manto, ornato di pelliccia, ha il capo coperto dal berretto ducale. Nel campo sotto il cereo, fra le due figure, una lettera, che è l'iniziale del massaro. Dietro il doge "A N punto D A D V, L SEGNO, punto", in mezzo "D V X", dietro il santo "punto S punto M punto V E N E punto".

Rovescio. Gesù Cristo di fronte, con nimbo crociato di forma greca, sorge dal sepolcro ponendo a terra la gamba destra. È coperto di lunga veste che gli svolazza sul fianco, stringe nella sinistra la croce e nella destra un vessillo che ondeggia a sinistra. Sul sepolcro sono scolpite quattro croci, attorno "punto X P E punto R E S spazio V R E S I T punto".

Tavola X, numero 9.

Iniziali dei massari. "A, legatura AR, B D F, M corsivo, OI, N corsivo, P, S, EZH capovolta".

Soldino vecchio. Argento, titolo 0,670 circa. Peso, grani veneti 18 e mezzo (grammi 0,957).

4. Dritto. Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo "croce punto A N D R spazio D A N spazio D V L O spazio D V X".

Rovescio. Leone rampante, coll'orifiamma "croce punto S punto M A R C
V S punto V E N E T I punto".

Tavola X, numero 10.

Soldino nuovo. Argento, titolo 0,965 (21). Peso, grani veneti 10 e 66 centesimi (grammi 0,552).

5. Dritto. Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo "punto croce punto A N D R punto D A N punto D V L O punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante coll'orifiamma in un cerchio, attorno "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto", nel campo l'iniziale del massaro.

Tavola X, numero 11.

Iniziali dei massari "OI, S, ALFA CEDILLA".

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,190 (22) circa. Peso, grani veneti 6 e mezzo (grammi 0,336): scodellato.

6. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto A N spazio D A N spazio D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

Tavola X, numero 12.

Bianco, o mezzo denaro. Mistura, titolo 0,040 circa. Peso, grani veneti 7 (grammi 0,362).

7. Dritto. Croce accantonata da quattro punti "croce A N D R punto D A N punto punto punto D V X".

Rovescio. Busto di San Marco di fronte "croce punto S punto M A R C V
S punto".

Raccolta Papadopoli.

Tavola X, numero 13.

Tornesello. Mistura, titolo 0,130 circa. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

8. Dritto. Croce patente in un cerchio, attorno "croce, due punti in verticale, A N D R, due punti in verticale, D A N D V L O, due punti in verticale, D V X, due punti in verticale".

Rovescio. Leone accosciato sulle gambe posteriori, tenendo colle anteriori il vangelo, il tutto in un cerchio, attorno "croce V E X I L I F E R, due punti in verticale, V E N E C I A, RUM TONDA".

Tavola X, numero 14.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI ANDREA DANDOLO.

SANTINELLI S. — Opera citata, pagina 271-272 e 274 (disegno pagina 271); ed in ARGELATI, Parte I, pagina 300 e 301.

KÖHLER I. D. — Opera citata, Tomo XIV, pagina 153-160.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 649-652, numeri X, XI e XII; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 48, tavola XXXVII, numeri X, XI e XII.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 414, tavola VI, numero III.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 102 e 108, numero XV; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30 e 32, numero XV.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 275.

GAETANI P. A. — Museum Mazzuchellianum. Venetiis, 1761-63, Tomo I, tavola VII, numeri 7, 8.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 171-172, numeri XXXIX, XL, XLI, XLII, XLIII, XLIV, XLV, XLVI, XLVII, e XLVIII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1122-1123, numeri 3923, 3924, 3925.

PFISTER J. G. — Opera citata. — The Numismatic Journal, Volume II, 1837-1838, pagine 214, 215, tavola a pagina 201.

BELLOMO G. — La pala d'oro considerata sotto i riguardi storici, archeologici ed artistici, etc. Venezia, 1847, pagina 42 e 64-65 (nota 39), tavola II, numero 1.

ZON A. — Opera citata, pagina 30, tavola I, numero 13.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume I, pagina 103-104 (162 a 196) e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo del foglio "L'Istria",
Anno V, numero 11, sabato 16 marzo 1850.

CUMANO dottor C. — Illustrazione da una moneta argentea di Scio, sul disegno del Matapane di Venezia. Trieste, 1852, pagina 32, 38, 40 e 43. (In questo opuscolo è riprodotto l'articolo del giornale "L'Istria").

LAZARI V. — Le monete dei possedimenti veneziani di oltremare e di terraferma. Venezia, 1851, pagina 65-69 e 169.

KUNZ C. — Catalogo citato, pagina 8.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 5.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LIV.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LIV.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 16 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228-231, 254. Volume V, 1873, pagina 200-201 e
Volume XI, 1879, pagina 130.

SCHLUMBERGER G. — Numismatique de l'Orient latin, Paris, 1878, pagina 312, 471-472.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 18-19 e 123-124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 99 e Tomo XIII, pagina 147, — terza edizione, 1881, pagina 15 e 89.

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NOTE A "ANDREA DANDOLO".

(1) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'argento, carte 27.

(2) Regio Archivio di Stato. Commemoriali, registro IV, carte 88 tergo.

(3) Regio Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti, Registro II, carte 26 tergo.

(4) Regio Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti, Registro II, carte 47.

(5) Regio Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti, Registro II, carte 48 a 51.

(6) Regio Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti, Registro II, carte 51.

(7) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'argento, carte 27 tergo.

(8) Regio Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti, Registro II, carte 85.

(9) Capitolare dei massari all'argento, carte 28 tergo. — Capitolare Uff. del Levante (Codici ex Brera 263), carte 63. — Capitolare del Cattaver, capit. XXXIV, carte 94.

(10) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 1800, Classe VII, Ital., pagina 138.

(11) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 1800, Classe VII, Ital., pagina 140.

(12) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 40, Classe VII, Ital., pagina 257.

(13) Regia Biblioteca di San Marco. Codice 125, Classe VII, Ital., carte 531 (88).

(14) Regia Biblioteca di San Marco. M. Sanuto. Cronaca Veneta o Vite dei Dogi, Codice 800, Classe VII, Ital., carte 194 tergo.

(15) Archivio dei Provveditori in Zecca, Registro 18: Scartafaccio di Memorie di Francesco Marchiori maestro di zecca, 1748, carte 18.

(16) Regio Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti, Registro II, carte 75.

(17) Hopf Charles. Chroniques gréco-romanes inédites ou peu connues etc. Berlin, 1873, pagina 98. — Regia Biblioteca di San Marco, codice DCCXII, It., cl. VII.

(18) Pegolotti F. B. Opera citata, pagina 106-108.

(19) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Grazie, Registro XIII, carte 46 tergo.

(20) L'esame chimico fatto dall'ufficio del saggio di Venezia dà il titolo di 0,968.

(21) L'esame chimico fatto dall'ufficio del saggio di Venezia dà il titolo di 0,973.

(22) L'esame chimico fatto dai Morin Frères di Parigi dà il titolo di 0,190.

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MARINO FALIER.
DOGE DI VENEZIA.

1354-1355.

Marino Falier, che succedeva nel ducato al compianto Andrea Dandolo, apparteneva ad una delle più antiche ed illustri famiglie; era stato più volte podestà, rettore, ambasciatore, provveditore, ed anche quando gli elettori raccolsero i loro voti sul suo nome, si trovava in Avignone, legato della repubblica presso il papa Innocenzo IV.

La guerra continuava contro i Genovesi e con tristi risultati, essendo stata sconfitta e quasi completamente distrutta dinanzi all'isola della Sapienza l'armata veneziana. Il re di Ungheria, da una parte, minacciava la Dalmazia, dall'altra i Genovesi si assicuravano l'influenza in Costantinopoli e si impadronivano delle migliori posizioni commerciali dell'Oriente, ma più grave ancora era il pericolo che all'interno correva la repubblica. Marino Falier di carattere violento ed ambizioso, sia perché spinto dal desiderio del potere assoluto, sia perché offeso, non gli paresse d'essere sufficientemente rispettato dall'aristocrazia dominante, congiurò per cambiare la forma di governo, assieme ai molti malcontenti che naturalmente, in momenti così tristi, esistevano a Venezia. Fortunatamente la trama fu scoperta, ed il doge ebbe mozzo il capo in quello stesso sito, ove prima di cingere la corona ducale, aveva prestato giuramento di osservare la promissione.

Poche sono le monete di questo doge e cioè il ducato, il soldino ed il tornese, e tutte assai rare, ciò che è facile a spiegarsi con la breve durata del suo principato, senza aver bisogno di cercare altre speciali ragioni, essendo egli rimasto sul trono soltanto sette mesi. Per la stessa ragione non posso ricordare se non alcuni provvedimenti deliberati dalla Quarantìa nel 21 ottobre 1354 (1), per impedire la diffusione delle monete false che si introducevano a Venezia, fatte ad imitazione di tipi forestieri, e specialmente dei carrarini, dei frisachesi e dei denari a XXII.

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MONETE DI MARINO FALIER.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge, "M A I, N SEGNO, punto F A L E D R O", lungo l'asta "D V X", dietro il santo "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di
stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T I
B I punto X P E punto D A, T SEGNO, spazio Q punto T V spazio R E
G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola XI, numero 1.

Soldino. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 10 e 66 centesimi (grammi 0,552).

2. Dritto. Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo "punto croce punto M A R I, N SEGNO, punto F A L spazio E D R O punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante coll'orifiamma "croce punto S punto M A R C
V S spazio V E N E T I punto", nel campo l'iniziale del massaro.

Tavola XI, numero 2.

3. Varietà nel Dritto. "punto croce punto M A I, N SEGNO, punto F A L spazio E D R O punto D V X".

Rovescio. "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XI, numero 3.

Iniziali dei massari. "OI, S".

Tornesello. Mistura, titolo 0,130 circa. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

4. Dritto. Croce patente "croce punto M A R I, N SEGNO, punto F A L E, D SEGNO, punto D V X punto".

Rovescio. Leone accosciato, col vangelo tra le zampe anteriori "croce
V E X I L I F E R punto V E N E C I A, RUM TONDA, punto".

Museo Civico, Trieste.

Tavola XI, numero 4.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI MARINO FALIER.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., TOMO II, pagina 172, numero IL.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1123, numero 3926.

STROZZI C. — Memorie intorno ad una moneta inedita argentea di Marino
Falier
, Firenze, 1834.

SCHWEITZER F. — Opera citata. Volume I, pagina 106 (197 a 200) e tavola.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 5.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 16, 17 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 231, 249 e 254, Volume V, 1873, pagina 201.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 19 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 99-100, e Tomo XII, pagina 147, — terza edizione, 1881, pagina 15, 16 e 89.

Bolla in piombo di Marino Falier conservata nella raccolta
Papadopoli.

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NOTE A "MARINO FALIER".

(1) Regio Archivio di Stato. Capitolare degli Ufficiali di Levante, carte 19 tergo.

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GIOVANNI GRADENIGO.
DOGE DI VENEZIA.

1355-1356.

Dopo tante commozioni e così gravi pericoli, Venezia aveva bisogno di un principe savio e prudente come fu Giovanni Gradenigo, che tutti gli storici dipingono amante della patria e geloso osservatore delle sue leggi. Aderendo agli inviti dei Duchi Visconti, signori di Genova, mandò ambasciatori a Milano, i quali firmarono un trattato che pose fine alle guerre fratricide fra le due potenti rivali del mare, e vi furono compresi i Signori di Padova, di Verona, di Mantova, di Ferrara e di Faenza. I beneficii della pace non tardarono a farsi sentire a Venezia, che vide nuovamente prosperare i suoi traffici e veleggiare i suoi navigli per i mari d'Oriente: ma i tempi erano torbidi, e la repubblica si trovò impegnata in una nuova guerra contro Lodovico re d'Ungheria, che penetrava in Dalmazia ed in Friuli, spingendo i suoi soldati fino sotto le mura di Treviso. Dopo soli sedici mesi di regno, Giovanni Gradenigo morì stimato e compianto da tutti.

Gli antichi raccoglitori di monete veneziane, non conoscevano che il ducato ed il soldino di questo doge: più tardi furono trovati il tornese ed il piccolo, e solamente da qualche anno il grosso, ma sempre assai raro. Sembra infatti che la fabbricazione di questa celebre moneta, rallentata da prima, cessasse completamente durante quattro o cinque lustri, per ricomparire nell'anno 1379 con piccole modificazioni nel disegno, ma una sensibile diminuzione di peso. Anche l'aspetto del grosso di Giovanni Gradenigo svela una emissione limitata ed eccezionale, essendone lo stile stentato ed arcaico, che lascia indovinare l'imitazione di un pezzo che non si lavorava ordinariamente.

Non conosciamo le ragioni della diminuzione e poi della cessazione della battitura del grosso: forse in passato se ne era coniata troppo grande quantità, ma più probabilmente le imitazioni avevano scemato il pregio di questa reputatissima moneta. Ve n'ha indizio nei molti provvedimenti fatti in questo torno di tempo contro i falsificatori e traboccatori di monete. Durante il breve ducato di Giovanni Gradenigo, troviamo, nel 22 giugno 1355 (1), confermate le disposizioni relative alle monete false e scadenti (frisachesi, carrarini e denari a XXII), bandite l'anno prima, e nel 21 novembre dello stesso anno inasprite le pene comminate ai contravventori della legge 27 febbraio 1353-1354, colla quale si vietava l'imitazione di monete forestiere a Venezia e nello stato. Perfino i correttori della promissione ducale, raccolti in un momento tanto agitato, come quello che correva tra la condanna del Falier e la elezione del Gradenigo, pensarono di completare le disposizioni che riguardavano i falsificatori di monete veneziane, proponendo che anche ai forestieri fosse applicata la pena del fuoco minacciata ai veneti, tanto se il reato fosse commesso a Venezia come altrove, ed il Maggior Consiglio nel giorno 19 aprile 1335 (2) approvava la proposta.

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MONETE DI GIOVANNI GRADENIGO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "I O punto G R A D O N I C O", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di
stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T I
B I punto X P E punto D A, T SEGNO, spazio Q punto T V spazio R E
G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO".

Tavola XI, numero 5.

Grosso. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 42 e un decimo (grammi 2,178).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "I O punto G R A D O I C O punto", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati".

Tavola XI, numero 6.

Segni, o punti dei massari della moneta.

Segno 1. Nessun segno.

Segno 2. Campo 1: una croce; campo 2: una croce; campo 3: una croce.

Soldino. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 10 e 66 centesimi (grammi 0,552).

3. Dritto. Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo "punto croce punto I O, H SEGNO, S punto G R A D spazio O N I C O punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante coll'orifiamma "punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto", nel campo l'iniziale del massaro.

Tavola XI, numero 7.

4. Varietà nel Rovescio. "croce punto S punto M A R punto C V S punto V E N E T I punto".

5. Varietà nel Dritto. "punto croce punto I O H S punto G R A D spazio O I C O punto D V X punto".

Rovescio. Come il numero 3.

Tavola XI, numero 8.

6. Varietà Dritto. "punto croce punto I O, H SEGNO, S punto G R A D spazio O I C O punto D V X".

Rovescio. "croce punto S punto M A R C V punto S V E N E T I punto".

Iniziali dei massari. "A, OI, S, ALFA CEDILLA".

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,190 circa. Peso, grani veneti 5 e mezzo (grammi 0,284): scodellato.

7. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto I O punto G R A punto D V X".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

Tar. XI, numero 9.

Tornesello. Mistura, titolo 0,130 circa. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

8. Dritto. Croce patente "croce punto I O, due punti in verticale, G R A D O I C O punto D V X punto".

Rovescio. Leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori "croce punto V E X I L I F E R punto V E N E C I A R, RUM TONDA".

Tavola XI, numero 10.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI GIOVANNI GRADENIGO.

BELLINI V. — Della antica lira ferrarese etc. Opera citata, pagina 32.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 102, 103 e 108, numero XVI; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30 e 32, numero XVI.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc., Supplément, 1769. Opera citata, pagina 78.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 172, numeri L, LI e LII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1123, numero 3927.

ZON A. — Opera citata, pagina 23 e 79.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 10 (201 a 214), e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione, etc. Opera citata, pagina 32, 38- 40.

LAZARI V. — Opera citata, pagina 69 e 169.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LVI.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LVI.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 17 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228-229, 231 e 254, Volume V, 1873, pagina 202.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 472.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 19 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 100 e Tomo XIII, pagina 147, — terza edizione, 1881, pagina 16 e 89.

Sigillo di Giovanni Gradenigo donato da me al Museo Correr.

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NOTE A "GIOVANNI GRADENIGO".

(1) Archivio di Stato. Capitolare degli ufficiali di Levante, carte 21 tergo.

(2) Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Registro Novella, carte 37 tergo.

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GIOVANNI DOLFIN.
DOGE DI VENEZIA.

1356-1361.

Dopo la morte del Gradenigo, fu eletto doge Giovanni Dolfin, che si trovava Provveditore a Treviso stretta d'assedio dalle armi di Lodovico re d'Ungheria. Gli venne fatto d'uscirne ed alla testa di alcuni prodi poté farsi strada fino a Mestre, dove fu ricevuto da dodici nobili che lo accompagnarono a Venezia. La guerra prendeva cattiva piega per l'ajuto dato agli Ungheresi dai signori della Marca Trevigiana e da Francesco da Carrara: ma avendo il Papa cercato di metter pace fra i contendenti, fu conclusa per la sua interposizione una tregua di cinque mesi, dopo la quale si ripresero le armi in Dalmazia e nel territorio di Treviso, sempre con poca fortuna. Finalmente fu segnata la pace a condizioni onerose per Venezia, che riebbe i luoghi occupati nel Trevigiano, ma dovette rinunciare ai possessi in Dalmazia e Schiavonia dalla metà del Quarnero fino a Durazzo. Il doge Dolfin morì nel 1361, dopo cinque anni di principato, funestato dalle guerre e dalle pestilenze.

Nulla di nuovo fu introdotto sotto questo principato in fatto di monete. Si continuarono a coniare ducati, soldini, denari e tornesi come precedentemente: mancano solo i grossi, dei quali la coniazione, da qualche tempo diminuita, pare sia stata definitivamente sospesa.

Fra i documenti dell'epoca troviamo nei nostri archivi un decreto del Senato, 15 dicembre 1356 (1), che proibisce di far società o compagnia a fine di comperare l'argento che si conduce a Venezia per essere fuso, affinato, coniato e bollato colla Bolla di San Marco, e lo proibisce più specialmente a coloro che, per il loro ufficio, devono occuparsi delle operazioni di affinamento e partizione dei metalli in zecca. Una terminazione della Quarantìa del 5 maggio 1357 (2) stabilisce che non si possa comprare argento se non all'incanto (a campanella a Rialto) e proibisce agli affinatori, partitori e smaratori di argenti di entrare nel Fondaco dei Tedeschi allo scopo di evitare i contratti di società fra i negozianti e gli impiegati della zecca. Nel 12 giugno 1357 (3), la Quarantìa si occupa di quelli che stronzano, od in altro modo danneggiano le monete (ducati, grossi, mezzanini e soldini), tanto a Venezia che fuori, e stabilisce che ai colpevoli, se uomini, sia tagliata la mano destra, se donne, il naso, oltre al bando ed alla pubblicazione della sentenza. Nel 6 febbraio 1358-1359 (4), si ripetono le minacce contro gli stronzatori e maliziatori di monete, a cui, oltre il taglio della mano, ordina sieno cavati gli occhi, chiudendo in carcere perpetuo le donne: oltre a ciò nel 16 ottobre 1358 (5) la Quarantìa proibisce ai cambisti ed ai loro agenti e servi di dare o possedere monete stronzate e guastate nella forma o nel peso.

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MONETE DI GIOVANNI DOLFIN.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "I O punto D E L P h Y N O", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M spazio V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E spazio D A, T SEGNO, spazio, Q apostrofo punto T V spazio R E G I S spazio I S T E spazio D V C A, T SEGNO".

Tavola XI, numero 11.

Soldino. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 10 e 66 centesimi (grammi 0,552).

2. Dritto. Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo "punto croce punto I O, H SEGNO, S punto D E L P spazio h Y N O punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante coll'orifiamma "croce punto S punto M A R C
V S punto V E N E T I punto", nel campo l'iniziale del massaro.

Tavola XI, numero 12.

Iniziali dei massari. "A, I, OI, S, ALFA CEDILLA".

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,190 circa. Peso, grani veneti 5 e mezzo (grammi 0,284): scodellato.

3. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto I O punto D E L punto D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R punto C V, S ruotata".

Tavola XI, numero 13.

Tornesello. Mistura, titolo 0,130 circa. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

4. Dritto. Croce patente "croce punto I O punto D E L P h Y N O spazio D V X".

Rovescio. Leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori "croce punto V E X I L I F E R punto V E N E C I A, RUM TONDA".

Tavola XI, numero 14.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI GIOVANNI DOLFIN.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 650-652, numeri XIII e XIV; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 48, tavola XXXVII, numeri XIII e XIV.

BELLINI V. — Dell'antica lira ferrarese, etc. Opera citata, pagina 82.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Supplément, 1769, pagina 78.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 172 e 178, numeri LIII, LIV, LV e LVI.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1123-1124, numero 3928.

BELLOMO G. — Opera citata, pagina 42, 64-65, nota 39, tavola II, numero 2.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 12, numeri (215 a 230), e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione etc. Opera citata, pagina 32, 38- 40.

LAZARI V. — Opera citata, pagina 69 e 169.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LVII.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LVII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 17 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228, 231 e 254.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 472, tavola XVIII, numero 5.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 19-20 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 100 e Tomo XIII, pagina 147, — terza edizione, 1881, pagina 16 e 89.

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NOTE A "GIOVANNI DOLFIN".

(1) Senato. Misti, registro XXVII, carte 102 tergo. — Capitolare dei massari all'argento, carte 28 tergo.

(2) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'argento, carte 29 tergo.

(3) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'argento, carte 31 tergo.

(4) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'argento, carte 33.

(5) Regio Archivio di Stato. Capitolare del Magistrato del Cattaver, cap. XXXVIII, carte 95.

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LORENZO CELSI.
DOGE DI VENEZIA.

1361-1365.

La falsa notizia della cattura di alcuni pirati genovesi fatta da Lorenzo Celsi, Capitano del golfo, decise gli elettori, che pendevano incerti fra quattro illustri candidati, a portare i loro voti sul fortunato guerriero. Lorenzo Celsi fu principe di animo grande ed amante della gloria; accolse con molta solennità e grandi feste il duca d'Austria ed il re di Cipro venuti a Venezia. Concluse coi Carraresi un accordo per definire alcune vertenze nate per la giurisdizione di Sant'Ilario, appianò altri dissensi cogli Scaligeri, e rinnovò per cinque anni la tregua con Giovanni Paleologo, conservando i vantaggi dei cittadini veneziani nell'impero di Oriente. Ma questi nobili sforzi per ridonare la pace e la prosperità alla patria furono turbati dalla insurrezione di Candia, una delle più serie e pericolose, avendovi presa parte non pochi dei coloni veneziani stabiliti in Candia: riusciti vani i tentativi di conciliazione e di pace, la rivolta fu domata colla forza e furono presi provvedimenti per impedirne il rinnovarsi.

Il doge Celsi morì nel luglio 1365 e durante il suo regno nulla di importante abbiamo da registrare, che possa interessare il numismatico. Fra le deliberazioni del Senato, troviamo una terminazione del 22 gennajo 1361-62 (1) colla quale si accordano alcune facilitazioni ai tedeschi che portano oro a Venezia, assolvendoli dal pagamento di due grossi per marca che davano per mettere oro in zecca dalla guerra di Genova in poi, del grosso per no dar campanella e dei grossi 3 e mezzo che pagavano per ogni cento libbre. Il mercante avrà facoltà di mettere l'oro in zecca o di venderlo all'incanto; portandolo in zecca è pagato dopo quattro giorni, ed intanto riceve dal doge e consiglieri una cedola di tre o quattromila ducati, i quali non possono essere adoperati ad altro scopo. Nel 29 aprile 1363 (2) vista l'importanza e la gelosia dell'ufficio, il salario dei massari all'oro, da Lire 7, soldi 13, denari 2 e piccoli 6, si porta a Lire 8 di grossi all'anno. Quanto alle monete, si coniarono col nome del doge Celsi ducati, soldini, piccoli e tornesi, ma non grossi che mancano totalmente in questo periodo.

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MONETE DI LORENZO CELSI.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "L A V R punto C E L S I punto", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, spazio, QUAM, spazio T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO".

Tavola XII, numero 1.

Soldino. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 10 e 66 centesimi (grammi 0,552).

2. Dritto. Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo "croce L A V R punto C E spazio L S I punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante, coll'orifiamma "croce punto S punto M A R C
V S punto V E N E T I punto", nel campo l'iniziale del massaro.

Tavola XII, numero 2.

Iniziali dei massari. "A, I, L, M, N, S".

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,190 circa. Peso, grani veneti 5 e mezzo (grammi 0,284): scodellato.

3. Dritto. Croce in un cerchio "croce L A spazio C E L spazio D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce, S ruotata, punto M A R C V, S ruotata, punto".

Tavola XII, numero 3.

Tornesello. Mistura, titolo 0,130 circa. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

4. Dritto. Croce patente "croce punto L A V R punto C E L S I punto D V X punto".

Rovescio. Il Leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori "croce V E X I L I F E R punto V E N E C I A, RUM TONDA, punto".

Tavola XII, numero 4.

[Nuova pagina]

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI LORENZO CELSI.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 103 e 108, numeri XVII e XVIII; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30, 30 t. e 32, numeri XVII e XVIII.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 275.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 173, numeri LVII, LVIII e LIX.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1124, numero 3929.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 14 (231 a 243) e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione etc. Opera citata, pagina 32, 38- 40.

LAZARI V. — Opera citata, pagina 69 e 169.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 34.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LVIII.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LVIII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 17 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228, 231 e 254.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 472.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagine 20 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 100 e Tomo XIII, pagina 147, — terza edizione, 1881, pagina 16 e 89.

[Nuova pagina]

NOTE A "LORENZO CELSI".

(1) Senato. Misti, Registro XXX, carte 51 tergo. — Capitolare dei Massari all'oro, Capitolo XXI e LIII.

(2) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, Registro XXXI, carte 1 tergo.

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MARCO CORNER.
DOGE DI VENEZIA.

1365-1368.

Il successore del Celsi fu Marco Corner, che era stato vice doge all'epoca della congiura di Marino Falier ed aveva speso tutta la lunga sua vita in servizio dello Stato. Morì nella grave età di 85 anni, dopo aver occupato per quasi tre anni il trono ducale in epoca di pace. Soccorse il duca di Savoja contro i Turchi e mandò le galere della repubblica ad accompagnare il Papa, che da Avignone faceva ritorno a Roma; protesse le arti e fece decorare il palazzo ducale con dipinti storici e coi ritratti dei dogi.

Nulla di nuovo in questo triennio in fatto di monete, basta notare che il Senato, nel 13 maggio 1367 (1) deliberò alcune norme per la vendita dell'argento a campanella, vietando ai compratori di far società; che nel 19 ottobre successivo (2) fece altri provvedimenti contro i ducati fabbricati all'estero ad imitazione dei veneziani, e nel 22 ottobre dello stesso anno (3), proibì di far grazia a coloro che fossero incorsi in qualche pena per aver comperato e venduto argento abusivamente o contro le leggi sovra ciò stabilite.

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MONETE DI MARCO CORNER.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "M A R C apostrofo punto C O R N A R I O", lungo l'asta "D V X", dietro il santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A T punto QUAM spazio T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO".

Tavola XII, numero 5.

Soldino. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 10 e 66 centesimi (grammi 0,552).

2. Dritto. Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo "croce M A R C apostrofo spazio C O R spazio N A R apostrofo spazio D V X punto".

Rovescio. Leone rampante coll'orifiamma "croce punto S punto M A R C
V S punto V E N E T I punto", nel campo l'iniziale del massaro.

3. Varietà nel Rovescio. "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I".

Tavola XII, numero 6.

Iniziali dei massari. "A, F, L, N, S, EZH CODA".

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,190. Peso, grani veneti 5 e mezzo (grammi 0,284): scodellato.

4. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto M A punto C O R punto D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce, S ruotata, punto M A R punto C
V, S ruotata, punto".

I. R. Gabinetto numismatico, Vienna.

Tavola XII, numero 7.

Regio Museo Britannico, Londra.

Tornesello. Mistura, titolo 0,130 circa. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

5. Dritto. Croce patente "croce punto M A R C apostrofo spazio C O R N punto D V X punto".

Rovescio. Leone accosciato, col vangelo tra le zampe anteriori "croce
V E X I L I F E R punto V E N E C I A, RUM TONDA, punto".

Tavola XII, numero 8.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI MARCO CORNER.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagine 103 e 109, numeri XIX e XX; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30 t. e 32, numeri XIX e XX.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 275.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 173, numeri LX e LXI.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1124, numero 3930.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 16 (244 a 258) e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione etc. Opera citata, pagine 32, 38 e 39.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LIX.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LIX.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 17 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228, 231 e 254.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 472, tavola XVIII, numero 6.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 20 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 100 e Tomo XIII pagina 147, — terza edizione, 1881, pagina 16 e 89.

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NOTE A "MARCO CORNER".

(1) Senato, Misti, Registro XXXII, carte 49. — Capitolare dei Massari all'argento, carte 36.

(2) Senato, Misti, Registro XXXII, carte 93 e 93 tergo.

(3) Senato, Misti, Registro XXXII, carte 97 tergo.

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ANDREA CONTARINI.
DOGE DI VENEZIA.

1368-1382.

Morto il Doge Corner, i voti di tutti gli elettori si riunirono sopra il nome di Andrea Contarini, che, reluttante, fu costretto dal Senato ad accettare la suprema dignità.

La pace che avea durato per alcuni anni non tardò ad essere turbata, ma nei primi tempi il successo delle armi fu favorevole ai veneziani. I Triestini ribelli, che avevano implorato soccorso dagli Austriaci, furono ridotti all'obbedienza: nella guerra col Signore di Padova, che aveva edificato due fortilizi minacciosi a Venezia, rimasero soccombenti le armi dei Carraresi unite a quelle del re d'Ungheria: ed anche ai Duchi d'Austria fu tolta la chiusa di Quero.

Ma le rivalità commerciali ed il desiderio di preponderanza in Oriente avevano gettato semi di discordia profonda fra Genova e Venezia. Nonostante le premure ed anche le minacce dei Pontefici, nonostante la coscienza dei mali gravissimi inevitabili da ambe le parti, ognuno si preparava per la guerra e cercava i propri alleati fra i nemici dello stato rivale. Il comando della flotta fu dato a Vettor Pisani, che da prima ebbe qualche successo, ma poi rimase completamente sconfitto dinanzi a Pola, così che l'armata genovese si avanzò terribile occupando Chioggia e minacciando nel cuore lo stato veneziano. Nel gravissimo pericolo i veneziani diedero splendidi esempi di amore alla patria; tutti gli uomini validi servirono colla persona e colle sostanze, le donne ebbero cura dei feriti, sacrificando gioje e monili. Liberato dal carcere Vettor Pisani, ritenuto dal popolo il più valente ammiraglio, richiamato Carlo Zeno dai lidi lontani, ove faceva sventolare gloriosamente lo stendardo di San Marco, il doge si pose a capo degli armati e dopo un lungo assedio riuscì a prendere prigioniero in Chioggia il presidio genovese. Finalmente il duca di Savoja offerse la sua mediazione, e dopo molte difficoltà, fu conclusa la pace in Torino col trattato 8 agosto 1381. Poco dopo moriva il doge Andrea Contarini, compianto da tutti e considerato sempre come uno dei più valorosi e sapienti principi veneziani.

Sotto l'aspetto economico e finanziario il tempo di Andrea Contarini e gli eventi della guerra di Chioggia offrono campo a studi ed osservazioni interessanti. I documenti contemporanei mostrano quali enormi sacrifici abbiano sopportato i cittadini veneziani e lasciano argomentare a quanta prosperità e ricchezza fosse giunta Venezia e come fossero perfezionati i meccanismi della sua amministrazione finanziaria. Gli stessi libri destinati a raccogliere soltanto le deliberazioni relative alla zecca ci conservano la memoria di alcuni provvedimenti eccezionali adottati in questi momenti di supremo pericolo della patria. Nel capitolare delle Brocche trovasi una terminazione del Senato del 14 aprile 1379 (1), che ordina a tutti i nobili ufficiali, giudici ed avvocati eletti dal Maggior Consiglio, o da altro Consiglio, di rinunciare alla totalità del loro stipendio ed a metà delle competenze inerenti alle cariche, mentre agli scrivani e notai di tutti gli uffici è imposto di lasciare la metà delle paghe e delle utilità: sotto la data del 9 luglio dello stesso anno (2) trovasi un ordine di prendere a mutuo i denari che sono fatti e si fanno in zecca, dando al possessore l'aggio dei ducati in ragione di 13 soldi, garantendo il pagamento col ricavo dell'imposta ordinata di 100,000 ducati.

Anche prima delle difficoltà gravissime, politiche e finanziarie che travagliavano Venezia in quest'epoca, si erano già manifestati i sintomi di un disagio monetario, che si aggravò cinquant'anni più tardi, e non fu risolto se non colla riforma del doge Tron e colla coniazione in argento della lira. Dell'apparizione di questo disagio e della ricerca del rimedio si scorgono i primi segni nella terminazione della Quarantìa del 12 settembre 1369 (3) dove, lamentandosi la scarsità della moneta nostra d'oro e d'argento ed osservandosi che la buona e pesante se ne va all'estero appena coniata, mentre resta in paese solo la vile e cattiva, si conchiude col nominare tre savi allo scopo di studiare e proporre i rimedi.

Probabilmente il parere dei savi fu di diminuire il peso dell'unità monetaria, perché questo appunto fu il provvedimento adottato dal Senato nella parte del 19 dicembre 1369 (4) con cui si regolava la coniazione dei soldini da farsi colla quinta parte dell'argento condotto a Venezia, la quale doveva essere consegnata dai mercanti alla zecca per riceverla ridotta in moneta. Da ogni marca si devono ricavare 14 e mezzo soldi di grossi invece di 13 e mezzo che se ne ottenevano da prima, ed ai mercanti devesi corrispondere 12 soldi e 3 grossi per marca, invece degli 11 e 3 grossi dati in passato. Affinché questi nuovi soldini si distinguano dagli antichi, si ordina di farli con quel conio che sarà scelto dal doge, dai consiglieri, dai capi della Quarantìa e dai savi. A questo scopo fu mutato il rovescio, ed il leone, invece che rampante, fu disegnato seduto, colle ali aperte in quella forma che era già in uso nei torneselli e che divenne una delle più caratteristiche rappresentazioni dell'araldica veneziana.

Questa legge doveva rimanere in vigore due anni, per esperimentarne gli effetti; ma soddisfatto del risultato, il Senato la confermava con decreto in data 16 dicembre 1371 (5).

Colla diminuzione della valuta erasi bensì impedita la emigrazione delle specie metalliche e si erano ottenuti altri vantaggi momentanei; ma si recava una sensibile alterazione al valore del grosso che, rimasto sempre eguale dai tempi di Enrico Dandolo, serviva di base a molte contrattazioni. Egli è perciò che il Maggior Consiglio (6) nel 27 dicembre 1375 votava una legge, colla quale, osservandosi che vi era molta confusione nelle commissioni dei Rettori, nei capitolari degli ufficiali e nei registri che conservavano le parti adottate nei Consigli, si nominavano cinque savi coll'incarico di esaminare questi libri e con facoltà di cancellare quelle disposizioni, il cui termine fosse spirato o che mancassero di efficacia e di valore, e di proporre quelle aggiunte e modificazioni che reputassero convenienti ed utili, ordinando che il partito proposto ed approvato dal Senato, avesse la stessa forza come se fosse emanato dal Maggior Consiglio. I cinque savi, valendosi di detta facoltà, nel 25 settembre 1376 annullarono il vecchio capitolare, che contava quasi un secolo di vita, ed ordinarono la compilazione di un nuovo, facendone annotazione e firmandosi assieme al notajo della curia Giovanni Vido (7).

Tolto così l'ultimo vincolo che aveva, relativamente all'intrinseco del grosso, una importanza legale e tradizionale, si pensò di riprenderne il conio, modificando il peso in proporzione a quello che si era trovato conveniente di fare per il soldo con nuova, sebbene piccola diminuzione. Un decreto del Senato, in data 4 maggio 1379 (8), ordina che la moneta coniata in zecca coll'argento dei quinti deposti dai mercanti, debba andare a 15 soldi di grossi per marca, invece che a 14 e 6 grossi, e che una metà debba coniarsi in soldini e l'altra metà in grossi somiglianti agli antichi. Tali grossi devono avere il valore di quattro soldini e la stessa bontà: sì gli uni che gli altri devono essere contraddistinti con una stella, che infatti è visibile in tutti i pezzi coniati dopo il 1379. Anche in questo decreto, come in quelli 8 aprile 1353 e 19 dicembre 1369, che ho a suo tempo riportati, il modo di calcolare la lira di grossi è sempre di 32 piccoli per grosso: con ciò, dopo che il grosso era stato valutato quattro soldi, si creava un grosso immaginario assai inferiore al grosso reale. Se infatti i grossi nuovi fossero stati coniati sulla stessa base del conteggio, e cioè a 15 soldi (180 pezzi) per marca, essi avrebbero pesato grani 25 e 60 centesimi per ognuno mentre invece pesano grani 38 e 40 centesimi, cioè colla proporzione di 120 pezzi per marca.

Questo fatto unitamente al prezzo del ducato, che per concordi testimonianze di cronisti contemporanei od assai vicini (9) si valutava Lire 3 e soldi 4 sino ai tempi della guerra di Chioggia, e cioè allo stesso prezzo nominale che aveva prima della riforma monetaria dei tempi di Andrea Dandolo, nella quale si portava il grosso a 48 piccoli, questo fatto, dico, ci dà la chiave della situazione monetaria di questo periodo e ci mostra che l'argento era cresciuto di pregio in confronto dell'oro, perché il ducato equivaleva bensì ad un numero eguale di lire, ma queste lire avevano solo due terzi dell'antico valore d'argento. Tale fu molto probabilmente il motivo che indusse il Governo ad aumentare nel 1353 il valore del grosso; tale probabilmente fu la causa della cessazione della battitura del grosso. In questo modo la lira di grossi valeva sempre 32 lire di piccoli, ed era sempre eguale a 10 ducati, consolidandosi l'uso di trattarla in oro: infatti non abbiamo memoria nel secolo XIV di lira di grossi uguale a 48 lire di piccoli, che si cominciò ad usare solo quando l'oro tornò aumentare, e ce ne fa fede il nome stesso di lira di grossi a oro, perché nel periodo dal 1350 al 1382, alla lira di grossi maggiore avrebbe spettato piuttosto il nome di lira di grossi ad argento, mentre in quel tempo l'argento di 240 grossi effettivi corrispondeva a 48 lire di piccoli, e 10 ducati invece corrispondevano a sole 32 lire di piccoli.

Sulla prima pagina cartacea della cronaca di Andrea Dandolo, codice del principio del secolo XV esistente nella Biblioteca di San Marco (10) che il Valentinelli dichiara vetus codex summo pretio habendus, si trova scritto da mano contemporanea o di poco posteriore alcune interessantissime notizie sull'oscillazione del valore del ducato negli anni 1380-1382, raccolte da un patrizio che esercitava la mercatura.

"El se fa nota come del 1380 fino al 1381 el ducato correva a L. 4 soldi 5 et da ottobre fino a decembre el corea L. 4 soldi 6.

Et dal 1381 da dì 3 lugio fino ai 8 luio 1382 corea Lire 4 soldi 2 piccoli 6 et Lire 4 soldi 2 piccoli 9 et poi adi 6 dito mese corea Lire 4 soldi 2 piccoli 6 et adi 11 corea L. 4 soldi 2 p. 3 et adi 23 pur del dito mese corea Lire 4 soldi 2 p. 8.

Del 1382, veramente el ducato corea dal dì 8 luio fino 25 dito L. 3 s. 19 p. 7, et da 25 fin tutto el mese L. 3 s. 19 p. 6, che è segno che el ducato non stava sempre ad uno segno, anzi se variava secondo li tempi il che si attrova notado in diverse parti di sopra i libri de merchadanti di quelli tempi".

Sebbene queste informazioni non si accordino con quelle tratte dalle cronache poc'anzi ricordate, mi sembra che si possano con esse conciliare e sieno quindi meritevoli di fede e di attenzione. Il prezzo di 3 lire e 4 soldi, è senza dubbio, il valore legale del ducato, valore mantenuto durante alcuni lustri, ed in questa circostanza, in cui si tratta di conservare la memoria dei prezzi dei commestibili durante la carestia, i cronisti ne fanno menzione speciale per mostrare di essersi basati sopra di un valore fisso e normale. Invece i vari prezzi segnati dal patrizio negoziante si riferiscono, secondo ogni probabilità all'aggio, che in tempi tanto calamitosi era naturale facesse la migliore moneta d'oro ricercata dai banchieri e dagli speculatori. Questo aumento di prezzo del valore del ducato è tanto più facile a spiegarsi, perché l'oro in quel tempo era assai basso relativamente all'argento, ed anzi cominciava a riprendere la via dell'aumento con quelle oscillazioni che accompagnano ordinariamente simili spostamenti di proporzioni monetarie.

Oltre agli importanti provvedimenti, che avevano lo scopo di regolare la moneta d'argento con notevoli mutamenti nel peso e nel tipo del grosso e del soldo, si trovano nei registri del Senato e nei capitolari dei magistrati, altri decreti di minore importanza, ma pur meritevoli di essere ricordati. È per esempio interessante la deliberazione del 18 gennaio 1378 (1379) che bandisce i Carrarini coniati di fresco a Padova (11), perché tale moneta est cum magna utlitate nostri inimici et damno terre nostre, e mostra quale era lo stato degli animi durante una guerra fraterna.

Nel capitolare dei massari all'oro, trovansi alcune altre disposizioni di ordine interno e tra esse le seguenti: 2 dicembre 1376 (12), si accorda agli ufficiali della zecca dell'oro di poter intervenire al Maggior Consiglio nelle feste solenni come è concesso agli ufficiali della zecca dell'argento: — 4 maggio 1379 (13), si incaricano gli ufficiali della moneta dell'argento di far cambiare ogni tre mesi i pesi dei ducati, e così pure devonsi visitare le bilance ed i pesi dei cambiadori a Rialto ed a San Marco; i pesi abbiano un bollo dal quale risulti che sono stati verificati: — 4 maggio 1379 (14), creazione di due nuovi massari all'argento col salario di ottanta ducati annui. — Finalmente il 16 settembre 1381 (15) una legge del Senato riduce gli stipendi di tutti i magistrati ed ufficiali dello stato; quelli degli addetti alla zecca restano modificati come segue: ai massari all'argento, invece di lire otto di grossi all'anno si danno lire sei, oltre gli utili consueti; a quello che fa i tornesi lire due di grossi, invece di quattro; al pesatore dei torneselli ducati cinquanta, invece di sessantacinque; all'altro pesatore lire quattro di grossi, invece di cinque; ai massari dell'oro lire sei di grossi, invece di dieci, e così al pesatore dell'oro.

Dalla gentilezza del cavalier Riccardo Predelli mi venne comunicato un documento assai importante per la storia delle imitazioni del ducato veneziano e tale da meritare di essere riportato:

"Exemplum litterarum missarum per dominum Ducam Crete. . .

Serenissime domine. Ducali Excellentie serie presentium patefiat quod die XXVIIII mensis septembris nuper preteriti nobilis vir Iohannes Moro, ambaxiator olim missus ad parte Theologi, redivit Candidam. Ipse enim ambaxiator, secundum quod scriptum et commissum sibi fuit, firmavit pacem cum domino illarum partium cum pactis et capitulis consuetis, et cum additionibus infrascriptis videlicet: quod idem dominus contentus fuit delere cunim ducatorum, et precipere quod in terris suis, vel aliqua ipsarum terrarum, non stampentur amplius ducati ad formam ducatorum vestrorum. Et hec promisit, attendere et observare con iuramento specialiter modo facto. . .

Date Candide, primo octubris, none Indictionis (1370)" (16).

Dominus Theologi era l'emiro di Aidin, nome dato dai mussulmani alla provincia dell'Asia Minore che comprende la maggior parte dell'antica Jonia ed una porzione della Lidia. Questo territorio formava, nel XIV secolo, uno dei dieci principati indipendenti in cui si smembrò il grande impero fondato dai Sultani Selgiucidi in Icona, per l'invasione dei Tartari Mongoli e la morte di Aladino (Ala-Eddyn III, 1299).

La capitale del principato era Theologo, l'antica Efeso, che aveva cambiato il suo nome in onore di San Giovanni apostolo detto dai greci il santo Theologo, [Greco[Aghiòs Theologòs]Greco] che i turchi, per difetto di pronuncia, cambiarono in Ayasoluk. Theologo fu nel medio evo una capitale fiorente ed un centro commerciale importante, frequentato principalmente dai Genovesi di Metelino e di Scio, e dai veneziani, che vi tenevano un console; menzionato dal Pegolotti che vi dedica parte d'un Capitolo (17) dove segna le derrate che vi si desiderano e le misure che vi si usano, chiamandolo col nome di Altoluogo di Turchia, con cui era conosciuto dai mercanti italiani.

Paolo Lambros in una sua pubblicazione stampata in Atene (18) e poscia riprodotta nella Revue Numismatique (19) ha fatto conoscere per la prima volta un gigliato anonimo coniato a Theologo: sono pur note monete dello stesso genere dei principi mussulmani di Magnesia e di Caria, ma nessuno sin'ora aveva sospettato che il ducato veneziano fosse stato anch'esso imitato in quelle regioni. Le monete preferite in levante e particolarmente nelle isole dell'arcipelago e sulle coste dell'Asia Minore, dove erano frequenti i contatti coi mercanti latini, erano in quel tempo i ducati di Venezia ed i gigliati napoletani che si imitavano nelle zecche di Cipro, di Rodi, di Mitilene e di Foglie. È noto che nel 1357 il senato di Genova, in seguito alle rimostranze dell'inviato veneziano, Raffaele Caresini, aveva scritto una lettera energica a Francesco Gattilusio signore di Mitilene, per fargli conoscere i lagni dei veneziani in causa delle monete d'oro coniate nei suoi possessi coll'aspetto del ducato, ma con metallo meno perfetto (20). Siccome l'esperienza c'insegna che le monete imitate in una zecca sono facilmente riprodotte in quelle dei paesi vicini, che si trovano nelle stesse condizioni geografiche ed economiche, così non deve sorprenderci che i principi mussulmani dell'Asia Minore, i quali non avevano respinta l'idea di porre la croce di Cristo sulle monete coniate per ordine loro, facessero disegnare sul ducato l'effigie del Redentore ed il principe inginocchiato dinanzi a San Marco. Resta ora a vedersi se di queste contraffazioni sieno rimaste le traccie, e quali tra i tanti ducati di origine manifestamente orientale possano ritenersi coniati a Theologo od Altoluogo.

[Nuova pagina]

MONETE DI ANDREA CONTARINI.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge, "A N D R punto CON T A R E N O", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M spazio V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, spazio QUAM spazio T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO".

Tavola XII, numero 9.

In alcuni esemplari sotto il braccio dell'evangelista, invece del solito punto, havvi una crocetta × che probabilmente è il segno del massaro.

Grosso, secondo tipo. Argento, titolo 0,952 (21) (peggio 55). Peso, grani veneti 38 e 40 centesimi (grammi 1,987).

2. Dritto. San Marco in piedi di fronte, disegnato come negli antichi grossi, porge il vessillo al doge di profilo, vestito con manto fornito di pelliccia ed il capo coperto dal berretto ducale, a sinistra dietro il doge "A N D R punto CON T A R E N O", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati". Nel campo a sinistra una stella di cinque raggi, a destra l'iniziale del massaro.

Tavola XII, numero 10.

3. Varietà nel Rovescio. "A N D R punto CON T A R E N".

Iniziali dei massari. "C, F, P".

In alcuni esemplari del grosso, sul rovescio, sotto il braccio del Redentore, si vedono tre anellini riuniti, in altri sul diritto una crocetta × presso al lembo del vestito del santo.

Soldino col leone rampante. Argento, titolo 0,965. Peso, grani veneti 10 e 66 centesimi (grammi 0,552).

4. Dritto. Il doge inginocchiato tiene con ambe le mani il vessillo "croce A N D R apostrofo CON spazio T A R spazio D V X".

Rovescio. Il Leone rampante, coll'orifiamma "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto", nel campo l'iniziale del massaro.

Tavola XII, numero 11.

Iniziali dei massari. "D, F, I, S, EZH CODA".

Soldino col leone seduto. Argento, titolo 0,952 (peggio 55). Peso, grani veneti 9 e 93 centesimi (grammi 0,513), legge 19 dicembre 1369.

5. Dritto. Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo "punto croce A N D R apostrofo CON spazio T A R apostrofo spazio D V X", nel campo, dinanzi al doge l'iniziale del massaro.

Rovescio. Leone accosciato sulle zampe posteriori, tenendo nelle anteriori il vangelo, il tutto chiuso in un cerchio, attorno "croce S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XII, numero 12.

Iniziali dei massari. "B, C, D, F".

Soldino col leone seduto e la stella. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 9 e 60 centesimi (grammi 0,496), legge 3 maggio 1379.

6. Dritto. Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo "croce A N D R punto CON spazio T A R punto D V X", nel campo dinanzi il doge una stella, dietro il doge l'iniziale del massaro.

Rovescio. Come al numero 5. "croce S punto M A R C V S punto V E N E
T I punto".

Tavola XII, numero 13.

Iniziali dei massari. "C, F, I, P".

La stella posta nel campo del Diritto è talora di cinque raggi, ma più spesso di sei. In molti esemplari del soldino col leone alato, tanto di quelli descritti al numero 5 che al numero 6, si trovano delle crocette × e dei gruppi di anelli che sostituiscono i punti nell'iscrizione del Rovescio.

Tornesello. Mistura, titolo 0,111 (peggio 1024) (22). Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

7. Dritto. Croce patente "croce punto A N D R apostrofo spazio CON T A R apostrofo spazio D V X punto".

Rovescio. Leone accosciato col vangelo fra le zampe anteriori "croce
V E X I L I F E R punto V E N E C I A, RUM TONDA, punto".

8. Varietà nel Rovescio. "V E X I L I F E R punto V E N E T I A, RUM TONDA".

Tavola XII, numero 14.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI ANDREA CONTARINI.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 650-652, numero XV; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 48, tavola XXXVIII, numero XV.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 415, tavola VI, numero XI.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 103 e 109, numero XXI; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30 t. e 32, numero XXI. — Dissertazione III, Ferrariæ, 1774, pagina 98, tavola XIX, numero 1. — Dissertazione IV, Ferrariæ, 1779, pagina 88-89, tavola XIV, numero 1.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, Supplément, 1769, pagina 78.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 173 e 174, numeri LXII, LXIII, LXIV, LXV, LXVI e LXVII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1124-1125, numeri 3931, 3932, 3933 e 3934.

ZON A. — Opera citata, pagina 23, 30 e 34.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 19 (259 a 275) e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione, etc. Opera citata, pagina 32 e 39.

LAZARI V. — Opera citata, pagina 70 e 169, tavola VI, numero 29.

KUNZ C. — Catalogo citato, pagina 9.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 6.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LX.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LX.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 17-18 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 229, 231 e 254. Volume V, 1873, pagina 202-203.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 473, tavola XVIII, numero 7.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 20-21 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 101, Tomo XIII, pagina 147, Tomo XXI, pagina 136 e Tomo XXII, pagina 292, — terza edizione, 1881, pagina 17, 89, 334 e 356.

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NOTE A "ANDREA CONTARINI".

(1) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Broche, carte 3.

(2) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Broche, carte 3 tergo.

(3) Regio Archivio di Stato. Quarantia Criminale, Parti registro II, carte 85 (153).

(4) Documento XIV.

(5) Regio Archivio di Stato, Senato, Misti, re. XXXIII, carte 144 tergo.

(6) Documento XV.

(7) Documento IV.

(8) Documento XVI.

(9) In una cronaca anonima dei primi anni del secolo XV, conservata nella Regia Biblioteca di San Marco (Codice 324, classe VII, Ital.), che arriva sino all'anno 1385 si trovano le seguenti notizie all'anno 1382.

Et in Venetia el si haveva pagado

el ster de formento grosso ducati 5, a lire 3 soldi 4 per ducato.

el ster de megio ducati 2 men soldi 8

el sorgo ducati 1 e soldi 36 e cuxì le cexere

el vin de Marcha e Romania la quarta ducati 4 men soldi 16

la ribuola ducati 2 soldi 12

el vin terran ducati 2 men soldi 8

el miro de oio ducati 3 soldi 14, la lira soldi 8

le legne ducati 2 men soldi 8 el caro

la carne salada soldi 8 la lira

la fresca soldi 6

el formazo dolze soldi 10 la lira, el salado soldi 7

el sal soldi 6 el quartarol

le carobe ducati 2 soldi 12 el ster

le castegne soldi 6 la lira

le ceriexe soldi 4 la lira

i pomi soldi 3 la lira

le rave march. (marchetti) 4 el 100

i ravaneli soldi 2 l'uno

le lentize soldi 2 el torso

le zevole soldi 2 l'una

l agio soldi 12 al cento

i meloni soldi 6 l'uno

i cogumori soldi 2 l'uno

le fige fresche 3 al soldo

le limone soldi 2 l'uno.

Altre cronache della stessa epoca riproducono le stesse informazioni con poche differenze: ma il valore del ducato è sempre a 3 lire e 4 soldi.

(10) Regia Biblioteca di San Marco. Codice CCLIX, Classe X lat.

(11) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 2 tergo.

(12) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XXXV, carte 142 tergo. — Capitolare dei massari all'oro, cap. LIX, carte 22 tergo.

(13) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XXXVI, carte 78. — Capitolare dei massari all'oro, cap. 63, carte 24.

(14) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XXXVI, carte 77 tergo. — Capitolare dei massari all'oro, cap. 68, carte 27 tergo.

(15) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XXXVII, carte 4. — In parte riportata nel Capitolare delle Brocche, carte 4.

(16) Regio Archivio di Stato, Commomoriale VII, carte 145 tergo.

(17) Pegolotti F. B. Opera citata, pagina 40 a 42.

(18) [Greco[ Pàulos Làmpros, Anékdoton nomìsma Sarukhàn émiron tes Ionìas kopèn èn Efèso. En Athenàis ]Greco], 1870.

(19) Revue Numismatique, nouvelle serie, tomo XIV, pagina 335-343, Paris 1869-1870.

(20) Nani Bernardo, De duobus imperatorum Rasciæ nummis, Venezia, 1752, pagina 25.

(21) L'esame chimico fatto dai Morin Frères di Parigi dà il titolo di 0,951 con 0,002 di oro.

(22) L'esame chimico fatto dall'ufficio del saggio di Venezia dà il titolo 0,112.

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MICHELE MOROSINI.
DOGE DI VENEZIA.

1382.

Compiute le solenni esequie di Andrea Contarini, fu elevato alla suprema dignità dello stato Michele Morosini, uomo danaroso, che era stato uno degli ambasciatori della Repubblica alla pace di Torino. Non ebbe il tempo di fare cose memorabili durante il suo principato, perché venne a morte pochi mesi dopo, nella terribile pestilenza che colpì in quel tempo Venezia e ne decimò la popolazione.

Le monete di questo doge sono assai ricercate in causa della brevità del suo regno, e più di tutte è raro il grosso, del quale ignoravasi l'esistenza fino a pochi anni fa.

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MONETE DI MICHELE MOROSINI.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "M I C h, L SEGNO, punto M A V R O C", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, spazio QUAM spazio T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO".

Tavola XIII, numero 1.

Sotto il braccio dell'evangelista in alcuni esemplari vi è una crocetta semplice × in altri una croce con doppia linea trasversale.

Grosso, secondo tipo. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 38 e 40 centesimi (grammi 1,987).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "M I C h L punto M A V R O C", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati". Nel campo a sinistra una stella di cinque punti, a destra l'iniziale del massaro.

Museo Bottacin.

Tavola XIII, numero 2.

Principe Ernesto di Windischgrätz.

Iniziale del massaro. "P".

Soldino. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 9 (grammi 0,496).

3. Dritto. Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo "croce M I C h, L SEGNO, spazio M A spazio V R O C spazio D V X", nel campo dinanzi al doge una stella di sei raggi, dietro il doge l'iniziale del massaro.

Rovescio. Leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori "croce punto S punto M A R C V S, tre anelli, V E N E T I, tre anelli".

Tavola XIII, numero 3.

Iniziali dei massari. "F, P".

Tornesello. Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

4. Dritto. Croce patente "croce M I C h L apostrofo punto M A V R O C apostrofo spazio D V X".

Rovescio. Leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori "croce
V E X I L I F E R punto V E N E T I A, RUM TONDA".

Tavola XIII, numero 4.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI MICHELE MOROSINI.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 275.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 21 (276 a 282) e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione etc. Opera citata, pagina 39.

LAZARI V. — Opera citata, pagina 70 e 169.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 6.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LXI.

Numismatica Veneta. — Opera citata, Doge LXI.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 18 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 231 e 254.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 273, tavola XVIII, numero 8.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 21 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 101, Tomo XXI, pagina 136 e Tomo XXII, pagina 292, — terza edizione, 1881, pagina 17, 334 e 356.

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ANTONIO VENIER.
DOGE DI VENEZIA.

1382-1400.

Morto Michele Morosini, fu eletto a succedergli Antonio Venier, che si trovava capitano in Candia. Tutti gli sforzi di lui furono diretti a riparare i danni causati da guerre lunghe e disastrose, ed a ristorare il commercio e le industrie veneziane, nobile missione in cui fu secondato dal favore degli avvenimenti. Il più fiero e potente nemico della repubblica, Lodovico re di Ungheria, venne a morte, e le lotte cagionate dalla sua successione liberarono Venezia da ogni pericolo da quella parte. In Oriente si rinnovò la tregua coll'imperatore e si cercò di ricuperare alcuni punti importanti, riuscendo ad innalzare la bandiera di San Marco a Napoli di Romania, ad Argo, a Corfù, e, nell'Adriatico, a Scutari e a Durazzo.

Nella terraferma vicina dava non poca ombra alla Repubblica, Francesco da Carrara, sempre potentissimo, che aveva comperato dal duca Leopoldo d'Austria il Trevigiano, e sosteneva il patriarca di Aquileja nominato dal Papa, che gli Udinesi ed il Parlamento friulano non volevano riconoscere. I Veneziani naturalmente parteggiarono coi signori del Friuli, ed alleati con Giangaleazzo Visconti tolsero ogni dominio al Carrarese, recuperando il possesso di Treviso e del suo territorio. Così Antonio Venier, morendo nel novembre 1400, dopo dieciotto anni di regno lasciava Venezia in uno stato di prosperità e di pace.

Anche il lavoro della zecca fu molto attivo in quest'epoca fortunata, e possiamo riconoscere dai documenti contemporanei la cura amorosa con cui si trattavano dai governanti gli affari relativi alla moneta ed al commercio dei metalli preziosi. Si conoscono i provvedimenti legislativi intesi a perfezionare i congegni amministrativi ed a curare l'esatto adempimento delle molte prescrizioni e cautele, che per essere troppo minuziose e complicate, cadevano facilmente in dissuetudine. Sono interessanti a vedere le precauzioni dirette ad impedire gli abusi, a frenare le spese, ad aumentare i redditi dello stato, e così pure le pene severe minacciate a coloro che trasgredissero le leggi o cercassero di frodare lo stato per favorire i mercanti che portavano oro ed argento in zecca per farne moneta o per ridurlo in verghe, che nei documenti veneziani sono chiamate pezze. Era prescritto che gli ufficiali della zecca, dovessero fare con diligenza i pesi dei metalli in tutte le varie trasformazioni, registrandoli di volta in volta su appositi quaderni, rendendo conto della gestione agli ufficiali delle Ragioni alla fine del loro turno, che si chiamava quindicina, perché originariamente durava quindici giorni. Volevasi sopratutto mantenuta nell'oro quella purezza che ai ducati coniati a Venezia dava una fama di superiorità durata fino ad oggi. A questo scopo la Quarantìa deliberava, nel 16 luglio 1394, alcuni provvedimenti che formano i capitoli dal LXXI all'LXXXIV del capitolare dei massari all'oro (1), i quali si occupano delle fusioni, degli assaggi, dei cimenti e dei pesi dell'oro e dei ducati. Analoghe disposizioni sono ordinate anche per l'argento, affinché le prove e gli assaggi sieno fatti con diligenza e sicurezza, in un decreto del 16 novembre 1400 (2), il quale comincia colle seguenti sagge parole: Abudo respeto che una peza bolada de la bolla de san Marcho vien ad esser moneda chuniada etc. Dallo stesso documento rileviamo che il titolo del grosso e dell'argento era disceso a peggio 55 e cioè a 0,952; ma questo peggioramento datava già dall'epoca dell'abolizione dell'antico capitolare dei massari alla moneta e dalla coniazione del nuovo grosso durante il principato di Andrea Contarini.

Troviamo anche due deliberazioni del Maggior Consiglio, 26 settembre 1389 (3) e 5 luglio 1395 (4), relative alle nomine dei massari all'argento, colle quali si permette la conferma, dopo i due anni di carica, di questi gentiluomini senza la prescritta contumacia, purché, provati in Quarantìa, ottengano più della metà dei voti, e ciò allo scopo di avere persone esperte e pratiche; ma contemporaneamente si ordina ai provveditori del Comune ed agli ufficiali delle Ragioni, di investigare sulla loro condotta e sugli utili ricavati dalla zecca durante la loro amministrazione, riferendo ogni cosa al Consiglio prima della votazione.

I primi decreti emanati dal Senato dopo l'elezione di Antonio Venier, in rapporto alla fabbricazione della moneta, trattano di quanto si doveva dare ai mercanti in compenso della quinta parte dell'argento portato in zecca per essere affinato e ridotto in verghe o pezze. Tale quinto doveva essere monetato, ed era sino allora rimborsato con 14 soldi di grossi per ogni marca, mentre il decreto 13 gennaio 1384 (1385) (5) ordina che la zecca paghi 13 e mezzo soldi di grossi per marca, ed un secondo del 2 gennajo 1385 (1386) (6) soltanto 13 soldi e 3 grossi, e che tutto l'utile ricavato sia versato al tesoro per le spese delle guerre. Ma queste disposizioni, che rendevano meno vantaggiosa la speculazione dei mercanti, avevano diminuito il lavoro delle officine, per cui la Quarantìa nel 1 agosto 1387 (7), allo scopo di favorire la coniazione dei grossi e per vantaggio degli operai, concede ai possessori di argento franco di bolla di far coniare qualunque quantità di grossi, ricevendo per marca 14 soldi, 8 denari di grossi e 20 piccoli, esclusi da questo beneficio i banchieri, coloro che acquistano argento agli incanti, ed i forestieri.

Erano di grave danno in quel momento al commercio ed alle finanze dello stato alcuni inconvenienti nella circolazione monetaria, di quelli che si verificarono in tutti i tempi, e cioè le monete false, quelle pur genuine che venivano tosate o stronzate, e finalmente l'artificio di alcuni speculatori, che sceglievano le monete più pesanti per fonderle, lasciando in circolazione le più leggere.

Ai danni provenienti dalle monete false e dalle stronzate, erasi molte volte tentato di provvedere con minuziosa sorveglianza e colla minaccia di gravi pene, ed anche nel 12 novembre 1389 (8) si cercò di incoraggiare lo zelo degli ufficiali che dovevano investigare sopra tali faccende presso i banchieri ed i cambisti, coll'aumentare la quota di utile che spettava loro nelle pene pecuniarie e colla proibizione di condonare tali multe. Nel 19 maggio 1391 (9) si ordina che tutte le monete false, le quali venissero presentate alle casse pubbliche, sieno tagliate in quattro pezzi, e quelle stronzate sieno tagliate in due; queste ultime poi si potevano portare alla zecca, che rimborsava l'argento con 14 soldi, 8 denari di grossi e 20 piccoli per marca.

Allo scopo di impedire che le monete più pesanti fossero distrutte con danno del pubblico e dell'erario, il Senato nel 30 maggio 1391 (10) delibera che un solo peso regoli tutti i soldi colla maggior esattezza possibile, e questo sia tale che da ogni oncia si debbano tagliare 62 pezzi. Il valore della marca potrà oscillare fra lire 24 soldi 16 e lire 25 soldi 4, distruggendo tutte le fusioni che eccedono questi limiti, ed ordinando di porre un punto sovra ogni conio per poter conoscere il gastaldo responsabile del peso. Siccome poi con tale disposizione i soldini si trovavano più leggeri in proporzione dei grossi, la Quarantìa ordina che a quelli che portano le monete tagliate alla zecca per deficienza di peso si dia 14 soldi 8 grossi e 20 piccoli, se si paga in grossi; ma pagando in soldini, si dia 15 soldi e 3 grossi (11). La legge del 30 maggio però non era di possibile esecuzione, e la zecca protestava di non poter fare i soldi tutti eguali, per cui nell'11 luglio 1391 (12) il Senato vota che la tolleranza nel taglio sia portata fra i 62 ed i 65 pezzi per oncia, e tutta la fusione debba dare un peso che oscilli fra 63 e 64; ma anche questo era troppo difficile in pratica, per cui il Senato nuovamente si raccoglie nel 20 luglio (13) e delibera che da un'oncia d'argento non si taglino meno di 61, né più di 66 soldi, e che il valore di ogni marca stia fra lire 25 e 6 soldi, e lire 25 e 10 soldi.

In seguito a queste disposizioni, che avevano per risultato una leggera diminuzione nel peso dei soldini, il valore del grosso era diventato esuberante, per cui il Senato, allo scopo di trattenere in paese la moneta d'oro, fu costretto a ridurre anche il peso del grosso. Un decreto in data 4 giugno 1394 (14) ordina che i grossi sieno fabbricati allo stesso titolo, colle stesse prescrizioni e con un peso proporzionato a quello dei soldini, in modo che da una marca si ottengano da 126 e mezzo a 127 e mezzo pezzi, lasciando ad un collegio la scelta del conio, affinché si distinguano i vecchi dai nuovi grossi. Raccoltisi il giorno dopo il doge, i consiglieri, i capi, i savi ed i provveditori del Comune, che componevano il collegio, deliberano che i grossi sieno coniati con lettere e stelle secondo il modello presentato, come vediamo ricordato (15) nel capitolare delle Brocche.

È questo il terzo tipo del grosso che, attorno alla figura del Redentore seduto in trono, ha le parole "T I B I spazio L A V S spazio E T spazio G L O R I A"; ma non fu l'ultima diminuzione di peso di questa nobile moneta, nemmeno in questo secolo, giacché il 7 ottobre 1399 (16) si deliberò che, invece di 127 grossi, se ne ricavassero 131 circa da ogni marca, come era già la pratica da due anni, e si diminuì in proporzione il peso dei soldini, in modo che quattro soldini equivalessero ad un grosso.

La coniazione dei torneselli per l'Oriente era assai copiosa durante il principato di Antonio Venier, ed arrivava a dodicimila marche per anno, del valore di quattordici mila ducati, come rileviamo da un documento del 25 gennaio 1385 (1386) (17), il quale destina tutto l'utile ricavato da tale gestione, che si valutava un terzo del valore, alle spese della guerra nel Veronese e nel Friuli. Meno abbondante deve essere stata la coniazione dei piccoli oggi difficili a ritrovarsi; un decreto dei Pregadi del 4 giugno 1385 (18), lamentando le invasioni di piccoli pessimi e rei forestieri, ordina che un maggior numero di operai sia destinato alla fabbricazione di tali monetine coniate secondo una legge del 4 maggio 1379, che fissava la lega dei piccoli 1 oncia e 16 carati d'argento, 6 once 3 quarti e 20 carati di rame, ed il ricavo di soldi 3 denari 1 e mezzo di grossi per marca, e cioè 1200 pezzi. Per diffonderli nel pubblico si ordina che, nei pagamenti dei quinti dell'argento, un soldo di grosso sia rimborsato in piccoli, e si bandiscono contemporaneamente i piccoli forestieri che devono essere tagliati e distrutti. Nel 29 aprile 1390 (19) la Quarantìa limita a soli 9 grossi di piccoli ciò che si deve dare in moneta minuta nel pagamento di quinti, e trovando decoroso di avere piccoli del nostro stampo, ordina che debbano essere coniati in quella forma e dimensione che sarà ordinata dalla Signoria. La Signoria esaurisce tale mandato nell' 8 giugno 1390 (20) ordinando agli ufficiali della moneta di fare i piccoli in ragione di 10 soldi e con 16 carati d'argento per oncia, cioè più pesanti, ma meno buoni dei precedenti; pesano infatti grani 4 e otto decimi invece di 3 e 84 centesimi, e contengono 128 carati d'argento invece dei 160 per marca, che avevano secondo le proporzioni indicate dal decreto del 4 giugno 1385.

Oltre alle notizie relative alla fabbricazione delle monete, possiamo conoscere dai documenti dell'epoca come si pagavano gli operai, e la cura costante di dar loro occupazione, quando per circostanze imprevedute diminuiva o mancava il lavoro. Rileviamo pure le competenze degli ufficiali e degli operai, e le modificazioni portate dai tempi e dalle circostanze, nonché le paghe ed i nomi degli intagliatori della zecca, che non è senza utilità ricordare. Nel 21 dicembre 1391 (21) il Maggior Consiglio accorda 50 ducati annui di salario ad Antonio dalle forbici, che lavora da 16 anni facendo ferri a moneta pro fabbricandis monetis, ed anticamente aveva 60 ducati, ridotti a 40 per la guerra di Genova. Nel 31 marzo 1394 (22) lo stesso Maggior Consiglio concede il salario di 20 ducati all'anno a Lorenzo e Marco di Bernardo Sesto intagliatori di ferri da monete, che si adoperano per coniare grossi, soldini, piccoli e tornesi: — nel 13 settembre dello stesso anno (23), lo aumenta a 30 ducati annui per ognuno, in vista del gravoso lavoro quotidiano.

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MONETE DI ANTONIO VENIER.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge, "A N T O apostrofo punto V E N E R I O", lungo l'asta "D V X", dietro il santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto Q apostrofo spazio T V spazio R E G I S punto I S T E spazio D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola XIII, numero 5.

Sotto il braccio dell'Evangelista in alcuni esemplari vi è un grosso punto, negli altri una crocetta ×.

Grosso, secondo tipo. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 38 e 40 centesimi (grammi 1,987).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "A N T O apostrofo spazio V E N E R I O", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono "I C sopralineati, spazio, X C sopralineati". Nel campo a sinistra una stella di cinque punti, a destra l'iniziale del massaro.

Tavola XIII, numero 6.

Iniziali dei massari. "F, I, OI, P, R".

Grosso, terzo tipo. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 36 e 28 centesimi (grammi 1,877), legge 4 giugno 1394 e grani Veneti 35 e 17 centesimi (grammi 1,820), legge 7 ottobre 1399.

3. Dritto. San Marco in piedi di fronte porge il vessillo al doge di profilo, entrambe le figure disegnate come nel grosso del secondo tipo. A destra ed a sinistra, nel campo tra le figure e l'iscrizione, due stelle di sei raggi; dietro il doge "A N T O punto V E N E R I O", lungo l'asta "D V X", dietro il santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono, attorno "punto croce punto T I B I punto L A V S punto spazio punto 7 punto G L O R I A punto".

Tavola XIII, numero 7.

Soldino, colla stella dinanzi alla figura del doge. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 9 e 60 centesimi (grammi 0,496).

4. Dritto. Il doge in piedi, tiene con ambe le mani il vessillo "croce A N T O punto V E N spazio E R I O spazio D V X", nel campo, dinanzi al doge, una stella di sei raggi, dietro al doge l'iniziale del massaro.

Rovescio. Leone accosciato che tiene il vangelo tra le zampe anteriori "croce punto S punto M A R C V S, tre anelli, V E N E T I, tre anelli".

Tavola XIII, numero 8.

Iniziali dei massari. "C, F, OI, P, R".

Soldino, colla stella dietro la figura del doge, sopra l'iniziale. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 9 e sette centesimi (grammi 0,469), legge 20 luglio 1391, e grani veneti 8 e 79 centesimi (grammi 0,454), legge 7 ottobre 1399.

5. Dritto. Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo "croce punto A N T O punto V E N spazio E R I O punto D V X punto", nel campo dietro il doge l'iniziale del massaro, sormontata da una stella di sei raggi.

Rovescio. Leone accosciato sulle zampe posteriori, tenendo nelle anteriori il vangelo, il tutto chiuso in un cerchio "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XIII, numero 9.

Iniziali dei massari. "A, C, F, I, OI".

In alcuni soldini manca la stella che sta sopra l'iniziale del massaro.

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,138 (peggio 992). Peso, grani veneti 3 e 84 centesimi (grammi 0,198), legge 4 giugno 1385, e titolo 0,111 (peggio 1024). Peso, grani veneti 4 e 80 centesimi (grammi 0,248), legge 9 aprile 1390: scodellato.

6. Dritto. Croce in un cerchio "croce A N T punto V E spazio D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce, S ruotata, M A R C V, S ruotata".

Tavola XIII, numero 10.

Tornesello. Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

7. Dritto. Croce patente "croce punto A N T O apostrofo spazio V E N E R I O punto D V X punto".

Rovescio. Leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori "croce punto V E X I L I F E R punto V E N E T I A, RUM TONDA".

Tavola XIII, numero 11.

[Nuova pagina]

OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI ANTONIO VENIER.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 415, tavola IX, numero VIII.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 104 e 109, numeri XXII e XXIII; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30 t. e 32, numeri XXII e XXIII. — Dissertazione II, Ferrariæ, 1767, pagina 133, 135, numero I e II. — Dissertazione IV, pagina 89, tavola XIV, numero 2.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 276.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 174-175, numeri LXVIII, LXIX, LXX, LXXI, LXXII e LXXIII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1125-1126, numeri 3935, 3936 e 3937.

GEGERFELT (VON) H. G. — Opera citata, pagina 8-9.

Trésor de numismatique etc. — Opera citata, pagina 61, numero 5, Tavola XXX, numero 6.

ZON A. — Opera citata, pagina 22, 23 e 31.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 23 (283 a 297) e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione etc. Opera citata, pagina 39.

LAZARI V. — Opera citata, pagina 70-71 e 169.

KUNZ C. — Catalogo citato, pagina 9.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 7.

Biografia dei Dogi. — Opera citata, Doge LXII.

Numismatica Veneta. — Opera citata, Doge LXII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 18-19 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata, — Numismatische Zeitschrift, Volume III, 1871, pagina 228, 229, 231 e 254, Volume V, 1873, pagina 203- 205.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 473, tavola XVIII, numero 9.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagine 21-22 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagine 101-102, Tomo XXI, pagina 136 e Tomo XXII, pagina 292, — terza edizione, 1881, pagine 17, 18, 334 e 356.

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NOTE A "ANTONIO VENIER".

(1) Biblioteca Papadopoli, Capitolare dei massari all'oro, carte 28 tergo e seguenti.

(2) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XLV, carte 39 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 10 tergo.

(3) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Leona, carte 33 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 6. — Capitolare dei Massari all'argento, carte 36 tergo.

(4) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Leona, carte 79. — Capitolare delle Brocche, carte 9 tergo. — Capitolare dei Massari all'argento, carte 37 tergo.

(5) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XXXIX, carte 34. — Capitolare delle Brocche, carte 4 tergo.

(6) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XL, carte 18. — Capitolare delle Brocche, carte 5 tergo.

(7) Regio Archivio di Stato. Quarantia criminale, Parti, registro 3, II parte, carte 80. — Capitolare delle Brocche, carte 5 tergo.

(8) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LXI, carte 46 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 6 tergo.

(9) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 7.

(10) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LXI, carte 141. — Capitolare delle Brocche, carte 7 tergo.

(11) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 7 tergo. (9 giugno 1391).

(12) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XLII, carte 8. — Capitolare delle Brocche, carte 8.

(13) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XLII, carte 13. — Capitolare delle Brocche, carte 8.

(14) Documento XVII.

(15) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 8 tergo.

(16) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XLIV, carte 128. — Capitolare delle Brocche, carte 10.

(17) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XL, carte 16. — Capitolare delle Brocche, carte 5 tergo.

(18) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XXXIX, carte 87 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 5.

(19) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 6 tergo.

(20) Regio Archivio di Stato. Collegio, Notatorio, registro IV, carte 164 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 6 tergo,

(21) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Grazie, registro XVIII, carte 25. — Capitolare delle Brocche, carte 8.

(22) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 9.

(23) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, Grazie, registro XVIII, carte 84 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 9.

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MICHELE STENO.
DOGE DI VENEZIA.

1400-1413.

Il principato di Michele Steno fu ricco di memorabili avvenimenti e di gloriosi fatti d'armi, tanto in mare, quanto in terra ferma. Fra Modone e Zanchio, in prossimità della Morèa, le navi di Carlo Zeno si scontrarono con quelle capitanate da Boucicault governatore di Genova pel re di Francia, con vantaggio dei Veneziani, che ottennero 180.000 ducati in compenso dei danni recati dai Genovesi a Bairut, Famagosta e Rodi.

Francesco II Novello di Carrara, approfittando della debolezza della vedova di Giovan Galeazzo Visconti e della reggenza che governava il ducato, cercò di farne suo pro, ed alleato con Guglielmo della Scala prese possesso di Vicenza e di Verona. I Veneziani, chiamati in aiuto dalla duchessa di Milano, non si lasciarono sfuggire questa occasione di abbassare la potenza del Carrarese e di vendicare le offese patite. La guerra fu lunga ed accanita, ma finalmente i Veneziani si impadronirono di Padova (1405) imprigionarono i Carraresi e li condannarono a morte, giudizio severo ma conforme allo spirito dei tempi ed alla ragione di stato.

Venezia divenne in tal modo uno degli stati più potenti d'Italia, anche per la estensione dei suoi possessi in terra ferma, che comprendevano presso che tutto il Veneto colle città di Verona, Vicenza, Rovigo, Padova, Treviso, Feltre e Belluno. Ricomprò Zara da Ladislao di Napoli mediante l'esborso di 100.000 fiorini d'oro, ma ciò fu causa di guerra con Sigismondo imperatore e re d'Ungheria, guerra funesta al Friuli ed al Trivigiano, ove fu strenuamente combattuta, e finita colla tregua del 1413, quando i due belligeranti furono esausti di uomini e di denari.

Anche in questo periodo la zecca fu operosa e non mancano i documenti. Trascurando alcuni provvedimenti di lieve importanza, ricorderò che nel 16 giugno 1404 (1) fu abolito il massaro ai torneselli e dato l'incarico di sorvegliare quella fabbricazione ai massari dell'argento.

L'argento scarseggiava sebbene non crescesse di pregio, perché una legge votata dal Senato il 10 maggio 1407 (2) dietro proposta dei Savi sopra la mercanzia, lamenta che l'argento solito ad essere portato a Venezia, abbia presa altra via, per la preferenza data in Oriente al ducato d'oro. Allo scopo di richiamare alla dominante questa merce, da cui traggono non poco utile i privati e lo stato, si concede ai cittadini e forestieri che portano argento in zecca di poter coniare coll'argento franco, avente la bolla di San Marco grossi o soldini a piacimento, ricevendo peso per peso verso il solo indennizzo delle spese di fabbricazione calcolate nel modo più limitato. Nello stesso decreto il taglio dei grossi, ed in proporzione quello dei soldini, viene portato a 136 pezzi per marca, con nuova e sensibile diminuzione. Si concede pure a tutti, cittadini e forestieri di esportare l'argento da Venezia per la via di terra, purché una quinta parte sia lasciata in zecca; alle stesse condizioni è permesso ai forestieri di esportare l'argento per la via di mare, ma solo per le parti di ponente, mentre i Veneziani possono navigare per le parti di ponente e di levante e prendere argento senza lasciarne alcuna quantità in zecca.

L'anno dopo, 16 giugno 1408 (3), allo scopo di conservare a Venezia ed alla zecca le utilità del commercio dell'argento, si proibisce ai cittadini sudditi e fedeli di portare argento, se non tolto a Venezia, e si ordina che da nessun luogo del golfo si possa levare argento se non per condurlo a Venezia.

Per le provincie di terra ferma nuovamente aggregate alla repubblica troviamo un complesso di provvedimenti rivolti a regolare il corso dei valori usati nei territori di Verona e Vicenza ed a stabilire il rapporto colle monete veneziane e con quelle estere, che vi si trovavano in circolazione. Con un decreto del 14 febbraio 1404 (1405) (4) si ordina, che in tutti i livelli, pensioni ed ogni altro debito, il grosso debba essere ricevuto per 3 soldi, il mezzanino per 1 soldo, ossia dodici denari, ed il soldo nostro (veneziano) per nove denari. Ciò dimostra che a Verona ed a Vicenza duravano la antica lira e l'antico soldo, mentre nei territori di Padova e di Treviso adoperavasi lo stesso conto e la stessa moneta di Venezia ridotta di un quarto all'epoca di Andrea Dandolo. Infatti la lira veronese valeva un terzo più della veneziana ed ebbe per lungo tempo tale valore, che fu ridotto in moneta effettiva nel bellissimo testone di Massimiliano imperatore, coniato in quella città, il quale pesa un terzo più del mocenigo: se ne conservò la memoria negli antichi contratti e nelle contabilità fino a mezzo il secolo XVII, come pure negli antichi libri di aritmetica e di commercio sempre nella stessa proporzione di quattro a tre (5).

Nello stesso giorno (6) si ordina ai massari la coniazione del mezzanino, il quale doveva pesare un terzo del grosso ed avere in proporzione il valore di 16 piccoli, moneta che fu richiamata in vigore per rappresentare il soldo veronese. Con altro decreto in pari data (7) si ordina ai massari di fabbricare piccoli della stessa lega dei torneselli, in modo che da ogni marca se ne cavino 770 pezzi, 12 dei quali abbiano il valore di un soldo a Verona e Vicenza. Tale deliberazione corrisponde ai conti, che si trovano nel Capitolare delle Brocche nella data del 19 settembre 1405 (8) per le spese necessarie a fabbricare monete per Verona, ed all'aumento di salario al maestro Marco da Sesto (9) (29 settembre 1405) perché incida gli stampi delle monete da coniarsi in zecca per Verona e Vicenza. Ora tre monete vengono nominate in quel conto; la prima d'argento, che non può essere se non il mezzanino di cui abbiamo parlato poc'anzi; la seconda è un quattrino, di cui non conosciamo l'esistenza e che probabilmente non fu coniato, perché non è nominato nei decreti surriferiti; la terza è il piccolo, e cioè quella monetina che nel diritto porta la croce perlata a lunghe braccia, che divide a due a due le lettere dell'iscrizione col nome del doge, e nel rovescio una testina di San Marco colle solite parole "S punto M A R C V S spazio V E N E T". Per l'aspetto e per il peso essa corrisponde a quella indicata nel decreto 14 febbrajo 1405, perché ha lo stesso colore del metallo dei torneselli e pesa poco meno di 6 grani veneti, che è quanto si ottiene dividendo per 770 i 4608 grani che compongono la marca.

Il valore di un soldo veronese dato al mezzanino risorto nella zecca di Venezia è anche confermato da un altro interessante decreto del 13 maggio 1410 (10) nel quale si stabiliscono i valori proporzionali fra le monete veneziane, le imperiali e quelle estere che correvano nella parte della Lombardia appartenente a Venezia, e nel quale, in mezzo alle varie monete enumerate, si trova Mezaninus venetus, sive soldus de Verona. In questa tariffa, in cui si determinano i prezzi delle monete in circolazione nella Lombardia veneta, si attribuisce alla lira imperiale propria di quella regione, un valore doppio della lira veneziana. Tale rapporto si conservò costante, e troviamo menzione anche nel secolo XVI (11) di una lira bresciana uguale due lire venete.

Abbiamo di questo tempo una monetina d'argento, coniata per Zara e Dalmazia, che ha stuzzicato la curiosità dei numismatici per il suo valore e per lo stemma che vi è raffigurato; ma essa va collocata in un capitolo speciale dedicato alle monete anonime, che, mancando della data e del nome del doge, non possono sempre con sicurezza essere attribuite ad un principe piuttosto che ad un altro.

Venezia nel 1404 acquistava il possesso di Scutari nell'Albanìa, dove esisteva già una zecca, che continuò a battere monete secondo i sistemi monetari ed i tipi locali, con Santo Stefano protettore della città da un lato e dall'altro il leone in soldo colla iscrizione "S punto M A R C V S spazio V E N E T I A R V M". Lazari, nel suo lavoro sulle monete dei possedimenti, dubitava della esistenza di quella officina e riteneva lavorate a Cattaro le monete col nome di Scutari, ma alcuni documenti, rinvenuti più tardi dimostrano chiaramente che la zecca di Scutari lavorò per ordine del Senato sino alla metà del secolo XIV.

Non è mia intenzione di occuparmi per ora della zecca di Scutari, né di quella che ebbe Cattaro, venuta in possesso dei veneziani nel 1420; forse, potranno esse dare argomento ad appendici speciali, che saranno non inutile complemento allo studio delle monete della zecca di Venezia.

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MONETE DI MICHELE STENO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "M I C h A E L punto S T E N apostrofo", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto Q apostrofo spazio T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO".

Tavola XIII, numero 12.

Grosso, terzo tipo. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 35 e 17 centesimi (grammi 1,820) e grani veneti 33 e 88 centesimi (grammi 1,753), legge 10 maggio 1407.

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge; nel campo due stelle fra le figure e l'iscrizione, dietro il doge "M I C h A E L punto S T E N apostrofo", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto".

Rovescio. Il Redentore in trono "croce punto croce T I B I punto L A
V S punto spazio punto 7 punto G L O R I A punto".

Tavola XIII, numero 13.

Soldino. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 8 e 79 centesimi (grammi 0,454) e grani veneti 8 e 47 centesimi (grammi 0,438), legge 10 maggio 1407.

3. Dritto. Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo "croce M I C h A E L punto S T E N apostrofo D V X", nel campo dietro il doge l'iniziale del massaro, sormontata da una stella di sei raggi.

Rovescio. Leone accosciato che tiene tra le zampe anteriori il vangelo, "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XIII, numero 14.

Iniziali dei massari. "C, D, F, M, OI, P, EZH capovolta".

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 4 e 80 centesimi (grammi 0,248): scodellato.

4. Dritto. Croce in un cerchio "croce punto M I, S ruotata, T E punto D V X punto".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce punto, S ruotata, punto M A R C
V, S ruotata, punto".

Tavola XIV, numero 1.

Un esemplare di questo piccolo conservato nel Museo Bottacin ha nella parte concava (rovescio) le traccie incuse dell'impressione del diritto.

Mezzanino, o soldo per Verona e Vicenza. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 11 e 72 centesimi (grammi 0,606).

5. Dritto. A sinistra San Marco in piedi, vestito di abiti sacerdotali, colla testa di tre quarti si volge a destra e riceve dal doge in piedi un cereo, che questi porge con ambe le mani. Nel campo, sotto il cereo, l'iniziale del massaro. Dietro il doge "punto M I C spazio S T E N apostrofo", in mezzo "D V X", dietro il santo "S punto M punto V E N E".

Rovescio. Gesù Cristo di fronte, con nimbo di forma greca, sorge dal sepolcro ponendo a terra la gamba destra. È coperto da lunga veste e stringe nella sinistra la croce, nella destra il vessillo che svolazza a sinistra: sul sepolcro sono scolpite quattro croci, attorno "punto X P E punto R E S spazio V R E S I T punto".

Tavola XIV, numero 2.

Iniziale del massaro. "EZH capovolta".

Piccolo, o denaro per Verona e Vicenza. Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 5 e 98 centesimi (grammi 0,309).

6. Dritto. Croce a braccia uguali, divise longitudinalmente in tre parti, quella di mezzo perlata, accantonata da quattro anellini: alle estremità delle braccia quattro punti dividono l'iscrizione "M I spazio S T spazio E punto D spazio V X".

Rovescio. Testa di San Marco in un cerchio, attorno "croce punto S punto M punto V E N E T I punto".

Tavola XIV, numero 3.

Tornesello. Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

7. Dritto. Croce patente "croce punto M I C h A E L punto S T E N apostrofo punto D V X punto".

Rovescio. Leone accosciato col vangelo fra le zampe anteriori "croce
V E X I L I F E R punto V E N E T I A, RUM TONDA, punto".

Tavola XIV, numero 4.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI MICHELE STENO.

Die Billionsche en ogeualueirde gaude en silvere mute etc. — Les monois d'or et d'argent du billyon et no evaluez de plusieurs princes Royaulme pays et villes. — Gedruckt zu Nürmberg, durch Johann vom berg und Ulrich Newber. — XXVI die mensis martii anno M . D . LI, pagina 219.

Het Thresoor oft schat van alle de speciem figuren etc., Tantwerpen, 1580, pagina 507.

SANTINELLI S. — Opera citata, pagine 271, 273 e 274 (disegno pagina 271); ed in ARGELATI, Parte I, pagina 301.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 104 e 109, numeri XXIV e XXV; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30 t. e 32, numeri XXIV e XXV. — Dissertazione II, pagine 133 e 135, numero III.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 276.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 175-176, numeri LXXIV, LXXV, LXXVI, LXXVII e LXXVIII.

TERZI B. — Opera citata, pagine 25-27, tavola I, numero 10.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1126, numeri 3938, 3939 e 3940.

CICOGNA E. — Delle iscrizioni veneziane, etc. Venezia, 1824-53,
Volume VI, pagina 76.

GEGERFELT (VON) H. G. — Opera citata, pagina 9.

ZON A. — Opera citata, pagine 30 e 34.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 25 (298 e 309) e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione etc. Opera citata, pagina 39.

LAZARI V. — Opera citata, pagina 71 e 169.

KUNZ C. — Catalogo citato, pagina 9.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 7.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LXIII.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LXIII.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagine 19 e 85.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228-231 e 254, Volume V, 1875, pagine 206-207.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 473-474.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagine 22-23 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 102, Tomo XIII, pagina 147 e Tomo XXI, pagina 136, — terza edizione, 1881, pagine 18, 89 e 334.

Bolla in oro di Michele Steno che si conserva nel Museo
Bottacin, appesa ad un diploma in pergamena.

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NOTE A "MICHELE STENO".

(1) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro XLVI, carte 150.

(2) Documento XVIII.

(3) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LXVIII, carte 17 tergo.

(4) Documento XIX.

(5) Zanetti G. A. Nuova Raccolta delle Monete etc. Opera citata, Volume IV, pagina 343, nota 190. — Piermaria Erbisti. Osservazioni sopra le lire e monete veronesi, Argelati F., Parte II, pagina 46. — Mariani. Tariffa perpetua, Venezia, Rampazzetto, 1567.

(6) Documento XIX.

(7) Documento XIX.

(8) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 14 tergo.

(9) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 14 tergo

(10) Documento XX.

(11) Mariani Giovanni, Tariffa citata.

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TOMASO MOCENIGO.
DOGE DI VENEZIA.

1414-1423.

Tomaso Mocenigo, trovavasi a Lodi, oratore di Venezia presso il re Sigismondo, quando fu chiamato all'onore di reggere il ducato. Fu principe saggio, che promosse e curò la prosperità del paese: rifuggiva dalla guerra, ma dovette spedire contro i Turchi, che molestavano il commercio veneziano, l'armata comandata da Pietro Loredan, che riportò una splendida vittoria nelle acque di Gallipoli e ridusse il nemico ad una pace vantaggiosa. Anche cogli Ungheri non fu possibile venire ad un accordo, e dopo di avere tentato inutilmente di riunire in una lega le potenze italiane, i Veneziani dovettero combattere da soli contro Sigismondo alleato al patriarca di Aquileja. Essi sostennero Tristano Savorgnan nemico del patriarca e finirono col restare padroni del Friuli ed anche della Dalmazia, approfittando del momento in cui il nemico era impacciato dalle guerre in Boemia e contro i Turchi, per togliere per sempre quei paesi alle pretese dei re d'Ungheria.

Durante il suo principato Tomaso Mocenigo si occupò indefessamente a riordinare le finanze e l'amministrazione dello stato. La moneta fu pure oggetto della sua sollecitudine, anzi questo periodo si distingue per ripetuti studi e per modificazioni continue alle leggi che riguardavano la affinazione dei metalli e la coniazione delle monete. Il primo atto è del 10 febbraio 1413 (1414), solo di un mese posteriore all'elezione del doge: in esso il Senato delibera (1) di nominare tre savi col mandato di esaminare tutte le cose relative alla zecca, di prendere le necessarie informazioni dai massari e dagli estimatori dell'oro e dell'argento, e di proporre quindi quelle riforme e quei provvedimenti che credessero atti a migliorare questo importante servizio. Giovanni Garzoni, Francesco Girardi e Marco da Molin eletti a tale incarico fecero nel 18 aprile successivo le loro proposte per la zecca dell'oro, le quali vennero approvate e si trovano trascritte nei registri del Senato e nel capitolare dei massari all'oro (2). Esse contengono molte minuziose prescrizioni, che riguardano principalmente la stima del metallo prezioso portato dai mercanti, la perfetta affinazione, la custodia, il peso ed il calo dell'oro durante le molteplici operazioni che esso subiva fino a trasformarsi in tanti bei ducati. Si raccomanda di tener conto di tutto, di registrare diligentemente i pesi e, non reputandosi sufficienti tre estimatori, se ne istituisce un quarto, e così ai due massari dell'oro se ne aggiungono altri due col salario annuo di ottanta ducati.

Sembra però che il Senato non fosse contento dei risultati ottenuti, giacché il 25 gennaio 1415 (1416) delegava i propri poteri (3) ad uno speciale collegio, composto del doge, dei capi della Quarantìa, dei savi del Consiglio, dei savi ad recuperandam pecuniam, dei savi agli ordini, dei tre savi delegati alla riforma della zecca, degli avogadori del Comune e degli ufficiali alle ragioni nuove, ordinando che le loro deliberazioni avessero la stessa forza che se fossero emanate dal Consiglio dei Pregadi, purché raccolti nel numero di 28. Pochi giorni dopo, il 30 gennajo, riunitosi questo consesso delibera (4) che i mercanti, i quali portano l'oro in zecca, debbano sottostare al calo della fusione, dopo della quale sia fatta la stima a Rialto con ogni cautela e segretezza. Si riducono nuovamente a tre (5) collo stipendio di ducati 60 annui gli estimatori, i quali non possono stimare se non uniti, né mandare l'oro alla zecca se due non sieno concordi. Anche i massari dell'oro sono ridotti a due (6), come anticamente, collo stipendio di 120 ducati e colle solite utilità: devono fare per turno le quindicine; saldare il quaderno ed attenersi al loro capitolare, dànno pieggieria e durano in carica due anni. Si portano a due i pesatori alla moneta (7) con 60 ducati ed altri incerti: questi devono tenere le chiavi, fare i pesi, ed ajutare i massari a tenere le scritture.

Nel 30 giugno 1416 il Senato si occupa nuovamente (8) della fiorente fabbricazione dei ducati e procura di frenare alcuni abusi: minaccia gravi pene a coloro, che cercano di ridurre la zecca nelle loro mani, temendo il danno che potrebbe venire al Comune, se nelle parti di Alessandria e di Soria, ove esistono esperti conoscitori, si sospettasse che la moneta d'oro veneziana non si facesse più della solita bontà. Per incoraggiare tutte le persone, eccetto quelle che per ufficio non possono occuparsi di tale commercio, a portar oro in zecca, il prezzo fino allora pagato si aumenta di 3 grossi per marca e di 4 a chi lo dà fuso.

Altre deliberazioni del Senato si trovano in data 19 giugno 1421 (9) relative alla stimaria ed alla zecca dell'oro, ma sono in massima parte ripetizioni di ordini, che esistono nei decreti precedenti, e prescrizioni di poca importanza, che non meritano di essere riportate, e mostrano solo il grande interesse, che si poneva a mantenere la purezza del ducato.

Anche per ciò che riguarda la moneta d'argento non mancano i provvedimenti durante il principato di Tomaso Mocenigo. Nel 22 aprile 1414 (10), visto il danno che reca al Comune la parte presa nel 1406, di rendere moneta dello stesso peso dell'argento posto in zecca, si stabilisce di far pagare ai mercanti 10 soldi di piccoli per fattura di ogni marca di grossi, e 14 soldi per ogni marca di soldi, quando si tratti di argento franco, e cioè di quell'argento che abbia adempiuto l'obbligo del quinto, che si doveva per legge tradurre in moneta.

Mancando i massari all'argento ed essendosi soppresso il posto di quello ai torneselli, il Senato delibera nel 30 aprile 1416 (11) di portare a tre i massari alla zecca dell'argento, col salario di 100 ducati annui e colle solite utilità annesse all'ufficio: essi durano in carica due anni, devono fare per turno le quindicine, alternando le mansioni ogni mese sotto la sorveglianza dei provveditori del Comune. Nel 5 giugno successivo (12), a quel massaro che sorveglia la fabbricazione dei torneselli, si accordano quattro mesi per regolare i conti, mancandogli il tempo di farlo in termine più breve.

Il Senato rammenta ai massari nell'11 giugno 1416 (13) che i soldi coniati in zecca devono farsi in modo da averne lire 27 soldi 4 per marca, e non più, come si è fatto talora contrariamente alle leggi: stabilisce che la zecca non possa ricevere le monete coniate da essa stessa e che i pagamenti dei quinti debbano esser fatti a conto e non a peso.

Nel 26 febbraio 1416 (1417) vengono nominati tre savi (14) per istudiare e proporre le riforme della zecca e della moneta d'argento: riescono eletti Scipione Bon, Pietro Bragadin e Cristoforo Soranzo.

L'11 novembre dello stesso anno (15) il Senato vota provvedimenti per la zecca dell'argento, i quali si riassumono così: che sia abolito il sistema dei quinti sin allora in vigore tanto nella presentazione al peso che nell'affinamento del metallo; che tutto l'argento introdotto a Venezia debba essere presentato al peso a Rialto e registrato esattamente, e che per la affinazione si debba pagare grossi 4 e un quarto a oro per marca. I tre massari debbano alternare le loro occupazioni in modo che uno riceva l'argento per fabbricare le monete, l'altro sopraintenda alla affineria, il terzo ai tornesi ed ai piccoli, cambiando ogni quattro mesi le loro funzioni, tenendo registro esatto delle operazioni e rendendone conto agli ufficiali delle ragioni nuove. Di tutto l'argento affinato la quarta parte si riduce in moneta, dando al mercante peso per peso, ma del rimanente egli è libero di fare ciò che vuole: può venderlo e portarlo via da Venezia senza spesa; però se desidera invece farne moneta, può averne peso per peso pagando la fattura. Considerato che non è più possibile mantenere gli ordini dati, di fabbricare la moneta nella misura di lire 27 soldi 4 per marca, fissata quando il ducato valeva 93 soldi, perché i mercanti ci troverebbero una perdita e non porterebbero più argento a Venezia, ora che il ducato vale 100 soldi, si delibera che la moneta sia tagliata in modo da ricavare per ogni marca lire 29 soldi 9, e ciò sulla base del calcolo che l'argento costa 5 ducati 18 grossi per marca, che il ducato vale 100 soldi e che la spesa di fabbricazione dev'essere valutata 12 soldi per una marca di grossi e 16 soldi per una marca di soldi (16). Si raccomanda alla zecca la maggiore possibile esattezza nel peso e nella fattura, e, per favorire la condotta dell'argento a Venezia, si ordina di far pagare solo 8 soldi per marca per la spesa di fabbricazione, dando peso per peso, metà grossi e metà soldi, mentre l'erario potrà rifarsi di tale perdita coll'utile della affinazione.

I risultati di questi provvedimenti corrisposero così poco alle speranze, che nel 22 dicembre 1419 (17) il Senato, osservando che le riforme fatte non hanno riuscito a far venire l'argento a Venezia, essendo arrivate solo diecimila marche in confronto di quarantamila all'anno che ne giungevano in passato, delibera che si debbano rivedere le fatte riforme da un collegio composto del doge, dei consiglieri, dei capi della Quarantìa, dei savi del Consiglio, alla guerra ed agli ordini, degli avogadori del Comune, degli ufficiali delle ragioni nuove e di quelli della moneta d'oro e d'argento, accordando alle deliberazioni prese da tale consesso, la stessa autorità che se fossero state votate dal Senato.

Nel 4 gennaio 1419 (1420) (18) questo collegio, lamentando la diminuita vendita dell'argento in Venezia sopprime, l'obbligo di venderlo alla campanella a Rialto, secondo le antiche leggi e costumi, e permette di venderlo a qualunque persona, purché sia denunziato il contratto per le solite registrazioni che si mantengono. Collo stesso decreto riduce a soli 2 grossi per marca il dazio dell'argento introdotto a Venezia, invece dei 4 grossi ed 8 piccoli che si pagavano precedentemente.

Se non che la scarsezza degli arrivi dell'argento a Venezia e la conseguente decadenza della zecca dipendevano da fatti esterni e da cause economiche, che non potevano essere cambiate nemmeno dai più avveduti e solerti amministratori dello stato. Per cui nel 27 gennaio 1420 (1421) (19) il Senato, trovando necessario di provvedere super facto argenti et super factis monete et ceche nostre, che vanno così male da non poter andar peggio, convoca nuovamente il collegio composto del doge, dei consiglieri, dei capi della Quarantìa e dei savi del Consiglio, dei provveditori del Comune, degli ufficiali della zecca, a cui si aggiungono i savi per investigare sopra i fatti del Friuli e delle terre nuovamente acquistate, coll'incarico di studiare quei provvedimenti e di dare quegli ordini, che reputassero migliori all'interesse della zecca e del Comune.

I provvedimenti pubblicati da tale Collegio nel 6 febbraio successivo (20) costituiscono una nuova diminuzione della moneta nel peso, che viene ridotto a lire 29 e soldi 16 per marca, e nel titolo, che si conserva nominalmente a peggio 55, ma tollerando le pezze d'argento di poco inferiore, purché non superino il peggio di 60 carati; provvedimento che deve condurre in breve tempo alla adozione del titolo inferiore come regolamentare. Oltre a ciò, per economia di spesa, si ordina di dare ai mercanti tre quarti del peso in grossi ed un quarto in soldi, invece di metà grossi e metà soldi, e per lo stesso motivo si sospendono le nomine dei titolari di alcuni posti rimasti vacanti, fra cui uno dei tre massari.

Come si vede, il governo veneto perseverava nella via in cui si era messo, la quale conduceva ad un peggioramento continuo del soldo e conseguentemente della lira nominale: questo provvedimento, certamente non favorevole a rialzare il credito della moneta d'argento anticamente tanto ricercata, aveva per conseguenza l'aumento di prezzo della moneta d'oro, conservata perfetta con tutte le cure.

Molte antiche monete erano ancora in circolazione e naturalmente avevano maggior prezzo delle nuove più leggere, per cui il Senato fu costretto a emanare, nel 7 marzo 1422 (21), un decreto, il quale, osservando che l'antica moneta è cresciuta a 108 soldi, ordina di raccogliere tutti i pezzi di conio antico e di fonderli nuovamente, dando al pubblico, peso per peso, nuove monete per un quarto soldi e per tre quarti grossi, provvedimento che fu in pari data (22) esteso alla terra ferma veneta.

Sebbene dai documenti, che abbiamo riportati più sopra, si rilevi che uno dei tre massari fosse specialmente destinato alla sorveglianza della fabbricazione dei piccoli e dei tornesi e che quindi si coniassero tali monetine in gran copia e lo stato ne ritraesse non poco utile, non pare però che la emissione fosse superiore al bisogno, ed infatti poche di tali monete arrivarono fino a noi, tanto che sono dai raccoglitori molto ricercate. Rarissima poi è una bella ed elegante monetina col nome di Tomaso Mocenigo, della stessa pasta dei tornesi e dei piccoli destinati a Verona e Vicenza, ma di peso alquanto superiore, giacché i due esemplari conosciuti superano di poco i sette grani. Dal lato dove si trova il nome del principe è disegnata la croce accantonata da quattro punti triangolari e dall'altro il busto di San Marco di fronte, che ricorda il disegno degli antichi bianchi, da quasi un secolo abbandonati. Questa moneta esiste ancora coi nomi di Francesco Foscari, Pasquale Malipiero, Cristoforo Moro e qualche altro posteriore, lavorata con molta accuratezza e di ogni doge se ne trovano soltanto uno o due esemplari, anche in quelle epoche in cui vi furono abbondanti emissioni di monete di mistura. Probabilmente fu coniata per una provincia od una comunità determinata, in seguito ad accordi stabiliti: supposizione che pare confermata dal fatto che i piccoli di questa specie, col nome di F. Foscari e dei suoi successori, pesano notevolmente di più di quelli del Mocenigo, ciò che fa credere si volesse così compensare la differenza proveniente dalla diminuzione del fino, deliberata nel 1442 per tutte le monete di bassa lega. Ora essendo avvenuta durante il principato di Tomaso Mocenigo l'annessione del Friuli, e trovandosi anzi a far parte del Collegio istituito dal Senato per i provvedimenti relativi alla zecca nel gennaio 1420-21, anche i Savi per investigare sopra i fatti del Friuli e delle terre nuovamente acquistate, è lecito sospettare che questa nuova monetina fosse destinata a quella importante provincia. Questa misura infatti avrebbe grande analogia con quanto dallo stesso veneto governo venne fatto per i denari di Verona dapprima, e per quelli di Brescia più tardi.

Non essendomi stato possibile rinvenire alcun documento che parli di una moneta speciale per la patria del Friuli, non posso fare se non delle ipotesi per analogia, aspettando dal tempo e dalla fortuna qualche nuovo lume su questa interessante ricerca.

Raccontano i cronisti che Tomaso Mocenigo, sentendosi vicino a morte, chiamò a sé la Signoria per raccomandare a quegli illustri cittadini di scegliergli a successore un uomo degno e desideroso di continuare una politica prudente e pacifica, e per dissuaderli dal portare i loro voti sopra Francesco Foscari di cui temeva il carattere irrequieto e guerriero. Nel suo discorso vantò i benefici della pace e con visibile compiacenza riportò dati statistici interessantissimi sulla ricchezza e sul commercio veneziano, allora floridissimo, sul debito pubblico pagato e sulle finanze dello stato ristorate. Riporteremo soltanto quei dati che a noi interessano sul lavoro della zecca, la quale batteva ogni anno

"d'oro un millione e duecento millia ducati, e d'argento tra mezanini, grossi et soldi 800 millia all'anno, dei quali cinque millia marche escono tra Egipto e la Soria de' grossetti, in li vostri luoghi da terra ferma ne va ogni anno tra mezanini e soldini ducati centomillia" (23).

È da osservarsi che il cronista parla in questa occasione di mezzanino, moneta che non fu coniata da Tomaso Mocenigo. Io inclino a credere che il Dolfin, il quale era bensì contemporaneo, ma probabilmente scriveva alquanto più tardi, abbia confuso le epoche, attribuendo al Mocenigo questo pezzo, che fu battuto in altra epoca per i bisogni della terra ferma, come nello stesso discorso dice talora grossetto per grosso, parola che venne in uso solo dopo il decreto del 9 luglio 1429, con cui si istituivano i grossi da otto soldi, chiamati grossoni, per distinguerli dai grossi soliti da 4 soldi, che da allora in poi ebbero il nome di grossetti.

Per completare le notizie sulle imitazioni dei ducati veneziani, ricorderò che in una commissione data con deliberazione del Senato del 24 febbraio 1422 (1423) (24) ad un notaro della Cancelleria ducale inviato presso il gran maestro di Rodi, si legge:

"Insuper volumus quod dicto reverendissimo domino Magistro Rodi dicere et exponere debeas nostri parte quod nuper intelleximus, quod paternitas sua reverendissima cudi fecit et facit in terra Rodi ducatos ad stampam et cunium nostrum Venetiarum, quod displicenter audivimus considerata importantia hujus facti. . .".

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MONETE DI TOMASO MOCENIGO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge, "T O M punto M O C E N I G O", lungo l'asta "D V X", dietro il santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto Q apostrofo punto T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola XIV, numero 5.

Grosso, terzo tipo colle stelle. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 33 e 88 centesimi (grammi 1,753), e grani veneti 31 e 29 centesimi (grammi 1,619), legge 11 novembre 1417.

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge, nel campo due stelle tra le figure e l'iscrizione; dietro il doge "T O M spazio M O C E N I G O", lungo l'asta "D V X", a destra "S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore in trono, "punto croce punto T I B I punto L A
V S punto spazio punto 7 spazio G L O R I A punto".

Tavola XIV, numero 6.

Grosso, terzo tipo colle iniziali. Argento, titolo 0,952 sino a 0,949 (peggio 60). Peso, grani veneti 30 e 92 centesimi (grammi 1,600), legge 6 febbraio 1420-21.

3. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "T O M spazio M O C E N I G O", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I", nel campo, fra le figure e l'iscrizione, due lettere che sono le iniziali del massaro.

Rovescio. Il Redentore in trono, "punto croce punto T I B I punto L A
V S spazio punto 7 punto G L O R I A punto".

Tavola XIV, numero 7.

Iniziali dei massari. "P OI, T S".

Soldino. Argento, titolo 0,952. Peso, grani veneti 8 e 47 centesimi (grammi 0,438) e grani veneti 7 e 82 centesimi (grammi 0,404), legge 11 novembre 1417.

4. Dritto. Il doge in piedi, tiene con ambe le mani il vessillo "croce T O M spazio M O C E spazio N I G O spazio D V X", nel campo, dietro al doge, l'iniziale del massaro sormontata da una stella di sei raggi.

Rovescio. Leone accosciato che tiene il vangelo tra le zampe anteriori "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XIV, numero 8.

Iniziali dei massari. "A, B, D, F, I, M, OI, P, T".

Soldino, colle iniziali dei massari. Argento, titolo 0,952 sino a 0,949 (peggio 60). Peso, grani veneti 7 e 73 centesimi (grammi 0,400), legge 6 febbraio 1420-21.

5. Dritto. Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo "croce T O M spazio M O C E spazio N I G O spazio D V X", nel campo, dietro la figura del doge, le iniziali del massaro, una sotto 1'altra.

Rovescio. Leone accosciato sulle zampe posteriori, tiene colle anteriori il vangelo, attorno, "punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XIV, numero 9.

Iniziali dei massari. "P sopra OI, T sopra S, EZH capovolta sopra B".

Sul rovescio di questo soldino il cerchio attorno il leone non esiste, od è così sottile che riesce appena visibile.

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 4 e 80 centesimi (grammi 0,248): scodellato.

6. Dritto. Croce in un cerchio "croce T O punto M O C punto D V X".

Rovescio. L'impronta del diritto incusa.

Museo Correr.

Tavola XIV, numero 10.

Altro esemplare del Museo Correr ha il nome del principe in rilievo nella parte concava, ed incusa la stessa impressione nella parte convessa della monetina. Si trovano piccoli senza impronta visibile nella parte concava.

Piccolo, o denaro per Verona e Vicenza. Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 5 e 98 centesimi (grammi 0,309).

7. Dritto. Croce a braccia uguali, accantonata da quattro anellini: alle estremità delle braccia quattro punti dividono l'iscrizione "T O spazio M O spazio C punto D spazio V X".

Rovescio. Testa di San Marco in un cerchio "croce punto S punto M punto V E N E T I punto".

Tavola XIV, numero 11.

Piccolo, o bagattino per il Friuli (?). Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 7 e mezzo (grammi 0,388).

8. Dritto. Croce accantonata da quattro punti triangolari in forma di raggi, entro un cerchio, attorno "croce T O M spazio M O C E N I C O spazio D V X".

Rovescio. Busto di San Marco con aureola di perline in un cerchio, attorno "croce punto S punto M A R C V S punto".

Museo Bottacin.

Tavola XIV, numero 12.

Regio Museo Britannico.

Tornesello. Mistura, titolo 0,111. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

9. Dritto. Croce patente "croce punto T O M spazio M O C E N I G O spazio D V X punto".

Rovescio. Leone accosciato col vangelo tra le zampe anteriori "croce
V E X I L I F E R punto V E N E T I A, RUM TONDA".

Tavola XIV, numero 13.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI TOMASO MOCENIGO.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I, pagina 104 e 109, numero XXVI; ed in ARGELATI, Parte V, pagina 30 t. e 32, numero XXVI. — Dissertazione III, pagina 99, tavola XIX, numero 2. — Dissertazione IV, pagina 90, tavola XIV, numero 3.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 276.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 176, numeri LXXIX, LXXX, LXXXI e LXXXII.

TERZI B. — Opera citata, pagina 25-27, tavola II, numero 11.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1126-1127, numeri 3941 e 3942.

BELLOMO G. — Opera citata, pagina 42 e 64-65, nota 39, tavola II, numero 3 (25).

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 27 (310 a 321) e tavola.

CUMANO dottor C. — Numismatica, articolo citato.

CUMANO dottor C. — Illustrazione etc. Opera citata, pagina 39.

LAZARI V. — Opera citata, pagine 71-72 e 169.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LXIV.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LXIV.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 19 e 85.

LITTA P. — Famiglie celebri d'Italia. — STEFANI F. Famiglia
Mocenigo, disegni di C. Kunz, Milano, 1868-72.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume III, 1871, pagina 228, 229, 231 e 254, Volume V, 1873, pagina 206- 207.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 474.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 23 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 102-103, Tomo XIII, pagina 147 e Tomo XXI, pagina 136, — terza edizione, 1881, pagina 18-19, 89 e 134.

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NOTE A "TOMASO MOCENIGO".

(1) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro L, carte 70.

(2) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro L, carte 96 e seguenti. — Capitolare dei massari all'oro, rubriche 85, 86, 87, 88, 89, 90, 91 e 92.

(3) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 89 tergo.

(4) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 90 tergo. — Capitolare dei massari all'oro, rubrica 93.

(5) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 91. — Capitolare dei massari all'oro, rubrica 94.

(6) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 91 (rimangono massari all'oro Piero Ghisi e Michele Contarini). — Capitolare dei massari all'oro, rubrica 95.

(7) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 91. — Capitolare dei massari all'oro, rubrica 97.

(8) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 143 tergo. — Capitolare dei massari all'oro, rubrica 98.

(9) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LIII, carte 154. — Capitolare dei massari all'oro, rubriche 101 a 108.

(10) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro L, carte 99 tergo.

(11) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 122 tergo. — Capitolare dai massari all'argento, carte 48 tergo.

(12) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 133 tergo. — Capitolare dei massari all'argento, carte 49 tergo.

(13) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 140.

(14) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LI, carte 189 tergo.

(15) Documento XXI.

(16) Infatti a lire 29 soldi 9, da una marca si ricavano 589 soldi, mentre a 100 soldi per ducato cinque ducati e 18 grossi fanno 575 soldi; i 14 soldi di differenza corrispondono alla spesa media di fabbricazione.

(17) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LIII, carte 18.

(18) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LIII, carte 19. — Capitolare dei massari all'argento, carte 56.

(19) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LIII, carte 104 tergo.

(20) Documento XXII.

(21) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LIV, carte 6 tergo.

(22) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LIV, carte 7.

(23) Cronaca Veneta di Zorzi Dolfin q.m ser Francesco, fino all'anno 1458. Regia Biblioteca Marciana, It., cl. VII, Codice 794.

(24) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LIV, carte 85 tergo e 86.

(25) È Tomaso e non Giovanni Mocenigo.

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FRANCESCO FOSCARI.
DOGE DI VENEZIA.

1423-1457.

Con lunga e contrastata elezione fu creato doge Francesco Foscari, che tenne il seggio ducale per ben trentaquattro anni, in una delle epoche più avventurose della nostra repubblica. Si avverarono così i timori del prudente predecessore: l'ingrandimento dei possessi in terraferma costò a Venezia dure lotte e penosi sacrifici, di cui si sentirono per lungo tempo le conseguenze nelle finanze e nella prosperità dello Stato. Non si può, senza ingiustizia, darne tutta la colpa al doge Foscari, il quale aveva energia ed avvedutezza non comuni e sentiva altamente di sé e della repubblica, ma conviene attribuirne gran parte ai principi vicini, ambiziosi e senza fede, ed alle condizioni generali dell'Italia in quei tempi tristissimi. Filippo Visconti agognava il dominio di tutta la penisola e le due repubbliche di Firenze e di Venezia dovettero allearsi per difendere la loro libertà contro il nemico comune. Aspre ed accanite lotte si pugnarono sui campi di Lombardia, sotto il comando dei più illustri capitani di ventura, con varia vicenda; più volte fu segnata la pace, ma si riprese poco dopo la guerra, e solo dopo la morte del Duca Filippo i Veneziani poterono concludere una pace durevole colla cessione definitiva di Cremona, oltre a Brescia e Bergamo ottenute nei precedenti trattati.

Gli sforzi fatti nelle lunghe guerre d'Italia impedirono di tutelare validamente gli interessi veneziani in levante, dove i Turchi si avanzavano minacciosi molestando continuamente l'impero greco ed i principi cristiani. Nel 1430 presero Salonicco, di cui gli abitanti s'erano dati pochi anni prima a Venezia, e nel 1453, dopo una memorabile difesa, entrarono in Costantinopoli, con gravissimo danno del commercio e dell'influenza dei Veneziani, che non avevano potuto recare efficace soccorso ai Greci, per l'abbandono di tutte le potenze europee e per la mancanza di forze militari ed economiche stremate nelle guerre d'occidente.

Gli ultimi anni del vecchio doge furono amareggiati da sventure e dolori, e principalmente dalla condanna del figlio Jacopo, che si era reso colpevole di gravi infrazioni alle leggi dello stato. Finalmente la deposizione dal dogado, consigliata da crudele ragione di stato, o da altri motivi assai difficili ad apprezzarsi, a distanza di secoli, affrettò la fine di quel principe elettivo, che aveva avuto più lungo regno.

Quanto alla zecca, pochi fatti importanti sono da notare in questo periodo, meno forse che in altri regni più brevi, ma più calmi. Relativamente al più prezioso dei metalli non si conoscono che due soli documenti: un decreto del 18 settembre 1453 (1) con cui il Senato delibera di eleggere tre nobili per istudiare e proporre quelle misure che credessero più utili ad aumentare il concorso e la coniazione dell'oro, ed una legge del 1 dicembre 1454 (2), colla quale il Maggior Consiglio incarica il Senato di fare all'ufficio del saggio dell'oro quelle riforme che stimasse convenienti a mantenere il ducato in quella perfezione, per la quale è reputato in tutto il mondo. Non havvi memoria che gli studi ordinati e le proposte, che dovevano esserne la conseguenza, abbiano avuto un pratico risultamento, anzi è da ritenere che nessun provvedimento sia stato adottato, non trovandosene traccia nel Capitolare dei massari all'oro. Dalle considerazioni che precedono il decreto 18 settembre 1453, in cui è detto che la quantità dell'oro portato in zecca era minima, mentre abbondantissimo era l'argento che si coniava in moneta, si può facilmente argomentare che gli inconvenienti lamentati dipendevano dall'abbondanza del ricavo delle miniere d'argento, mentre era scarso il prodotto di quelle d'oro. Non era quindi in potere dei savi consultori della repubblica rimuovere le cause di questo fenomeno economico, mentre abbassando continuamente e progressivamente il valore dell'argento si otteneva d'impedire l'esportazione della ricercatissima moneta d'oro.

Alcuni provvedimenti troviamo quindi in questo senso e, prime in ordine di data, due parti sancite dal Senato nel giorno 9 luglio 1429; nella prima (3) si ordina che coll'argento del quarto che i mercanti avevano obbligo di consegnare alla zecca per farne moneta, debbano essere coniati soldi della forma usata e due nuove monete, l'una da 8, l'altra da 2 soldi, in uguali proporzioni, e cioè un terzo di ogni qualità. Il grosso da 4 soldi viene mantenuto, ed i mercanti possono farne coniare per la Soria e per gli altri paesi del levante col rimanente dell'argento, dopo francato l'obbligo del quarto. Sì le nuove che le antiche monete dovevano avere la lega e la bontà usata fino allora e andare al taglio di lire 31 per marca, ed in modo che 104 soldi valessero un ducato, aggiungendo calde raccomandazioni per l'esattezza del peso e della fabbricazione. Tale decreto, motivato dalla invasione di monete forastiere nelle nuove provincie di Brescia e Bergamo, prescrive che le monete da 1, da 2 e da 8 soldi sieno spedite in quei territori, conservando i grossi per i commerci dell'Oriente. È questa la ragione per cui nei ripostigli che si rinvengono nella terraferma, dove la Repubblica estendeva i suoi possessi, troviamo più facilmente i grossoni ed i pezzi da 1 e da 2 soldi, mentre i grossi vengono ai raccoglitori dai ritrovamenti fatti in Oriente.

La seconda parte presa in quel giorno (4) revocava la deliberazione 4 gennaio 1419 (1420), nella quale si abolivano tutte le restrizioni e si permetteva di vendere l'argento in qualsiasi luogo ed a qualsiasi persona, e richiamava in vigore l'antica legge 28 settembre 1374, la quale ordinava che tutto l'argento condotto a Venezia fosse venduto a campanella a Rialto.

Nel 1442, 24 maggio (5), quando più grande era il bisogno di denari a cagione delle guerre, si ordina che ogni marca di argento posta in zecca debba pagare due grossi per indennizzare le spese per la fusione e per le altre operazioni. Nel 15 gennaio 1443 (1444) (6) si rinnovano le prescrizioni per la vendita dell'argento, emanate nel 1429, minacciando, a quelli che contravvenissero, la perdita del metallo, da dividersi fra i denunciatori ed il Comune. Con decreto del 23 gennaio dello stesso anno (7) il Senato porta il taglio della moneta a 34 lire per marca, con nuova e sensibile diminuzione, determinando che si stampino soldi, e non grossoni né altre monete: la quale disposizione, trovata troppo gravosa per i lavoranti della zecca, si modifica nel giorno dopo, 24 gennaio (8), deliberando che una terza parte sia ridotta in grossi da 4 soldi, e gli altri due terzi in soldi, ferme le altre disposizioni. L'aumento del taglio induceva naturalmente i mercanti a portare in zecca l'antica moneta più pesante, per avere la nuova e lucrare la differenza; per cui nel 2 febbraio 1443 (1444) (9), ottenevano che si abolisse il pagamento dei 2 grossi per marca, in quanto si trattasse dei grossoni e di altre vecchie monete, e, per evitare i lamentati ritardi nella consegna delle nuove monete lavorate, fu accordato che l'argento fosse ridotto metà in soldi, metà in grossi. Non bastando per questa trasformazione il termine fissato da prima a tutto aprile, fu prorogato nel 26 giugno (10) fino a tutto agosto dello stesso anno.

I bisogni delle esauste finanze fecero ricorrere a frequenti emissioni di monete di bassa lega, le quali davano alla zecca non pochi guadagni, destinati ad alleviare le spese delle guerre lunghe e costose. I pezzi di questo genere, abbondantissimi anche oggi, col nome di Francesco Foscari, sono vari di tipo e di peso, per cui viene naturale il sospetto che sieno stati creati per località e monetazioni differenti; ma siccome non hanno alcun segno che chiarisca l'attribuzione, non si seppe fin'ora trovare una soddisfacente spiegazione. Su ciò le cronache e le storie sono mute, ond'è necessario ricorrere ai documenti, che in quest'epoca si susseguono numerosi e ordinati.

Nei primi anni del dogado del Foscari non havvi alcun cenno di moneta minuta, per cui è probabile si continuasse la coniazione dei piccoli e dei tornesi col peso e col titolo usato precedentemente.

Solo nel 22 febbraio 1441 (1442) (11), si trova il primo decreto del Senato, il quale delibera di diminuire l'intrinseco dei piccoli, che si battono in zecca per Brescia, Bergamo, Verona e Vicenza, sub diversis stampis secundum corsum locorum, essendo necessario, per la strettezza della guerra, far denari in tutti i modi onesti. Quasi a giustificazione si osserva che quelle provincie sono invase da moneta del ducato di Milano detta Sesino, che di sopra è imbianchita, ma del resto è tutta rame, e, per sostituirla, si ordina che i bagattini colle stampe usate per Bergamo, Brescia, Verona, Vicenza e Venezia, contengano una diciottesima parte di argento, invece di un nono come avevano precedentemente.

Il 24 maggio dello stesso anno 1442 (12) osservando il Senato che, provveduto per Bergamo, Brescia, Verona e Vicenza, nulla sia espresso per Padova, Treviso ed altre terre, determina che i massari della moneta d'argento mittere debeant Paduam, Tarvisium et ad alias terras nostras a parte terre et in patriam Foro Julii, i bagattini che vengono usati in tali siti, fatti colla lega fissata precedentemente, e stabilisce che i rettori delle provincie debbano in ogni pagamento dare, per ogni ducato, almeno cinque soldi di tali monetine, e tutti gli utili sì di questa che della precedente fabbricazione debbano essere mandati allo Sforza, che comandava le armi veneziane in Lombardia, per gli stipendi delle truppe. Con decreto dello stesso giorno (13) s'incaricano i governatori delle entrate di riscuotere dalle provincie l'equivalente dei piccoli spediti e di rifondete alla zecca il capitale esborsato, destinando l'utile alle spese di guerra.

Questi provvedimenti confermano che la stessa lega era adoperata per le diverse monetine, che con tipi variati si usavano nelle provincie: bisogna dunque ricercare nel solo peso a quali lire corrispondano i denari coniati in quell'epoca. A Padova ed a Treviso erasi sempre adoperata la stessa lira che a Venezia, e quindi i piccoli o denari veneziani avevano corso tutti quei territori, nei quali era anche comune la tradizione della forma concava o scifata. Infatti, tra gli esemplari che si conservano nei medaglieri, alcuni sono di buon aspetto ed hanno la consueta quantità d'argento, altri invece sono neri e di lavorazione negletta. I primi sono quelli coniati avanti il decreto, gli altri colla nuova lega più scadente, ma tutti hanno lo stesso peso, che supera di poco i quattro grani e non raggiunge i 4 e mezzo. A Verona e Vicenza correva invece la lira veronese, la quale, come fu detto precedentemente, valeva un terzo più della veneziana, e quindi per quelle provincie si continuavano a coniare i denari colla croce a lunghe braccia, che divide a due a due le lettere dell'iscrizione, simili a quelli per la prima volta coniati da Michele Steno, che pesano scarsi 6 grani. I territori di Brescia e della Lombardia veneziana usavano la lira imperiale, doppia della veneziana, come rilevasi anche da un documento poc'anzi riferito, e quindi ad essi deve attribuirsi quel piccolo assai comune, che da un lato ha il leone accosciato senza iscrizione e dall'altro, fra le braccia della croce, le lettere "F F D V", il cui peso, abbastanza variabile fra pezzo e pezzo ha però una media di 8 grani e mezzo. È questa la prima volta che nei documenti veneziani s'incontra la parola bagattino, che invece a Padova è adoperato sino dall'ultimo quarto del secolo XIII (14) ed a Treviso anche prima, e precisamente nel decreto 7 settembre 1317, in cui si ordina la coniazione del piccolo ossia bagattino (15).

Il Pegolotti, riportando i cambi ed i prezzi della piazza di Venezia, li traduce sempre in lire e soldi di grossi, lire e soldi di piccoli o denari, ma non nomina mai i bagattini, tranne quando fa il ragguaglio fra la moneta friulana e la veneziana (capitolo XXXIII), dove parla di bagattini piccioli di Venezia. In tal modo quell'esattissimo scrittore di usi commerciali mostra che il bagattino ed il denaro erano bensì una stessa cosa, ma che il nome di bagattino era adoperato nelle vicine provincie, non a Venezia.

Anche a Venezia se ne parla per la prima volta quando si tratta di coniare i piccoli per la terraferma. Senza occuparmi dell'origine di questa parola né della sua etimologia, osservo solo che in Lombardia si usa tutt'ora bagai per dinotare un essere singolarmente piccolo, bagatti per significare un valore minimo, e nel giuoco del tarocco si chiama bagatto la carta più piccola; le quali voci tutte, hanno la radice comune con bagattella, parola usata in italiano ed in francese.

Alla data del 18 luglio 1442 (16), e cioè pochi mesi dopo i provvedimenti relativi alla moneta minuta per le provincie della parte di terra, troviamo inscritto, nel libro risguardante le faccende del mare, un decreto del Senato, che ordina la coniazione di quattrini e mezzi quattrini per Ravenna, secondo la lega ed il modello presentato dai massari dell'argento, e prescrive al provveditore di Ravenna di adoperare, in tutti, i pagamenti fatti in quei territori, tali monete nella misura di un cinque per cento.

Il Lazari nella piccola moneta col nome di Ravenna e coll'immagine di Sant'Apollinare credette vedere il quattrino coniato in quest'epoca. Però nelle sue memorie, che conservo manoscritte, egli giustamente si ricrede, osservando che la fattura di questo pezzo, perfettamente uguale a quello coniato per Rovigo, li mostra entrambi incisi dalla stessa mano e battuti nella stessa epoca, che per Rovigo non si può antecipare dal 1484, seconda occupazione veneziana di quella città. Aggiungerò che non sarebbe naturale che la zecca di Venezia, soltanto in questo caso per Ravenna, avesse messo il santo protettore ed il nome della città, uso introdotto più tardi, e che il volume ed il peso di tale monetina non permettono di supporre un mezzo quattrino, che sarebbe riuscito troppo piccolo e troppo leggero. D'altronde la lira ed il quattrino di Ravenna erano uguali a quelli adoperati nelle città di Rimini, Pesaro ed altre vicine, ma i quattrini di quel tempo e di quei luoghi sono più pesanti e stanno fra i 14 ed i 16 grani. Crederei piuttosto riconoscere il quattrino decretato sotto Francesco Foscari in quel rarissimo nummo, che ha da un lato la croce ornata e dall'altro il leone rampante senza ali, colla banderuola fra le zampe anteriori, il cui peso si avvicina assai a quello dei quattrini battuti nelle città della Romagna, ed è tale da permettere la coniazione di un mezzo quattrino di sufficiente volume.

Il quattrino a Ravenna e nelle Romagne valeva due denari piccioli della lira usata in quelle provincie come dimostra G. A. Zanetti, per cui il mezzo quattrino era uguale alla duecentoquarantesima parte della lira. Credo poterlo identificare in quella moneta esistente nel Museo di San Marco, che Lazari credette un tornese. Siccome più tardi si sono ritrovati degli esemplari del vero tornese di Francesco Foscari e di Cristoforo Moro, con la solita croce, non si può ammettere che la zecca abbia lasciato un tipo antico e popolare, come quello del tornese, per riprenderlo più tardi. Un esemplare meglio conservato, che da poco è stato acquistato dalla raccolta Bottacin, mi fa credere, tanto per l'aspetto quanto per il peso di circa 7 grani, ch'esso sia il mezzo quattrino desiderato.

Resta ancora da interpretare una singolare monetina assai comune, avente sul diritto una croce patente col nome del doge e sul rovescio un leoncino rampante e le sole lettere "S punto M". Essa è tanto tenue, tanto leggera, che riesce difficile a comprendersi come abbia potuto essere praticamente adoperata. Ne troviamo la spiegazione in un decreto dei Pregadi del 21 giugno 1446 (17), che abolisce l'antico modello dei piccoli ed ordina una nuova stampa, la cui scelta affida al Collegio, ma colla stessa lega e colla stessa bontà. Lo scopo di questo cambiamento era quello di liberarsi da molte falsificazioni che infestavano il paese, e, sebbene non sia espresso, è facile intendere che si tratta di quei piccoli scodellati, che si coniavano per Venezia e che avevano corso nel dogado e nei territori vicini di Padova e di Treviso. Infatti questi denaretti hanno lo stesso intrinseco e lo stesso peso dei precedenti denari scodellati, sebbene seguano la tendenza comune delle monete di quest'epoca, e cioè vadano insensibilmente scapitando nel peso, dacché si cercava di aumentare quant'era possibile il largo guadagno, che la fabbricazione recava al pubblico erario, essendo lo stato travagliato da bisogni sempre crescenti. Così finisce e scompare una delle più antiche monete veneziane, che era stata la prima base della nostra monetazione; ma il piccolo nummo chiamato a sostituirla era destinato a breve vita, perché la sua esiguità conduceva naturalmente ad adoprare il puro rame, come avvenne più tardi.

Nel 18 dicembre 1453 (18) il Senato ordina alla zecca di coniare colla massima sollecitudine, per la somma di 20.000 ducati, quattrini da 4 piccoli l'uno, i quali sieno spesi in tutto lo Stato, ad eccezione della città di Venezia, proibendo però di eccedere quella somma senza autorizzazione dello stesso Consiglio. Tali quattrini si trovano assai facilmente anche oggi, ed hanno sul diritto la croce col nome del doge e sul rovescio un leone rampante senza ali, che tiene nelle zampe anteriori la spada. Servivano utilmente per avere una comune moneta nei conteggi delle varie lire adoperate nella terra ferma veneziana, giacché a Padova ed a Treviso valevano quattro piccoli e con tre pezzi si aveva il soldo veneziano; a Verona ed a Vicenza il quattrino valeva tre denari di quella lira e quattro quattrini formavano un soldo veronese. La comodità di tali monete era tanto apprezzata che la Comunità di Verona nel 1493 (19), e quella di Vicenza nel 1498 (20) chiesero al Consiglio dei Dieci di far coniare in zecca quattrini da tre al marchetto ed oboli da nove al marchetto, per servire alle minute contrattazioni. A Brescia gli stessi quattrini avevano un valore doppio del bagattino o denaro locale, per cui si dicevano quattrini-duini, nome che viene adoperato in un decreto del 29 agosto 1458, di cui parleremo più tardi, ed in un contratto conchiuso in Collegio (19 ottobre 1474) (21) per la vendita di monete fuori d'uso a certo Antonio Agostini, a cui restava vietato di spenderle, contratto ove sono specificati i quattrini duini da Brescia ed i pizzoli vecchi dal lion, le qual monede non se possino in alchuna parte del mondo spender.

Data così soddisfacente spiegazione di pressoché tutte le monete di bassa lega, che portano il nome di Francesco Foscari, una sola ci resta da chiarire, ed è quella lavorata accuratamente, che da un lato reca la testa del Santo Evangelista e dall'altro una croce accantonata da quattro punti triangolari, la quale esiste anche col nome di Tomaso Mocenigo, per cui ne ho già parlato nel capitolo che riguarda quel doge. Sia per l'epoca in cui fu introdotto questo tipo, sia per non poterlo ad altra regione attribuire, sospettai che questo denaro sia stato coniato per la provincia del Friuli, conquistata dai veneziani precisamente ai tempi di Tomaso Mocenigo. Il decreto 24 maggio 1442, riferito più sopra, ordina che i Masseri nostri della moneda de largento mandar debiano a padoa, trevixo e ale altre tere nostre da parte de tera et in la patria del friul di bagatini, i qual vien spesi in li diti luogi. Tale dizione sembra confermare che si coniassero anche pel Friuli bagattini di una stampa speciale, avendo quella provincia una monetazione differente da quella usata a Padova ed a Treviso: altrimenti il decreto avrebbe semplicemente ordinata la coniazione e la spedizione di un solo tipo di denari, sapendosi che la stessa lira era adoperata a Venezia, Padova e Treviso, e che alle monete speciali di Verona e Vicenza, di Brescia e Bergamo, erasi provveduto coll'altro decreto 22 febbraio 1441 (1442).

Così abbondanti e ripetute emissioni di monete scadenti, il cui pregio era di gran lunga inferiore al valore ed al ragguaglio colle principali d'oro e d'argento, recavano non pochi danni al commercio ed a tutti i cittadini, producendo, fra gli altri inconvenienti, anche quello di incoraggiare le imitazioni e le falsificazioni. In tale epoca ai volgari falsificatori, che sono e furono sempre, si aggiungevano alcuni principi e governi, i quali non avevano scrupolo di copiare i tipi più conosciuti e più pregiati e di riprodurli con lievi modificazioni in metallo scadente, ricavando non iscarso guadagno da tale disonesta operazione. Il ducato ed il grosso veneziano erano stati copiati in Italia ed in Levante, ma era ben più facile imitare piccole monetine di fabbricazione molto trascurata, approfittando della negligenza che si osserva nel pubblico di tutti i tempi, nelle cose di poco valore. Infatti il Senato si preoccupa dei piccoli falsi che infestano il paese, ordinando nel 7 maggio 1446 (22) a tutti i cittadini di presentarli alle autorità, per essere indennizzati del solo valore del rame, e chi avesse piccoli falsi e non li denunciasse deve perderli. Visto che gli altri rimedi non sono sufficienti ad estirpare il male, si decide di cambiare il tipo dei denari veneziani, come abbiamo raccontato più sopra, prescrivendo a tutti di portare agli ufficiali della zecca i piccoli della vecchia forma, per avere in cambio quelli nuovamente coniati (23). Pochi mesi dopo, 9 settembre 1446, si minacciano pene e multe a chi introduce monete false nello stato, con proibizione di far grazia, ed il decreto (24) parla principalmente di soldi e di piccoli. Finalmente nel 15 dicembre 1454 il Senato (25), trovando troppo miti e non adequate alla colpa le punizioni sino allora comminate, estende anche a quelli, che portano o fanno portare dall'estero monete false, le pene stabilite per i falsificatori, che non erano certamente leggere, giacché si trattava della perdita della mano destra e di tutti due gli occhi, oltre a multe gravissime, delle quali una parte era devoluta ai denunciatori.

Collo stesso scopo il Senato (28 agosto 1447) sancisce una legge (26) secondo la quale gli intagliatori della zecca devono essere cittadini originari di Venezia, per isfuggire il pericolo che i conî possano cadere nelle mani dei Signori forestieri, che imitano le monete veneziane, e poco tempo dopo (29 novembre 1447), essendo vacante il posto dell'intagliatore delle stampe delle monete d'argento, per la morte di Gerolamo Sesto, il Collegio prescrive (27) che la elezione debba farsi assieme dagli ufficiali della moneta dell'argento con quelli della moneta d'oro, tanto in questo caso, quanto in quello che mancasse il maestro delle stampe dell'oro.

Indipendentemente dalle falsificazioni, i danni causati da sì grande copia di moneta inferiore erano tanti e così manifesti, che il Senato più volte ne fu compreso e sospese la coniazione dell'uno o dell'altro genere di monetine, quando troppo si era abusato di questo ripiego finanziario. Ma si tornava a ricorrervi sotto la pressione delle necessità di una guerra lunga e dispendiosa, sostenuta da truppe di ventura, che smungeva le finanze dello Stato e le risorse del paese. Per esempio nel 23 novembre 1443, dopo segnata la pace, sperandosi tempi più tranquilli, si proibisce la coniazione di piccoli per Brescia, Padova ed altre terre (28) ma nel 13 marzo 1447, quando più urgente era il bisogno di denaro, si ordina ai massari dell'argento di fabbricare tremila marche di piccoli per Brescia, per ricavare 3500 ducati di utilità, che sono destinate agli armamenti (29). Nel 25 settembre 1451 si sospende nuovamente la fabbricazione di piccoli per Brescia (30), e nel 12 novembre successivo (31) si ordina alla zecca di far uscire in qualsiasi modo i piccoli di Brescia già pronti e che non si possono spedire costà per la proibizione fatta, consegnando il ricavato all'arsenale per provviste di guerra, ma nel 29 dicembre dello stesso anno si delibera la coniazione di 7000 ducati di piccoli da Brescia, non ostante tutti gli ordini contrari (32). Nel 18 settembre 1453 il Senato proibisce agli ufficiali della zecca di coniare piccoli da Venezia (33) sotto pena di 200 ducati di multa da infliggersi dagli Avogadori del Comune: tre giorni dopo, questo provvedimento viene sospeso per ordine della Signoria (34) finché sia completata la somma di 18,000 lire di tali denari decretata nel 22 agosto precedente (35), il cui ricavato doveva essere consegnato all'arsenale per l'armamento di cinquanta galere.

Giunte le cose a questo punto, vi si ingerisce il Maggior Consiglio, il quale in una legge del 16 marzo 1456 (36) osserva che nel tempo della guerra, e per le necessità delle terre e per le molte spese, furono ordinati e coniati nella zecca quattrini e piccoli di varia sorte, e si sono continuati a coniare anche dopo la pace, ed ora sono talmente moltiplicati che nella terraferma sembra che non vi sia altra moneta se non di rame, e comincia ad esserne infestata anche la città, ciò che è causa di questioni, di confusioni e di altri gravi inconvenienti. Per cui proibisce agli ufficiali della zecca di coniare quattrini o piccoli senza il permesso dello stesso Maggior Consiglio, minacciando la privazione dell'ufficio, pene pecuniarie e personali, agli ufficiali ed agli stampatori che contravvenissero a questi ordini.

Nel 20 febbraio successivo 1456 (1457) (37), essendovi circa 2500 marche di rame legato coll'argento giacente in zecca con danno del Comune, il Maggior Consiglio ordina di fabbricare quattrini con quella pasta e di adoperare in preparativi di guerra la utilità risultante, calcolata in 1500 ducati, e ciò solo per la materia esistente e non più, rimanendo ferme le disposizioni e le pene stabilite dal precedente decreto.

Con sifatti provvedimenti si chiude questo periodo importante della storia numismatica veneziana. Per lungo tempo non si coniarono più dalla nostra zecca monete di bassa lega, se non nella quantità strettamente necessaria ai bisogni.

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MONETE DI FRANCESCO FOSCARI.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "F R A C punto F O S C A R I", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "punto S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "punto S I T punto T punto X P E punto D A, T SEGNO, punto Q apostrofo punto T V spazio R E G I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola XV, numero 1.

2. Varietà nel Dritto. "F R A C apostrofo punto F V S C A R I".

Grossone da 8 soldi. Argento, titolo 0,949 (peggio 60). Peso, grani veneti 59 e 45 centesimi (grammi 3,076).

3. Dritto. Il doge in piedi, volto a sinistra, tiene con ambe le mani l'asta di un'orifiamma ed è chiuso in un cerchio di perline, oltre il quale sporge la banderuola volta a destra "punto F R A N C I S C V S punto F O S C A R I spazio D V X".

Rovescio. San Marco di fronte, mezza figura, cinto il capo d'aureola, tiene il vangelo colla mano sinistra e colla destra benedice: un cerchio di perline divide dall'iscrizione "croce punto S A N C T V S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XV, numero 2.

4. Varietà. Dritto. Il doge in ginocchio, volto a sinistra, tiene con ambe le mani l'asta di un'orifiamma, la cui banderuola, volta a destra, divide l'iscrizione. Il diametro della moneta è minore e manca il cerchio di perline. "F R A N C I S C V S punto F O S C A R I punto punto punto V X punto".

Rovescio. San Marco di fronte, come sopra, manca il cerchio di perline.

Tavola XV, numero 3.

L'esemplare del Museo Correr, solo conosciuto, è bucato e consumato dall'uso, per cui non pesa che grani veneti 55 (grammi 2,846).

Grosso, o grossetto. Argento, titolo 0,949. Peso, grani veneti 30 e 92 centesimi (grammi 1,600), grani veneti 29 e 72 centesimi (grammi 1,538), legge 9 luglio 1429 e grani veneti 27 e 10 centesimi (grammi 1,402) legge 22 gennaio 1443-44.

5. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "F R A punto F O S C A R I", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I punto", nel campo, tra le figure e l'iscrizione, le iniziali del massaro.

Rovescio. Il Redentore in trono "croce T I B I spazio L A V S spazio 7 punto G L O R I A".

Tavola XV, numero 4.

Iniziali dei massari. "A P, B S, D I, D EZH CODA, F L, L G, L L, M corsivo B, OI L, M M, OI M, M P, N B, N C, N F, N f corsivo, P P, EZH capovolta B, EZH CODA EZH CODA".

6. Varietà nel Dritto. "F R A C punto F O S C A R I".

Mezzo Grosso (2 soldi). Argento, titolo 0,949. Peso, grani veneti 14 e 86 centesimi (grammi 0,769).

7. Dritto. Il doge in piedi, volto a sinistra, tiene con ambe le mani un vessillo, la cui banderuola svolazza a destra "punto F R A punto F O S C spazio A R I punto D V X".

Rovescio. Marco di fronte, mezza figura con aureola, tiene il vangelo con la mano sinistra e colla destra benedice "punto S punto M A R C apostrofo spazio V E N E T I punto".

Tavola XV, numero 5.

Soldino. Argento, titolo 0,949. Peso, grani veneti 7 e 73 centesimi (grammi 0,400) e grani veneti 7 e 43 centesimi (grammi 0,384), legge 9 luglio 1429 e grani veneti 6 e 77 centesimi (grammi 0,350) legge 23 gennaio 1443-44.

8. Dritto. Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo "F R A punto F O S C A spazio R I punto D V X punto", nel campo, dietro alla figura del doge, le iniziali del massaro una sopra l'altra.

Rovescio. Leone accosciato sulle zampe posteriori, tiene colle anteriori il Vangelo: la iscrizione è qualche volta divisa da un leggero cerchietto, che manca completamente in altri esemplari "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XV, numero 6.

Iniziali dei massari. "B sopra S, D sopra I, E sopra P, F sopra L, F sopra OI, G sopra OI, K sopra Q, M sopra B, M corsivo sopra B, M cosrivo sopra B simmetrica, OI sopra L, M sopra M, M sopra P, OI sopra P, N sopra B, N corsivo sopra B, N sopra C, N sopra D, N sopra F, N corsivo sopra V, R sopra B, EZH capovolta sopra B, EZH capovolta sopra L, EZH CODA simmetrica sopra B, EZH CODA sopra EZH CODA".

Piccolo, o denaro. Mistura, titolo 0,111 e 0,055 (peggio 1088). Peso, grani veneti 4 e 80 centesimi (grammi 0,248): scodellato.

9. Dritto. Croce in un cerchio "croce F R A C punto F O spazio D V X".

Rovescio. Croce in un cerchio "croce, S ruotata, spazio M A R C V, S ruotata".

Tavola XV, numero 7.

10. Varietà Dritto. "croce F R A punto F O punto D V X".

Rovescio. "croce punto, S ruotata, spazio M A R C V, S ruotata, punto".

Per la negligenza degli stampatori della zecca, i piccoli di questo doge, come quelli di Michele Steno e Tomaso Mocenigo, sono talvolta incusi da un lato, tal altra mancano di ogni impressione sul rovescio.

Piccolo, o denaro, nuovo tipo. Mistura, titolo 0,055. Peso, grani veneti 4 e mezzo (grammi 0,232) circa.

11. Dritto. Croce patente in un cerchio "croce punto F R A punto F O punto D V X punto".

Rovescio. Leone nimbato, senza ali, rampante a sinistra, nel campo "S punto spazio punto M".

Tavola XV, numero 8.

Quattrino per la terraferma (4 denari). Mistura, titolo 0,055. Peso, grani veneti 18 (grammi 0,931) circa.

12. Dritto. Croce patente, colle braccia divise longitudinalmente in tre comparti, quello di mezzo di perline, il tutto chiuso in un circolo, attorno "croce punto F R A punto F O S C A R I punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante, nimbato, senz'ali, che tiene la spada nella zampa destra anteriore, volgendosi a sinistra, chiuso in un circolo "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XV, numero 9.

13. Varietà nel Dritto. Croce colle estremità ornate di ricci, che somiglia a quella del numero 13.

Tavola XV, numero 10.

Quattrino per Ravenna (due piccioli). Mistura, titolo 0,055. Peso, grani veneti 12 (grammi 0,621).

14. Dritto. Croce colle estremità ornate di ricci, chiusa in un circolo "croce punto F R A punto F O S C A R I punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante, nimbato, senz'ali, volto a sinistra, che nelle zampe anteriori tiene un'orifiamma, la cui banderuola esce dal circolo che separa l'iscrizione "S punto M A R C V S punto V E N E T I".

Gabinetto di Sua Maestà. Torino.

Tavola XV. numero 11.

Regio Museo Britannico.

Conte Antonio de Lazzara. Padova.

I tre esemplari conosciuti sono consumati e quindi deficienti di peso.

Mezzo Quattrino per Ravenna (picciolo). Mistura, titolo 0,055. Peso, grani veneti 7 e mezzo (grammi 0,388).

15. Dritto. Croce colle estremità ornate di ricci, in un cerchio "croce punto F R A punto F O S C A R I punto D V X punto".

Rovescio. Leone accosciato, col vangelo tra le zampe anteriori, in un cerchio "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Regia Biblioteca e Museo di San Marco.

Tavola XV, numero 12.

Museo Bottacin.

Raccolta Papadopoli.

Piccolo, o Bagattino per Brescia. Mistura, titolo 0,111 e 0,055. Peso, grani veneti 9 (grammi 1,465) circa.

16. Dritto. Croce a braccia uguali, accantonata dalle quattro lettere "F F D V".

Rovescio. Leone accosciato, che tiene il vangelo tra le zampe anteriori, senza iscrizione.

Tavola XV, numero 13.

Piccolo, o Bagattino per Verona e Vicenza. Mistura, titolo 0,111 e 0,055. Peso, grani veneti 5 e 98 centesimi (grammi 0,309).

17. Dritto. Croce a braccia uguali, accantonata da quattro anellini "F R spazio A punto F spazio O punto D spazio V X".

Rovescio. Testa di San Marco in un cerchio "croce punto S punto M punto V E N E T I punto".

Tavola XV, numero 14.

18. Varietà nel Dritto. "F A spazio F O spazio S punto D spazio V X".

Piccolo, o Bagattino pel Friuli (?). Mistura, titolo 0,055. Peso, grani veneti 11 (grammi 0,569).

19. Dritto. Croce accantonata da quattro punti triangolari in forma di raggi, entro un cerchio, attorno "croce punto F R A C punto F O S punto D V X punto".

Rovescio. Busto di San Marco, con aureola di perline in un cerchio, attorno "croce punto S punto M A R C V S punto".

Museo Correr.

Tavola XV, numero 15.

Tornesello. Mistura, titolo 0,111 e 0,055. Peso, grani veneti 14 (grammi 0,724).

20. Dritto. Croce patente "croce F R A, C SEGNO, spazio F O S C A R I, due punti in verticale, D V X".

Rovescio. Leone accosciato, col vangelo tra le zampe anteriori "croce
V E X I L I F E R punto V E N E C I A, RUM TONDA".

Tavola XV, numero 16.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI FRANCESCO FOSCARI.

MURATORI L. A. — Opera citata, Dissertazione XXVII, colonne 650-652, numero XVI; ed in ARGELATI, Parte I, pagina 48 e 49, tavola XXXVIII, numero XVI.

SCHIAVINI F. — Opera citata, in ARGELATI, Parte I, pagina 283 e 287, numero II.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 420, Tavola VI, numero VI e X.

BELLINI V. — Dell'antica lira ferrarese, etc. Opera citata, pagina 6, nota 1.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione I,
pagina 104, 105 e 109, numero XXVII, XXVIII, XXIX, XXX; ed in
ARGELATI, Parte V, pagina 30 t., 31 e 32 t., numero XXVII, XXVIII,
XXIX e XXX. — Dissertazione II, pagina 133-135, numero IV, V e VI.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 276.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 176-178, numeri LXXXIII, LXXXIV, LXXXV, LXXXVI, LXXXVII, LXXXVIII, LXXXIX, XC, XCI, XCII, XCIII, XCIV, XCV, XCVI e XCVII.

TERZI B. — Opera citata, pagina 26-30, tavola II, numero 12.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1127-1128, numeri 3943, 3944, 3945, 3946, 3947 e 3948.

MANIN L. — Esame ragionato etc. Opera citata, pagina 180, numero 11 della tavola.

GEGERFELT (VON) H. G. — Opera citata, pagina 9.

ZON A. — Opera citata, pagina 25, 31, 34-36, tavola I, numero 14.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 29 e 30 (numeri 322 a 373) e tavola.

LAZARI V. — Opera citata, pagina 72, 136-137 e 144-147, tavola VI, numero 30 e tavola XIV, numero 70.

KUNZ C. — Catalogo citato, pagina 9 e 10.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 7.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LXV.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LXV.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 20-21, 85 e 96.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228-233, 254-255. Volume V, 1873, pagina 207-210.
Volume XI, 1879, pagina 130 e 158.

SCHLUMBERGER G. — Opera citata, pagina 474, tavola XVIII, numero 10.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 23-25, e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 103-104, Tomo XIII, pagina 147, Tomo XXI, pagina 136 e Tomo XXII, pagina 292, — terza edizione, 1881, pagina 19-20, 89, 335 e 356.

Bolla in piombo di Francesco Foscari.

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NOTE A "FRANCESCO FOSCARI".

(1) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro III, carte 79.

(2) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Ursa, carte 191.

(3) Documento XXIII.

(4) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro LVII, carte 126 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 25. — Capitolare dei Massari all'argento, carte 65 tergo.

(5) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro I, carte 67 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 29 tergo.

(6) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro I, carte 113 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 29 tergo. — Capitolare dei Massari all'argento, carte 67.

(7) Documento XXIV.

(8) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro I, carte 115. — Capitolare delle Brocche, carte 30 tergo.

(9) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro I, carte 116 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 30 tergo.

(10) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro I, carte 134. — Capitolare delle Brocche, carte 30 tergo.

(11) Documento XXV.

(12) Documento XXVI.

(13) Documento XXVI.

(14) Verci G. B. — Delle monete di Padova, in Zanetti G. A. Nuova Raccolta etc. Tomo III, pagina 374. — Brunacci J. De re nummaria Patavinorum. Opera citata, pagina 46.

(15) Azzoni Avogaro R. Delle monete di Trevigi. Opera citata in Zanetti G. A. Nuova Raccolta, etc. Tomo IV, pagina 181.

(16) Documento XXVII.

(17) Documento XXVIII.

(18) Documento XXIX.

(19) Regio Archivio di Stato. Consiglio dei Dieci, Misti, registro XXVI, carte 3.

(20) Regio Archivio di Stato. Consiglio dei Dieci, Misti, registro XXVII, carte 183 tergo.

(21) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 44.

(22) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro I, carte 190. — Capitolare delle Brocche, carte 30 tergo.

(23) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro I, carte 195. — Capitolare delle Brocche, carte 31 (21 giugno 1446).

(24) Archivio di Stato. Senato, Terra, registro II, carte 2. — Capitolare delle Brocche, carte 31 tergo.

(25) Regio Archivio di Stato. Avogaria dei Comune, Deliberazioni del Maggior Consiglio, registro C. 11, carte 61 tergo. — Capitolare dei Massari all'argento, carte 68.

(26) Documento XXX.

(27) Regio Archivio di Stato. Collegio, Notatorio, registro XVI, carte 66. — Capitolare delle Brocche, carte 31 tergo,

(28) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro I, carte 111 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 29 tergo

(29) Archivio di Stato. Senato, Terra, registro II, carte 24 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 31.

(30) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro III, carte 2. — Capitolare delle Brocche, carte 33.

(31) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 33.

(32) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro 111, carte 13. — Capitolare delle Brocche, carte 33 tergo.

(33) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro III, carte 79. — Capitolare delle Brocche, carte 33 tergo.

(34) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 34.

(35) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 33 tergo.

(36) Documento XXXI.

(37) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Regina, carte 10 tergo.

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PASQUALE MALIPIERO.
DOGE DI VENEZIA.

1457-1462.

Il principato di Pasquale Malipiero fu un breve periodo di pace, e se in esso la storia non trova da registrare fatti d'armi, o conquiste gloriose, il paese potè riaversi dai danni patiti e migliorare le sue condizioni economiche. Si riordinarono alcune magistrature, si concluse un trattato commerciale vantaggioso col Soldano d'Egitto, prosperarono le industrie ed il commercio, cominciarono a fiorire gli studi e le arti.

Anche sotto il punto di vista numismatico abbiamo poche notizie e nessun fatto importante da registrare. La maggior parte dei provvedimenti adottati sono di semplice amministrazione, come quello che le utilità provenienti dall'esercizio della zecca debbano servire a pagare le ciurme delle galere sottili (1), altro per mettere ordine alle paghe degli impiegati e degli operaj, e per tutelare la esattezza degli assaggi fatti alle pezze di metallo che si portavano in zecca dai mercanti per la affinazione. È da notarsi la tendenza ad escludere i non veneziani dai lavori di zecca, prescrivendosi nel 10 marzo 1460 che anche i quattro fanti sieno veneziani, fioli de persone da ben (2) e che tutti gli uomini da prendersi nella zecca dell'oro, tanto quelli che battono la moneta, che gli altri, siano veneziani, salvo gli affinatori, che devono essere scelti dai massari assieme ai due pesatori riuniti in consiglio (3).

Si continuarono quindi a coniare zecchini, grossi e soldini coi tipi usati. Quanto alla moneta di bassa lega fu rispettato il decreto del Maggior Consiglio, che ne sospendeva la coniazione, anzi nel 29 luglio 1458 (4), troviamo una deliberazione del Senato, che, per provvedere agli inconvenienti occorsi a Brescia e nel territorio bresciano, proibisce i piccoli falsi e ne decreta la distruzione: ordina poi ai cittadini di portare alla Camera di Brescia tutti i piccoli buoni di nostro conio, dei quali si debba conservare un valore di quattromila ducati e gli altri sieno fusi e ridotti in quattrini sive duine. Prescrive poi che i piccoli conservati non possano essere ricevuti dalle Camere, ma debbano correre a Brescia e nel territorio bresciano, per comodità di tutti e specialmente dei poveri, senza però che alcuno sia obbligato a riceverne in pagamento per un valore maggiore di un soldo. Le Camere poi devono pagare e riscuotere in monete d'oro e d'argento ed in quattrini ossia duini, e cioè metà in oro ed argento e metà in duini, ma questi devono contarsi e non essere pagati in scartocciis. Infatti esistono nelle raccolte delle monete veneziane i quattrini di Pasquale Malipiero col leone rampante che tiene fra le zampe anteriori la spada, uguali a quelli ordinati negli ultimi anni di Francesco Foscari. Questo provvedimento, che cambia la forma, ma non la quantità della moneta inferiore, destinata alle minute contrattazioni nel territorio bresciano, dimostra che non si voleva continuare in tempo di pace un sistema dannoso agli interessi dei cittadini, al quale si era ricorso solo in causa delle strettezze finanziarie cagionate dalle lunghe guerre. Difatti col nome di questo doge non si trovano nemmeno tornesi ed esistono due soli esemplari del bagattino colla testa di San Marco.

Erano ancora in circolazione nei territori veneti, eccettuata Venezia, i quattrini di bassa lega, emessi in quantità superiore ai bisogni nei tempi difficili di Francesco Foscari, ed aumentava il disordine l'invasione di monete estere e false della stessa apparenza, per cui movevano lamento i rettori di Verona, e la Comunità di Padova mandava oratori alla dominante, per chiedere provvedimenti. Su tale argomento due parti furono prese dal Senato; colla prima del 26 luglio 1459 (5) ordinava ai rettori delle città venete della parte di terra d'invitare tutti i cittadini a portare i quattrini innanzi ad un consesso di persone esperte e fidate, che dovevano scegliere i buoni dai falsi e forestieri, restituendo i primi ai proprietarî e tagliando gli altri per mezzo; ferme sempre le pene comminate a coloro che fabbricassero od introducessero nello stato moneta falsa o proibita. Col secondo decreto del 28 dello stesso mese (6) si delegano tre maestri di zecca, i quali debbano recarsi a spese dello stato nelle varie città per fare coscienziosamente la scelta, affinché nessuno possa addurre ignoranza a sua discolpa.

Del 13 marzo 1461 (7) troviamo un ordine della Signoria all'incisore Antonello di fare i conî pegli aspri della Tana. Nulla possiamo dire di queste monete, perché il decreto prescrive soltanto che si facciano secondo quanto riferirà ser Nicolò Contarini, che va Console alla Tana. Probabilmente non si trattava d'una moneta che avesse nomi ed emblemi veneziani, ma bensì di una imitazione degli aspri, che si usavano in quei lontani paesi, con cui Venezia aveva importanti traffici. Però manca ogni indizio, ogni traccia, per sapere se tale moneta sia stata effettivamente coniata, abbia avuto corso ed a quali segni possa essere riconosciuta.

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MONETE DI PASQUALE MALIPIERO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "P A punto M A R I P E T apostrofo", lungo l'asta "D V X", dietro il Santo "S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di
stelle, quattro a sinistra, cinque a destra "S I T punto T punto X
P E punto D A T punto Q spazio T V punto spazio R E G I S spazio I
S T E punto D V C A T".

Tavola XVI, numero 1.

Grosso, o grossetto. Argento, titolo 0,949. Peso, grani veneti 27 e dieci centesimi (grammi 1,402).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "P A punto M A R I P E T R O", lungo l'asta "D V X", a destra "S punto M punto V E N E T I", nel campo, tra le figure e l'iscrizione, le lettere iniziali del Massaro.

Rovescio. Il Redentore in trono "croce punto T I B I punto L A V S punto spazio E T punto G L O R I A punto".

Tavola XVI, numero 2.

Iniziali dei massari. "A T, D L, F M, P EZH CODA, S T, EZH CODA P".

I grossi di questo principe sono quasi tutti stronzati, e quindi inferiori al peso legale.

Soldino. Argento, titolo 0,949. Peso, grani veneti 6 e 77 centesimi (grammi 0,350).

3. Dritto. Il doge in piedi tiene con ambe le mani il vessillo "punto croce P A punto M A R I P E spazio T R O punto D V X", nel campo, dietro la figura del principe, le iniziali del massaro una sopra l'altra.

Rovescio. Leone accosciato sulle zampe posteriori, che tiene il vangelo nelle anteriori: senza traccia di circolo attorno "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Museo Bottacin.

Tavola XVI, numero 3.

Iniziali del massaro. "d sopra d".

Quattrino, o Duino (4 denari di Venezia, 2 denari di Brescia).
Mistura, titolo 0,055. Peso, grani veneti 18 (grammi 0,931) circa.

4. Dritto. Croce patente, colle braccia divise longitudinalmente in tre comparti, quello di mezzo perlato, attorno "croce punto P A punto M A R I P E T R O punto D V X punto".

Rovescio. Leone rampante, nimbato, senz'ali, colla spada nella zampa destra anteriore, volto a sinistra, attorno "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Tavola XVI, numero 4

Piccolo, o Bagattino per il Friuli (?). Mistura, titolo 0,055. Peso, grani 11 (grammi 0,569).

5. Dritto. Croce accantonata da quattro punti triangolari in forma di raggi entro un cerchio, attorno "croce punto P A punto M A R I P E T R O punto".

Rovescio. Il Busto di San Marco con aureola di perline in un cerchio, attorno "croce punto S spazio M A R C V S punto".

Tavola XVI, numero 5.

Museo Bottacin.

Regio Museo Britannico.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI PASQUALE MALIPIERO.

BELLINI V. — De monetis Italiæ etc. Opera citata, Dissertazione
II, pagina 134-135, numero VII.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, Supplément, 1769, pagina 79.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 178, numero XCVIII.

APPEL J. — Opera citata, Volume III, pagina 1128, numero 3949.

ZON A. — Opera citata, pagina 22, 23, 36 e 79.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 32 (274 a 381) e tavola.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LXVI.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LXVI.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 21.

KUNZ C. — Il Museo Bottacin etc. — Periodico di Numismatica e
Sfragistica etc
., Firenze, 1868-1874, Volume II, pagina 76, tavola
III, numero 6, — tiratura a parte, pagina 59.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 228-232, Volume V, 1873, pagine 210-211.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagine 25-26, — Archivio Veneto, Tomo. XII, pagina 104-105, Tomo XXI, pagina 137, — terza edizione, 1881, pagina 20-21 e 335.

Impronta del sigillo di Pasquale Malipiero esistente nel Museo
Correr.

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NOTE A "PASQUALE MALIPIERO".

(1) Regio Archivio di Stato. Senato, Mare, registro VI, carte 44 tergo. — Capitolare delle Brocche, carte 34 tergo. (1 dicembre 1457).

(2) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 34 tergo.

(3) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei Massari all'oro, carte 45, rubrica 111.

(4) Documento XXXII.

(5) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro IV, carte 115.

(6) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro IV, carte 110.

(7) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 35.

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CRISTOFORO MORO.
DOGE DI VENEZIA.

1462-1471.

Successe al Malipiero il doge Cristoforo Moro, che aveva già onorevolmente servito la patria in molti importanti uffici. Nei primi anni del suo principato per lievi cagioni scoppiò la guerra contro i Turchi, la cui forza d'espansione minacciava tutta l'Europa. Venezia per la sua naturale posizione geografica, per i suoi estesi possessi in Oriente, era la prima a sopportarne l'urto, e sebbene lungamente e valorosamente tenesse testa all'invasione musulmana, finì coll'esaurire il meglio delle sue forze in questa lotta secolare ed ineguale.

Bandita la crociata, Pio II era riuscito a concentrare in Ancona una flotta poderosa, nella quale altri principi cristiani avevano unito le loro galere a quelle della Chiesa e di Venezia, ma la morte improvvisa del Pontefice disperse quel grandioso apparato di guerra. I veneziani furono costretti a combattere da soli con varia fortuna, ma mentre si possono raccontare non pochi esempi gloriosi di energia e di valore, pur troppo si cominciano a vedere i primi sintomi di una decadenza, che non dipendeva solo dalle vicende e dai fatti esterni, ma aveva la sua causa nell'abbassamento del vigore e dello spirito di sacrificio, che era nel cuore degli antichi veneziani.

Questo primo periodo della lotta coi Turchi non ebbe fine se non dopo che Cristoforo Moro era già disceso nel sepolcro, ma durante il suo regno la Repubblica subì la perdita di Negroponte, dolorosissima anche per le circostanze tristissime che l'accompagnarono.

Tranne il ducato, che pur non è comune, le monete tutte di questo doge sono rare e pregiate, e facilmente s'indovina il perché; nei nove anni del suo regno si stava studiando e maturando quella riforma, che fu messa in atto subito dopo l'elezione di Nicolò Tron. Ad essere esatti convien dire che da molto tempo il governo era preoccupato dalle gravissime perturbazioni e dai danni che alla circolazione monetaria recavano le falsificazioni, sopra tutto delle monete di poco valore e il deterioramento delle monete di maggior pregio per la tosatura. I magistrati competenti studiavano i modi di combattere sì grave danno; gli ufficiali della zecca avevano fatto preparare delle prove di nuove monete e le avevano lasciate vedere ad alcuni nobili e cittadini. Tale novità non incontrava l'approvazione di molti, che desiderosi di conservare i vecchi costumi, non volevano alcun cambiamento, nemmeno nella moneta, per cui nel 18 giugno 1459 il Senato (1) adottava a grande maggioranza che non si facessero altre stampe per le monete, e che si distruggessero le nuove già preparate.

Coerentemente a tali idee, subito dopo l'elezione del doge Cristoforo Moro, e cioè il 14 maggio 1462, la Signoria (2) approva il conio del grosso, fato per man de Maistro Antonello, sì da la banda del Christo, chome da la banda de san Marcho e del doxe. . . purché el no ce entri più Arzento ne mancho del consueto, e prescrive che nel nome del principe si debbano mettere tante lettere, quante sono state deliberate per il ducato.

Per altro non erano abbandonati gli studî ed i progetti, cosicché nel Capitolare delle Brocche, sotto la data del 21 giugno 1462 (3) trovasi l'ordine ai massari di consegnare 12 fiaoni (4) a ser Piero Salomon, capo dei quaranta, il quale desiderava battere alcuni grossi colle nuove stampe, che egli aveva fatto incidere da Antonello. Nei mesi di giugno e luglio 1462, sono registrati altri ordini della Signoria di consegnare allo stesso incisore fiaoni da grossi e da grossoni per stampe nuove (5). Finalmente nello stesso prezioso libro, che raccoglie oltre ai decreti anche gli ordini, verbali e le annotazioni degli ufficiali di zecca, troviamo (6):

"Adj 7 lugio 1462. Noto io, Jachomo de Antonio d'Alvise, schrivan, chomo vene qui alla, zecha Miser Triadan Griti Savio grando, disse da parte de la Signoria se dovesse far far certi pizoli grandi, per mostra, di rame puro, e chussì fo fato: e fato che i fono, fono dati al dito mis Triadan, i quali pizoli haveva da una banda la testa del dose, e da l'altra san Marcho".

Nonostante tutti questi studi e queste prove, che riguardavano tanto le monete d'argento che quelle di poco valore, si esitava a prendere un partito, ed il Maggior Consiglio, il 10 agosto 1463 (7), delegava i suoi poteri al Senato, incaricandolo di provvedere affinché cessassero le falsificazioni dei piccoli, che si moltiplicavano con grave danno dei sudditi. Il Senato se ne occupa subito e nel 14 agosto (8) prescrive che non si possano coi piccoli fare pagamenti, se non di cose minute, che i banchieri non possano tenerli al banco od altrove, in scarnutiis (9) od in altro modo, darli a prestito o farne mercato: i cittadini siano tenuti a portare tutti i piccoli nei luoghi che saranno indicati per ogni città, ove persone intelligenti sceglieranno quelli buoni, di conio veneziano, e faranno distruggere col fuoco i bagattini falsi, restituendo al proprietario il metallo fuso.

Il 26 dello stesso mese, respingono i Pregadi (10) il progetto di coniare monetine d'argento da do e tre per soldo, ossia da sei e quattro denari; e finalmente il 3 settembre (11) prendono una definitiva determinazione sull'argomento dei piccoli, ponendo ai voti due proposte, colla prima delle quali si ordina di fondere in tavole 3000 marchi di quattrini di conio veneziano, che esistono in zecca e che hanno la solita lega ai rame con poco argento, e da queste tavole fare pizoli copoludi i quali non devono essere spesi né cambiati con moneta fina, ma custoditi in una cassa forte per darli in luogo di piccoli buoni, che devono essere portati al cambio dai cittadini a Venezia, a Padova ed a Treviso, fino al 15 di questo mese, dopo il quale termine non possono spendersi se non piccoli copoludi. Si ripetono oltre a ciò le disposizioni del precedente decreto 14 agosto, che proibiscono di adoperare i piccoli se non al minuto e per un valore non maggiore di 5 soldi. Colla seconda parte messa ai voti contemporaneamente (12), si respinge la proposta di coniare una moneta di rame a forma di medaglia, secondo il progetto studiato ed ordinato, la quale sarà spesa a 12 per marchetto come i piccoli. Né l'una né l'altra di queste deliberazioni è riportata nel Capitolare delle Brocche, dove si legge soltanto l'ordine della Signoria di coniare i piccoli di lega colle seguenti parole:

"+ adi 6 settembre. Referì miser Piero Dandollo de miser Marco, e miser Bernardo Bondomier massari alla zecha chel cholegio li chomando i fesse far i pizolli chopoludi, zoe marche 3000 di quatrini consignadi per quelli da le Chamere dela liga che i se trova, la qual e K.ti 54 per marca. — 1463 die VI Septembris. — De commandamento de la Serenissima Signoria referì Jo Domenego Stella ducal secretario a questi Magnifici Signori de la zecha che i debiano supplir al bater dei bagatini fino a la summa de LX carati a zo tuti i pizoli se farà sia de LX carati per marcha" (13).

In tal modo sappiamo che l'intrinseco della lega dovea essere migliorato fino a 60 carati di fino per marca, ma la qualifica che ci resta da spiegare è quella dei copoludi data a tali bagattini, la quale indica evidentemente una caratteristica essenziale che li differenzia da quelli coniati precedentemente, esprimendo il decreto 3 settembre chiaramente che, passato il termine accordato al cambio delle antiche monete, non si possono spendere se non piccoli copoludi. Ora questa caratteristica, che distingue a colpo d'occhio i piccoli di Cristoforo Moro dai precedenti, senza pericolo di errare, è una sola, e cioè la forma leggermente scodellata che ricorda quella degli antichi denari d'argento. Infatti nei migliori dizionari italiani si trova coppoluto nel senso di alto, rotondo e fatto a forma di cupola; in molti paesi d'Italia ed anche nel nostro estuario si chiama coppola quella beretta sferica, che portano i pescatori; e finalmente il Pegolotti (14) l'adopera precisamente nel significato di moneta scodellata, quando annovera fra le monete d'oro i bixanti copoluti di Cipri.

Essendosi presentate al cambio più di 7000 marche di piccoli, il Senato ordina nel 2 dicembre 1463 (15) la coniazione di altre 3000 marche di bagattini del nuovo tipo, accordando a coloro che avessero piccoli falsi, il pagamento del solo valore del rame in ragione di otto soldi per marca.

Sembra però che tutti non fossero contenti delle decisioni prese, giacché nel 24 novembre 1464 (16) si propone nuovamente di ritirare i piccoli esistenti e di sostituirli con monete di puro rame del peso di 18 carati, le quali dovevano essere spese in ragione di 12 pezzi per marca. Anche questa volta il partito fu rigettato ed il Senato (17) incaricò il Collegio di ritirare dalle persone più bisognose i piccoli buoni al prezzo di 12 per soldo, assegnando a tale scopo prima 500 ducati, poi altri 500, ed autorizzando con altro decreto del 1 dicembre (18) dello stesso anno a coprire la deficienza cogli utili della zecca dell'oro e dell'argento.

Così fu respinta per la seconda volta la riforma che tendeva ad abolire la moneta di mistura, facile ad essere falsificata con metallo cattivo; ma resta il sospetto che la ragione della poca fortuna di un tale progetto fosse, più che altro, il ritratto del doge che vi era scolpito, il quale sembrava a molti una grave infrazione ai costumi dei padri ed ai tipi tradizionali delle monete veneziane.

Però nelle raccolte numismatiche si conservano piccoli di puro rame, colla testa del principe, che corrispondono esattamente ai campioni ordinati alla zecca da Triadan Gritti colla nota già citata, dove sono chiamati col nome espressivo di Piccoli grandi. Essi portano le traccie di essere stati in circolazione, e, sebbene sieno assai rari, se ne conoscono di due varietà affatto distinte, con differenze di conio, che autorizzano a supporre una emissione sufficientemente abbondante. Non potendosi credere che un'altra votazione abbia approvato quello che prima era stato ripetutamente rigettato, sarei disposto a ritenere che la prova delle monete di rame sia stata fatta in una misura più larga del consueto, e che, prima di domandare l'approvazione del Senato, il Collegio, da cui dipendeva direttamente la zecca, e che forse era convinto della opportunità della proposta, abbia messo in circolazione una certa quantità di piccoli colla testa del doge. Ne abbiamo un indizio nelle ripetute proibizioni di coniare bagattini senza il permesso del Senato, ovvero di eccedere la quantità fissata per legge, e nella intimazione conservata nel Capitolare delle Brocche (19) in data 5 ottobre 1464, colla quale la Signoria vieta ai massari di battere o far battere bagattini senza suo ordine.

Non ostante le votazioni contrarie del Senato, mi pare che non si possa negare ai reggitori della zecca di Venezia il vanto di una iniziativa, che fu poscia seguìta da tutta l'Europa. Questa priorità, che Fusco (20) aveva attribuita ai cavalli di Ferdinando di Aragona, coniati a Napoli nel 1472 per consiglio del duca d'Ascoli (21), fu rivendicata da Lazari a Venezia (22), dove fu pensata e posta in esecuzione dieci anni prima.

Per completare le notizie relative alle monete di poco valore, ricorderò che nel 17 maggio 1464 (23) il Senato ordinava la coniazione di tornesi per i bisogni della flotta e dei possessi del Levante, assegnando 300 ducati per comperare l'argento necessario per comporli.

Gli inconvenienti che avevano fatto pensare ad una riforma della moneta d'argento non erano cessati e se ne risentivano il commercio e la zecca, che vedeva diminuire i suoi lavori e quindi i suoi redditi. La questione fu portata in Senato il 27 settembre 1468 (24), ma la discussione riuscì tanto agitata ed i pareri così divisi, che non fu possibile prendere un partito, per cui il nobile consesso fu costretto a deliberare che per un anno non si parlasse di fare monete nuove né di abolire le vecchie, sotto pena di cento ducati. Intanto fu ordinato alla zecca di non coniare grossi, né grossoni, ma soltanto soldini, provvedimento che nel 21 ottobre 1468 (25) fu sospeso per quei mercanti che avevano già depositato l'argento in zecca.

Passato l'anno, non havvi memoria che la questione sia stata ripresa, solo nei manoscritti di V. Lazari trovo il seguente cenno:

"1471 22 marzo. C. X. Provision de monede, grossi, grossoni, borri",

tratto forse da qualche cronaca che non seppi rinvenire. In ogni caso fu una semplice discussione che non ebbe risultato, perché la riforma monetaria fu decretata nel 20 maggio 1472, quando Nicolò Tron si trovava già da sei mesi sul trono ducale.

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MONETE DI CRISTOFORO MORO.

Ducato. Oro, titolo 1,000. Peso, grani veneti 68 e 52 sessantasettesimi (grammi 3,559).

1. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "C R I S T O F apostrofo punto M A V R O", lungo l'asta "D V X", dietro il santo "S punto M punto V E N E T I".

Rovescio. Il Redentore benedicente in un'aureola elittica cosparsa di
stelle, quattro a sinistra, cinque a destra, "S I T punto T punto
X P E punto D A, T SEGNO, punto Q apostrofo punto T V spazio R E G
I S punto I S T E punto D V C A, T SEGNO, punto".

Tavola XVI, numero 6

Grosso, o grossetto. Argento, titolo 0,949. Peso, grani veneti 27 e 10 centesimi (grammi 1,402).

2. Dritto. San Marco porge il vessillo al doge "C R I S T O F apostrofo M A V R O", lungo l'asta "D V X", a destra "punto S punto M punto V E N E T I", nel campo tra le figure e l'iscrizione le lettere iniziali del massaro.

Rovescio. Il Redentore in trono, "punto croce punto T I B I punto L A
V S punto spazio E T punto G L O R I A punto".

Tavola XVI, numero 7.

Iniziali dei massari. "d B, d d, M tre punti, P D".

I grossi di questo tempo sono quasi tutti stronzati e deficienti di peso.

Soldino. Argento, titolo 0,949. Peso, grani veneti 6 e 77 cnetesimi (grammi 0,350).

3. Dritto. Il doge in piedi, tiene con ambe le mani il vessillo "C R I tre punti M A V spazio R O spazio D V X", nel campo dietro la figura del principe le iniziali del massaro una sopra l'altra.

Rovescio. Leone accosciato sulle zampe posteriori che tiene il vangelo nelle anteriori, attorno senza traccia di circolo "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I punto".

Museo Correr, Legato Molin.

Tavola XVI, numero 8.

Iniziali dei massari. "C sopra 7".

Piccolo, o bagattino. Rame. Peso, grani veneti 35 (grammi 1,811).

4. Dritto. Busto del doge di profilo a sinistra, con manto e corno ducale; un circoletto, interrotto, dalla figura, separa l'iscrizione " C R I S T O F O R V S punto M A V R O punto D V X".

Rovescio. Leone accosciato nimbato col libro dei vangeli nelle zampe anteriori, in un circolo, attorno "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I, tre punti a destra".

Regia Biblioteca e Museo di San Marco.

Tavola XVI, numero 9.

5. Varietà nel Rovescio. "croce punto S punto M A R C V S spazio V E N E T I punto".

Regio Gabinetto numismatico di Sua Maestà. Torino (grani veneti 69 e mezzo).

I. R. Gabinetto Numismatico, Vienna (grani veneti 37).

Conti Morosini San Giovanni Laterano, Venezia (grani veneti 31).

6. Varietà Dritto. manca il circolo attorno la testa del doge "C R I S T O F O R V S punto M A V R O punto D V X".

Rovescio. Il leone prende tutto lo spazio e manca l'iscrizione.

Museo Correr (grani veneti 38).

Raccolta Papadopoli (grani veneti 39).

Tavola XVI, numero 10.

7. Varietà nel diametro che è di soli millimetri 13, mentre i numeri 4, 5 e 6 hanno oltre 15 millimetri di diametro.

Museo Correr, legato Molin (grani veneti 46).

Tavola XVI, numero 11.

Piccolo copoluto. Mistura, titolo 0,052 (peggio 1092). Peso, grani veneti 5 e mezzo (grammi 0,284) circa: scodellato.

8. Dritto. Croce patente, accantonata da quattro bisanti, alle estremità delle braccia altri quattro bisanti; le lettere "C M D V" fra le braccia della croce.

Rovescio. Leone accosciato nimbato, col vangelo fra le zampe anteriori entro un circoletto, attorno "croce punto S punto M punto V E N E T I punto".

Tavola XVI, numero 12.

Piccolo, o bagattino per il Friuli (?). Mistura, titolo 0,055. Peso, grani veneti 15 e mezzo (grammi 0,802).

9. Dritto. Croce accantonata da quattro bisanti, entro un cerchio di perline, attorno "croce punto C R I S T O F O R V S punto M A V R O punto".

Rovescio. Busto di San Marco con aureola in un cerchio di perline, attorno "croce punto S punto M A R C V S punto".

Museo Correr.

Tavola XVI, numero 13.

Tornesello. Mistura, titolo 0,111 e 0,055. Peso, grani veneti 12 (grammi 0,621) circa.

10. Dritto. Croce patente "croce C R I S T O F punto M A V R O punto D V X".

Rovescio. Leone accosciato col Vangelo fra le zampe anteriori "croce punto S punto M A R C V S punto V E N E T I".

Raccolta Papadopoli.

Tavola XVI, numero 14.

Museo Bottacin.

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OPERE CHE TRATTANO DELLE MONETE DI CRISTOFORO MORO.

CARLI RUBBI G. R. — Delle monete etc. Opera citata, Tomo I, pagina 420.

(DUVAL e FRÖLICH). — Monnoies en or, etc. Opera citata, pagina 276.

GRADENIGO G. A. — Indice citato, in ZANETTI G. A., Tomo II, pagina 178-179, numero IC.

ZON A. — Opera citata, pagina 22, 36 e 80, e tavola I, numero 16.

SCHWEITZER F. — Opera citata, Volume II, pagina 34 (382 a 391) e tavola.

KUNZ C. — Catalogo citato, pagina 10, numero 1 della tavola.

ORLANDINI G. — Catalogo citato, pagina 8.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge LXVII.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge LXVII.

LAZARI V. — Notizia sulle medaglie e monete del doge Cristoforo Moro. — CICOGNA E. — Delle iscrizioni veneziane etc. Opera citata, Tomo IV, pagina 733-736.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagina 21-22 e 105.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 229-233 e 255 e Volume V, 1875, pagina 210-213.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 26-27, 110 e 124. — Archivio Veneto, Tomo XII, pagina 105-106; Tomo XIII, pagina 137 e 147; Tomo XXI, pagina 137; e Tomo XXII, pagina 292; — terza edizione, 1881, pagina 21-22, 79, 89, 335 e 356.

Bolla in piombo di Cristoforo Moro conservata nel Museo
Correr.

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NOTE A "CRISTOFORO MORO".

(1) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro IV, carte 110.

(2) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 35.

(3) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 35 tergo.

(4) Fiaoni, o fiadoni (flaones) si dicevano quei dischi di metallo a cui, subìte già le operazioni dette zustar, pesar e mendar (emendare, ossia correggere i difetti di forma e di peso), non mancava che l'impronta del conio per diventare monete.

(5) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 35 tergo. e 36.

(6) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 37 tergo.

(7) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Regina, carte 45 tergo.

(8) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro V, carte 49 tergo.

(9) Nei tempi in cui il territorio veneto era invaso da una grande quantità di monete minute, erasi introdotta l'abitudine di chiuderle in borse, o cartocci per evitare l'incomodo di contarle. In seguito ad abusi, questo sistema fu proibito e la forma adoperata nel presente decreto che vieta tenere i piccoli in scarnutiis, mi sembra equivalente a quella che altra volta ordinava di contarli e non di darli in scartociis.

(10) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro V, carte 49.

(11) Documento XXXIII.

(12) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro V, carte 70 tergo.

(13) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 37 tergo.

(14) Pegolotti F. B. Opera citata, Capitolo X, pagina 291.

(15) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro V, carte 62.

(16) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro V, carte 100.

(17) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro V, carte 100 tergo.

(18) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro V, carte 103.

(19) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 38.

(20) Fusco G. V. — Sulla introduzione delle monete di rame nel Regno di Napoli. — Memoria detta alla sezione di archeologia e geografia del VII Congresso degli scienziati.

(21) Sambon A. — I cavalli di Ferdinando I. d'Aragona re di Napoli. — Rivista italiana di Numismatica. Anno IV, 1891, pagina 326-327.

(22) Lazari V. — Zecche e monete degli Abruzzi nei bassi tempi. Venezia, 1858, pagina 14.

(23) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro V, carte 78 tergo e 79.

(24) Regio Archivio di Stato. Senato, Terra, registro VI, carte 36. — Capitolare delle Brocche, carte 40.

(25) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 40.

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MONETE ANONIME.

Questo capitolo è destinato a raccogliere le notizie intorno quelle monete che non portano scritto il nome del doge e che per ciò sono dette anonime. Nel primo periodo della zecca veneziana, di cui si occupa il presente volume e che si chiude col principato di Cristoforo Moro, s'incontra soltanto una moneta di questo genere, della quale si può determinare con tutta sicurezza l'epoca di emissione e che quindi potrebbe essere collocata con quelle coniate contemporaneamente. Ciò però non si può fare per altre monete anonime di epoca posteriore, le quali stanno meglio aggruppate fra loro che poste insieme con quelle che hanno il nome del doge. Allo scopo quindi di conservare una certa armonia fra le diverse parti del mio lavoro, ho pensato di cominciare la serie delle anonime colla moneta che porta, in caratteri semigotici, la iscrizione "M O N E T A spazio D A L M A T I E". Ignorata dai primi cultori della numismatica veneziana e accennata vagamente dallo Zon, fu per la prima volta illustrata da V. Lazari nella sua opera: Le monete dei possedimenti veneziani d'oltremare e di terraferma, che può servire di modello a tutte le pubblicazioni di questo genere. Sgraziatamente la fretta con cui fu scritto il libro, per circostanze indipendenti dalla volontà dell'autore, e la cattiva conservazione dell'esemplare della moneta esistente nel Museo di San Marco, che solo si conosceva allora, misero l'illustre scienziato sovra una cattiva strada, ed egli credette ravvisare in tale moneta un tornese (1) battuto per quella provincia che aveva costato tanti sacrifici alla Repubblica. Lazari combatte argutamente la prima obbiezione che si poteva fare ad una simile denominazione, e cioè che non vi ha memoria di tornesi coniati per la Dalmazia, ma non riesce a persuadere; perché i crociati avevano reso popolare il tornese in Oriente, ove era diventato una moneta nazionale, ma di esso invece non si trova traccia in Dalmazia, né nei documenti contemporanei, né nelle monete che si conservano nelle raccolte. In epoche diverse fu ordinata alla zecca di Venezia la coniazione di tornesi, indicando quasi sempre le località dove dovevano essere spediti, e troviamo che erano destinati sempre ai possedimenti veneziani del Levante, ma non alle coste dell'Adriatico.

Più tardi altri esemplari di questo interessante nummolo furono rinvenuti presso i raccoglitori triestini e dalmati, e finalmente un tesoretto, abbandonato presso il Monte di Pietà di Treviso, mise alla luce quattro altri pezzi, tutti di migliore conservazione di quello esistente nella Raccolta Marciana. Ne parla Carlo Kunz nella sua "Miscellanea Numismatica" (2), dimostrando che l'argento in essi contenuto è di una lega più fina assai di quella dei tornesi e di poco inferiore a quella usata nei soldini, per cui lo ritiene un mezzanino di grosso del valore di due soldi veneziani. Pure esso non è né un tornese né un mezzanino, come risulta da una deliberazione del Senato in data 31 maggio 1410 (3), nella quale, lamentando, che nella città di Zara e nel suo territorio corrano monete forestiere, e cioè Grossi di Crevoja (4) ed altri di buon argento del valore di tre soldi e meno che si spendono per quattro, soldini ungheresi che non valgono se non otto denari e si spendono per un soldo, e frignacchi (5) che non tengono tre once d'argento per marca e si spendono pure per un soldo, allo scopo di impedire questo danno, delibera di coniare una moneta contenente tre once di argento per marca, che vada a 42 pezzi per oncia, avente da un lato l'immagine di San Marco e dall'altro uno scudo alto in quo sit nihil.

È curioso il modo con cui questo decreto esprime quel concetto, che oggi è quasi un assioma della pubblica economia, e cioè che la cattiva moneta caccia da un paese la buona, con queste pratiche parole:

"Et hoc modo moneta nostra, videlizet, grossi nostri, qui valent quatuor soldos, et soldus noster exeunt de bursis nostris et dantur venientibus Jadram et ad partes illas, qui ipsam monetam nostram imbursant et dimittunt monetas suas, quae sunt multo minoris valoris, cum tanto damno nostro".

Nel 27 aprile 1414 (6) un altro decreto del Senato fa conoscere che la esecuzione del precedente era stata sospesa, ed assunte informazioni da chi veniva da Zara, ordina nuovamente la coniazione della moneta per la Dalmazia col fino di tre once e un quarto per marca, tagliandone da ogni oncia 44 pezzi, descrivendola nello stesso modo, col San Marco da un lato e lo scudo vuoto dall'altro.

Il tenore di questi due documenti mostra esattamente il valore della moneta emessa per i bisogni della circolazione in Dalmazia, giacché, secondo il decreto 31 maggio 1410, essa avrebbe dovuto pesare grani veneti 13,714; secondo quello del 27 aprile 1414, avrebbe dovuto pesarne 13,09, ma siccome in quest'ultimo si migliorava la lega, poca ra la differenza dell'intrinseco, che sarebbe stato di grani veneti 5,142 nel primo caso, e grani veneti 5,317 nel secondo, per ogni pezzo, e quindi due terzi circa del fino contenuto nel soldo veneziano, che in quel tempo pesava grani veneti 8,47 e conteneva grani veneti 8,063 d'argento puro.

Da ciò si scorge il pensiero del Senato, che intendeva creare una moneta, la quale sostituisse i soldi ungheresi che valevano otto piccoli ed i denari frisacensi ossia di Aquileja che avevano molto favore in quei paesi e si spendevano per un uguale valore. A me sembra di riconoscere in questo pezzo il soldo di una lira speciale, probabilmente adoperata nel Regno di Servia e comune a tutti i vicini paesi slavi, la quale fu conservata dagli ungheresi e dai veneziani e restò per molto tempo ancora come lira di conto col nome di lira dalmata. Anche il Lazari parla di questa lira (7), che si usava anche nel secolo XVIII; a proposito delle monete di Cattaro (8) egli osserva che il grossetto di quella terra corrispondeva a due terzi del grosso veneziano, e da varie circostanze accessorie arriva alla supposizione, che questo grossetto si dividesse in quattro soldi minori, equivalenti a due terzi dei veneziani, che erano quindi soldi di una lira particolare a quei paesi ed inferiore di altrettanto alla lira veneziana.

Tanto nel primo decreto 31 maggio 1410, quanto in una successiva deliberazione della Quarantìa 13 agosto 1410 (9), in cui si stabiliscono le competenze ed i cali a proposito delle monete che si fanno per Zara, non è mai adoperata la parola soldo, ma quella più generica di moneta, che è pure incisa sul nummo. Invece nel decreto 27 aprile 1414 si ordina il taglio di 44 soldi per oncia: il che mi sembra sufficiente per mutare il dubbio in certezza, visto che il secondo partito era votato dopo aver conferito col notajo Giovanni de Bonisio che conosceva la Dalmazia, essendo appena ritornato da una missione in quei luoghi.

Anche lo scudo raffigurato sopra uno dei lati nella moneta fu argomento di discussione. Zon lo disse ignoto, Lazari non seppe trovare una soddisfacente spiegazione, e si smarrì in ipotesi credendo vedervi l'arma Contarini, ma un'opera intitolata "Storia dei Dogi di Venezia" (10) a cui è unita una parte "numismatica" rilevò essere questo lo stemma della famiglia Surian. Infatti lo scudo d'oro con una banda a tre ordini di scacchi d'argento e di negro appartiene ad una delle due case patrizie Surian (11), e si vede anche oggi scolpito in un marmo del quattrocento sopra un fabbricato al Malcanton, che dà accesso ad un sottoportico e ad una calle Surian. Ma non bastava avere rilevato lo stemma, era anche necessario sapere chi fosse l'illustre uomo di stato o di guerra, cui venne concesso l'onore singolare di porre le insegne sopra una moneta coniata nella zecca di Venezia. Le storie sono mute a questo proposito e non ricordano alcun personaggio della famiglia Surian che abbia avuto in quell'epoca una parte importante in Dalmazia. Qualche anno fa il cavalier V. Padovan (12) pubblicò un documento, dal quale risulta che un Jacopo Surian era capitano a Zara nel 16 luglio 1416, essendogli in tal giorno assegnata una piccola somma dal Senato per alcuni lavori da farsi nella casa di sua abitazione. Sebbene fra questa data e quella del decreto, che ordina la coniazione della moneta per la Dalmazia corressero oltre due anni, epoca più lunga di quella che ordinariamente era la durata di simili cariche, e malgrado che a tutti sia nota la cura gelosa, colla quale il governo repubblicano vigilava perché nessun personaggio, per quanto eminente, eccedesse nei poteri e negli onori, pure mi sembra assai probabile che a questo oscuro capitano delle armi a Zara sia toccato il vanto di porre il suo stemma sulla moneta in questione. Non conviene confondere questo caso eccezionale colle iniziali e cogli stemmi di alcuni Conti e Rettori veneziani a Cattaro ed a Scutari, perché queste erano zecche secondarie, governate da propri statuti e lontane dalla sorveglianza dei principali corpi dello Stato, e meno ancora si deve confondere con le monete coniate da alcuni Provveditori generali o da altri comandanti delle armate in epoca di necessità. Per la moneta della Dalmazia si tratta di un'epoca più antica, nella quale non vi erano precedenti, e di un fatto che non può essere ad altri paragonato; lo stemma Surian è disegnato chiaramente, ed in modo da non poter essere confuso con altri, in quello scudo che il Senato aveva decretato dovesse rimanere vuoto. Cercando pertanto quale abbia potuto essere la ragione che fece cambiare tale proposito, io credo indovinarla nel timore che la nuova moneta non fosse gradita ai paesi dove era destinata, timore che trasparisce dalle parole dei decreti e dall'indugio frapposto all'esecuzione della prima deliberazione. Allo scopo quindi di rendere più facile a quei popoli rozzi ed ignoranti l'accettazione di una nuova moneta, bisognava farla, quanto più fosse possibile, simile a quella che essi adoperavano e ciò si ebbe di mira nello scegliere il tipo, che ricordava in parte il denaro di Aquileja, favorevolmente conosciuto in quelle regioni, il cui intrinseco corrispondeva a quello della nuova moneta, e cioè a due terzi del soldo veneziano. Anche lo scudo era stato posto sul rovescio della moneta per la Dalmazia, per ricordare quello che portava le insegne degli ultimi patriarchi, e probabilmente lo stemma Surian fu preferito ad ogni altro, perché poteva facilmente essere confuso con quello del Patriarca Antonio II Panciera, che pure aveva una banda scaccata, con differenze le quali facilmente sfuggivano alla maggior parte del pubblico.

Altre due monete anonime sono attribuite da alcuni numismatici ai tempi che precedono il 1472: e cioè al regno di Francesco Foscari il bagattino colla testa di San Marco e nel rovescio l'iscrizione "V E N E T I" sopra un cippo od ara, e a quello di Cristoforo Moro il piccolo scodellato, che da un lato mostra la croce e dall'altro un leone in molecca senza alcuna iscrizione. A me invece sembra che queste due monete appartengano ad un'epoca posteriore e mi riservo di parlarne nel secondo volume, quando tratterò delle monete di quel tempo.

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MONETA PER LA DALMAZIA.

1410-1414.

Soldo della lira dalmata. Argento, titolo 0,406 (peggio 684). Peso, grani veneti 13 e nove centesimi (grammi 0,677).

1. Dritto. San Marco in piedi di prospetto colle braccia aperte; il santo veste abiti sacerdotali ed ha il nimbo di perline "punto S A N T V S punto spazio punto M A R C V S punto".

Rovescio. Scudo con banda scaccata in un cerchio di perline; fra lo scudo ed il cerchio tre gruppi, ciascuno di tre anellini accompagnati da sei punti "croce punto M O N E T A punto D A L M A T I E punto".

Tavola XVI, numero 15.

2. Varietà nel Rovescio. ove l'arma è disposta a rovescio e quindi la banda diventa una sbarra.

Tavola XVI, numero 16.

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OPERE CHE TRATTANO DELLA MONETA ANONIMA PER LA DALMAZIA.

ZON A. — Opera citata, pagina 69.

LAZARI V. — Opera citata, pagine 11-13, Tavola I, numero 1.

KUNZ C. — Miscellanea Numismatica, Venezia, 1867. — III di un piccolo ripostiglio di monete, pagine 20, 23-25.

Biografia dei Dogi. Opera citata, Doge CX.

Numismatica Veneta. Opera citata, Doge CX.

PADOVAN e CECCHETTI. — Opera citata, pagine 77 e 108.

WACHTER (VON) C. — Opera citata. — Numismatische Zeitschrift, Volume
III, 1871, pagina 254; Volume XI, 1879, pagina 119.

PADOVAN V. — Opera citata, edizione 1879, pagina 111. — Archivio Veneto, Tomo XIII, pagina 138, e Tomo XXII, pagina 290; — terza edizione, 1881, pagine 80 e 354.

PAPADOPOLI N. — Moneta Dalmatiæ. — Rivista italiana di
Numismatica
, Anno II, fascicolo III.

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NOTE A "MONETE ANONIME".

(1) Lazari V. Monete dei possedimenti etc. Opera citata, pagine 12 e 13.

(2) Kunz C. Miscellanea Numismatica. Venezia, 1867. — III di un piccolo ripostiglio di monete, pagine 20, 23-25.

(3) Documento XXXIV.

(4) Grossi coniati a Spalato, dal Duca Hervoja tra il 1403 ed il 1412.

(5) Denari di Aquileja chiamati frisacensi, frisacchi, e frignacchi.

(6) Documento XXXV.

(7) Lazari V. Monete dei possedimenti etc. Opera citata, pagina 16.

(8) Lazari V. Monete dei possedimenti etc. Opera citata, pagine 48 e 49.

(9) Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 16 tergo.

(10) Biografie dei Dogi di Venezia, etc. (Numismatica Veneta). Opera citata. Doge CX.

(11) Freschot. La nobiltà veneta. Venezia, 1707, pagina 409.

(12) Padovan. Le monete dei veneziani. Opera citata, pagina 80.

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DOCUMENTI.

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DOCUMENTO I.

(Origini della zecca e prime monete di Venezia, nota 65).

Privilegium confirmationis Rodulfi imperatoris factum domino
Ursio duci Veneciarum.

In nomine domini nostri Yesu Christi Dei eterni. Rodulfus rex. Dignum est ut celsitudo regalis quantum ceteros honores ac potestatis fastigium antecellit, tantum erga omnes fideles pietatis sue munus impendere satagat. Igitur omnium fidelium sancte Dei ecclesie, silicet nostrorumque, presentium videlicet ac futurorum, comperiat solercia, quia Ursus Veneticorum dux per legatos suos, Dominicum silicet venerabilem madamaucensis episcopum atque stephanum Coloprinum, nostram deprecatus est clementiam, ut cum ex rebus sui ducatus quamque et ex sua proprietate, quam in Venetia obtinere videtur, vel quo infra dictione regni nostri scita esse noscuntur, ei confirmationis nostre preceptum fieri iuberemus, per quod ipse suique heredes ac patriarcha, pontifices quoque et abbates, atque populus sibi subiectus, proprietates suas sibi debitas res absque cuiuspiam contrarietatem seu refragationem retinere securiter queant, quemadmodum temporibus domini Karoli, per decretum cum grecis sanccitum, possiderunt. Petiit etiam Celsitudinem nostram ut in quibuscumque patriis ac provintiis regni nostri quispiam veneticus esset, sue potestati maneret subiectus atque omni fide vel obedientia summissus. Cuius petitionibus, ut nobis celestis suffragatio copiosior adsit, libenter adquiescentes, hos Excelentie nostre apices decrevimus fieri, per quos statuentes decrevimus: ut nemo ex nostro regno in finibus Civitatis Nove vel Millidisse, sive in villa que dicitur Caput Argelles, vel in finibus atque possessionibus eius, vel etiam vineis, terris, pratis pascuis, silvis atque piscationibus ipsius, aut in ceteris locis in quibus in pacto eorum relegitur, vel ubi infra dictionem regni nostri proprietates habere videntur, vel habere potuerint, aliquam venationem aut pabulationem exerceant, unde homines eius qui in eo amitu (ambitu) circuminhabitant, aliquam sustineant molestationem vel contrarietatem, et securiter atque in pace vivere queant. Imo per loca et flumina cuncto nostro in regno libere sua peragant negocia. Ita tamen ut nullum gravamen sentiant populus eius vel eius negociatores, nisi quod equum est tantummodo telonaria et ripatica solvant. Nam vero predictus dux suique heredes suique negociatores nullo in loco persolvant de quacumque re, sed ex nostra largitate quieto more ubique sua persolvant. Statuimus etiam ut nullus in territoriis, locis peculiaribus aut ecclesiis, domibus seu rebus, et reliquis possessionibus presignati ducatus a sua proprietate quam in Venetia obtinere videtur, vel que in potestate regni nostri sita esse noscuntur, unquam ingerere presumat inquietitudinem, vel diminorationem seu calumniosam contradictionem aut subtractionem nephandam. Silicet at eas prefato duci ac patriarche, episcopis, abbatibus vel populo sibi subiecto, seu successoribus eorum, ac heredibus, quiete absque cuiusquam insultantis machinationem aut sinistram quippiam terga versationem regubernare et gubernando, pro ut liquidius in presignato decreto continetur, legaliter continere. Itemque precipimus de proprietatibus sive possessionibus predicti ducis, quas in territoriis regni nostri habere videtur, ut si de eas aliqua contentio orta fuerit et ad iuramentum causam pervenerint, secundum seriem pacti diffiniantur per electos duodecim iuratores, et cuiuscumque gentis sit homo ille cum quo predictus dux contentiones habuerit, iuratores de illo comitato tamen eligantur ubi causa requiritur. Concessimus quoque sancte metropolitane eius Ecclesie, vel episcopatibus subiectis atque monasteriorum zenobiis iustitiam requirendam de suis rebus in annos legales secundum quod sanctam romanam habet Ecclesiam. Sed et hoc constituimus, atque per hoc nostrum perceptum inviolabiliter mansurum confirmamus, ut in quacumque patria regni nostri quislibet Veneticorum fuerit, eius sit potestate constringendus eiusque per omnia debeat obedire preceptis, adeo ut nulla maior vel minor persona contra eum quempiam veneticum deffendere presumat. Insuper etiam et concedimus per hoc regie auctoritatis preceptum, ut tam nos quam nostri decessores nichil amplius eos cogamus pacti causa persolvere, nisi tantum annualiter denariorum libras XXII; simul que eis numis monetam concedimus secundum quod eorum provintie duces a priscis temporibus consueto more habuerunt. Ita ut nullo umquam tempore repetantur aut exigantur per aliquem, neque ab ipso Urse duce neque a successoribus eius, sed in ea qua in presenti concedimus perpetualiter donacione consistant. Si quis autem contra hoc, quod in presenti per huius dicti tenorem Veneciarum duci ac populoque ipsius concessimus, agere presumpserit, ut instituta nostra violet aut infringat, ne quod temptavit perficere possit, sciat se compositurum auri obrizi libras centum, medietatem camere nostre et medietatem duci Venetiarum qui per tempore fuerit. Et ut hoc cercius credatur et ab omnibus inviolabiliter conservetur, manu propria roboravimus et annuli nostri impressione subter iussimus insigniri.

Signum (monogramma) domini Rodulfi serenissimi regis.

Data II. kalendas marcii, anno dominice incarnationis DCCCC. XXIIII, domini Rodulfi invictissimi regis hic in Italia IIII, indictione tercia decima.

Actum Papie, in Christi nomine feliciter, amen.

(Archivio di Stato in Venezia, Liber Blancus, carte 14 tergo).

DOCUMENTO II.

(Origini della zecca e prime monete di Venezia, nota 66).

Simile privilegium confirmationis Ugonis imperatoris factum predicto domino Ursio duci.

In nomine domini nostri Yesu Christi Dei eterni. Hugo Dei gratia rei. Dignum est ut celsitudo regalis quantum ceteros honores ac potestatis fastigio antecellit, tantum erga omnes sospitatis sue munus impendere satagat. Igitur omnium fidelium sancte Dei ecclesie, nostrorum presentium silicet ac futurorum comperiat solertia, quia Ursus Veneticorum dux per legatos suos Johanem Fabianicum et Stephanum Coloprinum nostram deprecatus est clementiam, ut cum ex rebus sui ducatus proprietates obtinere videntur et infra dictione regni nostri sita esse noscuntur, ei confirmationis nostre preceptum fieri iuberemus, per quod ipse suique heredes, ac patriarca, pontifices quoque et abbates, atque populus sibi subiectus, proprietates suas, sibi debitasque res, absque cuiuspiam contrarietate seu refragatione retinere securiter queant, quemadmodum a temporibus domini Karoli, per decretum cum grecis sanccitum, possiderunt. Peciit etiam Celsitudinem nostram, ut in quibuscumque patriis ac provintiis regni nostri quispiam veneticus sue potestati maneret subiectus, atque omni fide vel obedentia submissus. Cuius petitionibus, ut nobis celestis suffragatio copiosior adsit, libenter adquiescentes, hos Excelentie nostre apices decrevimus fieri, per quos statuentes decrevimus: ut nemo ex nostro regno in finibus Civitatis Nove vel Milidisse, sive in villa que dicitur Caput Argelles, vel in finibus atque possessionibus eius, vel etiam vineis, terris, pratis, pascuis, silvis atque piscationibus ipsius, aut in ceteris terris in quibus eorum pacto relegitur, vel ubi infra dictione imperii nostri proprietates ipse aut sui videntur habere, vel invenire potuerint, aliquam venationem aut pabulationem exerceat, unde homines eius vel negociatores qui in eo ambitu circumhabitant aliquam sustineant molestationem vel contrarietatem, sed securiter atque in pace vivere queant. Imo per loca et flumina cuncto nostro regno libere sua peragant negocia. Ita tamen ut nullum gravamen sentiat populus eius vel eius negociatores, nisi quod equum est tantummodo celonaria et ripatica solvant. Predictus vero dux et heredes illius, et proprii negociatores eorum, in omnibus habeant libertatem suam propria peragendi absque ulla publica functione. Statuimus etiam, ut nullus in territoriis, locis aliquibus peculiaribus aut ecclesiis, domibus seu rebus, et reliquis possessionibus presignati ducatus a sua proprietate, que in potestate regni nostri sita esse noscuntur, vel in Venetia optinere videtur, unquam ingerere presumat inquietudinem, vel diminorationem, seu calumniosam contradictionem, aut nephandam subtractionem. Sed liceat eos, prefato duci ac patriarche, episcopis, abbatibus vel populo sibi subiecto, et heredibus ac successoribus eorum, quiete, absque cuiusquam insultantis machinatione aut sinistre quippiam tergaversatione, regubernare, et gubernando, pro ut liquidius in presignato decreto continetur, legaliter continere. Itemque precipimus de proprietatibus sive possessionibus predicti ducis quas in territoriis regni nostri habere videtur, ut si de eis aliqua contentio orta fuerit, et ad iuramentum causa pervenerit, secundum seriem pacti diffiniatur per electos duodecim iuratores, et cuiuscumque gentis sit homo ille cum quo predictus dux contentiones habuerit, de illo comitatu eligantur ubi causa requiritur. Concessimus quoque sancte metropolitane eus Ecclesie suisque episcopatibus subiectis, atque et monasteriorum zenobiis, iustitiam requirendam de suis rebus in annos legales secundum quod sancta romana habet Ecclesia. Sed et hoc constituimus, atque per hoc nostrum preceptum inviolabilliter mansurum confirmamus, ut in quacumque patria regni nostri quislibet Veneticorum fuerit, eius sit potestate distringendus eiusque per omnia debeat obedire preceptis, adeo ut nulla maior vel minor persona contra eum quempiam veneticum defendere presumat. Insuper et concedimus per hoc regie auctoritatis preceptum, tam nos quam nostri decessores, nichil amplius eos cogam pacti causa persolvere nisi tantum annualiter denariorum libras XXV. Simulque eis numorum monetam concedimus secundum quod eorum provintie duces a priscis temporibus consueto more habuerunt. Ita ut nullo unquam tempore repetantur aut exigantur per aliquem, neque ab ipso ut se duce, neque a successoribus eius, sed in ea, quam in presenti concessimus perpetualiter, donatione consistant. Si quis autem contra hos quod in presenti, per huius dicti tenore, Veneticorum duci populoque ipsius concessimus, agere presumpserit, ut instituta nostra violet aut infringat, ne quod temptavit perficere possit, sciat se compositurum auri obrizi libras centum, medietatem camere nostre et medietatem duci Veneticorum qui per tempera fuerit; et ut hoc cercium credatur et ab omnibus inviolabilliter observetur, manu propria roboravimus et annuli nostri impressione subter iussimus sigillari.

Signum (monogramma) Hugonis gloriosissimi regis.

Data anno Domini incarnacionis DCCCC XXVII. IIII Kalendas marcii, indictione quintadecima. Anno domini Hugonis gloriosissimi regis primo. Actum Papia in Christi nomine feliciter. Amen.

(Archivio di Stato in Venezia, Liber Blancus, carte 16).

DOCUMENTO III.

(Sebastiano Ziani, nota 3).

In nomine domini dei et salvatoris nostri iesu christi. Anno domini millesimo centesimo septuagesimo tercio mense Novembris Inditione Septima rivoalto. Honore et privatis commodis quamvis quislibet gaudeat in providendo comuni et utilitati totjus provincje saluti. si minus providus extiterit; sua nullatenus bona sibi reputantur ad gloriam. si ex ipsius negligentia patrie secuntur incommoda. Igitur Nos Sebastianus ziani dei gratia venecie dalmacie atque chroatie dux. profectum et honorem patrie nostre de bono in melius augere volentes; cum iudicibus et sapientibus nostris collaudatione atque confirmatione populi venecie per huius nostri decreti promissionem. stabilientes stabilimus. et sub gravi comminatione et pena mandantes iniungimus, quod ab hac die in antea nullus tabernarius massculus neque femina neque aliquis per eos. libram Vini ultra duos veronenses vendere presummat. preter vinum deromania. et neque aliquod vinum quod vendendum sit fraudare. neque cum illo aquam vel aliud vinum misscere audeat. sed cum iusta libra. cum ea videlicet quam vicedominus vel gastaldio illi dederit. vinum vendere debeat. et neque timore vel fraude vitare debeat vinum recipere ad vendendum ab aliquo homine. Furtum etiam nullum scienter suscipere debeat. nec faciat suscipi. Nullus autem iactans vinum in tabernas, aliquod vinum iactandum in tabernas fraudare neque cum illo aquam vel aliud vinum misscere presumat. nec misscere neque illud fraudare faciat. sed sicut purum illud comparaverit. sic in tabernam illud iactare debeat sine aliqua fraude. Nullus autem venditor blave. aliquam de cetero blavam in toto districtu venecie comparare aliquo ingenio presumat ad revendum (sic) illam et neque eam fraudare audeat. neque faciat illam fraudare. Cum iusto quoque stario vendat illam et vendere faciat. Et cum iusta rosoria et rotunda radat et radere faciat. Foris vero veneciam nullus aliquam blavam que in navi sit posita ad veniendum in veneciam aliquo modo comparare audeat. ad revendendum illam. Nec liceat deinceps alicui incanovare aliquam blavam pro incarire illa. neque sit ausus aliquis portare blavam foris veneciam in aliquam partem sine nostra et aliorum ducum qui post nos futuri sunt licencia. Ad hec quoque precipimus ut nullus pistor non massculus neque femina de cetero in sua potestate tenere audeat. neque tenere faciat inter frumentum et farinam ultra unum modium. Et panem ad illam pensam facere et vendere debeat quam vicedominus aut gastaldio illi dederit. Nullus preterea biccarius; bone carnis vacine seu bovine libram ultra duos veronenses. et minus bone, duas libras ultra tres veronenses. et porcine carnis recentis libram ultra tres veronenses aliquo ingenio vendere sit ausus. nec vendere faciat. Junctam quoque de eisdem carnibus ipse det vel dare faciat. Sicce vero carnis de romania et de sclavinia libram ultra tres veronenses. et de lombardia carnis sicce libram. ultra quattuor veronenses nullus vendere presumat. nec aliquo ingenio vendere faciat. Et iuste atque cum iusta statera predictas omnes carnes pensare debeat et pensare faciat. Nulli quoque licitum sit iniustas stateras. nec pensas. nec Bellacias a modo secum tenere. nec cum eis quocumque modo pensare. Nec etiam presummat aliquis. ultra quadraginta solidos veronenses anphoram alicuius vini emere neque vendere. preter vinum de romania. Pissces autem nullus ultra hunc ordinem aliqua ratione vendere presummat. videlicet libram sturionis. et trote. et rumbi; non plus de tribus veronensibus. libram Vairoli. et aurate. et megle. et Barbonum. et scorpenum. et de lusernis. et de grandis passeris. atque de grandis sfolliis. seu de grandis anguillis. non plus de duobus veronensibus. libram de gradis (sic) luciis cavedagnis friskis et salavadis non plus de duobus veronensibus. duas libras de grandis tenkis non pus (sic) de tribus veronensibus. reliquorum autem omnium pisscium aque salse et dulcis libram; non plus de uno veronense vendere presumat. Stabilientes ad hec publica auctoritate sanccimus. ut ab hac die in antea. nulli sit licitum. ultra viginti quinque libras veronenses miliarium olei aliquo ingenio comparare pro incanovare illud. et hoc volumus perpetuis temporibus firmiter observari. ut omni tempore sicut a nobis et a ducibus venecie qui per tempora erunt. mandatum fuerit per bannum. sic ternarii et hii qui oleum incanovatum habuerint. sine omni conditione illud vendere debeant. Nullus quoque aucas. nec aucellas. nec pullos in venecia ad revendendum emere audeat. Poma insuper ad revendendum; nullus in venecia in venecia (sic) emere presummat. Et quia suprascripta omnia sine aliqua diminucione integra et illibata perpetuis temporibus volumus observari. per presentis nostri publici instrumenti promissionem sancimus. ut nullus de cetero neque massculus neque femina. aliquem de suprascriptis ordinibus sibi assummere presummat. nisi prius notum fecerit nobis et eis qui nobis sunt ducibus successuri et curie. Si quis igitur temerarius neglecta suprascripta publica nostra costitucione. que dicta sunt non ohservaverit. vel alicui cause de supra memoratis causis obvius extiterit; liceat iusticiariis quos nunc ordinavimus. et qui per tempora ordinati a ducibus erunt. bannum et res vendendas quas illi invenerint. semper cum offenderit auferre. et insuper offensor pro tanta culpa et presumcione; omnia que in hoc mundo habuerit amittat. que omnia in domnicalem nostrum deveniant. et presentis publici decreti promissio; inconcusso robore. perpetuis temporibus in sua permaneat firmitate. Libram vero de luciis sicis non plus de tribus veronensibus nullus vendere presummat et si quis fecerit subiacebit suprascripte pene.

+ Ego sebastianus Ziani dei gratia dux manu mea subscripsi.

+ Ego aurio mastro petro iudex m. m. s. s.

+ Ego petrus fuscareno iudex m. m. s. s.

+ Ego andreas dandulo iudex m. m. s. s.

+ Ego Jacobus contarenus iudex m. m. s. s.

+ Ego vitalis faletro avocatori comuni m. m. s. s.

+ Ego michael citinus avocator comuni m. m. s. s.

+ Ego Phylippus faletro camararius comuni m. m. s. s.

+ Ego philipus greco camararius comuni m. m. s. s.

+ Ego Rainero batiauro vicedomino m. m. s. s.

+ Ego matheo tarvisianus vicedomino m. m. s. s.

+ Ego dominicus maureceny comes Jadre m. m. s. s.

+ Ego stefanus baroci m. m. s. s.

+ Ego aureus dauro m. m. s. s.

+ Ego marcus martinacius m. m. s. s.

+ Ego petrus quirinus m. m. s. s.

+ Ego petrus vilioni m. m. s. s.

+ Ego Henrico gradonico m. m. s. s.

+ Ego petrus teupulo m. m. s. s.

Fuit in diebus Illis. aurio mastro petro. Judex. petro baroci m. m. s. s.

+ Ego annanias quirinns m. m. s. s.

+ Ego henricus civrano m. m. s. s.

+ Ego marcus fuscareni m. m. s. s.

+ Ego Johannes Viloni m. m. s. s.

+ Ego leonardus benacci m. m. s. s.

+ Ego dominicus faletro m. m. s. s.

+ Ego Johannes maureceno m. m. s. s.

+ Ego dominicus maurecenus testis subscripsi.

+ EgoVido de equilo t. t. s. s.

+ Ego dominicus mengulo t. t. s. s.

+ Ego henricus fuscari m. m. s. s.

+ Ego marcus istrigo m. m. s. s.

(Fra la I.a e la II.a colonna).

+ Ego Stefanus ruibulo m. m. s. s.

(Nella II.a colonna).

+ Ego petrus belli m. m. s. s.

+ Ego Johannes regini m. m. s. s.

+ Ego stefanus de equilo m. m. s. s.

+ Ego Giberto dandulo m. m. s. s.

+ Ego andrea capellexi m. m. s. s.

+ Ego leonardus navigaioso m. m. s. s.

+ Ego marcus dequilo m. m. s. s.

+ Ego Johannes dacanale m. m. s. s.

+ Ego Jacobus badovario m. m. s. s.

+ Ego Johannes tanoligo m. m. s. s.

+ Ego gracianus gradonicus m. m. s. s.

+ Ego vitalis citinus t. t. s. s.

+ Ego Johannes faletro m. m. s. s.

+ Ego petrus badovario m. m. s. s.

+ Ego Johannes contarenus m. m. s. s.

+ Ego jacobus badovario m. m. s. s.

+ Ego leo truno s. s.

+ Ego barbadicus m. m. s. s.

+ Ego . p. venancio m. m. s. s.

+ Ego marcus longo m. m. s. s.

+ Ego bonabile dondulo m. m. s. s.

+ Ego petrus bozzo (o bello?) m. m. s. s.

+ Ego dominicus rainnaudo m. m. s. s.

+ Ego dominicus caravello m. m. s. s.

+ Ego stefanus calbo m. m. s. s.

(Segno tabellionare). Ego Johannes Navigaiosus subdiaconus et Notarius complevi et Roboravi.

(Pergamena originale nell'Archivio di Stato in Venezia. — Ducali e atti diplomatici, busta VI, a. 2).

DOCUMENTO IV.

(Enrico Dandolo, nota 5; Jacopo Contarini, nota 2; Andrea Contarini, nota 7).

Capitulare Massariarum monete.

(1). Juro ad evangelia sancta Dei profficuum et honorem Veneciarurm, et quod a die qua intravero in hoc officio ad unum annum studiosus ero super facto et laborerio monete, et ad faciendum fieri simul cum sociis meis, vel uno eorum, monetam grossam bonam bona fide. Et quod somparabo simul cum eisdem sociis meis, vel uno eorum, argentum et bulzonos seu monetam, que utilia videbuntur pro communi ad faciendum fieri dictam monetam; et faciam fieri monetam istam grossam de tam bono argento, quod non callet ultra medium quarterium pro marcha vel indei inferius, ad racionem boni argenti. Et argentum istius monete non alegabo nisi ambo socii mei huius officii presentes fuerint, vel ad minus unus eorum, si forte tercius meus socius tale impedimentum habuerit quod interesse non possit. Similiter, ad hoc, ut dicta moneta recte et legaliter efficiatur sine aliquo defectu, sicuti esse debet, quando argentum proiectum erit in virgas, faciam quod de ipsis virgis, antequam dentur ad laborandum magistris, quod ipsi debeant extrahere sazum vel sazios de ipsis virgis, et examinare diligenter virgas illas cum pondoratoribus, vel ad minus unus eorum; et ipsas virgas cum pondere dare ante sazatorem, et ipso argento affinato recipere ab eo cum pondere, si ille virge fuerint de tam bono argento ut debent esse ad faciendum dictam monetam; et si non forent de sic bono argento ut debent esse pro facere dictam monetam, quod debeant facere reverti dictas virgas ad ignem tantum quod veniant ad rectam ligam ut esse debent, et ad hoc ut ipsa moneta fieri debeat ita finis et bona sicut esse debet. Item faciam fieri istam monetam taliter quod erit a soldis novem et uno denario et tercia usque ad medium denarium pro marcha.

(2). Et massarius cuius erit quindena nec aliquis alius de massariis non debeat trahi sazum nec sazos de virgis communis nec de virgis mercatorum, sine uno de pesatoribus vel ambobus; et qualibet vice qua pesator vel pesatores voluerit trahere sazum vel sazos denariorum de peso et de conto, aut de virgis, teneantur masanius vel massarii illud argentum, vel illos denarios qui erunt eis requisitum per pesatores pro trahere illos sazos, dare eis; et si massarius vel massarii non concordaret cum ponderatore qui faciet quindenam de sazis, teneantur mittere pro alio ponderatore, et de ipsis duobus ponderatoribus cum massario qui associat illum qui facit quindenam, vel cum illo qui non associat, ubi maior pars fuerit concordes, ita debeat observari per massarium cuius erit quindenam.

(3). Et sexto mense primo venturo faciam et reddam racionem simul cum sociis meis illis qui prefuerint racionibus communis Veneciarum, et predictis ponderatoribus, vel uni ipsorum, de toto argento quod batutum fuerit in moneta; et de lucro quod inde factum fuerit similiter eis raciones reddam et faciam simul cum dictis meis sociis infra quindecim dies post complementum mei officii. Et infra alios quindecim dies, sub pena librarum XXV pro quolibet; et si per defectum ponderatorum remanserit, debeant ponderatores perdere libras X pro quolibet; et si transierit terminus quindecim dierum ultra ut dictum est, et infra unum mensem postmodum non fecerint raciones et non assignabunt, et non dabunt bona communis, perdere debeant libras C pro quolibet supra pena dictarum librarum XXV; et ponderatores, si per eos remanserint, amittere debeant alias libras X pro quolibet.

(4). Et teneantur dicti massarii ostendere racionem de argento non rendente soldos duos pro marcha qualibet, et plus si plus lucrabitur; et si accideret quod deficeret eis ad soldos duos pro marcha, teneantur refundere communi de suis denariis; et raciones eorum non recipiantur quousque satisfecerint communi ad terminum sopradictum, et sub pena superius ordinata de complere suas raciones.

De racionibus faciendis et clavibus redendis sociis infra complementum quindene.

(5). Et die penultimo infra complementum quindene mee, faciam et reddam racionem sociis meis de omnibus que habuero, tam de avere communis quam aliarum personarum; et die sequenti ipsis meis sociis dabo et assignabo claves dicte monete; et totum avere et bona communis huius monete que superfuerint, dabo integre et consignabo simul cum sociis camerariis monete qui constituti erunt, vel aliis personis, sicut preciperit dominus dux cum maiori parte sui consilii.

De bono et statu monete trattando, et retinere magistros ad laborandum.

(6). Preterea tractabo et operabor bonum et statum monete, et illos magistros monete retinebo ad laborandum monetam qui mihi et sociis meis et ponderatoribus vel maiori parti nostrun boni et utiles atque legales videbunt pro opere monete.

De argento seu moneta non comprando.

(7). Et nullum argentum, bulzonos seu monetam, que videbuntur mihi esse pro moneta, ad meam utilitatem nec ad utilitatem alicuius persone comparabo nec faciam comparari; nec consulam alicui persone, nec consuli faciam quod comparet per totum tempus mei officii; et nullam fraudem comitam in comparando argentum pro moneta.

(8). Et si mercator aliquis habebit argentum vel aurum, ipsum argentun vel aurum non comparabo. Salvo si dictus mercator aut mercatores vendidisset illud aurum vel argentum quod aduxisset Veneciis aliis personis de extra moneta, tunc sit licitum mihi vel sociis meis emere dictum aurum vel argentum.

De signo faciendo in moneta.

(9). Item cum sociis meis vel altero eorum faciam fieri signum in moneta quam fieri faciemus, ad hoc ut cognoscatur quod facta sit tempore nostri officii de moneta.

De argento rendente scribendo.

(10). Et totum argentum rendens communi, quod cum sociis meis vel altero eorum, sicut est ordinatum, comparavero pro moneta, scribam pro se ad hoc ut possim reddere racionem de ipso argento per se.

(11). Et si sciero aliquem in domo mone (sic, monete) vel extra, in Veneciis, falsos denarios vel monetas facere vel stronzare, ipsum manifestabo domino duci et maiori parti sui consilii infra tercium diem.

(12). Et constituam simul cum sociis meis vel altero eorum in moneta unum inquisitorem qui inquirere debeat omnes magistros artis si bene fecerint suum officium vel suum magisterium monete, secundum quod mihi et sociis meis vel duobus nostrum bonum videbitur; et ipse inquisitor debeat mihi et socii meis vel altero eorum manifestare, ad hoc ut inde dampnum debeat astinere, sic (sicut) mee et sociorum meorum vel unius eorum discrecioni videbitur.

(13). Item quod omnes massarii, vel ad minus duo eorum, cum scribano teneantur facere suas raciones in capite cuiuslibet quindene; et massarius cuius fuerit quindena debeat facere notum de racione sue quindene sociis suis, ad hoc ut quilibet eorum possit scire racionem cuiuscumque sociorum.

(14). Hec omnia que superius dicta sunt, et alia que dominus dux cum maiori parte sui consilii addere vel minuere voluerit, attendam, et faciam et observabo bona fide sine fraude.

(15). Et si pro communi Veneciarum extra Venecias in regimine electus fuero, et ad ipsum regiminem ire voluero, vel si ad mercatum per mare, videlicet usque Traynum vel Ragusium ab inde in antea ire voluero, XXX dies ante, vel post dies XXX postquam disposuero exire de Veneciis, hoc meum officium domino duci et suo consilio resignabo ad hoc ut alius eligatur loco mei.

(16). Et salarium meum non accipiam nisi in fine quinque mensium huius mei officii pro medio anno; et sic pro alio medio anno sequenti observabo de accipiendo aliam medietatem mei salarii; quod sallarium est librarum C in anno et in racione anni.

(17). Et si racionem, secundum quod dictum est superius, non fecero, et bona et habere communis non reddidero, secundum quod dictum est superius, si ellectus essem in officio sallarii, tam in Veneciis quam extra Venecias, racione non facia et non redditis bonis et havere communis, sicut dictum est, electio illa non valebit nec tenebit sicut dictum est.

(18). Preterea, societatem nec partem habebo cum aliqua persona in facto monete in aliqua terra nec in aliqua parte modo aliquo vel ingenio.

(19). Item si infirmus stetero ultra dies octo, ita quod non veniam ad officium meum exercendum, non debeo de tanto quanto stetero ultra dies octo Iinfirmus accipero meum salarium nec habere; et si recepissem ipsum, reddam camerariis communis. Et si infirmus stetero per unum mensem, ita quod non veniam et non stabo ad meum officium exercendum, ero foris de meo officio ab ipso mense in antea; nec sub specie infirmitatis stabo nec remanebo de veniendo ad meum officium exercendum occasione exeundi de ipso officio, nisi iustam occasionem infirmitatis habuero.

(20). Item quod de omnibus rebus que vendentur in moneta, sive parve, sint sive magne, videlicet carbones, rame, plumbum, et alias omnes, denarii qui inde extrahentur ponantur in continenti in cassitula que manet super tabula massariorum, que cassitula habere debeat duas claves, quarum una tenere debeat ille massarius qui associat illum cuius est quindena, et alia tercius massarius de extra, videlicet non cuius est quindena; et quolibet capite quindene, illi duo qui habebunt claves debeant circare quot denarii erunt in dicta cassella; et omnes massarii et scribanus eorum teneantur scribere dictos denarios, et quot erunt, in suis quaternis; et debeant de dictis denariis facere et ostendere racionem illis qui sunt super racionibus super se.

(21). Item quod affinatores argenti non monete (sic) possint nec debeant per se vel per alios ullo modo vel ingenio comparare nec comparari facere argentum nec monetas nec ceneracios, nec habere partem de eis, sub pena perdendi soldos X pro marcha de argento vel de monetis, quod vel quas emerent, vel haberent partem de ceneracio soldos II pro marcha.

(22). Item quando massarii dant argentum infonditoribus causa faciendi denarios grossos, illud argentum non possit nec debeat ponderare ille massarius cuius erit quindena, sed pesare debeat ille qui eum associat, presentibus infonditore et duobus pueris vel uno, ipso argento ligato et ponderato, ut dictum est, dari debeat dicto infonditori et pueris ante quam socius secedat inde, ad hoc ut nihil intus iungatur per sacramentum; et teneatur massarius scribere et facere eciam scribi per eorum scribanum dictum argentum ut questio non possit verti inter ipsum et funditorem et pueros de pondus dicti argenti.

Quod massarii non possint facere infundi nec trahy sazum post campanam marangonorum.

(23). Et non possint vel debeant dicti massarii facere infundi nec trahi sazum postquam pulsatum erit ad tintinnabulum marangonum; et si inveniretur argentum in crusolo quando pulsatur ad dictam campanam, debeat proicere illud argentum foras, et non plus, postquam illud argentum erit proiectum in virgis, ipsum recipiam ab infonditore; salvo si esset ita sero quod non possem ipsum ponderare, tunc debeam ponere dictum argentum in uno de banchis volte, et dare clavem ipsius banchi infonditori qui infonderit dictum argentum usque ad alteram diem; et alia die sequenti ipsum argentum accipiam, et de qualibet infonditura extraham sazum et sazia, sicut mee et ponderatoribus discrecioni utilius videbuntur pro moneta; et si primum sazus non bene iret, facere debeant postmodum usque ad tres et non plus; et si omnes quatuor irent male, teneantur massarius cuius erit quindena, et ille qui eum associat, reverti dictas vergas in ignem et reducere eas ad suprascriptam ligam.

De denariis dandis pro infonditore pueris.

(24). Et teneantur massarii dicti dare infonditori et pueris pro centenario marcharum denarios XII pro comestione, vino, et oleo et candelis.

(25). Et sazatores habeant grossum unum pro sazio, et quandocumque massarii miterent pro eis ad faciendum dictum sazum et non venerit, massarii teneantur accipere unum grossum illi qui non venerint et non steterit ad faciendum ut dictum est; et scribanus teneatur hoc scribere.

Quod massarius non possit comedere in moneta.

(26). Et dicti massarii non debeant comedere in moneta de suo nec de illo communis, nec alicui persone, salvo quod de suis denariis possint comedere panem vel fructus, et possint expendere de illo communis soldos XX pro vino in quindena et non plus.

(27). Item quod quilibet massarius teneatur facere suam quindenam pro se, et debeat esse associatus ab uno suorum sociorum; et ille massarius cuius erit quindena, debeat habere claves volte et illas porte ubi ponderant argentum; et illi duo massarii, scilicet ille cuius erit quindena et ille qui debet eum associare, teneantur venire ad locum monete antequam campana officialium pulsari cesset, et ibi stare usque ad terciam, et plus si necesse fuerit, et post nonam ante vesperas, et stare usque ad vesperas et plus si necesse fuerit, exceptis festivitatibus sollempnibus et occasionibus aliis officialibus specificatis; et ille vel illi qui non venerint et non stabunt sicut dictum est supra, perdere debeant salarium suum illius diei, et insuper soldos X; et ipsi teneantur et debeant scribere in suo quaterno illum vel illos qui non venerint et non stabunt, vel (ut) superius dictum est; et teneantur eciam facere scribi per eorum scribano in suo quaterno; et teneantur dare infra tercium diem pena de qua ceciderint cum non venerint et non stabunt ad officium suum, videlicet pena soldorum X, et salarium illius diei in quo non fuerint et steterint ad dictum officium exercendum.

(28). Et quandocumque per nos aliquid comparatum fuerit, statim scribemus in nostris quaternis id quod comparabimus, simul cum uno sociorum meorum ad minus, ita quod tercius infra tercium diem scribere teneatur; et semper erimus tres vel duos ad minus ad emendum vel ligandum.

(29). Item quod isti massarii teneantur habere unum scribanum laycum, qui sit venetus, apud se, nec habeat seu habere possit aliud officium in moneta nisi scribanum; et hoc intelligitur tam de illo scribano qui nunc est, quam de illo qui pro tempore erit; qui scribanus teneatur scribere in suo quaterno totum illud quod dicti massarii scribent in suis quaternis; et ille scribanus teneatur sacramento scribere et notare tam lucrum quam dampnum quod dicti massarii facient per quindenas sua; et iste scribanus non possit mutari nisi cum voluntate domini ducis et consiliariorum et capitum de XL.

(30). Et omnibus magistris qui laborant ad dictum officium monete debeant accipi sacramentum, quod si sciverint aut scire possent quod aliquis defectus efficeretur per aliquem laboratorem mone (monete), tam si denarius efficeretur de peiori argento quam debent esse, quam de pondere, quam de furto, quam de alio defectu, modo aliquo vel ingenio, quod domino duci et suo consilio et capitibus de XL manifestabunt quam cicius poterunt bona fide sine fraude.

(31). Et si contingerit quod fieri debeat aliquis laborator vel aliquis officialis quod pertineat ad officium monete, debeat elligi per massarios et per ponderatores monete insimul, et sit firmum per IIII ipsorum; et debeat fieri ipsa eleccio cum busolis; et si ipsi non poterunt esse concordes infra tercium diem, quod ipsi teneantur sacramento quarta die requirere illos tres XL qui erunt ad officium, et eligere cum ipsis per maiorem parte cum busolis, et quem per maiorem partem elegerimus sit firmum; et non possum dicere: accipe meum et ego accipiam tuum; et quandocumque veniam ad faciendum istas ellectiones, accipiam illum vel illos, quos credidero esse utiliores pro moneta.

(32). Item omnes homines qui accipientur in moneta, tam monetarii, quam alii, sint veneti, salvo de affinatoribus qui accipi debeant per me et socios meos et per ponderatores sicut nobis melius videbitur; et hoc per ellectionem, ita videlicet, quod de nobis tribus massariis et duobus ponderatoribus, quattuor nostrum sint concordes; nec aliquem cambiabo nec cambiari faciam aliquo modo vel ingenio nisi secundum formam consilii.

(33). Donum aliquod aliquo tempore non recipiam nec recipi faciam occasione uius officii, et si sciero quod aliquis recipiat pro me, ipsum faciam reddi quam cicius potero.

(34). Insuper illis qui argentum vendiderit et denarios suos XXX si denarii fuerint, eis dabimus sicut exeunt de moneta, videlicet denarios XXX quam cicius poterimus.

(35). Denarios quidem non trabucabo nec trabucari faciam modo XXX ingenio, nec havere communis de moneta extraham nec extrahi faciam XXX eo utar ad meam utilitatem nec ad utilitatem alicuius persone per XXX modum vel ingenium, nisi tantum pro moneta.

(36). Item quod non debeant vel possint dicti massarii ponderare XXX argentum quod ement vel extimabunt, nisi primo erit ponderatum per XXX res; et postquam erit ponderatum, massarii aut massarius teneantur XXX illud argentum per illud pondus quod pesatores eis dabit.

(37). Item quod massarius cuius erit quindena non debeat comparare XXX tantum argentuin quantum potest facere laborari in sua quindena, secundum XXX dinem eis datum per Maius Consilium, ad hoc ut denarii veniant pulcriores XXX si argentum superaret, debeat illud dimittere alteri massario cui venit XXX et si denarii superarent qui non essent cuniati, non possit facere ipsos XXX sub quindena alterius massarii, ad hoc ut non misclent una racio cum XXX et ad hoc ut denarii melius cunientur et informentur.

(38). Item si scient vel credent quod aliquis cambiator vel aliqua alia persona sit in moneta quando voluerit circhare argentum pro comparare, qui cambiatores vel alie persone starent et expectarent etiam causa comparandi dictum argentum, teneantur massarii eos licenciare de moneta; et si nollent exire, teneantur illis tribus XL qui erunt pro tempore dicere.

(39). Item si quis venetus voluerit ire extra Veneciis, vel Duracium, vel in Romania, vel ultra mare, vel in Pulia, et voluerit cambire denarios veteres pro novis, tenemur sibi cambire, scientes prius per fidanciam sibi acceptam quod vadat ad aliquam parcium predictarum; et quando cambiabimus denarios, tentabimus et videbimus si erunt tonsi vel minus boni quam esse debent, et incidemus tonsos vel minus bonos ita quod esset non possit abere defectum.

(40). Propterea gastaldionem, in diebus quando laborabitur ad monetam, stare faciam usque ad terciam, et tamtum plus quantum mihi et sociis meis aut socio meo probono monete videbitur, et eodem modo stare faciam nisi remanserit occasionibus specificatis aliis officialibus; et si gastaldio non venerit ad campanam, amitat unum grossum.

(41). Item quando quindena erit mea, teneor et debeo superstare mendatoribus quod bene emendet et valide, et operariis quod faciant pulcros fladonos et bene rotundos et bene ad modum; et recipiam fladonos de qualibet fornace per se; et temptabo si bene facti erunt, et si non bene facti erunt, per eos qui ipsos fecerint faciam reconzare; et quocienscumque faciam reverti fladonos ad fornacem pro reconzare, accipiam pro pena magistris illius fornacis qui eos fecerint soldos V antequam compleat mea quindena; et sicut recipero ita scribam, et faciam venire in comune dictos soldos V. Insuper teneor et debeo minus dare ad laborandum illis magistris qui non bene laboraverint dictos fladonos quam aliis, et mendatoribus qui non bene emendaverit diminuere eorum partes sicut ponderatoribus et uni meorum sociorum videbitur.

(42). Item non dabimus alicui magistro fornacis in die ultra marchas XV argenti, et hoc ab introitu maii usque ad festum sancti Michaelis; et monederiis ultra libras VIIII grossorum per diem; et ab introitu octubris usque per totum fabruarium non dabimus ultra marchas X pro magistro in die; et monederiis ultra libras VI; et ab introitu marcii usque per totum mensem aprilis non dabimus ultra marchas XII in die, et monederiis ultra libras VII in die.

(43). Item teneor et debeo, quando quindena erit mea, facere blanchizare fladones cuiuslibet fornacis per se; et quando blanchizati erunt, dabo soldos X pesatori de qualibet fornace per se, qui debeat eos trabucare cum suis manibus cum balanzolis; et quolibet die quo laborabitur, et de qualibet fornace per se, simul cum socio meo et cum pesatore cuius erit quindena, circabo dictos fladones, et si accideret quod inveniretur nimis graves, non possint mesclari cum levibus nec facere mesclari; et si invenirent nimis leves, non debeant mesclare cum grevibus; qui fladoni debeant trabucari, et extrahantur foras illi qui erunt nimis graves et illi qui erunt minis leves, et leves destruant et graves accentur, ita quod moneta sit magis iusta et melius ad pontum; et hoc fiat cum uno de pesatoribus vel ambobus; et faciam venire gastaldionem mendatorum, et inquiram quis mendator fecerit illos qui non bene steterint, et eum qui eos fecerint compellam ad solvendum tantum quantum erit dampnum quod erit de illis fladonis qui non steterint; et si gastaldo nesciverit dicere quis mendator fecerit illos denarios, totum dampnum quod inde erit faciam solvere gastaldionem integre ante quam compleat meam quindenam; et scribam quod inde recepero ad hoc ut veniant in commune.

(44). Et si accideret eciam quod massarius cuius erit quindena vel eius socius non concordarent cum ponderatore de dictis fladonis, et dicerent quod ipsi fladoni bene starent de pondere et de conto, et ponderatori viderent quod non bene starent, teneantur mittere pro alio ponderatore et pro massario qui non associat massarium qui facit quindenam, vel cum illo qui associat, et de istis duobus ponderatoribus cum uno ex dictis massariis ubi maior pars fuerint concordes ita debeat observari per massarium qui facit quindenam.

(45). Item accipiemus duos mendatores pro una quaque fornace, qui mendatores teneantur trabucare omnes denarios sue fornacis donec emendati erunt per alios mendatores, et non possint esse dicti mendatores plures XXVIII, si de illis qui nunc sunt deficerent.

(46). Item teneor et debeo super stare monetariis quod faciant pulcros denarios, et bene positos in medio, et bene tractos extra, et non referitos; et teneor et debeo in quindena mea dare fladones cuiuslibet fornacis per se ad monetandum, ad hoc ut cognoscere possim cui monetario dedero fladones cuiuslibet fornacis.

(47). Et teneor et debeo in quindena mea temptare denarios grossos quando recipiam eos a monetariis, et si invenero aliquem male factum, rupam ipsum; et illi monetario qui non fecerint pulcros denarios debeo ei diminuere medietate sue partis, si mihi et ponderatoribus vel uni eorum bonum videbitur, et plus si bonum nobis videbitur; et si mihi ponderatori videretur quod ille monetator non se emendabit ad faciendum pulcros denarios, dicam domino duci et capitibus de XL; et si aliquis fladonus erit qui non sit bene factus, monetarii ponant per se et non debeant ipsum laborare seu monetare.

(48). Item non possum vel debeo dare licentiam alicui monetario standi extra monetam ultra tres menses; et si aliquis monetarius stabit extra monetam ultra tres menses, debeat esse extra monetam, et alius accipiatur loco eius; et dicti monetarii qui informant denarios grossos dent plezariam de libris CC pro quolibet in manibus massariorum; et quando ipsi laborant denarios, quando ibunt ad prandium, duo ipsorum ad minus expectare et stare debeant usque dum massarii venient. Item teneantur massarii dicti solvere monetaniis omni ebdomadada deo (de eo) quod laboraverint, salvo si offenderint in ipsis massariis eos possit condempnare sicut eis iustum videbitur.

(49). Item omnes fladonos qui refutabuntur a monetariis non possint reconzari nec de ipsis fiat aliqua solutio dureris (sic).

(50). Item non permittam quod aliquis de monetariis, die qua laboraverit denarios grossos, possit laborare denarios parvos, nec die qua laboraverit denarios parvos possit laborare denarios grossos; et si aliquis de monetariis steterit extra Veneciis, de tanto quanto steterit non possit ei aliquid esse refusum; et si per nos diminuta erit pars alicui ita quod non possit plus adimpleri, quod socius eius non possit ei refundere aliquid.

(51). Et si aliquis magister monete iverit extra Veneciis absque licencia dominorum massariorum, et steterit ultra dies IIII, quod non possit esse in officio monete per totum tempus dictorum massariorum existencium.

(52). Et si invenerimus aliquem defectum in aliquos istorum monete, et videretur nobis eos licenciare de moneta pro ipso deffetu, ipsos licenciabimus cum buxolis sicuti cum busolis ipsis nos accepimus.

(53). Item tenemur semper fieri facere in primo mense quo intrabimus, videlicet infra dies XV intrant (sic), torsellos XXIIII et pillas XVI, et dictos torsellos et pillas faciemus fieri faber qui laborat ad monetam, et pro quolibet alio mense habebimus para XII ferrorum de superfluo a fabro predicto, et si de ipsis ferris acciperentur occasione taliandi, tenemur facere fieri tot quot acciperentur, ita quod semper remaneant para XII; et hoc fieri debeat infra XV dies; et quandocumque faber predicta non attendet, nisi occasione infirmitatis remanserit, tenemur ei accipere soldos XX.

(54). Item est sciendum quod tres de XL semel in ebdomada venire debent ad videndum dictam monetam, ad hoc ut dicta moneta efficiatur pulcra et polita et rotunda; et ad hoc ut massarii accipiantur boni et legales, ellectio eorum fieri debet per dominum ducem et consiliaros et capita de XL cum busolis; et debeat esse dicta ellectio firma per maiorem partem ipsorum; et ipsi massarii dare debeant plezariam de libris M pro quolibet.

(55). Item quod omnia zenaracia que massarii habebunt tam de argento communis vel alia zeneracia, que emerent ab aliis personis pro communi, et granaia de cruxolis, et bataduris de argento, omnes massarii et scribanus eorum teneantur scribere in suis quaternis totum id quod dicte rea constiterint, vel id quod computabunt in suis racionibus; et ad affinandum res predictas teneantur omnes massarii scire totum illud quod exibit de dictis rebus, et quot denarii extrahentur de ipsis, et totum illud quod extrahetur plus de eo quod constiterint; et scribatur per omnes massarios et per eorum scribanum hoc totum quod dictum est in suis quaternis per se; et ostendere debeant racionem per se illia de racionibus, non mesclando istam racionem cum racione de lucro laborerii; Et omnes suprascripte res ponantur in uno banco vel arcella que habere debeat duas claves, unam quarum habere debeat ille cuius erit quindena, et aliam qui eum associabit; et nihil de dictis rebus possit poni vel extrahi de dicto banco vel arcella, nisi erunt simul illi qui habebuut claves; et non possint ponere de omnibus suprascriptis rebus in suis racionibus nisi solum de zeneraciis, de quibus possint ponere soldos II pro marcha, secundum veterem consuetudinem. Et massarii non possint nec debeant vendere zeneracia monete, sed debeant omnes tres vel ad minus duo eorum, si tercius haberet iustum impedimentum, affinare dicta ceneracia (1).

(56). Teneantur eciam dicti massarii facere fieri unum fornellum in moneta, si erit locus ad faciendun ipsum, occasione affinandi zeneracos communis pro melioramento communis; et si non erit locus in moneta ad faciendum dictum furnellum, teneantur invenire unam domum in qua debeat affinari omnes zeneraci communis, et pro ponere carbonum, si oportuerit; que domua accipiatur in insula Sancti Marci vel ultra, sicut melius videbitur pro communi; quam domum debeant accipere infra unum mensem postquam intraverint in officio suo pena librarum XXV.

De partibus concedendis magistris in moneta.

(57). Item omnes partes que dabuntur in ipsa moneta alicui vel aliquibus, dari non possint nisi nos tres erimus simul, ita quod ex tribus nostrum duo ad minus sint concordes de ipsis porcionibus contendendis (sic).

De magistris qui non iurabunt ordinamenta massariorum.

(58). Item si quis magister monete non iuraverit ordinamenta massariorum infra tercium diem postquam per massarios sibi requisitum fuerit, quod illis qui non iuraverit, sicut dictum est, non debeat esse in ufficio monete per totum tempus massarii existent in officio monete.

(59). Item quod una stangata debeat fieri extra apud tabulam ubi stant massarii, et illa stangata taliter fieri debeat quod porta volte ubi ponitur havere remaneat de intus.

De plezariis puerorum.

(60). Et quod pueri qui ponunt et extrahunt habere communis dare debeant plezariam de libris C, et infonditorum qui infondit virgas et lite qui infondit platas argenti dare debeant plezariam de libris CC pro quolibet.

Quod massarii non possint esse de Maiori Consilio nec de aliquo alio officio.

(61). Item non possum esse de Malori Consilio nec de aliquo alio ufficio usque quo ero in officio monete.

(62). Item est sciendum quod si aliquis nostrum quod aliquo sociorum vel ponderatorem miserit occasione officii, et non venerit ille pro quo miserit, amitere debeat salarium illius diei in duplum; et quilibet nostrum teneatur scribere illum qui non venerit, et dare eum in scriptis illis de racionibus, et salarium quod amiserit; et scribanus teneatur eciam scribere in suo quaterno, salvo si haberet impedimentum per quod non possit venire secundum occasiones specificatas; et si ponderator, cuius erit quindena, miserit pro tercio massario qui non associat illum qui facit quindenam, teneatur venire, et si non venerit, perdat salarium illius diei in duplum, salvo si non haberet talem impedimentum per quod non posset venire secundum occasiones speciflcatas.

(63). Item quod massarii teneantur habere duos pisonos masizos de duabus marchis pro quolibet, quos facere debeant iustare per extimatores auri cum marcha matre communis; unus quorum manere debeat continue in volta, et cum alio zirchare debeant denarios; et in quolibet capite quindene debeant omnes tres massarii, vel ad minus duo eorum simul; probare pesum de extra cum illo de volta, si erit bene de illo peso, bene quidem, sin autem teneantur in continenti de facere ei adiungi et ipsum iustare (2).

De denarsis tonssis cambi andis.

(64). Item debemus et tenemur accipere ab omnibus hominibus Veneciarum omnes denarios tonsos vel incisos quos nobis aduxerint, et dare cuilibet de bonis denariis grossis, penssum pro pensso, secundum formam consilii capti. Item omnibus forinsecis qui nobis aduxerint denarios incisos quos ipsi receperint in Veneciis pro suo pacamento, tenemur et debemus eis cambiare sicut dictum et supra.

(65). Item de omnibus scovaduglis et omnibus lavaturis, tam de cinere quam de focario, de omnibus reddam racionom pro se quando ibo ad faciendum racionem illis qui debent recipere racionem pro communi Veneciarum; et hec debeant vendi in Rivoalto ad incantum sicuti fiunt scovaduge auri.

(66). Item teneor dicere callum mee quindene socii meis et scribano id callabunt infonditure mee.

Item non possint dicti massarii dare aliquod argentum ad affinandum nisi sint duo ad minus, qui esse debeant ad ponendum et ad extrahendum ipsum argentum de igne; et hoc ut ambo sciant quod lucrabitur inde et quod amitetur; teneantur eciam preffati massarii incontinenti scribere in quaternis suis lucrum et dampnum, et facere eciam quod eorum scribanus scribere debeat in suo quaterno lucrum et dampnum; et si non dederit ipsum argentum in continenti ad affinandum, ponatur in volta in banco vel arcella per ambos massarios, et clavem vel claves tenere dabeat massarius qui associabit illum cuius erit quindena donec dictum argentum dabitur ad affinandum sicut superius dictum est.

(67). Item teneantur non adiuvare se unus alterum de suis racionibus de havere communis tam de lucro quam de dampno.

(68). Item non debeant facere nec fieri facere solucionem alicui persone nisi de denariis novis sicut exeunt de moneta, videlicet de denariis non trabucatis, salvo si ipsi haberent denarios veteres cambitos a venetis, sicut ordinatum est pro veteribus, do ipsis facere possint solucionem.

(69). Item teneor non facere laborare cum alliis ferris nisi cum illis qui intaiabuntur intaiatore monete, et si esset aliquis monetarius qui laboraret cum aliis ferris in moneta quam cum illis qui ei dabuntur a nobis, perdere debeant soldos XL; insuper teneor dicere domino duci et capitibus de XL.

(70). Item si aliquis monetarius esset qui monetaret alios fladonos quam illos qui per massarios dabuntur cuius erit quindena vel cum voluntate ipsius, perdere debeant soldos XL; et insuper teneor dicere domino duci et capitibus de XL per sacramentum.

(71). Et insuper denegabo quod aliquis monetarius non adiuvet alium ut moneta pulcrior efficiatur.

(72). Item quod aliquis non possit nec debeat aliquo modo vel ingenio facere preces nec recordaciones, nec dare aliquam cedulam per se vel per alios massarios monete pro aliquo monetario sub pena C soldorum, et quod massarii teneantur accusare illis de nocte infra tercium diem; et illi de nocte dictam penam excutere teneantur, et habeant terciam partem pene que excucietur; et hoc publice debeat stridari, et addatur in suo capitulari quod dictam penam excutere teneantur.

(73). Preterea teneor et debeo ligare et bullare vel facere bullari totum argentum quod mihi per mercatores presentabitur ad ligam de sterlino, et illud precium accipiam vel accipi faciam quod per dominum ducem et eius consilium fuerit ordinatum.

(74). Item quod non possint esse ad monetam ultra XX monetarii qui sint veneti.

(75). Et quandocumque affinatores argenti monete, vel alteri eorum, comparaverit argentum vel monetas seu ceneracia, aut haberent partem in eis, vel consuleret alicui quod emerent, prout superius dictum est; teneantur massarii, infra tercium diem postquam fecerint contra predicta, accipere ipsis affinatoribus vel affinatori penam superius ordinatam, scilicet penam soldorum X pro qualibet marcha argenti vel monetis, et soldorum II pro qualibet marcha de cenenaciis; denarios quos massarii inde receperint dare debeant infra tercium diem eainerariis communis, et scribere in suis quaternis quot erunt.

(76). Item observabo formam Maioris Consilii cuius tenor talis est: Capta fuit pars in Maiori Consilio: quod si aliquis officialis iverit extra terram pro aliquo facto, et steterit ita quod non venerit ad suum officium ut tenetur per suum capitulare, perdere debeat suum salarium de eo die quo non venerit et non steterit ad suum officium ut dictum est; et si steterit per dies XV, perdat officium; tamen teneatur non exire occasione exeundi de officio. Salvo quod licitum sit cuilibet officiali stare extra per totum tempus sui offici per dies VIII non perdendo salarium ipsorum VIII dierum, exceptis consiliariis et electoribus in tantum quod propterea non perdant officium (3). Item est sciendum quod si aliquis propinqus meus habuerit placitum seu cassam (sic, causam) coram curia de qua ero iudex, non possum vel debeo placitum sive questionem illam audire nec diffinire; et secedam de placito, et loco mei debeat esse unus de iudicibus per consilium ordinatis.

(77). Item cum electi fuissent per capita de XL nobiles viri Jacobus Steno, Michael Buldu, Johannes Lauretanus, qui deberent facere capitulare pesatorum de moneta, et ad videndum et faciendum tam in addendo quam in minuendo totum illud quod eis videbitur in capitulari massariorum monete et extimatorum auri, pro melioramento monete; et ipsi abita diligenti deliberacione fecerunt scribi ea que utilia eis visa fuerunt super hiis, et legi fecerint inter XL et in Maiori Consilio, et posita fuit pars inter XL et Maiorem Consilium, et capta quod ea que fuerunt leta et inventa per eos sint firma sicut continetur.

(78). Hec et alia quecumque dominus dux cum majori parte sui consilii huic officio addere minuere vel mutare voluerit, atendam et observabo bona fide.

Factum est hoc capitulare currente anno Domini millesimo CC.LXXVIII mense marcii.

(79). Item quod massarii monete teneantur reddere racionem et dare denarios superatos de argento de virgis mercatorum quos proiecerint camerariis communis sicut faciunt de illo monete.

(80). Teneor et debeo, pro facere fieri monetam parvam, ponere unciam unam et dimidiam et karatos duodecim argenti tam boni sicut est grossus, et uncias sex et dimidiam minus karatis duodecim de rame, et sumat marcham unam; et vadant isti denarii per marcham unam, libras III et soldos V ÷ usque ad denarios X; et non possum nec debeo facere aliquam ligam nisi fuerit ad minus unus sociorum meorum mecum; et quando erit ligatum, dabo incontinenti, cum uno sociorum meorum, infonditori per pondus; et quando illud argentum erit infonditum et proiectum in virgis, non possum neo debeo dare ad laborandum nec recipere ab infonditore, nisi erit primo extractum sazum de illis virgis per unum de ponderatoribus monete; quod sazum debet esse de uncia una de illis virgis; et debet remanere ad extrahendum de igne argentum tam bonum sicut est denarius grossus karatorum XXVIII de marcha.

(81). Et quando fiet aliqua liga de istis denariis parvis, teneor scribere cum sociis meis, et scribam et faciam scribi per scribanum qualibet ligam per se tam de argento, quam de monetis, quam de rame; et scribam precium cuiuslibet rei per se, tam de argento, quam de monetis et quam de rame. Et non faciam extrahi de istis virgis plus de tribus saziis, et si omnes illi tres sazii irent male, debeant reverti ille virge in ignem et reduci ad supradictam ligam. Et non permitam aliquos denarios extrahi de moneta nisi primo circati sint per unum de ponderatoribus monete; et si denarii irent plns de libria tribus et soldis V ÷ usque ad denarios X pro marcha, non dabo extra monetam. Item teneor et debeo, quandocumque fuero requisitus a ponderatoribus, dare et dari facere per monetarios denarios parvos occasione circandi eos sicut est ordinatum.

(82). Item faciam laborari istam monetam cum ovreriis VIII et monederiis VIII, et non pluribus; et non dabo ad laborandum ovreriis plusquam marchas VI per diem, et monederiis plusquam V per diem; et hoc a kalendis februarii usque per totum aprilem. Et a kalendis madii usque per totum augustum, ovreriis marchas VII et monederiis marchas VI et non ultra; et a kalendis septembris usque per totum octubrem, ovreriis marchas VI et monederiis marchas V et non ultra; et a kalendis novembnis usque per totum Ianuarium, ovreriis marchas V et monederiis marchas IIII et non plus.

(83). Item teneor et facere et faciam racionem de denariis parvis sicut faciam de denariis grossis racionem suprastantibus racionum et ponderatonibus monete.

Millesimo CC.LXXXVIIII, die XI septembris, tercie indicionis. Capta fuit pars in Consilio de XL, quod comittatur officium faciendi monetam parvam illis officialibus qui faciunt monetam argenti grossam, qui debeant et teneantur omni anno facere racionem de utraque moneta per se, scilicet de grossa per se, et de parva per se; et debeant eis dare de denariis mensis libras C omni mense usque quod habeant libras D pro utilitate dicte monete parve.

(84). Item quod sicut pesatores monete auri et argenti erant quatuor, ita debeant esse de cetero solum tres; et massarii monete dividant eos ad aurum et argentum sicut eis videbitur pro tempore.

Millesimo CC.LXXXXI, mense madii, die XXI. Capta fuit pars inter XL, quod massarius monete teneatur laborare seu facere laborare monetam parvam cum hac condicione, videlicet quod ipsi massarii debeant facere dictam monetam ea liga et sazo quod continetur in suo capitulari, et quod dicta moneta debeat ire per marcham secundum eam quantitatem quod continetur in suo capitulari; et quod ipsa debeant incidi seu laborari magis equalis quam poterit, ad hoc ut ipsa non possit trabuchari. Item quod dicti massarii teneantur facere fieri de dicta moneta parva ad minus omni quindena marcha CCL; et si fecerit laborari a dicta quantitate marcharum supra, habere debeant denarium unum parvum pro marcha de eo quod laboraverit ultra dictam quantitatem; et in capite anni veniant massarii ad dominum ducem et consiliarios et capita, et dicant condiciones et facta ipsius monete; et si domino duci et consiliariis et capitibus videbitur quod debeat sic stare, bene quidem, sin autem, ponant inter XL illas partes que sibi videbitur. Item quod si dicti massarii fecerint ligam argenti cum rame, quod ipsi teneant dare seu facere racionem de bono et nepto capitale sine aliquo dampno communis; et si fecerint ligam cum vianali, teneantur ad minus reddere racionem de soldis XXIII ad grossos pro centenario de marchis de prode communi; et si fecerint ligam cum inperialibus, quod ipsi debeant dare de prode ad minus nostro communi pro zentenario de marchis libras V et soldos VII ad grossos; et si fecerit ligam de mezanis, quod ipsi debeant dare de prode ad minus nostro communi pro centenario de marchis libras VII et soldos V ad grossos.

(85). Item observabo formam consilii infrascripti, currente anno Domini millesimo CC septuagesimo octavo, die VIII intrantis octubris, que talis est (4): Capta fuit pars in Maiori Consilio, quod aliquis mercator non audeat vendere nec emere aut videre aurum a duobus unciis superius, vel argentum a marca una superius in aliquo loco, salvo inter pedem pontis et scalam Rivoalti, vel ad Sanctum Marcum, ad incambium ad monetam. Et extimatores teneantur ponderare; et non possit ponderari nisi ad tabulas extimatorum qui sunt (5) per Venecias constituti (6) vel ad monetam, sub pena duorum soldorum pro libra. Salvo quod quilibet mercator Veneciarum qui voluerit portare argentum, vel mittere cum caravana, possit vendere vel emere in omni loco dictum argentum, et facere forum. Salvo quod faciat ponderare ad dicta loca constituta. Et dicti extimatores teneantur scribere totum argentum quod ibi ponderabitur, et nomen emptoris et venditoris, et scribere similiter omnes monetas de bulzono, et dare omni ebdomada in scriptis illis qui sunt constituti super aurum et argentum. Salvo quod quilibet peregrinus possit vendere et ponderare (7) in omni loco. Et si aliquis peregrinus inveniretur faciendo fraudem, sit in potestate dominorum suprascriptorum condempnandi vel absolvendi. Et hoc sit pro eo quod commune Veneciarum portat de hoc magnum defectum de sua racione, quia illi qui dicunt (8) argentum tenentur dare dacium communi, et defrandant dacium. Et qui emunt et portant iliud extra terram absconse, quod argentum portatur ita [quod mercatores habent inde deffetum, et propter hoc] (9) mercatores invenient magis ad plenum et melius forum. Et si aliquis ceciderit in dictam penam, illi constituti super officium (10), debeant excutere dictam penam. Et si aliquis fuerit rebellis solvendi dictam penam, debeant dare pro caduto in duplum illis (11) dominis de nocte, qui teneantur exigore dictam penam infra octo dies postquam habuerint ab ipsis officialibus in scriptis, et habeant terciam partem dicte pene. Et si quis accusaverit, habeat terciam partem, et alia tercia pars deveniat in commune; et ipsi (12) officiales per suum sacramentum debeant habere eum vel eos in secreto vel in credencia; et hoc ponatur in capitulari dominorum de nocte, quod debeant excutere supradictas (13) penas secundum quod (14) dictum est superius; ac eciam suprascripti officiales debeant hoc bannum facere stridari in omni capite duorum mensium. Et hoc addatur in capitulari dictorum extimatorum quod teneantur scribere et pesare dictum argentum, et nomen emptoris et venditoris secundum quod est dictum; et teneantur omni ebdomada dare in scriptis ipsis officialibus quibus jungatur hoc in suo capitulari. Item quod (15) campsores teneantur per sacramentum de hiis; et postquam hec pars fuerit capta in Maiori (16) Consilio, dicti campsores (17) teneantur iurare domino duci infra octo dies postquam (18) fuerit eis denunciatum, sub pena librarum denariorum venecialium L pro quolibet de observare quod dictum est superius; et dominus dux debeat facere tolli sacramentum eisdem campsoribus. Item quod unus scribanus stare debeat ubi proiectum fuerit, et habeat pro suo salario omni mense libras IIII ad grossos; et teneantur scribere totum argentum quod proiectum fuerit, et nomen emptoris et venditoris; que omnia teneantur (19) dare in scriptis omni ebdomada dictis dominis constitutis super aurum et argentum; qui scribanus eligatur in illo modo quo eliguntur illi de camera auri. Item quod (20) scribanus massariorum monetarum (21) dare teneatur in scriptis dictis officialibs totum argentum quod ibi fuerit proiectum, et nomen emptoris et venditoris. Item non possit proicere argentum nec proici facere aliquis in aliquo alio loco nisi ad monetam et ad locum constitutum in Rivoalto sub pena librarum CC.

Anno Domini millesimo ducentesimo septuagesimo octavo, die XXII decembris; capta fuit pars in Maiori Consilio quod monetarii qui informant denarios parvos possint et debeant monetare denarios grossos in die quando non laborabitur moneta parva secundum discretionem massariorum; et si consilium est contra, sit revocatum quantum in hoc.

(86). Item observabo formam consilii capti currente anno Domini millesimo CC.LXXX, die XXIIII aprilis, que talis est: Capta fuit pars quod omnes officiales communis qui recipiunt pecuniam pro communi Veneciarum teneantur scribere in suis quaternis sic a sex denariis inferius omnes denarios quos recipiunt pro comuni sicut teneantur scribere a sex denariis superius.

(87). Item observabo formam consilii infrascripti que tali est: Capta fuit pars quod aurum et argentus quod venditur et emitur debeant ponderari ad tabulam extimatorum Veneciarum et non alibi; verumtamen dicti extimatores teneantur dare per scriptum quantum fuerit aurum et argentum et monete predictis officialibus de quarantesimo, de Portu Groario, Latisana, et aquilegiensis Liguencia, et de omni alia parte Foroiulii quando pecierint, et eciam nomen empioris et venditoris, et simile teneantur facere massarii monete.

(88). Item teneor dare de denariis nostris grossis omnibus qui adduxerint nobis de denariis de Bresco, pondus per pondus.

(89). Item observabo formam consilii que talis est: Millesimo CCLXXVIIII, indictione septima, die quarto decimo exeunte iunio. Capta fuit pars in Maiori Consilio quod addatur in capitulari omnium officialium qui recipiunt pecuniam pro communi, quod teneantur facere racionem de omnibus denariis quos recipient quocumque modo veniant, et de expensis similiter; et eciam teneantur omnes officiales conservare quilibet per se suos quaternos sub clavibus et serraturis quando recedunt ab officia; et fuit pars de XL.

(90). Item observabo formam consilii que talis est: anno Domini millesimo CCLXXXII, indictione octava, die tercio intrantis octubris: Capta fuit pars in Maiori Consilio quod iniungatur in capitulari omnium officialium qui recipiunt pecuniam pro communi, quod ipsi teneantur scribere in suis quaternis millesimo, mense et die, et quantitatem pecunie, a quo vel a quibus recipiunt, et quare, et cui dant, et quando intrant in officia; et debeant scribere die quo intrant similiter in suis quaternis.

(91). Millesimo CCLXXXIIII, die XVII septembris. Capta fuit pars in Maiori Consilio quod addatur in capitulari cancellariorum et aliorum notariorum desuper palacio, quod teneantur iniunxisse in omnibus capitularibus omnium officialium de Veneciis et suorum, quod non possint recipere donum, vel presens, vel mutuum aliquo modo vel ingenio ab aliqua persona que habeat facere coram eis pro suis officiis; et teneantur domini accusare scribanos facientes contra, et scribani officiales, advocatoribus communis; et hoc infra XV dies postquam pars ista capta fuerit in Maiori Consilio, in pena C soldorum pro quolibet; videlicet in illis capitularibus in quibus non est hec addicio (22).

(92). Et quod addatur in capitulari omnium officialium qui recipiunt pecuniam pro comuni, quod ipsi teneantur scribere de sua manu vel facere scribi et dare in scriptis illis qui pressunt racionibus recipiendis quantam pecuniam ipsi dant camerariis communis nostri; et ipsi de super racionibus teneantur scribere in presencia ipsorum dancium in libro dictam quantitatem; et ad minus unus de camerariis communis sit presens quando ipsi scribent.

(93). Nos dux cum nostro consilio vobis nobilibus viris super monetam constitutis dicendo mandamus: quod infrascriptum consilium in vestro capitulari addi facere debeatis, cuius tenor tali est: Capta fuit pars, quod omnes iudices palacii et officiales Rivoalti teneantur scribere unus eorum ad ebdomada omnes dies quibus eorum scribani, tam clerici quam laici, non venerint ad eorum officia ad campanam, ut tenentur per eorum capitulari; et illi qui faciunt solvere suis scribanis, quando debent facere eis solutionem debeant eis tantum minus dare per ratam. Et illi qui non faciunt solutionem suis scribanis, teneantur dare in scriptis camerariis communis de quanto fefelerint eorum scribani; et addatur in capitulari camerariorum quod teneantur eis tantum munus dare per ratam; et addatur in capitulari iudicum et officialium qui faciunt solutionem nisi in sexto mense de medio anno ut fit illis quibus fit solutio per cameram communis; et si consilium est contra sit revocatum quantum in hoc.

(94). Die XXIII septembris capta fuit: addatur in capitulari omnium officialium qui recipiunt pecuniam pro communi quod teneantur, cum requisiti fuerint per camerarios communis quod ipsi eis dare debeant denarios quos habebunt, et quod teneantur eis dare illo die vel altero, quo requisiti fuerint, in pena duorum soldorum pro libra de omnibus denariis quos habebunt et non dabunt eis ut dictum est; non ostante aliquo capitulis (sic) suorum capitularium quod quantum in hoc sit revocatum.

(95). Capta fuit pars inter XL cum domino duce et consiliariis: cum contineatur in capitulari massariorum monete quod teneantur semper habere XII paria superflua de ferris, ita dicatur et addatur in suo capitulari XII para ferria intaglata in volta.

(96). Item quod teneantur visitare monetariis omni die quo laborabitur, ad minus unus eorum, si ferra sunt bona; et si invenerit aliquod deffetum, in ferris, debeant ipsum facere reconzare quam cicius poterunt bona fide.

(97). Item quod aliquis monetarius non possit se cambirem (sic) facere poni alium loco sui; et addatur in capitulari massariorun monete et ponderatorum monete, quod teneantur nullum cambire nec promittere alicui persone accipiendi aliquem monetarium loco alicuius monetarii qui refutaret; et hoc dicitur quia fuerunt monetariorum pro temporibus qui vendiderunt suam monetariam pro denariis; et si aliquis inveniretur de cetero qui intraret pro denariis, sit extra moneta.

(98). Item quod in ipsa moneta non possit esse aliquis massarius qui sit propinqus alicuius ponderatoris secundum formam consilii, nec ponderator massarii; et hoc dicitur quia massarii sunt in sentenciam ponderatorum.

(99). Ad hoc ut pecie refutate non possint reverti ad extimandum per fraudem, addatur in capitulari massariorum quod teneantur signare vel signare facere pecias refutatas ut possint cognosci.

(100). Millesimo CC. optuagesimo septimo, indictione prima, die sabati XXXI novembris: Capta fuit pars in Maiori consilio: quod addatur in capitulari massariorum monete, argenti, scilicet grossorum et parvorum, quod de duabus millibus libris quas ipsi habent pro faciendis dictis monetis, deputentur libre MCC pro moneta parva, et libre DCCC pro moneta grossa; ei quod de cetero non possit extrahi extra monetam nec de parvis nec de grossis aliquo modo vel ingenio, nisi prius receperint solutionem de ea quantitate que voluerit trahi foras. Item quod dicte libre MM debeant teneri in una capsela que habeat tres claves; quarum clavium quilibet massariorum predictorum habeat unam. Et illi duo massarii quorum fuerit quindena, possint extrahere ipsas libras MM pro utilitate dicte monete, et ipsas in capsellam reducere quociens fuerit opportunum, non extrahendo eas extra monetam ut predictum est aliquo modo. Et in hoc tercius massarius eis obedire teneatur, ita quod si non veniret ad socios quociens vocaretur ab eis, perdat grossum I pro qualibet vice, exceptis occasionibus specificatis; et si non posset venire pro occasionibus specificatis, teneatur mittere clavem sociis sub dicta pena. Et completa dicta quindena, teneantur dicti duo facere racionem alii vel aliis qui intrabunt in dictam quindenam infra tercium diem post completam quindenam de dictis denariis. Et si ille qui intrabit in quindena voluerit recipere cisuras tam grossorum quam parvorum pro illo precio quo alius massarius eas dare voluerit, teneatur ipse qui eas dare vellet bullare eas statim cum sua bulla propria, et ponere eas in dicta capsella. Et in prima quindena, que eidemmet postea evenerit, teneatur dictas cisuras tollere el infundere. Item quod dicti massarii teneantur dare de parvis cuilibet veneto qui eis parvos pecierit non dando alicui ulira libras L de ipsis parvis pro quolibet die (23).

(101). Addatur in capitulari massariorum monete auri ei argenti quod ipsi teneantur solvere tam intaiatori quam fabro de suis salariis, dando cuilibet eorum quartam partem sui salarii in principio anni, et in capite trium mensium aliam quartam partem, et sic in quilibet tribus mensibus usque ad finem cujuslibet anni; et si capitulare est contra sit revocatum quantum in hoc.

(102). Item teneantur accipere penas tam intaiatori quam fabro contemptas (sic) in suis capitularibus, si ipsi non observaverint que continetur in eisdem capitularibus.

(103). Item si aliquis actinens alicui dictorum massariorum, secundum formam consilii super hoc editi, habuerit facere coram eis pro suo officio, ille massarius qui sibi pertinerit non possit stare ad illud iudicium, loco cuius debeant esse ad iudicium discernendum ponderatores auri, si fuerit super monetam auri, vel ponderatores argenti, si fuerit factum super facto argenti, vel saltim unus ipsorum ponderatorum.

(104). Item quod sicut dicti massarii tenentur venire in mane ad suum officium antequam campanam officialium pulsare cesset, sic teneantur venire post nonam ante quam campanam consiliariorum pulsari cesset, et stare; et si dicta campanam consiliariorum non pulsaret, teneantur venire bona fide consueta, et stare ut dictum est supra.

(105). Addatur in capitulari predictorum massariorum monete auri et argenti: quod si carbones poterunt inveniri, teneantur semper emere tantam quantitatem que possit sufficere dicte monete usque ad medium annum ad minus, ita quod moneta sit semper varnita carbonibus pro medio anno.

(106). Item quod quando massarius monete argenti voluerit proicere argentum in virgas, que virge debuerint extrahi de Veneciis, teneantur accipere secum unum de massariis monete auri ad minus, tam ad ligam faciendam quam ad accipiendum sazum dictarum virgarum; et dicti massarii auri teneantur esse cum eis per unum ad faciendum predicta quando de hoc ab eis fuerint requisiti.

(107). Item quod si aliquis monetarius, ovrerius vel mendator non fecerit bonam operam, dicti massarii teneantur dare eis ad laborandum solummodo medietatem unius alius magistri donec ipse fecerit bonam operam.

(108). Item quod dicti massarii teneantur dare tantum ferrum fabro, quam erit sufficiens pro laborerio dicte monete.

(109). Item quod dicti massarii teneantur reddere raciones de comdempnacionibus quas fecerint sicut de aliis rebus tenentur.

(110). Item quod massarii monete auri et argenti teneantur deputare locum in quo verberentur argentum quod emerint ad monetam, ad hoc ut homines non amitant terram.

(111). Item quod dicti massarii deinceps non accipiant monetarios, ad informandum tam ducatos quam denarios grossos, habentes a XXV annis supra.

(112). Item quod massarii monete argenti non possint amodo accipere aliquod argentum factum in Veneciis, quod sit peius de denariis sex pro marcha.

(113). Item omnes qui fuerunt massarii monete communis a X annis hinc retro, teneantur suas raciones fecisse illis de supra racionibus et illis tribus XL qui erunt deputati supra monetam, infra unum mensem postquam inde fuerint requisiti, sub pena librarum L pro qualibet vice, qua sibi preceptum fuerit, exceptis occasionibus exceptatis.

(114). Item quod pueri qui custodiunt et serviunt ad monetam argenti, teneantur venire et stare ad monetam ad sonum campane secundum quod massarii veniunt et tenentur, et plus si necesse fuerit, et eis ordinatum fuerit pro utilitate communis. Item quod dicti pueri non debeant exire extra monetam sine licenciam massariorum ante horas ad quas tenetur stare massarius, ac ante horas sibi ordinatas a dictis massariis, sub pena unius grossi pro qualibet vice qua contrafecerint; et massarius teneatur exigere dictam penam. Item quod duo ipsorum puerorum ad minus teneantur semper dormire in monetam, et inter monetam intrare ante primam campanam, et inde non exire ante ortum solis, sub pena duorum grossorum pro quolibet qualibet vice que fuerit contrafactum: quam penam massarius cuius erit quindenam, et ille qui eum associabit, exigere teneatur, scribendo et scribi faciendo per eorum scribanum dies in quibus fallabitur et penas quas accipientur, faciendo de ipsis penis racionem quando facient suas raciones illis qui sunt super racionibus.

(115). Millesimo CCLXXXX, indicione quarta, die XXVIII mense decembris. Capta fuit pars in Maiori Consilio, quod monetarii, quando non laborant ad monetam, possint cum licencia massariorum monete alibi laborare alias artes; si consilium est contra, sit revocatum quantum in hoc.

(116). Millesimo CCLXXXXI, die XVI intrante aprili. Capta fuit pars inter XL, quod massarii monete argenti possint facere soluciones secundum consuetudinem de salario ponderatorum monete, intaiatori, scribani, fabrorum, et puerorum monete, et emere ea que sunt oportuna pro laborerio dicte monete; silicet carbones, crusolos, ferrum, azales, patellas de rame, zaponos et retortas, canevazam pro sachis ad sblancandum, bancas, claves et seraturas; et possint facere aptari portas et balcones, et domum operariorum que nuper fuit combusta; et hoc addatur in eorum capitulari; et raciones eorum debeant recipi tam de preterito quam de futuro in istis expensis.

Die XXIIII Iunii, V indictionis. Ordinatum fuit per dominum ducem et suum consilium minus, de XL, quod omnes officiales Veneciarum astringantur et teneantur per sua capitularia omnes denarios grossos de Brescoa et de Rassa, et aliam monetam factam ad similitudinem nostre monete non batutam in Veneciis, que ad eorum tabulas et officia pervenerit pro suo officio, teneantur incidere totam ultra per traversum.

Millesimo CCLXXXXIII, sexte indictionis, die nono mensis maii. Capta fuit pars in Maiori Consilio: quod sicut massarii monete auri tenentur facere sazios virgarum argenti antequam permitant exire de cecha, ita massarii monete argenti teneantur facere sazios virgarum auri antequam permittant exire de cecha (24).

Millesimo CCLXXXXIII, sexte indicionis, die penultimo aprilis. Capta fuit pars, quod addatur in capitulari massariorum monete auri et argenti et ponderatorum, ac omnium officialium et laboratorum in moneta, quod de cetero non possint, per se nec per alios, modo aliquo vel ingenio, ab aliqua persona emere cineracia facta in dicta moneta, nisi emerent ea pro nostro communi. Item quod nulla alia persona possit nec debeat emere de cetero dicta cineracia, nisi extra dictam monetam, sub pena soldorum C pro qualibet vice fuerit contrafactum. Et iniungant illis de nocte quod debeant exigere dictam penam, et propter hoc habeant tercium et tercium accusator, si per eius acusationem veritas cognoscetur, et teneatur de credencia; et si consilium est contra sit revocatum quantum in hoc.

Millesimo CCLXXXVIII. Capta fuit pars inter XL, quod addatur in captulari intaiatoris monete, quod ad modo usque ad medium annum teneatur fecisse tot ferra intaiata que sufficiant omnibus monetariis; et insuper paria de superfluo; que paria XII permanere debeant in volta monete ubi manet argentum, sicut continetur in capitulari massariorum; et quot accipient de dictis XII pariis tot teneatur facere dictus intaiator, ita quod semper sint in dicta volta paria XII superflua: et massarii monete semper, quando intrabunt in quindenam, teneantur inquirere si dicta paria XII erunt in dicta volta; et si ea non invenerint, teneantur dicere intaiatori quod debeat facere tot quot defecerint; et dictus intaiator teneatur ea fecisse infra dies XXX postquam sibi dictum fuerit sub pena soldorum duorum grossorum pro quolibet pari; et massarii teneantur excutere dictam penam. Et si per defectum fabri dictus intaiator non poterit adimplere quod dictum est, faber amitat soldos XX pro quolibet pari, et massarii teneantur exigere ipsam penam.

Millesimo CCLXXXXIIII, mense junii. die penultimo. Capta fuit pars: quod omnes qui habent denarios grossos de Brescoa vel de Rassa teneantur eos portare ad cecam infra dies quindecim postquam hoc fuerit stridatum, et massarii teneantur eos accipere pro libris XI et soldis V marcham. Item teneantur dicti massarii scribere tam prode quam dampnum quod habebunt de ipsis denariis; et omni quindena debeant dare in scriptis domino duci et consiliariis, et capitibus de XL, prode vel dampnum quod inde habebunt. Et similiter teneantur omni quindena facere sazum de dictis grossis, ut possit cognosci bonitas ipsorum. Et a predictis XV diebus in antea nullus venetus vel forensis in districtu Veneciarum, hoc est a Grado ad Caput Aggeris, audeat accipere vel dare dictos grossos nisi pro XXVIII denariis quemlibet grossum. Item a predictis XV diebus in antea quicumque habuerit de predictis grossis pro XXVIII denariis unum teneantur eos portare ad cecham ex tunc usque ad dies VIII, et dare eos massariis; et massarii teneantur eos accipere pro libris XI et soldi V marcham. Et quicumque fecerit contra predicta vel aliquod predictorum, perdat IIII denarios parvos pro quolibet grosso. Et qui accusaverit contrafacientes habeat tercium, si per eius accusacionem veritas scietur, et teneatur de credencia; et addatur in capitulari dominorum de nocte quod debeant exigere dictam penam et propter hoc habeant tercium, et reliquum tercium sit communis. Et hoc debeat stridari in Sancto Marco et in Rivoalto, et ubicumque videbitur domino duci et suo consilio et capitibus; et si consilium est contra sit revocatum quantum in hoc (25).

Millesimo CCLXXXXV, die ultimo marcii. Capta fuit pars inter XL, quod frater Franciscus, qui olim fuit ad officium monete, et quia stetit ultra terminum extra terram fuit extra officium, quod ipse esse debeat in dicto officio; et si consilium est contra sit revocatum quantum in hoc.

Millesimo CCLXXXXV, die XXVII mensis aprilis, VIII indictionis. Capta fuit pars in Maiori Consilio: quod addatur in capitulari massariorum monete quod de toto argento et monetis quod portabitur eis, et quod ipsi ement, tam pro monetando quam pro prohiciendo in virgis, teneantur accipere soldos XXVIII pro centenario librarum; salvo si illi, quorum erit, ostendent quod ipsi satisfecerint dictis soldis XXVIII pro centenario locis deputatis, videlicet fontico teotonicorum, vel tabule ternarie, vel tabule lombardorum, vel tabule maris.

Millesimo CCLXXXXV, indictione VIII, die VI mense madii. Capta fuit pars inter XL, quod Benesutus nepos Marini Alberto sit monetator ad nostram cecham cum condicionibus cum quibus sunt alii monetatores, si ipse est bonus et sufficiens.

Millesimo CCLXXXXVI, mense madii, die XVIII intrante. Capta fuit pars inter XL, quod Andreas Fusculo, qui essendo ad postam Lugnani fecit iuxta preceptum domini ducis quoddam bonum servicium communi, sit stampator ad monetam, si aliquis deest; alioquin sit primum vacantem; et si consilium est contra sit revocatum quantum in hoc.

Millesimo CCLXXXXVI, die XXX madii, none indicionis. Cum per consilium foret ordinatum quod de argento solverent (sic) soldos III pro dacio, de quo nostrum commune magnum dampnum huc usque recepit. Capta fuit pars, quod non solvant de ipso dicti tres soldi, sed reducatur ad illum statum in quo erat ante ipsum consilium; et si consilium est contra sit revocatum quantum in hoc.

Millesimo CCLXXXXVIII, die XI octubris. Capta fuit pars inter XL, quod Michael Tervisanus massarius monete argenti debeat esse ad officium monete auri loco Petri Nichola donec providebitur de alio massario eligendo; et reliqui duo massarii monete argenti teneantur facere officium suum sicut nunc faciunt; et non intelligatur pro hoc quod dictus Michael habeat aliud salarium quam modo habet; et si consilium est contra sit revocatum.

Quod intaiator monete non possit recedere de terra sine licencia massariorum, et massarii non possint sibi dare licenciam exeundi de terra ultra octo dies; et si ipse exibit de terra cum licencia, et steterit ultra licentiam sibi datam, perdat salarium in duplum pro quolibet die qua steterit plus. Et si iverit sine licenciam, perdat soldi II grossorum pro quolibet die quo steterit foras; et hec addatur in capitulari massariorum intaiatorum monete.

Quod sicut factum argenti et auri est comissum illis de super racionibus de foris, sic de cetero factum argenti comitatur massariis monete argenti et suis ponderatoribus; et factum auri comitatur massariis monete auri et suis ponderatoribus. Et sicut extimatores auri tenebantur dare in scriptis aurum et argentum illis de super racionibus, sic de cetero teneantur dare in scriptis aurum massariis monete auri, et argentum massariis monete argenti. Et predicti massarii monete argenti cum suis ponderatoribus teneantur omni mense inquirere racionem illorum qui emerint aurum et argentum, silicet massarii auri ad aurum, et massarii argenti argentum, et scire si datum erit ad monetam vel quid inde factum erit. Et eciam si aliquis dedisset aurum vel argentum quod non esset ponderatum ab ipsi estimatoribns, et in locis constitutis; et teneantur eciam inquirere unde venerit et unde habuerit ipsum aurum et argentum; et quodlibet aurum et argentum quod intrabit in Veneciis; et possint ponere personas ad sacramentum, et imponere penam et penas, sicut sibi videbitur pro predictis inquirendis et examinandis. Quicumque fecerit contra predictam vel aliquod predictorum cadat in penam soldorum II pro libra quociens contrafecerint. Et qui accusaverit contrafacientes habeat quartum, si per eius accusacionem veritas cognoscetur, et teneatur de credencia, et aliud quartum sit predictorum massariorum et ponderatorum, et residuum sit communis. Et hec omnia addantur in capitularibus predictorum massariorum et ponderatorum et extimatorum, et iniungantur in capitulari dominorum de nocte, quod debeant exigere dictas penas et habeant inde talem partem quale habeant de aliis penis quas excuciunt.

Ego Iohannes Nicholaus Rubeus manu mea subscripsi.

Ego Nicholaus Zinano manu mea subacripsi.

Ego Daniel Chocho manu mea subscripsi.

Ego Nicholaus Delfino manu mea subscripsi.

Ego Franzischus Contareno manu mea subscripsi.

(S. T.) Ego Iohannes Vido notarius curie istud capitulare monete argenti de mandato suprascriptorum dominorum ad hec costitutorum cancellavi in MCCCLXXVI, die XXV septembris. Quia per dictos dominos vel maiorem partem ipsorum dictum capitulare reformatum est, et in alio volumine reductum ex autoritate et arbitrio eis attributis a maiori consilio.

(Archivio di Stato in Venezia. Miscellanea Codici, numero 133, carte 93-102 tergo).

DOCUMENTO V.

(Lorenzo Tiepolo, nota 3).

Offitialibus super auro cocto et argento.

Millesimo ducentesimo. LXVIIII, indictione XIII, die VIII intrantis decembris.

Capta fuit pars quod eligantur duo utiles homines super facto auri et argenti cocti, quod coquitur et quod percutitur, qui sciant cognoscere aurum et argentum; et eligantur sicut eliguntur alii offitiales; qui debeant accipere unam stationem in Rivoalto ad fictum, ubi eis videbitur, ad quam stationem ire teneantur omni die, exceptis, festis et occasionibus aliis offitialibus exceptatis, ante quam campana offitialium cesset pulsari, et stare usque ad terciam, et post nonam usque ad vesperas, et plus si necesse fuerit; qui etiam teneantur observare ordinamenta que eis dabuntur per Iustitiarios, et habeant pro suo sallario libras LXV in anno pro quolibet; et accipere debeant unum scribanum laycum, qui sit cum eis in offitio, cui dare debeant pro sallario tres libras in mense, et minus si eis videbitur. Et stridetur quod nullus audeat facere aurum coctum sine licentia dominorum qui preerunt isti offitio, in pena librarum XXX et soldorum XII ÷, et plus ad voluntatem eorum. Et ponatur in eorum capitulari, quod omnibus illis quibus dabunt licentiam faciendi aurum coctum accipere sacramentum et plezariam de libris D, quod aurum quod faciet coctum sit de karatis XXIII ÷ vel inde supra, in pena librarum XXX et soldorum XII ÷, et plus ad voluntatem dominorum. Et quod totum aurum quod coquetur et argentum quod finabitur pro isto opere faciendo, debeant coqui et finari ad istam stationem; et si ement argentum finum, quod portent ipsum ad ipsos dominos ut videant si erit finum, et hoc in pena librarum XXX et soldorum XII ÷ et plus ad voluntatem eorum. Et teneantur ipsi domini inquirere si erit ita finum duabus vicibus in mense, et facere ipsum extimari per extimatores communis, et si aliquod invenerint non esse de karatis XXIII ÷ vel plus, accipiant illi cui dederint licentiam faciendi libras XXX et soldos XII ÷, et plus ad voluntatem eorum. Et faciant sibi fieri rationem omni mense quid fecerint de isto auro cocto illi qui faciunt ipsum coctum. Item totum aurum quod dabunt pro facere aurum coctum scribatur in uno quaterno per se, et nomen et supranomen illius cui dabunt licentiam faciendi ipsum coctum, et quantum ponderabit, et de quot karatis erit. Et teneatur ille cui dabitur aurum ad coquendum ducere quando erit finum ad illos dominos, et ipsi videbunt si erit tantum quantum debebit esse per rationem; et si erit tantum ut debebit, scribent ipsi domini: talis homo habet tantum aurum coctum; et precipient ei, in pena soldorum V pro libra, quod non vendet ipsum alicui a duabus unziis supra, si ante illos dominos non conducet emptorem; et ipsi examinabunt emptorem quid ipse vellit de eo facere; et ipsi dabunt ei postea licentiam emendi si eis videbitur; et facient scribi in quaterno auri cocti: talis homo emit tantum aurum coctum a tali homine. De argento vero ipsi domini accipiant sacramentum et plezariam librarum D illis qui faciunt ipsum batere, quod non facient batere argentum minus finum de denario grosso, et facient ipsum indaurari de ita fino auro ut dictum est supra, in pena librarum XXX, soldorum XII ÷, et plus ad voluntatem eorum. Item illis qui batunt et illis qui indaurant accipiant sacramentum et precipiant eis, in pena librarum X, quod non batent argentum nec indaurent cum auro minus fino de eo quod dictum est supra. Et si sciunt quod indauretur vel batetur, debeant manifestare dominis quam cicius poterunt. Item teneantur domini ire ad inquirendum argentum et aurum bis in mense, et facere extimari extimatores; et si non invenietur ita finum ut dictum est supra, accipiant libras XXX soldos XII ÷ et plus ad voluntatem eorum. Et quod illi qui batunt argentum debeant mittere unum sazum et quartam auri fini pro marcha argenti. Et quod aurum batutum dare debeant pro tali pretio quali hodie dant. Et quod illi qui faciunt batere argentum debeant solvere communi soldos V pro marcha de toto argento quod facient batere pro expensis opportunis in isto officio. Salvo quod si de illo argento folliaretur vel incideretur de latere quod illud ducant ad cameram et scribatur. Et si voluerint ipsum gitare, quod nichil solvant de eo; et illi qui erunt super isto offitio recipiant istos denarios et faciant expensas necessarias pro suo officio, et faciant rationem de intrata et exuta, ut faciunt alii officiales. Et habeant libertatem imponendi penam et penas ad inquirendum quod spectabit ad offitium suum, et etiam ponere personam et personas ad sacramentum pro suo offitio; et penam et penas quas imposuerint domini de nocte excutere teneantur ab illis qui ceciderint in easdem; et habeant ipsi domini quartum pene, et tres partes deveniant in commune. Capte fueriunt die V intrantis decembris.

(Archivio di Stato in Venezia. — Maggior Consiglio, registro Commune II, carte 140; e Avogaria del Comun, Delib. del M. C., Bifrons, carte 60 tergo).

DOCUMENTO VI.

(Lorenzo Tiepolo, nota 4).

De Duobus Massariis ad ponderandum aurum.

Millesimo ducentesimo LXXIII, indictione II, die XIIII intrantis novembris.

Fuit capta pars inter XX constitutos super mercancia, quod tollantur duo massarii qui sciant scribere et bene ponderare super statione auri; qui habeant pro suo sallario soldos denariorum venecialium grossorum L pro quolibet in anno, et cum illo capitulari quod videbitur XX predictis. Et habeant ipsi duo massarii bonas bellanzas et bona pondera, et debeant scribere et ponderare totum aurum quod intraverit et exiverit de dicta statione. Item tollantur etiam similiter duo proiectores qui debeant prohicere seu effundere aurum, qui habeant pro suo sallario soldos denariorum venecialium grossorum XL pro quolibet in anno, cum illo capitulari quod videbitur predictis XX; et si aliquod consilium fuerit contra hoc, revocetur quantum in hoc. Item quod quilibet massarius et proiector auri qui fuerit electus super statione auri det plezariam de libris D, et qui fuerint plezii sint proprii debitores et paccatores, et qui non dederit plezariam non sit in officio.

(Archivio di Stato in Venezia. — Avogaria del Comun. Deliberazioni del
Maggior Consiglio, Bifrons, carte 62 tergo).

DOCUMENTO VII.

(Giovanni Dandolo, nota 5).

MCCLXXXV, Indictione XIII, die secundo Junii.

Quod Ducatus aureus debeat currere in Venetiis et ejus districtu pro soldis XL ad grossos, et omnis persona, tam veneta quam forensis, debeat ipsum ducatum auri pro suo pagamento accipere pro soldis XL ad grossos sub ea pena et banno que vel quod videbitur domino Duci; et ab omnibus, tam venetis quam forensibus, qui voluerint dare aurum finum ad probam Communis, massarii dicte monete auri teneantur ipsum accipere, et dare ipsis uenditoribus libras centum triginta unam pro marcha; et sit in discretione dictorum massariorum facere pagamentum dicto venditori vel venditoribus aut de denariis auri supradictis, aut de denariis grossorum argenti. Et istam libertatem damus massariis ad hoc ut aurum non montet ad encantum. Et ab omnibus tam venetis quam forensibus, qui voluerint dare aurum massariis supradictis pro libris V et soldis VIII, caratum, ipsi massarij teneantur ipsum accipere pro ipso precio, videlicet pro illa estimatione et pondere cum quo ipsum emerint ad encantum Rivoalti. Excepto quod si predicti emptores ipsum aurum posuissent vel poni fecissent ad ignem, dicti massarij illud aurum non teneantur emere amplius ullo modo, nisi primo ipsum aurum affinarent ad probam communis. Et ipsis pacamentum facere debeant ut dictum est supra. Preterea si aliquis venetus voluerit dare aurum finum supradictis massariis ad probam communis, et ipsum aurum ipse voluerit portare in Apuliam aut extra Culfum, iurando etiam quod ita sit rei veritas, dicti massarij teneantur ipsum aurum accipere et ipsum aurum reducere in ducatos, et ipsi massarij debeant accipere ab illa persona cuius fuerit aurum ipsum pro laboratura et expensis denarios grossos V argenti pro marcha. Et hoc Capitulum intelligatur a kalendis Junii usque ad recessum caravane. Et ad hoc quod ipsi massarij valeant bene satisfacere ad plenum pacamentum forinsecorum, habere debeant sufficiens capitale a communi, videlicet libras VIII millia ad grossos.

(Archivio di Stato. — Maggior Consiglio, registro Luna, carte 62 tergo).

DOCUMENTO VIII.

(Giovanni Dandolo, nota 22).

MCCLXVIII, die XII februarii, in M. C.

Capta fuit, pars quod Comites Jadre qui electi fuerint, et qui de cetero eligentur, et etiam consiliarii, debeant recipere eorum solutionem de eorum salario sicut fit solutio in Venetiis, videlicet soldos XX denariorum grossorum minus uno grosso pro libris XXVI et non aliter.

Item, quod nulla pignora que pertineant communi Jadre debeant recipi per Comitem vel per aliquem de sua familia, sed omnia veniant in manibus camerariorum vel procuratorum Jadre. Et si receperint, quod ipsa die qua receperint dare debeant in manibus camerariorum predictorum, vel dari facere teneantur.

(Maggior Consiglio, registro Commune II, carte 184; e Libro d'oro, carte 78 tergo.)

DOCUMENTO IX.

(Giovanni Dandolo, nota 26).

(1283). Die XXVII septembris.

Capta fuit pars quod massarii monete qui nunc sunt, et etiam illi qui de cetero eligentur, teneantur facere cudi vel fieri monetam grossam et parvam ad voluntatem domini ducis et sui consilii. Et si consilium est contra sit rovocatum quantum in hoc.

(Maggior Consiglio, registro Luna, carte 26.)

DOCUMENTO X.

(Giovanni Dandolo, nota 27).

(1288). Die XIIII decembris.

Capta fuit pars, quod illud quod fiet per dominum ducem et consiliariis in Consilio de XL super facto monete, tam de corrigere capitularia quam de omnibus aliis, sit firmum sicut si factum foret per Maius Consilium.

(Maggior Consiglio, registro Zaneta, carte 54 tergo.)

DOCUMENTO XI.

(Giovanni Dandolo, nota 28).

MCCLXXXVII, die XXI augusti.

Capta fuit pars, quod electio massariorum monete auri et alterius monete, et extimatorum auri possit fieri per dominum ducem et consiliarios et XL, sicut videbitur, et cum illo salario quod videbitur; et iliud quod per eos factum fuerit (sit) sicut si factum foret per Maius Consilium.

(Maggior Consiglio, registro Commune II, carte 86.)

DOCUMENTO XII.

(Giovanni Soranzo, nota 14).

1327, die XV novembris.

Cum negocium auri sit commissum plene Consilio de XL, et nunc appareat necessarium aliqua provideri pro bono communis et officii auri, que satis creduntur posse fieri per Consilium XL; sed ut omnia clare procedant: Capta fuit pars, quod omnia et singula quod (sic, que?) nunc et alias fient in Consilio de XL super facto auri et officio ipsius, et de numero officialium, et ordinibus et aliis pertinentibus dicto officio, sint firma ac si facta forent per Maius Consilium, et de expendere, et de revocare consilia, et omnibus aliis.

Et insuper, cum compleat nunc officium grossorum tonsorum, et videatur melius ipsum coniungere officio auri, quod Consilium predictum de XL habeat etiam libertatem faciendi super inde quod sibi videbitur.

(Maggior Consiglio, registro Spiritus, carte 25.)

DOCUMENTO XIII.

(Francesco Dandolo, nota 3).

1331, die XVIII mensis Julij.

Quod facta argenti et monetarum, que solita sunt fieri in Consilio de XL, quia specialiter necessarium est provideri de facto argenti, possint eciam fieri cum Consilio de Rogatis et XL, sicut et quando videbitur melius. Et totum quod fiet in ipso Consilio Rogatorum et XL sit firmum sicut factum esset per istud consiliuin etc., non obstante quod aliquid esset iam inceptum in Consilio de XL.

(Maggior Consiglio, registro Spiritus, carte 51.)

DOCUMENTO XIV.

(Andrea Contarini, nota 4).

1369, Indictione octava, die decimo nono decembris.

Capta in Rogatis et Additione.

Soldini novi.

Capta. — Quod in bona gratia, pro ubertate et bono terre nostre et totius communitatis Venetiarum, et ut sit copia monetarum, quibus terra nostra multum eget; ordinetur quod de cetero de quinto argenti quod ponitur in cecha Venetiarum, et de quo fiunt soldini, qui vadunt pro marca soldos XIII cum dimidio, et commune dat soldos XI, denarios tres grossorum; In Christi nomine fiant soldini, qui vadant soldos XIV cum dimidio pro marca; et de dictis soldinis dentur illis qui ponunt quintum in cecha soldos XII, denarios tres grossorum pro marcha. Et ut isti soldini novi cognoscantur, ordinetur quod stampa fiat sicut videbitur domino, consiliariis, capitibus et sapientibus vel maiori parti; declarando quod si ibunt, ab uno soldo vel uno cum dimidio pro marca, vel plus vel minus forent, habeantur ad pondus debitum et ordinem supradictum.

Et quia dicta provisio sola non est sufficiens ad dandum nobis ubertatem, ordinetur in bona gratia quod quilibet teneatur argentum quod conducet presentare secundum usum, sed pro bono communitatis nostre nulla examinatio fiat alicui, cuiuscumque conditionis existat, de argento quod fuerit presentatum, videlicet unde habitum fuerit argentum nec aliter ullo modo, sicut antiquitus servabatur. Quintum vero ponatur in cecha secundum usum (26).

(Senato, Misti, registro 38, carte 43.)

DOCUMENTO XV.

(Andrea Contarini, nota 6).

MCCCLXXV, die XXVII decembris.

Capta de XL:

Ser Gilbertus Dandulo.

Ser Donatus Delphyno.

Ser Petrus Bolani.

Capta. — Cum maxima confusio sit in commissionibus rectorum nostrorum, et in capitularibus officialium nostrorum intus et extra, et in libris consiliorum nostrorum, occasione partium que quotidie capiuntur in consiliis de revocando et corrigendo preterita; que confusiones in tantum multiplicaverunt quod inducunt maximam obscuritatem, ita quod rectores, judices et officiales nostri nesciunt ad quod se tenere debeant; super quibus, pro vitando confusiones et redducendo commissiones rectorum nostrorum, et capitularia officiorum nostrorum et alia consilia nostra sub brevitate et bono ordine, est omnino providendum, et terra semper fuerit solita providere super hoc, licet a bono tempore citra non fuerit provisum, in elligendo sapientes ad correctionem consiliorum;

Vadit pars, pro bono istius utilis operis, quod elligantur in Maiori Consilio V Sapientes, qui incipiant et debeant examinare primo omnes Commissiones rectorum nostrorum, et postea Capitularia officiorum nostrorum intus et extra. Et omnia et singula consilia et partes captas in nostris consiliis. Et ubi invenient aliqua consilia expirata et nullius efficatie vel valoris, habeant libertatem per maiorem partem eorum fatiendi ipsa cancelari tam de commissionibus rectorum nostrorum, quam in capitularibus officiorum nostrorum, et de aliis libris nostris, sicut alias solitum est fieri in simili casu. Verum si videretur ipsis Sapientibus vel alicui eorum de addendo, minuendo, corrigendo vel mutando aliquid in aliquibus commissionibus rectorum nostrum, tam de salariis, familia, quam aliter, vel in capitularibus, vel in aliquibus aliis consiliis et ordinibus nostris, tunc debeant facere notari suum consilium et oppinionem, et venire ad Consilium Rogatorum et Addictionis, et fiet sicut videbitur. Et quilibet possit ponere partem. Et id quod captum fuerit in Rogatis et Zonta sit firmum sicut si per Maius Consilium captum foret. Et consiliarii teneantur eis dare consilium ad suam requisitionem quandocumque requisiverint, sub pena librarum X pro quolibet eorum. Et vocetur omni vice consilium ad suam petitionem sub pena sol. C pro quolibet de ipso consilio. Ed debeant isti Sapientes omni die de mane esse insimul in aliqua camera pallacii sub pena sol. X pro quolibet non veniente. Et notarius qui eis deputabitur teneatur per Sacramentum apunctare illos qui non venient ad campanas ut dictum est, et mittere illos pro cadutis Advocatoribus communis, qui exigant penas habendo partem ut de aliis sui officii. Et si aliquis ex dictis Sapientibus quoquo modo deficeret, elligatur alius vel alii loco eius. Et nichilominus remanentes interim procedant in factis predictis per tres eorum ad minus in concordia. Et non possint refutare sub pena librarum C. pro quolibet eorum.

Et elligantur dicti Sapientes per duas manus ellectionum in Maiori Consilio, et unam per scrutinium inter dominum, consiliarios et capita. Et respondeant die qua elligentur vel altera per diem; et sint per unum annum, habendo ducatos X pro quolibet in mense ut adimpleatur intentio terre. In fine quorum per unum mensem ante provideatur per ducale dominium ut videbitur melius, vel de elligendo sapientes de novo, vel de ellongando eis terminum sicut utilius videbitur pro bono terre. Et si consilium etc. De parte 420; — de non 43; — non sinceri 17.

Item fuit dicta pars primo capta in XL, ubi fuerunt

de parte 35; — de non 3; — non sinc. 0.

Electi Sapientes primo:

Ser Johannes Nicolaus Rubeo.

Ser Johannes Bembo ser Marci.

Ser Andreas Gradonicho.

Ser Daniel Cornario et

Ser Bernardus bragadino.

et sucessive de aliis.

(Maggior Consiglio, registro Novella, carte 155; e Saturno, carte 98.)

DOCUMENTO XVI.

(Andrea Contarini, nota 8).

MCCCLXXVIIII, die IIII maij.

Cum moneta argenti que exit de cecha nostra pro quinto vadat soldi quatuordecim denarii sex grossorum pro marcha;

Vadit pars, quod dicta moneta decetero ire debeat soldi quindecim grossorum pro marcha, declarando quod si dicta moneta ibit ab uno soldo, vel ab uno usque duos parvorum pro marcha, plus vel minus forent, habeatur quod sit ad pondus debitum et ordinem soprascriptum; faciendo dictam monetam medietatem de soldinis, et alteram medietatem de grossis, sub forma et stampa qua erant nostri grossi veteres. Qui vero grossi esse debeant ponderis soldorum quatuor, et eiusdem fineze. Et currere debeant ad dictum precium soldorum quatuor. Et soldini predicti pro parvis duodecim pro quolibet, faciendo dictis monetis, tam grosse quam minute, aliquod contrasignum de una stelleta, vel aliter, sicut videbitur domino, consiliariis, capitibus et sapientibus guerre, et sapientibus monetarum, vel maiori parti eorum. Et predicte monete debeant currere in Veneciis et in omnibus terris et locis subditis communi Veneciarum, nec refutari possint per aliquem.

Et cuilibet ponenti argentum in cecha pro quinto dentur soldi duodecim et denarii tres grossorum pro marcha de supradicta moneta, sicut fiebat, observando illos ordines et modos qui observantur ad presens. Verum quia posset videri necessarium habere plures monetas de una sorte quam de altera, remaneat in libertate domini, consiliariorum et capitum, aut maioris partis eorum, de faciendo fieri de predicta moneta grossa et minuta in maiori et pauciori quantitate, aut de una sorte sola prout eis videbitur pro bono terre.

(De parte) 60, de non 17, non sinceri 25.

(Senato, Misti, registro 36, carte 75 tergo.)

DOCUMENTO XVII.

(Antonio Venier, nota 14).

MCCCLXXXXIIII, die IIII Junii.

Capta.

Quod pro utilitate et bono civitatis et comodo mercatorum, et ut moneta aurea hic remaneat, et non extrahatur nisi in quam minori quantitate fieri potest; Vadit pars quod grossi de cecha qui de cetero cudentur in cecha nostra, sicut fuit intentio terre quando provisum fuit de soldinis, reducantur ad scandaium, pondus, modum, regulam et ordinem soldinorum in omnibus et per omnia; sed debeat responderi pondus pro pondere, non valentes pauciores grossis CXXVI 1/2, nec plures CXXVII 1/2 pro marcha, solventibus mercatoribus officialibus ceche omnes expensas et callum. Intelligendo et declarando quod expense et callum sint in totum soldi VIIII parvorum pro marcha, sicut esse debent, prout inferius particulariter est notatum. De diversitate vero stampe remaneat ad examinationem et deliberationem Collegii domini, consiliariorum, capitum, sapientum et provisorum communis vel maioris partis.

Callum et expense sunt iste:

Primo pro callo soldi 2, parvuli 2

pro operariis soldi 3, parvuli -

pro mendatoribus soldi 1, parvuli -

pro stampitoribus soldi 1, parvuli 4

pro fonditoribus soldi 0, parvuli 2

Duobus gastaldionibus soldi 0, parvuli 4

Officialibus, sive massariis

et ponderatoribus soldi 0, parvuli 4

Pro gurzolis et carbonibus soldi 0, parvulis 8

pro marcha in monetis.

(Senato, Misti, registro 43, carte 10.)

DOCUMENTO XVIII.

(Michele Steno, nota 2).

1407 die decimo maij.

Sapientes super mercationes. — Capta.

Cum ab uno tempore citra argentum quod totum solebat conduci Venetias ceperit aliam viam, nec conducatur ut conducebatur per elapsum, et hoc est quia argentum non navigatur, ad presens, ad partes Levantis, prout navigari solebat, quoniam tota Syria vult ducatos auri et non argentum; et propter hoc deficiunt emptores argenti in tali manerie quod non habet precium aliquod racionabile; et hac de causa argentum predictum, sicut dictum est, sumpserit aliam viam, in maximum damnum terre nostre et mercationis argenti. Et super omnia sit providendum quod mercantia argenti revertatur et fiat Venetiis, ut fieri solebat per elapsum; Vadit pars, quod totum argentum quod deinceps conducetur Venetias teneatur ad quintum, ut tenetur ad presens, cum ista conditione, quod quelibet persona, tam terrigena quam forensis cuiuscumque conditionis existat, que portabit argentum franchum, videlicet bullatum bulla sancti Marci, ad zecham nostram, habere debeat pro qualibet marcha argenti de bulla quam ponet in zecha, pondus pro pondere, habendo solutionem suam de moneta grossorum qui debeant cuniari ex argento quod ponet in zecha, solvendo nostrum commune facturam grossorum predictorum. Et si aliquis ex argento predicto quod ponet in zecha volet monetam minutam, videlicet soldos, habere debeat ut dictum est pondus pro pondere, solvendo dictum mercatorem id plus facture quod solvitur de soldis quam de grossis, ita quod commune nostrum pro dictis soldis solvat solum quantum est factura grossorurn; declarando quod nostri officiales zeche faciant ire monetam grossorum et soldorum centumtrigintasex manus (sic) pro marcha, ut vadunt ad presens, adherendo semper dicto ponderi quantum plus poterunt. Et pro dando causam omnibus quod conducant argentum Venetias, ordinetur et ex nunc captum sit, quod quelibet persona, cuiuscumque conditionis existat, tam terrigena quam forensis, possit extrahere omni tempore argentum bulle de Venetiis per viam terre ad beneplacitum suum, cum hac conditione, quod de quibuslibet quatuor marchis quas extrahere voluerit, ut dictum est, teneatur ponere marcham unam in zecha, habendo a nostra zecha, pondus pro pondere, de grossis sive soldis qui cuniabuntur ex suo argento, solvendo nostro communi pro dictis grossis sive soldis quantum est factura grossorum ut dictum est supra; et sit in libertate sua de accipiendo soldos vel grossos ad beneplacitum suum. Et ut commune nostrum non defraudetur, teneantur omnes qui volent estrahere argentum per viam terre, prout dictum est, de accipiendo bulletam ab officialibus nostris de grossis tonsis, qui debeant tenere computum cum omnibus qui volent extrahere argentum per viam terre, et mittere illos in nota officialibus nostris monethe, ut sciant se intelligere de quantitate argenti que debebit poni in zecha de ista ratione. Et habeant termninum trium dierum, illi qui extrahent argentum per viam terre, postquam fecerint bulletam, posuisse in zecha id quod ponere debent; et preterito dicto termino trium dierum, si non posuerint in zecha id quod ponere habent, cadant ad penam quarti, et nihilominus teneantur ponere dictum argentum in zecha prout dictum est. Et pena predicta dividatur ut dividuntur alie pene officii monethe. Et si quis invenietur qui extrahat argentum sine bulleta, sit dictum argentum totaliter perditum et habeatur pro contrabanno, et dividatur ut dividuntur ad presens omnia alia contrabanna que inveniuntur. Et quando nostri officiales de grossis tonsis facient bulletam de argento extrahendo, accipiant bonam plezariam de argento ponendo in zecha, ut commune nostrum non fraudetur. Ceterum ordinetur per viam maris, quod quilibet forensis possit extrahere argentum bulle per mare pro Ponente solum quo forenses possunt navigare, ponendo in zecha, prout dictum est supra de illis qui extrahent argentum per viam terre, accipiendo etiam bulletam sicut dictum est supra. Veneti vero possint extrahere argentum per viam maris pro Ponente et pro Levante sine bulleta et sine ponere aliquid in zecha, ut possunt ad presens et sicut poterant antequam hec pars foret capta. Et si aliquis venetus extraheret per viam maris argentum in nomine veneti, et dictum argentum in parte vel toto esset forensis, cadat ad penam sicut si tanxasset havere forensium; declarando quod de cetero de toto quinto quod ponetur in zecha, nostri officiales monete faciant cuniari solum soldos et non mezaninos, nec debeant deinceps dare parvulos alicui, sed solum debeant sibi facere solutionem suam de quinto in soldis integre. Et hoc ut mercatores habeant causam de conducendo totum argentum Venetias, ut facere solebant per elapsum, non revocando ex hoc aliquem alium ordinem quem haberent nostri officiales argenti et zeche ad eorum officia ultra predicta, sed potius confirmando. Et durent suprascripta per unum annum et tantum plus donec fuerint revocata. Ceterum quia in presenti in manibus quorumdam mercatorum reperitur et est magna quantitas argenti, ordinetur quod predicti mercatores in dicto argento habeant beneficium huius partis, excepto quod de monetis que cuniabuntur ex dicto argento quod ponent in zecha per modum superius dictum, non habeant beneficium facture, ita quod commune nostrum de grossis sive soldis quos fieri facient non solvat aliquam facturam. — de parte 37.

Ser Petrus Gauro Consiliarius.

Vuol la parte dei ditti Savii per tutto, excepto chel vuol che le monede vada man 136 per marcha al pluy, et al men 135, et non passar tra l'una et l'altra redugandole plu i pora a 136 man et non passar quelle. Et se i gastoldi fesse andar plui le monede de quello è dito, i avogadori de comun faza observar como è dito. Ancora perché l'arzento del quinto se receve a peso, el pagamento vien fatto a conto, sia ordenado che fatto lo ditto pagamento, avanti che le ditte monede se parta da la cecha sia pesade, e che sia scripto suso i quaderni di officiali da la moneda el conto el peso azo chel se possa veder de rason de comun.

De parte 20. — De non 9. — non sinceri 5.

(Senato, Misti, registro 47, carte 111 tergo.)

DOCUMENTO XIX.

(Michele Steno, note 4, 6 e 7).

MCCCCV, die XIIII februarii, indictione XIIII (more veneto).

Capta in Collegio.

Quod commitatur massariis ceche nostre quod omnes illi qui presentabunt argentum franchum in cecha, et de ipso velint fieri facere mezaninos, debeant fieri facere argenti de bulla ad stampam mezaninorum, faciendo illos ire unum quartum minus eo quod valent soldi pro quaque marcha, videlicet quod mezanini tres ponderare debeant quantum ponderant soldi quatuor; faciendo illos ita equali pondere prout faciunt soldi, sub illis penis, ordinibus et stricturis, quibus subiacent per partem soldorum; faciendo pagamentum mercatoribus pondus pro pondere, retinendo predictis solummodo soldos VIII pro quaque marcha, videlicet mezaninos sex pro factura, callo et expensis; intelligendo quod illud plus quod habent expensarum dicti mezanini ponatur ad computum nostri communis; committendo etiam predictis masariis quod quicumque amodo in antea ponent suos quintos in cecha nostra, prout habebant solutiones suas soldorum, ita habeant solutiones suas medietatem soldorum et medietatem mezaninorum ad parvulos XVI pro quoque, eo modo quo habebant soldos. Et hec pars habeat locum per totum mensem septembris proximi, et transacto dicto termino omnes illi qui ponent argentum in cecha, servum vel franchum, debeant habere in solutionem unum quartum mezaninorum et alia tria quarta grossorum vel soldorum, prout fuerit sue libito voluntatis; solvendo de mezaninis illammet expensam quam solvitur ad presens de soldis, videlicet soldi XIII pro quaque marcha argenti franchi; de servo vero habeant illam conditionem quam habent ad presens soldi. Et hec pars habeat locum, donec erit revocata. Quam partem cridari debeat in locis solitis. — De parte omnes; de non 0; — non sinceri 0.

Die dicta.

Capta.

Quod publice cridetur in locis solitis, quod quicumque, bancherius et forensis, ac quilibet alius cuiuscumque conditionis existat, qui velit ponere argentum franchum in cecha nostra pro cuniando mezaninos, possit et valeat ponere eum per totum mensem septembris proximi futuri modis, formis et conditionibus suprascriptis. — De parte omnes; de non 0; non sinceri 0.

Die dicta.

Capta.

Quod mandetur massariis ceche nostre, quatenus liga tornesellorum fieri faciant parvos, qui vadant LXX pro quaque marcha, qui currant et vadant in civitatibus nostris Verone et Vincentie. XII. pro soldo.

Die dicta.

Capta.

Quod committatur nostris rectoribus Verone et Vincentie, quatenus publice in locis solitis suorum regiminum faciant cridari, quod omnes illi qui habere deberent fictus, penssiones et livellos, ac generaliter omnia debita monetarum argenti, teneantur accipere in solutione grossum nostrum pro soldis tribus, et mezaninum pro soldo uno, et soldum pro parvis VIIII, et parvos XII pro soldo, non essendo tamen astricti accipiendi in solutione suorum debitorum parvos, nisi soldos rotos. Monete vero forenses, que pro presenti currunt pro dictis regiminibus permittantur expendi secundum portionem nove monete, videlicet, quod Sexinum suum quod expendebatur pro XVI denariis, nunc expendi debeat pro uno mezanino nostro, videlicet pro XII denariis novis; et Ottinum quod expendebatur pro octo denariis, nunc expendi debeat pro parvis sex novis, et sic omnes alie monete solite expendi in dictis regiminibus, et eorum districtibus eadem ratione concurere debeant. Et hec pars habeat locum per totum mensem septembris proximum, et transacto dicto termino, non volumus quod expendatur alia moneta, quam moneta facta in cecha nostra, videlicet grossum pro soldis iribus, et mezaninum pro soldo uno, et soldum pro parvis novem, et parvos XII pro soldo. Et hoc committi debeant omnibus qui exigunt denarios pro nostro communi quomodocumque quod non debeant pro presenti tempore accipere in solutione nisi unum quartum monete forensis quantitatis exigende, et residuum monetarum nostrarum auri et argenti pretiis specificatis. Que pars cridari debeat in predictis regiminibus per totum mensem martii proxime futurum.

De parte omnes; de non 0; non sinceri 0.

(Senato, Misti, registro 47, carte 41.)

DOCUMENTO XX.

(Michele Steno, nota 10).

MCCCCX, die XIII mensis maii.

Capta in Collegio.

Cum mutatio monetarum que facta fuit in locis dominationis nostre partium Lombardie, videlicet in Bersilio, Casalimaiori, Turicella et Sissa, nec non in toto Parmensi et Regino territorio, que quidem mutatio fuit reducere ducatuin valentem soldos quinquaginta Imperalium ad soldos triginta octo Imperialium, et subsequenter monetas argenteas et hereas ad ipsum computum reducere et ordinare prout nunc valent, damnosa fuerit et sit introitibus comrnunis, videlicet sal dominationis nostre non expeditur, nec per Padum transeunt mercationes, ymo per terram, et mercatoribus subditisque nostris partium illarum dicta mutatio incomodum parit et damnum, bonumque sit providere; Vadit pars, secundum quod nostro dominio memorat ser Petrus Duodo qui fuit in ipsis partibus provisor noster, quod reduci debeat et expendi in partibus illis ducatus pro soldis quadragintaocto Imperialium, et omnes argentee et heree monete reducantur et in iliis partibus expendantur ut infra particulariter est notatum; quo quidem modo correspondebit ista monetarum mutatio monete nostre venete, et moneta nostra in illis partibus absque damno poterit expendi. Denarii qui de sale extrahuntur haberi poterunt qui aliter haberi non possent in bona moneta, datia Padi nostro communi plus utilitatis affererent, forensibus mercatoribus et subditis nostris deinde mutatio seu reductio hec in maximum comodum redundabit. Mutationes autem monete argentee et heree sunt hec, videlicet: primo pichionus antiquus factus tempore domini Bernabonis et ducis Mediolani veteris, qui nunc valet Imperiales decemnovem, valere debeat, quia bonus, soldos duos. Pichionus autem novus qui fit per ducem Mediolani, qui similiter valet denarios decem novem, valeat Imperiales XX. Grossus venetus qui valet denarios decem novem, valere debeat soldos duos. Bononinus antiquus qui valet denarios duodecim, valere debeat Imperiales quindecim. Bononinus ferariensis, mantuanus et quilibet alius bononinus, qui nunc valet soldum unum, valere debeat Imperiales tresdecim. Aquilinus antiquus et bononinus papalis qui valent denarios decem, valere debeant soldum unum Imperalium. Aquilinus mantuanus qui valet denarios decem, valere debeat Imperiales decem. Mezaninus venetus sive soldus de Verona qui valet denarios septem, valeat Imperiales octo. Octinus qui valet denarios septem, valeat Imperiales octo. Sexinus antiquus de Mediolano qui valet denarios quinque, valeat Imperiales sex. Soldus venetus qui valet denarios V, valeat Imperiales sex. Quatrinus antiquus factus usque in tempore mortis ducis Mediolani veteris, qui nunc valet denarios tres, valeat Imperiales quatuor. Imperiales veteres a literis, qui nunc valent denarium unum, et Imperiales veteres facti tempore dominorum Bernabonis et ducis Mediolani veteris, qui nunc valent duo pro uno bono Imperiali, valere debeant Imperialem unum. Reliqui vero Imperiales qui valent duo pro uno, sic valere debeant duo videlicet pro uno. Verum quia dictus noster provisor de mense decembris nuper elapsi affictavit datia communis que debebant incipere annum die primo Januarii tunc sequentis, et monete mutationem fecerunt in Parmensi et Regino territoriis et eorum districtibus, ipseque provisor noster noluit quid in mutatione ipsa innovare sine nostri dominii declaratione et mandato quod habuit die primo februarii preteriti, et sexto eiusdem fecit publice divulgari; committatur nostris Capitaneo et Camerlengo Berselii etc. quod datia nostra exigere et exigi facere debeant a datiariis pro mense januarii preteriti, prout tunc monete valebant ad rationem soldorum L pro ducato; pro mense autem februarii et martii et aprilis preteritorum ad rationem soldorum triginta octo pro ducato, prout tunc temporis valuerunt; et a primo presentis mensis in antea exigi debeat secundum quod monete current, ad rationem soldorum quadraginta octo pro ducato ut supra dictum est. Et sic intelligi debeat esse decetero exigenda datia nostra Padi ad rationem predictam soldorum quadraginta octo pro ducato. Ita tamen quod si datia aliquarum mercationum transeuntium per Padum summam excederent soldorum XLVIII, exigi debeant datia ipsa ad aurum et non ad monetam.

Omnes de parte; — de non 0; — non sinceri 0.

(Senato, Misti, registro 48, carte 149.)

DOCUMENTO XXI.

(Tomaso Mocenigo, nota 15).

MCCCCXVII, die XI novembris.

Capta.

Cumzosiaché la nostra cecha da l'arzento bexogne de grandissima e notabel reformation, perché da molti mexi in qua la è andà in dessolution e reduta quasi a niente, e per questo l'è anche desviado el corso e la mercadantia de l'arzento in Veniexia, la qual cossa è retornada et ogni di pluj retorna a danno grandissimo del nostro comun, si cercha la utilità che se soleva recever de la cecha, chomo di datii nostri, e de la università de la merchadantia e de molte fameie le qual viveva de quel mestier, le qual se desperde; e oltra de questo le monede che se fa al presente se fano cum sì pocha raxon e ordene, che l'è cum grandissima infamia de la nostra Signoria e pocho contentamento de tuti i nostri subditi; Et el sia utilissima cossa e honor nostro a far bona provision, sì per redur el corso de l'arzento, como per che el nostro comun non sia fraudado e chel se faza bone monede; Anderà parte che da mo avanti el se debia observar li ordeni infrascritti:

Prima, per che li ordeni e muodi di quinti i qual se oserva al presente, sì in lo affinar de l'arzento como in lo apresentar al pexo de comun a Rialto, son sì scuri che solo Dio porave guardarsse chel non fosse fato grandissimo dano al nostro comun; Sia ordenado che da mo avanti non se meta pluj quinti in cecha, ma debiasse observar como qui de soto se noterà.

Che tuto l'arzento che serà conduto a Veniexia se debia apresentar al pexo de Rialto, segondo li ordeni che se contien in lo capitolar del dito offitio, i quali son utili e boni, e quelli se debia in tuto oservar cum le pene e muodi che in quelli se contien. Dechiarando che cussì como l'arzento che se apresenta al dito pexo de Rialto, è uxado de scriverse per man del scrivan del dito pexo, cussì se debia anche notar e scriver per man de uno di officiali nostri del dito pexo. Et chadaun de lor sia tegnudi, de quatro in quatro mexi, notar insembre cum el scrivan, como è dito, suxo un quaderno tuto l'arzento che serà apresentado al so offitio. E oltra questo sia tegnudo el scrivan notar tuto el dito arzento ordenadamente suxo un libro grando over mare, che romagna sempre in lo offitio a caxon che perdandosse i diti quaderni sempre se possa veder l'arzento che serà apresentado.

Item che tuti quelli che apresentarà arzento al pexo de Rialto, per portarlo a affinar ala moneda, e per simele queli che avesse comprado, debia portar quelo ad afinar cum li muodi e ordeni che se al dito offitio del pexo de l'arzento de Rialto. E azò che le cosse vada pluj ordenadamente, sia tegnudi i diti offitiali dal pexo de Rialto notar su i suo libri quelo argento che se porterà ad affinar ala moneda, e de che sorta arzento el sera, e far una cetola cum la suo bolla a queli che porterà l'arzento ad affinar. Su la qual sia notà le marche, le onze e li quarti che pexerà el dito arzento. Notando la qualità over sorta de cadaun arzento da per si, e altramente non se possa portar algun arzento ad affinar per algun muodo. La qual cetola se debia apresentar ai masseri de la moneda da sen Marcho, over a quello a chi tocherà star ala affinaria de l'arzento, el qual debia notar sul so libro, e per simele el so scrivan, tuto l'arzento camerado che serà portado ad affinar chomo se contignerà suxo la cetola che farà e manderà i officiali dal pexo de Rialto. E debia notar cadauna persona de chi serà el dito arzento da per si. E quando el dito arzento serà affinado e bolado e batudo, debiasse pexar a ponto, presente el masser da la finaria. Et coluj de chi serà l'arzento debia de presente pagar al masser che serà a recever l'arzento per far moneda, grossi quatro et un quarto a oro per marcha, che vien ducati tre e grossi do a oro per cento. E no se debia muover el dito arzento sel non serà pagado como è dito.

Et infin da mo sia ordenado chel se debia far un sufficiente scrivan ala dita affinaria de l'arzento per scrutinio de misser, consejeri, cavi e masseri da l'arzento, perché altramente non se poria far, el qual sia pratico in tegnir de le raxon et in lo pexar de l'arzento; el qual habia de salario ducati LXXX a l'ano per aver persona ben sufficiente, cumzosiaché tuto el fondamento de questi fati principalmente consiste a regolar la affinaria de l'arzento ala moneda per muodo che le cosse vada sì chiare che algun ingano non possa esser fato.

Et azò che le cosse vada cum ordene e qualitade, debia i diti tre masseri partirse in questo muodo, zoè l'un a recever l'arzento del qual se farà moneda, l'altro ai tornexi e ai pizoli, e l'altro a la affinaria de l'arzento. E de quatro in quatro mexi se debia cambiar da offitio a offitio cadaun de lor. E quel masser che serà ala affinaria de l'arzento per i suo 4 mexi debia notar suxo uno quaderno tuto l'arzento camerado che se porterà ad affinar ala moneda; e simelmentre el scrivan suxo un altro quaderno como de sovra è dito. E oltra de questo el dito scrivan debia notar simelmente suxo una mare azò che sempre se possa ben veder quelo che serà fato ala dita affinaria. E azò che, le cosse se scontre e sia ben chiare, debiasse principiar a notar in uno medemo tempo tute queste cosse al pexo de Rialto, e ala affinaria de l'arzento, sì che l'un offitio e l'altro se possa ben intender e scontrar. E sia tegnudo el dito masser da la affinaria, subito complidi i suo 4 mesi, e per simele queli dal pexo de Rialto, mandar i suo libri ai officiali da le raxon nuove azò chel se possa veder chiaramente sel nostro comun averà recevudo algun ingano.

E simelmente el masser che receve l'arzento per far moneda, complidi i suo 4 mexi, debia pluj presto che se porà soldar le suo raxon e portar i suoi libri ai diti officiali de le raxon nuove azò che i possa veder la raxon del nostro comun.

E perché molte volte vien apichado de le peze che se affina ala dita moneda, le qual se convien voltar perché a quelli de chi serà l'arzento bexogna ale fiade aver monede basse per acompagnar quele peze apichade; sia ordenado chel non se possa recever algun arzento camerado ad affinar senza la poliza de quelli dal pexo de Rialto, como è dito; el qual arzento apichado abia termene ad esser voltado e fato de bola infra otto dì. E quando el dito arzento serà bolado e batudo como è dito, se debia pexar per lo muodo predito, e pagar grossi 4 e uno quarto per marcha; et per algun muodo non se possa recever questo pagamento sel non serà prima bolado e batudo a raxon che tuto vada regoladamente.

Item, perché molte volte se porta ad affinar arzento che tien oro, sia ordenado che quando el serà afinado, el se debia pexar aponto como è dito de sovra, e pagar per ogni marcha i diti grossi 4 1/4. E perché el dito arzento dorado se convien partir, e un altra volta se convignerà portar ad affinar, debiasse de questo tal arzento far chiareza suxo i libri de la affinaria per muodo chel nostro comun non sia inganado.

Et de tuti i deneri che receverà el masser che lavora l'arzento, zoè i diti grossi 4 e un quarto per marcha de l'arzento de bola afinado a la moneda, se debia far e seguir como se feva de la utilitade de quinti, zoè in far quelle spexe che bexognerà. E lo resto, complidi i suo quatro mexi, debia dessignar segondo uxanza al masser di tornexi e di pizoli, per far tornexi e pizoli como se contien in le parte et ordeni che parla sovra de zo.

Anchora, che l'arzento che serà portado ad affinar ala moneda non se possa meter in fuogo ad affinar senza parola del masser o del scrivan dala affinaria, sì che sempre al men uno de lor sia presente quando se deverà meter ad afinar. E se algun affinador metesse in fuogo ad affinar senza parola, como è dito, caza in pena de libre X de pizoli per cadauna fiada. E cadaun mercadante che metesse o fesse meter contra l'ordene predite, caza de libre L per zascaduna fiada; le qual pene debia scuoder i masseri sovraditi de la cecha da l'arzento, de le qual el terzo sia del nostro comun, e i altri do terzi se parta entro i diti masseri e tutti i scrivani de la dita cecha, zoè de la affinaria e de l'arzento e di tornexi e pizoli, segondo chomo se suol partir le altre suo utilitade.

E debia el dito masser da la affinaria, e el so scrivan, tegnir sì chiaramente tuto il conto e le raxon de l'arzento camerado che se porta ala finaria, e per simel de quello che romagnerà de bola, che el nostro comun non possa per algun muodo esser inganado.

E de tuto l'arzento che serà affinado e bolado e averà pagado i diti grossi 4 e un quarto per marcha, sia tegnudi quelli de chi el serà meter un quarto in cecha per far moneda, azò che la nostra moneda non manche. E se i vorà meterne pluj, questo sia in so libertade, e debia pagar la fatura deputada segondo li muodi e ordeni infrascriti; e habia pexo per pexo; e questo quarto debia haver messo fra otto di dapuò chel serà affinado e bolado soto pena del quarto per cadaun che contrafesse e zaschaduna fiada, la qual pena se scuoda e parta como è dito de le altre de sovra.

Item, che zaschaduna persona, sì teriera como forestiera, possa comprar argento francho, e quelo possa trar de Veniexia per zaschaduna parte e luogo, per mar o per terra, senza pagar alguna cossa, e anche possa meter in cecha a far moneda, habiando pexo per pexo, e pagando le fature ordenade del lavorar de la dita moneda como se fa del quarto sovradito.

Et azò chel sia dado materia a tuti de condur arzento a Veniexia, e che i mercadanti forestieri veza esser ben tractadi, sia prexo e ordenado: che algun over alguni compradori de arzento non possa far conventicole né compagnie contra over a dano de queli che conduxe l'arzento a Veniexia per vender; e anchora che subito vendudo e pexado l'arzento, se faza i pagamenti segondo i ordeni e soto quele pene che se contien in lo capitolar de queli dal pexo de Rialto; li qual ordeni, sì de le compagnie como del pagamento e in tute altre cosse, i diti officiali dal pexo debia del tuto observar e mandar ad execution soto pena de libre CC in li suo proprii beni. E zaschadun li possa acusar, sì ai Avogadori de comun como ai provededori, e a tuti officiali de contrabandi, se i contrafarà; de la qual pena la mitade sia del acusador e l'altra mitade se parta tra el nostro comun e queli officiali a chi serà fata la cusa, e non se possa far alguna gratia soto quela medema pena.

Perché l'è ordene ala cecha de la moneda, che le monede che se lavora debia andar libre XXVII soldi IIII per marcha, el qual ordene fo fato quando el ducato valeva soldi 93; el qual ampuo za bon tempo non è sta oservado né se poria oservar, perché zustandosse le monede segondo quel ordone, algun non poria meter arzento in cecha, vaiando el ducato soldi cento, per che li ne perderia grossamente, e cussi l'arzento no seria mai conduto in Veniexia. E benché la cecha habia lavorado in fin per tutto 1415, questo è stado perché le monede non se mendava né zustava; e le monede che insiva de la cecha era sì varie e inequal che tute se trabuchava; e da le grieve a le leziere iera tanta deferentia che le leziere che romagniva e che se spendeva in questa terra andeva da Livre 32 infina 32 1/2 per marcha, e questa iera et è pessima moneda e cum infamia de la nostra Signoria e pocho contento de tuti. E fazando provision che le monede vada soldi C per ducato, seguirà molti beni, prima che la nostra moneda serà bela e bona, e la cecha lavorerà, e tanta maistranza cum le suo fameie viverà, e serà principal caxon de far condur arzento a Veniexia, e porasse meter in cecha cum avantazio e sostignerasse l'arzento al corso uxado de ducati V e grossi XVIII la marcha. Pertanto sia ordenado che da mo avanti le monede se debia far e lavorar per muodo che le vada livre XXVIIII soldi VIIII per marcha; le qual, metando l'arzento ducati V grossi XVIII la marcha, e metando la spexa de la fatura, vien a ponto soldi C per ducato. Dechiarando che la mitade se faza in grossi e la mitade in soldi, pagando i grossi de spexa, de fatura, soldi XII per ogni marcha; e i soldi, soldi XVI per marcha, che vien a esser soto sovra soldi XIIII de spexa per ogni marcha. E debiasse observar queli muodi e ordeni a zustar, pexar, e mendar e lavorar la dita moneda, li qual mo nuovamente son stadi trovadi e ordenadi per li masseri de la cecha e per ser Alvise Corner e ser Antuonio Miorato, azò che le monede se faza zuste, bone et egual, sì che le non se possa trabuchar. E ben che ogni moneda al mondo se possa trabuchar, senza dubio, observandosse li muodi e ordeni prediti, questa moneda serà sì zusta e cum tanta raxon, che pur trabuchandosse, la utilità serà sì pizola, che serà a dir niente, et algun non vorà perder tanto tempo per sì minima cossa. E azò che la sia sempre lavorada cum li muodi e ordeni debiti, sia tegnudi i officiali da le raxon nuove, o almen un de lor, andar una fiada al mexe almen a veder chel sia lavorado e observado l'ordene soprascrito, e referir ala Signoria nostra azò che questo dura, e che sel serà bexogno far alguna provision, la se possa far.

Item chel sia fati do gastoldi de puovolo, i qual sia pratichi in lo mestier de mendar e zustar la moneda, e de bona fama; i qual se faza tra missier, consejeri, cavi e masseri de la moneda de l'arzento per scrutinio, cum salario de ducati XXX a l'ano per cadaun, e habia le soe regalie. Dechiarando che li non possa far in la dita cecha algun lavorier che apartegna ala dita maneda, azò che i sia pluj soliciti e atenti a far el so offitio. E questi gastoldi, sempre quando se menderà e zusterà la moneda, debia esser ai luogi deputadi, dove se menda e zusta la moneda, e debia molte fiade al dì guardar se i diti mendadori e zustadori lavorerà la moneda cum i muodi e ordeni che li serà dadi per li masseri de la moneda. E se i diti gastoldi troverà algun mendador o zustador che non lavorasse le dite monede per li muodi prediti, debia quelli manifestar a masseri soto pena de privation del hoffitio; i qual masseri debia condenar queli che non farà el so dover libre X de pizoli per cadauna fiada. E se i serà trovadi in fallo da tre volte in suxo, sia privadi per uno anno de non poder lavorar ala moneda. E de le dite pene non possa esserli fato gratia per algun muodo. E le pene pecuniarie predite se parta tra i masseri e gastoldi e scrivani.

E quando la moneda serà mendada e zustada, avanti che la sia dada ala maistranza di ovrieri a lavorarla, debia i diti gastoldi un'altra volta solenemente examinarla se la serà ben lavorada; e trovando algun fallo, se debia conzar a le spexe de quelli che serà stadi colpeveli, e condenarli per lo muodo dito de sovra. E da può che la moneda serà stada in man di ovrieri, quando la serà complida per dar a stampir, debia anchora esser ben examinada per li diti gastoldi, e per un di masseri de la moneda, se la sta ben chomo la die; e trovando algun fallo, se debia conzar a spexe de queli che ne serà stadi colpevelli, e caza a quelle pene che s'è dite di mendadori e zustadori.

I stampidori che stampisse la moneda sia tegnudi stampirla per lo muodo che li serà commesso per i masseri; e se i serà trovadi in algun fallo, che quela moneda sia desfata e refata a le spexe de queli che averà falido. E se i cazerà in questo defeto da tre volte in suxo, sia privadi per uno ano che li non possa lavorar algun lavorier in la dita moneda.

E se i diti masseri de la moneda trovasse algun di prediti in algun fallo, e a queli non desse la pena predita, incora a pena de livre C per zaschadun, e zaschaduna fiada; la quale pena se scuoda per li officiali da le raxon habiando parte como de le altre del so offitio.

E per dar materia a zaschadun che conduga arzento a Veniexia, per lo gran benefitio che siegue a la terra nostra, sia ordenado che zaschaduna persona, sì terriera como forestiera, che meterà arzento in Cecha li sia dado pexo per pexo e mezi grossi e mezi soldi; e debia pagar per fatura soldi VIII de pizoli solamente, e lo resto, che è soldi VI, vada a spexe del nostro comun per la utilità che l'a da grossi IIII 1/4 per marcha de tutto l'arzento che vien affinado a la cecha como è dito de sovra.

L'ordene che die dar i masseri de la moneda ai lavoradori si è questo:

Prima ai mendadori sia dadi i pexi i qual sono fati per la pruova fata nuovamente. E apresso quante monede die andar per marcha che son per numero Libre 29 soldi 9 pizoli.

Quello che die far li ovrieri si è che la moneda sia ben tonda e ben fata como la die esser de raxon.

Ai stampidori che la sia ben e diligentemente stampida chomo la die esser de raxon.

Spexe de fature per i soldi per ogni marcha:

per i masseri per marcha soldi 1 pizoli 0

per lo pexador per marcha soldi 0 pizoli 3

per i gastoldi per marcha soldi 0 pizoli 4

per i scrivani per marcha soldi 0 pizoli 3

per i fondadori per marcha soldi 0 pizoli 6

per i ovrieri per marcha soldi 5 pizoli 0

per i mendadori per marcha soldi 3 pizoli 0

per i stampidori per marcha soldi 3 pizoli 0

per i cali del fondedor e altri cali uxadi

per marcha soldi 2 pizoli 6

Suma soldi 15 pizoli 10.

Spexe de fature per i grossi per ogni marcha:

per i masseri per marcha soldi 1 pizoli 0

per lo pexador per marcha soldi 0 pizoli 3

per i gastoldi per marcha soldi 0 pizoli 4

per i scrivani per marcha soldi 0 pizoli 3

per i fondadori per marcha soldi 0 pizoli 6

per i ovrieri per marcha soldi 3 pizoli 0

per i mendadori per marcha soldi 1 pizoli 4

per i stampidori per marcha soldi 1 pizoli 4

per i cali del fondedor e altri cali uxadi

per marcha soldi 2 pizoli 6

Suma soldi 10 pizoli 6.

Suma la spexa de la fatura di soldi e grossi, soldi 26 pizoli 4, che vien per metà soldi 13 pizoli 2 per marcha. Avanza al nostro comun pizoli 10 per marcha.

De parte 95; — de non 14; — non sinceri 4.

(Senato, Misti, registro 52, carte 54 tergo.)

DOCUMENTO XXII.

(Tomaso Mocenigo, nota 20).

MCCCCXX, die VI februarii (more veneto).

Capta in collegio deputato super reformatione ceche arzenti, vigore partis capte in Rogatis.

Cumzosia chel sia de besogno a proveder che la nostra cecha bata maor quantitade de moneda che far se può, sì per honor de la nostra Signoria, chomo per sustentamento de la povera zente, et etiandio chel se dia ogni caxon possibele ai marcadanti che conduga arzento a Veniexia; Vadit pars che chomo al presente se fa de ogni marcha d'arzento L. 29, soldi 10, cossì da mo avanti se debia far moneda che vada L. 29, soldi 16 per marcha. E perché l'è do mare in l'azustar de le monede, sia ordenado che la mare che è più leziera non se possa muover, azò che la nostra moneda non se possa per algun muodo over condizion sminuir. E chomo al prexente se bate la mitade soldi e la mitade grossi, cossì da mo avanti se bata i tre quarti grossi e un quarto soldi.

De parte 22, — de non 3, — non sinceri 0.

Item, perché l'è utel cossa a far ogni aseveleza e destro ai marcadanti i qual conduxe arzento a Veniexia, e molte fiade occorre che per un over do charati che passa l'arzento el qual se affina de la fineza che la terra a limitado, zoè de carati 55, el dito arzento non vien azetado per bon, e i marchadanti cum so gran danno e spexe convien quello da chavo far afinar; Vadit pars, romagnando l'ordene de la nostra fineza in charati 55, chomo la è al prexente, che per subvention di marchadanti, i nostri massari de l'arzento debia e possa azetar chadauna peza d'arzento affinado che sia de tegnuda de charati 55 fina 60, e da là in suso non se possa acceptar soto le pene e streture contegnude in lo capitolar di diti nostri massari de la cecha. Et perché l'è gran fatto a cognoscer la fineza de l'arzento a ochio pontalmente, e leziermente se può falir in danno de la nostra cecha et ancor di marchadanti, e ben, anzi utel sia a proveder sora de zò; In fin da mo sia preso, chel sia commesso ai nostri masseri de la cecha et ai provededori nostri de comun, et ai savi nostri ad utilia, che i debia procurar de haver un sazador a copella, al qual i debia dar quel salario el qual i parerà esser rasonevel et honesto; et oltra el dito salario, habia dai marchadanti de chi serà l'arzento asazado soldi VIII per sazo chomo l'a al presente. Et in quanto el dito sazador non asazasse lialmente e commetesse alguna fraude, o veramente non dixesse la veritade, debia star un anno in una de le prexon de soto, et esser perpetuamente bandizado de tute terre e luogi subditi a la nostra Signoria. Et azò che meio se possa sazar el dito arzento, sia ordenado chel sia fato in la nostra cecha, dove parerà più abele, i fornelli dove se faza i sazi e la prova del dito arzento, e non se possa far i diti sazi altrò per algun muodo; e sia comesso ai nostri affinadori de la cecha che i non debia né possa far alguna peza d'arzento de plui pexo de marche 25 over da là in zoso, e se i la farà de maor peso, non possa esser acceptada ni bollada per algun muodo.

De parte 15.

Ser Franciscus Lauredano sapiens consilii.

Vult partem suprascriptam, salvo chel vuol che la fineza de l'arzento romagna ferma de karati 45, chomo l'a al presente.

De parte 10; — de non 0; — non sinceri 0.

(Senato, Misti, registro 53, carte 106.)

DOCUMENTO XXIII.

(Francesco Foscari, nota 3).

MCCCCXXVIIII, die nono julii.

Capta.

Quoniam expedit omnino dare modum et regulam habendi monetas argenteas que possint expendi et habere cursum in terris et districtibus nostria Brixiensi et Pergamensi et in aliis locis nostris, et quod monete forenses, et presertim de Mediolano, in tanta quantitate non multiplicent cum damno nostri dominii et subditorum nostrorum, ac etiam faciat pro honore nostro providere quod monete nostre principalem locum obtineant in omnibus locis nostris;

Vadit pars; Quod illa regula seu obbligatio per quam omnes conducentes sive ementes argentum in Venetiis tenentur ponere quartam partem in cecham nostram pro faciendo monetas, firma remaneat et observari debeant in hunc modum, videlicet: Quod de illo quarto quod obligatum est poni in cecham fieri debeant decetero infrascripte monete argentee ad cuneum seu formam que ordinabitur, videlicet soldi veneti ad cuneum solitum, qui sint talis ponderis quod intrent seu vadant libre triginta et una pro qualibet marcha argenti, et expendantur ad rationem soldorum centumquatuor pro ducato; Et fiat alia moneta que valeat duos ex dictis soldis, fiantque grossi qui valeant octo ex dictis soldis ad formam que ordinabitur. Et fiant per tercium, videlicet de unaquaque sorte tertia pars dicti quarti quod ponetur in cecham. Sintque omnes iste monete eius qualitatis sive sazii et bonitatis cuius sunt grossi et soldi qui presentialiter cuduntur in dicta cecha. Debeantque omnes iste monete taliter justari et mendari, quod non possint trabuchari vel viciari. Et pro factura cuiuslibet marche dictarum monetarum commune nostrum, seu zecha nostra, habere debeat soldos duodecim parvorum. — Preterea sit in libertate cuiuscumque, ultra dictum quartum obligatum ut supra, fieri facere ad ipsam cecham, de quocumque argento quod ponere volet in cecham, de grossis nostris solitis, qui sint illius qualitatis, bonitatis et ponderis cuius sunt et fiunt ad presens, ut expediri possint tam pro partibus Sirie quam aliter, sicut videbitur et placebit illis qui de his grossis fieri facere volent, et sicut faciunt ad presens; et in his non fiat aliqua innovatio. Et similiter sit in libertate cuiuscumque fieri facere de suprascriptis monetis novis ultra quartum obligatum ad libitum suum cum condictionibus tamen suprascriptis.

De suprascriptis autem tribus sortibus seu qualitatibus monetarum mitti debeat nunc et de tempore in tempus ad partes brixienses et pergamenses illa quantitas que erit expediens, in numero pecuniarum que de tempore in tempus mittentur pro pagis gentium nostrarum armigerarum, ut per hunc modum ille partes nostre fulciantur monetis nostris, utque ipse monete recipiant cursum debitum tam pro honore quam pro utilitate nostra et contentamento subditorum nostrorum.

Et ex nunc sit captum, quod de pecuniis deputatis ad mittendum ad partes brixienses et pergamentes Collegium debeat emere illam quantitatem argenti que videbitur oportuna pro dando principium et fieri faciendum de dictis monetis novis.

De parte 84; — de non 24; — non sinceri 24.

(Senato, Misti, registro 57, carte 126 tergo.)

DOCUMENTO XXIV.

(Francesco Foscari, nota 7).

MCCCCXLIII, die XXIII januarii (more veneto).

Cum, ut omnes intelligunt et per experientiam cognoscunt, sit penitus necessarium celerem fieri provisionem circa factum monetarum que hic currunt cum ignominia terre nostre, utque etiam illi qui habent et habituri sunt argentum in cecha intelligant quid agere habent; Vadit pars, quod de cetero de omuibus illis quartis argenti qui sunt et ponentur in cecha nostra pro monetis conficiendis, stampiri et cuneari debeant solummodo soldi, et non alia moneta neque grossoni modo aliquo; et hoc observetur per menses sex. Qui quidem soldi cunientur et stampiri debeant ad libras XXXIIII pro qualibet marcha.

Et ex nunc captum sit, quod dicti soldi et moneta nova que stampiri debent, nullo modo, forma vel ingenio portari seu navigari possint a parte maris, sub pena amissionis omnium monetarum predictarum que quomodolibet reperirentur portari extra contra ordinem suprascriptum.

Que quidem monete sint pro medietate accusatoris, seu patroni aut scribe alterius qui portaret monetas predictas, et alia medietas sit advocatoris conimunis seu aliorum officialium nostrorum quibus primo fieret conscientia. Et non possit aliquis patronus vel scriba navium aut aliorum navigiorum nostrorum, seu alina, sit quis velit, portare seu portari facere extra Venetias a parte maris de dictis monetis novis, sub pena privationis patronie et scribanie navium et navigiorum nostrorum per annos quinque, et amittendi totidem, pro pena, totius eius quod portarent. Et duret hec prohibitio monetarum non extrahendarum a parte maris per menses sex proxime secuturos, et tunc veniatur ad istud consilium et provideri debeat tam circa monetas extrahendas quam circa alias monetas cuniandas, sicut melius et utilius videbitur isti consilio.

De parte 71.

(Senato, Terra, registro 1, carte 114 tergo.)

DOCUMENTO XXV.

(Francesco Foscari, nota 11).

MCCCCXLI, die XXII februarii (more veneto).

Provisiones sapientum ad utilia.

Cum faciat pro nostro dominio, hoc tempore penurie pecuniarum recuperare pecunias per omnem modum et viam honestam, et in zecha nostra argenti alias fierent parvuli sive bagatini pro Brixia, Pergamo, Verona et Vincentia sub diversis stampis secundum cursum locorum, qui quidem bagatini tenebant marchas octo raminis et unam argenti. Et quia dicti bagatini defecerunt, nunc quedam moneta ducis Mediolani, vocata sesini, qui desuper sunt dealbati et totum residuum est ramen, cepit cursum per totum territorium nostrum a Mentio ultra. Et si fierent de dictis bagatinis qui tenerent marchas octo cum dimidia raminis et dimidiam argenti, commune nostrum maximam utilitatem et lucrum reciperet;

Vadit pars, Quod massarii nostri monete argenti fieri facere debeant de dictis bagatinis secundum solitas stampas Pergami, Brixie, Verone, Vincentie et Venetiarum, ponendo dimidiam marcham argenti in marchis octo cum dimidia raminis. Et ut dicti bagatini consummentur, captum sit, quod de tempore in tempus mittatur de parvulis predictis rectoribus locorum predictorum, qui teneantur et debeant dare soldos quinque pro ducato de parvulis predictis in omnibus solutionibus et subventionibus quas quomodolibet facient. Teneanturque dicti rectores, sub pena ducatorum quingentorum, remittere nostris massariis argenti de tempore in tempus in auro vel argento valorem parvulorum quos recipient. Ut autem dicti parvuli capiant cursum, captum sit et firmiter ordinatum, quod rectores nostri non debeant amplius recipere, nec permittere quod recipiantur per cameras nostras usque duos menses, neque per speciales personas, dicti sesini, ita quod totaliter banniantur. Et si, elapsis dictis duobus mensibus, aliquis expenderet dictos sesinos, perdat illos et totidem plus pro pena. Omnes autem pecunie que extrahentur de utilitate predicta, teneantur massarii nostri monete argenti portare nostris gubernatoribus introituum de tempore in tempus pro solutione Illustris Comitis Francisci (27).

De parte 95; — de non 1; — non sinceri 3.

(Senato, Terra, registro 1, carte 59 tergo.)

DOCUMENTO XXVI.

(Francesco Foscari, note 12 e 13).

MCCCCXLII, die XXIIII maii.

Cum pridie captum fuerit in isto consilio, quod in cecha nostra argenti fiant de bagatinis pro Pergamo, Brixia, Verona et Vincentia, et nihil expressum sit de Padua, Tervisio, et aliis terris nostris,

Vadit pars, quod massarii nostri monete argenti mittere debeant Paduam, Tervisium, et ad alias terras nostras a parte terre et in Patriam Foriiulii, de bagatinis qui expenduntur in dictis locis, factis ad ligam, sicut captum est in isto consilio. Et rectores nostri dari facere debeant soldos quinque pro ducato de camera de parvulis predictis in omnibus solutionibus et subventionibus quas facient et fieri facient, sicut pridie captum fuit de aliis terris nostris. Rectores vero Padue dari facere debeant in solutionibus que fient per cameram illam de parvulis predictis illam partem que solita est dari, dummodo sit maior soldorum quinque pro ducato. Et non possint rectores sive camerarii omnium terrarum et locorum nostrorum dare in solutionibus predictis alios bagatinos sive parvulos, quam illos quos habebunt a massariis nostris monete argenti, sub pena contenta in parte furantium; teneanturque rectores predicti, sub pena ducatorum quingentorum, remittere de tempore in tempus in auro vel argento valorem dictorum parvulorum quos recipient nostris massariis argenti. Et teneantur dicti massarii tenere computum ordinatum in uno quaterno separate de expensis et utilitatibus dictorum bagatinorum. Et sub pena ducatorum ducentorum in bonis suis propriis teneantur dicti massarii argenti portare nostris gubernatoribus introituum pecunias que extrahentur de utilitate dictorum bagatinorum pro solutione Illustris Comitis Francisci.

(Senato, Terra, registro I, carte 67 tergo.)

DOCUMENTO XXVII.

(Francesco Foscari, nota 16).

MCCCCXLII, die XVIII julii.

Cum captum sit in isto consilio quod fiant de bagatinis ad ligam novam pro terris nostris a parte terre, et bonum sit etiam providere quod fiant de quatrinis et semiquatrinis pro Ravena, ad ligam et secundum monstram dictorum quatrinorum factam per massarios nostros monete argenti et missam provisori nostro Ravene, qui laudat quod fiat de quatrinis predictis quia placent civibus Ravene;

Vadit pars, quod massarii nostri monete argenti fieri facere debeant de quatrinis et semiquatrinis predictis ad ligam et secundum monstram per dictos massarios factam, in illa summa et quantitate que necessaria erit pro Ravena, mittendo de illis de tempore in tempus provisori nostro Ravene, qui teneatur et debeat dare, in omnibus solutionibus et subventionibus que fient per cameram nostram Ravene, illam partem dictorum quatrinorum que sibi videbitur, non possendo dare minus quinque pro cento, dando dictos quatrinos secundum cursum ducati. Et teneatur dictus provisor noster, sub pena ducatorum CC auri in suis bonis propriis, remittere de tempore in tempus nostris gubernatoribus introituum in auro vel argento valorem dictorum quatrinorum quos recipiet de tempore in tempus.

(Senato, Mar, registro 1, carte 106.)

DOCUMENTO XXVIII.

(Francesco Foscari, nota 17).

MCCCCXLVI, die XXI junii.

Cum per hoc consilium sub die VII mensis maii nuper elapsi facta fuerit certa provisio super facto parvulorum falsorum presentandorum et cetera, prout in ea latius continetur, que utilis fuit acque bona. Sed cum in civitatibus et terris nostris a parte terre propter magnam moltitudinem parvulorum, et maxime in civitate nostra Padue, sit exorta maxima confusio in facto ipsorum parvulorum, adeo quod nedum utile, sed necessarium sit super ipsis parvulis facere talem provisionem qnod unusquisque se valeat intelligere;

Vadit pars, quod in nomine Dei de novo fiat et fieri debeat una nova stampa et forma ipsorum parvulorum, sicut collegio melius videbitur. Sed quod ipsi parvuli de novo stampandi sint illius lige et bonitatis cuius sunt parvuli stampe presentis, et quod de cetero parvuli huius presentis stampe non fiant neque stampentur. Sed ut provideatur inconvenientiis presentibus, ex nunc sit captum, quod omnes et singuli qui habent parvulos in hac civitate nostra, teneantur et debeant illos presentare officialibus nostre monete. . .

(Senato, Terra, registro 1, carte 195).

DOCUMENTO XXIX.

(Francesco Foscari, nota 18).

MCCCCLIII, die XVIII decembris.

Item quod ad officium Ceche nostre cuniari debeant, in quatrinis a parvulis quatuor pro quatrino, ducati XX millia, incipiendo die primo januarii proximi; qui quatrini dispensentur in omnibus terris nostris, excepta hac civitate. Et ad hoc deputentur apotece quatuor. Verum post factam dictam summam, non possint amplius fieri quatrini sine licentia et ordine huius consilii.

(Senato, Terra, registro 3, carte 92.)

DOCUMENTO XXX.

(Francesco Foscari, nota 26).

1447, die XXVIII augusti.

Cum notum sit omnibus quanto studio et quanta arte multi domini forenses, elapso tempore et modo nuper, enixi sunt contrafacere ducatos, et soldos et alias nostras monetas, et licet nunquam fieri potuerit tanta similitudo stamparum, quin semper cognita fuerit, tamen querendum est et providendum, quod proprius et verus cunius ceche nostre non possit unquam pervenire in manus alicuius forensis aut hominis levis conditionis, propter periculum quod sequeretur in ducatis et grossis, propter similitudinem stamparum: Et propterea, Vadit pars, quod nemo possit unquam accipi magister cuniorum aut stamparum nostrarum in cecha nostra, qui non sit civis origine Venetiarum, sub pena officialibus qui eligerent ducatorum centum.

De parte omnes alii; — non sinceri 0; — de non 1.

(Senato, Terra, registro 2, carte 43.)

DOCUMENTO XXXI.

(Francesco Foscari, nota 36).

MCCCCLVI, die XVI martii.

Quia tempore belli, ob necessitates terre et multas expensas occurrentes, provisum et ordinatum fuit quod ad cecham nostram fierent quatrini et parvuli diversarum sortium, et de eis etiam facti sint tempore pacis, qui adeo multiplicati sunt, ut nulla alia quasi appareat vel expendatur in terris nostris moneta quam raminis. Et hoc idem etiam inceptum est fieri in hac civitate, et propterea subditi nostri permaxime graventur, nec cessent, sed in die magis multiplicent eorum querelle. Et insuper ob multiplicationem dictarum monetarum alie multe sequantur confusiones et inconvenientia ac nostro dominio damno; sitque pro honore Dei et nostro etiam, et propria utilitate camerarum nostrarum, et pro sedandis predictis querellis subditorum nostrorum, omnino providendum;

Vadit pars quod mandetur, auctoritate huius consilii, officialibus nostris ceche, et sub pena perpetue privationis ipsius officii, et solvendi penam ac si refutassent, et ultra hoc libras quingentas pro quolibet eorum, exigendas per advocatores communis, sine alio consilio, habentes partem ut de aliis sui officii, (quod) fieri et cuniari non faciant, neque consentiant fieri vel cuniari, nec permittant etiam extrahi de cecha nostra, ullo modo, forma vel ingenio, de suprascriptis quatrinis, parvulis, vel aliis monetis raminis alicuius sortis vel maneriei, sine licentia huius consilii. Et similiter stampatores non possint ex dictis monetis raminis stampire sub pena privationis et standi sex menses in carceribus. Et hec pars addatur in capitulari ipsorum officialium ceche. Et si pars vel capitulare est contra sit revocatum quantum in hoc. Et cridetur hec pars in cecha nostra. Hoc tamen declarato, quod unicuique qui posuisset ad cecham nostram ramina, tornesios vel alias monotas raminis forenses, restituantur sua.

De parte 357; — de non 76; — non sinceri 78.

(Maggior Consiglio, registro Regina, carte 5 tergo.)

DOCUMENTO XXXII.

(Pasquale Malipiero, nota 4).

MCCCCLVIII, die XXVIIII julii.

Expedit omnino, prout omnes intelligere possunt, providere et occurrere inconvenientiis hucusque secutis in Brixia et Brixiensi districtu, occasione parvulorum, propter multas fraudes in re ista commissas; propterea

Vadit pars, quod omnes parvuli falsi qui quomodolibet inveniri seu haberi poterunt, incidantur omnino et totaliter extirpentur, nec aliqualiter acceptari, dari seu expendi possint. Et si quis inventus fuerit quoquomodo contrafecisse cadat in penam ammittendi X parvulos bonos pro uno quoque parvulo in quo fuerit contrafactum; cuius pene medietas sit accusatoris, et alia medietas rectorum, camerariorum Brixie; remanentibus etiam firmis aliis conditionibus et stricturis alias in parte super hoc capta contentis.

Statuatur preterea et mandetur, Quod omnes teneantur et debeant per totum mensem augusti proximum presentare ad cameram nostram Brixie omnes parvulos bonos cunei nostri, sub pena predieta; de quibus reservari debeant ducatos quatuor mille. Alii vero omnes fundantur et de eis fiant quatrini sive duine. Cum hoc tamen, quod illi quorum erunt dicte duine, habeant seu solvant, sicut honestum est, expensas reformationis et stampe predicte. Prefati autem parvuli qui reservabuntur nullo modo acceptari possint ad cameram nostram, sed solummodo expendantur et currant in Brixia et Brixiensi pro comoditate omnium, presertimque pauperum personarum. Cum hoc tamen quod in una vice expendi non possit ultra unum soldum ipsorum parvulorum, et abinde infra. Ad ipsam vero cameram nostram solvi et acceptari debeant solum monete auri, et argenti ac quatrini seu duine predicte, videlicet medietas in auro et argento, et alia medietas in duinis, que nullo modo dari, acceptari seu solvi possint in scartociis, sed in contatis, ut bene videri possint pro fraudibus evitandis, sub pena amittendi tantumdem cuilibet contrafacienti.

Utque res ista melius et diligentius per plures vias inquiratur, et contrafacientes puniantur, committatur rectoribus Brixie, quod provideant cum deputatis nomine illius fidelissime communitatis quod ad hoc eligat aliquas personas idoneas, sicut se facturam obtulit pro bona et votiva executione huius deliberationis nostre.

De parte 113; — de non 3; — non sinceri 5.

Facte fuerunt littere.

(Senato, Terra, registro 4, carte 78 tergo.)

DOCUMENTO XXXIII.

(Cristoforo Moro, nota 11).

Hec sunt due partes que remanserunt a mense Septembris, diei tercii, 1463.

Per la parte prexa i di preteriti in questo conseio, tra le altre cosse fo provisto che tuti, si qui chome altrove dove se spende bagatini, fosseno tegnudi portar tuti quelli i qual havesseno ala zecha et ai luogi da esser deputadi, azò che i boni bagatini fosseno cernidi da i falsi; et necessario sia che essa parte sia reformada; per tanto, l'andera parte

Che perché ala cecha nostra se truova bona summa de quatrini cuniadi del cunio nostro, ne i qual sono karati d'argento per marcha, como è la liga di nostri pizoli, da mo sia prexo che per i nostri massari de la cecha sia tolto marche III di quatrini sopradicti, e quelli sia fondudi in tavole et de quelle sia fatto pizoli copoludi; i qual pizoli, stampidi che i serano, siano messi in casson et de quelli per algun modo non se possa cambiar, per far né oro, né arzento, ma solo se debia dar a tuti quelli che porterà pizoli boni cuniadi del nostro cunio, e sia dadi daner per daner. Né altramente possa insir de la cecha nostra. Et per più execution de questa nostra intention, da mo sia prexo che i nostri massari de la cecha non possa cambiar né far cambiar pizoli a oro né ad argento, soto pena de ducati V et privation del officio; et per il simel i soprastanti fondadori o fanti de quel officio, che savesse chel fosse sta cambiado pizoli a oro over argento per i nostri massari, e quelli non accusasse al officio di nostri avogadori di chomun, subito sia cassi del suo officio né mai più possa esser in officio algun de quella cecha.

De le manifature del far di dicti pizoli, sia pagado di pizoli, i qual pizoli che per i maistri de quella cecha i haverà habudo per sua manifatura, quelli fuor de la cecha possi cambiar per oro e per argento chon le condicion infrascrite.

E perché el non se chunia piu de marche III.m chome è dicto, sia dechiarido, che pesando tanti quatrini che sia marche III.m quelli sia fondudi in tavole, e quelle sia consignade per pexo, chome se fa a i nostri massari de la cecha del argento, e quelle sia dade fuora a lavorar ala maistranza e lavorade. E perché nel lavorar di dicti pizoli ne va assai in cesare, quelle se possa refonder tante volte, quanto se salda el conto de le dicte marche III.m di pizoli fatti, né più per algun modo se possa fonder senza licentia de questo conseio, soto pena a quelli fondadori de ducati cento per un, et d'esser privadi del officio.

Tutti siano tegnudi da questo dì in avanti, fino per tutto dì XV del presente, portar i pizoli de zascaduna sorta i haverano alla cecha qui in Veniexia. A Padoa veramente e a Treviso, ai luogi che sarano ordenadi; a i qual tuti per i boni pizoli che sarano cernidi dai falsi, serano dadi tanti pizoli copoludi quanti boni pizoli del nostro cunio passado i haverano presentado, i qual siano desfati, et de quei poi siano facti pizoli copoludi in quella summa che parerà a questo conseio. E i pizoli falsi similiter siano desfati, et la massa loro sia restituida a quelli de chi la serà.

E passado el termine suprascripto, sì qui, chome in Padoa et ne i altri luogi nostri predicti, non se possi spender per algun muodo se non pizoli copoludi et del nostro cunio, soto pena de perder quelli; et oltra questo, per zascadun pizolo pizoli 6 per pena, segondo le lege nostre. E i prefati pizoli copoludi che de cetero se spenderano, non se possino spender se non a menudo, zoè da soldi 5 et da lì in zoso, soto pena de perder quelli et el dopio più per pena. Né in manifature over altre mercedi da esser pagadi per zascadun modo, over ad imprestedo o altramente, dicti pizoli copoludi dar o spender se possino, soto la predicta pena. E sia in libertà de chi torà questi pizoli retegnirli per soi, habiando anchora la pena ut supra.

I banchieri sì de questa cità, chome de Padoa e d'altri luoghi nostri dove se spendeno pizoli, non possino tegnir ne i suo banchi over altrove questi pizoli, sì in scarnuzi come altramente, né comprar né vender quelli, né dar ad imprestedo, over de quelli far marchadantia per algun muodo, soto la pena et stricture dechiaride de sopra. E questa parte, qui et ne le altre terre et luogi predicti, debia esser publicada azò che la sia nota a tutti.

De parte 84; — de non 6; — non sinceri 11.

(Senato, Terra, registro 5, carte 70.)

MCCCCLXIII, die tercio septembris.

Dudum, prout ah ipsis effectibus cognitum est, multe fraudes diverseque falsitates in parvulis nostris commisse fuere, tam hic quam in aliis civitatibus et locis nostris in quibus parvuli nostri cunei expenduntur, non sine nota et onere nostri dominii subditorumque nostrorum dispendio et jactura. Et licet pluries contra huiusmodi falsitates severissima justitia facta fuerit, non tamen id profuit. Et sit providendum, propter maximum numerum pauperum personarum que dietim et minutum lucrantur, ut ea que ex labore suo et elemosinis et aliter recipiunt expendere possint absque aliquo eorum interesse et damno;

Vadit pars, Quod de cetero cudi debeat moneta raminis que nichil teneat argenti, ut per consequens, cum nichil exinde lucri pervenire possit, nemo eam defraudare seu falsificare querant. Que quidem moneta sit ad instar medalee, juxta formam et stampam jam excogitatam et ordinatam; expendantur monete ipse ad duodecim pro marcheto, sicut fiebant parvuli. Declaretur etiam et mandetur officialibus ceche, quod in medaleis sive monetis predictis poni faciant in 128 medaleis tantum raminis quantum sit valoris soldorum septem. In manifatura et reliquis omnibus expensis intrent solum soldi tres cum dimidio pro summa et valore ducatorum duorum millium, ut pauperes persone et alii qui minutim lucrantur et ex elemosinis vivunt vitam ducere possint.

Capta autem presenti parte, deveniri debeat ad hoc consilium, ut circa parvulos bonos, et falsos qui hactenus expenditi fuerunt, fieri possint ille utiles et necessarie provisiones que isti consilio videbuntur.

De parte 37 (28).

(Senato, Terra, registro 5, carte 70 tergo.)

DOCUMENTO XXXIV.

(Monete Anonime, nota 3).

MCCCCX, die ultimo maij.

Capta. — Cum in civitate nostra Jadre et partibus illis currant et expendantur alie monete quam nostre, videlicet monete trium condicionum, videlicet: moneta quam cudit Creuoia et aliqui alii, videlicet grossos de bono argento valoris soldorum trium et minus, et expenduntur pro soldis quatuor; et soldini hungari qui non valent denarios VIII, et expenduntur pro uno soldo; et frignachi qui non tenent tres uncias argenti pro marcha, et etiam expenduntur pro uno soldo. Et hoc modo moneta nostra, videlicet grossi nostri qui valent quatuor soldos, et soldus noster, exeunt de bursis nostris, et dantur venientibus Jadram et ad partes illas, qui ipsam monetam nostram imbursant et dimittunt monetas suas, que sunt multo minoris valoris, cum tanto damno nostro; ita quod bonum ymo necessarium est providere, consideratis magnis expensis deinde, et quod in omni parte mondi (sic) quilibet dominus et quodlibet dominium multam advertentiam et provisionem semper habet ad factum monetarum;

Vadit pars, quod possint ed debeant cudi et fieri una moneta, que teneat tres uncias argenti pro marcha, et vadant XLII pro uncia, faciendo figuram Sancti Marci apparati ab uno latere, et ab altero latere unum schutum altum, in quo sit nihil, ita quod erit ita modica differencia, quod considerato, quod de dictis fringnachis fiunt et cudiuntur cum diversis stampis, dicta nostra moneta capiet subito cursum. Et mandetur rectoribus Jadre, quod teneant modum quod expendatur dicta moneta, faciendo etiam ipsa recipi in solutionem nostrorum introytuum. Et ut fiat de ipsa experiencia, debeant cudi et fieri pro nunc de dictis frignachis usque ad ducatos mille, mittendo ad partem ad partes Jadre sicut erunt facti. Et secundum quod videbitur dictam monetam novam respondere utilitati nostre, poterit provideri per hoc consilium prout bonum videbitur.

(Senato, Deliberazioni Secrete, registro 4, carte 118 tergo.)

DOCUMENTO XXXV.

(Monete Anonime, nota 6).

MCCCCXIIII, die XXVII aprilis.

Capta.

Cum alias provisum foret in hoc consilio, propter diversas monetas que expendebantur in Jadra forenses cum danno nostri communis et monetarum cunij nostri, ac captum quod deberet cudi et fieri una moneta que teneret tres uncias argenti pro marcha, et irent XLIIII soldi pro untia, faciendo figuram Sancti Marci apparati ab uno latere, et ab altero unum scutum altum in quo nichil sit. Et ut dicta experientia videri posset, cudi deberet usque ducatos mille de dictis monetis novis et mitti ad partes Jadre, expendendo de ipsa et recipiendo in solutionem introytuum, ut daretur cursus ipsi monete; postea vero positum foret ad hoc consilium et captum de revocando ipsam partem, dubitando quod factum ipsius monete non deberet bene succedere. Et sic hucusque dilata est res, sed tamen continue moneta predicta expendita fuit, in tantum quod, secundum informationem quam habemus per Johanem de Bonisio notarium nostrum qui nuper venit a rectore Jadre, capit tam optimum cursum, quod non repperitur una moneta in Jadra, nam tota portata est per morlacos infra terram. Et propterea multum fuimus confortati ut fatiamus fieri de alia; et quod omnes contentantur ipsam recipere et expendere. Et considerato quod talis moneta venit redundare ad utilitatem et comodum nostri communis, bonum est quod, sicut inceptum fuit, sic dari debeat executio ad fatiendum fieri et cudi de ipsa moneta cum stampa suprascripta, que moneta tenere debeat tres untias et quartum unum; et de tempore in tempus facere laborari in illa quantitate que placuerit dominio, et mittere ad partes Jadre et Dalmatie ut ibidem expendentur, Et quod factum dictarum monetarum melius succedat de die in diem.

De parte omnes alii; — de non 10; — non sinceri 2.

(Senato, Misti, registro 50, carte 102 tergo.)

[Nuova pagina]

NOTE A "DOCUMENTI".

(1) La lezione di questo articolo fu rettificata su quella portata dai registri del Maggior Consiglio, Commune I, carte 62 tergo, e Bifrons, carte 46 tergo (Deliberazione 22 dic. 1276).

(2) Rettificata la lezione, come sopra.

(3) Parte del M. C. 17 novembre 1269, Registro Bifrons, carte 43 tergo.

(4) La Lezione di questo articolo fu rettificata secondo il testo recato dal registro Commune I del Maggior Consiglio, carte 63 tergo.

(5) Registro Commune I: "sunt consueti".

(6) Registro Commune I: "constituti" manca.

(7) Registro Commune I: "pesare".

(8) Registro Commune I: "adducunt".

(9) Registro Commune I: mancano le parole fra i segni [ ].

(10) Registro Commune I: "officio ante".

(11) Registro Commune I: "illis" manca.

(12) Registro Commune I: "predicti".

(13) Registro Commune I: "suprascriptas".

(14) Registro Commune I: "supra".

(15) Registro Commune I: "infra octo dies".

(16) Registro Commune I: "Magno".

(17) Registro Commune I: "dicti compsores" manca.

(18) Registro Commune I: "eis".

(19) Registro Commune I: "teneatur".

(20) Registro Commune I: "quod" manca.

(21) Registro Commune I: "monetarum" manca.

(22) L'originale si trova a carte 46 del registro Luna del Magg. Cons. (Archivio di Stato).

(23) La deliberazione originale nel Registro Zaneta (Maggior Consiglio), carte 37 tergo, colla data 22 novembre.

(24) L'originale a carte 31 del Registro Pilosus (Deliberaz. del Magg. Cons.).

(25) L'originale a carte 43 tergo del registro Pilosus del Magg. Cons.

(26) In margine di questo articolo si legge: Cridata in scalis Rivoalti secundum usum.

(27) Lo stesso decreto, tradotto in volgare, è riportato nel Capitolare delle Brocche a carte 29, coll'aggiunta del seguente conto delle spese di fabbricazione:

"Spexa entra nela fatura deli soraditi pizioli per nui officiali dela moneda dada in nota ai signori da la utilia chomo qui soto apar

prima per i ovrieri, soldi 5 per marcha

per stampidori, soldi 2 pizoli 8

per 2 fondedori, soldi 0 pizoli 5

per tuto challo, soldi 3 pizoli 0

per due masseri a pizoli 3 per uno, soldi 0 pizoli 6

per el pexador, soldi 0 pizoli 2

per el scrivan e pexador, soldi 0 pizoli 3

per 2 gastoldi, soldi 0 pizoli 3.

Summa questa spexa de fatura e chalo in tuto lire 0 soldi 12 pizoli 3 per marcha, non metando carbon, chorzuoli e altre spexe menude che ocore".

(28) Questa seconda parte che conteneva la proposta di coniare i denari di puro rame fu respinta non avendo raccolto che 37 voti.

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APPENDICI.

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APPENDICE I.
VALORE DELLA MONETA VENEZIANA.

1200-1472.

Allo scopo di facilitare lo studio e le ricerche dei valori comparativi del denaro e delle cose nei tempi di mezzo, ho pensato di far seguire questo lavoro numismatico da alcune tavole, ove sono notate esattamente le quantità di oro o di argento che contengono le unità monetarie, tenendo conto delle variazioni succedute col volgere degli anni nel peso e nel titolo delle specie metalliche, e mettendo a confronto l'intrinseco loro valore con quello delle monete moderne, secondo i criteri ai quali è informato il nostro sistema decimale. Nella descrizione di ogni singola moneta, che si trova nel corso dell'opera, ho segnato il peso e il fino, quali risultavano dai documenti contemporanei controllati da assaggi chimici, ma mi pare che col riassumere questi dati e col riportarli alle unità monetarie, che servono di base ai conteggi, si rendano più facili le indagini anche a chi non ha familiari codesti calcoli.

Ricorderò di avere a suo tempo dimostrato, che due erano le lire adoperate a Venezia, entrambe divise in venti soldi da dodici denari per soldo. La più antica e popolare era la lira dei piccoli, di cui vivono ancora la memoria e l'uso col nome di lira veneta: per conoscerne il valore, conviene prendere a base nei tempi più antichi l'intrinseco del denaro, più tardi quello del grosso, e dal 1472 in poi quello della lira d'argento. Trascurando il breve periodo, nel quale a Venezia non si coniava che il solo denaro, la prima tavola, che si occupa delle monete d'argento, principia col secolo XIII, e quindi colla istituzione del grosso, del quale, per documenti sicuri, si conoscono tanto l'intrinseco quanto il valore. Nella prima colonna segno il peso della lira, relativamente al valore del grosso, tanto in grani veneti, quanto in grammi metrici, poi, tenendo conto del titolo, reco nella terza l'argento puro, che a norma dei tempi formava la lira, e finalmente nell'ultima colonna pongo il valore, che tale quantità d'argento rappresenta nella nostra monetazione attuale.

L'altra lira di conto, adoperata da tempi assai remoti, era la lira di grossi, che nel primo secolo della sua esistenza aveva anch'essa la sua base nel metallo bianco, perché la sua unità era il grosso, il quale per tale motivo fu detto denaro grosso. Dodici denari grossi erano il soldo di grossi, e venti di tali soldi formavano la lira di grossi, che perciò aveva il valore corrispondente all'argento contenuto in 240 grossi. Il vantaggio più notevole di questa moneta, per cui essa veniva preferita dal commercio e dallo stato nei conti da regolarsi a lunga scadenza, era la stabilità, che mancava invece alla lira di piccoli, perché il grosso rimase per lungo tempo dello stesso peso e dello stesso titolo, mentre il piccolo e la lira, che da esso prendeva il nome, diminuirono più volte di valore, mutandosi il rapporto fra il grosso ed il piccolo sempre in favore del grosso. Infatti dapprima il grosso corrispondeva a 26, più tardi a 28, e finalmente a 32 piccoli, e così la lira di grossi equivaleva a 26, 28 o 32 lire di piccoli, secondo le modificazioni avvenute nell'intrinseco del denaro o del piccolo.

Nel 1284 fu creato il ducato d'oro, che in breve tempo ebbe favore e diffusione grandissima anche fuori di Venezia. Fu ragguagliato in origine a 18 grossi d'argento, ma quando nei primi lustri del secolo XIV salì al valore di 24 grossi (1), il calcolo della lira di grossi divenne semplice e molto comodo, perché 10 ducati corrispondevano alla lira, e mezzo ducato al soldo di grossi. La facilità del conteggio, la stabilità ed il favore della nuova moneta consolidarono l'uso di trattare la lira di grossi in ducati, e quando le oscillazioni del mercato alterarono le proporzioni fra l'oro e l'argento, si conservò l'abitudine di calcolare in argento la lira di piccoli ed in oro la lira di grossi, con un bimetallismo speciale, ben diverso da ciò che sotto questo nome intendono i moderni economisti. Mentre la moneta d'argento subì molte modificazioni ed una progressiva diminuzione d'intrinseco, quella d'oro rimase immutabile ed inalterata, per cui la lira di grossi, uguale a 10 ducati o zecchini, si mantenne fino alla caduta del governo veneto, prendendo anche i nomi di lira di banco e di lira degli imprestiti.

La seconda tavola espone il valore del ducato d'oro o zecchino ed il peso in metallo, che corrisponde ad ogni lira di piccoli nelle diverse epoche, in relazione al numero delle lire e dei soldi, a cui veniva ragguagliato il ducato. Così si rende manifesto il decadimento della lira di piccoli, la quale nel 1284 era rappresentata da un pezzo d'oro del peso di grani veneti 28 e due terzi, e nel 1797 corrispondeva a poco più di grani veneti 3 dello stesso prezioso metallo, senza aver riguardo alle mutazioni di rapporto fra l'oro e l'argento, delle quali è tenuto conto nella terza tavola.

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NOTE A "APPENDICE I".

(1) Non avendolo fatto prima, diamo qui il testo del decreto 12 settembre 1328, che forma il § CCLXI del Capitolare dei Signori di notte al Criminal, conservato nel Museo Correr al numero A. 6. 17. carte 90.

"1328. indic. 12. die 12 septembris.

Capta fuit pars infrascripta in consilio de XL quod ducati currant pro grossis xxiiij usque ad duos annos et recipi debeant pro omuibus vendicionibus et omnibus solucionibus tam mercacionum quam aliarum quarumcumque rerum. Et nostrum comune idem obseruet tam in dando quam in recipiendo et nullus possit nec debeat recusare ipsos recipere ad dictum cursum sub pena denariorum xij pro libra quam penam exigant officiales grossorum tonsorum et habeant tercium dicte pene et accusator tercium si inde fuerit et teneatur de credencia et comune tercium".

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TAVOLA I.
VALORE E PESO DELLE MONETE D'ARGENTO.

Data. 1200 circa.

Valore e peso delle monete d'argento. Il grosso istituito al tempo di Enrico Dandolo pesava grani veneti 42 e un decimo e valeva 26 piccoli, per formare una lira erano necessari grossi 9 e sei ventiseiesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 388,61. Metrico, grammi: 20,110.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 40. Metrico, o decimale: 0,9652.

Argento puro per lira veneta in grammi. 19,410.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 4,313.

Data. 1270 circa.

Valore e peso delle monete d'argento. Il grosso fu valutato 28 piccoli: grossi 8 e 16 ventottesimi per ogni lira.

Peso della lira. Veneto, grani: 360,85. Metrico, grammi: 18,674.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 40. Metrico, o decimale: 0,9652.

Argento puro per lira veneta in grammi. 18,024.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 4,005.

Data. 1282 maggio 28.

Valore e peso delle monete d'argento. Il denaro grosso fu ragguagliato a 32 piccoli: grossi 7 e mezzo per lira.

Peso della lira. Veneto, grani: 315,75. Metrico, grammi: 16,340.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 40. Metrico, o decimale: 0,9652.

Argento puro per lira veneta in grammi. 15,771.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 3,504.

Data. 1350 circa.

Valore e peso delle monete d'argento. Il grosso valeva 48 piccoli: 5 grossi formavano la lira.

Peso della lira. Veneto, grani: 210,50. Metrico, grammi: 10,893.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 40. Metrico, o decimale: 0,9652.

Argento puro per lira veneta in grammi. 10,513.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 2,336.

Data. 1369 decembre 19.

Valore e peso delle monete d'argento. Da una marca d'argento si devono ricavare 14 e mezzo soldi di grossi. Ogni soldino pesa quindi grani veneti 9 e 93 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 198,60. Metrico, grammi: 10,277.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 40. Metrico, o decimale: 0,9652.

Argento puro per lira veneta in grammi. 9,919.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 2,204.

Data. 1379 maggio 4.

Valore e peso delle monete d'argento. La moneta d'argento deve andare a 15 soldi di grossi per ogni marca e perciò il grosso del secondo tipo pesa grani veneti 38 e 40 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 192,00. Metrico, grammi: 9,936.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 55. Metrico, o decimale: 0,9522.

Argento puro per lira veneta in grammi. 9,461.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 2,102.

Data. 1379 maggio 4.

Valore e peso delle monete d'argento. La moneta d'argento deve andare a 15 soldi di grossi per ogni marca e perciò il grosso del secondo tipo pesa grani veneti 38 e 40 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 192,00. Metrico, grammi: 9,936.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 55. Metrico, o decimale: 0,9522.

Argento puro per lira veneta in grammi. 9,461.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 2,102.

Data. 1394 giugno 4.

Valore e peso delle monete d'argento. Terzo tipo del grosso. Da una marca si devono ottenere non meno di 126 e mezzo grossi, né più di 127 e mezzo e quindi in media 127 pezzi del peso di grani veneti 36 e 28 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 181,40. Metrico, grammi: 9,387.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 55. Metrico, o decimale: 0,9522.

Argento puro per lira veneta in grammi. 8,938.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 1,986.

Data. 1399 ottobre 7.

Valore e peso delle monete d'argento. Il taglio dei grossi è fissato a 131 pezzi circa per marca d'argento e il peso quindi a grani veneti 35 e 17 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 175,85. Metrico, grammi: 9,100.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 55. Metrico, o decimale: 0,9522.

Argento puro per lira veneta in grammi. 8,665.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 1,925.

Data. 1407 maggio 10.

Valore e peso delle monete d'argento. Il taglio è portato a 136 grossi per marca del peso di grani veneti 33 e 88 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 169,40. Metrico, grammi: 8,766.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 55. Metrico, o decimale: 0,9522.

Argento puro per lira veneta in grammi. 8,346.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 1,854.

Data. 1417 novembre 11.

Valore e peso delle monete d'argento. Da una marca si devono ricavare in media lire 29 soldi 9 e quindi il grosso pesare grani veneti 31 e 28 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 156,40. Metrico, grammi: 8,093.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 55. Metrico, o decimale: 0,9522.

Argento puro per lira veneta in grammi. 7,706.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 1,712.

Data. 1420 (21) febbraio 6.

Valore e peso delle monete d'argento. Da una marca si devono ricavare in media lire 29 soldi 16 e quindi ogni grosso pesare grani veneti 30 e 92 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 154,60. Metrico, grammi: 8,000.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 60. Metrico, o decimale: 0,9479.

Argento puro per lira veneta in grammi. 7,583.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 1,685.

Data. 1429 luglio 9.

Valore e peso delle monete d'argento. Regolazione della moneta per la quale da una marca si devono ricavare lire 31 di monete ed il grosso pesare grani veneti 29 e 72 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 148,60. Metrico, grammi: 7,690.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 60. Metrico, o decimale: 0,9479.

Argento puro per lira veneta in grammi. 7,289.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 1,619.

Data. 1443 (44) genn. 28.

Valore e peso delle monete d'argento. Il Senato ordina che i grossi e i soldi sieno coniati e stampati in ragione di lire 34 per marca ed il grosso pesa grani veneti 27 e 50 centesimi.

Peso della lira. Veneto, grani: 135,50. Metrico, grammi: 7,012.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 60. Metrico, o decimale: 0,9479.

Argento puro per lira veneta in grammi. 6,646.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 1,476.

Data. 1472 maggio 20.

Valore e peso delle monete d'argento. Il Consiglio dei Dieci ordina la coniazione della lira del peso di carati 31 e mezzo.

Peso della lira. Veneto, grani: 126,00. Metrico, grammi: 6,520.

Titolo. Veneto, carati (peggio): 60. Metrico, o decimale: 0,9479.

Argento puro per lira veneta in grammi. 6,180.

Valore corrispondente all'argento puro della moneta decimale (Lire). 1,373.

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TAVOLA II.
VALORE DEL DUCATO D'ORO.

Data. 1284 ottobre 31.

Valore del ducato d'oro. Il ducato è valutato 18 grossi di 32 piccoli e cioè 48 soldi.

Valore in lire venete. 2 Lire e 8 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 28 e 65 centesimi.
Grammi: 1,482.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 5,104.

Data. 1328 settembre 12.

Valore del ducato d'oro. La Quarantìa ordina che il ducato debba correre per 24 grossi, ossia 64 soldi.

Valore in lire venete. 3 Lire e 4 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 21 e 49 centesimi.
Grammi: 1,112.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 3,830.

Data. 1379 luglio 9.

Valore del ducato d'oro. Si prendono a mutuo i ducati che sono fatti e si fanno in zecca con l'aggio di 13 soldi per ducato, e cioè 77 soldi.

Valore in lire venete. 3 Lire e 17 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 18 e 86 centesimi.
Grammi: 0,924.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 3,182.

Data. 1380.

Valore del ducato d'oro. Durante la guerra di Chioggia il ducato valeva Lire 4 soldi 5.

Valore in lire venete. 4 Lire e 5 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 16 e 18 centesimi.
Grammi: 0,837.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 2,833.

Data. 1380 ottobre.

Valore del ducato d'oro. Durante la guerra di Chioggia il ducato valeva Lire 4 soldi 6.

Valore in lire venete. 4 Lire e 6 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 15 e 99 centesimi.
Grammi: 0,827.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 2,848.

Data. 1381 luglio 3.

Valore del ducato d'oro. Durante la guerra di Chioggia il ducato valeva Lire 4 soldi 2 piccoli 6.

Valore in lire venete. 4 Lire, 2 soldi e 6 piccoli.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 16 e 67 centesimi.
Grammi: 0,862.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 2,969.

Data. 1382 luglio 25.

Valore del ducato d'oro. Il ducato valeva Lire 3 soldi 19 piccoli 6.

Valore in lire venete. 3 Lire, 19 soldi e 6 piccoli.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 17 e 30 centesimi.
Grammi: 0,895.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 3,082.

Data. 1399 ottobre 7.

Valore del ducato d'oro. Il ducato valeva 93 soldi.

Valore in lire venete. 4 Lire e 13 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 14 e 79 centesimi.
Grammi: 0,765.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 2,635.

Data. 1408.

Valore del ducato d'oro. Le lire di grossi valevano Lire 32 di piccoli, ed a oro Lire 48, cioè il ducato 96 soldi.

Valore in lire venete. 4 Lire e 16 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 14 e 32 centesimi.
Grammi: 0,741.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 2,552.

Data. 1417 novembre 11.

Valore del ducato d'oro. Il ducato d'oro valeva soldi 100.

Valore in lire venete. 5 Lire.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 13 e 75 centesimi.
Grammi: 0,711.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 2,449.

Data. 1429 luglio 29.

Valore del ducato d'oro. Il ducato d'oro è ragguagliato a 104 soldi.

Valore in lire venete. 5 Lire e 4 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 13 e 22 centesimi.
Grammi: 0,684.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 2,356.

Data. 1443 (44) genn. 23.

Valore del ducato d'oro. Il ducato d'oro era salito a 114 soldi.

Valore in lire venete. 5 Lire e 14 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 12 e 6 centesimi. Grammi: 0,624.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 2,149.

Data. 1472 marzo 20.

Valore del ducato d'oro. Il ducato d'oro è ragguagliato a 124 soldi.

Valore in lire venete. 6 Lire e 4 soldi.

Peso della lira veneta in oro. Grani veneti: 11 e 9 centesimi. Grammi: 0,574.

Valore della lira veneta corrispondente al peso dell'oro in moneta decimale. 1,977.

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TAVOLA III.
PROPORZIONE FRA IL VALORE DELL'ORO E QUELLO DELL'ARGENTO.

1284. La lira in oro pesava grani 1,482; la lira d'argento grani 15,771; il rapporto quindi era di 1 a 10,641.

1328. La lira in oro pesava grani 1,112; la lira d'argento grani 15,771; il rapporto quindi era di 1 a 14,182.

1350. La lira in oro pesava grani 1,112; la lira d'argento grani 10,513; il rapporto quindi era di 1 a 9,454.

1379. La lira in oro pesava grani 0,924; la lira d'argento grani 9,461; il rapporto quindi era di 1 a 10,239.

1380. La lira in oro pesava grani 0,827; la lira d'argento grani 9,461; il rapporto quindi era di 1 a 11,440.

1399. La lira in oro pesava grani 0,765; la lira d'argento grani 8,665; il rapporto quindi era di 1 a 11,326.

1408. La lira in oro pesava grani 0,741; la lira d'argento grani 8,346; il rapporto quindi era di 1 a 11,263.

1429. La lira in oro pesava grani 0,684; la lira d'argento grani 7,291; il rapporto quindi era di 1 a 10,659.

1444. La lira in oro pesava grani 0,624; la lira d'argento grani 6,646; il rapporto quindi era di 1 a 10,650.

1472. La lira in oro pesava grani 0,574; la lira d'argento grani 6,180; il rapporto quindi era di 1 a 10,766.

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APPENDICE II.
I MASSARI DELLA MONETA.

Mancano le memorie e i documenti per conoscere come fosse in origine regolata l'amministrazione della zecca e quali magistrati vegliassero al suo andamento. La più antica notizia è un breve cenno in data 13 marzo 1224, che si legge nel Liber communis o Liber plegiorum, in cui sono raccolte le deliberazioni del doge assistito dal Consiglio minore. Ivi si ricorda il giuramento prestato sul loro Capitolare dai sorveglianti della zecca, i quali non sono chiamati con alcun titolo speciale, ma semplicemente illi homines qui faciunt fieri monetam (1). Il capitolare di cui si parla in quella notizia non è giunto fino a noi, ma si può con fondamento supporre che, almeno nelle linee generali e più importanti, esso non fosse dissimile da quello compilato nel 1278, ch'è il più antico che si conosca. Questo importante documento, simile ad altri congeneri, è una raccolta delle leggi e degli ordini, a cui dovevano informarsi i magistrati nell'esercizio del loro ufficio, e contiene capitoli scritti in varie epoche e con diversi intendimenti. A chi si ponga a leggerlo con attenzione non isfuggirà che i paragrafi immediatamente seguenti la formula del giuramento, e parecchi altri qua e là, sono in prima persona, mentre altri si dirigono ai massari o agli addetti alla zecca in terza persona. Tale diversità di redazione induce facilmente a supporre che gli articoli in prima persona siano conservati dal capitolare primitivo, e quelli in terza siano disposizioni introdotte nelle compilazioni successive.

I massari in origine erano tre, assistiti da due pesatori, ed avevano il salario annuo di lire cento, metà del quale era pagato dopo cinque mesi. Si chiamavano della moneta, perché sovrastavano alle faccende della zecca, e rimanevano in carica due anni, durante i quali non potevano essere del Maggior Consiglio né di alcun altro ufficio. Più tardi fu concesso ai massari (2) ed a quei pesatori che fossero eleggibili di intervenire al Maggior Consiglio nelle feste solenni (3).

Allorché fu creato il ducato si istituirono due nuovi massari, che si dissero all'oro; mentre poco a poco gli altri perdettero l'antica denominazione, per prendere quella di massari all'argento.

Per legge 23 marzo 1306 (4) del Maggior Consiglio i massari ed i pesatori della moneta potevano portare qualunque sorta di armi per ragioni del loro ufficio: lo stesso diritto fu accordato più tardi agli scrivani (5) ed ai fanti (6) della zecca, i quali lo reclamavano per l'art. 67 di un vecchio capitolare, che più non esiste.

I massari all'oro, divenuti quattro in progresso di tempo, tornarono due nel 1347 (7), e, vista l'importanza e la gelosia dell'ufficio, il Senato nel 29 aprile 1363 (8) elevava il loro salario, da lire 7 soldi 13 denari 2 di grossi e piccoli 6, a lire 8 di grossi, ossia 80 ducati all'anno.

Il Senato deliberava il 4 maggio 1379 (9) di creare due nuovi massari all'argento: nel 16 giugno 1404 (10) aboliva l'ufficio di massaro ai torneselli, che aveva lo stipendio di lire 8 di grossi, ordinando che tale incarico fosse assunto dagli altri massari per turno.

Ai tempi della guerra contro i Genovesi si ordinò (14 aprile 1379) (11) di sospendere tutte le paghe dei nobili investiti di cariche pubbliche e di avocare allo Stato metà delle competenze inerenti alle cariche: invece nel dicembre 1411 e nel gennaio 1412, quando si preparavano le armi contro Sigismondo imperatore e re d'Ungheria, si diminuirono gli stipendi di tutti i funzionari, e troviamo nel registro XLIX dei Misti del Senato un lungo elenco degli uffici colle paghe e riduzioni.

Notiamo per la zecca i massari all'oro, che avevano 20 lire di grossi all'anno per ciascuno, ridotti a lire 12 di grossi; i due pesatori all'oro, da lire 6, a lire 4 di grossi; i massari all'argento ed al rame, che avevano 8 lire di grossi, portati a 5 lire di grossi, così i pesatori all'argento. Sono anche nominati in questo elenco Bernardo e Marco Sesto intagliatori di zecca (12).

Nel 18 aprile 1414 (13) ai due massari all'oro ne sono aggiunti due nuovi con 80 ducati annui di salario, e si permette che vecchi e nuovi possano, alla scadenza dell'ufficio, essere confermati in carica. Nel 30 gennaio 1415 (1416) i massari all'oro si riducono nuovamente a due soli, con 120 ducati all'anno, e, votati i quattro esistenti, si confermano Pietro Ghisi e Michele Contarini, che raccolgono il maggior numero di voti (14).

Mancando i due massari all'argento, ed essendo stato soppresso quello ai torneselli, il Senato, nel 30 aprile 1416 (15), ordina che sieno nominati tre massari col salario di 100 ducati e le solite utilità, e l'11 novembre 1417 (16) si regolano alternativamente le mansioni in modo che uno dei tre debba sorvegliare la fabbricazione dei torneselli e dei piccoli.

Altre modificazioni nel numero e nello stipendio dei massari furono deliberate in vari tempi, ma durarono poco, ritornandosi al numero primitivo di due per l'oro e tre per l'argento; così talora fu concesso di rinominare gli uscenti, ma si finì coll'ordinare la contumacia di due anni, secondo il sistema tradizionale nelle magistrature veneziane.

Non è chiarito chi eleggesse anticamente i massari delle monete, che dipendevano dal doge e dal Consiglio Minore: una legge del Maggior Consiglio del 21 agosto 1287 (17) stabilisce che la elezione dei massari all'oro ed alla moneta possa esser fatta dal doge unitamente ai consiglieri ed alla Quarantìa, e nel 1327, 15 novembre (18), il Maggior Consiglio ordina che tutti gli affari che riguardano l'oro e gli uffici relativi, come pure quello dei grossi tonsi (tosati), sieno trattati e deliberati dalla Quarantìa, a cui delega i suoi poteri. Il 1 aprile 1354 il Maggior Consiglio delibera che i massari all'oro siano eletti ad una mano dal doge, consiglieri e capi, ed a due mani dal Maggior Consiglio, ma non più dalla Quarantìa (19). Ognuno degli eletti debba presentare sei mallevadori per lire 1000 ciascuno, e colle stesse formalità siano eletti i massari all'argento.

Nel capitolare dei massari della moneta è prescritto, all'articolo 9, che sulle monete sia fatto un segno per conoscere in qual tempo sieno state coniate.

Il costume di segnare le monete con punti, ora rotondi ora d'altra forma, collocati in vario posto, per conoscere lo zecchiere che era responsabile della fabbricazione, è antichissinio. Tali punti o segni si trovano pressochè in tutte le monetazioni di governi potenti ed estesi, dove molte erano le zecche ed abbondanti le emissioni, ed appariscono anche su molti denari carolingi coniati in Francia ed in Italia. Appositi registri tenevano nota dei nomi corrispondenti ai segni, il cui significato era ignorato dal pubblico e che perciò si dicevano punti secreti di zecca.

Le prime monete veneziane non avevano alcun segno; ma quando la coniazione del grosso divenne assai copiosa, per controllare la bontà di una così importante moneta, che formava il vanto e l'utile della zecca, si dovette ricorrere a tale pratica; ed infatti vediamo alcuni segni, prima semplici poi alquanto complicati, che nel campo del rovescio, presso alla figura seduta del Redentore, distinguono i grossi di tutti i dogi da Jacopo Tiepolo in poi, per oltre un secolo. A questa consuetudine venne fatta una sensibile modificazione verso la metà del secolo XIV, sostituendo ai punti o segni le lettere dell'alfabeto, che distinguono i mezzanini ed i soldini riformati al tempo di Andrea Dandolo. Non conosciamo il decreto che istituisce il mezzanino, ma una deliberazione della Quarantìa del 9 febbraio 1345 (1346), fortunatamente conservata da Marino Sanuto, essendosi perduti i registri originali (20), ci avverte che, posta la questione se le nuove monete progettate si dovessero fare di argento fino come il grosso, o misto con rame, il Consiglio si pronunciò per l'argento fino, con 27 voti contro 7. Queste monete sono evidentemente i mezzanini, che devono essere stati decretati poco tempo dopo, ed i soldini, di cui conosciamo il decreto in data 8 aprile 1353 (21) dove è ordinato che sulla moneta sia scolpita la prima lettera (sillaba) del nome di battesimo del massaro. Così si continuò a segnare la moneta d'argento per tutto il secolo XIV e per buona parte del XV; ma quando fu modificato il peso ed il fino del grosso e del soldo, col decreto 6 febbraio 1420 (1421) (22), si introdussero alcuni cambiamenti nell'aspetto ditali monete, fra cui principalissimo quello di indicare le iniziali del nome e del cognome del massaro all'argento, uso che venne continuato poi sempre nella zecca veneziana.

Eguali prescrizioni incombevano ai massari all'oro, come si rileva dalla rubrica XI del loro capitolare (23) che dice: Item semo tegnudi de far far segno in la moneda, la qual nu faremo far azò che lo sia cognosudo che la sia fata a lo tempo delo nostro ficio de moneda, e quelo segno lo qual serà fato scrivere mo in ti nostri quaderni. Non ostante il maggior pregio del metallo, i massari all'oro non diedero a tale pratica minuziosa l'importanza che vi avevano accordata i loro colleghi preposti all'argento, per cui, tratte poche eccezioni, adottarono lo stesso segno ponendo sotto il gomito di San Marco un punto rotondo, e solo raramente una crocetta. In tal modo, perduto lo scopo che aveva informato sifatto provvedimento, si finì per abbandonarne l'uso, e la moneta d'oro veneziana non ebbe alcun segno, tranne le doppie, gli scudi e loro frazioni coniate negli ultimi tempi, sui quali pezzi erano notate le iniziali dei massari.

Sarebbe molto interessante conoscere la spiegazione dei segni che si trovano sui grossi del XIV e XV secolo, ma ignoriamo i nomi dei massari, come pure la corrispondenza dei segni. Anche la spiegazione delle lettere ci riesce incompleta, perché gli elenchi dei massari non cominciano se non tardi e, toltine i nomi che si trovano nei registri della Quarantìa e del Segretario alle Voci, conviene cercar gli altri nei documenti e nei registri dove sono casualmente nominati.

Darò l'elenco che ho potuto compilare, alquanto più completo di quelli che furono stampati sin qui, notando la fonte dove ho trovato la notizia e le iniziali stampate sulle monete che corrispondono ai nomi dei massari.

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TAVOLA I.
MASSARI ALLA MONETA, POI ALL'ARGENTO.

Nome. Michele Trevisan.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti.

Fonte. Capitolare dei massari della moneta.

Epoca. Cessa 11 ottobre 1298.

Nome. Marin Stornado.

Titolo dell'ufficio. All'argento.

Fonte. Parti della Quarantìa trascritte da M. Sanuto.

Epoca. Eletto 18 febbraio 1333.

Nome. Paolo Papaziza.

Titolo dell'ufficio. All'argento.

Fonte. Parti della Quarantìa trascritte da M. Sanuto.

Epoca. Eletto 18 febbraio 1333.

Nome. Nicolò Venier.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Era tale 18 dicembre 1342.

Nome. Filippo Venier.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 8 gennaio 1342.

Nome. Marco Navager.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 2 maggio 1343.

Nome. Giovanni Magno.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 9 giugno 1343.

Nome. Andreolo Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Ad argentum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 1 settembre 1343.

Nome. Nicolò Barisan.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad argentum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Cessa 14 luglio 1348.

Sigle. N corsivo.

Nome. Marco Navager.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad argentum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Cessa 14 luglio 1348.

Sigle. M corsivo.

Nome. Pietro Contarini.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 2 luglio 1348.

Sigle. P.

Nome. Giovanni Navager.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad argentum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 14 luglio 1348.

Sigle. EZH capovolta.

Nome. Pietro Marin.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad argentum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 14 luglio 1348.

Sigle. P.

Nome. Nicoletto Albizo.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 9 febbraio 1348.

Sigle. N corsivo.

Nome. Benedetto Mazaman.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 3 giugno 1349.

Sigle. B.

Nome. Giovanni Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 16 giugno 1349.

Sigle. ALFA CEDILLA.

Nome. Secondo Aventurado.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam argenti.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 16 giugno 1350.

Sigle. S.

Nome. Nicoletto Steno.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam argenti.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 9 luglio 1350.

Sigle. N corsivo.

Nome. Giannino Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Massatius ad monetam argenti.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Confermato 25 luglio 1350.

Sigle. ALFA CEDILLA.

Nome. Pietro Orio.

Titolo dell'ufficio. Masser a la moneda.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 24 luglio 1358.

Nome. Giovanni Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Masser a la moneda.

Fonte. Parti della Quarantìa trascritte da M. Sanuto.

Epoca. Eletto 27 ottobre 1361.

Sigle. ALFA CEDILLA.

Nome. Secondo Aventurado.

Titolo dell'ufficio. Oficial a la moneda.

Fonte. Parti della Quarantìa trascritte da M. Sanuto.

Epoca. Eletto 1362.

Sigle. S.

Nome. Nicoletto Badoer.

Titolo dell'ufficio. Massarius argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 8 giugno 1362.

Sigle. N.

Nome. Nicolò Corner.

Titolo dell'ufficio. Massarius argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 15 dicembre 1362.

Sigle. N.

Nome. Secondo Aventurado.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 14 aprile 1364.

Sigle. S.

Nome. Justo Foscarini.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 12 gennaio 1367.

Sigle. I.

Nome. Secondo Aventurado.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Confermato 12 gennaio 1367.

Sigle. S.

Nome. Donato Quintavalle.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti et tornesellorum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 10 maggio 1370.

Sigle. D.

Nome. Filippo Barbarigo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti et tornesellorum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 10 maggio 1370.

Sigle. F.

Nome. Pietro Magno.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad monetam Sancti Marci.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 1 luglio 1371.

Nome. Donato Quintavalle.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Confermato 24 maggio 1372.

Sigle. D.

Nome. Filippo Barbarigo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Confermato 24 maggio 1372.

Sigle. F.

Nome. Pietro Viaro.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 30 maggio 1385.

Sigle. P.

Nome. Antonio Tiepolo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 6 giugno 1385.

Nome. Daniele Dandolo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 17 agosto 1385.

Nome. Marco Baffo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 20 agosto 1385.

Sigle. OI.

Nome. Fantino Morosini.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad cecham argenti.

Fonte. Senato, Misti.

Epoca. Era stato 27 marzo 1416.

Sigle. F.

Nome. Daniel Canal.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad cecham argenti.

Fonte. Senato, Misti.

Epoca. Era stato 27 marzo 1416.

Sigle. D.

Nome. Andrea Nani.

Titolo dell'ufficio. Massaro a la zecha de l'arzento.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Cessa 6 febbraio 1420.

Sigle. A.

Nome. Francesco Pesaro.

Titolo dell'ufficio. Officialis monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 10 agosto 1421.

Sigle. F.

Nome. Tomaso Mocenigo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 20 aprile 1423.

Sigle. T S, T sopra S.

Nome. Paolo Michiel.

Titolo dell'ufficio. Nassarius monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 24 giugno 1423.

Sigle. P OI, P sopra OI.

Nome. Marin Caravello.

Titolo dell'ufficio. Offitialis super moneta argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 12 agosto 1423.

Nome. Zuan Boldù.

Titolo dell'ufficio. Massaro a la moneta de l'arzento.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 14 luglio 1429.

Sigle. EZH capovolta B, EZH capovolta sopra B.

Nome. Nicolò Venier.

Titolo dell'ufficio. Masser a la moneda de l'arzento.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 14 luglio 1429.

Sigle. n sopra V.

Nome. Nicolò Venier.

Titolo dell'ufficio. Masser a la moneda de l'arzento.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 12 aprile 1432.

Sigle. n sopra V.

Nome. Zuanne Barbo.

Titolo dell'ufficio. Masser a la moneda de l'arzento.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 12 aprile 1432.

Sigle. EZH CODA sopra B.

Nome. Raffaele Barisan.

Titolo dell'ufficio. Masser a la moneda de l'arzento.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 15 aprile 1434.

Sigle. R sopra B.

Nome. Ettor Pasqualigo.

Titolo dell'ufficio. Masser a la moneda de l'arzento.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 15 aprile 1434.

Sigle. EPSILON LUNA sopra P.

Nome. Lodovico Loredan.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 31 dicembre 1439.

Sigle. L L.

Nome. Marco Valier major.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 31 dicembre 1439.

Nome. Andrea Corner.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 24 settembre 1441.

Nome. Marco Paruta.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 24 settembre 1441.

Sigle. M P, M sopra P, OI sopra P.

Nome. Alessandro Pasqualigo.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 25 novembre 1443.

Sigle. A P.

Nome. Giacomo Pizzamano.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 25 novembre 1443.

Nome. Carlo Querini.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 27 dicembre 1443.

Sigle. K sopra Q.

Nome. Zuanne Zorzi.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 29 settembre 1445.

Sigle. EZH CODA EZH CODA, EZH CODA sopra EZH CODA.

Nome. Francesco Lando.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 29 settembre 1445.

Sigle. F L, F sopra L.

Nome. Nicolò Balastro.

Titolo dell'ufficio. massarii Monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 9 luglio 1447.

Sigle. N B, N sopra B, n sopra B.

Nome. Dario Zusto major.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 24 settembre 1447.

Sigle. D I, D EZH CODA, D sopra I.

Nome. Marin Morosini.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 22 giugno 1449.

Sigle. M M, OI M, M sopra M.

Nome. Venceslao da Riva.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 31 dicembre 1449.

Nome. Marco Barbarigo.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 26 magg. 1450.

Sigle. M corsivo B, M sopra B, M corsivo sopra B simmetrica, M corsivo sopra B.

Nome. Nicolò Foscarini.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 22 luglio 1450.

Sigle. N F, N f, N sopra F.

Nome. Benedetto Soranzo.

Titolo dell'ufficio. mMassarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 14 maggio 1452.

Sigle. B S, B sopra S.

Nome. Natale Corner.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 24 settembre 1452.

Sigle. N C, N sopra C.

Nome. Marco Gradenigo.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 23 giugno 1454.

Nome. Marco Venier.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eleggesi 29 giugno 1455.

Nome. Polo Zancariol.

Titolo dell'ufficio. Masseri a l'ofitio de la moneda.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 24 dicembre 1461.

Sigle. P EZH CODA.

Nome. Marin Memmo.

Titolo dell'ufficio. Masseri a l'ofitio de la moneda.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 24 dicembre 1461.

Sigle. M . . .

Nome. Zuanne Paruta.

Titolo dell'ufficio. mMasseri a l'ofitio de la moneda.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 24 dicembre 1461.

Sigle. EZH CODA P.

Nome. Domenico Bondumier.

Titolo dell'ufficio. Signori de la zecha.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 14 maggio 1462.

Sigle. d B.

Nome. Daniele Da Lezze.

Titolo dell'ufficio. Signori de la zecha.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 14 maggio 1462.

Sigle. d d.

Nome. Piero Dandolo.

Titolo dell'ufficio. Masseri a la zecha.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 6 settembre 1463.

Sigle. P D.

Nome. Bernardo Bondumier.

Titolo dell'ufficio. Masseri a la zecha.

Fonte. Capitolare delle Brocche.

Epoca. Era tale 6 settembre 1463.

Nome. Michele Contarini.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 1 dicembre 1464.

Nome. Francesco Erizzo.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 10 aprile 1466.

Nome. Caterino Darmer.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 21 aprile 1466.

Nome. Bernardo Giustinian.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 11 agosto 1467.

Nome. Piero Caravello.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 20 luglio 1467.

Nome. Filippo Boldù.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 28 gennaio 1467.

Nome. Stefano Contarini.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 13 marzo 1468.

Nome. Nicolò Michiel.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 29 maggio 1469.

Nome. Francesco Bembo.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 26 luglio 1469.

Nome. Piero Griti.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 20 settembre 1470.

Nome. Nicolò Foscarini.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete argenti.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 31 gennaio 1470.

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TAVOLA II.
MASSARI ALL'ORO.

Nome. Zuanne Bondimier.

Titolo dell'ufficio. Ofiziali a far far ducati.

Fonte. Cronachetta di Donato Contarini.

Epoca. Eletto 1285.

Nome. Mattio de Rainaldo.

Titolo dell'ufficio. Ofiziali a far far ducati.

Fonte. Cronachetta di Donato Contarini.

Epoca. Eletto 1285.

Nome. Zuanne Bondimier.

Titolo dell'ufficio. Ofiziali a far far ducati.

Fonte. Cronachetta di Donato Contarini.

Epoca. Confermato 1287.

Nome. Mattio de Rainaldo.

Titolo dell'ufficio. Ofiziali a far far ducati.

Fonte. Cronachetta di Donato Contarini.

Epoca. Confermato 1287.

Nome. Michele Trevisan.

Titolo dell'ufficio. Officium monete auri.

Fonte. Capitulare massariorum monete.

Epoca. Eletto 11 ottobre 1298.

Nome. Pietro Contarini.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Cessa 9 luglio 1348.

Nome. Paolo Steno.

Titolo dell'ufficio. Ad massariam auri.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 18 giugno 1348.

Nome. Dardi de Lorenzo.

Titolo dell'ufficio. Ad massariam auri.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 18 giugno 1348.

Nome. Costantino Nani.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 9 luglio 1348.

Nome. Pietro Baffo.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 9 luglio 1348.

Nome. Giovanni Navager.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Cessa 4 agosto 1348.

Nome. Giovanni Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 4 agosto 1348.

Nome. Marco Marmora.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad mon. auri.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 24 maggio 1350.

Nome. Costantino Nani.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 17 dicembre 1353.

Nome. Dardi de Lorenzo.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 20 dicembre 1353.

Nome. Donato Quintavalle.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 21 dicembre 1363.

Nome. Luca Viadro.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 30 maggio 1365.

Nome. Jacopo Bollani.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 2 novembre 1365.

Nome. Zuanne Valaresso.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 10 novembre 1365.

Nome. Donato Quintavalle.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 5 gennaio 1365.

Nome. Piero Calbo.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 12 luglio 1366.

Nome. Zuanne Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 15 dicembre 1367.

Nome. Nicolò Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Registri della Quarantìa.

Epoca. Eletto 21 novembre 1375.

Nome. Piero Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Massarius ad aurum.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 29 marzo 1383.

Nome. Marco Zancani.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 12 aprile 1383.

Nome. Zuanne Giustinian.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 7 luglio 1383.

Nome. Antonio Tiepolo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 12 luglio 1383.

Nome. Giacomo Trevisan.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 16 luglio 1385.

Nome. Cristofolo Zancani.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 17 agosto 1385.

Nome. Lodovico Moro.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 4 novembre 1386.

Nome. Donato Da Lezze.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 11 novembre 1386.

Nome. Piero Papaziza.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 18 novembre 1386.

Nome. Cristofolo Zancani.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 2 dicembre 1386.

Nome. Donato Quintavalle.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 23 aprile 1387.

Nome. Pietro Ghisi.

Titolo dell'ufficio. Massari all'oro.

Fonte. Senato, Misti, registro 51, carte 91.

Epoca. Confermato 30 gennaio 1415.

Nome. Michele Contarini.

Titolo dell'ufficio. Massari all'oro.

Fonte. Senato, Misti, registro 51, carte 91.

Epoca. Confermato 30 gennaio 1415.

Nome. Tomaso Mocenigo.

Titolo dell'ufficio. Massari all'oro.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 15 dicembre 1419.

Nome. Pietro Ghisi.

Titolo dell'ufficio. Massari all'oro.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 15 dicembre 1419.

Nome. Pietro Lando.

Titolo dell'ufficio. Officialis monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 5 ottobre 1421.

Nome. Orsato Giustinian.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 18 ottobre 1421.

Nome. Biagio Venier.

Titolo dell'ufficio. Officialis monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 14 dicembre 1421.

Nome. Vettor Duodo.

Titolo dell'ufficio. Offic. super mon. auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 21 settembre 1423.

Nome. Paolo Malipiero.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 22 giugno 1438.

Nome. Giacomo Corner.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 28 dicembre 1439.

Nome. Nicolò Giustinian.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 26 giugno 1440.

Nome. Michele Lion.

Titolo dell'ufficio. massarii monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 22 luglio 1441.

Nome. Antonio Zen.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 24 settembre 1441.

Nome. Bernardo Donà.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Cessa 31 marzo 1443.

Nome. Orsato Giustinian.

Titolo dell'ufficio. Massarii monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 25 novembre 1443.

Nome. Antonio Querini.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 13 marzo 1445.

Nome. Michele Lion.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 29 settembre 1445.

Nome. Francesco Dandolo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 27 dicembre 1445.

Nome. Andrea Venier.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 24 settembre 1447.

Nome. Gerolamo Foscolo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 24 settembre 1447.

Nome. Bortolomeo Barbarigo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 28 dicembre 1449.

Nome. Leonardo Calbo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 28 dicembre 1449.

Nome. Zaccaria Bembo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 25 ottobre 1450.

Nome. Antonio Loredan.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 17 ottobre 1451.

Nome. Bernardo Cappello.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 7 gennaio 1452.

Nome. Pietro Pizzamano.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 7 gennaio 1452.

Nome. Lorenzo Barbarigo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 27 marzo 1453.

Nome. Gerolamo Querini.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 24 agosto 1455.

Nome. Stai Balbi.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 2 novembre 1455.

Nome. Antonio Contarini.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 22 gennaio 1464.

Nome. Gerolamo Bernardo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 25 gennaio 1465.

Nome. Marino Da Canal.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 19 maggio 1466.

Nome. Benedetto Sagredo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 24 maggio 1467.

Nome. Francesco Bragadin.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 21 settembre 1467.

Nome. Marco Bollani.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 22 dicembre 1467.

Nome. Gerolamo Malipiero.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 4 gennaio 1467.

Nome. Marco Memo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 23 settembre 1468.

Nome. Zusto Gradenigo.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 26 maggio 1469.

Nome. Andrea Vitturi.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 26 gennaio 1469.

Nome. Alvise Trevisan.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 26 settembre 1470.

Nome. Lorenzo Falier.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 28 maggio 1471.

Nome. Gerolamo Corner.

Titolo dell'ufficio. Massarius monete auri.

Fonte. Segretario alle voci.

Epoca. Eletto 27 settembre 1471.

[Nuova pagina]

NOTE A "APPENDICE II".

(1) Il passo è riportato nel capitolo "Pietro Ziani", penultimo paragrafo.

(2) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'oro, rubr. XLIX.

(3) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, 27 settembre 1300, registro Magnus, carte 11.

(4) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Capricornus, carte 8 tergo e Capitolare dei massari all'oro, rubrica XXVI.

(5) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'oro, rubr. XXVII.

(6) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 1 tergo.

(7) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'oro, rubr. XLIX.

(8) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 31, carte 1 tergo.

(9) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 36, carte 77 tergo.

(10) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 46, carte 150.

(11) Regio Archivio di Stato. Capitolare delle Brocche, carte 3.

(12) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 49, carte 81.

(13) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 50, carte 96.

(14) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 51, carte 91.

(15) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 51, carte 122 tergo.

(16) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 52, carte 54.

(17) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Commune II, carte 86.

(18) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Spiritus, carte 25.

(19) Regio Archivio di Stato. Maggior Consiglio, registro Novella, carte 28 tergo.

(20) Regio Archivio di Stato. Parti della Quarantìa Criminale trascritte da Marino Sanuto, carte 14.

(21) Regio Archivio di Stato. Quarantìa Criminale, Parti, registro II, carte 75.

(22) Regio Archivio di Stato. Senato, Misti, registro 53, carte 106.

(23) Biblioteca Papadopoli. Capitolare dei massari all'oro, carte 5 tergo.

[Nuova pagina]

APPENDICE III.

[Nuova pagina]

TAVOLA I.
RARITÀ E PREZZO ATTUALE DELLE MONETE VENEZIANE SINO AL 1471.
MONETE DEGLI IMPERATORI.

Moneta. Lodovico I denaro con VENECIAS MONETA.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 150.

Moneta. Lodovico I denaro con VENECIAS.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Lotario denaro.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 150.

Moneta. Denaro anonimo con XPE SALVA VENECIAS.

Rarità. R6.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Denaro anonimo con CRISTVS IMPERAT.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 10.

Moneta. Corrado I denaro.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 150.

Moneta. Enrico II.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Enrico III e IV.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 5.

MONETE DEI DOGI.

Moneta. Vitale Michiel II bianco (mezzo denaro).

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Sebastiano Ziani denaro o piccolo.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 3.

Moneta. Orio Malipiero piccolo.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 2.

Moneta. Orio Malipiero bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Enrico Dandolo grosso.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 30.

Moneta. Enrico Dandolo piccolo.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 2.

Moneta. Enrico Dandolo bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Enrico Dandolo quartarolo (un quarto di denaro).

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Pietro Ziani grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Pietro Ziani bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 60.

Moneta. Pietro Ziani quartarolo.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 4.

Moneta. Jacopo Tiepolo grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Jacopo Tiepolo bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Jacopo Tiepolo quartarolo.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 6.

Moneta. Marino Morosini grosso.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Marino Morosini bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Marino Morosini quartarolo.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 60.

Moneta. Ranieri Zeno grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Ranieri Zeno bianco.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Ranieri Zeno quartarolo.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 4.

Moneta. Lorenzo Tiepolo grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Lorenzo Tiepolo piccolo.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 3.

Moneta. Lorenzo Tiepolo bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 60.

Moneta. Lorenzo Tiepolo doppio quartarolo.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Lorenzo Tiepolo quartarolo.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Jacopo Contarini grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Jacopo Contarini piccolo.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Jacopo Contarini bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Jacopo Contarini doppio quartarolo.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Jacopo Contarini quartarolo.

Rarità. R6.

Prezzo in Lire italiane. 40.

Moneta. Giovanni Dandolo ducato.

Rarità. R3.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Giovanni Dandolo grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 3.

Moneta. Giovanni Dandolo piccolo.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Giovanni Dandolo bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Giovanni Dandolo doppio quartarolo.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Giovanni Dandolo quartarolo.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Pietro Gradenigo ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Pietro Gradenigo grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 3.

Moneta. Pietro Gradenigo piccolo.

Rarità. R3.

Prezzo in Lire italiane. 10.

Moneta. Pietro Gradenigo bianco.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Pietro Gradenigo doppio quartarolo.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 25.

Moneta. Pietro Gradenigo quartarolo (1).

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Marino Zorzi ducato.

Rarità. R6.

Prezzo in Lire italiane. 400.

Moneta. Marino Zorzi grosso.

Rarità. R5.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Marino Zorzi quartarolo.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Giovanni Soranzo ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Giovanni Soranzo grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 2.

Moneta. Giovanni Soranzo piccolo.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Giovanni Soranzo bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 60.

Moneta. Giovanni Soranzo quartarolo.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Francesco Dandolo ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Francesco Dandolo grosso.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 4.

Moneta. Francesco Dandolo mezzanino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Francesco Dandolo soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Francesco Dandolo piccolo.

Rarità. R3.

Prezzo in Lire italiane. 10.

Moneta. Francesco Dandolo bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 60.

Moneta. Bartolomeo Gradenigo ducato.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 25.

Moneta. Bartolomeo Gradenigo grosso.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 6.

Moneta. Bartolomeo Gradenigo soldino.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Bartolomeo Gradenigo piccolo.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Andrea Dandolo ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Andrea Dandolo grosso.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 6.

Moneta. Andrea Dandolo mezzanino nuovo tipo.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Andrea Dandolo soldino vecchio tipo.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Andrea Dandolo soldino nuovo tipo.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Andrea Dandolo piccolo.

Rarità. R3.

Prezzo in Lire italiane. 10.

Moneta. Andrea Dandolo bianco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Andrea Dandolo tornesello.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Marino Falier ducato.

Rarità. R6.

Prezzo in Lire italiane. 400.

Moneta. Marino Falier soldino.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 25.

Moneta. Marino Falier tornesello.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Giovanni Gradenigo ducato.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 30.

Moneta. Giovanni Gradenigo grosso.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 150.

Moneta. Giovanni Gradenigo soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Giovanni Gradenigo piccolo.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Giovanni Gradenigo tornesello.

Rarità. R3.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Giovanni Dolfin ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Giovanni Dolfin soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Giovanni Dolfin piccolo.

Rarità. R5.

Prezzo in Lire italiane. 30.

Moneta. Giovanni Dolfin tornesello.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Lorenzo Celsi ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Lorenzo Celsi soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Lorenzo Celsi piccolo.

Rarità. R5.

Prezzo in Lire italiane. 30.

Moneta. Lorenzo Celsi tornesello.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Marco Corner ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Marco Corner soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Marco Corner piccolo.

Rarità. R6.

Prezzo in Lire italiane. 40.

Moneta. Marco Corner tornesello.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Andrea Contarini ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Andrea Contarini grosso secondo tipo.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Andrea Contarini soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Andrea Contarini simile nuovo tipo.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Andrea Contarini tornesello.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Michele Morosini ducato.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 150.

Moneta. Michele Morosini grosso.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 200.

Moneta. Michele Morosini soldino.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 25.

Moneta. Michele Morosini tornesello.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Antonio Venier ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Antonio Venier grosso secondo tipo.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Antonio Venier simile terzo tipo.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 2.

Moneta. Antonio Venier soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Antonio Venier piccolo.

Rarità. R5.

Prezzo in Lire italiane. 30.

Moneta. Antonio Venier tornesello.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Michele Steno ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Michele Steno grosso.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 2.

Moneta. Michele Steno soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Michele Steno piccolo.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 25.

Moneta. Michele Steno mezzanino (soldo per Verona).

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 4.

Moneta. Michele Steno piccolo per Verona e Vicenza.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 8.

Moneta. Michele Steno tornesello.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Tomaso Mocenigo ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 18.

Moneta. Tomaso Mocenigo grosso.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 4.

Moneta. Tomaso Mocenigo soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 1.

Moneta. Tomaso Mocenigo piccolo.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Tomaso Mocenigo simile per Verona e Vicenza.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 20.

Moneta. Tomaso Mocenigo piccolo col busto di San Marco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Tomaso Mocenigo tornesello.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Francesco Foscari ducato.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Francesco Foscari grossone da 8 soldi.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. 2.

Moneta. Francesco Foscari simile, varietà.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 150.

Moneta. Francesco Foscari grosso, o grossetto.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Francesco Foscari mezzo grosso.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 3.

Moneta. Francesco Foscari soldino.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Francesco Foscari piccolo, o denaro.

Rarità. R3.

Prezzo in Lire italiane. 10.

Moneta. Francesco Foscari simile di nuovo tipo.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Francesco Foscari quattrino per la terraferma.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Francesco Foscari simile, varietà.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 60.

Moneta. Francesco Foscari quattrino per Ravenna.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 60.

Moneta. Francesco Foscari mezzo quattrino per Ravenna.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Francesco Foscari piccolo, o bagattino per Brescia.

Rarità. C.

Prezzo in Lire italiane. C.

Moneta. Francesco Foscari piccolo, o bagattino per Verona e Vicenza.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Francesco Foscari piccolo, o bagattino colla testa di San
Marco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Francesco Foscari tornesello.

Rarità. R3.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Pasquale Malipiero ducato.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 25.

Moneta. Pasquale Malipiero grosso, o grossetto.

Rarità. R3.

Prezzo in Lire italiane. 15.

Moneta. Pasquale Malipiero soldino.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Pasquale Malipiero quattrino, o duino.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Pasquale Malipiero picoclo colla testa di San Marco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Cristoforo Moro ducato.

Rarità. R.

Prezzo in Lire italiane. 25.

Moneta. Cristoforo Moro grosso.

Rarità. R5.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Cristoforo Moro soldino.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Cristoforo Moro piccolo di rame col busto del doge.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 80.

Moneta. Cristoforo Moro piccolo di rame col busto del doge senza iscrizione.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 60.

Moneta. Cristoforo Moro piccolo copoluto.

Rarità. R2.

Prezzo in Lire italiane. 5.

Moneta. Cristoforo Moro piccolo colla testa di San Marco.

Rarità. R8.

Prezzo in Lire italiane. 100.

Moneta. Cristoforo Moro tornesello.

Rarità. R7.

Prezzo in Lire italiane. 50.

Moneta. Moneta anonima per la Dalmazia.

Rarità. R4.

Prezzo in Lire italiane. 30.

Moneta. Moneta anonima per la Dalmazia. Varietà.

Rarità. R6.

Prezzo in Lire italiane. 50.

[Nuova pagina]

NOTE A "APPENDICE III".

(1) Un più accurato esame dell'esemplare, esistente nel Museo civico di Trieste, dimostra che esso è un doppio quartarolo sciupato. Nelle schede manoscritte di C. Kunz è notato come esistente presso la Collegiata di Cividale il quartarolo di Pietro Gradenigo. Recatomi appositamente a Cividale, non trovai la moneta, e non potei averne alcuna notizia.

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INDICE ALFABETICO.

[Nuova pagina]

A.

Aggiustare. — Termine tecnico di zecca, che indica quell'operazione, con cui si tagliano gli angoli dei quadrelli di metallo per farne i dischi, sui quali dev'essere improntata la moneta. In veneziano zustar.

Anonime. — Monete senza nome di doge. Sono raccolte in un capitolo speciale.

Aspri per la Tana ordinati nel 1461. Non si conosce se sono stati coniati.

Aureola. — Moneta che dovrebbe chiamarsi in tal modo dal nome del doge
Orio od Aurio. Non ha mai esistito.

B.

Bagattino. — Nome dato ai piccoli o denari in Lombardia e nelle città del Veneto. A Venezia per la prima volta usato in pubblici documenti nel 1442. — Bagattini per Brescia, Bergamo, Verona e Vicenza, Padova, Treviso e Friuli. Vedi Piccoli.

Bianco. — Moneta veneziana, frazione e probabilmente metà del danaro.
— Ultima menzione del bianco ai tempi di Andrea Dandolo.

Bolle ducali. — Secondo l'uso comune nei bassi tempi i dogi usavano il sigillo di piombo detto bolla, perché fatto da una sfera di piombo che compressa da due conî si trasformava in un disco colla impronta da entrambi i lati. In rarissimi casi si usavano le bolle d'oro e d'argento. Ho riprodotto alcune delle bolle ducali, perché meglio delle monete rappresentano le successive trasformazioni del costume del doge: Bolla in piombo di Orio Malipiero, — di Enrico Dandolo, — di Jacopo Tiepolo, — di Ranieri Zeno, — di Giovanni Soranzo, — di Marin Falier. — Bolla in oro di Michele Steno, — in piombo di Francesco Foscari, — di Cristoforo Moro.

Bollo di San Marco posto sui lavori di orificeria, quale prova di essere stati saggiati e trovati di giusta lega. — Bollo con cui si controllavano le bilancie ed i pesi dai cambiadori.

Brescia. — Grossi di Brescia, fatti ad imitazione dei veneziani, proibiti. — Piccoli o bagattini per Brescia — Quattrini per la terraferma, a Brescia valevano 2 piccoli e si chiamavano quattrini duini. — Piccoli di Brescia, sono in parte ritirati o fusi par farne quattrini duini.

C.

Campanella. — L'oro e l'argento condotto a Venezia doveva vendersi all'incanto a Rialto, ciocché si diceva a campanella od alla campanella. — Si abolisce. — Si ripristina. — I tedeschi pagavano un grosso ad ogni marca d'oro per no dar campanella, ossia per essere liberati da tale obbligo.

Capitolare. — Libro ove erano scritti i doveri ed i diritti dei Magistrati. Prima notizia dei Massari sorveglianti la zecca e del loro Capitolare. — Capitolare dei massari della moneta, compilato nel 1278, conservato all'Archivio di Stato. — Documento IV. — Abolito. — Capitolare delle brocche, codice membranaceo del secolo XIV esistente nel Regio Archivio di Stato, dove, oltre i decreti, sono ricordati gli ordini verbali e le memorie relative alla zecca. — Capitolare dei massari all'oro, codice membranaceo del secolo XIV, esistente nella Biblioteca Papadopoli. — Capitolare dei massari all'argento, compilato nell'anno 1691, esistente nella biblioteca Papadopoli.

CARLO MAGNO. — Durante il regno di Carlo Magno, a Venezia non fu coniata moneta. — Lira carolingia istituita da Carlo Magno.

Carrarini, coniati a Padova, sono banditi.

Cattaro. — Città venuta in possesso dei veneziani nel 1420, ebbe prima e conservò il diritto di zecca, coniando monete secondo il sistema monetario locale.

CELSI LORENZO, LVIII doge. — Facilitazioni ai mercanti tedeschi che portano oro alla zecca. — Descrizione delle monete di Lorenzo Celsi. — Bibliografia.

CONTARINI ANDREA, LX doge. — Guerra contro i genovesi ed assedio di Chioggia. — Provvedimenti finanziari ed economici. — Diminuzione del peso dei soldini e mutazioni nel conio. — Annullamento dell'antico Capitolare dei massari alla moneta. — Grosso del secondo tipo minore di peso e di titolo dell'antico. — Prezzi dei generi di necessità durante la guerra di Chioggia. — Valore del ducato. — Carrarini, coniati a Padova, sono banditi. — Ducati veneziani, imitati a Teologo od Altoluogo (Efeso). — Descrizione delle monete di Andrea Contarini. — Bibliografia.

CONTARINI JACOPO, XLVII doge. — Nella promissione ducale, il doge deve giurare di mantenere intatta la moneta e di punire i falsificatori. — Capitolare dei massari alla moneta. — Descrizione delle monete di Jacopo Contarini. — Bibliografia.

CORNER MARCO, LIX doge. — Provvedimenti contro i ducati fabbricati all'estero ad imitazione dei veneziani. — Descrizione delle monete di Marco Corner. — Bibliografia.

Corone e Modone. — Castelli della Morea, ove un decreto del Maggior
Consiglio ordinava di aprire una zecca.

CORRADO I, imperatore e re d'Italia, II come re di Germania. —
Descrizione del denaro di Corrado. — Bibliografia.

D.

Dalmazia. — Moneta coniata per Zara e la Dalmazia, — è il soldo della lira dalmata. — Descrizione e bibliografia.

DANDOLO ANDREA, LIV doge. — Saggio o campione dei ducati. — Ultima deliberazione che riguarda i bianchi. — Ducati bollati. — Valore del grosso elevato a 4 soldi. — Nuovo mezzanino e nuovo soldino. — Origine e diffusione del tornese. — Tornesello veneziano. — Descrizione delle monete di Andrea Dandolo. — Bibliografia.

DANDOLO ENRICO, XLI doge. — Grosso, nuova moneta, — epoca della sua istituzione. — Nomi, valore, peso ed intrinseco del grosso. — Quartarolo, altra nuova moneta di quel tempo. — Descrizione delle monete di Enrico Dandolo. — Bibliografia.

DANDOLO FRANCESCO, LII doge. — Saggio e bollo sui lavori degli orrefici. — Nuove monete d'argento, una detta mezzanino del valore di mezzo grosso, l'altra soldino del valore di 12 danari. — Lagni dei Trevisani per le nuove monete. — Imitazione di monete veneziane in Slavonia (Veglia). — Descrizione delle monete di Francesco Dandolo. — Bibliografia.

DANDOLO GIOVANNI, XLVIII doge. — Il valore del grosso è portato a 32 piccoli. — Nuova lega del piccolo diminuito. — Creazione del ducato d'oro. — Tipo del ducato. — Bontà, peso e valore del ducato. — Lira di piccoli. — Lira di grossi. — Lira di grossi a oro. — Lira di piccoli ad parvos. — Lira di piccoli ad grossos. — Il Maggior Consiglio delega i suoi poteri al doge, ai consiglieri ed alla Quarantìa per le faccende della zecca. — Nomina dei massari all'oro ed alla moneta. — Descrizione delle monete di Giovanni Dandolo. — Bibliografia.

Denaro. — Dodicesima parte del soldo e quindi la duecentoquarantesima parte delle lire. — Sola moneta coniata dagli imperatori ed a Venezia fino a tutto il XII secolo. — Suo peso ed intrinseco durante i sovrani Carolingi. — Denaro di Lodovico I imperatore, — sua descrizione, — bibliografia. — Denaro col nome di Lotario I, — sua descrizione, — bibliografia. — Denaro con XPE SALVA VENECIAS, — sua descrizione, — bibliografia. — Denaro con CRISTVS IMPERAT, — sua descrizione, — bibliografia. — Denaro di Corrado I imperatore, — sua descrizione, — bibliografia. — Denaro di Enrico II imperatore, — sua descrizione, — bibliografia. — Denaro di Enrico III e IV colla il protome di San Marco, — sua descrizione, — bibliografia. — Denaro o piccolo veneziano, — suo peso ed intrinseco al tempo di Sebastiano Ziani, — sospesa la coniazione durante i dogi P. Ziani, J. Tiepolo, M. Morosini, e R. Zeno, — si ricominciano a coniare i denari. — Detto bagattino. — Vedi piccolo e bagattino. — Denaro grosso.

Dodesino. — Nome dato al soldino.

DOLFIN GIOVANNI, LVII doge. — Proibizione agli ufficiali della zecca di negoziare nelle materie preziose. — Nuove e più gravi pene a coloro che danneggiano le monete. — Descrizione delle monete di Giovanni Dolfin. — Bibliografia.

Ducato. — Nome dato anticamente al grosso.

Ducato d'oro. — Creato col decreto 31 ottobre 1284. — Tipo del ducato, — bontà, peso e valore. — Ragguaglio fra l'oro e l'argento. — Valutato 40 soldi ad grossos. — Il prezzo del ducato è portato a 24 grossi d'argento. — Saggio o campione dei ducati. — Ducati bollati. — Valore del ducato durante il principato di Andrea Contarini. — Nel 1407 il ducato valeva 93 soldi, mentre nel 1417 valeva 100 soldi. — Si ordina il taglio delle monete d'argento nel 1429, in modo che il ducato equivalga a 104 soldi. — Ducati veneziani imitati all'estero, — in levante, — a Mitilene e Foglie, — a Teologo od Altoluogo, — a Rodi, — ed oltre a ciò a Chiarenza, a Scio ed a Pera.

E.

ENRICO II, imperatore e re d'Italia, III come re di Germania. —
Descrizione dei denari di Enrico II. — Bibliografia.

ENRICO III e IV, imperatori e re d'Italia, IV e V come re di Germania. — Descrizione dei ducati di Enrico III e di Enrico IV colla protome di San Marco. — Bibliografia.

F.

FALIER MARINO, LV doge. — Proibizione di monete false coi tipi dei carrarini, frisachesi e denari a XXII. — Descrizione delle monete di Marino Falier. — Bibliografia.

Falsificatori delle monete puniti dalle leggi. — Nella promissione ducale il doge deve giurare di perseguitare e punire i falsificatori di monete. — Provvedimenti contro i falsari e danneggiatori delle monete. — Pene stabilite per i falsificatori, estese ai forestieri, — ed a coloro che introducono monete false nello Stato.

Falsificazioni delle monete, proibite. — Le monete false che venissero alle casse pubbliche sieno tagliate in quattro pezzi. — Piccoli pessimi e rei forestieri banditi e distrutti. — In causa delle falsificazioni si cambia il modello dei piccoli. — Si invitano i cittadini a presentare i piccoli alle autorità per distruggere i falsi e cambiare i vecchi. — Pene estese a chi introduce monete false nello Stato. — Preoccupazioni e progetti di riforma monetaria in causa delle falsificazioni. — Provvedimenti per distruggere i bagattini falsi e sostituirli con buoni, differenti di tipo dagli antichi.

Fiaoni o Fiadoni, in latino flaones. — Dischi di metallo a cui, dopo le operazioni dette zustar, pesar e mendar, non mancava che l'impronta o stampa per diventare moneta. — L'operaio che improntava il conio si diceva stampidor.

FOSCARI FRANCESCO, LXV doge. — Scarsezza dell'oro. — Ordine di coniare grossoni da 8 soldi, e mezzi grossi da 2 soldi, oltre ai grossi per l'Oriente con una proporzione di peso inferiore a quanto si faceva fino allora. — Monete di bassa lega, coniate per lucro diminuendo il fino. — Piccoli per Venezia, Padova e Treviso, — per Verona e Vicenza, — per Brescia. — Bagattini, — quattrini e mezzi quattrini per Ravenna. — Nuovo piccolo per Venezia. — Quattrino per la terraferma. — Quattrino-duino. — Piccolo colla testa di San Marco. — Provvedimenti contro le falsificazioni. — Pene contro chi introduce nello Stato moneta falsa. — Gli intagliatori della zecca devono essere cittadini veneziani. — Disagio per la troppa abbondanza di moneta bassa. — Il Maggior Consiglio proibisce di coniare quattrini e piccoli senza la sua autorizzazione. — Descrizione delle monete di Francesco Foscari. — Bibliografia.

G.

Ginocchiello. — Nome dato al soldino.

Goti. — Durante la dominazione dei Goti in Italia, non si coniarono monete a Venezia.

GRADENIGO BARTOLOMEO, LIII doge. — Descrizione delle monete di
Bartolomeo Gradenigo. — Bibliografia.

GRADENIGO GIOVANNI, LVI doge. — Pene dei falsificatori inasprite ed estese ai forestieri. — Descrizione delle monete di Giovanni Gradenigo. — Bibliografia.

GRADENIGO PIETRO, XLIX doge. — Decreto che ordina di coniare monete in Corone e Modone. — Opinione del dottor Cumano sulle monete che possono essere state coniate in quelle zecche. — Proibizione ed ordine di distruzione dei grossi di Rascia e Brescia. — Descrizione delle monete di Pietro Gradenigo. — Bibliografia.

Greco impero. — Vedi Impero d'Oriente.

Grosso. — Moneta per la prima volta coniata da Enrico Dandolo. — Nomi e tipo. — Valore originario di 26 piccoli. — Peso e bontà del grosso. — Il valore del grosso è portato a 28 piccoli. — Nel 1282 è elevato a 32 piccoli. — Il valore del grosso è ragguagliato a 4 soldi. — Sospesa la coniazione del grosso. — Secondo tipo del grosso diminuito di peso e peggiorato nel titolo. — Terzo tipo con diminuzione di peso. — Nuova diminuzione ai tempi di Michele Steno, — ed a quelli di Tomaso Mocenigo. — Diminuzione di peso e di fino nei nuovi grossi colle iniziali dei massari. — Diminuzione ulteriore di peso al tempo di F. Foscari. — Dopo la coniazione dei Grossoni da 8 soldi, i grossi furono volgarmente detti grossetti. — Lira di grossi e lira ad grossos (Vedi lira). — Grossi imitati in Italia ed in Levante, — nel regno di Rascia, — a Brescia. — Grossi d'oro, ossia monete col tipo del grosso battute in oro sono fuse, e quindi devono ritenersi fabbricazione dolosa del secolo scorso. Così quello di J. Tiepolo, esistente nel Museo di San Marco, come quelli di G. Soranzo e di F. Foscari.

Grossone da 8 soldi. — Moneta decretata nel 1429. — Varietà esistente al Museo Correr.

I.

Imitazione di monete veneziane in Italia ed in Levante. — Grossi imitati nel regno di Rascia, — a Brescia. — Soldini imitati in Slavonia. — Ducati imitati all'estero, — in Levante, — a Mitilene e Foglie, — a Teologo od Altoluogo, — a Rodi, — ed oltre a ciò a Chiarenza, Scio e Pera.

Impero d'occidente. — Relazioni dei Veneziani coll'Occidente. — Trattato d'Aquisgrana. — Politica veneziana fra i due Imperi. — Quando Venezia riconobbe la suprema autorità dell'Impero d'occidente. — Primo tentativo d'indipendenza. — Pericoli della Repubblica. — Savia politica di Pietro Orseolo II. — Nuova moneta autonoma di Venezia. — Indipendenza di Venezia. — Monete col nome dei dogi.

Impero d'oriente. — Relazioni dei Veneziani cogli Imperatori greci. —
Finché i Veneziani si consideravano parte dell'Impero orientale
non coniarono moneta. — Trattato d'Aquisgrana. — Epoca in cui
Venezia riconobbe la supremazia degli Imperatori latini.

Intagliatori della zecca veneta. — Antonio delle Forbici, Bernardo Sesto, padre di Lorenzo e Marco. — Gerolamo Sesto. — Devono essere cittadini veneziani. — Antonello della Moneta.

L.

Lira. — Unità monetaria istituita da Carlo Magno, divisa in 20 soldi da 12 denari l'uno. — Peso e valore della lira carolingia. — Diminuì d'intrinseco durante gli Imperatori germanici. — Lira di denari veneziani, primi documenti che ne parlano. — Considerata metà della lira imperiale. — Di uguale valore della lira veronese. — Chiamata lira di piccoli. — Valore della lira di piccoli. — Modo di contare la lira di piccoli ad grossos e ad parvos. — Lira di grossi, ossia lira di denari grossi. — Valore della lira di grossi. — Elevato il ducato a 24 grossi, il valore della lira di grossi è uguale a 10 ducati. — Lira di grossi a oro. — Lira di Verona e Vicenza nel secolo XV, maggiore di un terzo della lira veneziana. — Lira di Brescia doppia della veneziana. — Lira dalmata due terzi della lira di piccoli.

LODOVICO I IL PIO, imperatore. — Denari di Lodovico col nome di Venezia. — Opinione di Giulio di San Quintino che tali monete siano coniate a Pavia, — combattuta da Carlo Brambilla. — Parere dell'autore. — Descrizione delle monete di Lodovico I. — Bibliografia.

Longobardi. — Durante il regno dei Longobardi, Venezia non coniò moneta.

LOTARIO I, imperatore. — Denari di Lotario col nome di Venezia. —
Opinione di Giulio di San Quintino che tali monete sieno coniate a
Pavia, — combattuta da Carlo Brambilla. — Parere dell'autore
Descrizione delle monete di Lotario I — Bibliografia.

LOTARIO II, re d'Italia, a cui si deve attribuire il trattato coi
Veneziani, considerato sin qui stipulato con Lotario I.

M.

MALIPIERO ORIO, XL doge. — Moneta chiamata Aureola, dal nome del principe, non ha mai esistito. — Descrizione delle monete di Orio Malipiero. — Bibliografia.

MALIPIERO PASQUALE, LXVI doge. — Si ritirano in parte i piccoli di Brescia per farne quattrini duini. — Proibizione di pagare in scartociis. — Provvedimenti contro i quattrini falsi. — Ordine di coniare aspri per la Tana. — Descrizione delle monete di Pasquale Malipiero. — Bibliografia.

Massari alla moneta. — Magistrati che sorvegliavano la zecca ed eseguivano gli ordini del doge e della Signoria, primo documento che ne parla. — Segni dei massari sui grossi. — Nomina dei massari. — Chiamati più tardi massari all'argento. — Iniziale del nome di battesimo del massaro, posta sulle monete d'argento. — Riforme nella nomina dei massari all'argento. — Appendice II.

Massari all'oro, per la prima volta istituiti nei 1285. — Nominati dal doge unitamente ai consiglieri della Quarantìa, più tardi ad una mano dal doge, consiglieri e capi, ed a due mani dal Maggior Consiglio. — Appendice II.

Matapan. — Nome dato al grosso.

Mendare (emendare). — Operazione con cui si correggevano i difetti dei dischi di metallo destinati a diventare moneta: gli operai occupati in tale lavoro si chiamavano mendadori.

Mezzanino. — Moneta d'argento del valore di mezzo grosso, ossia 16 piccoli, coniata al tempo di Francesco Dandolo. — Mezzanino d'argento fino e di nuovo tipo, del valore di 16 piccoli, coniato da Andrea Dandolo. — Coniato nuovamente ai tempi di Michele Steno, per farne il soldo della lira usata a Verona e Vicenza, che, essendo un terzo più del veneziano, equivaleva a 16 piccoli. — Da 2 soldi, o mezzo grosso, coniato ai tempi di F. Foscari sul tipo del mezzanino di F. Dandolo.

MICHIEL VITALE II, doge XXXVIII. — Prima moneta veneziana col nome del principe. — Bianco. — Descrizione della moneta. — Bibliografia.

Mitilene e Foglie. — Zecche dove fu imitato il ducato veneziano. — I Veneziani se ne lamentano al Senato di Genova, che ne fa rimostranza a Francesco Gattilusio, signore di Mitilene.

Moneta veneziana. — Primo documento che parla di moneta veneziana. — Altri antichissimi documenti che parlano di moneta veneziana. — Considerata metà della imperiale (pavese o milanese). — Derivata dalla moneta carolingia ed eguale alla veronese. — Valore della moneta veneziana.

Monete antiche rifuse.

Monete false. — Vedi Falsificazioni.

Monete stronzate. — Vedi Stronzate.

Monete tosate. — Vedi Tosate.

MOCENIGO TOMASO, LXIV doge. — Riforme e provvedimenti, relativi alla zecca. — Diminuzione del peso dei grossi e dei soldini. — Nuova diminuzione di peso e di titolo. — Piccolo colla testa di San Marco, coniato forse per il Friuli. — Lagni dei Veneziani per le imitazioni dei ducati fatta in Rodi. — Descrizione delle monete di Tomaso Mocenigo. — Bibliografia.

MORO CRISTOFORO, LXVII doge. — Studi per riformare la moneta. — Ordine di distruggere le stampe preparate e di continuare la battitura di grossi. — Provvedimenti contro le falsificazioni dei piccoli e proibizione di darli in scarnutiis. — Respinta la proposta di coniare monetine da 2 o 3 per soldo, si ordina la coniazione di piccoli copuluti e si nega di fare piccoli di puro rame. — Altra simile proposta è nuovamente respinta dai Senato. — A Venezia si devono attribuire le più antiche monete di rame puro. — Ordine di coniare tornesi per il Levante. — Il Senato ordina di sospendere ogni discussione sulla riforma monetaria. — Descrizione delle monete di Cristoforo Moro. — Bibliografia.

MOROSINI MARINO, XLIV doge. — Nella promissione ducale è imposto al doge di perseguitare e punire i falsificatori delle monete. — Descrizione delle monete di Marino Morosini. — Bibliografia.

MOROSINI MICHELE, LXI doge. — Descrizione delle monete di Michele
Morosini — Bibliografia.

O.

Origini della zecca veneta. — Opinioni degli storici sulle origini e sulla antichità della zecca veneta. — Parere dell'autore.

P.

Parva. — Moneta parva, o minuta, erano i piccoli, i bianchi ed i quartaroli. — Il doge deve giurare di mantenere intatta monetam magnam et parvam.

Pesatori. — Funzionari che erano incaricati della delicata operazione di pesare la moneta. Erano nominati nello stesso modo dei massari e con essi si chiamavano ufficiali alla moneta.

Piccolo. — Nome dato al denaro per la sua esiguità. — Sospesa la coniazione durante i principati di P. Ziani, J. Tiepolo, M. Morosini e R. Zeno. — Si ricominciano a coniare i piccoli diminuiti di peso al tempo di L. Tiepolo. — Il pregio del piccolo è ancora diminuito nel 1282. — Nuova lega del piccolo. — Elevato il valore del grosso a 4 soldi, l'intrinseco del piccolo è nuovamente diminuito. — Lega e peso del piccolo nel 1379 e 1390. — Piccolo per Verona e Vicenza. — Piccolo o bagattino colla testa di San Marco, coniato per la prima volta ai tempi di T. Mocenigo, forse per il Friuli. — Ai tempi di F. Foscari. — Col nome di P. Malipiero. — L'argento contenuto nei piccoli è ridotto ad un diciottesimo del peso. — Piccolo o bagattino per Brescia. — Abolizione dei piccoli scodellati e sostituzione d'altro tipo. — Piccoli grandi di puro rame col busto del doge, ordinati alla zecca per mostra da Triadan Gritti. — Proposta di coniare piccoli di rame respinta dal Senato — Nuova ripulsa della stessa proposta presentata l'anno dopo. — Piccoli copoluti ordinati nel 1483.

Punti segreti di zecca, ossia segni dei Massari della moneta. —
Sostituiti dalle iniziali.

Q.

Quarto. — Vedi Quinto.

Quartarolo. — Moneta di valore di un quarto di denaro, coniata per la prima volta ai tempi di Enrico Dandolo.

Quartarolo doppio. — Moneta dello stesso tipo del quartarolo, ma di doppio peso, coniata dai dogi L. Tiepolo, — J. Contarini, — G. Dandolo, — P. Gradenigo.

Quattrino. — Moneta ordinata nel 1453, per comodo della terraferma, valeva 4 piccoli a Padova e Treviso, 3 piccoli della lira usata a Verona e Vicenza, e 2 piccoli della lira di Brescia. — Quattrino e mezzo quattrino per Ravenna.

Quattrino duino si diceva a Brescia il quattrino che valeva 2 denari o piccoli di quella lira — Ritirati e fusi in parte i piccoli di Brescia per farne quattrini duini.

Quinto. — Una quinta parte dell'argento condotto a Venezia, doveva essere consegnata alla zecca, la quale ne coniava monete che erano date ai mercanti in pagamento del quinto dell'argento ricevuto. — Abolizione del sistema dei quinti. — Si ordina che una quarta parte dell'argento portato a Venezia sia coniata, dando al mercante altrettanto peso di monete quanto aveva consegnato d'argento.

R.

Rascia o Serbia. — Grossi, imitati sul modello veneziano, sono proibiti e tagliati. — Urosio, re di Rascia, è dannato da Dante per avere falsificato la moneta di Venezia.

Ravenna. — Quattrino e mezzo quattrino coniati per Ravenna.

Rodi. — Veneziani muovono lamento al gran maestro dei Cavalieri per i ducati coniati a Rodi ad imitazione dei veneziani.

S.

Saggio o campione dei ducati.

Scarnutiis. — E proibito tenere i piccoli in scarnutiis, sistema simile a quello, pure vietato, di darli in scartociis.

Scartociis. — Nel medio evo, quando abbondava la moneta minuta, era uso di chiuderla in borse o cartocci, su cui era scritto il numero dei pezzi contenuti: in seguito ad abusi, tale consuetudine fu vietata.

Scutari. — Città dell'Albania ceduta a Venezia da Giorgio Balsa, aveva zecca, dove i Veneziani continuarono a battere moneta.

Sigillo di Giovanni Gradenigo, — di Pasquale Malipiero.

Slavonia. — Soldini contrafatti a Veglia, proibiti a Venezia.

Soldo. — Ventesima parte della lira, pari a 12 denari, non fu coniato ai tempi dei sovrani carolingi. — Per la prima volta a Venezia coniato in argento, ai tempi di Francesco Dandolo. — Soldino nuovo di argento fino, coniato da Andrea Dandolo. — Nuovo tipo del soldino col leone alato. — Diminuito di peso ai tempi di Andrea Venier, — nel 1407, — e nel 1417. — Nel 1420 peggiorato il titolo e scemato il peso del soldino colle iniziali dei massari. — Soldo per Verona e Vicenza, coniato col tipo del mezzanino, che valeva a Venezia 16 piccoli. — Soldo della lira dalmata. — Soldini veneziani imitati in Slavonia. —Soldo di grossi.

SORANZO GIOVANNI, LI doge. — Provvedimenti contro la diffusione delle monete false e contro i falsificatori e danneggiatori delle monete. — Incisione dei ducati meno accurata. — Descrizione delle monete di Giovanni Soranzo. — Bibliografia.

STENO MICHELE, LXIII doge. — Altra diminuzione del grosso. — Provvedimenti per le monete di Verona e Vicenza. — Mezzanino, ovvero soldo veronese e piccolo per Verona e Vicenza. — Moneta per Zara e Dalmazia. — Zecche di Scutari e Cattaro. — Descrizione delle monete di Michele Steno. — Bibliografia.

Stronzate. — Monete stronzate, tosate o danneggiate col ferro o col fuoco, devono tagliarsi per mezzo.

Stronzatori, o maliziatori di monete, puniti. — Si ripetono le minacce di pene gravi contro gli stronzatori e maliziatori di monete.

Surian. — Stemma della famiglia patrizia Surian sulle monete anonime per la Dalmazia.

T.

Tana. — Ordine di coniare aspri per la Tana.

Teologo od Altoluogo di Turchia si chiamava nel medio evo l'antica
Efeso, dove i Sultani di Aidin tenevano la loro residenza. —
Promessa di quel Sultano di non più imitare il ducato veneziano.

TIEPOLO JACOPO, XLIII doge. — Nell'ordinamento delle leggi sono puniti i falsificatori delle monete. — Il grosso in oro, che esiste nel museo di San Marco, è falso. — Punti o segni dei massari alla moneta. — Descrizione delle monete di Jacopo Tiepolo. — Bibliografia.

TIEPOLO LORENZO, XLVI doge. — Si riprende la coniazione del piccolo portando il valore del grosso a 28 piccoli e diminuendo in proporzione il peso del denaro. — Documento padovano sul valore del grosso. — Apertura d'un ufficio a Rialto per fondere e affinare i metalli. — Descrizione delle monete di Lorenzo Tiepolo. — Bibliografia.

Titolo dell'argento e della moneta veneziana (grosso) peggio 40 carati sino al 1379. — Dal 1379 sino al 1421, peggio 55. — Dal 6 febbraio 1420-21, sono tollerate le pezze sino a carati 60 di peggio, titolo che rimane normale nella zecca veneziana. — Titolo dell'oro, che dovrebbe essere senza lega e ne contiene solo una minima frazione per le imperfezioni dei sistemi di affinamento.

Tornese, ossia denaro di Tours, ebbe favore in Oriente. — Fu coniato nel principato di Acaja, dalla metà del secolo XIII in poi.

Tornesello coniato a Venezia per sostituire i tornesi, dopo la metà del secolo XIV. — Abbondante coniazione di torneselli ai tempi di Antonio Venier.

Tosate. — Monete tosate, stronzate o danneggiate col ferro o col fuoco, devono tagliarsi per mezzo. — Gli ufficiali sopra i grossi tosati (grossis tonsis) devono invigilare presso i cambisti e loro servi.

Trattati di Venezia cogli imperatori d'Occidente. — Trattati con Lotario I. — Il più antico impugnato da San Quintino, — difeso da Romanin, — da me attribuito a Lotario II. — Trattato con Berengario II. — Trattato con Rodolfo di Provenza, nel quale si riconosce a Venezia il diritto di zecca. — Documento I. — Trattato con Ugo di Provenza, nel quale si riconosce a Venezia il diritto di zecca. — Documento Il.

Trattato di Aquisgrana, fra l'impero d'Oriente e quello d'Occidente.

U.

Urosio, re di Rascia, falsificatore del grosso di Venezia.

V.

Valore della moneta veneziana considerata metà della imperiale. —
Uguale alla veronese. — Appendice I.

Valore attuale delle monete antiche di Venezia, Appendice III.

Veglia. — Isola che i Frangipani tenevano in feudo da Venezia. —
Soldini coniati a Veglia, ad imitazione di quelli veneziani.

VENIER ANTONIO, LXII doge. — Provvedimenti per l'amministrazione della zecca, — per il diligente affinamento dei metalli, — per la nomina dei massari, — contro le monete false e stronzate. — Diminuzione del peso del soldino. — Terzo tipo del grosso. — Regolamento sul peso ed intrinseco del piccolo. — Stipendi degli intagliatori della zecca. — Descrizione delle monete di Antonio Venier. — Bibliografia.

Verona aveva la moneta di uguale valore della veneziana nei secoli XII e XIII. — Allorché Verona e Vicenza furono occupate dai Veneziani, nel 1404, la lira usata in quei territori era maggiore di un terzo della lira veneziana. — Ordine di coniare a Venezia soldi e piccoli per Verona e Vicenza.

Vicenza usava la stessa moneta di Verona.

Z.

Zara. — Moneta coniata per Zara e la Dalmazia.

Zecca. — Opinioni dei diversi storici sulle origini e sull'antichità della zecca veneziana. — Parere dell'autore. — Separazione della zecca dell'oro da quella dell'argento.

ZENO RANIERI, XLV doge. — Descrizione delle monete di Ranieri Zeno. —
Bibliografia.

ZIANI PIETRO, LXII doge. — Diffusione del grosso in Oriente ed in
Italia. — Prima notizia intorno ai massari delle monete. —
Descrizione delle monete di Pietro Ziani. — Bibliografia.

ZIANI SEBASTIANO, XXXIX doge. — Denaro o piccolo di questo principe, primo conosciuto, base del sistema monetario veneziano, uguale al veronese. — Deriva da quello di Carlo Magno. — Valore della lira di Carlo Magno. — Decaduta di peso e di valore. — Descrizione delle monete di Sebastiano Ziani. — Bibliografia.

ZORZI MARINO, L doge. — Descrizione delle monete di Marino Zorzi. —
Bibliografia.

Zustar, era quell'operazione con cui si tagliavano gli angoli dei quadrelli di metallo e si dava la rotondità voluta ai dischi destinati a diventar moneta; zustadori si chiamavano gli operai occupati in tale lavoro.

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