The Project Gutenberg eBook of Libro allegro

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Title: Libro allegro

Author: Antonio Ghislanzoni

Release date: March 1, 2006 [eBook #17889]

Language: Italian

*** START OF THE PROJECT GUTENBERG EBOOK LIBRO ALLEGRO ***

Produced by Carlo Traverso, Claudio Paganelli and the

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BIBLIOTECA MINIMA

A. GHISLANZONI

LIBRO ALLEGRO

MILANO

TIPOGRAFIA EDITRICE LOMBARDA

  Stabilimento
  Via Andrea Appiani, N. 10.

  Succursale
  Via Carlo Alberto, Bott. 27.

1878

PROPRIETÀ LETTERARIA

La nuova generazione si è data al serio. Non è dunque ai giovani ch'io dedico il presente libro, sibbene a quei buoni giovialoni del vecchio tempo, che amano ancora di sollazzarsi e di ridere. Quà la mano, o antichi colleghi! Oramai il nostro drappello si è di molto assottigliato, e fra poco ce ne andremo anche noi. Non importa. Spensierata ed allegra fu la nostra carriera, e noi la compiremo ridendo. Quando noi saremo scomparsi, non si vedranno più sulla terra che volti imbronciati, non si udranno che nenie lugubri. Non è meglio morire, piuttosto che inebetirsi in un ambiente sì triste?

I DRAMMI DEL NATALE

Eran vissuti insieme fino della più tenera infanzia—qual meraviglia che all'età delle forti passioni, Sperongiallo e Nasella si amassero? Nessuno si adombri—si tratta di amore platonico; e il mio racconto vuol esser così pudico, che ogni onesta fanciulla di sedici anni potrà permetterne la lettura a sua madre.

* * *

Sperongiallo e Nasella erano due polli della più pura specie indiana. Una buona massaia li aveva aiutati a sgusciarsi, e quindi allevati con molto amore e poco dispendio, sebbene in cuor suo ella innalzasse ogni mattina delle fervide preci al Signore, onde crescessero sani e grassi, e degni dei loro alti destini.

* * *

Venne il dicembre. Sperongiallo e Nasella si videro imbandita una colazione più lauta della consueta; quando i due gozzi furon pieni e oltre l'usato appariscenti, la massaia scese giù nel cortile, afferrò i due volatili per la coda, li chiuse in un canestro, e partì con quello alla volta di Incino. I due reclusi non emisero un gemito.—Due giovani cuori che si amano, si trovano tanto bene in una capanna…. Figuratevi poi in un canestro!

* * *

Era giorno di mercato. I due reclusi rividero la luce, furon tratti sulla piazza e posti in vendita al miglior offerente. Eran giovani, eran belli, promettevano…. E il signor Meronzio ricco proprietario di Oggionno comperò Sperongiallo al prezzo di quattro lire; il dottor Tencalli di Galbiate acquistò Nasella per tre lire e venticinque centesimi. Le femmine costan meno dei maschi; si vuole che riescano più sciapite al palato, e qualche volta più agre.

* * *

La lingua indiana possiede, per esprimere la disperazione del dolore, accenti intraducibili. Nasella, separata a viva forza dal suo compagno di infanzia, strillava a tutta gola: glù-glù-'zit-tai-lai glù-zit-las-gù, ciò che potrebbe in qualche maniera spiegarsi colla parafrasi: amami sempre, conservamiti fedele se lo puoi, e scrivimi affrancando. Sperongiallo, avvinto per le gambe da una fune, urlava d'altra parte: glut-glut as-glut, il che presso a poco significa: amerò…. scriverò…. farò quel che potrò. Nei maschi l'espressione del dolore suol essere più laconica. Le femmine, al dire dei più famosi naturalisti, esalano il doppio di quello che sentono.

* * *

Lettera di Nasella a Sperongiallo

Galbiate, 5 dicembre.

Mio dolcissimo,

Finalmente posso scriverti. Questa mia lettera giungerà a te sulle gambe dell'amore. Fido, un bravo, onestissimo cane del dottor Tencalli, si è preso l'incarico di portartela. Egli viene costì ogni notte per isbrigare certe sue peccaminose faccende colla cagna del tuo attuale padrone. Non dubito che avrai indovinato per istinto di amore in qual parte del proprio individuo il nostro prudente messaggiero abbia custodita la lettera, onde sottrarla alla curiosità pubblica ed alle intemperie. Se la violenza della passione che tu, scellerato, hai saputo ispirarmi, non mi rendesse la più infelice delle tacchine, io dovrei convenire che la mia posizione attuale è di gran lunga migliorata. In casa del dottor Tencalli ho incontrato delle accoglienze entusiastiche. Uomini e bestie (non adombrarti) qui tutti mi adorano. Vogliono che io mi nutra sei volte al giorno—e quali vivande! quali ghiottonerie!… Alla mattina, una polta di farina con torsi di cavoli e lattughe cotte…. Alle dieci, lauta imbandigione di melica…. A mezzodì, zuppa di latte…. Che serve?… Se le razioni fossero doppie, non mancherebbe alla mia felicità che il piacere di dividerle teco.—Gli uomini sono la nostra provvidenza quaggiù—benediciamoli in ogni ora del giorno!—Debbo però convenire che anche gli altri animali di casa Tencalli mi amano e mi stimano. Il cane mi usa ogni cortesia, il gatto mi adocchia con benevolezza, e due grassi paperi a me compagni di letto e di mensa, hanno sempre rispettato il mio pudore. Addio, mio adorato Sperongiallo.—Fido vuol partire e accenna, sollevando la coda, che attende la lettera. Scrivimi presto, scrivimi spesso, e amami come ti amo.

__Lettera di Sperongiallo a Nasella__

Oggionno, 7 dicembre.

Caruccia mia,

Sotto la coda di Fido ho trovata la tua amabilissima lettera, e non puoi immaginare con quanta gioia io abbia divorato i tuoi profumati caratteri. Sì: benediciamo agli uomini, benediciamoli in ogni ora del giorno perchè infatti non v'ha ora del giorno che essi lascino trascorrere senza colmarci di favori. Il mio nuovo ospite signor Meronzio fa degno riscontro al tuo eccellentissimo provveditore dottor Tencalli. Malgrado il mio amore per te, sempre mai fervidissimo, io mangio dal mattino alla sera. La signora del luogo mi predilige. L'altro ieri, dopo avermi amorosamente palpeggiato il collo e il sottocoda, l'ho udita io stesso gridare alle sue genti: Guai per tutti, se al termine del mese costui non è grasso come mio marito!—Sarebbe troppo. Debbo dirtelo, Nasella?… Potrà il tuo amore resistere a siffatta rivelazione? Dal giorno che ci han separati, io ho raddoppiato di volume e di peso.—Ma la bontà degli uomini è grande; essi ci hanno disgiunti, essi penseranno a riunirci—e tu poi, tu…. Nasella, quando saremo riuniti penserai a smagrirmi.—Addio, mi chiamano pel quattordicesimo pasto… Nell'orto vicino vi è una dindietta che canta ogni sera alla distesa l'aria del vieni meco; ma io, colla miglior voglia del mondo, non sarei più in grado, stante l'obesità, di sorvolare al muricciuolo. Vivi dunque sicura della mia fedeltà, e conservati per chi ti ama.

__Nasella a Sperongiallo__

Galbiate, 10 dicembre.

Due righe per dirti che sto bene e che ieri, frugandomi col becco tra le piume posteriori, ho veduto che le mie carni hanno acquistato il candore della neve.—Sei contento? Mi par di sentirti, briccone!… glout-glout…. Eh! convien darsi pazienza! Ieri il guattero mi ha detto sorridendo: fra una settimana ti faremo la festa!… Ciò significa indubbiamente che questi signori, sempre buoni e amorosi con noi, hanno la intenzione di riunirci. Benediciamo la provvidenza umana!

__Sperongiallo a Nasella__

Ho appena la forza di scriverti, tanto sono obeso. In verità, questi signori cominciano ad eccedere nella cortesia. Stamane volevano che io mangiassi otto noci col guscio…. Ho protestato; ma il guattero, che non si intende di lingua indiana, mi aperse il becco di viva forza, e credendo farmi un piacere grandissimo, colle noci mi respinse nel gozzo la protesta. «Inghiotti! inghiotti! gridava dalla sala il signor Meronzio; ti faran bene!» Addio, Nasella! Vado a coricarmi con otto noci sul cuore…. Domani, se sarò vivo, probabilmente starò meglio.

__Nasella a Sperongiallo__

16 dicembre.

Sei tu vivo? o piuttosto: siamo noi vivi?… Lascia, lascia che io gridi col poeta:

«Tutto perfidia, tradimento, inganno!»

Sì! noi siamo traditi…. La strage dei nostri è decretata…. Ho appena il tempo di prevenirti…. Se puoi, affrettati…. salta il muro…. riparati all'estero.

I due grossi paperi, che dividevano meco gli innocenti tripudî del pollaio, son caduti stamane sotto il ferro del carnefice. E sai chi è stato il carnefice? Quello stesso che tutte le mattine ci apprestava il cibo e ci colmava di amorevolezze. La famiglia del Tencalli, uomini, donne, fanciulli, assistevano alla strage ridenti e plaudenti. La sorte di quegli sventurati paperi sarà la mia. Il mio supplizio fu differito di alcune ore in grazia di un giovine poeta qui giunto da Milano, il quale intercesse per me. Le sue cordiali e fervide invettive contro la scelleraggine umana disarmarono per poco la sanguinaria ferocia del guattero. Ma il buono e coraggioso poeta non ha egli divorato, oggi stesso, alla mensa dei Tencalli, due auree costolette, le quali, or fanno appena cinque giorni, erano incorporate ad un vitello, unico figlio della più onesta delle vacche?—Te lo ripeto: tutti perfidi e spietati!… Dio!… l'uomo bianco!… il coltello!… dove fuggo?…

__Sperongiallo a Nasella__

17 dicembre.

…..La tua lettera mi trova…. spirante. Ti scrivo col sangue…. Mi unisco a te nell'imprecare alla ipocrisia ed alla ferocia degli uomini…. Iddio ci vendicherà…. Ci rivedremo nella patria degli eletti, laddove tutti, uomini e bestie, diverremo ragionevoli e buoni…. per mancanza di appetito. Ti consoli il pensiero che io muoio grasso come i tenori dell'opera, e posso al pari di questi cantare nell'agonia:

    Nasella… io t'amo…. io t'amo…
      E ti precedo in ciel!

Ti dedico il mio ultimo si…. ben…. molle….

……Ah!!!…

__Fido a Diana__

28 dicembre.

«Perdona se ieri non son venuto a trovarti. Sai bene; al Natale, in casa Tencalli, tutti imbestialiscono più del solito. Non dubito che tu avrai passata la festa cristianamente. Qui ce ne siam dati da crepare. Da me solo ho dovuto smaltirmi le ossa di due paperi e quelle di Nasella per giunta. Micione, il gatto di casa, che gli altri anni mi aiutava col suo buon stomaco alla cremazione degli scheletri, questa volta…. fu egli stesso cremato da alcuni buontemponi, i quali, in difetto di pollame, lo mangiarono in guazzetto. Ringraziamo Dio d'aver dato alle nostre carni un sapore ripugnante al palato degli uomini; ove ciò non fosse, questi signori sarebbero ben capaci di divorarci anche noi, che siamo, come essi affermano colle parole e cogli scritti, i loro migliori amici.»

FIDO.

GIANBARBA

La scorsa settimana, dopo aver constatato, dietro esame de' miei bilanci segreti, che i miei molteplici impiegi mi rendono nel corso dell'annata un beneficio netto di lire duemila all'incirca, mi è parso di poter finalmente concedermi il lusso di un domestico.

Esposi il mio pensiero all'amico Eugenio—un amico nel quale ho piena fiducia.

—Ho l'uomo che fa al caso tuo, disse quegli.

—A meraviglia!… Quando potrò vederlo?

—Stassera istessa…. Vado subito in cerca di lui…. Non convien perder tempo—sai bene—c'è grande carestia di domestici, e qualcuno potrebbe prevenirci.

—Bada ch'io non voglio spender troppo….

—Il mio uomo deve avere delle esigenze modestissime.

—Fedele?

—A tutta prova. Egli durò per un anno al servizio del pretore Buschetti, il quale, traslocato subitamente a Catania, era dolentissimo di non potere, in causa del grave dispendio, condur seco quella perla di domestico.

—Sta bene…. Affrettati, dunque!… e appena ti vien fatto di trovarlo, mandalo qui; io rimarrò in casa ad attenderlo.

Non attesi molto. Di là a due ore, l'uomo fu alla mia porta.

—Come ti chiami?

—Gianbarba, per servirla.

—È inutile che io ti domandi se sai far la cucina….

—Far la cucina!… Oh! questo poi!…

—Come! non sai far la cucina!… Non sei stato per un anno al servizio del pretore Buschetti?

—Sì, signore; ma quando andai dal signor pretore, ho trovato la cucina bell'e fatta, coi rispettivi fornelli e tutto l'occorrente….

—Vedo che sei faceto!… tanto meglio; amo gli uomini di buon umore…. So che il pretore si lodava molto di te…. Ciò che mi preme è di aver in casa un uomo onesto e fedele, ed ho avuto sul tuo conto le migliori informazioni.—Quanto chiedi di salario?

—Faccia lei, signor padrone—io non voglio metter limiti alla sua generosità.

—È un furbo!—pensai io… Poi gli dissi: amo i patti chiari; la mia generosità non ha confini, ma lo stesso non si può dire delle mie rendite. Dunque, ascoltami bene. Io ti nutrirò, io ti vestirò, e alla fine di ogni mese ti darò dieci lire di stipendio. Sei contento?

—Come!… Lei si degnerebbe?… Ma io non merito tanto….

—Alla buon'ora! Vedo che l'amico Eugenio non mi ha ingannato, e che le tue pretese sono modeste. Per mia parte non esigo molto; non ho moglie, non ho famiglia. Terrai puliti gli appartamenti, mi appresterai ogni giorno un paio di piatti e una buona minestra, custodirai la casa quand'io andrò fuori…. Insomma.

—Insomma, non serve che Lei mi dica altro. La servirò come ho servito per un anno il signor pretore….

—Precisamente; non chieggo altro.

—Quando Lei crede, sono pronto ad entrare in servizio.

—A meraviglia! Va a prendere le tue valigie, se ne hai. Io ti assegnerò una camera, e questa sera istessa dormirai qui.

Gianbarba fece un inchino e se ne andò, promettendo che di là a pochi minuti sarebbe tornato.

—Mi pare un buon diavolaccio, esclamai accompagnandolo coll'occhio mentr'egli si allontanava. Al muso lo si direbbe un po' scimunito, ma avvien spesso che sotto una stupida fisonomia si nasconda una mente argutissima.

Gianbarba non tardò molto a ricomparire. Io gli mostrai la sua stanza, e parve assai soddisfatto. Lo condussi nel mio studiolo, nel mio salottino, nella mia camera da letto poco discosta dalla sua, in cucina, in cantina, in ogni angolo della casa. Apersi gli armadî, gli indicai i ripostigli più segreti, gli feci la consegna delle stoviglie e delle suppellettili da cucina.—Vedo che c'è molta roba, sclamava il debben figliuolo ad ogni tratto…. Va bene! la casa è ben fornita…. Solamente…. mi pare….

—Che cosa?

—Che manchi quello strumento….

—Non ti capisco….

—Voleva dire…. la canna….

—Una volta per sempre: bada che io non amo le reticenze—via! non metterti in soggezione!… Fra padrone e domestico bisogna parlar chiaro, se si vuole intendersi…. Dunque: cos'è questa canna che tu mi vai suonando?

—Poichè ella vuol proprio che la nomini, le dirò dunque, salvo il rispetto a lei dovuto, che intendo parlare della canna da serviziale.

Colpito di meraviglia, io vibro una occhiata perforatrice nel volto del domestico. Nel cervello mi balena un pensiero sinistro: che l'amico Eugenio, mettendomi questo mobile di carne umana tra i piedi, abbia mirato a burlarsi di me!—Poi rifletto: «può anche darsi che questo gaglioffo soffra di qualche incomodo intestinale e che i medici gli abbiano ordinato…. Se ciò fosse, avrei torto di non porgergli il mezzo di proseguire la cura.

—Via! non ti cruciare, gli dico con piglio incoraggiante—in casa mia c'è quanto può occorrere ad un malato e ad un sano…. L'istromento che tu cerchi, è là, in quella cassetta senza coperchio che vedi sporgere dal sottoscala. Non hai altro da chiedermi?

—Null'altro.

—Hai tu pranzato?

—Sì, signore; ho mangiato prima di venir qui….

—Vorrai dunque permettere che io pure vada a pranzo.—A rivederci!… Ordinariamente alla sera non rientro che a dieci ore; ho meco la chiave della porta, e se tu credi di coricarti prima ch'io torni, fa pure il comodo tuo.

—Oh! la si imagini!… So il mio dovere…. Vada pure…. pranzi di buon appetito. Frattanto vedrò se nulla manca pel servizio e andrò a procacciarmi sulla piazza tutto quello che può occorrere. Rientrando, ella troverà tutto in ordine.

—Buona sera, Gianbarba!

—A rivederla, signor padrone!

Io pranzai di buon appetito, feci la mia solita passeggiata, mi intrattenni un paio d'ore alla fiaschetteria cogli amici, quindi, in sul far delle dieci, rientrai in casa.

Gianbarba mi attendeva; appena mi vide entrare, egli mi presentò il lume dicendomi: non la si dubiti di nulla, io ho dato ordine a tutto…. Appena sarà coricato, suoni il campanello e sarò da lei per farle il solito complimento….

—Non serve, Gianbarba—io non ci tengo ai salamelecche…. Te l'ho già detto…. servimi bene…. con fedeltà…. con amore…. come hai servito l'altro padrone….

—Non la si dubiti!… Vada a letto tranquillo…. e poi mi lasci fare.

Io salgo alla mia camera, mi spoglio, mi corico, e come di abitudine, prendo un libro e mi metto a leggere.

Di là a un quarto d'ora all'incirca, sento bussare alla porta.

—Chi è là?…

—Siamo in posizione? domanda dal di fuori la voce di Gianbarba.

—In posizione!!! che vorrà dire?… entra pure….

—E anch'io l'ho qui in ordine! risponde Gianbarba aprendo impetuosamente la porta e slanciandosi verso il mio letto coll'impeto di chi prende d'assalto una barricata.

Io balzo sui guanciali, spalanco gli occhi sorpreso, quasi atterrito, e vedo che il mio uomo mi prende di mira con quel tale istromento…. con quella tal canna…. voi mi capite….

—Alto là!…. che scene son queste?

—Presto…. intanto che è caldo! dice l'altro facendo l'atto di rimuovere la coltre.—Ma vedendo che io do di mano al candelliere e minaccio, s'egli osa ancora avanzarsi, di gettarglielo in viso, Gianbarba si arresta, mi guarda con occhio inebetito di stupore e poi dice con tono quasi supplichevole: «la si fidi di me, signor padrone! ci ho della pratica—il signor pretore, al quale applicavo tutte le sere il benefizio, non ebbe mai a lagnarsi della mia abilità…. Mi lasci fare! mi lasci fare una volta tanto; poi, se non l'avrò servito per bene, mi licenzii pure sui due piedi, chè io non sarò per lagnarmene.

Quel poveraccio, parlandomi di tal guisa, ha un'aria sì compunta, che a me vien meno il coraggio di rivolgergli una brusca parola o di chiedergli una spiegazione.

—Io credeva, mormora il poveretto abbassando la terribile canna, io credeva che tutti i padroni….» E scostandosi dal mio letto, mortificato, confuso, col pianto negli occhi, Gianbarba si avvia per uscire; ma al momento di varcare la soglia, si arresta, torna indietro, e con voce interrotta dai singulti mi dice: «io sono un po' duro di testa…. lo so… è il mio solo difetto…. Converrà, caro signor padrone, che lei abbia un po' di pazienza… Per esempio, mi scusi tanto, ho paura di non aver capito bene se…. in quanto sia…. alle sue buone grazie…. volevo dire… al salario….

—Mi pareva di aver parlato chiaro su tale argomento. Non ti ho detto che mi assumo di nutrirti, di vestirti e di darti alla fine d'ogni mese…. dieci lire?…. Non ti basta?….

Gianbarba mi guarda colla espressione della più sentita riconoscenza ed esclama: «ma dunque…. è proprio vero…. che lei si degnerebbe!… troppa bontà!… troppa bontà!… come mai avrò il coraggio di permetterle?… Basta! i padroni comandano e i servitori obbediscono…. Le auguro la buona notte.

Così parlando, egli uscì, serrò la porta colla massima cautela, e in punta di piedi per paura di recarmi disturbo, se ne andò queto queto alla sua camera.

—Un vero scimunito! pensai io ravviluppandomi fra le coltri; ma pure, con un po' di pazienza, ne farò un domestico tollerabile.

All'indomani, mi svegliai verso le otto.

Tendo l'orecchio, non odo rumore nella casa.—Che colui dorma ancora?—Gianbarba! Gianbarba! grido dal letto.

—Olalà! olalà! risponde il domestico urlando dalla camera attigua.

—Sei tu alzato?

—Non ancora….

—Mi pare che a quest'ora, per Dio santo, un domestico dovrebb'essere in piedi!!!

—È quello che pensava anch'io attendendo i suoi ordini.

Passa un quarto d'ora, passa mezz'ora—al pendolo battono le nove—nessun segno di vita da parte dell'amico bestia.

Io balzo dal letto, mi vesto alla spiccia e corro alla stanza di Gianbarba gridando: ma dunque! siam vivi o morti? vuoi o non vuoi alzarti stamattina?

—Se voglio alzarmi! non desidero che questo, risponde Gianbarba balzando dal letto in camicia; non aspettava altro se non che lei venisse a vestirmi….

In sulle prime, lo strano contegno di Gianbarba e le inattese parole da lui profferite mi parvero inesplicabili. Ma poi, sovvenendomi dello stupore che il poveraccio aveva manifestato la sera innanzi nell'udire che io mi assumeva di nutrirlo e di vestirlo, indovinai…. compresi tutto; e mentre Gianbarba, seduto in camicia sovra una scranna, mi stendeva le gambe in attesa che io gli mettessi le calzature, mi scrosciò dal petto una risata sì impetuosa e gagliarda ch'io temetti di non reggere all'urto e mi appoggiai per sostenermi alla muraglia.

—Abbi là bontà, gli dissi poco dopo allontanandomi, di vestirti colle tue proprie mani per questa volta; faremo in seguito dei nuovi patti.

Rientrai nella mia stanza per finire di abbigliarmi, poi scesi nello studiolo. Di là a poco, Gianbarba mi raggiunse.

—Se vuol avere la compiacenza di dirmi cosa desidera da pranzo quest'oggi, io andrò subito al mercato per fare le provviste, mi disse il gaglioffo serio serio, come se nulla fosse accaduto.

Io stetti in forse un istante. Alla fine, dopo aver riflettuto, gli dissi: quest'oggi andrò a pranzare all'albergo come ho fatto ieri; nullameno voglio mettere alla prova la tua abilità. Sai tu cucinare per bene gli asparagi?

—Non la si dubiti.

—Ebbene, farò colazione in casa. Va in sulla piazza; se puoi avere degli asparagi al prezzo di una lira al mazzo, comprane pure due mazzi; se costassero ancora una lira e cinquanta come per lo addietro, prendine uno solo. Mi hai ben capito?

—Due mazzi se costano una lira; se poi costassero più di una lira….

—Uno solo.

—Fra mezz'ora la colazione sarà servita—vado e ritorno di volo.

Gianbarba ha il dono della lestezza, convien rendergli questa giustizia. Nel tempo ch'io impiegai a scrivere una letteruccia di due pagine, egli andò e tornò dal mercato.

Eccolo all'uscio del mio studiolo.—Ho eseguito appuntino i suoi ordini, mi dice con viso radiante; gli asparagi costavano venticinque soldi al mazzo, ed io ne ho preso uno solo….

—Benissimo!… è grosso?

—Così…. così…. discretamente…. come questo mio dito….

—Come il tuo dito!… Oh! sta a vedere che sei tanto imbecil…..

Ma non ebbi tempo di proferire la dura parola, chè l'altro in men ch'io nol dica balzò in cucina, e ricomparendomi innanzi con un asparago nella mano: eccolo, mi dice, non è dei più piccoli; se questo le può bastare per far colazione….

Non ebbi il coraggio di fargli un rimprovero, nè di ridergli in faccia. Quel povero gaglioffo, col suo fusto di asparago alla mano, mi faceva pietà.

—Torna in piazza, gli dissi pacatamente; fa di aver quattro uova da friggere al tegame, e non dirmi più nulla fino a quando la colazione non sia pronta.

—In verità…. pareva anche a me che un asparago solo non potesse bastare, disse il gaglioffo allontanandosi—il pretore non ne mangiava meno di sei anche quando costavano 25 centesimi al chilo. Quanto al friggere le uova, si fidi di me; in due salti vado e ritorno; fra mezz'ora sarà servito.

Non vi ebbero altri guai per la colazione. Gianbarba cucinò le uova stupendamente e mi porse una tazza di caffè irreprensibile.

Verso le undici, uscii per la mia solita passeggiata. Rientrando, trovai Gianbarba avvolto in una nube di polvere. Egli avea finito di scopare gli appartamenti e si accingeva a ripulire le mobilie.

—Vado a coricarmi per un paio d'ore, gli dissi. Se qualcuno chiedesse di me, dirai che non sono in casa, a meno che non venisse in sulla porta l'architetto Fagnani—lo conosci, l'architetto Fagnani?….

—No, signore.

—Naturalmente, presentandosi, ti declinerà il suo nome. Ma in ogni modo tu potrai riconoscerlo alla piccola prominenza ch'egli ha sulla schiena…. mi capisci…

—Scusi, signor padrone; una piccola prominenza non vuol dire ciò che parlando con poco rispetto si chiama il gobbo?

—Alla buon'ora, vedo che cominciamo ad intenderci—dunque….

—La vadi pure, e dorma tranquillo.

Non ebbi il tempo di giungere all'uscio della mia stanza, che una solenne strappata di campanello annunziò una visita.

Gianbarba corse ad aprire—io mi soffermai sul pianerottolo della scala e tesi l'orecchio.

—È in casa il signor Decio? chiede una voce ch'io ho udito altre volte.

—Il signor Decio!—vediamo un poco, risponde Gianbarba—favorisca di voltarsi…. e poi le dirò…. quello che ho l'ordine di dirgli.

—Questa è nuova! esclama l'altro con voce vibrata—ti fa tanta soggezione la mia faccia, che tu non osi?…

—Le dirò, risponde Gianbarba con flemma; gli è che prima di rispondere, io debbo vedere se Lei ha proprio quella tale escrescenza sulla schiena…. ovverossia, parlando con poco rispetto, quella gobba…

—Questa è l'escrescenza!… questa è la gobba! grida l'altro stampando due sonorissimi schiaffi sulle grosse guancie del domestico—e di' al tuo padrone che l'architetto Fagnani…. che l'architetto Fagnani….

Ma la voce dell'irato visitatore si ruppe in un rantolo—la porta fu scossa da un violentissimo urto—e quand'io, non udendo più rumore nella casa, precipitai dalle scale, trovai il povero Gianbarba…. colla testa accollata alla muraglia e il naso grondante.

Povero Gianbarba! le sue prodezze asinesche mi divertivano; ma, alla vista del sangue, fui preso da raccapriccio, e commisi l'ingiustizia di licenziarlo.

L'ISTRUMENTO È L'UOMO

Imitazione di un articolo francese, con varianti ed aggiunte.

Fu detto e ripetuto: «Lo stile è l'uomo.»

Io dico invece: «L'istrumento è l'uomo.»

Ed al proverbio: «dimmi con chi tratti e ti dirò chi sei,» io sostituisco; «dimmi dove soffi, o dove raschi, e ti leggerò la vita.»

Dopo ciò, raccomando ai signori artisti delle orchestre di non sospettare nelle mie osservazioni alcuna intenzione maligna; esse riguardano principalmente i dilettanti, quelli che raschiano un istrumento qualunque per pura convinzione, quelli che si sono messi a pizzicare la chitarra quando studiavano medicina, ovvero ad esercitarsi sul corno, dopo un anno di matrimonio.

__Il Clarinetto.__

Grande raffreddore cerebrale collocato dentro un tubo di legno giallo.

Il clarinetto non è una invenzione del Conservatorio, ma sibbene del destino.

Si diventa callista a forza di studio e di lavoro, ma si nasce clarinettista.

Il Cittadino predestinato al clarinetto ha un'intelligenza quasi ottusa fino all'età di 28 anni, epoca d'incubazione, nella quale egli comincia a risentire nel naso i primi pruriti della sua fatale vocazione.

Allora la sua intelligenza, fino a quel giorno limitata, cessa di svilupparsi: ma l'appendice nasale volendo vendicarsene, prende delle dimensioni piramidali.

A vent'anni egli compera il suo primo clarinetto per 14 franchi, e tre mesi dopo, vien congedato dal padrone di casa. A venticinque anni è ammesso nella musica della Guardia Nazionale.

Egli muore di crepacuore, per avere tre figli che non annunciano veruna disposizione per l'istrumento dov'egli ha soffiato tutta la sua intelligenza.

__Il Trombone.__

Colui che suona il trombone cerca sempre nella compagnia di quest'istrumento l'oblío delle sue pene domestiche, o delle consolazioni ad un amore tradito.

L'uomo che ha imboccato per sei mesi un tubo di metallo, si trova agguerrito contro ogni disinganno.

Di tutte le passioni umane, all'età di cinquant'anni, nulla più resta a lui fuorchè una sete insaziabile.

Più tardi, aspirando al posto di portinaio in un palazzo di persone civili, o alla mano di una donna di udito delicato, tenta di abbandonare il suo stromento; ma il gusto delle note e delle bibite forti gli rimane per tutta la vita. Intrattenendosi coi padroni di casa, o udendo parlare la moglie, verrà sempre il momento in cui egli si lascierà sfuggire dei brr…! brr…! brr…! portando il pugno sinistro alle labbra e simulando colla mano destra l'allungamento e l'accorciamento della pompa.

Dopo aver continuato fino a 78 anni ad eseguire furtivamente sul trombone la grande aria:

    Era anch'io di quella schiera
    Di Venezia anch'io guerrier….

muore di cordoglio perchè l'acquavitaio non volle dargli a credito un bicchierino di grappa.

__L'Accordeon.__

Primo istrumento dei cuori candidi.

L'individuo che esce generalmente dalla classe dei farmacisti, comincia a suonarlo nella retro bottega di suo babbo e continua fino a quindici anni.

A questa età, se non è morto, lascia l'Accordeon per

__L'Harmoniflûte.__

L'Harmoniflûte, per la natura de' suoi monotoni suoni e del suo tremulo piangente, agisce sui nervi di coloro che lo ascoltano e predispone alla malinconia colui che lo suona.

L'Harmoniflûtista è tenero, linfatico, ha gli occhi azzurri, non mangia che carni bianche o farinacei.

Si chiama Oscarre se è uomo, ed Adelaide se appartiene all'altro sesso.

In casa, al Dessert, va in cerca del suo istrumento, e quando gli stomachi sono pieni, cioè quando gli spiriti sono disposti all'allegria, egli vi regala: «Fra poco a me ricovero» oppure il Miserere del Trovatore.

L'Harmoniflûtista piange facilmente. Dopo un esercizio di quindici anni sul suo istrumento, egli si converte in ruscello.

__L'Organo.__

Istromento complicato e maestoso, di indole clericale, destinato, per la sua grande sonorità, a soperchiare le stonature del clero e del popolo.

L'Organista, ordinariamente, è un uomo venuto al mondo colla vocazione di fare molto strepito senza troppo consumo delle proprie forze; un uomo che vuol soffiare più forte degli altri, senza logorare i proprii mantici.

Diviene, a quarant'anni, l'amico intimo del parroco e il membro più influente della fabbriceria. Ripete per cinquant'anni alla Messa ed ai Vesperi gli stessi ritornelli; e frattanto egli impara il latino, e sa a memoria tutte le antifone da vivo e da morto. A cinquant'anni sposa una zitellona devota, raccomandata dal coadiutore della parrocchia.

È buono e mansueto ne' suoi rapporti coniugali, ma alla vigilia di ogni solennità ecclesiastica, ha il difetto di sognare ad alta voce. Alla notte del sabbato santo, è raro ch'egli non svegli la moglie, gridando a tutta voce: ressurexit!—La brava donna si desta di umor lieto per rispondergli col debito cerimoniale: alleluja!

All'età di sessant'anni divien sordo, e allora comincia a credere di suonare perfettamente. A 70 anni muore di cordoglio, perchè il nuovo parroco, in luogo di farlo assidere alla grande mensa coi sacerdoti e coi fabbricieri, lo ha fatto pranzare al tinello, in compagnia del sacrista e del becchino.

__L'Ottavino.__

Lo sciagurato che soccombe all'ottavino non è mai un uomo che goda il perfetto sviluppo delle sue facoltà intellettuali. Egli ha necessariamente il naso appuntito, sposa una donna losca, e muore schiacciato da un omnibus.

L'ottavino è il più fatale di tutti gli istrumenti. Esso esige una coltura ed una conformazione particolare dell'unghia del pollice pei buchi che non devono chiudersi che per metà.

L'ottavinista aggiunge sovente a questa infermità la mania di addomesticare le faine, le tortore ed i porcellini d'India.

__Il Violoncello.__

Per suonare il violoncello bisogna aver le dita lunghe e magre; ma più indispensabile è ancora il portare capelli lunghissimi che voluttuosamente accarezzino il collo grasso del paletot.

Il violoncellista scorgendo in pericolo di incendio la propria moglie ed il proprio violoncello, salverà prima quest'ultimo. Poscia penserà a … lasciar bruciare la moglie.

Parlando del suo strumento, egli lo chiama Violonscello; con ciò non la male ad alcuno, ed egli prova un'estasi voluttuosa.

La sua maggior soddisfazione è quella di far piangere le corde; qualche volta, infatti, egli riesce a far piangere la moglie ed i figli con un regime di sobrietà troppo stretto. Gli avviene anche di far ridere e di far sbadigliare, ma ciò dipende, a suo dire, dagli influssi atmosferici.

Parimente fa esprimere dalle sue corde esaltate tutti i dolori possibili, meno quelli dei suoi uditori e dei suoi creditori.

Il violoncellista si occupa anche di magnetismo; queste due passioni sono quasi sempre inseparabili.

Il carattere malinconico di quest'istrumento porta al misticismo, e il suonatore giunge quasi sempre fino all'invocazione degli spiriti.

Si alza di notte, risveglia la moglie, e le suona in camicia la frase del manzanillo nell'Africana.

Sua moglie si riaddormenta mormorando:

—Come sega!

__Il Contrabasso.__

Un critico-musicista ha chiamato il contrabasso l'Elefante delle orchestre.

Nessun istrumento può infatti rivaleggiare con esso nella ampiezza della mole. Gli è forse per questa ragione che gli uomini alti e stecchiti sono attratti a suonarlo da una irresistibile simpatia.

Applicando il contrabasso all'abdome, un suonatore della famiglia dei merluzzi può illudersi di aver un gran ventre, e un ventre sonoro per giunta.

Il contrabassista tende alla serietà, e si atteggia, nelle riunioni pubbliche e private, da uomo grave e profondo. Parla poco, e prima di esporre la propria opinione, attende che tutti gli altri abbiano finito di discutere. Ama con trasporto il tabacco da naso, e profitta, per assaporare la sua presa, degli intervalli d'aspetto.

Qualche volta numera i detti intervalli ribattendo voluttuosamente sotto le narici il pollice e l'indice ingrommati di tabacco.

È raro che un suonatore di contrabasso rimanga celibe oltre l'età di trent'anni. La moglie lo tiene in gran conto e lo venera credendolo dotato di una energia formidabile. Questa specie di venerazione ella suol anche riportarla sullo strumento, ch'ella pone a giacersi nelle assenze del marito, al lato deserto del talamo. In tali casi, destandosi la notte, ella da un pizzico alle corde e poi brontola: «meno male! questi almeno, se lo tocco, grugnisce…. Ma lui…. mio marito…. dà mai segno di comprendermi?»

__L'Arpa.__

Stromento ascetico, già suonato dal Re Davide con irresistibile successo. Serve di accompagnamento obbligatorio ai canti celesti.

L'arpista nasce cogli istinti del gatto, ma all'età di dieci anni fa voto di castità. Si nutre di vermicelli al brodo e, all'estate, di lattuche. Ammesso a far parte di una orchestra, si innamora platonicamente della prima donna contralto, nella cui voce ermafrodita gli par di sentire il canto degli angioli.

Dato ch'ei prenda moglie, usa con essa celestialmente. In casa suona di rado, ma quando ciò gli avvenga, si pone in capo una corona d'oro e si figura di essere il Re Davide. La moglie, ordinariamente, lo regala di altre corone meno splendide.

Oggidì, nelle orchestre, il posto dei Re Davidi venne usurpato dalle Bersabee, le quali pizzicano più leggermente, ottenendo degli effetti più omogenei; a venticinque anni muoiono consunte d'amore pel primo flauto.

__Il Timpano.__

Un testone di legno e di pelle, ripieno d'aria e di sinistri presagi. Il rullo dei timpani serve nel melodramma ad annunziare l'arrivo di un personaggio fatale, che il più delle volte suol essere un marito becco. Qualche volta il suo funereo brontolío serve a descrivere il silenzio, o la intima disperazione di una prima donna colta in flagrante adulterio.

Il timpanista è un uomo serio, compreso della sua alta missione drammatica; ma sa dissimulare il proprio orgoglio, dormendo sul proprio strumento quando gli altri suonatori fanno il maggior strepito.—Egli incarica il più prossimo de' suoi colleghi di orchestra di svegliarlo a tempo debito.

Al destarsi, afferra i due battenti e percuote; ma quando il vicino si dimentica di svegliarlo, egli prolunga i suoi sonni fino al calar del sipario. Allora, si riscuote, si accorge che l'opera è finita, si stropiccia gli occhi; e se avviene che il direttore di orchestra lo rimproveri di aver mancato all'attacco, risponde, crollando le spalle: «tanto, anche senza i miei rulli, il tenore è morto lo stesso…. Rullo più, rullo meno, così la deve finire!»

__Gran Cassa.__

Inutile parlarne.—È lo strumento dell'epoca; e Ministri, Deputati, Scienziati, Poeti, Parrucchieri, Cavadenti hanno imparato a suonarlo per eccellenza… Le cretine moltitudini accorreranno sempre al richiamo del poum!… poum!… e avrà sempre ragione chi batterà più forte.

CIÒ CHE SI VEDE IN UN TEATRO POPOLARE

A dirvela schietta, lettori miei, io non ho mai capito perchè il teatro debba chiamarsi scuola di civiltà. Chi va in teatro per educarsi? E quali insegnamenti si attendono da un dramma, da una commedia, da un'opera in musica, da un ballo? La tragedia antica insegnava l'incesto; il dramma moderno insegna l'adulterio; l'opera in musica insegna l'assurdo; il ballo insegna a misurare collo sguardo la periferia di cinquanta o più mappamondi di carne femminina. Il palco scenico è, per le figlie del popolo, una scuola di prostituzione; pei giovani artisti una scuola di ciurmeria e di vagabondaggio. Ecco la grande educazione che il teatro può dare a quanti vi si consacrano per professione.

Quanto al pubblico…. Mio Dio! Lo avete mai sviscerato, questo ente collettivo che si chiama il pubblico? Su mille spettatori che assistono all'opera, io ve ne do una sessantina, un centinaio al più, che comprendano qualche cosa del dramma e della musica. Tutti gli altri sono in teatro per guardarsi, per far all'amore, per vedere delle spalle nude e delle coscie in maglia.

Era una bella giornata del giugno 1858, ed io pranzava all'albergo della Gran Bretagna in compagnia di un Inglese che un anno prima avevo conosciuto a Parigi. Questo Inglese apparteneva alla classe aristocratica, e si vantava grande dilettante di musica e adoratore fanatico dell'opera italiana.

In quella stagione non c'era a Milano altro spettacolo d'opera fuor quello del teatro dei Giardini Pubblici, dove si rappresentava l'Attila di Verdi da una compagnia di cantanti accozzati da un certo Corti di Bergamo, il quale, oltre ad essere impresario, aveva assunto nel melodramma la parte del baritono.

Il mio Inglese, in mancanza di meglio, accolse il partito di recarsi al teatro dei Giardini Pubblici, ed io ve lo accompagnai di buon grado.

Entrammo nel circo ad ora conveniente per prendere un posto di nostra elezione. Saliti alla galleria—«mettiamoci nella seconda fila delle sedie, dissi all'Inglese; così potremo distendere le gambe a nostro bell'agio.»

E queste parole mi venivano ispirate da un sentimento di pietà, perocchè il signor Jhonnes era fornito di un paio di gambe così lunghe ed inflessibili, ch'egli durava molta pena a raccorciarle fra la sedia ed il parapetto.

Ma come le gambe, così anche il cervello del signor Jhonnes era di fabbrica inglese. Egli si ostinava a rimanere nella prima fila; e dopo sforzi incredibili era riuscito ad impiombarsi là dentro come un conio nella spaccatura d'una quercia. Che fare? Per debito di cortesia mi convenne inchiodarmi al di lui fianco.

La gente comincia a farsi spessa; e mentre l'Inglese col libretto alla mano sillaba i versi alla meglio, ecco quattro donne ci sovrastano colle immani crinoline e domandano di scendere nella prima fila….

—Mammina! qui vi sono due posti, grida una fanciulletta di circa dodici anni—se quel signore volesse ritirare le sue pertiche dall'altra parte….

—Impertinente! esclama una grossa matrona che domina il drappello—son questi i modi di chiedere un favore? Mille perdoni!—se monsù vuol far la gentilezza di rettificare le sue gambe….

Ma l'Inglese non dà retta; e la più giovane delle ragazze piomba colla persona fra il parapetto e la sedia, appoggiandosi senza misericordia sui piedi del mio onorevole compagno.

Goddem!—esclama il sig. Jhonnes; mio piete non statte scapello!….

Ma la ragazza, senza badare, attira la compagna sull'altra sedia vacante.

—Noi siamo ancora dei fortunati, dico io sotto voce all'Inglese; se invece delle ragazze fossero scese le due matrone che ci stanno dietro la schiena, c'era da morirne asfissiati.

—Io non posse rimanere in posizione! esclama l'Inglese.—Signorina, la preghe tenere campe più corte.

—Cecilia! grida di nuovo una delle matrone….; ricordati che siamo in teatro!….

—Ma che colpa ci ho io, mammina, se questo signore ha certe stanghe!

—Di nuovo ti dico di misurare i termini…. Bada che se mi fai la matta, ti riconduco a casa…

—Eh! ora, a casa non ci torno più, dice la ragazzetta all'orecchio della vicina…. E poi, infin dei conti…. il signor Domenico i biglietti li ha dati a me…. Sono io che stamattina glieli ho chiesti…. a nome della mamma.

Frattanto, dietro le nostre spalle si vanno agglomerando nuovi spettatori. Un uomo di circa trent'anni, sparuto nel volto, coi capelli lunghi e ben pettinati, cogli abiti alquanto luccicanti sotto le maniche, si è collocato a fianco delle matrone, divorando cogli occhi una delle giovinette che seggono al nostro lato. Tre o quattro giovinetti superano la barricata d'un salto, volgono saluti a destra e a sinistra, chiamano a nome i vicini e i lontani, e si studiano di attirare l'attenzione delle donne colla vivacità dei loro epigrammi.

—Che vuol dire questo miracolo? Anche lei qui, signora Caterina!

—Lei…. signor Pedrino!… Abbiamo avuto i biglietti da un comico della compagnia, che alloggia in casa nostra, al quinto piano.

—Ma brava, la signora Caterina! E chi è questo comico? senza dubbio il primo amoroso….

—È il primo tenore….

—Oh! Oh! il primo tenore…. che abita al quinto piano!…. A proposito: come si chiama? Ehi, di là! nessuno ha un libretto?…. Forse quel signore là abbasso….

—Cecilia! tira fuori il libretto!

—C'è forse bisogno del libro per sapere il nome del nostro vicino di casa? Egli si chiama Domenico Scanagatta….

—Diavolo! Scanagatta! che razza di nome…. per un primo tenore….!

—Primo dei primi…. lo ha detto egli stesso, esclama la donna grossa, indispettita dalle risa e dalle maligne esclamazioni dei circostanti.

L'Inglese che ha prestato orecchio a quelle ciarle, consulta l'elenco dei personaggi e degli attori, poi volgendosi a me:—quella signora s'incanna, mi dice—non trovate in lipretto Cane e Gatta, ma Napoleone Moriani.

—Il libretto che voi avete fra le mani porta la data del 1847, quando l'Attila si rappresentava alla Scala.

—Oh! oh! vere! verissime! Tata tel 1847! Mi più niente capite….

Frattanto, uno dei giovani che sta dietro di noi si è preso l'incarico di leggere a voce alta, e di spiegare il melodramma alla comitiva femminina. Ma non appena egli ha declamato i primi versi:

Urli—rapine Stupri, rovine, ecc.

la Cecilia interrompe la lettura esclamando: che razza di parole son queste! Ci capisco io niente, signor Pedrino?…. Mamma: cosa sono gli stupri?

—Vuoi finirla? Son domande da farsi codeste? Saprai tutto a suo tempo….

—Vi spiegherò io, popolina, mormora il giovine sparuto, il quale insensibilmente si è avvicinato alle ragazze.

La più grande volge indietro uno sguardo melanconico—uno sguardo che rivela cento segreti…. Lo sparuto dalle maniche luccicanti è l'amante corrisposto. La giovinetta taciturna e contemplativa sa di averlo alle spalle…. e aspetta trepidando qualche prova palpabile del suo amore.

Ma ecco, i suonatori si mettono al loro posto e cominciano ad accordare gli stromenti…. Dalla platea e dagli ordini più elevati si grida: sonèe! si battono le mani e i bastoni…. Il pubblico sovrano minaccia di farsi riottoso…. Mentre l'Inglese per istinto di curiosità spinge il capo fuori del parapetto, quattro o cinque individui che stanno di sotto gli rivolgono la parola e gli fanno dei gesti insolenti: «Ehi lûu, sur sciloster! El ved no che ghè de la gente chi abbasso?—Parlatte con me quei signori?.—Avreste forse gettato qualche cosa sulla testa di quella brava gente?—Mentre io scambio tali ciarle col signor Jhonnes, la Cecilia, che da qualche tempo sta rosicchiando dei semi di mellone, sputa parecchi gusci sul naso degli spettatori irritati. Fortunatamente una violentissima esplosione di applausi, di fischi e di grida, obbliga il direttore di orchestra a dare il segnale dell'attacco. I suonatori distendono l'arco e imbeccano i tromboni.—Silenzio!—Abbasso!—Giù il cilindro!… limonata fresca!—E in mezzo al gridío, finisce il preludio—il sipario si leva—quattro o cinque servitori di scena fuggono tra le quinte come sorci colpiti dalla luce; e otto coristi si avanzano urlando da Unni.

—Oh! vedi, mamma! ecco là il signor Domenico! Io l'ho subito riconosciuto…. Non vedi, mamma, ch'egli ci saluta?

—Zitto!…. Ma vediamo!. Dov'è questo signor Domenico?

—Ah! gli è dunque il primo tenore dei cori, che vi ha dato i biglietti, signora Caterina!

—Sì…. il primo tenore…. dei primi!… Proprio lui! Con quella barba non lo avea riconosciuto….

—Hai veduto, mamma? Il signor Domenico si è messo in ginocchio….

—Sicuro! i coristi…. cioè gli Unni…. si mettono in ginocchio—dice il nostro vicino sentimentale, che si è dato a conoscere per un parrucchiere di Viarenna—tutti fanno onore ad Attila flagellum Dei, che viene in sulla biga per sentir cantare i soldati….

—Perchè quella carrozza è tirata da due uomini vestiti come gl'infermieri dello spedale!…

—Perchè…. a quei tempi non erano inventati i cavalli….

—Ma, ecco la prima donna! replica il parrucchiere gravitando sulle protuberanze più soffici della nostra vicina; essa viene per ammazzare il basso.

—Il basso? ma dov'è questo basso?…

—Là, in piedi!… il più alto di tutti.—Ora, vedremo il baritono, cioè il romano….

—Il baritono non è romano ma bergamasco….

—Goddem! ripiglia il signor Jhonnes.—Come capire musiche?…

—Cos'ha quella mummia da brontolare?… Sta a vedere ch'io gli do sul naso questa fetta di mellone!…

—Non capite poesia, mi dice l'Inglese all'orecchio; perchè tante critare Ottapella?

—Attila le ha fatto dono di una spada, ed ella per riconoscenza giura di piantargliela nel ventre alla prima occasione.

—Veritable gentelman Attila; veritable porche Ottapella!…»

Frattanto i galanti, che seggono presso di noi, hanno chiamato il venditore di birra per offrire un rinfresco alle donne…. Mentre il tenore sta per cominciare la cavatina, uno scoppiettío di turaccioli sprigionati fa trasalire i circostanti….

—Presto! a te Ghittina…. a te Cecilia! Bada alla spuma! Cisti….
Adagio! Ma basta! signor Pedrino! Ahi!…

L'Inglese, disturbato dai rapidi movimenti e dalle risa sguaiate delle donne, si volge indietro per imporre silenzio; ma al tempo stesso una tazza colma di birra viene ad urtargli nello stomaco, e un'onda di spuma gli si riversa sulle gambe.

A tale eran giunte le cose, che il mio Inglese cominciava a perdere la pazienza. Ma ciò che d'un tratto lo fece balzare dalla seggiola fu un pizzicotto venutogli di contrabbando attraverso le gonnelle delle nostre vicine. Quel pizzicotto non era diretto a lui e mirava probabilmente a delle carni più floride; ma lord Jhonnes non volle attendere nuovi guai, e levandosi da sedere: «Signore, mi disse, lacciù in procenio, federe palchette vuote. Andiamo là codere meglio musiche più sciutte.»

Molta pena ci volle per uscire da quella siepe di gente. Mentre noi colle gambe levate tentavamo sormontare le seggiole, una mezza dozzina di gambe sconosciute si intralciava colle nostre per contendersi i due posti vacanti. Una gamba del mio Inglese (probabilmente la più lunga) rimase per alcuni minuti inforcata a quella del parrucchiere e stretta come in una smorza.

Quando Dio volle, riuscimmo a superare, più o meno illesi, quella barricata di sedie e di ginocchi; tanto che, al cominciare del secondo atto, ci trovammo comodamente seduti nel palchetto di proscenio.

E là, un altro genere di spettacolo. Noi eravamo collocati sì fattamente, da dominare tutta la scena non solo, ma anche da vedere tutto ciò che si passava tra le quinte.

All'alzarsi del sipario, Attila e il fido Uldino sono sdraiati nella loro tenda. L'orchestra preludia con dei suoni gravi, i quali vorrebbero esprimere le atroci visioni del tiranno. Il mio Inglese tende l'occhio e l'orecchio…. io faccio altrettanto….

—Cosa è stato?

Tanto io che l'Inglese abbiamo udito un rumore sotterraneo sprigionarsi dalla grossa persona di Attila; e Uldino ad esclamare sottovoce: «Alla barba del pubblico!»

—Quest'altro alla barba dei giornalisti e dei corrispondenti! risponde Attila.

E qui, un altro di quei rumori sotterranei che fanno arrossire il mio
Inglese.—Come sono educati gli artisti!…

Ma il preludio è finito. Attila balza in piedi esterrefatto dall'orribile sogno….

Uldino…. Uldin!… Non hai udito?…

—Caspita! lo sento ancora! mormora Uldino….

E il terribile Attila, sguainando la spada, corre furioso per la scena e grida verso le quinte: la gelatina!… sto male di voce…. la gelatina dopo l'adagio!

Nel mentre che Attila ritorna verso la ribalta per cantare l'adagio dell'aria, Uldino va a levare una presa di tabacco dalla scatola di una corista che si mostra dalle quinte in abito da vergine romana, e frattanto da un'altra quinta sbuca la moglie del basso con un vasetto ed un cucchiale tra le mani.

—Ah brava!… siete qui colla gelatina! dice Uldino…. Gli è un po' rauco difatti, vostro marito. Questa gli farà bene….

E così parlando, Uldino caccia le dita nel vasetto….

—Lasciate…. malcreato!… Ce n'è appena tanto per ingozzarlo…. lui…. quella bestia! grida la moglie del basso, ritirando il vaso.

Ma Attila, che ha finito il suo adagio, profitta dell'intermezzo istrumentale per andar in cerca della gelatina, e dà l'avviso alla moglie con queste parole: presto!… sfodera il cucchiale…. Martina!

La donna, nel diverbio con Uldino, ha lasciato cadere il cucchiale, e il basso essendo trascorse le battute intermedie fra l'adagio e la cabaletta, ritorna a grandi passi verso il proscenio augurando mille accidenti alla moglie, e poi grida:

    Oltre quel limite
    Ti attendo, o spettro,
    Vietarlo ad Attila
    Nessun potrà.

Finita la prima cabaletta, dai palchi e dalla platea insorgono dei fischi…. Attila corre furioso tra le quinte, strappa il vaso dalle mani della moglie e ponendoselo alla bocca, assorbe d'un fiato la broda rappresa, quindi si slancia al proscenio colla spada in pugno per urlare di nuovo:

    Vedrai se pavido
    Io l'alma arretro
    Se un Nume vindice
    La patria avrà.

Cric! Crac! quac! quac!—urla la platea come un solo…. Attila.

Al povero basso, malgrado il sussidio della gelatina, è scroccata l'ultima nota della cabaletta.

Nel ritirarsi dal proscenio per sfidare il pontefice romano che si avanza in mezzo ad una processione di coriste vestite da vergini, Attila esclama con voce rabbiosa: maledetti! c'era un becco di pollastro…. in quella gelatina…. Qualche vendetta…. so io…. di chi…. Della birra! datemi della birra!… No…. Non siamo più a tempo…. Accidenti alla musica ed al pubblico!

* * *

E Attila s'inginocchia dinanzi al papa gorgogliando le fatidiche parole:

    Dinanzi ai numi
    Prostrasi il re.

—Chi state donne con papo? mi chiede l'Inglese.

—Vergini romane; rispondo io.

—Se così state vergini, cossa state Roma tonne ti mondo?

Il pezzo concertato ha prodotto una certa sensazione nel pubblico…. Un silenzio solenne regna nel vasto circo—uno di quei silenzi che ordinariamente, in teatro, sono forieri dell'applauso generale.

Ma al punto culminante, quando Attila ripete per l'ultima volta l'umile protesta, un malaugurato turacciolo che si sprigiona innanzi tempo da un bottiglia di birra, balza scoppiettando dalle sedie fisse al palco scenico e va a colpire direttamente la faccia del pontefice Leone, piantandosi tra le setole della sua barba posticcia. La prima donna, il tenore, i coristi portano le mani alla bocca per dissimulare la loro ilarità; e mentre Attila, il quale non si è accorto di nulla, si prostende colla faccia alle assi del palco scenico, prorompe in una di quelle stonazioni che fanno raccapricciare la intera massa del pubblico, gli avveniristi eccettuati.

—Signor impresario! signora direzione! urla Attila balzando in piedi appena calato il sipario…. io protesto che non canterò più in un teatro…. in un teatro….

—Alto là!… non è quello il modo di trattare le mie barbe e le mie parrucche—grida il parrucchiere del teatro uscendo da una quinta.

—Con chi l'ha, quel cane…. di uno stonatore?—esclama il tenore colla sua voce di falsetto, gettando al basso uno sguardo di stizzosa ironia.

—Non so di noi due chi sia più cane, risponde Attila con voce fremente.

—Dio! s'ha stonato tutti in questo finale!…—strilla il secondo tenore.

E la prima donna in un crocchio di coriste: s'io avessi saputo d'aver a cantare con questi cani….

E il direttore d'orchestra che è salito in quel punto sul palco scenico: «e poi i giornalisti dicono di noi!… Come s'ha a dirigere…. come si fa ad accompagnare questi cani?»

E i coristi maschi: «si beve o non si beve?… Si è mai visto uno di questi cani metter mano alla borsa? Dio!… che massa di cani!»

Ma la prima donna si è avvicinata ad un forellino del sipario, quivi condotta da un figuro in abito da borghese che le parla all'orecchio e non cessa di mormorarle delle frasi alle quali la cantante sembra interessarsi vivamente.

Forse, esplorando più oltre da quella vedetta, avremmo scoperte dell'altre stranezze; ma innanzi che l'opera finisse, l'onorevole signor Jhonnes volle andarsene dal teatro, e a me fu obbligo di cortesia il ricondurlo all'albergo.

E mentre noi, fumando uno squisitissimo avana, rifacevamo a lenti passi la corsia, un orecchiante avvinazzato ci teneva dietro, urlando a squarcia gola una sua reminiscenza dell'opera, tradotta nei versi:

    «Caro padre a la madre regina
    «I possenti mangiavan i figli….[1]

[1]: Il testo dice:

                Cara patria, già madre e regina
                Di possenti magnanimi figli, ecc., ecc.

Ed ecco di qual modo, assistendo alla rappresentazione di un'opera in musica, avviene che il buon popolo raccolga, cogli altri vantaggi morali, anche quello di educarsi alla buona poesia.

Ma forse provvidenziale è l'idiotismo degli spettatori. Guai se comprendessero! Guai, se assistendo ad una rappresentazione d'opera in musica, pigliassero troppo sul serio questa divertente baggianata che è il dramma cantato e istromentato! Un pubblico che si avvisasse di filosofare sull'opera in musica, cesserebbe dal ritrarne diletto, e dovrebbe, in nome della logica e del senso comune, pigliar a sassi il poeta, il maestro e tutti quanti.

L'ARTE DI FAR LIBRETTI

Opera serio-buffa in tre atti

PERSONAGGI

BARITONO I.—Tiranno di un paese qualunque, personaggio nervoso e
      atrabiliare.

PRIMADONNA.—Moglie di Baritono, donna di carattere indipendente e
    soggetta a frequenti deliquii.

TENORE.—Giovane di oscuri natali, di temperamento epatico, affetto
    di itterizia, e di idropisia cronica.

COMPRIMARIA.—Damigella di confidenza e amica inseparabile di
    Primadonna; fanciulla tra i venti e i cinquant'anni, di indole
    maligna e sospettosa.

COMPRIMARIO.—Amico intimo di Tenore; personaggio poco influente e
    irresoluto.

PROFONDO.—Frate di un ordine qualunque; zio di Primadonna, amico di Baritono, mecenate di Tenore, ecc., ecc., uomo di solida costituzione e di molta autorità, con tendenza pronunziatissima alle stonazioni.

CORISTI MASCHI E FEMMINE

_che mutano nome e condizione a comodo del poeta e del maestro, conservando sempre nel viso e nel portamento il tipo cretino. I Coristi, al primo apparire sulla scena, rivelano i loro istinti di ordine, schierandosi in semicircolo e ostentando la maggior parsimonia nei gesti.

La scena ha luogo in un paese non ancora conosciuto, i cui abitanti, invece di parlare, cantano o solfeggiano con accompagnamento di orchestra._

Epoca: a piacere del vestiarista.

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA.

Sala, bosco, o piazza, a comodo dello scenografo. All'alzarsi del sipario echeggia da lungi il seguente

CORO

    Al cominciar dell'opera,
      Siccome è nostra usanza,
      Una preghiera o un brindisi
      Cantiamo in lontananza….

      E perchè il dotto pubblico
      Alla canzon plaudisca,
      Facciam ch'ei non capisca
      Quello che noi cantiam.
        Dunque…. preghiam!
        Dunque…. beviam!
    Poi tutti, senza muoverci…. fuggiam!

(Le voci poco a poco si vanno ammorzando—da ultimo non si ode che la battuta del maestro dei cori, il quale sporge il naso da una quinta per consultare la bacchetta del direttore d'orchestra).

SCENA II.

Tenore—Comprimario.

TENORE (uscendo da un muro o da una pianta e arrestandosi in fondo alla scena)

       Quai voci!…. Son pur dessi…. io li conosco….
       (a Comprimario) Li vedi tu?….

COMPRIMARIO (guardando fissamente il suggeritore)

                      Li vedo…. in fondo al bosco
       Si ritraggon i vili…. e qui tu puoi
       Cantar liberamente
       La cavatina tua….

TENORE (afferrando Comprimario per un braccio e conducendolo sul davanti della scena)

                          Sì: mio fedele!….
       Altra ragion qui non mi trasse—e certo
       Venuto non sarei,
       Se il maestro, cedendo ai voti miei,
       La cavatina non mi avesse scritto….

COM. Siete primo tenor—ne avete il dritto.

  TEN. Or va, diletto mio—veglia da lunge….
       Esplora il bosco, la vallata, il colle….
       Mentre io canto l'adagio in mi-bemolle.

(Comprimario si allontana alzando il braccio destro e si ferma, dietro una quinta, a conversare con una corista).

TENORE (impiombandosi presso la buca del suggeritore)

      Per quel destin che a gemere
        Condanna ogni tenore,
        La moglie del Baritono
        Amo di immenso amore….
        E questo ardente affetto
        Cui nulla estinguer può,
        Nel prossimo duetto
        A tutti…. e a lei dirò.

    COMPRIMARIO (entrando in scena agitatissimo, e accostandosi a
        Tenore gli canta con voce fioca nell'orecchio
)

      Or che l'adagio
        Hai terminato;
        Tenor carissimo,
        Son qui tornato.
        Per darti il tempo
        Di riposar.

TENORE (dirigendosi con Comprim. verso il fondo della scena).

      Oh! mille grazie!
        Ben obbligato….
        Andiam là…. in fondo….
        A passeggiar….

(Squillo di trombe nell'orchestra. Dopo aver respinto Comprimario nel vano di due quinte, Tenore si slancia di nuovo verso la ribalta, gridando a tutta voce):

      Nuovi prodigi il pubblico
        Dalla mia gola aspetta….
        Ei vuol la cabaletta….
        La cabaletta avrà.
      E griderò sì forte:
        Guerra, sterminio e morte!
        Che di mie note al turbine
        La vôlta crollerà.

COMPRIM. (avanzandosi timidamente, alle ultime cadenze).

      Qualcun potria sorprenderci….
        Prudenza! usciam di qua!

(si allontanano a passo di carica per vie diverse e senza salutarsi).

SCENA III.

__Primadonna__, che si avanza a passo di carica e si arresta dopo quattro passi.

PRIM. Dove mi inoltro?…. il sol tramonta….

(la scena si oscura improvvisamente).

                                             È notte….
(la campana suona dodici tocchi)

      Gran Dio…, la mezzanotte!….
      Come volan gli istanti!… Uscii di casa
      A mezzogiorno, e dopo venti passi,
      Eccomi…. nelle tenebre sepolta….
      Uscirò più a buon'ora un'altra volta….
      E il mio Tenore!… Egli verrà!… Mel dice
      Questa di flauto melodia soave
      Che nell'aria si spande…. (trillo di flauto nell'orchestra).
                    Oh! rimembranza!….
      È omai tempo ch'io canti una romanza.
      (con passione) Alla mia voce, o flauti,
            Il dolce suon sposate,
            Gemendo a lui recate
            L'eco del mio dolor….
            Ditegli che l'aspetto
            Pel solito duetto….
            Che moglie di un baritono
            Sempre amerò i tenor.
                (guardando verso le quinte)
      Egli verrà…. non tarderà…. Lo veggo
      Ritto al piè di una quinta…. Egli misura
      Il tempo colla man… si inchina a bere
      Un sorso d'acqua e zucchero…. tossisce….
      Si slancia alfine…

(correndo incontro a Tenore e abbracciandolo col più vivo trasporto)

Il cielo a me ti unisce!

SCENA IV.

__Tenore e detta.__

A DUE VOCI. O gioia inesprimibile!…

PRIMADONNA. Sei tu?…

TENORE. Son io….

PRIMADONNA. Tel credo….

TENORE. Dici tu il ver?

    PRIMADONNA. Le tenebre
        Son folte…. eppur ti vedo….

    A DUE VOCI. La luce del proscenio
              Irradia i cori amanti….
              Non perdansi gli istanti….
              Dell'ora approffittiam!

    PRIMADONNA. Dunque…. risolvi…. affrettati….
                                (con impazienza)
    TENORE. Che vorrà mai?….
                      (da sè, ritraendosi)

PRIMADONNA. Cantiam!

(Mentre Primadonna si avanza verso la ribalta per cantare l'a solo del duetto, Tenore entra in un albero).

    PRIMADONNA (con passione, volgendo gli occhi tratto tratto verso
        un palco di terza fila)

      Fino dal dì che al cembalo
        Le prove incominciai,
        Senza timori o scrupoli
        D'amore io ti parlai….
      Lo sposo mio baritono,
        Che sempre era presente,
        Facea l'indifferente….
        Fingea di non capir….
      Ma questa sera…. ahi miseri!
        Dovrem per lui…. morir

(si inchina al pubblico che l'applaude e volgendo le spalle al Tenore entra in una colonna).

TENORE (fissando il lampadario con occhi appassionati)

      Non iscordar, bell'angelo,
        Che prima donna sei;
        Poichè il libretto è serio,
        Morir con me tu dei….
      In barba al re baritono,
        Al basso e ad altri ancora,
        Infino all'ultim'ora
        Noi canteremo insiem.
      Ed i maggiori applausi
        Per certo coglierem (rullo di timpani).

PRIMADONNA. O mio spavento!

TENORE. I timpani!….

PRIMADONNA. Tu pure udisti?….

TENORE. Ho udito….

    PRIMADONNA. Sempre quel suon funereo….
        Precede mio marito….

TENORE (trascinando Primadonna per un braccio)

      Propizie a noi le tenebre
      Saran….

(improvvisamente la scena si rischiara)

PRIMADONNA. Già sorto è il dì (arretrando)

TENORE. Qual contrattempo!….

SCENA V.

Baritono (che si slancia sulla scena colla spada sguainata) e detti.

BARITONO. Perfidi!

PRIMADONNA. Cielo!…. il mio sposo!….

BARITONO. È qui!

(Baritono getta in un bacino di acqua stagnante il cappello e il mantello, che tosto vengono raccolti da mano ignota. Primadonna e Tenore si collocano ai lati del proscenio).

BARITONO (colla spada alzata)

      Coppia infame; e spenti al suolo
        In vedermi non cadeste?
        Se il rossetto non aveste
        Voi dovreste impallidir….

(gettando la spada in un fosso)

      Oh furore! e non mi è dato
        Punir tosto il reo misfatto!….
        Ma vi aspetto all'ultim'atto….
        Dove tutti han da morir.

    TENORE (correndo ad abbracciare Primadonna, e guardando
    Baritono con feroce ironia
).

      Or che il brando egli ha gettato,
        Vien…. mi abbraccia al suo cospetto….
        Fino all'ultimo quartetto
        Non poss'io…. non puoi morir.
      Nè può il vil, se anco il volesse,
        Punir tosto il reo misfatto,
        Chè, noi morti nel prim'atto,
        Dovria l'opera finir.

    PRIMADONNA (gettandosi ai piedi di Baritono e cantando con
        accento supplichevole
)

      Per l'effetto della scena,
        A' tuoi piè, signor, mi getto….
        Deh! non volgermi la schiena….
        Ti commova il mio dolor….
      Innocente fu il duetto…
        Son qual ero, onesta e pura….
        Ci batteva la misura
        Dell'orchestra il direttor….

    BARITONO (afferrando Primadonna per un braccio e scuotendola con
        violenza)

      E osi tanto?…

    PRIMADONNA (da sè) Osai più ancora…. L'altra sera… in
        camerino….

BARITONO (a Tenore) E tu l'ami?…

TENORE (rialzando Primadonna e abbracciandola con trasporto)

È mio destino…

BARITONO (tornando presso Primadonna dopo aver percorsa la scena in varie direzioni)

E innocenza vanti ancor?….

    PRIM. Attestar che il vero ho detto
        Può l'orchestra tutta quanta
        Là si suona…. e qui si canta….

BARITONO. O mio scorno! o mio furor!

(Lanciandosi coi pugni stretti verso la ribalta e urlando a tutta gola)

      Fino all'ultimo quartetto
        Voi vivrete, o scellerati,
        Maledetti, disperati,
        Rintronati—dal mio sol!

TENORE (col massimo furore)

        Suscitare un grande effetto
        Speri invan colla tua nota…
        Perchè il pubblico si scuota
        Ci vuol proprio un si-bemol!

PRIMADONNA (strappandosi i capelli)

      Urliam tutti e avrem l'effetto….
        Par che il pubblico si scuota….

(a Tenore)

        Arrestiamci sulla nota….
        Calca…. sforza il si-bemol.

BARITONO (volgendosi a destra e a sinistra come un maniaco)

Vieni!…

PRIMADONNA. Dove?…

BARITONO. Il saprai….

TENORE (tentando trattenere Primadonna).

Ferma….

PRIMADONNA (a Tenore) Ti scosta!…

TENORE. Io per l'Africa parto…. Addio.

PRIMADONNA. No…. resta….

(Si ode un fischio dall'interno del palcoscenico che annuncia la prossima calata del sipario. Tutti alzano gli occhi sbigottiti).

    TUTTI. Su…. presto…. terminiamo….
      Pria che il sipario non ci cada in testa!

(Baritono, Tenore e Primadonna si lanciano per l'ultima volta verso il proscenio raddoppiando le grida).

    TUTTI. Alla fine del terzetto
        Perchè il pubblico si scuota
        Arrestiamci sulla nota…
        Rinforziamo il si-bemol!…

(Baritono trascina lentamente Primadonna, che tratto tratto volge indietro lo sguardo, mentre due servitori in livrea vengono in scena a raccogliere la spada ed altri oggetti smarriti dai cantanti).

CALA LENTAMENTE IL SIPARIO.

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA.

Sala senza porte.—Un tavolo e due scranne servibili.—Altri tavoli e sedili dipinti sul muro.

Baritono—alcune guardie.

    BARIT. (alle guardie)
      La regina vedeste? (breve pausa)
                  Una risposta
      Non mi attendo da voi—siete comparse
      E una comparsa non parlò giammai…
      Ite!… Solo esser voglio….

(le guardie volgono la faccia verso le quinte, aspettando un cenno del direttore di scena).

Ah! no…. attendete….

(le guardie partono, urtandosi e spingendosi l'una contro l'altra).

      Dove vanno, perdio, questi balordi?…
      Io muti li credea—sono anche sordi!…

SCENA II.

Frate Profondo e Detti.

FRATE. Signor….

BARIT. Che vuoi?…

    FRATE. Di favellarvi chiede
      Primadonna… ma pria…. con vostra pace…
      Io pur vorrei….

BARIT. Che cosa?….

    FRATE. Intrattenermi
      Un istante con voi….
      Quattro minuti almen….

BARIT. Parla: che vuoi?…

    FRATE. Ch'io sono il basso—non ignorate….
      È necessario che m'ascoltiate….
      Lo vuol…. lo esige…. l'onor dell'arte….
      Fui scritturato qual prima parte….
      E senza un'aria…. senza un duetto….
      Bella figura farei davver!
      So che a Milano qualcuno ha detto
      Che da gran tempo non ho più voce….
      Che fu menzogna, calunnia atroce,
      Al dotto pubblico farò saper!…

    BARIT. (da sè, reprimendosi)
      Destino avverso! tremenda sorte!
      Soffrir gli scandali d'una consorte….
      Vederla fremere d'iniquo amore….
      Andare in estasi per un tenore….
      Son cose orribili…. cose nefande….
      Cui non può reggere l'uman pensier….
      Pure un supplizio—v'è ancor più grande,
      Udir di un basso le stonazioni….
      E dover fingere per più ragioni
      Che le sue note vi fan piacer!

FRATE (scostandosi da Baritono e muovendo per partire)

Risolvi, o principe!

BARITONO. Ho risoluto….

FRATE. Sai per qual scopo son qui venuto…

BARITONO. Chiaro parlasti….

    FRATE. Cantar non vuoi
      La cabaletta?

BARITONO. Da bravo! a noi!….

A DUE VOCI. Le trombe squillano—dietro la scena….

Un sorso d'acqua corriamo a ber

(si dividono ed entrano nei panneggiamenti delle quinte, quindi ricompariscono colle spade sguainate, urlando a tutta gola):

      Ignoti nemici
        Già invadon le porte;
        Di stragi, di morte
        L'istante è vicin!

(inginocchiandosi e moderando la voce)

      Gran Dio, benedici
        Le nostre bandiere;

(alzandosi impetuosamente e raddoppiando le grida)

        Le barbare schiere
        Respingi al confini

(rumori diversi dietro scena)

FRATE. Udisti?

BARITONO. Udii….

FRATE. Quale fragor?….

    BARITONO (tendendo l'orecchio)
                                  È un carro
      Che nella via trapassa

    FRATE. Ti inganni…. è la gran cassa….
      Che del cannone il tuon da lungi imita….

BARITONO. La guerra cominciò….

SCENA III.

Primadonna e detti.

PRIMADONNA. Vili…. è finita!

(Tutti si arrestano, guardandosi l'un l'altro col massimo stupore. Dalla gran cassa che va allontanandosi partono ancora dei colpi quasi impercettibili—mentre l'orchestra a mezzo dei violini fa sentire il gemito dei feriti e dei morenti)

BARITONO (avvicinandosi ad una finestra)

      Sì…. la guerra è finita… Le mie truppe
      Son tutte là…

FRATE. Nessuno è morto?….

    BARITONO. Io credo
      Che nessun prese parte alla battaglia….
      Eppure…. oh! gioia! la vittoria è nostra….

PRIMADONNA (chinandosi verso l'orchestra)

      Gemito di morenti…. udir mi parve….
      Laggiù….

FRATE. Preghiam per essi—vi prostrate….

BARITONO e PRIMADONNA (inginocchiandosi con visibile ripugnanza)

Sempre così…. quando c'è in scena un frate!

FRATE (in piedi, alzando le braccia al cielo)

      Deh non andare in collera,
        Signor, se tu mi vedi,
        Mentre costor si prostrano,
        Far l'orazione in piedi.
        Finchè un basso profondo
        Sorviverà nel mondo,
        Questo costume pio
        Cangiarsi non potrà….
      Tu lo sopporta, o Dio….
        Grande è la tua bontà!

BARITONO—PRIMADONNA (sottovoce)

        Se buono è Iddio, del pubblico
        Più grande è la bontà!

BARITONO (alzandosi)

      D'inutili duetti e cavatine
      Già troppo si abusò…. Tutti mostrammo,
      Qual nel primiero e qual nel second'atto,
      Chi siam, perchè cantiamo,
      La specie e il rango che ciascun teniamo.
      Nella più vasta e ricca galleria
      Del palazzo regal si aduni alfine
      L'intera compagnia….
      Il popolo vuo' dire, i senatori,
      I militi ed il clero,
      La Banca, il Parlamento, il Ministero,
      Il Consiglio di Stato….
      E tutti quanti han dritto a figurare
      In un grande finale concertato.

(Volgendosi a frate profondo)

Venite voi?

    FRATE. Vi pare
        Che senza me si possa?….

BARITONO. Ebben, vi attendo….

(a Primadonna)

      Dell'abito più splendido e sfarzoso
      Vanne e ti adorna…. Al fianco del tuo sposo
      Tu salirai sul trono….

    PRIMADONNA. Un bel vestito
      Di seta e d'oro io sfoggierò…. Di gemme
      Sfavilleran la mia corona…. e il petto….
      Metterò un braccialetto….
      (Che mi diè in dono il marchesin Sanvito)
      E quattro o cinque anelli in ogni dito….

    FRATE. Tante ricchezze…. possedete? A Dio,
      Al dator d'ogni bene
      L'inno di grazia ora innalzar dovete….

(Mentre Primadonna fa per inginocchiarsi, Baritono la afferra per un braccio e la trascina fuori della scena)

      Sta a veder che costui,
      Perchè è basso profondo,
      Mi intuona adesso un'altra litania!

PRIMADONNA. Questa ci mancherebbe!

BARITONO. Andiamo via…

(escono).

FRATE (avanzandosi verso la ribalta colle mani alzate, come al solito)

Non c'è più religione a questo mondo!….

(esce a passo lento).

SCENA IV.

Grande sala. Tre lampadarii che pendono dalla vôlta con moccoli fiammanti.—Altrettanti lampadarii dipinti sulle tappezzerie. Due domestici in livrea collocano un trono alla destra dello spettatore sul davanti della scena. Nel resto della sala i mobili brillano per la loro assenza.

Comprimario—Comprimaria.

    COMPRIMARIO (dalla porta a destra).
        Nessuno ancor….

    COMPRIMARIA (dalla porta a sinistra).
              Nessuno.

    COMPRIMARIO (vedendo Comprimaria).
        Qualcuno è là….

    COMPRIMARIA (vedendo Comprimario).
              Qualcuno!

    COMPRIMARIO (avanzandosi).
      Qual buon vento vi porta?

COMPRIMARIA. E voi perchè accorreste?

COMPRIMARIO. Degli abiti di gala Baritono si veste….

    COMPRIMARIA. Anche la Primadonna deve cambiar vestito….
      Bisogna darle tempo….

    COMPRIMARIO. Benissimo! ho capito….
      Ci vorrà molto ancora?…

    COMPRIMARIA. Passai dal camerino
      Mentre stava indossando il manto d'ermellino….

    COMPRIMARIO. Poi, si sa bene, a prendere un più vivace aspetto,
      Convien di tempo in tempo rinfrescare il belletto….

    COMPRIMARIA. Il pubblico frattanto, che nulla ci comprende,
      Crede che noi cantiamo e con pazienza attende….

COMPRIMARIO. Tieni bassa la voce….

    COMPRIMARIA. A gridar non mi arrischio….
      Lasciam fare all'orchestra….

    COMPRIMARIO (voltandosi con vivacità).
      Credo udir qualche fischio….

COMPRIMARIA. Un fischio!… un altro ancora mi par d'averne udito….

COMPRIMARIO. Che pubblico imbecille!…

    COMPRIMARIA (osservando verso la scena).
      Baritono è vestito….

COMPRIMARIO. Egli con Primadonna si avanza…

    COMPRIMARIA (parlando verso le quinte).
                               Presto!… fuori!…
      Venisse un colpo secco a tutti i fischiatori!

    COMPRIMARIO (inchinandosi verso la quinta)
      Avanzatevi, o prence…. (sottovoce) (Il pubblico è fremente).

    COMPRIMARIA. Regina, a voi mi prostro….
      (sottovoce) Vi pigli un accidente!

SCENA V.

Baritono—Primadonna—Frate profondo

indi Coristi, Coriste e Comparse in costumi di tutte le epoche.

    CORO. Olà…. tutti accorriamo!
          Il trono circondiamo….
          Cantiamo, urliam, gridiamo….
          Senza saper perchè….
          Evviva il nostro principe!
          Evviva il nostro Re!…
          (sottovoce, con mistero).
                Egli è là….
                Che vorrà?…
                Che dirà?…
                Che farà?…
                Parlerà?…
                Tacerà?
      Mettiamci tutti in giro…. e si vedrà!…

BARITONO(in piedi sui gradini del trono).

      Nessun mancò—Qual gaudio il cor mi inonda
      Nel vedere che il mio popolo intero,
      L'esercito ed il clero,
      In un dì, come questo, di gran gala,
      Possan tutti adunarsi in una sala!
      Godo ancor che nell'ultima battaglia
      Non un perì de' prodi miei soldati….
      Partiron trenta…. e trenta son tornati.
      È pur gioconda la vittoria, quando
      Nessuno in campo muore….
      Nè ferito riman….

FRATE (levando al cielo le mani).

Gloria al Signore!

    BAR. L'alta ragion che in così fausto giorno
      Tutti quanti vi appella a me d'intorno
      Nota forse vi è già….

CORO. L'indoviniamo….

BAR. Un grandioso final cantar dobbiamo….

    CORO. Un final! come si fa?
          Il tenore non è qua….

PRIMADONNA (da sè, stralunando gli occhi).

A suo tempo egli verrà….

BAR. Qual fragor! che mai sarà?…

PRIMADONNA (accorrendo verso una quinta).

È ben desso!…

BAR. (balzando dal trono). Guardie…. olà!

FRATE (trattenendo Baritono che porta la mano alla spada).

Ferma…. arresta…. per pietà!

SCENA VI.

Tenore e Detti.

PRIMADONNA (correndo sul davanti della scena abbracciata a Tenore).

Sei tu, mio bene?…

TENORE. Sì….

TUTTI. Desso!…

BAR. (arretrando colla mano sull'elsa della spada)

Oh furore!…

TUTTI. Lui solo aspettavam!…

FRATE (levando le braccia al cielo).

Gloria al Signore!

(rullo di timpani—i cantanti primarii si schierano sul davanti del proscenio,—Breve silenzio).

TENORE (fissando torvamente lo sguardo nel Baritono).

      Sì…. tornai…. Senza il tenore
        Non si canta un gran finale—
        Son partito col vapore….
        Venni qui…. d'amor sull'ale….
        Ma in un pezzo concertato
        Io sprecar non voglio il fiato….
        E finito questo a solo,
        Più un sospir non metterò.

PRIMADONNA.

      Dell'orchestra nel fragore….
        Non si intendon le parole,
        Al baritono, al tenore
        Si può dir ciò che si vuole….
        Ma in un pezzo concertato
        Io sprecar non voglio il fiato….
        Per morir nell'ultim'atto
        La mia voce io serberò.

BAR. (portando la mano al pugnale).

      Di trafiggere il tenore
        Saria comodo il momento….
        La mia rabbia, il mio furore
        In vederlo io freno a stento….
        Ma sa ben lo scellerato
        Che in un pezzo concertato
        Se anche il fulmine cadesse
        Un tenor morir non può.

FRATE.

      Per accrescere il fragore
        Darò fiato a' miei polmoni,
        L'anatema del Signore
        Tempo è omai che qui risuoni….
        D'esser frate alfin mi scordo….
        E se Iddio fa spesso il sordo,
        Col cannon della mia voce
        Sordo appien lo renderò.

CORO.

      Della musica il successo
        Tempo è omai che si decida,
        Dal maestro fu promesso
        Un regalo a chi più grida….
        Se passasse inosservato
        Il gran pezzo concertato
        Saria caso qual la storia
        Forse mai non registrò.

BARITONO (volgendosi con vivacità).

Qual grido!…

TUTTI. Chi s'avanza?…

SCENA VII.

Comprimario e Detti.

COMPRIMARIO (a Baritono) Signor….

BARITONO. Che vuoi da me?…

    COMPRIMARIO. Qualcun domanda
      L'ingresso….

TUTTI. Chi sarà?… Gran Dio! la banda?….

(All'improvviso si vedono spuntare dalla muraglia diversi istromenti colla gran cassa in testa.—I suonatori, vestiti di costumi bizzarri, si spingono innanzi urtando le coriste.—Agitazione generale. Gli attori principali estraggono le spade, minacciandosi senza ferirsi.—L'orchestra e la banda gareggiano di fragore).

    TUTTI. Giorno d'orrore….
            Giorno d'amore….
            Giorno di giubilo….
            Giorno di duol.
            Al mio contento….
            Al mio spavento….
            Gli astri sorridono….
            S'oscura il sol….

(silenzio generale).

TENORE (accostandosi a Primadonna).

A mezzanotte….

PRIMADONNA. Dove?…

TENORE. Nol so….

TUTTI. A mezzanotte!…

TENORE (a Primadonna). Verrai?…

PRIMADONNA. Verrò….

    TUTTI (colla massima forza, slanciandosi verso la ribalta colle
        spade sguainate
)

          Giorno d'orrore….
            Giorno d'amore….
            Giorno di giubilo….
            Giorno di duol.
            Al mio contento….
            Al mio sgomento….
            Gli astri sorridono,
            S'oscura il sol.

(Tenore getta la spada ai piedi di Baritono.—Questi vorrebbe avventarsi a Tenore, ma viene trattenuto da Frate Profondo.—Primadonna sviene nelle braccia di Comprimaria. Comprimario corre dietro a Tenore.—I coristi e la banda entrano nelle muraglie e nelle tappezzerie col massimo disordine).

CALA IL SIPARIO.

ATTO TERZO

SCENA PRIMA.

Luogo solitario.—Nel mezzo della scena un sasso di legno.—A sinistra una grotta.

Tenore solo.

      Ecco il luogo…. ecco il bosco….
      Io ben lo riconosco
      Per questo sasso che non manca mai
      Dove una Primadonna ed un Tenore
      Sono chiamati a sospirar d'amore….
      (guardando verso il fondo della scena)
      Che veggo? Oh ciel! quale splender sinistro
      Di faci?—Ho ben inteso?… A me sul vento
      Un eco giunge di feral lamento….

VOCI LONTANE.

            Sancte Michael
            Sancte Gabriel
            Sancte Andrea
            Intercedite pro ea!

    TEN. È dessa! è dessa…. non mi inganna il core….
      A salvarla corriamo…. Empi…. fermate!…
      Baritono tiranno:
      Pria di compir l'atroce tua vendetta
      Dammi tempo a cantar la cabaletta….

(Si vede sfilare in lontananza una processione di frati con torcie accese.—Primadonna, con un velo nero sulla testa, fa parte del corteggio. L'orchestra suona una marcia funebre, mentre il coro ripete:)

            Sancte Michael
            Sancte Raphael
            Sancte Andrea
            Intercedite pro ea.

    TENORE (sguainando la spada).
        Quei sciagurati a sperdere
          Basta il mio brando solo….
          Corro…. mi slancio…. volo….
          Nulla arrestar mi può….
          Ed ogni indugio a togliere,
          Onde accorciar la via,
          La cabaletta mia
          Due volte canterò.

(Ripete due volte il canto, arrestandosi alcuni minuti sull'ultima nota, quindi si allontana agitando la spada).

SCENA II.

Sotterraneo nel palazzo di Baritono.

Primadonna sola.

L'ora è suonata alfin….

(cava dal seno una boccetta)

                              No…. non godranno
      Del mio supplizio i vili…. Ecco un veleno
      Che non fallisce mai….
                             So che Tenore
      Qui muove per salvarmi….
      Affrettiamci a morir…. (beve il veleno)

(accorrendo verso la porta)

                           Qual fragor d'armi!…
      È desso…. è desso!—schiudonsi le porte….

SCENA ULTIMA.

Tenore—Baritono colla spada sguainata. Frate Profondo.

Frati, Popolo, Guardie.

PRIMADONNA (slanciandosi fra le braccia di Tenore).

Tenore…. anima mia….

TEN. (fa alcuni passi barcollando, indi cade).

Ferito…. a morte….

PRIMADONNA (cadendo presso il Tenore).

In sen la morte io pure….

BARITONO (arretrando inorridito).

Orribil vista!…

(squillo di campane che suonano l'agonia).

TUTTI. Qual suon lugubre!…

FRATE (sottovoce). Chi avvertì il sacrista?

(Breve silenzio.—Primadonna e Tenore si sorreggono a vicenda).

    PRIMADONNA (con voce morente).
      Tenore…. ascoltami…. questo duetto
        Pur troppo è l'ultimo che insiem cantiam….
        Con due magnifiche note di petto
        Si avverta il pubblico che noi moriam….

    TENORE (alzandosi con uno sforzo supremo).
      Addio bell'angelo—sul do di petto
      Ti ferma….

PRIMADONNA. Ah…. basti!…

TENORE. Basti…. cadiam!

BARITONO (accostandosi a Primadonna).

Ahi! Primadonna è spenta!…

FRATE. È spento anche il Tenor!…

BAR. (arretrando). Gran Dio!…

CORO (con gioia). Finita è l'opera….

    FRATE (alzando le braccia al cielo).
                                             Sia lode al crëator!

(Gran quadro.—Il sipario cala lentamente, in guisa che gli spettatori possano vedere i due morti levarsi in piedi e correre allegramente fra le quinte).

PENSIERI DI UN FUMATORE

Nel luglio e nell'agosto provo un delizioso refrigerio nuotando nel lago o nel mare, ma anche nel più rigido inverno nuoterei volentieri nelle ricchezze.

* * *

Vorrei essere una ghitarra od anche un contrabasso senza corde, piuttosto che un istromento dei partiti.

* * *

I cavalli meglio pasciuti son quelli che più presto divorano la via.

* * *

Dopo un buono e lauto pranzo, reca poco fastidio l'esser digiuno di scienza.

* * *

Le università aprono ai giovani la carriera medica, la carriera matematica, la carriera legale e la carriera del vizio.

* * *

Di tutti gli istrumenti a corda credo che il meno dilettevole debba esser la forca.

* * *

Ad un uomo acceso dell'amore più ardente può accadere in gennaio di gelare dal freddo.

* * *

Più presto degli altri arriva alla meta un uomo spedito, a patto che non lo sia dai medici.

* * *

La persona più debole e infermiccia può portare sulle spalle un gran carico…. di debiti.

* * *

Il riso abbonda nella bocca degli sciocchi e nelle pianure del novarese.

* * *

Trista cosa, ma vera; nel così detto gran mondo, un uomo che abbia una macchia sui calzoni fa più orrore di quegli che ne abbia dieci sulla coscienza.

* * *

Cento idee luminose rischiarano meno di una candela.

* * *

Quand'uno non ha bevuto, è naturale che faccia dei discorsi senza sugo.

* * *

Fra i molti motivi che mi inducono a fuggire dal teatro vi è pur quello di non trovarne mai nelle opere moderne.

* * *

A certe epoche dell'anno i pittori espongono dei quadri; le ballerine espongono tutte le sere dei rotondi.

* * *

Il luogo dove si sciupano le voci e si guastano i criteri artistici si chiama conservatorio, e si intitola casa di salute un luogo pieno di malati.

* * *

Nel buio più denso della notte un uomo dotato di buona vista può ancora osservare…. il silenzio.

* * *

Lo scioglimento delle nevi gonfia i torrenti; quello della camera gonfia la vanità dei candidati e gli organi degli elettori.

* * *

Dire che ho commesse tante azioni buone e cattive, eppure non ho verun titolo per chiamarmi azionista!

* * *

La missione di un prete è quella di convertire i peccatori in uomini onesti e gli introiti della parocchia in commestibili.

* * *

Curiosa davvero, che a distanza di venti miglia due coniugi possan vedere i corni di Canzo, e non quelli ch'essi portano in testa!

* * *

Se è vero che tutti gli uomini alto locati sono degni di omaggio, convien far di cappello a quanti pendono dalla forca.

* * *

Quantunque le pareti della mia camera sieno tappezzate di rosso, mi è forza convenire di essere al verde!

* * *

Il bollore della giovinezza non mi ha procacciato che disinganni e fastidi; quello della pentola mi ha dato talvolta dell'alesso eccellente.

* * *

Non capisco perchè si chiami cornucopia un vaso da mensa destinato a portare le frutta; non potrebbe usarsi un tal nome a significare il matrimonio?

* * *

Non si può dire che l'Italia sia in preda alle lotte intestine, ma vi hanno, sopratutto nella classe degli impiegati, delle serie lotte intestinali.

* * *

A chi non ha i mezzi per recarsi ai bagni si può suggerire di immergersi ogni giorno nel vizio.

* * *

Preferisco dormire nel letto di una bella donna piuttosto che in quello di un fiume.

* * *

Un furbo che si fa portare sulle spalle da quattrocento minchioni—ecco il sistema elettorale.

* * *

Per arte aristocratica si intende forse arte cretina?

* * *

Dai sessant'anni agli ottanta diverrò forse imbecille e venerando.

* * *

A quei tempi la musica usciva stampata assai peggio, ma era buona musica.

* * *

Quante vecchie frasi occorrono per fare un nuovo programma elettorale?

* * *

Divorare la polpa e gettare le ossa ai cani—ecco la moderna arte di governare.

* * *

Osan dire che in Italia vi è libertà di stampa, e rischia la galera chi stampa un miserabile cavourino!

* * *

Per ottenere che un asino prenda le apparenze di un cavallo, ritengo non vi abbia altro mezzo che coprirlo di insegne equestri.

* * *

La più parte degli odierni maestri, se cessassero di scrivere, potrebbero vantarsi di aver fatto un'opera buona.

* * *

Pei così detti avveniristi non dev'essere una gran gioia pensare che il pubblico dal quale essi attendono la glorificazione è tutto chiuso nello scroto dei contemporanei.

* * *

Un filo di speranza non vale nè anche ad attaccare un bottone.

* * *

Chi dorme non piglia pesci, ma chi veglia piglia ad ogni tratto dei gamberi.

* * *

Il caso può dissipare tutti i calcoli umani, meno quelli che si formano nella vescica.

* * *

Preferirei di avere un buon cavallo, piuttosto che quattro diplomi da cavaliere.

* * *

Se è vero che l'amore è il sole dell'anima, Dio ci guardi dall'amare nel mese di luglio!

* * *

Un sorbetto è una illusione commestibile che si dilegua nella bocca.

* * *

Quand'uno vuol disfarsi di un cane, gli leva il collare; quando un Re vuol disfarsi di un ministro, gli dà il collare della Annunziata.

* * *

Anni sono, si trinciava colla sinistra e si mangiava colla destra; poi si usò trinciare colla destra e mangiare colla sinistra; oggi si trincia e si mangia con ambedue.

* * *

È proprio necessario ubbriacarsi di vino o di assenzio, per scrivere dei buoni libri?

* * *

Ad ogni mutamento di ministero si produce in Italia una straordinaria eruzione di vespe, di commendatori e di cavallette.

* * *

Non vi è uomo tanto perverso, il quale non abbia in sè qualche cosa di retto; non foss'altro, l'intestino.

* * *

Darei la testa nel muro al pensare che la prima donna da me amata era una seconda donna!

* * *

Invertirei di tal guisa una sentenza di Foscolo:

* * *

Dà, chi sol lascia eredità di affetti, Poca gioia…. agli eredi.

* * *

In teatro si chiamano leggeri dei tenori che pesano novanta chili!

* * *

I grandi caratteri onorano l'umanità, e servono a stampare gli avvisi.

* * *

Vi sono dei cantanti che non sanno scrivere, e nullameno vantano delle magnifiche scritture.

* * *

Non sarebbe economico che a quello della candela si potesse supplire col lume della ragione?

* * *

Adoro i capelli biondi, ma non vorrei trovarne uno nella minestra.

* * *

Anche ad un poeta mediocre può avvenire di esser tradotto…. in carcere.

* * *

Conosco una vecchia di novant'anni che conserva ancora i capelli biondi…. di Salvatore Farina.

* * *

Mescere il vino è un'assurda frase dei poeti e un sacrilego atto dei cantinieri.

* * *

Il luogo dove si chiudono i bricconi vivi si chiama galera, quello dove si chiudono i bricconi morti si chiama camposanto.

* * *

Quand'anche il vento mi portasse via la tettoia, la mia casa sarebbe abbastanza coperta…. di ipoteche.

* * *

Tutte le professioni posson fornire all'uomo di che vivere, meno le professioni…. di fede.

* * *

Certi avvocati, che si dicono fiumi di eloquenza, sono spesso all'asciutto…. di denaro.

* * *

La vista della luna piena deve ispirare delle singolari idee a quei parecchi milioni di infelici che debbono coricarsi ogni sera a ventre vuoto.

* * *

Se in faccia alla legge tutti gli uomini sono eguali, Dio ci scampi dal trovarci mai in faccia alla legge!

* * *

Dicono che mi sono mangiato tutto il mio patrimonio; non sanno gli stolti quanto ne ho bevuto!

* * *

Non ho mai augurato, nè sarò mai per augurare alcun male ai miei nemici; sarei anzi lietissimo che passassero da questa a miglior vita.

* * *

Una lettera raccomandata quasi sempre ci reca denaro; alle persone raccomandate il più delle volte convien darne.

* * *

Alle molte lingue che ancora si parlano preferisco le lingue morte, e fra le morte prediligo quelle di Zurigo.

* * *

Assistendo alla rappresentazione di certe opere moderne, si direbbe che i direttori di orchestra battono il tempo perchè non posson battere il maestro.

* * *

Tutte le note della musica possono esprimere delle idee gaie; quelle dei creditori non danno che sensazioni melanconiche.

* * *

I ricchi guadagnano il loro pane col sudore degli…. altri; i generali d'armata col valore degli altri vincono le battaglie.

* * *

Talvolta basta ricevere un vaglia postale perchè il mondo vi creda un uomo di vaglia.

* * *

Ingiuste ripartizioni della Provvidenza! In fatto di capitali, Dio non mi ha dato che i sette peccati!

* * *

La carriera delle lettere è molto proficua…. alla posta.

* * *

Ogni spada, o tosto o tardi, esce dal fodero, meno quella della giustizia.

* * *

Può essere una ubbìa, ma ritengo che quasi tutti i moderni cantanti potrebbero ballare stupendamente il can-can.

* * *

Chi ha denaro di sopravanzo può portarlo alla cassa di risparmio; chi non ha un soldo, può far risparmio della cassa.

* * *

Per un maestro di scuola dev'essere una gran malinconia dover fare la lezione dei riempitivi a pancia vuota.

* * *

Sono sempre disposto ad assolvere i peccati di adulterio, meno quelli degli osti che mi adulterano il vino.

* * *

Un ammogliato in filo di vita può consolarsi al pensare che morendo tornerà celibe.

* * *

Quand'anche illeterato, un uomo panciuto ha sempre dinanzi un gran volume.

* * *

Malgrado i miei principi democratici, preferirei la croce di cavaliere a quella del matrimonio.

* * *

Pochi alpinisti posson vantarsi di aver fatto tante escursioni al monte come il mio orologio.

* * *

Dicono che questo è un portamonete: come avviene che io non ce ne trovo mai una?

* * *

Ad un uomo onesto ogni cosa sordida e vile fa stomaco; ad una donna magra può far stomaco il cotone o la stoppa.

* * *

Nessun uomo, nel più rigido verno, si lagnerebbe del freddo, se bastasse a schermirsene il mantello della…. ipocrisia.

* * *

Delle elemosine raccolte per le anime purganti i preti dovrebbero far larga parte ai mariti.

* * *

I grandi signori ristorano la loro salute tuffandosi nelle terme; il più miserabile proletario può ottenere il medesimo effetto tuffandosi…. nei debiti.

* * *

Una bella donna e una bella fetta di manzo possono suscitare degli irresistibili appetiti carnali.

* * *

Amo le belle lettere, e mi paiono tutte bellissime quelle che contengono dei vaglia.

* * *

Un'oncia di olio di ricino produce quasi sempre una crisi di gabinetto.

* * *

Spendo la metà delle mie rendite in vino ed osan dire che sono un scialaquatore!

* * *

Piuttosto che una punta di pugnale vorrei nello stomaco riceverne una di vitello.

* * *

I miei mezzi di esistenza li vuoto ogni sera all'osteria dell'Aquila.

* * *

Meglio vivere due giorni in questa valle di lacrime che due secoli nella memoria dei posteri.

ALBUM

L'educazione moderna produce i suoi frutti. Ieri ho inteso il seguente dialogo fra un padre ed un figlio:

—Tutti i giorni se ne sentono delle nuove sul di lei conto. Lei non studia; lei frequenta i caffè e le taverne; lei fu veduto in altri luoghi…. Insomma: a che giuoco giuochiamo?

—A briscola qualche volta, ma più spesso al bigliardo.

* * *

—So anche, prosegue il padre, che ieri sei andato al Rebecchino in compagnia di una donna equivoca…!

—Ti inganni papà—quella signora era troppo conosciuta perchè alcuno potesse scambiarla per una donna onesta.

* * *

—E che hai fatto della bella catena d'orologio, che ti ha regalata tuo zio?

—L'ho impegnata in opere pie.

—Vorrai dire al Monte di Pietà!!!

—E non ho ragione di dire che l'ho impegnata in opere pie?

* * *

—Basta!… Va a vedere tua madre…. Ella ti aspetta per darti i rimproveri che meriti….

—Non potresti, papà, darmi tu stesso in anticipazione…. un biglietto da cento?

* * *

—Sciagurato! credi tu che io debba sprecare tutto il mio reddito pe' tuoi vizi?…

—Non pretendo tanto—preleva pure, papà, quello che credi pei tuoi; non sarò per farti verun rimprovero.

* * *

Fra marito e moglie:

—Da qualche giorno noto in te una certa freddezza….

—Rifletti che…. siamo nel cuore dell'inverno….

* * *

Il marito, nell'eccesso dell'ira….

—Ti ho convinta…. ti ho mostrato le lettere di quell'infame…. hai dovuto confessare—eppure tu non hai cangiato…. nè cangi di colore…!

La moglie, singhiozzante, abbracciando le ginocchia del marito:

—Dio! pietà!… come vuoi ch'io cangi colore…? Converrebbe ch'io mi lavassi….

* * *

A poca distanza dal Caffè Rovida.

—Il tuo primo torto, Serafina, fu quello di andare al ballo senza mio permesso—secondo torto, ballare tutta la notte con tuo cugino Raimondo—terzo torto, accettare da lui una cena—quarto torto….

A proposito di torti…. se andassimo a mangiare una dozzina di tortelli..!?

* * *

—Per un tuo sguardo, Clarina, darei, se li avessi, tutti i tesori della terra…!

—E non li hai!… peccato!…

* * *

—Non ho che vent'anni, Giulietta, e dire che io sono già stanco della vita…. così stanco…. così stanco….

—Ma dunque…. perchè stai in piedi? vieni qui, mettiti a sedere….

* * *

Un dramma coniugale:

—Cielo! siamo sorpresi…. Mio marito…!!!

—Che fare?

—Non c'è altra via…. Perchè il mio onore sia salvo…. conviene….

—Parla!…

—Saltare da quella finestra.

—Precedimi, Clara—io rimarrò qui per trattenerlo nel caso egli volesse inseguirti.

* * *

La signora, baciando il figlio:

—Tutto suo padre…! bello come lui…. biondo come lui!…

Il marito, che entrando ha udito le ultime parole:

—Questa è nuova! Quando mai sono stato biondo, io?…

La moglie, col massimo sangue freddo:

—Quando avevi cinque anni, suppongo.

* * *

La moglie al marito, rientrando dopo il ballo:

—Tutti, meno tu, Aurelio, mi hanno fatto dei complimenti—tutti hanno ammirato la mia toletta….

—Il marito, sospirando: «io l'ho pagata!»

* * *

—E tu, Gaudenzi, preferisci le bionde o le brune?

—Le brune, diamine!… mia moglie è bionda.

* * *

Entro nella bottega di un salsamentario al momento in cui torna dalla scuola un suo figlioletto di otto anni all'incirca. Il povero ragazzo piange dirottamente.

—La solita istoria! esclama il buon papà—non avrai compiuti i tuoi doveri, e il maestro ti avrà dato dell'asino, come meriti!

—Sicuro! risponde il ragazzo singhiozzando—mi ha dato dell'asino…. e poi….

—E poi?… sentiamo!

—E poi ha detto: ma…. già…. non è da far le meraviglie; quale il padre, tale il figlio.

—Animale! esclama il salsamentario—e forse non ha ancor finito di mangiare i due salami che gli ho regalati a Natale!

* * *

Stamattina, ho fatto colazione al caffè Biffi col dentista B.

Entrano due provinciali, un uomo in sulla cinquantina e una signora di mezza età.—Vanno a sedere al tavolino che ci sta di fronte e si fanno servire una frittura di cervella.

—Come si abbigliano goffamente certe donne di provincia! dico sottovoce all'amico, volendo alludere alla signora testè entrata.

—E dire che tanto il signore come la signora debbon esser persone assai ricche….

—A giudicarne dall'esteriore, non parrebbe….

—L'esteriore inganna, risponde l'amico—vedi!… solamente nella bocca quei due tengono un capitale di circa quattrocento lire in denti rimessi.

* * *

Il pittore V…. incontra in galleria il signor C.V. suo mecenate.

—Ebbene? ha finito il paesaggio che le ho commesso? domanda il C.V.

—L'ho finito…. Vedrà!… vedrà! ci ho messo quattro o cinque macchiette che figurano proprio a meraviglia….

—Delle macchiette!… Che razza di idea! basta…! vedremo…. Si fa tanto presto a levarle colla benzina!…

* * *

Si parlava con molto elogio del Sindaco Bellinzaghi.

Un vecchietto, che aveva l'aria di un maestro di scuola o di un bidello, diceva: «è giusto che ad uomini di tal fatta il governo renda giustizia ed onore. Credo bene che a quest'ora l'illustre Sindaco sarà commendatore….»

—Come? non sa lei che il Re Vittorio Emanuele gli ha conferito pochi anni sono anche il titolo di Conte?…

—Non lo sapeva…. ne sono lietissimo…. ma non mi fa meraviglia….
Fino da ragazzo, egli si è sempre distinto nella contabilità.

* * *

Un vedovo, tornando dal cimitero dove è andato a deporre una corona sulla tomba della moglie, incontra un vecchio amico di casa.

—Andiamo a berne una bottiglia in compagnia, dice l'amico vedendo che l'altro ha gli occhi rossi—ti farà bene….

Entrano in una osteria—vuotano una bottiglia…. poi un'altra…. poi un'altra.—E, il vedovo, riparlando della cara consorte, si scioglie in pianti e singhiozzi.

—Ma via! datti pace!—dice l'amico—alla fine….

—Tu la conoscevi, non è vero?… Tu sai quanto era bella….

—Diamine! ero sempre in tua casa….

—Tu sai quanto era buona e spiritosa; ma non puoi sapere quanto ella fosse amabile ed espansiva in certi momenti….

—Eh! so anche questo…. so anche questo! esclama l'altro….

E ricominciarono a piangere tutti e due, vuotando una quarta bottiglia.

* * *

Due coniugi novelli, intenderebbero separarsi per incompatibilità di carattere e si trovano in presenza del Giudice Conciliatore.

—Mia moglie è eccessivamente collerica, dice il marito.

—Mio marito, mi uccide colla sua flemma, oppone la moglie.

—Io amo la buona tavola, e costei mi fa digiunare per soddisfare al suo lusso.

—Io detesto gli odori, e costui fuma giorno e notte nella pipa.

—Io amo il letto soffice, e costei pretende che io dorma sul duro….

—Egli ha il difetto di russare….

—Costei ha il difetto…. di….

—Basta! basta! interrompe il giudice—ciascuno avrà i suoi difetti, ciascuno avrà le sue debolezze, ma a me pare che due consorti….

—No! no! lei si inganna, signor giudice, grida la donna; anche qui c'è incompatibilità—egli solo è consorte—io sono progressista.

* * *

La signora Mar…. Dib…., una vedovina elegante che malgrado i suoi quarant'anni non vuol smettere le pose del sentimento, venne a visitarmi.

La conduco in giardino, nel mio arruffato giardino dove i fiori non rappresentano che la cornice dei legumi.

—Delizioso!… ma questo è un Eden…. un paradiso! esclama enfaticamente la signora—qual profumo di poesia!

—Voi amate i fiori, signora?…

—Li adoro….

—Attendete un istante…. Vo in sala a pigliare una forbice, poi mi permetterò di offrirvi un bel mazzo delle mie rose….

—Oh! troppe grazie, signore!… Ma sarebbe un vero peccato spogliare questi bei cespi—piuttosto…. poichè volete essere tanto gentile…. accetterò un mazzo di…. asparagi.

* * *

Una signora che ha la debolezza di tingersi i capelli, s'intrattiene di politica col deputato Borsanti.

—Mi fa proprio meraviglia la vostra trasformazione…. Eravate sì rosso al partire per Roma, ed oggi, dopo pochi mesi, siete diventato sì bianco…. sì bianco!!!…

—Che volete, amabile signorina?… Precisamente l'opposto di ciò che è avvenuto di voi. Io vi ho lasciata bianca, ed oggi vi trovo bionda.

* * *

Nel vicolo di San Fedele:

Un accattone stende la mano ad un agente di borsa chiedendogli per l'amor di Dio la elemosina di un soldo.

L'agente gli getta nel cappello due monete di rame, dicendogli:—Prendi, per questa volta; ma ricordati che il pane ciascuno ha l'obbligo di guadagnarselo col sudore della fronte.

-Che vuole? risponde l'accattone intascando la moneta; ho la traspirazione difficile.

* * *

—Gli affari vanno alla peggio, dice il signor Costa a suo figlio; e tu mi spendi un occhio della testa pel tuoi minuti piaceri….

—Ti inganni, papà…. I piaceri ch'io mi prendo non sono minuti.

* * *

La folla esce dal teatro.—Si ode uno strillo di donna.—Un signore pallido d'ira si volge ad un giovane che gli sta dietro e lo apostrofa vivamente.

Intervengono i questurini.

—Che è stato?…

—Questo mascalzone ha osato pizzicare mia moglie in certo luogo….

L'accusato diventa rosso, non sa come scusarsi, poi, volendo in qualche modo attenuare la sua colpa: «Signori, esclama con voce commossa, li prego di perdonarmi, io sono pizzicagnolo di professione.

* * *

Passeggiavano due amici, Pietro Migliara e Giacomo Stellero, fuori di
Porta Nuova a Milano, in vicinanza del Naviglio.

Improvvisamente odono gridare: soccorso!

—Che sarà? chiede il Migliara all'amico.

—Un uomo che sta per annegarsi, rispondono parecchie voci.

—Un uomo che sta per annegarsi! esclama il Migliara accorrendo—bisogna salvarlo! Dov'è questo naufrago sventurato?

—Vedetelo! è là…. nel bacino…. che si dibatte colla morte….

—Come si fa? ripete ansante il Migliara; bisogna soccorrere quell'uomo…. salvarlo a costo della vita….

Ciò detto, seguendo gli impulsi della pietà, il Migliara con inaudito coraggio afferra pel collare del soprabito l'amico Giacomo e lo slancia nel fiume.

Il naufrago fu condotto a riva e salvato, e un anno dopo, il Migliara otteneva dal Municipio la medaglia del coraggio civile.

In questo aneddoto si comprende la storia universale del Merito e delle ricompense.

* * *

Un forastiero entrò in un nuovo restaurant…. a poca distanza dal Foro Bonaparte—un restaurant che si era fatto raccomandare più volte dalla quarta pagina di un foglio cittadino per la pulitezza del locale, come anche per la straordinaria mitezza dei prezzi.

—Cosa desidera il signore?

—Desidero di pranzare.—Portatemi innanzi tutto una minestra di riso.

—Ella è servita al momento!

Poco dopo il garzone ritorna e depone sulla tavola una scodella ricolma di minestra.

Il forastiero si accinge a mangiare, ma appena immerso il cucchiaio nella broda, subito richiama il garzone e gli dice: «Riportate in cucina questa minestra… Non vedete? c'è dentro un capello…. Che orrore!

—Come! un capello nella minestra!—risponde il garzone tutto meravigliato.—Eh sì, che prima di portarvela in tavola, io ne aveva già levati quattro!

* * *

L'Ispettore scolastico di B…., nelle sue escursioni in provincia, si abbattè in un povero maestro quasi idiota, che a mala pena sapeva rispondere alle più ovvie questioni.

—Mi meraviglio, esclama l'Ispettore, che ella stia quì a fare il maestro, mentre si appalesa così digiuno di ogni scienza….

—Con venti lire al mese di stipendio, risponde il maestro, Ella capirà, signor Ispettore, che il nostro primo dovere è quello di digiunare.

* * *

—Un carrettiere delle Çèvennes, vedendo sullo stradale che doveva percorrere due malfattori appostati col fucile alla mano, per salvare una parte del suo denaro, si pose in bocca e trangugiò quattro marenghi. Ma i malfattori, che attendevano a far preda più grossa, lasciarono che il carrettiere tirasse innanzi tranquillo per la sua via. Giunto felicemente alla propria dimora, il carrettiere vi trova il padrone di casa, che stava attendendolo per riscuotere da lui l'importo dell'affitto.—Ebbene! hai portato il denaro, come hai promesso? gli chiede il padrone.—Parola da galantuomo! risponde l'altro.—Vediamo!—Converrà che attendiate….—Capisco! vedo che le son ciancie, come al solito.—Vi giuro nel nome di Dio che il denaro l'ho meco.—Vediamolo, contiamolo, dunque!—Ma vi ripeto, signore, che conviene aspettare….—Ed io ti dico che sei un ciancione, un gabbamondo, e che domani ti farò sloggiare colla forza dalla mia casa!—Perchè io mi metta in grado di pagarvi, balbetta umilmente il carrettiere, è necessario ch'io prenda un purgante.—Un purgante! esclama l'altro credendosi beffato e alzando il bastone; aspetta che te lo do io, il purgante, asino, malcreato!—Fortunatamente gli insulti e le minaccie affrettarono a tal punto nei visceri del povero carrettiere una crisi inaspettata, onde avvenne che, sciolte le cinghie dei calzoni, il povero debitore potè attestare la sua solvibilità scaricando sul lastrico le monete.

* * *

Un dabben vecchietto, del quale non ci è permesso pubblicare il nome, si reca un giorno dal conte T…., un milionario tenero di cuore e notissimo per le sue largizioni a pro' degli infelici.—«Illustre signor Conte, dice il vecchietto colle lacrime agli occhi: com'Ella sa, i giornali hanno aperto una soscrizione in favore di una povera famiglia derelitta. Bramerei fare qualche cosa anch'io; ma al momento mi trovo un po' a corto di denaro. Vorrebb'Ella, signor Conte illustrissimo, prestarmi una ventina di lire, onde io possa concorrere col mio obolo al sollievo di una sciagura veramente lacrimevole?… Prometto fra dieci o venti giorni, restituirle la piccola somma, anche a costo di vendere il paiuolo o il pagliericcio.» Il Conte si lascia commovere, e in luogo di venti, porge quaranta lire al vecchietto, dicendogli con affettuosa tenerezza: «tenete, buon uomo; non esigo restituzione, andate a compiere la vostra opera santa, ed io mi terrò felice di averci, in certa guisa, partecipato.» Il vecchio partì colle lacrime agli occhi, e il domani mandò alla famiglia derelitta la somma di cinquanta centesimi.—Questi atti generosi non abbisognano di commenti.

* * *

In una festa da ballo di famiglia, ho raccolto il seguente dialogo:

—Sai, Edmondo; mio padre vorrebbe che io sposassi quel brutto coso, che poco fa ha ballato con me la galoppe…. Lo dicono tanto ricco…. tanto ricco….

—Ricco!… Ma se ha sciupato tutto il suo patrimonio!… Ma se non ha più un soldo!… Ma se è pieno di debiti sino ai solini!… Lascia fare, Carolina…. Io troverò il modo di informare tuo padre…. C'è qui una persona, un suo amico, che questa sera istessa comincierà a mettergli una pulce nell'orecchio…

—Ma l'avrà, poi?…

—Che cosa?

—La pulce….

—Diceva…. per modo di dire….

—Perchè…. in caso di bisogno… io sento d'averne una dentro una calzetta….

(Tanto grossa—non la pulce, ma la baggianata di Roberto—che per acclamazione gli viene accordato il premio di due bicchieri).

* * *

Son le due pomeridiane, sento picchiare alla porta,—Chi è?—Se permette….

Entra un giovinetto a me sconosciuto, ma pure di aspetto simpatico.

—Mi scusi tanto; sono venuto a Lecco quasi a posta per fare la sua conoscenza…. Amo i suoi scritti, e leggo sempre il suo Giornale-Capriccio, grazie alla gentilezza di un amico che me lo presta.

—Obbligatissimo!

—Dunque…. come le diceva…. son venuto a Lecco quasi a posta per passare qualche ora in compagnia di una persona che stimo tanto….

—Si accomodi….

—Grazie!… Vado a sbrigare certe mie faccende, poi, se non la disturbo, tornerò verso le quattro….

* * *

—È l'ora del mio pranzo… Se ella crede…

—Oh! troppo onore…! Accetto… Pranzare con lei…!… Ma io non so come ringraziarla!

—Via! attenda a ringraziarmi… Non potrò offrirle che un pranzo da poeta…. una fetta di manzo…. una minestra che so io….

—Che so io?… che so io!… Eh! in casa sua si sa cosa vuol dire il che so io! Mancano ancora due ore alle quattro…. e in due ore si posson far dei miracoli. Basta! Vado…. e ritorno…. Non si affanni troppo…. Se anco si pranzasse alle quattro e mezzo, per me farebbe lo stesso.

Uscì. Alle quattro fu di ritorno. Naturalmente io aveva fatto allestire un pranzerello più appetitoso dell'ordinario. Il mio sconosciuto mangiò per quattro, non cessando di ripetere ad ogni tratto: non son venuto per il pranzo… e poi… com'ella vede… sono uomo che mi accontento di tutto…. si sa bene… pranzi di famiglia!… eh! anche noi non si sciala! ecc., ecc.

Finito il pranzo, lo accompagnai alla stazione. Entrando in Lecco mi disse: «ah!… ora capisco… Infatti mi pareva che qualche cosa mi mancasse… Dopo il caffè ho l'abitudine di prender sempre un bicchierino di cognac… Se entrassimo là dentro…?

Entrammo dal Barrozzi, bevemmo il bicchierino e vedendo ch'io metteva mano al portamonete: troppe grazie, mi disse; me lo attendeva… Ah! la conosco di fama!

Avviandoci alla Stazione, entrai da un venditore di tabacchi per provvedermi di zigari. Egli mi seguì.

—Posso offrirle? diss'io, presentandogli un mazzo di virginia.

—Grazie! non fumo… Piuttosto, tanto da mostrarle il mio aggradimento, prenderò un francobollo.

* * *

Annibale B…. è famoso pe' suoi lapsus linguæ.

Un giorno, parlando della Sicilia, gli scappò detto: «quest'isola tempo fa era unita al continente, ma poi ne fu staccata in seguito ad uno spaventevole cataplasma

* * *

Un'altra volta, descrivendo un palazzo: ciò che più si ammira, diceva, è il balcone di mezzo, sostenuto da due magnifiche cantaridi….

* * *

E parlando di una sua villa:

«La posizione del giardino non potrebbe essere più amena—si vedono tutti i colli della Brianza, il Resegone di Lecco e buona parte delle Alpi eretiche.

* * *

I parenti si congratulavano con lui per la nascita del suo terzogenito.

—Grazie! grazie! rispose—ma mi pare che mia moglie cominci a diventare troppo prolissa.

* * *

Si parlava di Salvini.

—L'ho veduto una volta, diceva Annibale.

—Nell'Otello?

—Sì appunto nell'Ottello alla tavola rotonda, e poi alla sera in teatro.

* * *

A sua moglie che era a Genova pei bagni scrisse: «non ho ancora ricevuto il tuo indirizzo, e temo che questa mia vada smarrita; te ne prevengo, onde tu ti affretti a farne ricerca alla posta.»

* * *

Un amico voleva indurlo a far tagliare la coda al suo cane—No! no! rispose—ha già passato l'anno; questa operazione conveniva fargliela da bambino.

* * *

Si era abbonato ad un giornaletto umoristico quotidiano.

—Io non lo leggo, diceva agli amici—ma mia moglie si diverte tutte le sere colla cialada.

* * *

Narrando di un disastro ferroviario avvenuto sulla linea da Milano a Piacenza—pare, diceva, che a poca distanza da Codogno, essendo scoppiato il binario, il treno uscisse dalla locomotiva, trascinando seco il convoglio con parecchi passeggieri sventuratamente di diverso sesso.

* * *

In assenza della moglie, faceva la consegna delle lingerie sporche; e dopo aver apostrofata la lavandaia coi termini più bruschi: insomma, le disse, son poco soddisfatto di voi; la vostra lascivia abbrucia le camicie.

* * *

Una signora, tanto da indirizzargli un complimento, fingeva di ammicare un bel paio di calzoni nuovi ch'egli si era messo per recarsi a farle visita—«Grazie, rispose; se sono di vostro gusto, non avete, o signora, che a comandarmelo, ed io li deporrò subito ai vostri piedi.»

* * *

Un amico gli chiese un giorno di qual modo riuscisse a conservare i denti sempre nitidi e bianchi.

—Me li scialacquo mattina e sera con acqua e aceto.

* * *

Un giorno parlando degli abbellimenti da lui ideati per un suo giardino, diceva in un circolo di amici: «quest'anno voglio abbattere il muro d'incinta e sostituirlo con una magnifica cancelleria di ferro.»

* * *

—I tuoi figli vi si troveranno meglio, disse uno degli astanti.

—I miei figli…. vengono di raro in giardino: preferisco mandarli all'esilio infantile, dove sono più sorvegliati.

* * *

Si parlava di un convento di Teresiane ove le suore non rispettavano l'obbligo di mangiar magro il venerdì ed il sabato.

—Credo, diceva Eusebio, che il papa le abbia disonorate per motivi di salute.

* * *

—A rivederci domani in piazza San Pietro.

—A qual ora? in qual punto della piazza?

—All'ora che credi.

—Ebbene: alle dieci del mattino, sotto l'ombellico.

—Dunque: siamo intesi….

—Tante esequie alla tua signora!

* * *

Discorrendo al club della questione di Oriente, gli uscì detto: «È vano lo illudersi; la guerra non si potea localizzare, e avremo indubbiamente una grande confricazione europea.

INDICE

Pag.

I drammi del Natale 7

Gianbarba 19

L'istrumento è l'uomo 37

Ciò che si vede in un teatro popolare 51

L'arte di far libretti, opera serio-buffa in tre atti 73

Pensieri di un fumatore 113

Album 138

DELLO STESSO AUTORE

Nella stessa edizione è pubblicato:

LIBRO PROIBITO

Ogni esemplare si vende suggellato a L. 2.

——

ROMANZI E RACCONTI

DI
SALVATORE FARINA

RACCONTI E SCENE L. 2—

IL TESORO DI DONNINA (seconda edizione) » 4—

AMORE BENDATO (seconda ediz. elzeviriana Casanova) » 3—

CAPELLI BIONDI (seconda edizione) » 4—

UN TIRANNO AI BAGNI DI MARE (seconda edizione) » 1—

DALLA SPUMA DEL MARE (seconda edizione) » 3—

IL ROMANZO D'UN VEDOVO (seconda edizione) » 1—

DUE AMORI—UN SEGRETO (seconda edizione) » 1—

FRUTTI PROIBITI » 2—

Di prossima pubblicazione: ORO NASCOSTO.—MIO FIGLIO.

ALTRE OPERE DELLO STESSO AUTORE

di imminente pubblicazione:

__LIBRO SERIO__, che contiene le biografie di GUSTAVO MODENA, GIUSEPPE ROVANI, GIUSEPPE ROTA, GIOVANNI PACINI, ANGELO MARIANI, ADOLFO FUMAGALLI, PIETRO COMINAZZI, AGOSTINO DALL'ARGINE, ERRICO PETRELLA, ecc., con molti aneddoti storici e cenni sulla vita, sul carattere dei più illustri maestri e letterati contemporanei. Il volume si chiude coll'opuscolo: MIE IDEE SUL LIBRETTO PER MUSICA E SULLE CONDIZIONI DEL TEATRO LIRICO IN ITALIA. Prezzo del volume lire 2.

__Le Acque minerali di San R….__ Scene burlesche avvenute in uno Stabilimento di bagni nella estate del 1878. È il romanzo più esilarante che mai abbia pubblicato l'autore degli Scritti piacevoli. Fu edito in parte nel Giornale Capriccio, e consta di pagine 200 all'incirca nel preciso formato del LIBRO ALLEGRO.

Lire __2__